Un tema mai trattato dal forum
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Re: Un tema mai trattato dal forum
Il Giornale la mette così.
Morto in discoteca, il sindaco: "Se non sapete educare, non procreate"
Dopo il giovane morto in overdose da ecstasy al Cocoricò, un 18enne perde la vita in un locale in Salento. Il sindaco di Gallipoli dà la colpa alle famiglie e il Codacons chiede un giro di vite. Tutta colpa delle famiglie e della società?
Chiara Sarra - Dom, 09/08/2015 - 17:57
Prima è morto Lamberto Lucaccioni, 16enne di Città di Castello (Perugia) ucciso il 19 luglio scorso da un overdose di ecstasy al Cocoricò di Riccione.
Poi, dopo settimane di polemiche e la chiusura del locale, ha perso stanotte la vita Lorenzo Toma, 18enne salentino che ieri ha passato la serata alla discoteca Guendalina a Santa Cesarea Terme (Lecce).
Entrambi sono morti dopo una serata in cui volevano solo divertirsi. Sono morti durante le vacanze, dopo aver ballato, riso e scherzato con gli amici. Da giorni ci si interroga sulla decisione del prefetto di chiudere il Cocoricò: servirà davvero a evitare casi simili? Non è meglio ripensare il modo in cui si fa prevenzione, con campagne serie a scuola e nei luoghi di aggregazione giovanile? A dire la sua oggi è il sindaco di Gallipoli che su Twitter lancia una provocazione che sta già facendo discutere: "Se le famiglie esercitassero un pò più di controllo sui figli non morirebbe un 18enne la settimana in disco", dice, "Se non sai educare non procreare".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 59603.html
Morto in discoteca, il sindaco: "Se non sapete educare, non procreate"
Dopo il giovane morto in overdose da ecstasy al Cocoricò, un 18enne perde la vita in un locale in Salento. Il sindaco di Gallipoli dà la colpa alle famiglie e il Codacons chiede un giro di vite. Tutta colpa delle famiglie e della società?
Chiara Sarra - Dom, 09/08/2015 - 17:57
Prima è morto Lamberto Lucaccioni, 16enne di Città di Castello (Perugia) ucciso il 19 luglio scorso da un overdose di ecstasy al Cocoricò di Riccione.
Poi, dopo settimane di polemiche e la chiusura del locale, ha perso stanotte la vita Lorenzo Toma, 18enne salentino che ieri ha passato la serata alla discoteca Guendalina a Santa Cesarea Terme (Lecce).
Entrambi sono morti dopo una serata in cui volevano solo divertirsi. Sono morti durante le vacanze, dopo aver ballato, riso e scherzato con gli amici. Da giorni ci si interroga sulla decisione del prefetto di chiudere il Cocoricò: servirà davvero a evitare casi simili? Non è meglio ripensare il modo in cui si fa prevenzione, con campagne serie a scuola e nei luoghi di aggregazione giovanile? A dire la sua oggi è il sindaco di Gallipoli che su Twitter lancia una provocazione che sta già facendo discutere: "Se le famiglie esercitassero un pò più di controllo sui figli non morirebbe un 18enne la settimana in disco", dice, "Se non sai educare non procreare".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 59603.html
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Re: Un tema mai trattato dal forum
La crisi italiana è veramente profonda.
Severgnini si era così espresso nella prima tornata:
Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.
Parola sgradevole, ma inevitabile.
La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia.
E poi,
È inutile chiedere, pregare, auspicare.
Bisogna intervenire.
Intendono collaborare, gestori e titolari?
Per concludere.
I nuovi, giovanissimi trasgressori vogliono sballare col permesso del Questore: francamente, è troppo.
Le pasticche di ecstasy, Lamberto Lucaccioni, 16 anni, morto al Cocoricò le aveva acquistate a Città di Castello in provincia di Perugia (Umbria)
Quindi cosa intende Severgnini per repressione?
Che per entrare in una discoteca gli avventori, oltre al biglietto d’ingresso si devono spogliare nudi e tutti gli abiti devono essere perquisiti?
Ma quanto viene a costare il biglietto d’ingresso se si deve mantenere tutto questo personale ed allestire locali di controllo appositi?
Per non parlare del tempo di accesso nella discoteca compreso l’esame finestra.
O per repressione Severgnini intende togliere il pane di bocca ai figli dei mafiosi?
Li vuole vedere sul lastrico?
E ci và lui al ministero dell’Interno a dirigere l’operazione di repressione contro le Mafie SpA?
Non sa Severgnini che esiste un tacito accordo con le Forze dell’ordine per fa passare tonnellate e tonnellate di robba, e che ogni tanto bisogna fare la sceneggiata in cui prendono qualche carico così la popolazione è tranquilla perché è sicura che le Forze dell’ordine si danno da fare?
Eppure non è un giornalista alle prime armi.
Severgnini si era così espresso nella prima tornata:
Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.
Parola sgradevole, ma inevitabile.
La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia.
E poi,
È inutile chiedere, pregare, auspicare.
Bisogna intervenire.
Intendono collaborare, gestori e titolari?
Per concludere.
I nuovi, giovanissimi trasgressori vogliono sballare col permesso del Questore: francamente, è troppo.
Le pasticche di ecstasy, Lamberto Lucaccioni, 16 anni, morto al Cocoricò le aveva acquistate a Città di Castello in provincia di Perugia (Umbria)
Quindi cosa intende Severgnini per repressione?
Che per entrare in una discoteca gli avventori, oltre al biglietto d’ingresso si devono spogliare nudi e tutti gli abiti devono essere perquisiti?
Ma quanto viene a costare il biglietto d’ingresso se si deve mantenere tutto questo personale ed allestire locali di controllo appositi?
Per non parlare del tempo di accesso nella discoteca compreso l’esame finestra.
O per repressione Severgnini intende togliere il pane di bocca ai figli dei mafiosi?
Li vuole vedere sul lastrico?
E ci và lui al ministero dell’Interno a dirigere l’operazione di repressione contro le Mafie SpA?
Non sa Severgnini che esiste un tacito accordo con le Forze dell’ordine per fa passare tonnellate e tonnellate di robba, e che ogni tanto bisogna fare la sceneggiata in cui prendono qualche carico così la popolazione è tranquilla perché è sicura che le Forze dell’ordine si danno da fare?
Eppure non è un giornalista alle prime armi.
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Re: Un tema mai trattato dal forum
La lotta alla droga non si vince chiudendo i locali
Lottare contro la droga significa impegnarsi a bloccare coloro che la vendono. La vendono dappertutto, mica solo in discoteca
Vittorio Feltri - Lun, 10/08/2015 - 18:01
Senza entrare nei dettagli, poco utili a comprendere il problema, registriamo un'altra morte in discoteca, stavolta nel Salento, dopo quella avvenuta a Riccione.
Ci aspettiamo una nuova ondata d'indignazione che si esaurirà entro alcuni giorni, poi tornerà la rumorosa routine a dominare nel Paese e nei locali notturni, luoghi di raduno giovanile dove la droga è invitata di diritto.
I soliti moralisti un tanto al chilo sferrano attacchi contro i gestori delle balere e contro gli spacciatori, senza distinguere gli uni dagli altri. Non tengono conto della realtà.
Ai miei tempi - molto andati - frequentavamo i dancing e, dato che non ci divertivamo affatto, bevevamo due «americani» e tristemente ci sbronzavamo, o quasi.
Con le ragazze c'era poco da fare.
I più fortunati di noi strappavano a quelle bruttine il loro numero di telefono.
Ballavamo senza entusiasmo il cha cha cha o il twist, qualcuno si scatenava nel rock.
A me piacevano i lenti perché fornivano il pretesto per abbracciare legittimamente una fanciulla.
Se la stringevo con vigore, garbatamente mi allontanava.
Inutile insistere: ero respinto con perdite.
Per consolarmi, trincavo un terzo «americano» e, a distanza di dieci minuti, uscivo in giardino a rigettare, sforzandomi di stare in piedi nonostante i capogiri.
La storia non cambia mai.
Oggi come ieri, i giovani amano le emozioni forti.
Oltre all'alcol, garanzia di un alto grado di imbecillità, essi hanno a disposizione l'ecstasy, pastiglie che fanno perdere la testa a chi non ce l'ha.
A qualcuno - raramente - fanno perdere anche la vita.
Spiacevole, ma normale: sull'enorme quantità di chi le ingoia, non può mancare chi ci rimane secco.
La cocaina è roba costosa, solo una minoranza statisticamente irrilevante se la può permettere.
Davanti a questo fenomeno - marginale - si levano proteste e proposte assurde: chiudere le discoteche oppure introdurvi cani poliziotto, rigidi controlli, perquisizioni e roba simile.
Come se tali provvedimenti fossero attuabili e risolutivi.
Scemenze. La lotta allo spaccio va fatta nella società, non nelle sale da ballo che sono lo specchio delle città, delle abitudini invalse, dei vizi diffusi, dell'insoddisfazione adolescenziale oggi uguale a quella di ieri e di cinquant'anni orsono.
Insoddisfazione a cui i ragazzini tentano di rimediare cercando nella chimica ciò che non hanno nel loro intimo e che nessuno ha mai avuto: la gioia di vivere.
Stare tra le gente comporta anche sofferenze.
Quelli che non sopportano i dolorini germoglianti in fondo all'animo si illudono di reprimerli ricorrendo agli stupefacenti o semplicemente alla birra.
Sono i più sensibili e i più deboli, forse un po' sciocchi o ingenui, inconsapevoli che campare non è una passeggiata tra gigli e corpi femminili (o maschili) accoglienti.
Lottare contro la droga significa impegnarsi a bloccare coloro che la vendono.
La vendono dappertutto, mica solo in discoteca: nelle latterie, agli angoli delle strade, dovunque.
Sarebbe sufficiente guardarsi in giro di notte (anche di sera) e sbattere in galera i mercanti.
Non si fa. Nessuno è stimolato a farlo.
Se un poliziotto lo facesse e ammanettasse un pusher, cosa accadrebbe? Nulla.
La giustizia non si occupa di queste fregnacce.
Libera subito il delinquente, e festa finita.
Se incarcerassimo tutti i farabutti in circolazione, d'altronde, saremmo costretti a trasformare in prigioni il 50 per cento degli edifici urbani.
Piombare le porte delle discoteche non serve.
È come vietare all'umanità di essere umana, piena di difetti, di paure, presa eternamente dall'esigenza di evadere da se stessa, dalle proprie angosce.
Un ricordo personale che non riguarda la mia giovinezza, bensì quella dei miei figli.
I quali, quando erano sui 16-17 anni, mi imploravano con insistenza: facci uscire la sera, anzi la notte.
Domandavo loro perché avessero bisogno del buio pesto per divertirsi.
La loro risposta era disarmante: le discoteche aprono a mezzanotte.
Non sapevo come comportarmi. Riluttante, finivo per acconsentire, però mi tremavano le ginocchia.
Non ho mai capito perché un qualsiasi negozio abbassi le saracinesche - obbligatoriamente - alle 19.30, mentre alle balere sia concesso di fare baldoria fino alle 4 di mattina.
Confondere le tenebre con la luce è sintomatico di un mondo capovolto e impazzito. Dal quale è paradossale pretendere equilibrio e ragionevolezza.
Non sono quindi quattro stupidotti di 18 anni da curare, ma milioni di adulti idioti che hanno ridotto la convivenza a controsenso organizzato.
Invece di eliminare la musica assordante diamoci regole diverse da quelle che ci hanno annientato.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 59683.html
Lottare contro la droga significa impegnarsi a bloccare coloro che la vendono. La vendono dappertutto, mica solo in discoteca
Vittorio Feltri - Lun, 10/08/2015 - 18:01
Senza entrare nei dettagli, poco utili a comprendere il problema, registriamo un'altra morte in discoteca, stavolta nel Salento, dopo quella avvenuta a Riccione.
Ci aspettiamo una nuova ondata d'indignazione che si esaurirà entro alcuni giorni, poi tornerà la rumorosa routine a dominare nel Paese e nei locali notturni, luoghi di raduno giovanile dove la droga è invitata di diritto.
I soliti moralisti un tanto al chilo sferrano attacchi contro i gestori delle balere e contro gli spacciatori, senza distinguere gli uni dagli altri. Non tengono conto della realtà.
Ai miei tempi - molto andati - frequentavamo i dancing e, dato che non ci divertivamo affatto, bevevamo due «americani» e tristemente ci sbronzavamo, o quasi.
Con le ragazze c'era poco da fare.
I più fortunati di noi strappavano a quelle bruttine il loro numero di telefono.
Ballavamo senza entusiasmo il cha cha cha o il twist, qualcuno si scatenava nel rock.
A me piacevano i lenti perché fornivano il pretesto per abbracciare legittimamente una fanciulla.
Se la stringevo con vigore, garbatamente mi allontanava.
Inutile insistere: ero respinto con perdite.
Per consolarmi, trincavo un terzo «americano» e, a distanza di dieci minuti, uscivo in giardino a rigettare, sforzandomi di stare in piedi nonostante i capogiri.
La storia non cambia mai.
Oggi come ieri, i giovani amano le emozioni forti.
Oltre all'alcol, garanzia di un alto grado di imbecillità, essi hanno a disposizione l'ecstasy, pastiglie che fanno perdere la testa a chi non ce l'ha.
A qualcuno - raramente - fanno perdere anche la vita.
Spiacevole, ma normale: sull'enorme quantità di chi le ingoia, non può mancare chi ci rimane secco.
La cocaina è roba costosa, solo una minoranza statisticamente irrilevante se la può permettere.
Davanti a questo fenomeno - marginale - si levano proteste e proposte assurde: chiudere le discoteche oppure introdurvi cani poliziotto, rigidi controlli, perquisizioni e roba simile.
Come se tali provvedimenti fossero attuabili e risolutivi.
Scemenze. La lotta allo spaccio va fatta nella società, non nelle sale da ballo che sono lo specchio delle città, delle abitudini invalse, dei vizi diffusi, dell'insoddisfazione adolescenziale oggi uguale a quella di ieri e di cinquant'anni orsono.
Insoddisfazione a cui i ragazzini tentano di rimediare cercando nella chimica ciò che non hanno nel loro intimo e che nessuno ha mai avuto: la gioia di vivere.
Stare tra le gente comporta anche sofferenze.
Quelli che non sopportano i dolorini germoglianti in fondo all'animo si illudono di reprimerli ricorrendo agli stupefacenti o semplicemente alla birra.
Sono i più sensibili e i più deboli, forse un po' sciocchi o ingenui, inconsapevoli che campare non è una passeggiata tra gigli e corpi femminili (o maschili) accoglienti.
Lottare contro la droga significa impegnarsi a bloccare coloro che la vendono.
La vendono dappertutto, mica solo in discoteca: nelle latterie, agli angoli delle strade, dovunque.
Sarebbe sufficiente guardarsi in giro di notte (anche di sera) e sbattere in galera i mercanti.
Non si fa. Nessuno è stimolato a farlo.
Se un poliziotto lo facesse e ammanettasse un pusher, cosa accadrebbe? Nulla.
La giustizia non si occupa di queste fregnacce.
Libera subito il delinquente, e festa finita.
Se incarcerassimo tutti i farabutti in circolazione, d'altronde, saremmo costretti a trasformare in prigioni il 50 per cento degli edifici urbani.
Piombare le porte delle discoteche non serve.
È come vietare all'umanità di essere umana, piena di difetti, di paure, presa eternamente dall'esigenza di evadere da se stessa, dalle proprie angosce.
Un ricordo personale che non riguarda la mia giovinezza, bensì quella dei miei figli.
I quali, quando erano sui 16-17 anni, mi imploravano con insistenza: facci uscire la sera, anzi la notte.
Domandavo loro perché avessero bisogno del buio pesto per divertirsi.
La loro risposta era disarmante: le discoteche aprono a mezzanotte.
Non sapevo come comportarmi. Riluttante, finivo per acconsentire, però mi tremavano le ginocchia.
Non ho mai capito perché un qualsiasi negozio abbassi le saracinesche - obbligatoriamente - alle 19.30, mentre alle balere sia concesso di fare baldoria fino alle 4 di mattina.
Confondere le tenebre con la luce è sintomatico di un mondo capovolto e impazzito. Dal quale è paradossale pretendere equilibrio e ragionevolezza.
Non sono quindi quattro stupidotti di 18 anni da curare, ma milioni di adulti idioti che hanno ridotto la convivenza a controsenso organizzato.
Invece di eliminare la musica assordante diamoci regole diverse da quelle che ci hanno annientato.
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 59683.html
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Re: Un tema mai trattato dal forum
Dedicato a Beppe Severgnini per la sua granitica determinazione:
Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.
Parola sgradevole, ma inevitabile.
La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia.
E a Vittorio Feltri, che ha fatto un gradino verso quella Via Crucis che é il mondo della droga:
Scemenze. La lotta allo spaccio va fatta nella società, non nelle sale da ballo che sono lo specchio delle città,…………..
Si fa presto a dirlo dietro una tastiera in ufficio. Ma chi sta al fronte, nella jungla umana, e prova a ribellarsi a quel mondo, poi deve poi subirne nel pieno della sua tremenda solitudine le conseguenze.
zona mandolossa
Brescia, spari in pizzeria:
uccisi i due titolari «Avevano denunciato lo spaccio» Foto|Video
Colpi di fucile contro Francesco Serramondi, 65 anni, e sua moglie Giovanna Ferrari, 63 anni, titolari del locale «Da Frank». La donna è morta subito, l’uomo in ospedale: pare avesse denunciato più volte episodi di violenza e spaccio nel quartiere
di Redazione Online
http://brescia.corriere.it/notizie/cron ... fad8.shtml
In questi tempi bui in cui stiamo andando a sbattere contro un muro a tutta velocità, a fronte di una grande indifferenza generale, a volte comprensibile, a volte meno, stò chiedendo a tutti coloro che incontro e che ho un minimo di confidenza per porre certe domande, se sono credenti e se credono in una vita dopo la morte.
L'ho fatto anche stamattina con un amico che sò cattolicissimo e con un'amica di cui ignoravo il credo.
Le risposte, non solo quelle di stamani, vanno tutte in un unica direzione.
Credenti o atei(non conosco islamici) sono convinti che questa sia una vita unica.
Allora, passo al gradino successivo.
Visto che siamo tutti sulla stessa barca perché dobbiamo sostenere questo tipo di società, che non consente il diritto alla vita???
Qualcuno potrà obiettare:
Ma a 65 anni lui e 63 anni lei, la loro vita l'hanno vissuta!
Già ma se fossero stati uccisi a fucilate chi non ci dice che avrebbero potuto campare altri 30 anni?.
Chi si può arrogare il diritto di stroncare la vita delle persone?
E poi, come in questo caso, di essersi assunti la responbilità civile di porre termine al piccolo spaccio di droga locale?
Di nuovo siamo di fronte a scelte individuali per combattere una piaga di questo mondo.
Già altri hanno fatto sacrifici incommensurabili di una dipartita precoce dalla vita, come Falcone, Borsellino, Ambrosoli e tanti altri che conoscete senza il bisogno di fare un lunghissimo elenco.
E non possiamo non pensare a chi ha sacrificato la propria vita durante la Resistenza. Soprattutto quei ragazzi e ragazze che si approstavano ad iniziare un percorso in cui la vita comincia a sbocciare.
Siamo dei primitivi anche se corredati di smartphone.
Davanti all’incoscienza e alla sfacciataggine di certi comportamenti — come quelli raccontati da Fabrizio Roncone giorni fa — c’è solo una strada: la repressione.
Parola sgradevole, ma inevitabile.
La strategia dello struzzo — testa sotto la sabbia, sperando che passi — nasconde quasi sempre l’ignavia.
E a Vittorio Feltri, che ha fatto un gradino verso quella Via Crucis che é il mondo della droga:
Scemenze. La lotta allo spaccio va fatta nella società, non nelle sale da ballo che sono lo specchio delle città,…………..
Si fa presto a dirlo dietro una tastiera in ufficio. Ma chi sta al fronte, nella jungla umana, e prova a ribellarsi a quel mondo, poi deve poi subirne nel pieno della sua tremenda solitudine le conseguenze.
zona mandolossa
Brescia, spari in pizzeria:
uccisi i due titolari «Avevano denunciato lo spaccio» Foto|Video
Colpi di fucile contro Francesco Serramondi, 65 anni, e sua moglie Giovanna Ferrari, 63 anni, titolari del locale «Da Frank». La donna è morta subito, l’uomo in ospedale: pare avesse denunciato più volte episodi di violenza e spaccio nel quartiere
di Redazione Online
http://brescia.corriere.it/notizie/cron ... fad8.shtml
In questi tempi bui in cui stiamo andando a sbattere contro un muro a tutta velocità, a fronte di una grande indifferenza generale, a volte comprensibile, a volte meno, stò chiedendo a tutti coloro che incontro e che ho un minimo di confidenza per porre certe domande, se sono credenti e se credono in una vita dopo la morte.
L'ho fatto anche stamattina con un amico che sò cattolicissimo e con un'amica di cui ignoravo il credo.
Le risposte, non solo quelle di stamani, vanno tutte in un unica direzione.
Credenti o atei(non conosco islamici) sono convinti che questa sia una vita unica.
Allora, passo al gradino successivo.
Visto che siamo tutti sulla stessa barca perché dobbiamo sostenere questo tipo di società, che non consente il diritto alla vita???
Qualcuno potrà obiettare:
Ma a 65 anni lui e 63 anni lei, la loro vita l'hanno vissuta!
Già ma se fossero stati uccisi a fucilate chi non ci dice che avrebbero potuto campare altri 30 anni?.
Chi si può arrogare il diritto di stroncare la vita delle persone?
E poi, come in questo caso, di essersi assunti la responbilità civile di porre termine al piccolo spaccio di droga locale?
Di nuovo siamo di fronte a scelte individuali per combattere una piaga di questo mondo.
Già altri hanno fatto sacrifici incommensurabili di una dipartita precoce dalla vita, come Falcone, Borsellino, Ambrosoli e tanti altri che conoscete senza il bisogno di fare un lunghissimo elenco.
E non possiamo non pensare a chi ha sacrificato la propria vita durante la Resistenza. Soprattutto quei ragazzi e ragazze che si approstavano ad iniziare un percorso in cui la vita comincia a sbocciare.
Siamo dei primitivi anche se corredati di smartphone.
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Re: Un tema mai trattato dal forum
La storia
I soldati della Wehrmacht
drogati con le metanfetamine
Un libro rivela: «I successi dell’esercito? Non ideologia ma doping» Gli storici Mommsen, decano degli storici del nazismo: «Cambia il quadro generale»
di Paolo Valentino
[Esplora il significato del termine: La Wehrmacht era un esercito di dopati. La formidabile macchina da guerra di Adolf Hitler vinceva grazie alle anfetamine. La tattica rivoluzionaria del Blitzkrieg e l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana non spiegano da sole i successi dell’esercito nazista nei primi anni del conflitto. In realtà un ruolo determinante ebbe l’uso sistematico fra i ranghi di Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Theodor Temmler e distribuita regolarmente dai medici militari ai soldati. A sfatare il mito dell’armata resa invincibile dall’ideologia e dalla superiorità tecnica, è un nuovo libro che esce oggi in Germania per i tipi di Kiepenheuer & Witsch. In Der totale Rausch. Drogen im Dritten Reich , lo scrittore Norman Ohler, storico per caso, racconta un capitolo poco conosciuto del Terzo Reich. Quello di un regime superomistico dove moltissimi, dalla guida suprema alle casalinghe, indulgevano nell’uso di stimolanti chimici. Partito con l’idea di scrivere un romanzo, una storia di abuso di droga ambientata nella Germania nazista, Ohler ha fatto lunghe ricerche negli archivi di Friburgo e Coblenza. Nella sede della Cia a Washington ha potuto leggere i protocolli degli interrogatori del famigerato dottor Morell, il medico personale di Hitler, che soprattutto negli anni di guerra tenne di fatto il dittatore «sotto siringa», trasformandolo poco a poco in un tossicodipendente. Così, dall’idea del romanzo l’autore è approdato al saggio. Il risultato finale è clamoroso. Perfino Hans Mommsen, decano degli storici del nazismo che ha fatto da consulente scientifico all’opera, riconosce la bontà del lavoro: «La storia del nazionalsocialismo non dev’essere riscritta, ma questo libro cambia il quadro generale» ha detto alla Sueddeutsche Zeitung . Grazie al suo direttore di laboratorio, Fritz Hauschild, Temmler era riuscito a produrre per sintesi la metanfetamina, brevettandola come Pervitin. Ma soprattutto aveva saputo, grazie a una perfetta campagna pubblicitaria, far diventare di moda la pillola magica: eliminava la stanchezza, combatteva la depressione, rendeva euforici, insomma esaltava lo Zeitgeist del nazismo. Ne abusavano in tanti: professionisti, militari, studenti, artisti, impiegati, casalinghe. Quando nel 1939, Hitler invade la Polonia, i medici della Wehrmacht conoscono bene prodotto ed effetti: «Una sostanza di grande valore militare», dice Otto Ranke, capo degli psicologi dell’esercito, nonostante le riserve di alcuni colleghi. I generali non fanno obiezioni: per von Kleist, Guderian, Rommel, distribuire il Pervitin ai soldati insieme alla razione di cibo quotidiana può solo tornare utile ai loro ambiziosi piani d’attacco . E al momento dell’offensiva contro i francesi attraverso il Belgio, la capacità di resistenza delle truppe tedesche diventa fattore decisivo. I reparti motorizzati devono muoversi il più velocemente possibile per aggirare la linea Maginot e inoltrarsi in profondità per prendere alle spalle il nemico. Avanzano nelle Ardenne per 72 ore, senza pause. In 4 giorni i francesi sono annientati. Effetto sorpresa, logistica e superiorità tecnica, certo. Ma come moderni ciclisti, anche soldati dopati in grado di prestazioni sovrumane. «La guerra lampo fu guidata dalle anfetamine», conclude Peter Steinkamp, storico della medicina. Ma come tutte le vittorie col doping, prima o poi i nodi vengono al pettine. Anzi, come scrive Ohler, già nei successi iniziali delle armate hitleriane si celava il germe della catastrofe. Giunse infatti il momento in cui la droga non funzionò più, la dipendenza diventò eccessiva e non ci fu più Pervitin che tenesse nelle lande innevate della Russia o nel deserto nord-africano. 9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:21) © RIPRODUZIONE RISERVATA] La Wehrmacht era un esercito di dopati. La formidabile macchina da guerra di Adolf Hitler vinceva grazie alle anfetamine. La tattica rivoluzionaria del Blitzkrieg e l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana non spiegano da sole i successi dell’esercito nazista nei primi anni del conflitto. In realtà un ruolo determinante ebbe l’uso sistematico fra i ranghi di Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Theodor Temmler e distribuita regolarmente dai medici militari ai soldati.
A sfatare il mito dell’armata resa invincibile dall’ideologia e dalla superiorità tecnica, è un nuovo libro che esce oggi in Germania per i tipi di Kiepenheuer & Witsch. In Der totale Rausch. Drogen im Dritten Reich , lo scrittore Norman Ohler, storico per caso, racconta un capitolo poco conosciuto del Terzo Reich. Quello di un regime superomistico dove moltissimi, dalla guida suprema alle casalinghe, indulgevano nell’uso di stimolanti chimici.
Partito con l’idea di scrivere un romanzo, una storia di abuso di droga ambientata nella Germania nazista, Ohler ha fatto lunghe ricerche negli archivi di Friburgo e Coblenza. Nella sede della Cia a Washington ha potuto leggere i protocolli degli interrogatori del famigerato dottor Morell, il medico personale di Hitler, che soprattutto negli anni di guerra tenne di fatto il dittatore «sotto siringa», trasformandolo poco a poco in un tossicodipendente. Così, dall’idea del romanzo l’autore è approdato al saggio.
Il risultato finale è clamoroso. Perfino Hans Mommsen, decano degli storici del nazismo che ha fatto da consulente scientifico all’opera, riconosce la bontà del lavoro: «La storia del nazionalsocialismo non dev’essere riscritta, ma questo libro cambia il quadro generale» ha detto alla Sueddeutsche Zeitung . Grazie al suo direttore di laboratorio, Fritz Hauschild, Temmler era riuscito a produrre per sintesi la metanfetamina, brevettandola come Pervitin. Ma soprattutto aveva saputo, grazie a una perfetta campagna pubblicitaria, far diventare di moda la pillola magica: eliminava la stanchezza, combatteva la depressione, rendeva euforici, insomma esaltava lo Zeitgeist del nazismo. Ne abusavano in tanti: professionisti, militari, studenti, artisti, impiegati, casalinghe.
Quando nel 1939, Hitler invade la Polonia, i medici della Wehrmacht conoscono bene prodotto ed effetti: «Una sostanza di grande valore militare», dice Otto Ranke, capo degli psicologi dell’esercito, nonostante le riserve di alcuni colleghi. I generali non fanno obiezioni: per von Kleist, Guderian, Rommel, distribuire il Pervitin ai soldati insieme alla razione di cibo quotidiana può solo tornare utile ai loro ambiziosi piani d’attacco .
E al momento dell’offensiva contro i francesi attraverso il Belgio, la capacità di resistenza delle truppe tedesche diventa fattore decisivo. I reparti motorizzati devono muoversi il più velocemente possibile per aggirare la linea Maginot e inoltrarsi in profondità per prendere alle spalle il nemico. Avanzano nelle Ardenne per 72 ore, senza pause. In 4 giorni i francesi sono annientati. Effetto sorpresa, logistica e superiorità tecnica, certo. Ma come moderni ciclisti, anche soldati dopati in grado di prestazioni sovrumane. «La guerra lampo fu guidata dalle anfetamine», conclude Peter Steinkamp, storico della medicina.
Ma come tutte le vittorie col doping, prima o poi i nodi vengono al pettine. Anzi, come scrive Ohler, già nei successi iniziali delle armate hitleriane si celava il germe della catastrofe. Giunse infatti il momento in cui la droga non funzionò più, la dipendenza diventò eccessiva e non ci fu più Pervitin che tenesse nelle lande innevate della Russia o nel deserto nord-africano.
9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:21)
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I soldati della Wehrmacht
drogati con le metanfetamine
Un libro rivela: «I successi dell’esercito? Non ideologia ma doping» Gli storici Mommsen, decano degli storici del nazismo: «Cambia il quadro generale»
di Paolo Valentino
[Esplora il significato del termine: La Wehrmacht era un esercito di dopati. La formidabile macchina da guerra di Adolf Hitler vinceva grazie alle anfetamine. La tattica rivoluzionaria del Blitzkrieg e l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana non spiegano da sole i successi dell’esercito nazista nei primi anni del conflitto. In realtà un ruolo determinante ebbe l’uso sistematico fra i ranghi di Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Theodor Temmler e distribuita regolarmente dai medici militari ai soldati. A sfatare il mito dell’armata resa invincibile dall’ideologia e dalla superiorità tecnica, è un nuovo libro che esce oggi in Germania per i tipi di Kiepenheuer & Witsch. In Der totale Rausch. Drogen im Dritten Reich , lo scrittore Norman Ohler, storico per caso, racconta un capitolo poco conosciuto del Terzo Reich. Quello di un regime superomistico dove moltissimi, dalla guida suprema alle casalinghe, indulgevano nell’uso di stimolanti chimici. Partito con l’idea di scrivere un romanzo, una storia di abuso di droga ambientata nella Germania nazista, Ohler ha fatto lunghe ricerche negli archivi di Friburgo e Coblenza. Nella sede della Cia a Washington ha potuto leggere i protocolli degli interrogatori del famigerato dottor Morell, il medico personale di Hitler, che soprattutto negli anni di guerra tenne di fatto il dittatore «sotto siringa», trasformandolo poco a poco in un tossicodipendente. Così, dall’idea del romanzo l’autore è approdato al saggio. Il risultato finale è clamoroso. Perfino Hans Mommsen, decano degli storici del nazismo che ha fatto da consulente scientifico all’opera, riconosce la bontà del lavoro: «La storia del nazionalsocialismo non dev’essere riscritta, ma questo libro cambia il quadro generale» ha detto alla Sueddeutsche Zeitung . Grazie al suo direttore di laboratorio, Fritz Hauschild, Temmler era riuscito a produrre per sintesi la metanfetamina, brevettandola come Pervitin. Ma soprattutto aveva saputo, grazie a una perfetta campagna pubblicitaria, far diventare di moda la pillola magica: eliminava la stanchezza, combatteva la depressione, rendeva euforici, insomma esaltava lo Zeitgeist del nazismo. Ne abusavano in tanti: professionisti, militari, studenti, artisti, impiegati, casalinghe. Quando nel 1939, Hitler invade la Polonia, i medici della Wehrmacht conoscono bene prodotto ed effetti: «Una sostanza di grande valore militare», dice Otto Ranke, capo degli psicologi dell’esercito, nonostante le riserve di alcuni colleghi. I generali non fanno obiezioni: per von Kleist, Guderian, Rommel, distribuire il Pervitin ai soldati insieme alla razione di cibo quotidiana può solo tornare utile ai loro ambiziosi piani d’attacco . E al momento dell’offensiva contro i francesi attraverso il Belgio, la capacità di resistenza delle truppe tedesche diventa fattore decisivo. I reparti motorizzati devono muoversi il più velocemente possibile per aggirare la linea Maginot e inoltrarsi in profondità per prendere alle spalle il nemico. Avanzano nelle Ardenne per 72 ore, senza pause. In 4 giorni i francesi sono annientati. Effetto sorpresa, logistica e superiorità tecnica, certo. Ma come moderni ciclisti, anche soldati dopati in grado di prestazioni sovrumane. «La guerra lampo fu guidata dalle anfetamine», conclude Peter Steinkamp, storico della medicina. Ma come tutte le vittorie col doping, prima o poi i nodi vengono al pettine. Anzi, come scrive Ohler, già nei successi iniziali delle armate hitleriane si celava il germe della catastrofe. Giunse infatti il momento in cui la droga non funzionò più, la dipendenza diventò eccessiva e non ci fu più Pervitin che tenesse nelle lande innevate della Russia o nel deserto nord-africano. 9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:21) © RIPRODUZIONE RISERVATA] La Wehrmacht era un esercito di dopati. La formidabile macchina da guerra di Adolf Hitler vinceva grazie alle anfetamine. La tattica rivoluzionaria del Blitzkrieg e l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana non spiegano da sole i successi dell’esercito nazista nei primi anni del conflitto. In realtà un ruolo determinante ebbe l’uso sistematico fra i ranghi di Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Theodor Temmler e distribuita regolarmente dai medici militari ai soldati.
A sfatare il mito dell’armata resa invincibile dall’ideologia e dalla superiorità tecnica, è un nuovo libro che esce oggi in Germania per i tipi di Kiepenheuer & Witsch. In Der totale Rausch. Drogen im Dritten Reich , lo scrittore Norman Ohler, storico per caso, racconta un capitolo poco conosciuto del Terzo Reich. Quello di un regime superomistico dove moltissimi, dalla guida suprema alle casalinghe, indulgevano nell’uso di stimolanti chimici.
Partito con l’idea di scrivere un romanzo, una storia di abuso di droga ambientata nella Germania nazista, Ohler ha fatto lunghe ricerche negli archivi di Friburgo e Coblenza. Nella sede della Cia a Washington ha potuto leggere i protocolli degli interrogatori del famigerato dottor Morell, il medico personale di Hitler, che soprattutto negli anni di guerra tenne di fatto il dittatore «sotto siringa», trasformandolo poco a poco in un tossicodipendente. Così, dall’idea del romanzo l’autore è approdato al saggio.
Il risultato finale è clamoroso. Perfino Hans Mommsen, decano degli storici del nazismo che ha fatto da consulente scientifico all’opera, riconosce la bontà del lavoro: «La storia del nazionalsocialismo non dev’essere riscritta, ma questo libro cambia il quadro generale» ha detto alla Sueddeutsche Zeitung . Grazie al suo direttore di laboratorio, Fritz Hauschild, Temmler era riuscito a produrre per sintesi la metanfetamina, brevettandola come Pervitin. Ma soprattutto aveva saputo, grazie a una perfetta campagna pubblicitaria, far diventare di moda la pillola magica: eliminava la stanchezza, combatteva la depressione, rendeva euforici, insomma esaltava lo Zeitgeist del nazismo. Ne abusavano in tanti: professionisti, militari, studenti, artisti, impiegati, casalinghe.
Quando nel 1939, Hitler invade la Polonia, i medici della Wehrmacht conoscono bene prodotto ed effetti: «Una sostanza di grande valore militare», dice Otto Ranke, capo degli psicologi dell’esercito, nonostante le riserve di alcuni colleghi. I generali non fanno obiezioni: per von Kleist, Guderian, Rommel, distribuire il Pervitin ai soldati insieme alla razione di cibo quotidiana può solo tornare utile ai loro ambiziosi piani d’attacco .
E al momento dell’offensiva contro i francesi attraverso il Belgio, la capacità di resistenza delle truppe tedesche diventa fattore decisivo. I reparti motorizzati devono muoversi il più velocemente possibile per aggirare la linea Maginot e inoltrarsi in profondità per prendere alle spalle il nemico. Avanzano nelle Ardenne per 72 ore, senza pause. In 4 giorni i francesi sono annientati. Effetto sorpresa, logistica e superiorità tecnica, certo. Ma come moderni ciclisti, anche soldati dopati in grado di prestazioni sovrumane. «La guerra lampo fu guidata dalle anfetamine», conclude Peter Steinkamp, storico della medicina.
Ma come tutte le vittorie col doping, prima o poi i nodi vengono al pettine. Anzi, come scrive Ohler, già nei successi iniziali delle armate hitleriane si celava il germe della catastrofe. Giunse infatti il momento in cui la droga non funzionò più, la dipendenza diventò eccessiva e non ci fu più Pervitin che tenesse nelle lande innevate della Russia o nel deserto nord-africano.
9 settembre 2015 (modifica il 9 settembre 2015 | 08:21)
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http://www.corriere.it/cronache/15_sett ... bdab.shtml
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Re: Un tema mai trattato dal forum
Negli ultimi 12 mesi quattro milioni di italiani hanno fatto uso di droghe
Tra quelle più diffuse cocaina e cannabis. Una persona su dieci ha provato almeno una sostanza nell'ultimo anno
Lucio Di Marzo - Gio, 10/09/2015 - 16:06
Sono almeno quattro milioni, praticamente una persona su dieci, gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto uso di una o più sostanze stupefacenti.
Lo rivela l'ultima relazione al parlamento del Dipartimento delle politiche antidroga.
Il 10% degli italiani tra i 15 e i 64 anni hanno assunto una sostanza illegale negli ultimi dodici mesi. Per l'87% del totale si parla di una sola droga, mentre il 13% ne ha provate due o anche di più. Quelle più diffuse, poco di nuovo qui, sono cocaina e cannabis.
Tra i 15 e i 34 anni circa persone su dieci hanno consumato sostanze illegali. Anche in questo caso circa il 13% del campione ha provato più di una droga. Tra la popolazione maschile è più diffuso il consumo di sostanze psicoattive. Per ogni donna, due uomini sono consumatori.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 69166.html
Tra quelle più diffuse cocaina e cannabis. Una persona su dieci ha provato almeno una sostanza nell'ultimo anno
Lucio Di Marzo - Gio, 10/09/2015 - 16:06
Sono almeno quattro milioni, praticamente una persona su dieci, gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto uso di una o più sostanze stupefacenti.
Lo rivela l'ultima relazione al parlamento del Dipartimento delle politiche antidroga.
Il 10% degli italiani tra i 15 e i 64 anni hanno assunto una sostanza illegale negli ultimi dodici mesi. Per l'87% del totale si parla di una sola droga, mentre il 13% ne ha provate due o anche di più. Quelle più diffuse, poco di nuovo qui, sono cocaina e cannabis.
Tra i 15 e i 34 anni circa persone su dieci hanno consumato sostanze illegali. Anche in questo caso circa il 13% del campione ha provato più di una droga. Tra la popolazione maschile è più diffuso il consumo di sostanze psicoattive. Per ogni donna, due uomini sono consumatori.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 69166.html
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