Francesco un papa ...Cristiano!
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Più di 50 anni fa un amico ateo, commentando le "cavolate" di vescovoni e cardinaloni, era solito dire:"Ma quand el se scioda???" (Ma quando si schioda).
Il rifermento era al Cristo in croce.
Repubblica 27.9.15
“La famiglia è in pericolo” il manifesto per il sinodo dei cardinali conservatori
Da Ruini a Caffarra, undici prelati di peso rispondono alle aperture di Bergoglio: “No alla comunione ai divorziati e alle nozze gay. Fermiamo questa fase di disfacimento”
di Paolo Rodari
Carlo Caffarra, teologo specialista della famiglia, è stato nominato membro della Congregazione per le cause dei santi. Camillo Ruini, vicario della diocesi di Roma fino al 2008, ha guidato la Conferenza episcopale per 16 anni
CITTÀ DEL VATICANO Alla «fase di disfacimento che non ha eguali nella storia» nella quale sono entrati nel mondo occidentale «il concetto di matrimonio come anche l’istituzione della famiglia», undici cardinali rispondono con un libro, le cui bozze sono state lette da Repubblica , appositamente scritto in vista dell’imminente Sinodo. “Matrimonio e famiglia. Prospettive pastorali di undici cardinali” (Cantagalli) è il titolo di un lavoro che, nella sua tesi, risponde alle due relazioni con cui il cardinale Walter Kasper aprì nel 2014 alla comunione ai divorziati risposati. Non possumus è, nella sostanza, la risposta che Caffarra, Cleemis, Cordes, Duka, Eijk, Meisner, Onaiyekan, Rouco Varela, Ruini, Sarah e Urosa Savino mettono in pagina. «Ma tiene a precisare Winfried Aymans, curatore del libro il volume non è contro Francesco né contro Kasper e le posizioni di quest’ultimo più aperte. Piuttosto, in scia al Papa che ha incoraggiato la libera discussione su tali tematiche in seno alla Chiesa, ha lo scopo di offrire un contributo per un confronto che nell’aula sinodale avrà il suo momento clou. Il Sinodo, infatti, non è un Parlamento dove fazioni contrapposte combattono la propria battaglia, ma è un luogo di comunione nel quale ogni sensibilità ha diritto di esistenza».
Comunque sia gli undici, fra loro esponenti di peso della curia romana e pastori di grandi diocesi, non lasciano spazio ad aperture. E anzi, si oppongono a chi, come il presidente della commissione pastorale della conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Osnabrück Franz-Josef Bode, ha chiesto sui divorziati risposati un «cambio di paradigma». È il cardinale Cordes a dire che Bode è ricorso «a munizioni pesanti» quando ha messo in campo, per sostenere la sua tesi, la Costituzione conciliare Gaudium et spes per spiegare come vita e dottrina non dovrebbero mai essere completamente separate. Eppure, incalza ancora Cordes, «l’appello di Bode a un cambio di prospettiva non è né originale né utile». Perché «l’ordinamento della Chiesa deve restare fedele al Vangelo e non ha il diritto di deformarlo». E ancora: «I divorziati risposati hanno infranto un inequivocabile comandamento di Gesù e vivono una situazione che contraddice in maniera oggettiva il volere di Dio. Ecco perché non possono ricevere l’eucaristia». L’unica soluzione per “risolvere” il problema è, per Cordes, la «comunione spirituale».
Al fondo delle tesi degli undici sembra esserci un approccio negativo al fenomeno della secolarizzazione. Essa, più che un’opportunità, è per loro un qualcosa da combattere. Nella società occidentale secolarizzata – scrive il cardinale Sarah –, «la dimensione della tristezza rivela la profondità della ferita inflitta alla verità e alla felicità umana. Le leggi sulle unioni omosessuali sfidano il buon senso, le statistiche sul divorzio rivelano una vera e propria “epidemia” e mostrano la fragilità di ogni impegno». A tal riguardo per Sarah «la Chiesa deve svolgere un’azione urgente di evangelizzazione».
Il “no” forse più netto alla comunione ai divorziati risposati viene dal cardinale Eijk, arcivescovo di Utrecht. La concessione della comunione è un pericolo da evitare. Perché «una volta accettata, accetteremo pure che il mutuo dono degli sposi non debba essere totale, né a livello spirituale, né a livello fisico. Conseguentemente saremmo costretti a cambiare la dottrina della Chiesa riguardante il matrimonio e la sessualità». Così «indeboliremmo i nostri argomenti intrinseci contro l’adulterio in genere. Abbandonando l’esigenza della totalità e reciprocità del dono (della paternità e della maternità, ndr ), dovremmo accettare l’uso dei contraccettivi». Così «saremmo costretti ad accettare anche atti sessuali assolutamente non diretti alla procreazione come quelli omosessuali». Tutto questo, sostiene Eijk, discende dalla prima concessione: l’eucaristia ai divorziati. «Non è in questione – chiosa Ruini – una loro colpa personale (dei divorziati risposati, ndr ) ma lo stato in cui oggettivamente si trovano». Certo, «ciò non significa che ogni possibilità di sviluppo sia preclusa. Una strada che appare percorribile è quella della revisione dei processi di nullità del matrimonio». Strada, da pochi giorni, percorsa da Francesco.
Il rifermento era al Cristo in croce.
Repubblica 27.9.15
“La famiglia è in pericolo” il manifesto per il sinodo dei cardinali conservatori
Da Ruini a Caffarra, undici prelati di peso rispondono alle aperture di Bergoglio: “No alla comunione ai divorziati e alle nozze gay. Fermiamo questa fase di disfacimento”
di Paolo Rodari
Carlo Caffarra, teologo specialista della famiglia, è stato nominato membro della Congregazione per le cause dei santi. Camillo Ruini, vicario della diocesi di Roma fino al 2008, ha guidato la Conferenza episcopale per 16 anni
CITTÀ DEL VATICANO Alla «fase di disfacimento che non ha eguali nella storia» nella quale sono entrati nel mondo occidentale «il concetto di matrimonio come anche l’istituzione della famiglia», undici cardinali rispondono con un libro, le cui bozze sono state lette da Repubblica , appositamente scritto in vista dell’imminente Sinodo. “Matrimonio e famiglia. Prospettive pastorali di undici cardinali” (Cantagalli) è il titolo di un lavoro che, nella sua tesi, risponde alle due relazioni con cui il cardinale Walter Kasper aprì nel 2014 alla comunione ai divorziati risposati. Non possumus è, nella sostanza, la risposta che Caffarra, Cleemis, Cordes, Duka, Eijk, Meisner, Onaiyekan, Rouco Varela, Ruini, Sarah e Urosa Savino mettono in pagina. «Ma tiene a precisare Winfried Aymans, curatore del libro il volume non è contro Francesco né contro Kasper e le posizioni di quest’ultimo più aperte. Piuttosto, in scia al Papa che ha incoraggiato la libera discussione su tali tematiche in seno alla Chiesa, ha lo scopo di offrire un contributo per un confronto che nell’aula sinodale avrà il suo momento clou. Il Sinodo, infatti, non è un Parlamento dove fazioni contrapposte combattono la propria battaglia, ma è un luogo di comunione nel quale ogni sensibilità ha diritto di esistenza».
Comunque sia gli undici, fra loro esponenti di peso della curia romana e pastori di grandi diocesi, non lasciano spazio ad aperture. E anzi, si oppongono a chi, come il presidente della commissione pastorale della conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Osnabrück Franz-Josef Bode, ha chiesto sui divorziati risposati un «cambio di paradigma». È il cardinale Cordes a dire che Bode è ricorso «a munizioni pesanti» quando ha messo in campo, per sostenere la sua tesi, la Costituzione conciliare Gaudium et spes per spiegare come vita e dottrina non dovrebbero mai essere completamente separate. Eppure, incalza ancora Cordes, «l’appello di Bode a un cambio di prospettiva non è né originale né utile». Perché «l’ordinamento della Chiesa deve restare fedele al Vangelo e non ha il diritto di deformarlo». E ancora: «I divorziati risposati hanno infranto un inequivocabile comandamento di Gesù e vivono una situazione che contraddice in maniera oggettiva il volere di Dio. Ecco perché non possono ricevere l’eucaristia». L’unica soluzione per “risolvere” il problema è, per Cordes, la «comunione spirituale».
Al fondo delle tesi degli undici sembra esserci un approccio negativo al fenomeno della secolarizzazione. Essa, più che un’opportunità, è per loro un qualcosa da combattere. Nella società occidentale secolarizzata – scrive il cardinale Sarah –, «la dimensione della tristezza rivela la profondità della ferita inflitta alla verità e alla felicità umana. Le leggi sulle unioni omosessuali sfidano il buon senso, le statistiche sul divorzio rivelano una vera e propria “epidemia” e mostrano la fragilità di ogni impegno». A tal riguardo per Sarah «la Chiesa deve svolgere un’azione urgente di evangelizzazione».
Il “no” forse più netto alla comunione ai divorziati risposati viene dal cardinale Eijk, arcivescovo di Utrecht. La concessione della comunione è un pericolo da evitare. Perché «una volta accettata, accetteremo pure che il mutuo dono degli sposi non debba essere totale, né a livello spirituale, né a livello fisico. Conseguentemente saremmo costretti a cambiare la dottrina della Chiesa riguardante il matrimonio e la sessualità». Così «indeboliremmo i nostri argomenti intrinseci contro l’adulterio in genere. Abbandonando l’esigenza della totalità e reciprocità del dono (della paternità e della maternità, ndr ), dovremmo accettare l’uso dei contraccettivi». Così «saremmo costretti ad accettare anche atti sessuali assolutamente non diretti alla procreazione come quelli omosessuali». Tutto questo, sostiene Eijk, discende dalla prima concessione: l’eucaristia ai divorziati. «Non è in questione – chiosa Ruini – una loro colpa personale (dei divorziati risposati, ndr ) ma lo stato in cui oggettivamente si trovano». Certo, «ciò non significa che ogni possibilità di sviluppo sia preclusa. Una strada che appare percorribile è quella della revisione dei processi di nullità del matrimonio». Strada, da pochi giorni, percorsa da Francesco.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Società
Papa Francesco contro i corvi e i veleni in Vaticano
di Francesco Antonio Grana | 28 settembre 2015
Dal Newsweek che, alla vigilia del suo arrivo, si domandava se il Papa fosse cattolico, al New York Post che ha tramutato la sua testata in New York Pope.
Nei titoli dei due giornali statunitensi c’è tutto lo straordinario successo, ben al di là delle più rosee aspettative, della visita di Francesco prima a Cuba e poi negli Usa.
Ascoltando gli scroscianti e ripetuti applausi e assistendo alle standing ovation che hanno tributato a Bergoglio sia i membri del Congresso americano , sia i rappresentanti delle Nazioni all’Onu viene da pensare con rammarico a quei suoi miopi oppositori in Vaticano che vorrebbero bloccare la sua monumentale opera di riforma. Oppositori che, dopo il bagno di folla americano, il Papa troverà subito davanti a sé nell’imminente Sinodo dei vescovi sulla famiglia che si aprirà il prossimo 4 ottobre.
Corvi e veleni di un Vaticano che, come insegna il Gattopardo, vogliono che “tutto cambi affinché nulla cambi”.
Davanti alle immagini del trionfo americano di Francesco coloro che nei sacri palazzi sgranano la corona del rosario al contrario sperando che il suo pontificato finisca presto dimostrano quanto sia attuale la metafora della pagina evangelica che vuole che il grano buono e la zizzania convivano sempre nello stesso campo.
L’opposizione a Bergoglio dentro le mura vaticane è opposizione alla Chiesa cattolica, al suo futuro, alla sua credibilità, alla sua autorevolezza morale mondiale, riconquistata a fatica e quasi persa durante la stagione di Vatileaks.
L’opposizione a Bergoglio è opposizione alla rifondazione della Chiesa, alla sua “conversione pastorale”, in ossequio al suo carisma originale, quello di essere “povera e per i poveri”.
Carisma che già nel Duecento la Curia romana del tempo aveva sepolto sotto i fasti di una corte pomposa intrisa di potere, ricchezza e lussuria. Una Curia messa sotto scacco da un giovanissimo e poverissimo “ex playboy”, come lo definì Benedetto XVI in una catechesi, che riparò la Chiesa in rovina soltanto dimostrando che il Vangelo poteva e può essere vissuto in pienezza in ogni epoca della storia.
Non si tratta, infatti, di una favola per bambini, di un libro allegorico, ma di un compendio di insegnamenti validi per tutti in ogni tempo.
Non è un caso allora se oggi Bergoglio, novello san Francesco, nel momento in cui ha accettato il “fardello episcopale”, secondo la celebre espressione di sant’Agostino amata da Ratzinger, ha scelto di assumere da Papa proprio il nome del poverello di Assisi.
Un programma di pontificato condensato in nove lettere.
Un programma che Bergoglio sta attuando con la velocità e la concretezza di uno storico riformatore.
Un programma che non può essere bloccato da anacronistici oppositori curiali che pensano di rispondere alle sfide odierne delle famiglie del mondo, oggetto del prossimo Sinodo, proponendo la strada dell’astinenza sessuale per i divorziati risposati.
Se la Chiesa è nel mondo, pur non essendo del mondo, non può essere fuori dal mondo.
Francesco lo sa bene. Vietato perdere.
La misericordia, al centro del prossimo Giubileo straordinario, sarà la risposta per l’accoglienza nel gregge ecclesiale dei divorziati risposati e dei gay.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... o/2073791/
Papa Francesco contro i corvi e i veleni in Vaticano
di Francesco Antonio Grana | 28 settembre 2015
Dal Newsweek che, alla vigilia del suo arrivo, si domandava se il Papa fosse cattolico, al New York Post che ha tramutato la sua testata in New York Pope.
Nei titoli dei due giornali statunitensi c’è tutto lo straordinario successo, ben al di là delle più rosee aspettative, della visita di Francesco prima a Cuba e poi negli Usa.
Ascoltando gli scroscianti e ripetuti applausi e assistendo alle standing ovation che hanno tributato a Bergoglio sia i membri del Congresso americano , sia i rappresentanti delle Nazioni all’Onu viene da pensare con rammarico a quei suoi miopi oppositori in Vaticano che vorrebbero bloccare la sua monumentale opera di riforma. Oppositori che, dopo il bagno di folla americano, il Papa troverà subito davanti a sé nell’imminente Sinodo dei vescovi sulla famiglia che si aprirà il prossimo 4 ottobre.
Corvi e veleni di un Vaticano che, come insegna il Gattopardo, vogliono che “tutto cambi affinché nulla cambi”.
Davanti alle immagini del trionfo americano di Francesco coloro che nei sacri palazzi sgranano la corona del rosario al contrario sperando che il suo pontificato finisca presto dimostrano quanto sia attuale la metafora della pagina evangelica che vuole che il grano buono e la zizzania convivano sempre nello stesso campo.
L’opposizione a Bergoglio dentro le mura vaticane è opposizione alla Chiesa cattolica, al suo futuro, alla sua credibilità, alla sua autorevolezza morale mondiale, riconquistata a fatica e quasi persa durante la stagione di Vatileaks.
L’opposizione a Bergoglio è opposizione alla rifondazione della Chiesa, alla sua “conversione pastorale”, in ossequio al suo carisma originale, quello di essere “povera e per i poveri”.
Carisma che già nel Duecento la Curia romana del tempo aveva sepolto sotto i fasti di una corte pomposa intrisa di potere, ricchezza e lussuria. Una Curia messa sotto scacco da un giovanissimo e poverissimo “ex playboy”, come lo definì Benedetto XVI in una catechesi, che riparò la Chiesa in rovina soltanto dimostrando che il Vangelo poteva e può essere vissuto in pienezza in ogni epoca della storia.
Non si tratta, infatti, di una favola per bambini, di un libro allegorico, ma di un compendio di insegnamenti validi per tutti in ogni tempo.
Non è un caso allora se oggi Bergoglio, novello san Francesco, nel momento in cui ha accettato il “fardello episcopale”, secondo la celebre espressione di sant’Agostino amata da Ratzinger, ha scelto di assumere da Papa proprio il nome del poverello di Assisi.
Un programma di pontificato condensato in nove lettere.
Un programma che Bergoglio sta attuando con la velocità e la concretezza di uno storico riformatore.
Un programma che non può essere bloccato da anacronistici oppositori curiali che pensano di rispondere alle sfide odierne delle famiglie del mondo, oggetto del prossimo Sinodo, proponendo la strada dell’astinenza sessuale per i divorziati risposati.
Se la Chiesa è nel mondo, pur non essendo del mondo, non può essere fuori dal mondo.
Francesco lo sa bene. Vietato perdere.
La misericordia, al centro del prossimo Giubileo straordinario, sarà la risposta per l’accoglienza nel gregge ecclesiale dei divorziati risposati e dei gay.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09 ... o/2073791/
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Uno peggio dell'altro.......
Su Radio 24 il fuorionda di monsignor Paglia al telefono con un finto Renzi
http://video.corriere.it/su-radio24-fuo ... 3e662cdc07
Su Radio 24 il fuorionda di monsignor Paglia al telefono con un finto Renzi
http://video.corriere.it/su-radio24-fuo ... 3e662cdc07
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Corriere 30.9.15
L’allergia di Bergoglio per chi prova a usare la sua immagine
Il primo cittadino Il sindaco senza accorgersene, è andato troppo oltre in una strategia filo-pontefice che aveva dato qualche risultato
La malevola telefonata del finto Renzi al vero Paglia ha reso comprensibile la brusca risposta data dal Papa in aereo sul sindaco Marino, che sul momento era parsa eccessiva, come se Francesco avesse da regolare dei conti con il primo cittadino di Roma, con il quale pareva invece intrattenere un buon rapporto. Ora sappiamo che un minimo conto l’aveva da regolare davvero, con il povero sindaco: un conto che potremmo chiamare «uso politico dell’immagine papale». L’intera vicenda ci dà tre informazioni minime ma a loro modo utili: che Marino — senza avvedersene — è andato troppo oltre nella strategia filo-Papa, con la quale pure aveva ottenuto in precedenza qualche risultato; che lo stesso può capitare a ogni politico ansioso di collezionare «baciamano», come in Vaticano è detto il saluto al Pontefice in margine a eventi pubblici; che Francesco davvero e con tutti è allergico alla cattura d’immagine nei contatti che intrattiene e che l’uomo Bergoglio ha un carattere risentito che all’occasione l’aiuta a mordere. La combinazione delle tre circostanze ha fatto sì che Marino stavolta paghi uno scotto più grande del vantaggio che aveva sperato di ottenere con la carta Filadelfia. Prima ancora che dalla richiesta di Marino per un incontro nelle giornate americane, Bergoglio deve aver percepito come inopportuna la presenza del sindaco, in fascia tricolore, ai suoi appuntamenti pubblici: quella presenza non poteva sfuggire all’occhio esercitato dell’ex arcivescovo di Buenos Aires che tanti conflitti aveva avuto con i politici di laggiù, intesi più dei nostri a occupare la scena delle sue celebrazioni. Più volte il cardinale Bergoglio aveva affermato che «d’ordinario» non dava di persona la comunione, nelle messe, per evitare che «vengano da me per fare la foto». Da Papa ha lamentato — anche ultimamente — di «sentirsi usato» da persone che gli si presentano come amiche «e che forse non avevo visto più di una o due volte in vita mia». «Hanno usato questo — cioè la millantata amicizia — per il loro vantaggio», ha detto in un’intervista di metà settembre a una radio argentina, Fm Milenium . Ma non si può capire la triste vicenda di Filadelfia se non si tiene conto che un filo di simpatia e di intesa tra Francesco e Marino c’era stato davvero, e magari c’è ancora, a motivo dell’aiuto che il sindaco chirurgo e trapiantista aveva dato al Papa sul fronte della lotta al commercio di organi, nella quale sono ambedue impegnati e pubblicamente alleati. Non abbiamo motivo per dubitare che fossero ottime le intenzioni che avevano portato il sindaco di Roma in America nei giorni della presenza del Papa, da lui ripetutamente dichiarate. Ma è ragionevole attendersi che nelle prossime occasioni di contatto con Francesco — ce ne saranno tante: è in arrivo il Giubileo — Marino adotti un protocollo di maggiore discrezione. I suoi buoni rapporti con Bergoglio erano una risorsa per la città che amministra e perché tornino a esserlo è forse necessario un passo indietro.
L’allergia di Bergoglio per chi prova a usare la sua immagine
Il primo cittadino Il sindaco senza accorgersene, è andato troppo oltre in una strategia filo-pontefice che aveva dato qualche risultato
La malevola telefonata del finto Renzi al vero Paglia ha reso comprensibile la brusca risposta data dal Papa in aereo sul sindaco Marino, che sul momento era parsa eccessiva, come se Francesco avesse da regolare dei conti con il primo cittadino di Roma, con il quale pareva invece intrattenere un buon rapporto. Ora sappiamo che un minimo conto l’aveva da regolare davvero, con il povero sindaco: un conto che potremmo chiamare «uso politico dell’immagine papale». L’intera vicenda ci dà tre informazioni minime ma a loro modo utili: che Marino — senza avvedersene — è andato troppo oltre nella strategia filo-Papa, con la quale pure aveva ottenuto in precedenza qualche risultato; che lo stesso può capitare a ogni politico ansioso di collezionare «baciamano», come in Vaticano è detto il saluto al Pontefice in margine a eventi pubblici; che Francesco davvero e con tutti è allergico alla cattura d’immagine nei contatti che intrattiene e che l’uomo Bergoglio ha un carattere risentito che all’occasione l’aiuta a mordere. La combinazione delle tre circostanze ha fatto sì che Marino stavolta paghi uno scotto più grande del vantaggio che aveva sperato di ottenere con la carta Filadelfia. Prima ancora che dalla richiesta di Marino per un incontro nelle giornate americane, Bergoglio deve aver percepito come inopportuna la presenza del sindaco, in fascia tricolore, ai suoi appuntamenti pubblici: quella presenza non poteva sfuggire all’occhio esercitato dell’ex arcivescovo di Buenos Aires che tanti conflitti aveva avuto con i politici di laggiù, intesi più dei nostri a occupare la scena delle sue celebrazioni. Più volte il cardinale Bergoglio aveva affermato che «d’ordinario» non dava di persona la comunione, nelle messe, per evitare che «vengano da me per fare la foto». Da Papa ha lamentato — anche ultimamente — di «sentirsi usato» da persone che gli si presentano come amiche «e che forse non avevo visto più di una o due volte in vita mia». «Hanno usato questo — cioè la millantata amicizia — per il loro vantaggio», ha detto in un’intervista di metà settembre a una radio argentina, Fm Milenium . Ma non si può capire la triste vicenda di Filadelfia se non si tiene conto che un filo di simpatia e di intesa tra Francesco e Marino c’era stato davvero, e magari c’è ancora, a motivo dell’aiuto che il sindaco chirurgo e trapiantista aveva dato al Papa sul fronte della lotta al commercio di organi, nella quale sono ambedue impegnati e pubblicamente alleati. Non abbiamo motivo per dubitare che fossero ottime le intenzioni che avevano portato il sindaco di Roma in America nei giorni della presenza del Papa, da lui ripetutamente dichiarate. Ma è ragionevole attendersi che nelle prossime occasioni di contatto con Francesco — ce ne saranno tante: è in arrivo il Giubileo — Marino adotti un protocollo di maggiore discrezione. I suoi buoni rapporti con Bergoglio erano una risorsa per la città che amministra e perché tornino a esserlo è forse necessario un passo indietro.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Sembra che le cose non stiano proprio come hanno raccontato al Papa...
Mi sa che stavolta si è fatto usare...
soloo42001
Mi sa che stavolta si è fatto usare...
soloo42001
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Le contraddizioni della Chiesa cattolica stanno esplodendo. Tocca a Francesco "portare la croce".
Vaticano, padre Lombardi risponde a coming out di monsignor Charamsa: “Scelta grave e irresponsabile”
Cronaca
Il portavoce vaticano condanna il messaggio di “amore omosessuale come amore familiare" lanciato dal sacerdote polacco che dal 2003 è ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede: "Indebita pressione mediatica sul Sinodo". Charamsa è stato allontanato dall'incarico e rischia un processo canonico. Il Papa: "La Chiesa è casa anche di chi ha il cuore ferito"
di Francesco Antonio Grana | 3 ottobre 2015
Bomba mediatica in Vaticano. A meno di 24 ore dall’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco e teologo di primo piano nella Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto coming out: “Sono un gay felice e ho un compagno”. Immediata e durissima la reazione della Santa Sede. Il monsignore è stato subito allontanato dal suo incarico in Vaticano e ora rischia un processo canonico nella sua diocesi di Pelplin in Polonia che prevede come pena massima la riduzione allo stato laicale.
“A proposito delle dichiarazioni e interviste rilasciate da monsignor Krzystof Charamsa – ha affermato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi – si deve osservare che, nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse, la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell’apertura del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale e una indebita pressione mediatica. Certamente monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano”.
Monsignor Charamsa, sacerdote dal 1997, è dal 2003 ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede, quando il prefetto dell’ex Sant’Uffizio era ancora il cardinale Joseph Ratzinger, nonché segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale vaticana e professore alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Un canonista di primissimo livello, dunque, con un curriculum prestigioso. Alla vigilia del Sinodo, che dal 4 al 25 ottobre prossimi dovrà valutare l’accesso alla comunione per i divorziati risposati ma anche le eventuali aperture per i gay, monsignor Charamsa ha deciso di uscire allo scoperto: “Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana”.
Il teologo sottolinea che “nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti ma non li guardiamo mai negli occhi. Con la mia storia vorrei scuotere un po’ le coscienze di questa mia Chiesa”. Adesso scriverà una lettera al Papa, che indiscrezioni rivelano si sia a dir poco irritato per il tentativo di mettere in “scacco matto” il dibattito del Sinodo con questo coming out. Del resto la volontà del teologo era proprio quella di inviare ai 270 padri sinodali un messaggio di “amore omosessuale come amore familiare”. Per monsignor Charamsa, infatti, la Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi“. Parole durissime che sono destinate a pesare non poco sui lavori del Sinodo dei vescovi che, esattamente un anno fa, si spaccò in due proprio sui divorziati risposati e sui gay non riuscendo a raggiungere la maggioranza qualificata nel documento finale. Ora in Vaticano la preoccupazione è che il coming out di monsignor Charamsa possa riprodurre o addirittura accrescere la divisione dei padri sinodali sull’accoglienza agli omosessuali.
In serata è stato il Papa a intervenire al termine della veglia per il Sinodo organizzata dalla Conferenza episcopale italiana. L’omelia di Bergoglio può essere letta come una prima risposta, seppure indiretta, alla coming out di monsignor Charamsa e come un tentativo di riportare serenità al dibattito sinodale. Francesco, infatti, ha precisato che “la grazia di Dio non alza la voce” perché, “come ricordava il patriarca Atenagora, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi”. E in un altro passaggio Bergoglio ha evidenziato che “se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti”.
Per il Papa “una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti, provati dalla vita, hanno il cuore ferito e sofferente”.
Twitter @FrancescoGrana
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... e/2091377/
Vaticano, padre Lombardi risponde a coming out di monsignor Charamsa: “Scelta grave e irresponsabile”
Cronaca
Il portavoce vaticano condanna il messaggio di “amore omosessuale come amore familiare" lanciato dal sacerdote polacco che dal 2003 è ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede: "Indebita pressione mediatica sul Sinodo". Charamsa è stato allontanato dall'incarico e rischia un processo canonico. Il Papa: "La Chiesa è casa anche di chi ha il cuore ferito"
di Francesco Antonio Grana | 3 ottobre 2015
Bomba mediatica in Vaticano. A meno di 24 ore dall’inizio del Sinodo dei vescovi sulla famiglia monsignor Krzysztof Charamsa, 43 anni, polacco e teologo di primo piano nella Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto coming out: “Sono un gay felice e ho un compagno”. Immediata e durissima la reazione della Santa Sede. Il monsignore è stato subito allontanato dal suo incarico in Vaticano e ora rischia un processo canonico nella sua diocesi di Pelplin in Polonia che prevede come pena massima la riduzione allo stato laicale.
“A proposito delle dichiarazioni e interviste rilasciate da monsignor Krzystof Charamsa – ha affermato il portavoce vaticano padre Federico Lombardi – si deve osservare che, nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse, la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell’apertura del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poiché mira a sottoporre l’assemblea sinodale e una indebita pressione mediatica. Certamente monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo ordinario diocesano”.
Monsignor Charamsa, sacerdote dal 1997, è dal 2003 ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede, quando il prefetto dell’ex Sant’Uffizio era ancora il cardinale Joseph Ratzinger, nonché segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale vaticana e professore alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Un canonista di primissimo livello, dunque, con un curriculum prestigioso. Alla vigilia del Sinodo, che dal 4 al 25 ottobre prossimi dovrà valutare l’accesso alla comunione per i divorziati risposati ma anche le eventuali aperture per i gay, monsignor Charamsa ha deciso di uscire allo scoperto: “Voglio che la Chiesa e la mia comunità sappiano chi sono: un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l’astinenza totale dalla vita d’amore, è disumana”.
Il teologo sottolinea che “nella Chiesa non conosciamo l’omosessualità perché non conosciamo gli omosessuali. Li abbiamo da tutte le parti ma non li guardiamo mai negli occhi. Con la mia storia vorrei scuotere un po’ le coscienze di questa mia Chiesa”. Adesso scriverà una lettera al Papa, che indiscrezioni rivelano si sia a dir poco irritato per il tentativo di mettere in “scacco matto” il dibattito del Sinodo con questo coming out. Del resto la volontà del teologo era proprio quella di inviare ai 270 padri sinodali un messaggio di “amore omosessuale come amore familiare”. Per monsignor Charamsa, infatti, la Chiesa deve sapere che non sta raccogliendo la sfida dei tempi“. Parole durissime che sono destinate a pesare non poco sui lavori del Sinodo dei vescovi che, esattamente un anno fa, si spaccò in due proprio sui divorziati risposati e sui gay non riuscendo a raggiungere la maggioranza qualificata nel documento finale. Ora in Vaticano la preoccupazione è che il coming out di monsignor Charamsa possa riprodurre o addirittura accrescere la divisione dei padri sinodali sull’accoglienza agli omosessuali.
In serata è stato il Papa a intervenire al termine della veglia per il Sinodo organizzata dalla Conferenza episcopale italiana. L’omelia di Bergoglio può essere letta come una prima risposta, seppure indiretta, alla coming out di monsignor Charamsa e come un tentativo di riportare serenità al dibattito sinodale. Francesco, infatti, ha precisato che “la grazia di Dio non alza la voce” perché, “come ricordava il patriarca Atenagora, senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la Chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale da schiavi”. E in un altro passaggio Bergoglio ha evidenziato che “se non sappiamo unire la compassione alla giustizia, finiamo per essere inutilmente severi e profondamente ingiusti”.
Per il Papa “una Chiesa che è famiglia sa porsi con la prossimità e l’amore di un padre, che vive la responsabilità del custode, che protegge senza sostituirsi, che corregge senza umiliare, che educa con l’esempio e la pazienza. A volte, semplicemente con il silenzio di un’attesa orante e aperta. Soprattutto, una Chiesa di figli che si riconoscono fratelli non arriva mai a considerare qualcuno soltanto come un peso, un problema, un costo, una preoccupazione o un rischio: l’altro è essenzialmente un dono, che rimane tale anche quando percorre strade diverse. È casa aperta, la Chiesa, lontana da grandezze esteriori, accogliente nello stile sobrio dei suoi membri e, proprio per questo, accessibile alla speranza di pace che c’è dentro ogni uomo, compresi quanti, provati dalla vita, hanno il cuore ferito e sofferente”.
Twitter @FrancescoGrana
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
ALLA BUONORA
La Chiesa Cattolica ha sempre il turbo intasato. Con l'arrivo di Francesco sono iniziate le pulizie per togliere le incrostazioni.
Per ammettere che il cardinal Bellarmino aveva torto sono trascorsi più di 350 anni fa con Galileo. Stamani per la prima volta ho sentito il cardinal Kasper ammettere in un intervista trasmessa sul primo Tg7 di oggi, che omosessuali si nasce.
Gli ortodossi craponi, continuano a sostenere che l'omosessualità è una malattia e che si deve curare.
Con queste ottusità la Chiesa Cattolica è una fabbrica fiorente di ateismo.
La Chiesa Cattolica ha sempre il turbo intasato. Con l'arrivo di Francesco sono iniziate le pulizie per togliere le incrostazioni.
Per ammettere che il cardinal Bellarmino aveva torto sono trascorsi più di 350 anni fa con Galileo. Stamani per la prima volta ho sentito il cardinal Kasper ammettere in un intervista trasmessa sul primo Tg7 di oggi, che omosessuali si nasce.
Gli ortodossi craponi, continuano a sostenere che l'omosessualità è una malattia e che si deve curare.
Con queste ottusità la Chiesa Cattolica è una fabbrica fiorente di ateismo.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Vaticano
Gli equivoci su Francesco e la teologia che non divide
Il Papa non procede per ondeggiamenti casuali, ha un dialogo diretto con la comunità internazionale e una visione con cui tutti i vescovi del Sinodo sono chiamati a misurarsi La confessione di monsignor Charamsa è un particolare di vita di palazzo che non può innescare una crisi di governo
di Andrea Riccardi
Quali scenari oggi nel governo vaticano? Vari osservatori notano confusione. Il coming out di mons. Charamsa dell’ex Sant’Offizio e la severa risposta del portavoce vaticano, l’incontro con l’ex discepolo gay del Papa nella nunziatura di Washington e infine quello - sempre lì - con l’icona antigay, Kim Folley, mostrerebbero un andamento contrastante. Caso o incerta impostazione? Voci autorevoli della Chiesa insistono sul «fraintendimento» e la strumentalizzazione, cui andrebbero soggetti gli interventi e i gesti di Francesco. Il che costituisce anche una garbata rilevazione dei limiti originari del suo pensiero, forse per asistematicità o - come dicono taluni più severi - per «teologia debole». Si riproporrebbe un quadro confuso di governo, come negli ultimi tempi di Benedetto XVI, proprio alla vigilia di un Sinodo, in cui si tratta del delicato tema della famiglia. I fatti accaduti sono in realtà particolari di vita di palazzo, più che una crisi di governo. Il caso Charamsa (il prete era stato proposto - sembra - come sottosegretario dell’ex Sant’Offizio proprio dalla congregazione, ma non voluto dal Papa) impallidisce in confronto alle crisi nei ranghi della Chiesa nei decenni scorsi. Al tempo di Paolo VI, si ripetevano gli abbandoni di sacerdoti e religiosi, finanche vescovi, sino alla rottura di Lefebvre. Persino con Wojtyla non furono tempi facili e lo scisma si consolidò. Del resto, Francesco, a differenza di Montini (che volle presto i «montiniani» ai vertici curiali) non ha fatto grandi cambi di quadri vaticani, tenendo quelli ereditati dai predecessori, non sempre sintonici con lui. Il Papa non procede con ondeggiamenti casuali. Ha una visione. Ha molta autorità tra il «popolo» e nella comunità internazionale. Lo si è notato a Cuba e negli Stati Uniti, dove è stato accolto come un leader mondiale, anche grazie alla mediazione tra i due Paesi, molto elogiato da Castro e Obama (presidente fino a ieri osteggiato dai vescovi americani). Alla tribuna del congresso americano e dell’Onu, ha parlato da riconosciuto leader spirituale, oggetto di forte attenzione pure quando le sue idee non facevano l’unanimità. Il messaggio papale non perde forza per qualche saluto in nunziatura: la vicenda ricorda i piccoli inciampi di vari viaggi papali. Il discorso del Papa non è solo rivolto all’esterno, ma radicato in una chiara visione della Chiesa. Lo si vede nel confronto con la Chiesa americana. Questa, in una società così pluralista, ha avuto un ruolo di minoranza attiva in difesa dei «valori non negoziabili», pure con battaglie culturali aspre. Il suo è stato un modello sviluppatosi negli ultimi anni di Wojtyla e in quelli di Benedetto XVI. Ma il Papa non ha fatto ai vescovi Usa un controcanto liberal, come taluni attendevano. Ha disegnato una nuova stagione: «Il linguaggio aspro e bellicoso della divisione - ha detto - non si addice alle labbra del Pastore... e, benché sembri per un momento assicurare un’apparente egemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell’amore resta veramente convincente». Egemonia o fascino convincente dell’amore? L’alternativa alle battaglie culturali non è l’adattamento liberale, ma l’attrazione «missionaria». Così pensa Francesco che ha visto la crisi del modello di minoranza combattiva dai confini chiari. Una logica che, pastoralmente, tagliava ponti, isolava la Chiesa scarica di capacità attrattiva, sospinta in un ridotto che la rendeva «antipatica» («simpatia» è parola chiave del discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II, citato nella bolla d’indizione del Giubileo). Ieri il Papa all’Angelus, dopo l’apertura del Sinodo, ha insistito: non «società-fortezza, ma società-famiglia, capaci di accogliere, con regole adeguate, ma accogliere, accogliere sempre, con amore». Si riferisce ai rifugiati o alla famiglia? Rivolge a tutti l’invito a entrare in un processo di apertura. Non sembra turbato dei casi di palazzo o del Vaticano. Non vive isolato. Né rinuncia a un rapporto con il popolo: ne sente la simpatia e il sostegno. I vescovi sono chiamati a misurarsi con la sua visione. Chiudendo la scorsa sessione del Sinodo, tra l’altro, ha ricordato che lui è il successore di Pietro, garanzia di tranquillità per tutti.
5 ottobre 2015 (modifica il 5 ottobre 2015 | 06:59) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
http://www.corriere.it/cronache/15_otto ... 2fd7.shtml
Gli equivoci su Francesco e la teologia che non divide
Il Papa non procede per ondeggiamenti casuali, ha un dialogo diretto con la comunità internazionale e una visione con cui tutti i vescovi del Sinodo sono chiamati a misurarsi La confessione di monsignor Charamsa è un particolare di vita di palazzo che non può innescare una crisi di governo
di Andrea Riccardi
Quali scenari oggi nel governo vaticano? Vari osservatori notano confusione. Il coming out di mons. Charamsa dell’ex Sant’Offizio e la severa risposta del portavoce vaticano, l’incontro con l’ex discepolo gay del Papa nella nunziatura di Washington e infine quello - sempre lì - con l’icona antigay, Kim Folley, mostrerebbero un andamento contrastante. Caso o incerta impostazione? Voci autorevoli della Chiesa insistono sul «fraintendimento» e la strumentalizzazione, cui andrebbero soggetti gli interventi e i gesti di Francesco. Il che costituisce anche una garbata rilevazione dei limiti originari del suo pensiero, forse per asistematicità o - come dicono taluni più severi - per «teologia debole». Si riproporrebbe un quadro confuso di governo, come negli ultimi tempi di Benedetto XVI, proprio alla vigilia di un Sinodo, in cui si tratta del delicato tema della famiglia. I fatti accaduti sono in realtà particolari di vita di palazzo, più che una crisi di governo. Il caso Charamsa (il prete era stato proposto - sembra - come sottosegretario dell’ex Sant’Offizio proprio dalla congregazione, ma non voluto dal Papa) impallidisce in confronto alle crisi nei ranghi della Chiesa nei decenni scorsi. Al tempo di Paolo VI, si ripetevano gli abbandoni di sacerdoti e religiosi, finanche vescovi, sino alla rottura di Lefebvre. Persino con Wojtyla non furono tempi facili e lo scisma si consolidò. Del resto, Francesco, a differenza di Montini (che volle presto i «montiniani» ai vertici curiali) non ha fatto grandi cambi di quadri vaticani, tenendo quelli ereditati dai predecessori, non sempre sintonici con lui. Il Papa non procede con ondeggiamenti casuali. Ha una visione. Ha molta autorità tra il «popolo» e nella comunità internazionale. Lo si è notato a Cuba e negli Stati Uniti, dove è stato accolto come un leader mondiale, anche grazie alla mediazione tra i due Paesi, molto elogiato da Castro e Obama (presidente fino a ieri osteggiato dai vescovi americani). Alla tribuna del congresso americano e dell’Onu, ha parlato da riconosciuto leader spirituale, oggetto di forte attenzione pure quando le sue idee non facevano l’unanimità. Il messaggio papale non perde forza per qualche saluto in nunziatura: la vicenda ricorda i piccoli inciampi di vari viaggi papali. Il discorso del Papa non è solo rivolto all’esterno, ma radicato in una chiara visione della Chiesa. Lo si vede nel confronto con la Chiesa americana. Questa, in una società così pluralista, ha avuto un ruolo di minoranza attiva in difesa dei «valori non negoziabili», pure con battaglie culturali aspre. Il suo è stato un modello sviluppatosi negli ultimi anni di Wojtyla e in quelli di Benedetto XVI. Ma il Papa non ha fatto ai vescovi Usa un controcanto liberal, come taluni attendevano. Ha disegnato una nuova stagione: «Il linguaggio aspro e bellicoso della divisione - ha detto - non si addice alle labbra del Pastore... e, benché sembri per un momento assicurare un’apparente egemonia, solo il fascino durevole della bontà e dell’amore resta veramente convincente». Egemonia o fascino convincente dell’amore? L’alternativa alle battaglie culturali non è l’adattamento liberale, ma l’attrazione «missionaria». Così pensa Francesco che ha visto la crisi del modello di minoranza combattiva dai confini chiari. Una logica che, pastoralmente, tagliava ponti, isolava la Chiesa scarica di capacità attrattiva, sospinta in un ridotto che la rendeva «antipatica» («simpatia» è parola chiave del discorso di Paolo VI alla chiusura del Vaticano II, citato nella bolla d’indizione del Giubileo). Ieri il Papa all’Angelus, dopo l’apertura del Sinodo, ha insistito: non «società-fortezza, ma società-famiglia, capaci di accogliere, con regole adeguate, ma accogliere, accogliere sempre, con amore». Si riferisce ai rifugiati o alla famiglia? Rivolge a tutti l’invito a entrare in un processo di apertura. Non sembra turbato dei casi di palazzo o del Vaticano. Non vive isolato. Né rinuncia a un rapporto con il popolo: ne sente la simpatia e il sostegno. I vescovi sono chiamati a misurarsi con la sua visione. Chiudendo la scorsa sessione del Sinodo, tra l’altro, ha ricordato che lui è il successore di Pietro, garanzia di tranquillità per tutti.
5 ottobre 2015 (modifica il 5 ottobre 2015 | 06:59) © RIPRODUZIONE RISERVATA]
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
I PROBLEMI SUL TAVOLO DI FRANCESCO
Repubblica 5.10.15
L’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali
Perché non è solo questione di sesso
di Walter Siti
QUANDO si parla dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli anticoncezionali, o verso i fedeli divorziati, è immancabile la riflessione sui cambiamenti epocali avvenuti nella società; è curioso che quando invece si parla del suo atteggiamento nei confronti degli omosessuali, l’omosessualità sia ancora vista come qualcosa di monolitico e immobile, da accogliere o rifiutare in blocco. Negli anni Sessanta e Settanta gli omosessuali erano in maggioranza “promiscui”, oscillavano tra terrore e voglia di liberazione, si sentivano provocatori e dinamitardi; tranne poche eccezioni, consideravano la Chiesa un impaccio e un giudice importuno, e il matrimonio come una poco auspicabile istituzione borghese. Ogni omosessuale “promiscuo” ricorda preti che, spogliati dell’abito, frequentavano le nostre stesse saune o erano clienti dei medesimi marchettari. Si era tutti colpevoli di “concupiscenza” (o meritevoli di “desiderio eversivo”), eroi o peccatori, in ogni caso lontani da qualunque monogamia. Parecchi giovani omosessuali pensavano al sacerdozio come male minore, che li avrebbe giustificati in società del loro mancato commercio con donne e avrebbe dato scopo e funzione alla propria personale infelicità.
Oggi l’ideale figura di riferimento sociale è piuttosto l’omosessuale monogamo, che ha un compagno fisso con cui intende condividere la vita. Non si vanta della “concupiscenza” e pensa di costruire una famiglia, magari allietata dalla presenza di figli. Monsignor Charamsa, che l’altro giorno ha presentato alla stampa il suo bel compagno, e che è uscito dall’armadio col sorriso forzato di chi vuole esibire una lietezza ancora ostaggio dell’inquietudine, appartiene con tutta evidenza a questi omosessuali 2.0. Ormai le associazioni di omosessuali cattolici sono parecchie e trovano sempre più spesso sacerdoti che le ascoltano con interesse. Insoddisfatte della dottrina tradizionale, per cui un omosessuale per non essere condannato dalla Chiesa dovrebbe astenersi da ogni realizzazione degli impulsi, quel che ormai chiedono alle gerarchie non è più di essere peccatori continuamente perdonati ma di non considerare più peccato l’amore quando ha la stessa solidità affettiva delle coppie eterosessuali.
Per monsignor Charamsa c’è in più, ovviamente, la questione del celibato. Ma saremmo ipocriti se non ammettessimo che la società considera più grave per un prete convivere con un uomo che con una donna; così come il “disordine affettivo” di un giovane seminarista è considerato più grave dai direttori spirituali se si rivolge a un uomo invece che alle prevedibili tentazioni femminili. La tempestività del suo coming out pone il problema di “a chi giova ?”: è un ballon d’essai estremista studiato per favorire i riformisti che possono così passare per mediatori, o è una forma di terrorismo ideologico che finirà per favorire i conservatori che potranno contare sulla paura di un’apocalisse nella Chiesa? Forse monsignor Charamsa, semplicemente, non ne poteva più: e ha fatto un molto terreno calcolo politico, di porre la questione omosessuale in primo piano nel prossimo Sinodo. Solo dallo svolgimento di questo sapremo quanto il calcolo fosse giusto.
La questione di fondo è la secolarizzazione: seguire la modernità emancipa o snatura la Chiesa? Quel che penso è che la Chiesa non può permettersi di giocare questo enorme problema soltanto sul piano esiguo, e in ultima analisi misero, della sessualità. I suoi compiti nella modernità mi sembrano molto più impegnativi: obbligare il mondo alla speranza, mostrare che la vita si può donare in nome di una fede, e ricordare a tutti (credenti o no) che l’avvento del Regno non potrà essere che rivoluzionario. Concedere ai sacerdoti un celibato volontario, riconoscere che la complementarità uomo/donna non deve necessariamente attuarsi tra le coperte, accogliere famiglie diverse da quella tradizionale. Queste aperture (o cedimenti) forse sono il prezzo giusto da pagare per non chiudersi in una ottusa trincea che allontanerebbe definitivamente la Chiesa dal compito che Cristo le ha dato, di essere fuoco e lievito per tutta la società.
Repubblica 5.10.15
L’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli omosessuali
Perché non è solo questione di sesso
di Walter Siti
QUANDO si parla dell’atteggiamento della Chiesa nei confronti degli anticoncezionali, o verso i fedeli divorziati, è immancabile la riflessione sui cambiamenti epocali avvenuti nella società; è curioso che quando invece si parla del suo atteggiamento nei confronti degli omosessuali, l’omosessualità sia ancora vista come qualcosa di monolitico e immobile, da accogliere o rifiutare in blocco. Negli anni Sessanta e Settanta gli omosessuali erano in maggioranza “promiscui”, oscillavano tra terrore e voglia di liberazione, si sentivano provocatori e dinamitardi; tranne poche eccezioni, consideravano la Chiesa un impaccio e un giudice importuno, e il matrimonio come una poco auspicabile istituzione borghese. Ogni omosessuale “promiscuo” ricorda preti che, spogliati dell’abito, frequentavano le nostre stesse saune o erano clienti dei medesimi marchettari. Si era tutti colpevoli di “concupiscenza” (o meritevoli di “desiderio eversivo”), eroi o peccatori, in ogni caso lontani da qualunque monogamia. Parecchi giovani omosessuali pensavano al sacerdozio come male minore, che li avrebbe giustificati in società del loro mancato commercio con donne e avrebbe dato scopo e funzione alla propria personale infelicità.
Oggi l’ideale figura di riferimento sociale è piuttosto l’omosessuale monogamo, che ha un compagno fisso con cui intende condividere la vita. Non si vanta della “concupiscenza” e pensa di costruire una famiglia, magari allietata dalla presenza di figli. Monsignor Charamsa, che l’altro giorno ha presentato alla stampa il suo bel compagno, e che è uscito dall’armadio col sorriso forzato di chi vuole esibire una lietezza ancora ostaggio dell’inquietudine, appartiene con tutta evidenza a questi omosessuali 2.0. Ormai le associazioni di omosessuali cattolici sono parecchie e trovano sempre più spesso sacerdoti che le ascoltano con interesse. Insoddisfatte della dottrina tradizionale, per cui un omosessuale per non essere condannato dalla Chiesa dovrebbe astenersi da ogni realizzazione degli impulsi, quel che ormai chiedono alle gerarchie non è più di essere peccatori continuamente perdonati ma di non considerare più peccato l’amore quando ha la stessa solidità affettiva delle coppie eterosessuali.
Per monsignor Charamsa c’è in più, ovviamente, la questione del celibato. Ma saremmo ipocriti se non ammettessimo che la società considera più grave per un prete convivere con un uomo che con una donna; così come il “disordine affettivo” di un giovane seminarista è considerato più grave dai direttori spirituali se si rivolge a un uomo invece che alle prevedibili tentazioni femminili. La tempestività del suo coming out pone il problema di “a chi giova ?”: è un ballon d’essai estremista studiato per favorire i riformisti che possono così passare per mediatori, o è una forma di terrorismo ideologico che finirà per favorire i conservatori che potranno contare sulla paura di un’apocalisse nella Chiesa? Forse monsignor Charamsa, semplicemente, non ne poteva più: e ha fatto un molto terreno calcolo politico, di porre la questione omosessuale in primo piano nel prossimo Sinodo. Solo dallo svolgimento di questo sapremo quanto il calcolo fosse giusto.
La questione di fondo è la secolarizzazione: seguire la modernità emancipa o snatura la Chiesa? Quel che penso è che la Chiesa non può permettersi di giocare questo enorme problema soltanto sul piano esiguo, e in ultima analisi misero, della sessualità. I suoi compiti nella modernità mi sembrano molto più impegnativi: obbligare il mondo alla speranza, mostrare che la vita si può donare in nome di una fede, e ricordare a tutti (credenti o no) che l’avvento del Regno non potrà essere che rivoluzionario. Concedere ai sacerdoti un celibato volontario, riconoscere che la complementarità uomo/donna non deve necessariamente attuarsi tra le coperte, accogliere famiglie diverse da quella tradizionale. Queste aperture (o cedimenti) forse sono il prezzo giusto da pagare per non chiudersi in una ottusa trincea che allontanerebbe definitivamente la Chiesa dal compito che Cristo le ha dato, di essere fuoco e lievito per tutta la società.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
La Chiesa Cattolica squassata dalla realtà della vita quotidiana.
Una monarchia assoluta di tipo chiuso ha consentito di dominare per secoli.
L'arrivo di Francesco permettere di portare in primo piano tutti i problemi di tutti i giorni.
Quindi i problemi esplodono:
Dall'Italia
Il prete che giustifica la pedofilia: «Spesso sono i bambini che cercano affetto»
Don Gino Flaim intervistato dall’Aria che Tira su La7: «Non so se invece esiste il problema dell’omosessualità» | Corriere TV
http://video.corriere.it/prete-che-gius ... ef67553e86
Una monarchia assoluta di tipo chiuso ha consentito di dominare per secoli.
L'arrivo di Francesco permettere di portare in primo piano tutti i problemi di tutti i giorni.
Quindi i problemi esplodono:
Dall'Italia
Il prete che giustifica la pedofilia: «Spesso sono i bambini che cercano affetto»
Don Gino Flaim intervistato dall’Aria che Tira su La7: «Non so se invece esiste il problema dell’omosessualità» | Corriere TV
http://video.corriere.it/prete-che-gius ... ef67553e86
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