La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
IL COMMENTO
NOI E LA PAURA
DI UNA GUERRA
MONDIALE
di Franco Venturini
La formula di papa Francesco
sulla Terza guerra mondiale
«a pezzettini» si dimostra
ogni giorno più tragicamente
esatta.
L’ultimo pugno nello stomaco
ci viene da Ankara, in Turchia,
con la strage di giovani
che ieri manifestavano per la
pace.
Molti di loro avevano l’età
dei nostri figli.
Ma serve davvero a qualcosa
domandarsi chi abbia indottrinato
e armato chi ha causato la
strage? I siriani che hanno ogni
interesse a destabilizzare la
Turchia, gli iraniani per lo stesso
motivo, la fazione più dura
dei curdi in lotta con quella più
moderata, gli agenti di Erdogan,
che spera di strappare la
maggioranza assoluta alle elezioni
del primo novembre?
L’impressione, piuttosto,
è che in una
ampia zona del
mondo che chiam
i a m o M e d i o
Oriente ma che tocca l’Europa e
l’Africa i «pezzettini» di Francesco
si stiano ricompattando
in una guerra globale a noi vicinissima,
che sarebbe autolesionista
tentare di ignorare o di
sminuire. Il rapporto tra civiltà
occidentale e civiltà islamica
non è diventato complesso e
conflittuale per una deriva storicamente
fatalista come quella
prevista da Huntington, ma
piuttosto perché in entrambi i
campi la caduta del Muro di
Berlino e la fine dell’ordine dei
blocchi ha fatto esplodere crisi
interne di cui non si vede la fine.
L’Occidente ha «perso» il
nemico sovietico (anche se ora
tenta di ritrovarlo con la generosa
complicità dal Cremlino) e
fatica a mantenersi unitario in
un mondo che spinge piuttosto
alla competizione economica e
strategica. Fenomeno questo
aggravato dal palese indebolimento
della leadership americana
e dal fallimento delle ambizioni
europee sulla «voce
unica» in politica estera. Ma la
crisi del mondo islamico è
molto più grave della nostra: è
guerra senza quartiere tra sunniti
e sciiti, è corsa alle interpretazioni
più estreme del Corano,
è odio incrociato tra fazioni
e Stati (anche se il Nobel
alla Tunisia segnala l’esistenza
di eccezioni).
guerrafondaio
nei confronti di tutte le
altre parti: l’Isis, il nemico numero
uno, ma di chi? Dell’Europa
di certo, anche per la paura
di nuovi attentati terroristici.
Della Russia al pari di altri, visto
che i molteplici obbiettivi
di Putin sono salvare Assad,
colpire i jihadisti provenienti
dal Caucaso e piantare la bandiera
per eventuali negoziati
oppure, più probabilmente, in
vista di una eventuale spartizione
territoriale della Siria.
Degli Stati Uniti l’Isis è il nemico
principale, ma nemico è anche
Assad (e qui le due strategie
diventano incompatibili)
ed è nemica strategica una
Russia che ha occupato fulmineamente
lo spazio vacante lasciato
dagli Usa.
E che dire degli altri, mentre
piovono bombe che non si sa
bene chi colpiscano e volano
missili che non si sa bene dove
cadano? La Turchia colpisce i
curdi più dell’Isis ed è contro
Assad. Dunque è contro l’Iran,
che non vuole stare con la Russia,
ha rapporti ancora guardinghi
con gli Usa, ma sta con
Assad perché pensa alla difesa
dello schieramento sciita. Per il
motivo opposto l’Arabia Saudita
sta con i sunniti dunque contro
Assad, e ha inizialmente finanziato
l’Isis.
Fermiamoci qui, per la Siria,
anche se si potrebbe continuare.
E in Iraq? I fronti schierati
contro il Califfato sono più
chiari, ma spesso divisi al loro
interno tra componenti sciite e
componenti sunnite impegnate
comunque contro l’Isis. È
nell’aiuto a queste ultime che
bisognerebbe fare di più, perché
soltanto una maggioranza
di sunniti può davvero sconfiggere
i sunniti estremisti dell’Isis.
E se l’Italia manterrà le
promesse fatte agli Usa i nostri
Tornado potranno dare un piccolo
contributo in questo senso,
oltre a confermare l’appoggio
ai curdi.
Nel frattempo il Libano e la
Giordania sono stati resi più
fragili (come la Turchia) dall’enorme
afflusso di profughi
siriani. Nello Yemen avvengono
massacri circondati dalla disattenzione
generale. Israele
non vuole una terza Intifada,
ma i palestinesi sembrano invece
decisi ad attuarla anche
per bilanciare l’estrema debolezza
di Mahmoud Abbas. E
l’ombra più cupa che si avvicina
è una nuova guerra di Gaza,
combattuta sulle macerie di
quella precedente. La Libia che
ospita un avamposto dell’Isis ci
impone di attendere, anche se
una eventuale ratifica del governo
di unità nazionale risulterà
utile (forse) al Consiglio di
sicurezza più che sul terreno
dal quale ci giungono, quando
riescono a giungere, tanti migranti.
E se poi la scelta si
orientasse verso l’imposizione
militare di una pace inesistente,
rischieremmo di commettere
un grave errore di calcolo.
Ne abbiamo trascurati parecchi
di «pezzettini», a cominciare
dalla crisi Ucraina che
entro gennaio dovrà sciogliere
il dilemma tra congelamento
sulle posizioni attuali e scontato
rinnovo delle sanzioni anti
Russia, oppure cantonizzazione
del Donbass, accordo sul
confine Ucraina-Russia e difficile
confronto euro-americano
sulle sanzioni.
In Europa oggi l’arrivo dei
migranti pare più grave e urgente
di un possibile ritorno alla
Guerra fredda. Brutto segnale
anche questo.
Fventurini500@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
NOI E LA PAURA
DI UNA GUERRA
MONDIALE
di Franco Venturini
La formula di papa Francesco
sulla Terza guerra mondiale
«a pezzettini» si dimostra
ogni giorno più tragicamente
esatta.
L’ultimo pugno nello stomaco
ci viene da Ankara, in Turchia,
con la strage di giovani
che ieri manifestavano per la
pace.
Molti di loro avevano l’età
dei nostri figli.
Ma serve davvero a qualcosa
domandarsi chi abbia indottrinato
e armato chi ha causato la
strage? I siriani che hanno ogni
interesse a destabilizzare la
Turchia, gli iraniani per lo stesso
motivo, la fazione più dura
dei curdi in lotta con quella più
moderata, gli agenti di Erdogan,
che spera di strappare la
maggioranza assoluta alle elezioni
del primo novembre?
L’impressione, piuttosto,
è che in una
ampia zona del
mondo che chiam
i a m o M e d i o
Oriente ma che tocca l’Europa e
l’Africa i «pezzettini» di Francesco
si stiano ricompattando
in una guerra globale a noi vicinissima,
che sarebbe autolesionista
tentare di ignorare o di
sminuire. Il rapporto tra civiltà
occidentale e civiltà islamica
non è diventato complesso e
conflittuale per una deriva storicamente
fatalista come quella
prevista da Huntington, ma
piuttosto perché in entrambi i
campi la caduta del Muro di
Berlino e la fine dell’ordine dei
blocchi ha fatto esplodere crisi
interne di cui non si vede la fine.
L’Occidente ha «perso» il
nemico sovietico (anche se ora
tenta di ritrovarlo con la generosa
complicità dal Cremlino) e
fatica a mantenersi unitario in
un mondo che spinge piuttosto
alla competizione economica e
strategica. Fenomeno questo
aggravato dal palese indebolimento
della leadership americana
e dal fallimento delle ambizioni
europee sulla «voce
unica» in politica estera. Ma la
crisi del mondo islamico è
molto più grave della nostra: è
guerra senza quartiere tra sunniti
e sciiti, è corsa alle interpretazioni
più estreme del Corano,
è odio incrociato tra fazioni
e Stati (anche se il Nobel
alla Tunisia segnala l’esistenza
di eccezioni).
guerrafondaio
nei confronti di tutte le
altre parti: l’Isis, il nemico numero
uno, ma di chi? Dell’Europa
di certo, anche per la paura
di nuovi attentati terroristici.
Della Russia al pari di altri, visto
che i molteplici obbiettivi
di Putin sono salvare Assad,
colpire i jihadisti provenienti
dal Caucaso e piantare la bandiera
per eventuali negoziati
oppure, più probabilmente, in
vista di una eventuale spartizione
territoriale della Siria.
Degli Stati Uniti l’Isis è il nemico
principale, ma nemico è anche
Assad (e qui le due strategie
diventano incompatibili)
ed è nemica strategica una
Russia che ha occupato fulmineamente
lo spazio vacante lasciato
dagli Usa.
E che dire degli altri, mentre
piovono bombe che non si sa
bene chi colpiscano e volano
missili che non si sa bene dove
cadano? La Turchia colpisce i
curdi più dell’Isis ed è contro
Assad. Dunque è contro l’Iran,
che non vuole stare con la Russia,
ha rapporti ancora guardinghi
con gli Usa, ma sta con
Assad perché pensa alla difesa
dello schieramento sciita. Per il
motivo opposto l’Arabia Saudita
sta con i sunniti dunque contro
Assad, e ha inizialmente finanziato
l’Isis.
Fermiamoci qui, per la Siria,
anche se si potrebbe continuare.
E in Iraq? I fronti schierati
contro il Califfato sono più
chiari, ma spesso divisi al loro
interno tra componenti sciite e
componenti sunnite impegnate
comunque contro l’Isis. È
nell’aiuto a queste ultime che
bisognerebbe fare di più, perché
soltanto una maggioranza
di sunniti può davvero sconfiggere
i sunniti estremisti dell’Isis.
E se l’Italia manterrà le
promesse fatte agli Usa i nostri
Tornado potranno dare un piccolo
contributo in questo senso,
oltre a confermare l’appoggio
ai curdi.
Nel frattempo il Libano e la
Giordania sono stati resi più
fragili (come la Turchia) dall’enorme
afflusso di profughi
siriani. Nello Yemen avvengono
massacri circondati dalla disattenzione
generale. Israele
non vuole una terza Intifada,
ma i palestinesi sembrano invece
decisi ad attuarla anche
per bilanciare l’estrema debolezza
di Mahmoud Abbas. E
l’ombra più cupa che si avvicina
è una nuova guerra di Gaza,
combattuta sulle macerie di
quella precedente. La Libia che
ospita un avamposto dell’Isis ci
impone di attendere, anche se
una eventuale ratifica del governo
di unità nazionale risulterà
utile (forse) al Consiglio di
sicurezza più che sul terreno
dal quale ci giungono, quando
riescono a giungere, tanti migranti.
E se poi la scelta si
orientasse verso l’imposizione
militare di una pace inesistente,
rischieremmo di commettere
un grave errore di calcolo.
Ne abbiamo trascurati parecchi
di «pezzettini», a cominciare
dalla crisi Ucraina che
entro gennaio dovrà sciogliere
il dilemma tra congelamento
sulle posizioni attuali e scontato
rinnovo delle sanzioni anti
Russia, oppure cantonizzazione
del Donbass, accordo sul
confine Ucraina-Russia e difficile
confronto euro-americano
sulle sanzioni.
In Europa oggi l’arrivo dei
migranti pare più grave e urgente
di un possibile ritorno alla
Guerra fredda. Brutto segnale
anche questo.
Fventurini500@gmail.com
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Turchi in piazza dopo la strage, scontri con polizia
Identificato uno dei kamikaze: uomo, 25-30 anni
Quasi 130 vittime e 500 feriti nell’attentato al corteo nel centro di Ankara. I balli, poi l’esplosione (video)
Pkk dichiara la tregua, governo bombarda: 49 morti. I filo-curdi: “Erdogan fa propaganda con le bombe”
Migliaia di persone si sono ritrovate nella capitale per commemorare le vittime dell’attentato di sabato. Il corteo è diretto a piazza Sihhiye, a poca distanza dal luogo delle due esplosioni nei pressi della stazione ferroviaria. Sul fronte investigativo, gli inquirenti sono riusciti a isolare alcune impronte digitali sui resti di uno dei due ordigni: uno degli attentatori kamikaze è stato identificato come un uomo di età compresa fra 25 e 30 anni, riferisce il giornale turco pro governo Yeni Safak
^^^^^^^^
Attentato di Ankara, Turchia in piazza, scontri tra filo-curdi e polizia. Il governo bombarda il Pkk nel sud-est
Migliaia di persone si sono ritrovate nella capitale per commemorare le vittime dell’attentato di sabato. Il corteo è diretto a piazza Sihhiye, a poca distanza dal luogo delle due esplosioni: "Erdogan assassino" e "polizia assassina" gridano i manifestanti, mentre gli agenti in tenuta antisommossa, con cannoni ad acqua, bloccano la principale strada che porta al quartiere dove si trovano Parlamento ed edifici governativi. Nella notte tra sabato e domenica, nonostante il cessate il fuoco unilaterale annunciato dai ribelli, l'aviazione turca ha effettuato un raid aereo che ha provocato 49 vittime tra i guerriglieri curdi
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... e/2116307/
Identificato uno dei kamikaze: uomo, 25-30 anni
Quasi 130 vittime e 500 feriti nell’attentato al corteo nel centro di Ankara. I balli, poi l’esplosione (video)
Pkk dichiara la tregua, governo bombarda: 49 morti. I filo-curdi: “Erdogan fa propaganda con le bombe”
Migliaia di persone si sono ritrovate nella capitale per commemorare le vittime dell’attentato di sabato. Il corteo è diretto a piazza Sihhiye, a poca distanza dal luogo delle due esplosioni nei pressi della stazione ferroviaria. Sul fronte investigativo, gli inquirenti sono riusciti a isolare alcune impronte digitali sui resti di uno dei due ordigni: uno degli attentatori kamikaze è stato identificato come un uomo di età compresa fra 25 e 30 anni, riferisce il giornale turco pro governo Yeni Safak
^^^^^^^^
Attentato di Ankara, Turchia in piazza, scontri tra filo-curdi e polizia. Il governo bombarda il Pkk nel sud-est
Migliaia di persone si sono ritrovate nella capitale per commemorare le vittime dell’attentato di sabato. Il corteo è diretto a piazza Sihhiye, a poca distanza dal luogo delle due esplosioni: "Erdogan assassino" e "polizia assassina" gridano i manifestanti, mentre gli agenti in tenuta antisommossa, con cannoni ad acqua, bloccano la principale strada che porta al quartiere dove si trovano Parlamento ed edifici governativi. Nella notte tra sabato e domenica, nonostante il cessate il fuoco unilaterale annunciato dai ribelli, l'aviazione turca ha effettuato un raid aereo che ha provocato 49 vittime tra i guerriglieri curdi
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... e/2116307/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Il governo iracheno: «Colpito in un raid il convoglio di al Baghdadi»
Giallo sulla morte del «califfo»
Il leader era diretto a un vertice dell’Isis. La notizia diffusa dal ministero dell’Interno. nell’attacco sarebbero morti molti dei suoi seguaci
di Guido Olimpio
http://www.corriere.it/esteri/15_ottobr ... 2e8d.shtml
Giallo sulla morte del «califfo»
Il leader era diretto a un vertice dell’Isis. La notizia diffusa dal ministero dell’Interno. nell’attacco sarebbero morti molti dei suoi seguaci
di Guido Olimpio
http://www.corriere.it/esteri/15_ottobr ... 2e8d.shtml
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Dai titoli del Tg7 delle 20,00 non viene confermata l'eliminazione del Califfo.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Tpp, Cina prepara contromossa all’accordo di libero scambio tra Usa e Pacifico
Lobby
Appresa la notizia del varo di "uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell'Asia-Pacifico", Pechino ha mostrato un diplomatico buon viso a cattivo gioco. Ma per non perdere il ruolo di "fabbrica del mondo", accelera i suoi progetti di Partenariato economico globale regionale con i 10 membri dell'Asean più altri Stati dell'area
di China Files per il Fatto | 12 ottobre 2015
Appena appresa la notizia, la Cina ha fatto buon viso. Quando il 5 ottobre i media internazionali hanno annunciato il varo della Trans-Pacific Partnership (Tpp) ad Atlanta, il ministero del Commercio di Pechino è uscito con un comunicato che definisce l’intesa “uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell’Asia-Pacifico“, aggiungendo che “la Cina è aperta a qualsiasi meccanismo che segua le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e possa aumentare l’integrazione economica nell’area”. Segno che la Cina si aspetta, prima o poi, di essere tirata dentro al patto tra i 12 Paesi che in totale rappresentano il 40% dell’economia mondiale.
Peccato che il Tpp escluda la Cina e sia proprio nato in funzione anticinese. Proposto inizialmente nel 2007, quando partirono i primi negoziati tra Cile, Nuova Zelanda e Singapore, fu di fatto cavalcato dagli Stati Uniti a partire dall’anno successivo ed è diventato ben presto uno dei cardini di quel pivot to Asia con cui l’amministrazione Obama ha cercato di riguadagnare spazio in estremo Oriente e contenere l’ascesa cinese.
All’Apec di Pechino del 2014, la Cina aveva risposto con la proposta di un’area di libero scambio più inclusiva, che comprendesse anche se stessa e la Russia, incassando il sì di tutti, tranne gli Stati Uniti. Ma da allora non se ne è più sentito parlare. Pechino si è poi sempre più focalizzata sul progetto di Via della Seta, con la neonata Banca asiatica degli Investimenti e delle Infrastrutture a fare da volano economico. Un istituto finanziario in cui, guarda un po’, non ci sono Stati Uniti e Giappone. Ma per scelta loro – questo va detto – non per ostracismo cinese.
Al netto degli iniziali convenevoli diplomatici, la Cina starebbe ora preparando le contromosse al Tpp Usa-centrico, che muta il contesto economico in Asia-Pacifico. Certo, l’accordo è lungi dall’essere un fatto acquisito, ma meglio prendere le misure necessarie per tempo. A Pechino e dintorni è infatti opinione piuttosto diffusa che gli Stati Uniti stiano cercando di contenere l’ascesa cinese sia dal punto di vista politico sia da quello economico, laddove i due aspetti si compenetrano totalmente.
Eliminando circa 18mila tariffe doganali, il Tpp rischia di spostare nuovamente la catena delle forniture attraverso la più vasta area economica del mondo. La Cina, già afflitta dal rallentamento della sua economia, teme di vedersi strappare troppo presto il ruolo di “fabbrica del mondo” mentre si trova ancora a metà del guado nella sua transizione verso un sistema economico più evoluto. Rischia di perdere competitività mentre non è ancora pronta a misurarsi sulle produzioni ad alto valore aggiunto.
Così, probabilmente, le autorità cinesi spingeranno sempre più sui trattati bilaterali di libero scambio con singoli Paesi. È, questa, una strategia ormai tradizionale per la Cina, che nei suoi accordi “uno-a-uno” cerca anche di emanciparsi dal dollaro e scambiare in renminbi e nella valuta del partner di turno. Ci sarebbe poi allo studio un accordo trilaterale di libero scambio con Giappone e Corea del Sud. Il South China Morning Post di Hong Kong riporta le parole del ministro delle Finanze giapponese Taro Aso, secondo cui i rappresentanti economici dei tre Paesi dovrebbero incontrarsi a margine di una riunione del G20 previsto per questa settimana in Perù.
Infine, Pechino cerca di accelerare il cosiddetto Partenariato economico globale regionale (Rcep), i cui negoziati dovrebbero fare progressi durante un summit in Corea del Sud, previsto dal 12 al 16 ottobre. Ne sono coinvolti i 10 membri dell’Asean più Australia, India, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e, secondo Xinhua, si punta a risultati concreti entro l’East Asia Summit di novembre. Ipotizzando queste contromosse, si intravede una strategia a cerchi concentrici.
In un recente articolo, Yukon Huang, ex direttore della Banca Mondiale per la Cina, ha azzardato che Pechino, per ottenere il duplice scopo di internazionalizzare la propria moneta e non attirare instabilità economica, potrebbe fare dello yuan una “valuta regionale” che gradualmente si sgancia dal dollaro senza rischiare nel mare magnum della volatilità internazionale. Niente accordi eccessivamente estesi nello spazio – niente Ttp made in China – ma proprio una strategia a cerchi concentrici e una moneta cinese che, al pari del commercio, si protende all’esterno con gradualità, fino a costituire un nuovo sistema di Stati tributari, riaggiornato al ventunesimo secolo.
Forse, il detto attribuito a Deng Xiaoping – “attraversare il fiume toccando le pietre” – per Pechino vale anche quando al posto del fiume c’è l’Oceano Pacifico. E forse, le felicitazioni rivolte agli Stati Uniti per il Tpp non sono in fondo in fondo un masticare amaro; ma un mandare avanti gli altri mentre si procede a piccoli passi.
di Gabriele Battaglia
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... o/2107559/
Lobby
Appresa la notizia del varo di "uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell'Asia-Pacifico", Pechino ha mostrato un diplomatico buon viso a cattivo gioco. Ma per non perdere il ruolo di "fabbrica del mondo", accelera i suoi progetti di Partenariato economico globale regionale con i 10 membri dell'Asean più altri Stati dell'area
di China Files per il Fatto | 12 ottobre 2015
Appena appresa la notizia, la Cina ha fatto buon viso. Quando il 5 ottobre i media internazionali hanno annunciato il varo della Trans-Pacific Partnership (Tpp) ad Atlanta, il ministero del Commercio di Pechino è uscito con un comunicato che definisce l’intesa “uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell’Asia-Pacifico“, aggiungendo che “la Cina è aperta a qualsiasi meccanismo che segua le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e possa aumentare l’integrazione economica nell’area”. Segno che la Cina si aspetta, prima o poi, di essere tirata dentro al patto tra i 12 Paesi che in totale rappresentano il 40% dell’economia mondiale.
Peccato che il Tpp escluda la Cina e sia proprio nato in funzione anticinese. Proposto inizialmente nel 2007, quando partirono i primi negoziati tra Cile, Nuova Zelanda e Singapore, fu di fatto cavalcato dagli Stati Uniti a partire dall’anno successivo ed è diventato ben presto uno dei cardini di quel pivot to Asia con cui l’amministrazione Obama ha cercato di riguadagnare spazio in estremo Oriente e contenere l’ascesa cinese.
All’Apec di Pechino del 2014, la Cina aveva risposto con la proposta di un’area di libero scambio più inclusiva, che comprendesse anche se stessa e la Russia, incassando il sì di tutti, tranne gli Stati Uniti. Ma da allora non se ne è più sentito parlare. Pechino si è poi sempre più focalizzata sul progetto di Via della Seta, con la neonata Banca asiatica degli Investimenti e delle Infrastrutture a fare da volano economico. Un istituto finanziario in cui, guarda un po’, non ci sono Stati Uniti e Giappone. Ma per scelta loro – questo va detto – non per ostracismo cinese.
Al netto degli iniziali convenevoli diplomatici, la Cina starebbe ora preparando le contromosse al Tpp Usa-centrico, che muta il contesto economico in Asia-Pacifico. Certo, l’accordo è lungi dall’essere un fatto acquisito, ma meglio prendere le misure necessarie per tempo. A Pechino e dintorni è infatti opinione piuttosto diffusa che gli Stati Uniti stiano cercando di contenere l’ascesa cinese sia dal punto di vista politico sia da quello economico, laddove i due aspetti si compenetrano totalmente.
Eliminando circa 18mila tariffe doganali, il Tpp rischia di spostare nuovamente la catena delle forniture attraverso la più vasta area economica del mondo. La Cina, già afflitta dal rallentamento della sua economia, teme di vedersi strappare troppo presto il ruolo di “fabbrica del mondo” mentre si trova ancora a metà del guado nella sua transizione verso un sistema economico più evoluto. Rischia di perdere competitività mentre non è ancora pronta a misurarsi sulle produzioni ad alto valore aggiunto.
Così, probabilmente, le autorità cinesi spingeranno sempre più sui trattati bilaterali di libero scambio con singoli Paesi. È, questa, una strategia ormai tradizionale per la Cina, che nei suoi accordi “uno-a-uno” cerca anche di emanciparsi dal dollaro e scambiare in renminbi e nella valuta del partner di turno. Ci sarebbe poi allo studio un accordo trilaterale di libero scambio con Giappone e Corea del Sud. Il South China Morning Post di Hong Kong riporta le parole del ministro delle Finanze giapponese Taro Aso, secondo cui i rappresentanti economici dei tre Paesi dovrebbero incontrarsi a margine di una riunione del G20 previsto per questa settimana in Perù.
Infine, Pechino cerca di accelerare il cosiddetto Partenariato economico globale regionale (Rcep), i cui negoziati dovrebbero fare progressi durante un summit in Corea del Sud, previsto dal 12 al 16 ottobre. Ne sono coinvolti i 10 membri dell’Asean più Australia, India, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e, secondo Xinhua, si punta a risultati concreti entro l’East Asia Summit di novembre. Ipotizzando queste contromosse, si intravede una strategia a cerchi concentrici.
In un recente articolo, Yukon Huang, ex direttore della Banca Mondiale per la Cina, ha azzardato che Pechino, per ottenere il duplice scopo di internazionalizzare la propria moneta e non attirare instabilità economica, potrebbe fare dello yuan una “valuta regionale” che gradualmente si sgancia dal dollaro senza rischiare nel mare magnum della volatilità internazionale. Niente accordi eccessivamente estesi nello spazio – niente Ttp made in China – ma proprio una strategia a cerchi concentrici e una moneta cinese che, al pari del commercio, si protende all’esterno con gradualità, fino a costituire un nuovo sistema di Stati tributari, riaggiornato al ventunesimo secolo.
Forse, il detto attribuito a Deng Xiaoping – “attraversare il fiume toccando le pietre” – per Pechino vale anche quando al posto del fiume c’è l’Oceano Pacifico. E forse, le felicitazioni rivolte agli Stati Uniti per il Tpp non sono in fondo in fondo un masticare amaro; ma un mandare avanti gli altri mentre si procede a piccoli passi.
di Gabriele Battaglia
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... o/2107559/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Il mondo è pieno di Pietro Chiocca. Va avanti così, nell'indifferenza generale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Finch%C3% ... 8_speranza
https://www.youtube.com/watch?v=ltFgYASod-U
Siria, dagli Usa 50 tonnellate di munizioni ai ribelli. Netanyahu: “In arrivo migliaia di soldati iraniani per sostenere Assad”
Mondo
Gli Stati Uniti hanno fornito anche alcune granate alle forze che si oppongono al presidente siriano. Il presidente israeliano annuncia che difenderà i suoi confini. Nelle ultime 24 ore 55 raid degli aerei militari russi
di F. Q. | 12 ottobre 2015
Gli Stati Uniti hanno fornito nelle ultime ore almeno 50 tonnellate di munizioni ai ribelli anti-Assad nel nord della Siria: il materiale è stato paracadutato nella notte tra domenica e lunedì. Benjamin Nethanyahu invece ha annunciato che Israele difenderà i suoi confini dai soldati iraniani che stanno arrivando in Siria per sostenere il presidente Bashar al-Assad. Continuano i raid aerei russi: nelle ultime 24 ore sono state compiute 55 missioni.
L’operazione degli Stati Uniti a supporto dei ribelli – spiegano fonti del Pentagono alla Cnn – è stata condotta con alcuni aerei cargo C-17s scortati da alcuni caccia da combattimento. Tra il materiale paracadutato ai ribelli della Syrian Arab Coalition, nella provincia di Hasakah, munizioni per armi leggere, ma anche granate. Le stesse fonti spiegano che l’operazione è andata a buon fine e il materiale è stato recuperato da “forze amiche“.
“In questo momento migliaia di soldati iraniani giungono nel territorio siriano” a sostegno di Bashar al-Assad. E’ quanto ha detto alla Knesset, il parlamento, il premier Benyamin Netanyahu. Israele impedirà loro di minacciare il confine sul Golan e di fornire armi sofisticate agli Hezbollah.
Intanto continuano nel Paese i raid aerei della Russia: nelle ultime 24 ore, ha detto Igor Konoshenko, portavoce del ministero della difesa, sono state effettuate 55 uscite contro 53 obiettivi dell’Isis. Gli attacchi hanno riguardato le province di Homs, Hama, Latakia e Id. “Negli ultimi giorni i terroristi hanno fatto sforzi disperati per inviare armi, munizioni, equipaggiamenti e carburanti dalla provincia di Raqqa alla prima linea nei combattimenti contro l’esercito siriano”, ha detto Konoshenko, secondo il quale “una parte significativa” dei depositi di armi ed equipaggiamenti dei jihadisti “è stata distrutta negli attacchi ad alta precisione degli aerei militari russi”, iniziati a fine settembre.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... d/2119547/
https://it.wikipedia.org/wiki/Finch%C3% ... 8_speranza
https://www.youtube.com/watch?v=ltFgYASod-U
Siria, dagli Usa 50 tonnellate di munizioni ai ribelli. Netanyahu: “In arrivo migliaia di soldati iraniani per sostenere Assad”
Mondo
Gli Stati Uniti hanno fornito anche alcune granate alle forze che si oppongono al presidente siriano. Il presidente israeliano annuncia che difenderà i suoi confini. Nelle ultime 24 ore 55 raid degli aerei militari russi
di F. Q. | 12 ottobre 2015
Gli Stati Uniti hanno fornito nelle ultime ore almeno 50 tonnellate di munizioni ai ribelli anti-Assad nel nord della Siria: il materiale è stato paracadutato nella notte tra domenica e lunedì. Benjamin Nethanyahu invece ha annunciato che Israele difenderà i suoi confini dai soldati iraniani che stanno arrivando in Siria per sostenere il presidente Bashar al-Assad. Continuano i raid aerei russi: nelle ultime 24 ore sono state compiute 55 missioni.
L’operazione degli Stati Uniti a supporto dei ribelli – spiegano fonti del Pentagono alla Cnn – è stata condotta con alcuni aerei cargo C-17s scortati da alcuni caccia da combattimento. Tra il materiale paracadutato ai ribelli della Syrian Arab Coalition, nella provincia di Hasakah, munizioni per armi leggere, ma anche granate. Le stesse fonti spiegano che l’operazione è andata a buon fine e il materiale è stato recuperato da “forze amiche“.
“In questo momento migliaia di soldati iraniani giungono nel territorio siriano” a sostegno di Bashar al-Assad. E’ quanto ha detto alla Knesset, il parlamento, il premier Benyamin Netanyahu. Israele impedirà loro di minacciare il confine sul Golan e di fornire armi sofisticate agli Hezbollah.
Intanto continuano nel Paese i raid aerei della Russia: nelle ultime 24 ore, ha detto Igor Konoshenko, portavoce del ministero della difesa, sono state effettuate 55 uscite contro 53 obiettivi dell’Isis. Gli attacchi hanno riguardato le province di Homs, Hama, Latakia e Id. “Negli ultimi giorni i terroristi hanno fatto sforzi disperati per inviare armi, munizioni, equipaggiamenti e carburanti dalla provincia di Raqqa alla prima linea nei combattimenti contro l’esercito siriano”, ha detto Konoshenko, secondo il quale “una parte significativa” dei depositi di armi ed equipaggiamenti dei jihadisti “è stata distrutta negli attacchi ad alta precisione degli aerei militari russi”, iniziati a fine settembre.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... d/2119547/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I Russi hanno dislocato in Siria anche alcuni TOS-1 Buratino micidiali lanciamissili multipli capaci di "ripulire" ampie zone di territorio da forze nemiche e facilitare così l'avanzata delle forze di terra amiche. Il peso della potenza militare russa inizia a farsi sentire nel MO e se gli USA continueranno solo a rifornire i "ribelli" senza intervenire si troveranno fuori gioco in poche settimane.
Visti gli ultimi sviluppi sembra che la IIIGM per ora arrida ai Russi e ai loro alleati e stia mettendo a nudo tutte le profonde contraddizioni che gli "alleati" occidentali hanno da anni e la deficitaria se non assurda strategia geo politica militare degli USA.
Visti gli ultimi sviluppi sembra che la IIIGM per ora arrida ai Russi e ai loro alleati e stia mettendo a nudo tutte le profonde contraddizioni che gli "alleati" occidentali hanno da anni e la deficitaria se non assurda strategia geo politica militare degli USA.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Maucat ha scritto:I Russi hanno dislocato in Siria anche alcuni TOS-1 Buratino micidiali lanciamissili multipli capaci di "ripulire" ampie zone di territorio da forze nemiche e facilitare così l'avanzata delle forze di terra amiche. Il peso della potenza militare russa inizia a farsi sentire nel MO e se gli USA continueranno solo a rifornire i "ribelli" senza intervenire si troveranno fuori gioco in poche settimane.
Visti gli ultimi sviluppi sembra che la IIIGM per ora arrida ai Russi e ai loro alleati e stia mettendo a nudo tutte le profonde contraddizioni che gli "alleati" occidentali hanno da anni e la deficitaria se non assurda strategia geo politica militare degli USA.
TOS-1
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
ТОС-1
TOS-1 Buratino
ТОС-1А Буратино на репетиции парада 4.5.2010.jpg
ТОS-1A - russo 24 barile lanciarazzi multiplo
Tipo Lanciarazzi multipli
Luogo d'origine Unione Sovietica
La storia di servizio
In servizio 1988-presente
Usato da Unione Sovietica, Federazione Russa
Guerre La guerra sovietico-afghana, seconda guerra cecena, 2014 Guerra del Golfo, [1]
Storia di produzione
Progettista Omsk Transmash Design Bureau
Progettato 1988
Prodotto 1988-presente
Varianti TOS-1A
Specifiche
Peso 45.3 t (100.000 £)
Lunghezza 9,5 m (31 ft 2 in)
Larghezza 3,6 m (11 ft 10 dentro)
Altezza 2.22 m (7 ft 3 in)
Equipaggio 3
Calibro 220 mm (8,7 in)
Tasso di fuoco 30 giri / 15 s
Poligono di tiro efficace 500-3,500m (TOS-1)
6,000m (TOS-1A)
Motore V-84 Diesel
840 CV (630 kW)
Operativo
gamma
550 km (340 mi)
Velocità 60 chilometri all'ora (37 mph)
TOS-1 (russo: ТОС-1 - тяжёлая огнемётная система, inglese: Heavy Lanciafiamme System) è un soviet 220 millimetri di 30 barile (sistema originale, Ob.634 o TOS-1M) o 24-barile (Ob.634B o TOS- 1A) lanciarazzi multipli e bomba a vuoto montati su un T-72 tank telaio. TOS-1 è stato progettato per sconfiggere personale nemico in fortificazioni, in aperta campagna, e in veicoli corazzati leggeri e di trasporto. I primi test di combattimento ha avuto luogo nel 1988-1989 nella Valle del Panjshir durante la guerra sovietica in Afghanistan. La TOS-1 è stato mostrato per la prima volta in pubblico nel 1999 a Omsk.
La TOS-1 non è utilizzato dalle unità di artiglieria delle forze armate russe, ma si trova in difesa NBC unità (russo.: Войскa радиационной, химической и биологической защиты (РХБЗ)) [2]
https://translate.google.it/translate?h ... ki%2FTOS-1
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Intanto a Gerusalemme continua L'Intifada dei Coltelli
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Gerusalemme, continua l''Intifada' dei coltelli: due attentati in contemporanea, 2 morti e 20 feriti
Due israeliani colpiti a nord di Tel Aviv. Ieri quattro attentati
Ancora violenze e tensione in Medio Oriente: almeno due morti e una ventina di feriti negli attentati avvenuti oggi in contemporanea a Gerusalemme e che sono stati due e non tre, ha riferito la polizia dopo prime concitate informazioni che parlavano di tre episodi. Il primo attentato si è verificato nei pressi del rione ebraico ortodosso di Mea Shearim dove un assalitore si e' scagliato con l'auto contro un gruppo di passanti alla fermata dell'autobus. Poi è sceso e ha cominciato a pugnalare chi era a terra. Il secondo è avvenuto all'interno di un autobus ad Armon Ha Natziv dove, secondo Canale 10, c'e' stato un accoltellamento. A bordo tre feriti gravi.
Inoltre almeno due israeliani sono stati accoltellati in modo leggero a Raanana a nord di Tel Aviv. L'assalitore, un palestinese, è stato - secondo radio Gerusalemme - "neutralizzato" e catturato.
Ieri quattro attentati in un giorno, due nello spazio di circa un'ora, almeno 6 israeliani accoltellati a Gerusalemme. L'allarme in Israele è altissimo e lo stillicidio quotidiano. "Il terrorismo è figlio della volontà di distruggerci e non della disperazione palestinese", ha denunciato il premier Benyamin Netanyahu in un teso dibattito alla Knesset. "Ma la nostra voglia di vivere distruggerà la voglia di uccidere dei nostri nemici", ha avvertito, respingendo ancora una volta come "bugie" le affermazioni che Israele stia cercando di cambiare lo status quo sulla Spianata delle Moschee o che sia in lotta con l'Islam.
Il premier ha però confermato la volontà del governo di mettere fuori legge, una volta ottenuto il via dal procuratore generale, il Movimento islamico, specie nel nord del paese che, insieme ad Hamas, "istiga" ad una guerra religiosa contro Israele. Senza dimenticare l'Autorità nazionale palestinese il cui presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) deve combattere l'istigazione e "condannare gli attentati terroristici palestinesi".
Oggi in Israele è previsto lo sciopero generale degli arabi israeliani in solidarietà con la Cisgiordania e per la Moschea di Al Aqsa.
Il vice comandante della polizia Benzi Sao ha riferito in Parlamento che finora sono stati feriti negli scontri 68 agenti da pietre o bottiglie incendiarie e che dei 300 arresti effettuati di palestinesi o arabo israeliani, oltre la metà sono minorenni. Il ministero della Sanità palestinese ha calcolato in 1300 i feriti palestinesi da pallottole vere o ricoperte di gomma dall'inizio di ottobre, di cui 75 solo ieri negli scontri in Cisgiordania. Nel vuoto di iniziative politiche della comunità internazionale in grado di raffreddare la situazione, ieri una delegazione del Quartetto ha annunciato di aver spostato - su richiesta a quanto pare di Netanyahu, vista la situazione - la visita nella regione mentre il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini ha avuto due conversazioni telefoniche con Netanyahu e con Abu Mazen in cui ha sottolineato "l'importanza di evitare azioni che alimenterebbero ancora di più le tensioni".
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Qui siamo sempre col solito problema. Israele deve esistere SI o NO? A quanto pare sembra che gli arabi non li vogliano assolutamente e tutto questo passa per questa risposta.lucfig ha scritto:Intanto a Gerusalemme continua L'Intifada dei Coltelli
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Due israeliani colpiti a nord di Tel Aviv. Ieri quattro attentati
Ancora violenze e tensione in Medio Oriente: almeno due morti e una ventina di feriti negli attentati avvenuti oggi in contemporanea a Gerusalemme e che sono stati due e non tre, ha riferito la polizia dopo prime concitate informazioni che parlavano di tre episodi. Il primo attentato si è verificato nei pressi del rione ebraico ortodosso di Mea Shearim dove un assalitore si e' scagliato con l'auto contro un gruppo di passanti alla fermata dell'autobus. Poi è sceso e ha cominciato a pugnalare chi era a terra. Il secondo è avvenuto all'interno di un autobus ad Armon Ha Natziv dove, secondo Canale 10, c'e' stato un accoltellamento. A bordo tre feriti gravi.
Inoltre almeno due israeliani sono stati accoltellati in modo leggero a Raanana a nord di Tel Aviv. L'assalitore, un palestinese, è stato - secondo radio Gerusalemme - "neutralizzato" e catturato.
Ieri quattro attentati in un giorno, due nello spazio di circa un'ora, almeno 6 israeliani accoltellati a Gerusalemme. L'allarme in Israele è altissimo e lo stillicidio quotidiano. "Il terrorismo è figlio della volontà di distruggerci e non della disperazione palestinese", ha denunciato il premier Benyamin Netanyahu in un teso dibattito alla Knesset. "Ma la nostra voglia di vivere distruggerà la voglia di uccidere dei nostri nemici", ha avvertito, respingendo ancora una volta come "bugie" le affermazioni che Israele stia cercando di cambiare lo status quo sulla Spianata delle Moschee o che sia in lotta con l'Islam.
Il premier ha però confermato la volontà del governo di mettere fuori legge, una volta ottenuto il via dal procuratore generale, il Movimento islamico, specie nel nord del paese che, insieme ad Hamas, "istiga" ad una guerra religiosa contro Israele. Senza dimenticare l'Autorità nazionale palestinese il cui presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) deve combattere l'istigazione e "condannare gli attentati terroristici palestinesi".
Oggi in Israele è previsto lo sciopero generale degli arabi israeliani in solidarietà con la Cisgiordania e per la Moschea di Al Aqsa.
Il vice comandante della polizia Benzi Sao ha riferito in Parlamento che finora sono stati feriti negli scontri 68 agenti da pietre o bottiglie incendiarie e che dei 300 arresti effettuati di palestinesi o arabo israeliani, oltre la metà sono minorenni. Il ministero della Sanità palestinese ha calcolato in 1300 i feriti palestinesi da pallottole vere o ricoperte di gomma dall'inizio di ottobre, di cui 75 solo ieri negli scontri in Cisgiordania. Nel vuoto di iniziative politiche della comunità internazionale in grado di raffreddare la situazione, ieri una delegazione del Quartetto ha annunciato di aver spostato - su richiesta a quanto pare di Netanyahu, vista la situazione - la visita nella regione mentre il capo della diplomazia Ue Federica Mogherini ha avuto due conversazioni telefoniche con Netanyahu e con Abu Mazen in cui ha sottolineato "l'importanza di evitare azioni che alimenterebbero ancora di più le tensioni".
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Se SI, allora gli arabi se la devono mettere via e io difenderò sempre Israele.
Se NO, allora mi devono dire per quale motivo devono andarsene. SE saranno in grado di persuadermi, io difenderò la loro causa.
Questo rifiuto netto all'esistenza di questo stato non fa altro che fomentare fondamentalismi religiosi ed estremismi e di questo passo non se ne verrà mai fuori.
Nella mia gioventu' politica ho seguito per molto tempo quanto veniva portato a conoscenza dalle varie organizzazione pro Palestinesi ed ho ascoltato per molto tempo anche le ragioni stesse dei loro rappresentanti in itali. Detto questo, pero' non vedo alcuna presa di coscienza da parte dei Palestinesi riguardo l'esistenza di questo popolo. Si certo, alcuni gruppi se ne son fatti una ragione e credo che possano convivere ma la maggioranza li rifiuta con forza . Hamas non vuol sentir ragione e li vorrebbe gettare a mare.
In tutto il tempo ho trascorso da allora mi son reso conto, magari sbagliando, che e' la gran parte degli arabi a fomentare questi estremismi poichè vogliono sempre tener acceso la rabbia di un popolo per raggiungere quell'obiettivo che secondo loro questa terra gli appartiene. Stessa cosa dicono gli ebrei. Ma a quali interessi si arriverebbe se tutto il territorio divenisse Palestinese? Migliorerebbe la loro vita o sarebbe cosa più giusta convivere con chi ha saputo coltivare il deserto e trarne quindi vantaggi?
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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