Francesco un papa ...Cristiano!
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Lo scandalo vero è la mentalità becera che sta alla base di queste dichiarazioni.
E che porta a giustificare tutto.
Francesco purtroppo più di questo non può fare.
Finchè i benpensanti cattolici continuano a guardare ai loro nemici immaginari
(e i comunisti, e gli ateisti, i laicisti, la teoria gender, i totalitarismi, la lobby gay,
gli ideologismi, le femministe, lo scientismo, il darwinismo, adesso pure i ragazzini
provocano...) saranno sempre preda di chi li manovra.
Ovvero il dio denaro, per il tramite delle destre politiche, che gli dice se e
come focalizzare le loro energie.
L'unica cosa forse in più, oltre a indicare il dio denaro come nemico
cosa che sta già facendo, potrebbe essere indicare ai cattolici come
negativo il farsi manovrare e prendere da falsi nemici e false priorità.
Anche quando chi indica i falsi nemici sono gli stessi pastori...
Perchè significa mettersi al servizio di una causa che non esiste... un falso dio.
Fino alla paranoia, fino al più completo tradimento dei propri ideali cristiani
proprio in nome della difesa degli stessi.
Ma se ci prova gli sparano.
E poi oggettivamente sarebbe un cambio di mentalità epocale.
Richiederebbe comunque anni.
Per cui l'eventuale riflesso politico arriverebbe dopo decenni.
soloo42001
E che porta a giustificare tutto.
Francesco purtroppo più di questo non può fare.
Finchè i benpensanti cattolici continuano a guardare ai loro nemici immaginari
(e i comunisti, e gli ateisti, i laicisti, la teoria gender, i totalitarismi, la lobby gay,
gli ideologismi, le femministe, lo scientismo, il darwinismo, adesso pure i ragazzini
provocano...) saranno sempre preda di chi li manovra.
Ovvero il dio denaro, per il tramite delle destre politiche, che gli dice se e
come focalizzare le loro energie.
L'unica cosa forse in più, oltre a indicare il dio denaro come nemico
cosa che sta già facendo, potrebbe essere indicare ai cattolici come
negativo il farsi manovrare e prendere da falsi nemici e false priorità.
Anche quando chi indica i falsi nemici sono gli stessi pastori...
Perchè significa mettersi al servizio di una causa che non esiste... un falso dio.
Fino alla paranoia, fino al più completo tradimento dei propri ideali cristiani
proprio in nome della difesa degli stessi.
Ma se ci prova gli sparano.
E poi oggettivamente sarebbe un cambio di mentalità epocale.
Richiederebbe comunque anni.
Per cui l'eventuale riflesso politico arriverebbe dopo decenni.
soloo42001
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Quando Littorio Feltri ci si mette in pirlate, è insuperabile.
Alla Gabbia dove stanno dibattendo di omosessualità e pedofilia, l'impareggiabile bergamasco dopo aver rivisto il servizio su Don Gino, il prete che ha poco chiaro di cosa sta trattando, mette in guardia tutti dall'etimologia del termine pedofilia, definendola amore verso i minori.
Dopo avermi fatto fare un salto sulla sedia sono andato a consultare il Grande Fratello, per verificare se ero diventato improvvisamente rimbambito.
Per fortuna non é ancora così.
Pedofilia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La parola pedofilia, termine derivante dal tema greco παις, παιδός (bambino) e φιλία (amicizia, affetto), indica la passione erotica nei confronti di bambini e neonati. Per individui adolescenti si parla invece di pederastia.
Significato
In ambito psichiatrico la pedofilia è catalogata nel gruppo delle parafilie, ovvero tra i disturbi del desiderio sessuale, e consiste nella preferenza erotica[1] da parte di un soggetto giunto alla maturità genitale per soggetti che invece non lo sono ancora, cioè in età pre-puberale. Il limite di riferimento di età varia da persona a persona (poiché ogni individuo raggiunge la maturità sessuale in tempi diversi), ma oscilla generalmente tra gli 11 e 13 anni.
Nell'accezione comune, al di fuori dall'ambito psichiatrico, talvolta il termine pedofilia si discosta dal significato letterale e viene utilizzato per indicare quegli individui che commettono violenza attraverso la sessualità su di un bambino, o che commettono reati legati alla pedopornografia. Questo uso del termine è inesatto e può generare confusione. La psichiatria e la criminologia distinguono i pedofili dai child molester (molestatori o persone che abusano di bambini);[2][3] le due categorie non sono sempre coincidenti. La pedofilia è una preferenza sessuale dell'individuo o un disturbo psichico. La pedofilia definisce l'orientamento della libido del soggetto, non un comportamento oggettivo. Vi sono soggetti pedofili che non attuano condotte illecite, come si hanno casi di abusi su bambini compiuti da individui non affetti da pedofilia.
Alla Gabbia dove stanno dibattendo di omosessualità e pedofilia, l'impareggiabile bergamasco dopo aver rivisto il servizio su Don Gino, il prete che ha poco chiaro di cosa sta trattando, mette in guardia tutti dall'etimologia del termine pedofilia, definendola amore verso i minori.
Dopo avermi fatto fare un salto sulla sedia sono andato a consultare il Grande Fratello, per verificare se ero diventato improvvisamente rimbambito.
Per fortuna non é ancora così.
Pedofilia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La parola pedofilia, termine derivante dal tema greco παις, παιδός (bambino) e φιλία (amicizia, affetto), indica la passione erotica nei confronti di bambini e neonati. Per individui adolescenti si parla invece di pederastia.
Significato
In ambito psichiatrico la pedofilia è catalogata nel gruppo delle parafilie, ovvero tra i disturbi del desiderio sessuale, e consiste nella preferenza erotica[1] da parte di un soggetto giunto alla maturità genitale per soggetti che invece non lo sono ancora, cioè in età pre-puberale. Il limite di riferimento di età varia da persona a persona (poiché ogni individuo raggiunge la maturità sessuale in tempi diversi), ma oscilla generalmente tra gli 11 e 13 anni.
Nell'accezione comune, al di fuori dall'ambito psichiatrico, talvolta il termine pedofilia si discosta dal significato letterale e viene utilizzato per indicare quegli individui che commettono violenza attraverso la sessualità su di un bambino, o che commettono reati legati alla pedopornografia. Questo uso del termine è inesatto e può generare confusione. La psichiatria e la criminologia distinguono i pedofili dai child molester (molestatori o persone che abusano di bambini);[2][3] le due categorie non sono sempre coincidenti. La pedofilia è una preferenza sessuale dell'individuo o un disturbo psichico. La pedofilia definisce l'orientamento della libido del soggetto, non un comportamento oggettivo. Vi sono soggetti pedofili che non attuano condotte illecite, come si hanno casi di abusi su bambini compiuti da individui non affetti da pedofilia.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
soloo42001 ha scritto:Lo scandalo vero è la mentalità becera che sta alla base di queste dichiarazioni.
E che porta a giustificare tutto.
Francesco purtroppo più di questo non può fare.
Finchè i benpensanti cattolici continuano a guardare ai loro nemici immaginari
(e i comunisti, e gli ateisti, i laicisti, la teoria gender, i totalitarismi, la lobby gay,
gli ideologismi, le femministe, lo scientismo, il darwinismo, adesso pure i ragazzini
provocano...) saranno sempre preda di chi li manovra.
Ovvero il dio denaro, per il tramite delle destre politiche, che gli dice se e
come focalizzare le loro energie.
L'unica cosa forse in più, oltre a indicare il dio denaro come nemico
cosa che sta già facendo, potrebbe essere indicare ai cattolici come
negativo il farsi manovrare e prendere da falsi nemici e false priorità.
Anche quando chi indica i falsi nemici sono gli stessi pastori...
Perchè significa mettersi al servizio di una causa che non esiste... un falso dio.
Fino alla paranoia, fino al più completo tradimento dei propri ideali cristiani
proprio in nome della difesa degli stessi.
Ma se ci prova gli sparano.
E poi oggettivamente sarebbe un cambio di mentalità epocale.
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soloo42001
Ma se ci prova gli sparano.
io me lo aspetto tutti i giorni, anche se la sua guardia del corpo é composta da 4 paracadutisti selezionati dell'esercito argentino.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Il celibato dei sacerdoti
A cura di frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati
Via alla Falconara n° 83 - 90100 Palermo - Tel. 0916730658
Non cattolico. Per sommi capi ti presenterò le molteplici e importanti obiezioni che i non cattolici, basandosi sui testi scritturistici, muovono contro l'ingiusto celibato ecclesiastico “la cui legge, legata al ministero ecclesiastico, è attualmente e fermamente in vigore" (Paolo VI "Sacerdota1is caelibatus" (2))
- E' da tener presente che tale imposizione non è uguale in tutto il mondo.
- Intanto leggendo l'A.T. troviamo nel Levitico (2,13) che il sommo sacerdote era sposato, come anche i profeti (Is. 8,3).
- E Pietro non era anch'egli sposato? (Mt 8,14).
- La moglie di S. Pietro era ancora in vita quando S. Paolo scriveva: “Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa (Pietro)”?
- I ministri della Chiesa primitiva erano sposati ( 1 Tm 3,2-5).
- Durante i primi mille anni di cristianesimo i preti e i vescovi potevano sposarsi. Infatti:
1. Tertulliano ricevette il sacerdozio quando già era sposato (3). Dedica due suoi scritti alla moglie (anno 200 circa).
2. Il Concilio di Micea (325) respinse la proposta di interdire il matrimonio dei preti (4), e il papa che regnava in quel tempo, Silvestro I (314), ordinò che ogni prete avesse la propria moglie (5).
3. S. Atanasio (296-373) scrisse: “Ci sono monaci che sono padri di famiglia. Ancora voi potete vedere dei vescovi ammogliati con figli, e dei monaci che non si danno alcun pensiero della loro posterità" (6).
4. S. Gregorio Nazianzeno (330-389), patriarca di Costantinopoli era figlio di un vescovo (7).
5. S. Patrizio (circa 372-483), l'apostolo dell'Irlanda era figlio di un diacono scozzese. Suo nonno era prete. (8).
6. Nel 911 i Veneziani elessero come loro vescovo Orciano, il quale andò ad abitare il palazzo vescovile con la moglie e i figli (9).
7. Si può anche consultare un libro di mons. Veggian, nel quale sono riportate numerose iscrizioni tombali di preti e di vescovi dei primi seicento anni del cristianesimo, da cui risulta che erano sposati e con figli, (10).
8. Fu il Papa Gregorio VII (1073-1085) che, decretò che i sacerdoti non dovessero sposarsi.
9. Paolo VI con l'Enciclica “Sacerdotalis caelibatus" (24.6.1967) ha riconfermato tale imposizione, ma la reazione che ne è seguita è talmente imponente da far prevedere qualche addolcimento di tali posizioni. E' stata molto forte la reazione dell'episcopato olandese che in un documento afferma doversi trovare una via d'uscita alla situazione attuale, tanto per il benessere personale di numerosi preti che per l'avvenire del sacerdozio nella Chiesa (11).
10. Anche in Italia la situazione è preoccupante: diminuzioni di seminaristi, circa 4000 richieste di sacerdoti per ottenere le nozze legittime, oltre 6000 preti hanno abbandonato il loro ministero senza dispensa pontificia (12).
11. Dopo tutte queste ragioni contro il celibato forzoso, mi si potrebbe obiettare: ma S. Paolo stesso non ha forse consigliato il celibato?
Si è vero, ma egli sconsigliava il matrimonio a tutti perchè credeva che la fine del mondo fosse imminente. Si trattava, quindi, di circostanze eccezionali.
- Osservando un pò la realtà storica non sembra che lo stato celibe possa servire a potenziare lo sforzo intellettuale e creativo, né che i celibi si distinguano dai coniugati per particolare spiritualità, anzi il ministro sposato è in grado di esercitare una più efficace cura d'anime.
Queste mie affermazioni trovano conferma in quanto ha scritto Mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione (1): "Sappiamo che vi sono dei preti sposati di grande valore spirituale. Ne ho visti in Oriente e ci tengo a rendere loro testimonianza. Non si tratta quindi di criticare i preti sposati".
http://apologetica.altervista.org/celib ... erdoti.htm
A cura di frà Tommaso Maria di Gesù dei frati minori rinnovati
Via alla Falconara n° 83 - 90100 Palermo - Tel. 0916730658
Non cattolico. Per sommi capi ti presenterò le molteplici e importanti obiezioni che i non cattolici, basandosi sui testi scritturistici, muovono contro l'ingiusto celibato ecclesiastico “la cui legge, legata al ministero ecclesiastico, è attualmente e fermamente in vigore" (Paolo VI "Sacerdota1is caelibatus" (2))
- E' da tener presente che tale imposizione non è uguale in tutto il mondo.
- Intanto leggendo l'A.T. troviamo nel Levitico (2,13) che il sommo sacerdote era sposato, come anche i profeti (Is. 8,3).
- E Pietro non era anch'egli sposato? (Mt 8,14).
- La moglie di S. Pietro era ancora in vita quando S. Paolo scriveva: “Non abbiamo noi il diritto di condurre attorno con noi una moglie sorella in fede, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa (Pietro)”?
- I ministri della Chiesa primitiva erano sposati ( 1 Tm 3,2-5).
- Durante i primi mille anni di cristianesimo i preti e i vescovi potevano sposarsi. Infatti:
1. Tertulliano ricevette il sacerdozio quando già era sposato (3). Dedica due suoi scritti alla moglie (anno 200 circa).
2. Il Concilio di Micea (325) respinse la proposta di interdire il matrimonio dei preti (4), e il papa che regnava in quel tempo, Silvestro I (314), ordinò che ogni prete avesse la propria moglie (5).
3. S. Atanasio (296-373) scrisse: “Ci sono monaci che sono padri di famiglia. Ancora voi potete vedere dei vescovi ammogliati con figli, e dei monaci che non si danno alcun pensiero della loro posterità" (6).
4. S. Gregorio Nazianzeno (330-389), patriarca di Costantinopoli era figlio di un vescovo (7).
5. S. Patrizio (circa 372-483), l'apostolo dell'Irlanda era figlio di un diacono scozzese. Suo nonno era prete. (8).
6. Nel 911 i Veneziani elessero come loro vescovo Orciano, il quale andò ad abitare il palazzo vescovile con la moglie e i figli (9).
7. Si può anche consultare un libro di mons. Veggian, nel quale sono riportate numerose iscrizioni tombali di preti e di vescovi dei primi seicento anni del cristianesimo, da cui risulta che erano sposati e con figli, (10).
8. Fu il Papa Gregorio VII (1073-1085) che, decretò che i sacerdoti non dovessero sposarsi.
9. Paolo VI con l'Enciclica “Sacerdotalis caelibatus" (24.6.1967) ha riconfermato tale imposizione, ma la reazione che ne è seguita è talmente imponente da far prevedere qualche addolcimento di tali posizioni. E' stata molto forte la reazione dell'episcopato olandese che in un documento afferma doversi trovare una via d'uscita alla situazione attuale, tanto per il benessere personale di numerosi preti che per l'avvenire del sacerdozio nella Chiesa (11).
10. Anche in Italia la situazione è preoccupante: diminuzioni di seminaristi, circa 4000 richieste di sacerdoti per ottenere le nozze legittime, oltre 6000 preti hanno abbandonato il loro ministero senza dispensa pontificia (12).
11. Dopo tutte queste ragioni contro il celibato forzoso, mi si potrebbe obiettare: ma S. Paolo stesso non ha forse consigliato il celibato?
Si è vero, ma egli sconsigliava il matrimonio a tutti perchè credeva che la fine del mondo fosse imminente. Si trattava, quindi, di circostanze eccezionali.
- Osservando un pò la realtà storica non sembra che lo stato celibe possa servire a potenziare lo sforzo intellettuale e creativo, né che i celibi si distinguano dai coniugati per particolare spiritualità, anzi il ministro sposato è in grado di esercitare una più efficace cura d'anime.
Queste mie affermazioni trovano conferma in quanto ha scritto Mons. Ancel, vescovo ausiliare di Lione (1): "Sappiamo che vi sono dei preti sposati di grande valore spirituale. Ne ho visti in Oriente e ci tengo a rendere loro testimonianza. Non si tratta quindi di criticare i preti sposati".
http://apologetica.altervista.org/celib ... erdoti.htm
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Da Micromega 6/2015
FRANCESCO
e l’Altrachiesa
L’ANTIMAFIA DI FRANCESCO
GIAN CARLO CASELLI
Il questionario propone di riflettere su questioni rilevanti poste dal papato di Francesco. Non ho sufficienti competenze per rispondere a tali questioni. Mi preme invece sottolineare alcuni interventi del papa che costituiscono altrettante significative novità nell’atteggiamento della Chiesa rispetto a temi a cui ho dedicato gran parte della mia vita professionale. Rilevanti componenti della Chiesa (ma anche della società civile) per lungo tempo hanno sottovalutato la realtà della mafia.
Hanno potuto conviverci, senza una reale opposizione. Di qui silenzi, ritardi paure e collusioni, con conseguente indebolimento della parola profetica della Chiesa, severa nei confronti dell’ideologia totalitaria comunista ma tollerante verso la <<sacralità atea>> della mafia..................
FRANCESCO
e l’Altrachiesa
L’ANTIMAFIA DI FRANCESCO
GIAN CARLO CASELLI
Il questionario propone di riflettere su questioni rilevanti poste dal papato di Francesco. Non ho sufficienti competenze per rispondere a tali questioni. Mi preme invece sottolineare alcuni interventi del papa che costituiscono altrettante significative novità nell’atteggiamento della Chiesa rispetto a temi a cui ho dedicato gran parte della mia vita professionale. Rilevanti componenti della Chiesa (ma anche della società civile) per lungo tempo hanno sottovalutato la realtà della mafia.
Hanno potuto conviverci, senza una reale opposizione. Di qui silenzi, ritardi paure e collusioni, con conseguente indebolimento della parola profetica della Chiesa, severa nei confronti dell’ideologia totalitaria comunista ma tollerante verso la <<sacralità atea>> della mafia..................
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Sposto qui, caro erding, il post del: Inviato: 10/10/2015, 5:57, postato in:
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 906#p41906
perchè mi interessa approfondire.
Caro camillobenso, qui sta la grandezza rivoluzionaria di papa Franceso quando intervistato da Scalfari dice:
“E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio."
a dirlo prima di lui era stato il card. Martini, nelle “Conversazioni notturne a Gerusalmme”.
http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 906#p41906
perchè mi interessa approfondire.
Quello che scrivi è vero ma forse qualcosa si muove con Francesco...erding ha scritto:camillobenso scrive:“...il trascorrere della vita su questo pianeta implica raggruppare la grande famiglia umana in tribù che si associano nelle varie credenze sopra descritte decisamente diverse tra di loro. Oggi addirittura in aperto conflitto come nei secoli scorsi.”
Caro camillobenso, qui sta la grandezza rivoluzionaria di papa Franceso quando intervistato da Scalfari dice:
“E io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio."
a dirlo prima di lui era stato il card. Martini, nelle “Conversazioni notturne a Gerusalmme”.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
Corriere 15.10.15
Quel dossier sui carmelitani scalzi
Prostituzione gay, droga e omertà
di Fabrizio Peronaci
ROMA È una storia che nel quartiere Pinciano — ceto medio alto, il più bel parco della capitale sotto casa e le magnificenze del Bernini e del Tiziano nella vicina Galleria Borghese — molti sentivano sussurrare da tempo. L’amore sacro e l’amor profano. L’ultimo scandalo sessuale — che ha provocato sussulti ai vertici della Chiesa e le pubbliche «scuse» di papa Francesco — è ambientato qui, in una fetta della Roma bene.
Tonache inquiete, travolte dal demone della carne. Da un lato la parrocchia intitolata a Teresa d’Avila, la suora spagnola vissuta nel XVI secolo famosa per il suo misticismo, e dall’altro l’attigua Curia generalizia, quartier generale dei carmelitani scalzi e, si è scoperto, sentina di molti vizi.
L’ingresso è su corso d’Italia, civico 38: il pesante portone, vigilato da telecamere e da uno scorbutico portiere, poteva far presagire qualcosa, ma non tutto quel che è emerso. La situazione, man mano che nell’ultima settimana (grazie a un’inchiesta del Corriere ) venivano alla luce i dettagli, si è rivelata senza precedenti: rapporti mercenari, tra i cespugli e nei sottopassi stradali, tra un alto prelato e alcuni prostituti contattati a Villa Borghese; sospetti su un paio di altri religiosi; reticenze e complicità dei superiori; uscite laterali del convento lasciate incustodite per consentire le «scappatelle» notturne; intimidazioni verso i padri che volevano denunciare l’andazzo; e, ancora, presunte «molestie» verso un giovane sacerdote molto apprezzato dai ragazzi dell’oratorio, il quale, 4 anni fa, restò talmente traumatizzato dal lasciare dall’oggi al domani l’abito talare, e ora lavora in una gelateria.
Uno scenario da novella medievale. L’ordine teresiano, che proprio quest’anno festeggia il cinquecentenario della nascita della fondatrice, senza l’intervento di Bergoglio avrebbe rischiato di sprofondare di altri due secoli indietro, ai tempi del Boccaccio. Non è un caso che il Pontefice abbia preso le distanze in modo irrituale, per certi versi clamoroso: sulla base del dossier in suo possesso, evidentemente, deve aver concluso che non fossero necessarie ulteriori «indagini» interne. Lo scandalo, d’altronde, era conosciuto nelle alte sfere da settimane, in seguito a una mossa che si è rivelata un boomerang .
Il superiore generale dell’ordine, infatti, prima dell’estate aveva disposto il trasferimento in altre sedi sia di quattro padri della Curia (tra cui il «reo») sia dei tre della parrocchia, ponendo in tal modo tutti, innocenti e colpevoli, sullo stesso piano. È stata la classica goccia, per i parrocchiani già turbati.
Un gruppo di loro, così, prima ha chiesto conto del «repulisti» ai vertici dei carmelitani e poi, non avendo avuta risposta, ha inviato una lettera-denuncia (con 110 firme) al cardinale vicario, Agostino Vallini, e per conoscenza al Papa e al Segretario di Stato. Non basta. Nel frattempo, grazie all’azione del viceparroco, schierato al fianco dei fedeli «moralizzatori», è stato realizzato un dossier nel quale, oltre alla cronistoria dei fatti, sono state elencate prove di una certa concretezza, come le dichiarazioni di un paio di prostituti in rapporto per anni con il prelato. Uno dei due, domenica scorsa, era a messa a Santa Teresa. «Mi contattò nel 2004 a Villa Borghese, chiedendomi una sigaretta. Non sapevo fosse un prete, lo scoprii a un funerale. Prima di fare sesso assumeva sostanze eccitanti come il popper», ha raccontato all’uscita. Anche questa confessione si trova nel dossier consegnato a Vallini. Troppo. Occorreva rassicurare i fedeli e affermare con forza verità e trasparenza. Due segnali che ieri, con le parole amare e solenni del Papa, sono arrivati.
Quel dossier sui carmelitani scalzi
Prostituzione gay, droga e omertà
di Fabrizio Peronaci
ROMA È una storia che nel quartiere Pinciano — ceto medio alto, il più bel parco della capitale sotto casa e le magnificenze del Bernini e del Tiziano nella vicina Galleria Borghese — molti sentivano sussurrare da tempo. L’amore sacro e l’amor profano. L’ultimo scandalo sessuale — che ha provocato sussulti ai vertici della Chiesa e le pubbliche «scuse» di papa Francesco — è ambientato qui, in una fetta della Roma bene.
Tonache inquiete, travolte dal demone della carne. Da un lato la parrocchia intitolata a Teresa d’Avila, la suora spagnola vissuta nel XVI secolo famosa per il suo misticismo, e dall’altro l’attigua Curia generalizia, quartier generale dei carmelitani scalzi e, si è scoperto, sentina di molti vizi.
L’ingresso è su corso d’Italia, civico 38: il pesante portone, vigilato da telecamere e da uno scorbutico portiere, poteva far presagire qualcosa, ma non tutto quel che è emerso. La situazione, man mano che nell’ultima settimana (grazie a un’inchiesta del Corriere ) venivano alla luce i dettagli, si è rivelata senza precedenti: rapporti mercenari, tra i cespugli e nei sottopassi stradali, tra un alto prelato e alcuni prostituti contattati a Villa Borghese; sospetti su un paio di altri religiosi; reticenze e complicità dei superiori; uscite laterali del convento lasciate incustodite per consentire le «scappatelle» notturne; intimidazioni verso i padri che volevano denunciare l’andazzo; e, ancora, presunte «molestie» verso un giovane sacerdote molto apprezzato dai ragazzi dell’oratorio, il quale, 4 anni fa, restò talmente traumatizzato dal lasciare dall’oggi al domani l’abito talare, e ora lavora in una gelateria.
Uno scenario da novella medievale. L’ordine teresiano, che proprio quest’anno festeggia il cinquecentenario della nascita della fondatrice, senza l’intervento di Bergoglio avrebbe rischiato di sprofondare di altri due secoli indietro, ai tempi del Boccaccio. Non è un caso che il Pontefice abbia preso le distanze in modo irrituale, per certi versi clamoroso: sulla base del dossier in suo possesso, evidentemente, deve aver concluso che non fossero necessarie ulteriori «indagini» interne. Lo scandalo, d’altronde, era conosciuto nelle alte sfere da settimane, in seguito a una mossa che si è rivelata un boomerang .
Il superiore generale dell’ordine, infatti, prima dell’estate aveva disposto il trasferimento in altre sedi sia di quattro padri della Curia (tra cui il «reo») sia dei tre della parrocchia, ponendo in tal modo tutti, innocenti e colpevoli, sullo stesso piano. È stata la classica goccia, per i parrocchiani già turbati.
Un gruppo di loro, così, prima ha chiesto conto del «repulisti» ai vertici dei carmelitani e poi, non avendo avuta risposta, ha inviato una lettera-denuncia (con 110 firme) al cardinale vicario, Agostino Vallini, e per conoscenza al Papa e al Segretario di Stato. Non basta. Nel frattempo, grazie all’azione del viceparroco, schierato al fianco dei fedeli «moralizzatori», è stato realizzato un dossier nel quale, oltre alla cronistoria dei fatti, sono state elencate prove di una certa concretezza, come le dichiarazioni di un paio di prostituti in rapporto per anni con il prelato. Uno dei due, domenica scorsa, era a messa a Santa Teresa. «Mi contattò nel 2004 a Villa Borghese, chiedendomi una sigaretta. Non sapevo fosse un prete, lo scoprii a un funerale. Prima di fare sesso assumeva sostanze eccitanti come il popper», ha raccontato all’uscita. Anche questa confessione si trova nel dossier consegnato a Vallini. Troppo. Occorreva rassicurare i fedeli e affermare con forza verità e trasparenza. Due segnali che ieri, con le parole amare e solenni del Papa, sono arrivati.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
lo scandalo che preoccupa il Papa
Carmelitani: il vicario Borrell «Chiediamo perdono ma serve verità»
Sul caso segnalato nella lettera-denuncia contro un prelato della Curia generalizia coinvolto in un giro di incontri gay scoperto dal Corriere
di Redazione Roma Online
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 6622.shtml
Carmelitani: il vicario Borrell «Chiediamo perdono ma serve verità»
Sul caso segnalato nella lettera-denuncia contro un prelato della Curia generalizia coinvolto in un giro di incontri gay scoperto dal Corriere
di Redazione Roma Online
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 6622.shtml
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
La Chiesa e il mondo al bivio: o si cambia o si muore. Intervista a Leonardo Boff
Claudia Fanti 17/10/2015
Una vita intera al servizio della causa della liberazione: quella dei poveri e quella del “grande povero” che è il nostro pianeta devastato e ferito. È il loro duplice -– e congiunto – grido, infatti, a occupare il centro della riflessione di Leonardo Boff, tra i padri fondatori della Teologia della Liberazione e massimo esponente del nuovo paradigma ecoteologico, di quel percorso, cioè, che si sviluppa nell'ascolto del nuovo racconto sacro trasmesso dalla scienza, con la sua rivelazione della natura profondamente olistica e relazionale del cosmo (un cammino di ricerca di cui i libri Grido della Terra, grido dei poveri e Il Tao della Liberazione rappresentano indiscutibilmente le espressioni più alte, ma che è possibile seguire anche in molti suoi interventi settimanali, disponibili ogni venerdì nel portale Servicios Koinonia: http://www.servicioskoinonia.org/boff/).
Una riflessione, quella di Boff, che, nell'attento ascolto della profezia contenuta nella stessa voce dell’universo, prende enormemente sul serio le tante minacce di distruzione lanciate contro Gaia, il pianeta vivente che è la nostra casa comune, ma nello stesso tempo è attraversata da un potente soffio di speranza: la speranza che l’evoluzione sia plasmata in modo tale da convergere verso livelli di complessità e di autocoscienza sempre maggiori e che dunque il caos attuale sia generatore di nuove possibilità, l’annuncio di un livello più elevato nella storia dell’essere umano e del pianeta, di quell’unica entità indivisibile Terra-umanità che gli astronauti per primi hanno colto, con emozione e reverenza, guardando il nostro pianeta azzurro e bianco dallo spazio esterno. Cosicché lo scenario attuale, pur così drammatico, non sarebbe una tragedia, ma una crisi, una crisi che mette alla prova, purifica e spinge al cambiamento, annunciando un nuovo inizio per l’avventura umana.
Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Leonardo Boff, in visita in Italia per un ciclo di incontri, a partire dalle prospettive della Chiesa sotto il pontificato di Francesco, su cui il teologo brasiliano, tra i più duramente perseguitati dal Vaticano, ha scommesso fin dalla sua nomina (v. Adista Documenti, n. 18/13), considerandolo l'espressione di un nuovo progetto di mondo e di un nuovo progetto di Chiesa. Di seguito l'intervista.
Una buona novella per i nuovi tempi
Intervista a Leonardo Boff
Qual è la tua lettura dell'attuale fase della Chiesa?
Penso che papa Francesco rappresenti un progetto di mondo e un progetto di Chiesa. Rappresenta un progetto di mondo che è antitetico rispetto alla parola d'ordine imperiale “un solo mondo, un solo impero”, a cui l'enciclica Laudato si' risponde con la sua proposta di “un solo mondo e un solo progetto collettivo”, esprimendo la possibilità di dialogo, di incontro tra i popoli, di rinuncia all'uso della violenza come strumento per la risoluzione dei conflitti (perché non basta essere a favore della pace, bisogna essere anche contro la guerra). E rappresenta un progetto di Chiesa che è riconducibile a Francesco d'Assisi, caratterizzato dalla rivoluzione della tenerezza, dalla misericordia, dalla vicinanza agli esseri umani. Un progetto le cui opzioni di base non sono date, fondamentalmente, dalla dottrina, ma dall'incontro personale, sia con Cristo che con le persone. Si tratta di una visione di Chiesa assolutamente diversa da quella di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i quali concepivano la Chiesa come una fortezza assediata dai nemici, contro i quali era necessario difendersi: è la visione di una Chiesa come casa aperta, ospedale da campo, impegnata ad accogliere tutti, indipendentemente dalle loro connotazioni morali, con misericordia e con comprensione, riscattando con ciò la tradizione di Gesù che è anteriore ai vangeli e che è fatta di amore incondizionato. Penso che questo rappresenti una novità nella Chiesa, una rottura. Roma non ama questa parola. Ma è una realtà: papa Francesco ha de-paganizzato la figura del papa, considerato finora un faraone (è significativo che abbia rinunciato alla mozzetta, il simbolo del potere assoluto dell'imperatore). E ha affermato di voler guidare la Chiesa nell'amore e non nel potere. Con il potere, l'amore svanisce. Quando c'è l'amore, c'è vicinanza, comprensione, misericordia. Questa, per me, è la grande rottura operata da questo papa.
E intorno al papa cosa si sta muovendo?
Papa Francesco si trova dinanzi a due tipi di opposizione. Il primo è quello della vecchia cristianità di cultura europea, con tutti i simboli del potere sacro. Il papa si è spogliato dei simboli del potere, se ne è andato ad abitare a S. Marta, si mette in fila per mangiare (così, come ha detto scherzando a un'amica comune, Clelia Luro, è più difficile avvelenarlo!). Il secondo tipo è dato dall'opposizione laica di chi, specialmente negli Stati Uniti, non vuole saperne niente di dialogo o di ecologia, sposando la prospettiva della dominazione occidentale, quella dell'attuale globalizzazione, che in realtà è l'occidentalizzazione del mondo secondo lo stile di vita nordamericano, una sorta di hamburgerizzazione di tutte le culture.
Il papa inaugura un altro modello di cristiano. Io credo che la sua visione sia centrata sulla consapevolezza che Gesù non è venuto per creare una nuova religione, ma è venuto per insegnare a vivere. A vivere nell'amore e nella misericordia. Il nucleo del messaggio di Gesù, la sua intenzione originaria, è l'unione del “Padre nostro” e del “pane nostro”. Il Padre nostro, Abbà, è un volo verso l'alto, l'insopprimibile fame di trascendenza, e il pane nostro esprime la fame reale di milioni di persone, quella che occorre saziare perché abbia senso parlare di Padre nostro e di Regno di Dio. È a questo messaggio che si oppongono quanti vogliono un cristianesimo dottrinario, dogmatico, sistematizzato, tutto disciplina e ordine e potere.
La rottura di cui parli si esprime soprattutto su un piano simbolico. Sul terreno della dottrina, però, non si vedono né si prevedono molte novità...
Io penso che anche su questo terreno il papa abbia operato una rottura. Prima, ad esempio, i temi legati alla morale familiare erano tabù: nessuno poteva parlarne, né i vescovi, né i teologi. E uno dei criteri per le nomine episcopali era dato proprio dall'assenza di una qualsiasi critica relativa al celibato o alla dottrina morale. La novità è che Francesco ha aperto il dibattito su questi temi: non era mai successo che un papa consultasse le basi. Inoltre, sta dando molto valore alla collegialità. Nella sua enciclica, per esempio, egli cita diversi episcopati, anche privi di una grande tradizione teologica, come quelli del Paraguay o della Patagonia. Ed è un fatto estremamente singolare e rivoluzionario che egli abbia invitato a Roma i rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mohttp://www.adista.it/articolo/55571?utm_campai ... networkndo – riunendosi poi nuovamente con loro a Santa Cruz, in Bolivia – per analizzare le cause delle attuali sofferenze: non ha chiamato sociologi, politologi, scienziati, ma quanti sentono il dolore sulla propria pelle. E ha evidenziato due aspetti essenziali: la centralità della terra, del lavoro e della casa e il fatto che non bisogna aspettare che i cambiamenti vengano dall'alto, perché, ha spiegato il papa, la salvezza viene dal basso: sono i poveri organizzati i veri profeti del cambiamento. Tutto ciò era inimmaginabile a Roma prima di papa Francesco.
Non c'è il rischio che tutto questo finisca con il prossimo pontificato?
Il rischio esiste. Ma la mia tesi è che, dal momento che in Europa vive solo il 25% dei cattolici e che la parte restante si trova nel Terzo Mondo, questo papa inaugurerà una genealogia di papi del Sud del mondo, dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, provenienti, cioè, da altri ambienti culturali ed ecclesiali, più liberi dal peso delle tradizioni e più legati alle esperienze popolari di lotta per i diritti umani, per la terra, per la dignità. Io penso che si sia chiuso il ciclo della Chiesa europea e occidentale e che sia cominciato quello di una Chiesa planetaria. E ora la Chiesa è chiamata a de-occidentalizzarsi, a de-patriarcalizzarsi, a decentrarsi. Poiché il mondo è uno solo, io sostengo che i ministeri dovrebbero essere collocati in diverse regioni del pianeta: quello per i diritti umani in America Latina, quello per l'inculturazione in Africa, quello per il dialogo interreligioso in Asia. E che qui debba restare solo un piccolo gruppo incaricato dell'amministrazione generale, lasciando che tutto si svolga attraverso skype, per teleconferenza. Perché la Chiesa deve adeguarsi alla nuova fase dell'umanità. Questa esigenza di decentramento è uno dei due punti che ho evidenziato in una lettera che ho scritto al papa. L'altro punto è la richiesta di convocazione di un'assemblea delle religioni con l'obiettivo di comprendere quale debba essere il contributo delle diverse tradizioni spirituali per la salvezza della vita sul pianeta e della civiltà umana. Ma, per prima cosa, occorre realizzare una riforma interna della Chiesa.
Su questo terreno, tuttavia, non si registrano molti passi avanti...
Penso che il papa non abbia voluto adottare un approccio frontale. A questo proposito, credo che sia stato un errore scegliere per il Sinodo un tema controverso come quello della morale familiare. Perché è un tema che divide. Sono cause universali come l'ecologia, la pace, la lotta alla fame e alla devastazione della biodiversità che possono unire la Chiesa. Questo tema, invece, sembra fatto apposta per mettere il papa alle corde. Quello che Francesco sta facendo è conservare la dottrina tradizionale, ma aprendo il dibattito e lanciando segnali rispetto alla possibilità che questa dottrina cambi. E io, nella lettera che gli ho scritto, gli chiedo di usare a favore dei diritti e della giustizia quella «potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa» che gli riconoshttp://www.adista.it/articolo/55571?utm_campai ... lnetworkce il Codice di Diritto Canonico.
Ma come può conciliarsi questo con una dimensione di collegialità?
L'obiettivo è il cambiamento della Chiesa. Non bastano le riforme, ci vuole una vera rivoluzione. La collegialità è un ottimo strumento per governare la Chiesa, ma non per cambiarla. La funzione del papa è quella di essere il grande protagonista del cambiamento: dispone degli strumenti necessari, se vuole può usarli. E sarà forse obbligato a farlo, per far capire ai cardinali ribelli che lo stanno sfidando che la Chiesa sarà diversa, perché è chiamata a fare i conti con la nuova fase della Terra e dell'umanità. Il tempo delle nazioni è giunto al termine. Inizia il tempo dell'umanità “planetizzata”, della casa comune. E per questo tempo la Chiesa non è preparata. Perché è eccessivamente occidentale, eccessivamente clericale, eccessivamente dottrinaria, eccessivamente centrata su un paradigma ellenistico. Quello che serve è il modello di una Chiesa veramente globalizzata, un'immensa rete di comunità che si incarnano in molte culture e assumono molti volti e in cui il ruolo del papa è quello del pellegrino che anima le Chiese alla fede e alla speranza, strumento di comunione e non di governo, il quale dovrà essere invece affidato alle Conferenze episcopali nazionali e continentali.
Cosa è possibile attendersi dal Sinodo sulla famiglia?
Penso che il Sinodo sarà un fallimento e aumenterà la polarizzazione tra le diverse posizioni. Probabilmente il papa lascerà aperta la discussione, perché, se la chiudesse, dividerebbe la Chiesa. Penso che sia necessario includere le persone che sono più toccate da questi temi, cioè i laici, uomini e donne. Perché il Sinodo è fatto appena da una frazione clericale e celibataria della Chiesa: finché non saranno coinvolte le persone direttamente interessate, non potrà esserci convergenza. E una delle riforme che il papa ha annunciato, ma che fino ad ora non ha realizzato, è proprio l'inclusione delle donne nei centri decisionali. Non si tratta di incrementarne la partecipazione: questa c'è sempre. Si tratta del fatto che siano loro a decidere. Le donne nella Chiesa non contano. E ciò malgrado vi siano a loro favore tre aspetti che sono più forti degli argomenti episcopali: non hanno mai tradito Gesù (gli uomini lo hanno fatto); sono state le prime testimoni dell'evento più grande della fede, che è la resurrezione; e senza una donna non ci sarebbe stata l'incarnazione. E se la Chiesa non ha mai preso sul serio questa centralità, le donne devono lottare per ottenerla e noi teologi dobbiamo dare il nostro aiuto.
Una delle più avanzate frontiere teologiche è quella impegnata nel compito di riformulare la fede cristiana in un linguaggio che sia più accessibile agli uomini e alle donne contemporanei e più compatibile con tutte le recenti acquisizioni scientifiche. Non credi che tra ciò che accettiamo come verità scientifica e ciò che afferma la dottrina tradizionale della Chiesa si sia aperto un fossato che rischia di essere incolmabile?
Io penso che sia necessario tradurre la fede in un nuovo paradigma, perché la Bibbia e l'intera teologia sono state elaborate all'interno di un paradigma occidentale che oggi non è più adeguato alle esigenze planetarie. E il paradigma che oggi sta guadagnando più terreno è quello della nuova cosmologia. Ho tentato di portare avanti questo compito nel mio libro Cristianismo. O mínimo do mínimo (apparso in italiano con il titolo Al cuore del Cristianesimo, Emi, 2013; ndr), pensando il cristianesimo all'interno del processo evolutivo e riformulando il messaggio cristiano in un linguaggio che dovrebbe divenire coscienza collettiva, il linguaggio quotidiano del nuovo paradigma. È questo il grande compito che la Chiesa intera è chiamata a svolgere, coscientemente e collegialmente. Un grande lavoro collettivo di traduzione della fede nel nuovo paradigma che viene dalla fisica quantistica, dalle scienze della vita e della Terra. È la sfida che ho cercato di cogliere scrivendo insieme al cosmologo Mark Hathaway il libro The Tao of Liberation: Exploring the Ecology of Transformation (tradotto in italiano con il titolo Il Tao della Liberazione, Fazi Editore, 2014; ndr): un libro che ha richiesto 13 anni di ricerca e di riflessione e che è il tentativo di utilizzare questa base scientifica per ripensare il concetto di Dio, i concetti di Spirito, di Grazia, di Resurrezione.
Qual è il principale messaggio di speranza che ci trasmette la nuova cosmologia?
Che tutto ha a che vedere con tutto, in tutti i momenti e in tutte le circostanze: tutto è in relazione, come ha riconosciuto lo stesso papa nell'enciclica. La materia non esiste, è solo energia altamente condensata, e tutti abbiamo lo stesso cammino e lo stesso destino. E malgrado tutte le crisi, tutte le traversie, tutte le devastazioni, l'universo va sempre auto-organizzandosi e autocreandosi in direzione di una sempre maggiore complessità. Teilhard de Chardin è stato profetico: esistono tante contraddizioni, si passa attraverso tanta devastazione e a volte sembra che il male prevalga, eppure la vita non è mai stata distrutta. Come ha evidenziato Edward Wilson, la vita non è né materiale, né spirituale: la vita è eterna ed è immersa nel processo dell'evoluzione. Ed è quello che afferma il cristianesimo: che tutto è relazionato e che esiste un fine buono per l'umanità e per l'universo. In altre parole, non andremo incontro alla morte termica, ma a forme sempre più complesse e più alte.
Eppure la teoria della morte termica dell'universo, lo scenario in cui l'espansione accelerata provocherebbe un universo troppo freddo per sostenere la vita, è sostenuta da molti fisici e cosmologi...
Io penso che questa tesi sia stata superata da Ilya Prigogine, il quale ha vinto il Premio Nobel per la chimica per le sue scoperte sulle strutture dissipative, mostrando come l'evoluzione si realizzi nello sforzo di creare ordine nel disordine e a partire dal disordine, cioè come il caos si riveli altamente generativo, trasformandosi in un fattore di costruzione di forme sempre più alte di complessità e di ordine. In contraddizione con la visione lineare propria della fisica classica, ci si muove qui sul terreno della fisica quantistica, con il suo procedere per salti, per accumulazioni di energia. Oggi, pertanto, disponiamo delle basi scientifiche per elaborare una visione che è più adeguata al messaggio di speranza del cristianesimo, quella di un universo come corpo della divinità, un universo che non terminerà con una grande catastrofe, ma con un nuovo cielo e una nuova terra, un salto immenso nella linea di Theilard de Chardin, un'implosione ed esplosione all'interno di Dio. Non un'altra terra, ma questa stessa terra trasfigurata. È come la morte umana, che non è la fine della vita, bensì un luogo alchemico in cui la vita si trasforma e passa a un altro livello, fuori dallo spazio-tempo, ma restando vita.
Al tentativo di articolare Teologia della Liberazione ed ecologia hai dedicato trent’anni di lavoro: un lavoro condotto per tanto, troppo tempo in pressoché totale solitudine, davvero vox clamans in deserto, finché la gravità della crisi ambientale non ha costretto anche la teologia latinoamericana ad assumere la questione tra le proprie priorità. Com'è ti appare ora la situazione?
Negli anni '80, ho preso consapevolezza della questione ecologica nei seguenti termini: il marchio registrato della TdL è l'opzione per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione e della giustizia sociale. E chi è, oggi, il grande povero? È la Terra! Pertanto, all'interno dell'opzione per i poveri, occorre collocare la Terra, devastata e aggredita. Ma bisogna pensare la Terra non secondo il vecchio paradigma, come una cosa inerte e inanimata, bensì all'interno della nuova cosmologia, come un superorganismo vivo, come Gaia, secondo la teoria di James Lovelock, come la Madre Terra, secondo quanto hanno riconosciuto le stesse Nazioni Unite, che hanno proclamato il 22 aprile come Giornata internazionale della Madre Terra. Mi sono allora dedicato, per alcuni anni, allo studio della cosmologia e ne è nato il libro Ecología: grito de la Tierra, grito de los pobres (tradotto in italiano con il titolo Grido della terra grido dei poveri. Per una ecologia cosmica, Cittadella, 1996). Un'opera che all'epoca non ha praticamente suscitato alcuna reazione tra i teologi, anche se, più tardi, alcuni l'hanno considerata ancor più importante del libro Teologia della liberazione di Gustavo Gutierrez, l'opera che ha segnato l'inizio della TdL, ma che è ancora legata al vecchio paradigma. Io penso che la grande maggioranza dei teologi della liberazione si muovi ancora all'interno del vecchio paradigma. Le difficoltà, è vero, sono molte, perché bisogna studiare le scienze della vita, la fisica quantistica, la nuova antropologia, ma in questo modo si può fare una teologia molto migliore dell'altra, e comprendere assai più in profondità il messaggio cristiano. Io penso che questo sia un compito che va anche oltre la nostra generazione: è il cammino che il cristianesimo è chiamato a percorrere per essere una buona novella per i nuovi tempi. Vino nuovo, otri nuove. Musica nuova, orecchie nuove.
Come ti spieghi che in Brasile molti movimenti popolari, pur facendo propria la lotta contro il riscaldamento globale, difendano progetti ecologicamente devastanti come il pre-sal, l'enorme giacimento di petrolio e gas al largo delle coste brasiliane?
È una contraddizione legata ai Paesi in via di sviluppo. I Paesi del Nord del mondo, infatti, potrebbero mirare alla prosperità rinunciando alla crescita e approfondendo maggiormente dimensioni come quella della spiritualità, dell'arte, ecc. I nostri Paesi, invece, hanno ancora bisogno di crescita, perché il livello di vita dei nostri popoli è molto basso: manca l'acqua, la casa, l'elettricità; occorre investire nella salute e nell'educazione. Così, in Brasile, c'è molta attenzione per questi temi, mentre si trascura la problematica ecologica. Esistono solo piccoli gruppi di ecologisti. Eppure il Brasile potrebbe prescindere totalmente dal petrolio sfruttando l'immensa energia prodotta dal sole. E invece si punta a un progetto come il pre-sal che avrà un impatto devastante sull'oceano, in termini di contaminazione delle acque e di distruzione della biodiversità. Ho discusso varie volte con Lula di tutto questo, ma a suo giudizio è sufficiente che piova due giorni di seguito perché tutto rifiorisca nuovamente. In realtà, però, è il sistema globale che è in crisi e che rischia il collasso. Forse la nostra coscienza si risveglierà quando sentiremo sulla nostra pelle le conseguenze della catastrofe. Come diceva Hegel, l'essere umano non apprende niente dalla storia, ma impara tutto dalla sofferenza. Anche se preferisco Sant'Agostino, il quale riteneva che fossero due le scuole: la sofferenza, che ci offre severe lezioni, e l'amore, che produce gioia e trasformazione. Io penso che trarremo insegnamento dall'amore e dalla sofferenza. Di fronte a noi ci sono solo due strade: o cambiamo o moriremo. Quella che stiamo attraversando è una grande crisi, ma la crisi purifica, obbliga a cambiare strada, prepara forse il terreno per l'avvento di una nuova civiltà centrata sulla vita umana e sulla vita della Terra, una biociviltà, la Terra della buona speranza.
Ma sarà necessario passare per quella che è stata già definita come la sesta estinzione di massa...
Siamo nel pieno dell'Antropocene, l'era in cui l'essere umano – e non un meteorite, né un qualche cataclisma naturale di dimensioni colossali - è diventato la più grande minaccia contro la vita. Edward Wilson ha calcolato che stiamo perdendo ogni anno da 20mila a 100mila specie viventi. È davvero la sesta estinzione di massa e potrebbe anche colpire una buona porzione dell'umanità, soprattutto quella povera e sofferente. In questo caso, spetterà ai sopravvissuti riorganizzare il pianeta su nuove basi. Mikhail Gorbacev, il coordinatore delle attività della Carta della Terra, paragona la situazione della Terra e dell’Umanità a quella di un aereo sulla pista di decollo: arriva un momento critico in cui l’aereo deve decollare, se non vuole schiantarsi in fondo alla pista. E, a suo giudizio, abbiamo già oltrepassato il punto critico e non ci siamo alzati in volo. Ma gli esseri umani sono sorprendenti e capaci di cambiamento. L'evoluzione non è lineare, procede per salti, ed è possibile che l'umanità acquisti consapevolezza e operi il salto necessario, abbracciando una nuova visione che abbia al centro l'intera comunità di vita, anche le piante e gli animali che sono nostri compagni nella casa comune. Dopotutto, l'essere umano ha in sé energie divine, di quel Dio che è sovrano e amante della vita e che non permetterà che la vita scompaia.
Come interpreti l'attuale situazione del Brasile? Ritieni che il governo di Dilma avrà la forza di superare la crisi?
È una situazione molto critica. Strappando alla povertà 40 milioni di brasiliani, il Pt ha commesso l'errore di trasformarli appena in 40 milioni di consumatori, trascurando quel lavoro di coscientizzazione necessario per restituire loro il senso di cittadinanza. Il consumatore, si sa, mira a consumare sempre di più. E se non è possibile si genera un grande malessere collettivo. E questo è un errore che viene sfruttato dall'opposizione. La nostra disgrazia è che non esiste un'alternativa. Nessuno tra le fila dell'opposizione possiede autorità morale e un progetto diverso dal neoliberismo e dall'allineamento agli Stati Uniti. E purtroppo il governo Dilma, venendo meno alle promesse della campagna elettorale, sta scaricando sugli operai e sui pensionati i costi della crisi, risparmiando le grandi imprese e le banche. Occorre tener presente che il Brasile, in virtù dei suoi immensi spazi geografici e delle sue grandi ricchezze naturali, è uno dei luoghi del pianeta che fa più gola al capitale. Siamo in un vicolo cieco. Non esiste in questo momento alcuna soluzione ragionevole. L'unica speranza viene dalla nascita di una grande articolazione dei movimenti di base, i quali si sono recentemente incontrati con Dilma con l'obiettivo di creare una base non parlamentare, ma popolare, per far fronte all'offensiva dell'opposizione, in maniera che su tale base Dilma possa portare avanti progetti sociali in una prospettiva realmente educativa, creando una nuova coscienza di cittadinanza. Ciò permetterebbe al governo di andare avanti, in attesa forse di una nuova candidatura di Lula nel 2018. Anche se per il Pt sarebbe meglio restare un po' di tempo fuori dal potere, per fare autocritica e riformulare un progetto di Paese.
È difficile pensare che Lula possa rappresentare il futuro del Brasile...
Lula immagina il Brasile come un'immensa fabbrica da sud a nord in cui tutti lavorano, consumano, comprano casa e macchina. Ma si tratta di un progetto più adatto al XIX secolo che al XXI. Lula è un grande leader, ma la storia ha oggi bisogno di un'altra forma di leadership. E purtroppo non c'è alcuna figura che esprima questa coscienza nuova. A mio giudizio, il Brasile è sia espressione della tragedia dell'umanità – basti pensare all'assassinio sistematico dei giovani neri (ne vengono assassinati 60 al giorno) e alla devastazione della natura – sia laboratorio di speranza, promessa di un'altra forma di abitare il pianeta, secondo una prospettiva bioregionalista – la vera alternativa ecologica alla globalizzazione omogeneizzante - che integra e valorizza i beni e i servizi di ogni ecosistema insieme alla sua popolazione e alla sua cultura.
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Claudia Fanti 17/10/2015
Una vita intera al servizio della causa della liberazione: quella dei poveri e quella del “grande povero” che è il nostro pianeta devastato e ferito. È il loro duplice -– e congiunto – grido, infatti, a occupare il centro della riflessione di Leonardo Boff, tra i padri fondatori della Teologia della Liberazione e massimo esponente del nuovo paradigma ecoteologico, di quel percorso, cioè, che si sviluppa nell'ascolto del nuovo racconto sacro trasmesso dalla scienza, con la sua rivelazione della natura profondamente olistica e relazionale del cosmo (un cammino di ricerca di cui i libri Grido della Terra, grido dei poveri e Il Tao della Liberazione rappresentano indiscutibilmente le espressioni più alte, ma che è possibile seguire anche in molti suoi interventi settimanali, disponibili ogni venerdì nel portale Servicios Koinonia: http://www.servicioskoinonia.org/boff/).
Una riflessione, quella di Boff, che, nell'attento ascolto della profezia contenuta nella stessa voce dell’universo, prende enormemente sul serio le tante minacce di distruzione lanciate contro Gaia, il pianeta vivente che è la nostra casa comune, ma nello stesso tempo è attraversata da un potente soffio di speranza: la speranza che l’evoluzione sia plasmata in modo tale da convergere verso livelli di complessità e di autocoscienza sempre maggiori e che dunque il caos attuale sia generatore di nuove possibilità, l’annuncio di un livello più elevato nella storia dell’essere umano e del pianeta, di quell’unica entità indivisibile Terra-umanità che gli astronauti per primi hanno colto, con emozione e reverenza, guardando il nostro pianeta azzurro e bianco dallo spazio esterno. Cosicché lo scenario attuale, pur così drammatico, non sarebbe una tragedia, ma una crisi, una crisi che mette alla prova, purifica e spinge al cambiamento, annunciando un nuovo inizio per l’avventura umana.
Di questo e di molto altro abbiamo parlato con Leonardo Boff, in visita in Italia per un ciclo di incontri, a partire dalle prospettive della Chiesa sotto il pontificato di Francesco, su cui il teologo brasiliano, tra i più duramente perseguitati dal Vaticano, ha scommesso fin dalla sua nomina (v. Adista Documenti, n. 18/13), considerandolo l'espressione di un nuovo progetto di mondo e di un nuovo progetto di Chiesa. Di seguito l'intervista.
Una buona novella per i nuovi tempi
Intervista a Leonardo Boff
Qual è la tua lettura dell'attuale fase della Chiesa?
Penso che papa Francesco rappresenti un progetto di mondo e un progetto di Chiesa. Rappresenta un progetto di mondo che è antitetico rispetto alla parola d'ordine imperiale “un solo mondo, un solo impero”, a cui l'enciclica Laudato si' risponde con la sua proposta di “un solo mondo e un solo progetto collettivo”, esprimendo la possibilità di dialogo, di incontro tra i popoli, di rinuncia all'uso della violenza come strumento per la risoluzione dei conflitti (perché non basta essere a favore della pace, bisogna essere anche contro la guerra). E rappresenta un progetto di Chiesa che è riconducibile a Francesco d'Assisi, caratterizzato dalla rivoluzione della tenerezza, dalla misericordia, dalla vicinanza agli esseri umani. Un progetto le cui opzioni di base non sono date, fondamentalmente, dalla dottrina, ma dall'incontro personale, sia con Cristo che con le persone. Si tratta di una visione di Chiesa assolutamente diversa da quella di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i quali concepivano la Chiesa come una fortezza assediata dai nemici, contro i quali era necessario difendersi: è la visione di una Chiesa come casa aperta, ospedale da campo, impegnata ad accogliere tutti, indipendentemente dalle loro connotazioni morali, con misericordia e con comprensione, riscattando con ciò la tradizione di Gesù che è anteriore ai vangeli e che è fatta di amore incondizionato. Penso che questo rappresenti una novità nella Chiesa, una rottura. Roma non ama questa parola. Ma è una realtà: papa Francesco ha de-paganizzato la figura del papa, considerato finora un faraone (è significativo che abbia rinunciato alla mozzetta, il simbolo del potere assoluto dell'imperatore). E ha affermato di voler guidare la Chiesa nell'amore e non nel potere. Con il potere, l'amore svanisce. Quando c'è l'amore, c'è vicinanza, comprensione, misericordia. Questa, per me, è la grande rottura operata da questo papa.
E intorno al papa cosa si sta muovendo?
Papa Francesco si trova dinanzi a due tipi di opposizione. Il primo è quello della vecchia cristianità di cultura europea, con tutti i simboli del potere sacro. Il papa si è spogliato dei simboli del potere, se ne è andato ad abitare a S. Marta, si mette in fila per mangiare (così, come ha detto scherzando a un'amica comune, Clelia Luro, è più difficile avvelenarlo!). Il secondo tipo è dato dall'opposizione laica di chi, specialmente negli Stati Uniti, non vuole saperne niente di dialogo o di ecologia, sposando la prospettiva della dominazione occidentale, quella dell'attuale globalizzazione, che in realtà è l'occidentalizzazione del mondo secondo lo stile di vita nordamericano, una sorta di hamburgerizzazione di tutte le culture.
Il papa inaugura un altro modello di cristiano. Io credo che la sua visione sia centrata sulla consapevolezza che Gesù non è venuto per creare una nuova religione, ma è venuto per insegnare a vivere. A vivere nell'amore e nella misericordia. Il nucleo del messaggio di Gesù, la sua intenzione originaria, è l'unione del “Padre nostro” e del “pane nostro”. Il Padre nostro, Abbà, è un volo verso l'alto, l'insopprimibile fame di trascendenza, e il pane nostro esprime la fame reale di milioni di persone, quella che occorre saziare perché abbia senso parlare di Padre nostro e di Regno di Dio. È a questo messaggio che si oppongono quanti vogliono un cristianesimo dottrinario, dogmatico, sistematizzato, tutto disciplina e ordine e potere.
La rottura di cui parli si esprime soprattutto su un piano simbolico. Sul terreno della dottrina, però, non si vedono né si prevedono molte novità...
Io penso che anche su questo terreno il papa abbia operato una rottura. Prima, ad esempio, i temi legati alla morale familiare erano tabù: nessuno poteva parlarne, né i vescovi, né i teologi. E uno dei criteri per le nomine episcopali era dato proprio dall'assenza di una qualsiasi critica relativa al celibato o alla dottrina morale. La novità è che Francesco ha aperto il dibattito su questi temi: non era mai successo che un papa consultasse le basi. Inoltre, sta dando molto valore alla collegialità. Nella sua enciclica, per esempio, egli cita diversi episcopati, anche privi di una grande tradizione teologica, come quelli del Paraguay o della Patagonia. Ed è un fatto estremamente singolare e rivoluzionario che egli abbia invitato a Roma i rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mohttp://www.adista.it/articolo/55571?utm_campai ... networkndo – riunendosi poi nuovamente con loro a Santa Cruz, in Bolivia – per analizzare le cause delle attuali sofferenze: non ha chiamato sociologi, politologi, scienziati, ma quanti sentono il dolore sulla propria pelle. E ha evidenziato due aspetti essenziali: la centralità della terra, del lavoro e della casa e il fatto che non bisogna aspettare che i cambiamenti vengano dall'alto, perché, ha spiegato il papa, la salvezza viene dal basso: sono i poveri organizzati i veri profeti del cambiamento. Tutto ciò era inimmaginabile a Roma prima di papa Francesco.
Non c'è il rischio che tutto questo finisca con il prossimo pontificato?
Il rischio esiste. Ma la mia tesi è che, dal momento che in Europa vive solo il 25% dei cattolici e che la parte restante si trova nel Terzo Mondo, questo papa inaugurerà una genealogia di papi del Sud del mondo, dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina, provenienti, cioè, da altri ambienti culturali ed ecclesiali, più liberi dal peso delle tradizioni e più legati alle esperienze popolari di lotta per i diritti umani, per la terra, per la dignità. Io penso che si sia chiuso il ciclo della Chiesa europea e occidentale e che sia cominciato quello di una Chiesa planetaria. E ora la Chiesa è chiamata a de-occidentalizzarsi, a de-patriarcalizzarsi, a decentrarsi. Poiché il mondo è uno solo, io sostengo che i ministeri dovrebbero essere collocati in diverse regioni del pianeta: quello per i diritti umani in America Latina, quello per l'inculturazione in Africa, quello per il dialogo interreligioso in Asia. E che qui debba restare solo un piccolo gruppo incaricato dell'amministrazione generale, lasciando che tutto si svolga attraverso skype, per teleconferenza. Perché la Chiesa deve adeguarsi alla nuova fase dell'umanità. Questa esigenza di decentramento è uno dei due punti che ho evidenziato in una lettera che ho scritto al papa. L'altro punto è la richiesta di convocazione di un'assemblea delle religioni con l'obiettivo di comprendere quale debba essere il contributo delle diverse tradizioni spirituali per la salvezza della vita sul pianeta e della civiltà umana. Ma, per prima cosa, occorre realizzare una riforma interna della Chiesa.
Su questo terreno, tuttavia, non si registrano molti passi avanti...
Penso che il papa non abbia voluto adottare un approccio frontale. A questo proposito, credo che sia stato un errore scegliere per il Sinodo un tema controverso come quello della morale familiare. Perché è un tema che divide. Sono cause universali come l'ecologia, la pace, la lotta alla fame e alla devastazione della biodiversità che possono unire la Chiesa. Questo tema, invece, sembra fatto apposta per mettere il papa alle corde. Quello che Francesco sta facendo è conservare la dottrina tradizionale, ma aprendo il dibattito e lanciando segnali rispetto alla possibilità che questa dottrina cambi. E io, nella lettera che gli ho scritto, gli chiedo di usare a favore dei diritti e della giustizia quella «potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa» che gli riconoshttp://www.adista.it/articolo/55571?utm_campai ... lnetworkce il Codice di Diritto Canonico.
Ma come può conciliarsi questo con una dimensione di collegialità?
L'obiettivo è il cambiamento della Chiesa. Non bastano le riforme, ci vuole una vera rivoluzione. La collegialità è un ottimo strumento per governare la Chiesa, ma non per cambiarla. La funzione del papa è quella di essere il grande protagonista del cambiamento: dispone degli strumenti necessari, se vuole può usarli. E sarà forse obbligato a farlo, per far capire ai cardinali ribelli che lo stanno sfidando che la Chiesa sarà diversa, perché è chiamata a fare i conti con la nuova fase della Terra e dell'umanità. Il tempo delle nazioni è giunto al termine. Inizia il tempo dell'umanità “planetizzata”, della casa comune. E per questo tempo la Chiesa non è preparata. Perché è eccessivamente occidentale, eccessivamente clericale, eccessivamente dottrinaria, eccessivamente centrata su un paradigma ellenistico. Quello che serve è il modello di una Chiesa veramente globalizzata, un'immensa rete di comunità che si incarnano in molte culture e assumono molti volti e in cui il ruolo del papa è quello del pellegrino che anima le Chiese alla fede e alla speranza, strumento di comunione e non di governo, il quale dovrà essere invece affidato alle Conferenze episcopali nazionali e continentali.
Cosa è possibile attendersi dal Sinodo sulla famiglia?
Penso che il Sinodo sarà un fallimento e aumenterà la polarizzazione tra le diverse posizioni. Probabilmente il papa lascerà aperta la discussione, perché, se la chiudesse, dividerebbe la Chiesa. Penso che sia necessario includere le persone che sono più toccate da questi temi, cioè i laici, uomini e donne. Perché il Sinodo è fatto appena da una frazione clericale e celibataria della Chiesa: finché non saranno coinvolte le persone direttamente interessate, non potrà esserci convergenza. E una delle riforme che il papa ha annunciato, ma che fino ad ora non ha realizzato, è proprio l'inclusione delle donne nei centri decisionali. Non si tratta di incrementarne la partecipazione: questa c'è sempre. Si tratta del fatto che siano loro a decidere. Le donne nella Chiesa non contano. E ciò malgrado vi siano a loro favore tre aspetti che sono più forti degli argomenti episcopali: non hanno mai tradito Gesù (gli uomini lo hanno fatto); sono state le prime testimoni dell'evento più grande della fede, che è la resurrezione; e senza una donna non ci sarebbe stata l'incarnazione. E se la Chiesa non ha mai preso sul serio questa centralità, le donne devono lottare per ottenerla e noi teologi dobbiamo dare il nostro aiuto.
Una delle più avanzate frontiere teologiche è quella impegnata nel compito di riformulare la fede cristiana in un linguaggio che sia più accessibile agli uomini e alle donne contemporanei e più compatibile con tutte le recenti acquisizioni scientifiche. Non credi che tra ciò che accettiamo come verità scientifica e ciò che afferma la dottrina tradizionale della Chiesa si sia aperto un fossato che rischia di essere incolmabile?
Io penso che sia necessario tradurre la fede in un nuovo paradigma, perché la Bibbia e l'intera teologia sono state elaborate all'interno di un paradigma occidentale che oggi non è più adeguato alle esigenze planetarie. E il paradigma che oggi sta guadagnando più terreno è quello della nuova cosmologia. Ho tentato di portare avanti questo compito nel mio libro Cristianismo. O mínimo do mínimo (apparso in italiano con il titolo Al cuore del Cristianesimo, Emi, 2013; ndr), pensando il cristianesimo all'interno del processo evolutivo e riformulando il messaggio cristiano in un linguaggio che dovrebbe divenire coscienza collettiva, il linguaggio quotidiano del nuovo paradigma. È questo il grande compito che la Chiesa intera è chiamata a svolgere, coscientemente e collegialmente. Un grande lavoro collettivo di traduzione della fede nel nuovo paradigma che viene dalla fisica quantistica, dalle scienze della vita e della Terra. È la sfida che ho cercato di cogliere scrivendo insieme al cosmologo Mark Hathaway il libro The Tao of Liberation: Exploring the Ecology of Transformation (tradotto in italiano con il titolo Il Tao della Liberazione, Fazi Editore, 2014; ndr): un libro che ha richiesto 13 anni di ricerca e di riflessione e che è il tentativo di utilizzare questa base scientifica per ripensare il concetto di Dio, i concetti di Spirito, di Grazia, di Resurrezione.
Qual è il principale messaggio di speranza che ci trasmette la nuova cosmologia?
Che tutto ha a che vedere con tutto, in tutti i momenti e in tutte le circostanze: tutto è in relazione, come ha riconosciuto lo stesso papa nell'enciclica. La materia non esiste, è solo energia altamente condensata, e tutti abbiamo lo stesso cammino e lo stesso destino. E malgrado tutte le crisi, tutte le traversie, tutte le devastazioni, l'universo va sempre auto-organizzandosi e autocreandosi in direzione di una sempre maggiore complessità. Teilhard de Chardin è stato profetico: esistono tante contraddizioni, si passa attraverso tanta devastazione e a volte sembra che il male prevalga, eppure la vita non è mai stata distrutta. Come ha evidenziato Edward Wilson, la vita non è né materiale, né spirituale: la vita è eterna ed è immersa nel processo dell'evoluzione. Ed è quello che afferma il cristianesimo: che tutto è relazionato e che esiste un fine buono per l'umanità e per l'universo. In altre parole, non andremo incontro alla morte termica, ma a forme sempre più complesse e più alte.
Eppure la teoria della morte termica dell'universo, lo scenario in cui l'espansione accelerata provocherebbe un universo troppo freddo per sostenere la vita, è sostenuta da molti fisici e cosmologi...
Io penso che questa tesi sia stata superata da Ilya Prigogine, il quale ha vinto il Premio Nobel per la chimica per le sue scoperte sulle strutture dissipative, mostrando come l'evoluzione si realizzi nello sforzo di creare ordine nel disordine e a partire dal disordine, cioè come il caos si riveli altamente generativo, trasformandosi in un fattore di costruzione di forme sempre più alte di complessità e di ordine. In contraddizione con la visione lineare propria della fisica classica, ci si muove qui sul terreno della fisica quantistica, con il suo procedere per salti, per accumulazioni di energia. Oggi, pertanto, disponiamo delle basi scientifiche per elaborare una visione che è più adeguata al messaggio di speranza del cristianesimo, quella di un universo come corpo della divinità, un universo che non terminerà con una grande catastrofe, ma con un nuovo cielo e una nuova terra, un salto immenso nella linea di Theilard de Chardin, un'implosione ed esplosione all'interno di Dio. Non un'altra terra, ma questa stessa terra trasfigurata. È come la morte umana, che non è la fine della vita, bensì un luogo alchemico in cui la vita si trasforma e passa a un altro livello, fuori dallo spazio-tempo, ma restando vita.
Al tentativo di articolare Teologia della Liberazione ed ecologia hai dedicato trent’anni di lavoro: un lavoro condotto per tanto, troppo tempo in pressoché totale solitudine, davvero vox clamans in deserto, finché la gravità della crisi ambientale non ha costretto anche la teologia latinoamericana ad assumere la questione tra le proprie priorità. Com'è ti appare ora la situazione?
Negli anni '80, ho preso consapevolezza della questione ecologica nei seguenti termini: il marchio registrato della TdL è l'opzione per i poveri, contro la povertà e a favore della liberazione e della giustizia sociale. E chi è, oggi, il grande povero? È la Terra! Pertanto, all'interno dell'opzione per i poveri, occorre collocare la Terra, devastata e aggredita. Ma bisogna pensare la Terra non secondo il vecchio paradigma, come una cosa inerte e inanimata, bensì all'interno della nuova cosmologia, come un superorganismo vivo, come Gaia, secondo la teoria di James Lovelock, come la Madre Terra, secondo quanto hanno riconosciuto le stesse Nazioni Unite, che hanno proclamato il 22 aprile come Giornata internazionale della Madre Terra. Mi sono allora dedicato, per alcuni anni, allo studio della cosmologia e ne è nato il libro Ecología: grito de la Tierra, grito de los pobres (tradotto in italiano con il titolo Grido della terra grido dei poveri. Per una ecologia cosmica, Cittadella, 1996). Un'opera che all'epoca non ha praticamente suscitato alcuna reazione tra i teologi, anche se, più tardi, alcuni l'hanno considerata ancor più importante del libro Teologia della liberazione di Gustavo Gutierrez, l'opera che ha segnato l'inizio della TdL, ma che è ancora legata al vecchio paradigma. Io penso che la grande maggioranza dei teologi della liberazione si muovi ancora all'interno del vecchio paradigma. Le difficoltà, è vero, sono molte, perché bisogna studiare le scienze della vita, la fisica quantistica, la nuova antropologia, ma in questo modo si può fare una teologia molto migliore dell'altra, e comprendere assai più in profondità il messaggio cristiano. Io penso che questo sia un compito che va anche oltre la nostra generazione: è il cammino che il cristianesimo è chiamato a percorrere per essere una buona novella per i nuovi tempi. Vino nuovo, otri nuove. Musica nuova, orecchie nuove.
Come ti spieghi che in Brasile molti movimenti popolari, pur facendo propria la lotta contro il riscaldamento globale, difendano progetti ecologicamente devastanti come il pre-sal, l'enorme giacimento di petrolio e gas al largo delle coste brasiliane?
È una contraddizione legata ai Paesi in via di sviluppo. I Paesi del Nord del mondo, infatti, potrebbero mirare alla prosperità rinunciando alla crescita e approfondendo maggiormente dimensioni come quella della spiritualità, dell'arte, ecc. I nostri Paesi, invece, hanno ancora bisogno di crescita, perché il livello di vita dei nostri popoli è molto basso: manca l'acqua, la casa, l'elettricità; occorre investire nella salute e nell'educazione. Così, in Brasile, c'è molta attenzione per questi temi, mentre si trascura la problematica ecologica. Esistono solo piccoli gruppi di ecologisti. Eppure il Brasile potrebbe prescindere totalmente dal petrolio sfruttando l'immensa energia prodotta dal sole. E invece si punta a un progetto come il pre-sal che avrà un impatto devastante sull'oceano, in termini di contaminazione delle acque e di distruzione della biodiversità. Ho discusso varie volte con Lula di tutto questo, ma a suo giudizio è sufficiente che piova due giorni di seguito perché tutto rifiorisca nuovamente. In realtà, però, è il sistema globale che è in crisi e che rischia il collasso. Forse la nostra coscienza si risveglierà quando sentiremo sulla nostra pelle le conseguenze della catastrofe. Come diceva Hegel, l'essere umano non apprende niente dalla storia, ma impara tutto dalla sofferenza. Anche se preferisco Sant'Agostino, il quale riteneva che fossero due le scuole: la sofferenza, che ci offre severe lezioni, e l'amore, che produce gioia e trasformazione. Io penso che trarremo insegnamento dall'amore e dalla sofferenza. Di fronte a noi ci sono solo due strade: o cambiamo o moriremo. Quella che stiamo attraversando è una grande crisi, ma la crisi purifica, obbliga a cambiare strada, prepara forse il terreno per l'avvento di una nuova civiltà centrata sulla vita umana e sulla vita della Terra, una biociviltà, la Terra della buona speranza.
Ma sarà necessario passare per quella che è stata già definita come la sesta estinzione di massa...
Siamo nel pieno dell'Antropocene, l'era in cui l'essere umano – e non un meteorite, né un qualche cataclisma naturale di dimensioni colossali - è diventato la più grande minaccia contro la vita. Edward Wilson ha calcolato che stiamo perdendo ogni anno da 20mila a 100mila specie viventi. È davvero la sesta estinzione di massa e potrebbe anche colpire una buona porzione dell'umanità, soprattutto quella povera e sofferente. In questo caso, spetterà ai sopravvissuti riorganizzare il pianeta su nuove basi. Mikhail Gorbacev, il coordinatore delle attività della Carta della Terra, paragona la situazione della Terra e dell’Umanità a quella di un aereo sulla pista di decollo: arriva un momento critico in cui l’aereo deve decollare, se non vuole schiantarsi in fondo alla pista. E, a suo giudizio, abbiamo già oltrepassato il punto critico e non ci siamo alzati in volo. Ma gli esseri umani sono sorprendenti e capaci di cambiamento. L'evoluzione non è lineare, procede per salti, ed è possibile che l'umanità acquisti consapevolezza e operi il salto necessario, abbracciando una nuova visione che abbia al centro l'intera comunità di vita, anche le piante e gli animali che sono nostri compagni nella casa comune. Dopotutto, l'essere umano ha in sé energie divine, di quel Dio che è sovrano e amante della vita e che non permetterà che la vita scompaia.
Come interpreti l'attuale situazione del Brasile? Ritieni che il governo di Dilma avrà la forza di superare la crisi?
È una situazione molto critica. Strappando alla povertà 40 milioni di brasiliani, il Pt ha commesso l'errore di trasformarli appena in 40 milioni di consumatori, trascurando quel lavoro di coscientizzazione necessario per restituire loro il senso di cittadinanza. Il consumatore, si sa, mira a consumare sempre di più. E se non è possibile si genera un grande malessere collettivo. E questo è un errore che viene sfruttato dall'opposizione. La nostra disgrazia è che non esiste un'alternativa. Nessuno tra le fila dell'opposizione possiede autorità morale e un progetto diverso dal neoliberismo e dall'allineamento agli Stati Uniti. E purtroppo il governo Dilma, venendo meno alle promesse della campagna elettorale, sta scaricando sugli operai e sui pensionati i costi della crisi, risparmiando le grandi imprese e le banche. Occorre tener presente che il Brasile, in virtù dei suoi immensi spazi geografici e delle sue grandi ricchezze naturali, è uno dei luoghi del pianeta che fa più gola al capitale. Siamo in un vicolo cieco. Non esiste in questo momento alcuna soluzione ragionevole. L'unica speranza viene dalla nascita di una grande articolazione dei movimenti di base, i quali si sono recentemente incontrati con Dilma con l'obiettivo di creare una base non parlamentare, ma popolare, per far fronte all'offensiva dell'opposizione, in maniera che su tale base Dilma possa portare avanti progetti sociali in una prospettiva realmente educativa, creando una nuova coscienza di cittadinanza. Ciò permetterebbe al governo di andare avanti, in attesa forse di una nuova candidatura di Lula nel 2018. Anche se per il Pt sarebbe meglio restare un po' di tempo fuori dal potere, per fare autocritica e riformulare un progetto di Paese.
È difficile pensare che Lula possa rappresentare il futuro del Brasile...
Lula immagina il Brasile come un'immensa fabbrica da sud a nord in cui tutti lavorano, consumano, comprano casa e macchina. Ma si tratta di un progetto più adatto al XIX secolo che al XXI. Lula è un grande leader, ma la storia ha oggi bisogno di un'altra forma di leadership. E purtroppo non c'è alcuna figura che esprima questa coscienza nuova. A mio giudizio, il Brasile è sia espressione della tragedia dell'umanità – basti pensare all'assassinio sistematico dei giovani neri (ne vengono assassinati 60 al giorno) e alla devastazione della natura – sia laboratorio di speranza, promessa di un'altra forma di abitare il pianeta, secondo una prospettiva bioregionalista – la vera alternativa ecologica alla globalizzazione omogeneizzante - che integra e valorizza i beni e i servizi di ogni ecosistema insieme alla sua popolazione e alla sua cultura.
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Re: Francesco un papa ...Cristiano!
L'Intervista
Il rabbino Di Segni: "Noi ebrei esempio di integrazione"
L'ondata di immigrazione cambierà l'Europa, si rischia un'altra Auschwitz. Il dialogo con papa Bergoglio
di Stefania Rossini
16 ottobre 2015
"Io so’ judio romano..." Quando il rabbino capo Riccardo Di Segni deve trovare una sintesi che renda al meglio la sua identità, il suo credo, l’amore per la sua città e il travaglio della sua gente, ricorre al verso di un sonetto di Crescenzo Dal Monte, considerato il Gioacchino Belli della Roma ebraica. È infatti con questo intreccio di sentimenti che la guida spirituale della più grande comunità ebraica italiana, la più antica della diaspora occidentale, osserva il mondo infiammato dai nuovi conflitti religiosi e dagli esodi smisurati.
Lo incontriamo nel suo studio blindato all’interno della Sinagoga, dove ci parlerà di sé e di quanto accade senza risparmiare giudizi e senza nascondere timori, stemperandoli semmai, quando i toni rischiano di farsi duri, in qualche battuta romanesca intrisa di umorismo ebraico.
Rabbino Di Segni, di fronte alla doppia emergenza delle guerre di religione e delle migrazioni di popoli, quanto può aiutarci la millenaria esperienza degli ebrei?
«Molto. Possiamo fornire modelli di integrazione perché sappiamo che si può essere cittadini o esclusi o partecipi o discriminati o diversi o uguali. Quanto accade è per noi un déjà vu. In quegli uomini e donne con valige e figli, fermati dalle polizie di frontiera o ammassati sui barconi, noi rivediamo noi stessi. E insieme all’identificazione scatta la solidarietà. Eppure...»
Eppure?
«È brutale dirlo, ma c’è una differenza sostanziale perché quantitativa. Anche la più forte comunità ebraica, come quella francese, conta al massimo 300 mila persone. È facile integrare un numero contenuto di profughi. Qui però si tratta di milioni, di uno spostamento di popoli che cambierà completamente i connotati dell’Europa».
Ne ha paura?
«La preoccupazione è molto forte. Per tradizione noi siamo solidali con chi scappa e vigili rispetto ai rischi. Che sono quelli del fanatico con la testa caricata da pensieri religiosi deviati, che scarica il suo mitra in un supermercato ebraico, ma sono anche quelli legati ad altri segnali».
Si riferisce all’antisemitismo delle destre europee?
«Anche a sinistra ci sono segnali, e non solo nei gruppi estremisti. Un massimo esponente democratico del comune di Roma, di cui non faccio il nome per carità civica, pensando di essere spiritoso ha detto un giorno che non dovremmo votare perché siamo israeliani. Ha capito il clima?»
Posso però chiederle che cosa fate per sfatare questo pregiudizio? Anche persone meno superficiali vi rimproverano di essere sempre dalla parte dei governi israeliani.
«Non dobbiamo certo giustificarci: siamo italiani come e più di molti altri e abbiamo contribuito a edificare questo Paese. Ma un’identità non si taglia con l’accetta. In ogni uomo sentimenti e passioni sono sempre distribuiti. Noi abbiamo un legame solido sia con questa nazione che con lo Stato di Israele. È nell’Islam che la religione implica la nazionalità. Per gli islamici l’ebreo non è dissociabile dallo Stato di Israele. Per questo con loro il dialogo interreligioso è difficile».
Con il cattolicesimo va invece meglio. Le piace papa Bergoglio?
«È un papa molto interessante con il quale si riesce a dialogare. Ma purtroppo il suo messaggio, che viene visto soprattutto come amore, è pericoloso per l’ebraismo».
Perché?
«Perché ripropone l’idea che, con l’arrivo di Gesù, il Dio dell’Antico Testamento è cambiato: prima era severo e vendicativo, poi è diventato il Dio dell’amore. Quindi gli ebrei sono giustizialisti e i cristiani buoni e misericordiosi. È un’aberrazione teologica molto antica, che è rimasta una sorta di malattia infantile del cristianesimo».
Ne ha parlato con il papa?
«Sì e gli ho anche detto che continuare a usare, come fa lui, il termine “farisei” con una connotazione negativa può rinforzare il pregiudizio in un pubblico non preparato».
Che cosa gli ha risposto?
«Mi ha detto: “Capisco benissimo. Io sono gesuita e anche la parola “gesuita” fa un brutto effetto”. Ho visto che poi ci è stato più attento».
Cogliamo l’occasione perché ci spieghi la differenza sostanziale tra un prete e un rabbino.
«È semplice: il prete è un sacerdote, il rabbino no. Il rabbino è un maestro che deve insegnare e deve far applicare la tradizione».
E la religione?
«Il rabbino è responsabile del fatto che i riti siano officiati secondo le regole. Si occupa, per esempio, del controllo degli alimenti perché una parte considerevole del rito ebraico riguarda appunto quello che si può e non si può mangiare, ed è sempre più difficile fare distinzioni in una società di cibi industrializzati. È il mio campo di specializzazione. E poi saprà che i rabbini prendono moglie».
Lei quando si è sposato?
«Presto, a 25 anni con una ragazza di 19. Mi ero laureato in medicina e da un po’ mi ero lasciato alle spalle la mia stagione movimentista».
Quindi ha fatto il Sessantotto?
«Sì, ne fui sedotto ed è stato molto interessante, perché c’era l’occasione di far vacillare il mondo baronale, patetico e autoreferenziale che guidava l’istruzione in Italia. Ma non ero un leader, ero un gregario: assemblee, cortei, occupazione dell’Istituto di Igiene e poco altro».
È ancora di sinistra?
«Perché, c’è ancora una sinistra?»
Le piacerebbe che ce ne fosse una?
«Mah, bisognerebbe vedere, potrebbero esserci molti drammi. Pensi a noi ebrei: siamo figli ripudiati dal padre, anzi padri ripudiati dai figli. Certe cose le abbiamo inventate noi e poi ci hanno cacciato via».
Lei è anche vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Con le sue idee come ha fatto ad aderire all’ultimo Family day?
«Io non ho aderito, ho mandato una lettera che invitava a una discussione non ideologica. Ma loro ne hanno fatto, appunto, un uso strumentale e ideologico».
Ci dica allora la sua posizione sulle unioni omosessuali.
«Penso che potremo arrivare al contratto civile, che è una cosa ben diversa dal matrimonio».
Non crede che siamo comunque in ritardo sul resto del mondo occidentale? Israele, per esempio, riconosce da tempo i matrimoni omosessuali celebrati all’estero.
«Israele è uno Stato democratico che non applica la legge rabbinica, ma quella del Parlamento».
Che ne pensa della scelta di designare un’italiana, Fiamma Nirenstein, come ambasciatrice di Israele in Italia?
«È ancora in corso una procedura di approvazione. Mi chiedo, però, se sia lecito che una persona che è stata deputata al Parlamento italiano venga ora a rappresentare uno Stato estero».
Siamo quasi alla fine del nostro incontro e non abbiamo ancora parlato della Shoah.
«Ne dobbiamo parlare?»
È strano che me lo chieda. Non è un elemento essenziale dell’identità ebraica moderna?
«Ho conosciuto la Shoah con il latte materno da una madre sfuggita alla razzia degli ebrei romani perché si era rifugiata con i miei fratelli in un casolare delle Marche, vicino a mio padre partigiano, medaglia d’argento della Resistenza. A 5 anni ho ascoltato il primo racconto sui campi nazisti da una cugina di mio padre sopravvissuta ad Auschwitz. Le pare che non m’interessi?»
Sta dicendo che ne teme la retorica?
«Insieme alla banalizzazione. La mia preoccupazione è sempre stata quella che l’identità ebraica basata soltanto sulla Shoah sia un’identità avvelenata, un’identità di morte non di vita. È un discorso che fatico a fare anche nella mia comunità».
Le hanno fatto effetto quei numeri segnati sulle braccia dei profughi siriani?
«Mi ha fatto effetto che si usassero parole come deportazione per un semplice accorgimento di triage. Nella medicina delle catastrofi, la prima cosa che si fa è quella. E poi un conto è il pennarello su un ferito o un profugo e un conto il tatuaggio sul prigioniero. Anche questo uso delle parole fa parte della banalizzazione. La Shoah è un unicum che ci deve far ricordare soprattutto l’importanza della convivenza con il vicino e con il diverso. Qualcuno dice che l’Europa nasce da Auschwitz. Non vorrei che finisse con un’altra Auschwitz».
Non ci spaventi, rabbino. Che cosa intende?
«Provi a pensare a quei milioni di persone di cui abbiamo parlato e li immagini tra vent’anni. Lei riesce a vedere un futuro di convivenza pacifica?».
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
Il rabbino Di Segni: "Noi ebrei esempio di integrazione"
L'ondata di immigrazione cambierà l'Europa, si rischia un'altra Auschwitz. Il dialogo con papa Bergoglio
di Stefania Rossini
16 ottobre 2015
"Io so’ judio romano..." Quando il rabbino capo Riccardo Di Segni deve trovare una sintesi che renda al meglio la sua identità, il suo credo, l’amore per la sua città e il travaglio della sua gente, ricorre al verso di un sonetto di Crescenzo Dal Monte, considerato il Gioacchino Belli della Roma ebraica. È infatti con questo intreccio di sentimenti che la guida spirituale della più grande comunità ebraica italiana, la più antica della diaspora occidentale, osserva il mondo infiammato dai nuovi conflitti religiosi e dagli esodi smisurati.
Lo incontriamo nel suo studio blindato all’interno della Sinagoga, dove ci parlerà di sé e di quanto accade senza risparmiare giudizi e senza nascondere timori, stemperandoli semmai, quando i toni rischiano di farsi duri, in qualche battuta romanesca intrisa di umorismo ebraico.
Rabbino Di Segni, di fronte alla doppia emergenza delle guerre di religione e delle migrazioni di popoli, quanto può aiutarci la millenaria esperienza degli ebrei?
«Molto. Possiamo fornire modelli di integrazione perché sappiamo che si può essere cittadini o esclusi o partecipi o discriminati o diversi o uguali. Quanto accade è per noi un déjà vu. In quegli uomini e donne con valige e figli, fermati dalle polizie di frontiera o ammassati sui barconi, noi rivediamo noi stessi. E insieme all’identificazione scatta la solidarietà. Eppure...»
Eppure?
«È brutale dirlo, ma c’è una differenza sostanziale perché quantitativa. Anche la più forte comunità ebraica, come quella francese, conta al massimo 300 mila persone. È facile integrare un numero contenuto di profughi. Qui però si tratta di milioni, di uno spostamento di popoli che cambierà completamente i connotati dell’Europa».
Ne ha paura?
«La preoccupazione è molto forte. Per tradizione noi siamo solidali con chi scappa e vigili rispetto ai rischi. Che sono quelli del fanatico con la testa caricata da pensieri religiosi deviati, che scarica il suo mitra in un supermercato ebraico, ma sono anche quelli legati ad altri segnali».
Si riferisce all’antisemitismo delle destre europee?
«Anche a sinistra ci sono segnali, e non solo nei gruppi estremisti. Un massimo esponente democratico del comune di Roma, di cui non faccio il nome per carità civica, pensando di essere spiritoso ha detto un giorno che non dovremmo votare perché siamo israeliani. Ha capito il clima?»
Posso però chiederle che cosa fate per sfatare questo pregiudizio? Anche persone meno superficiali vi rimproverano di essere sempre dalla parte dei governi israeliani.
«Non dobbiamo certo giustificarci: siamo italiani come e più di molti altri e abbiamo contribuito a edificare questo Paese. Ma un’identità non si taglia con l’accetta. In ogni uomo sentimenti e passioni sono sempre distribuiti. Noi abbiamo un legame solido sia con questa nazione che con lo Stato di Israele. È nell’Islam che la religione implica la nazionalità. Per gli islamici l’ebreo non è dissociabile dallo Stato di Israele. Per questo con loro il dialogo interreligioso è difficile».
Con il cattolicesimo va invece meglio. Le piace papa Bergoglio?
«È un papa molto interessante con il quale si riesce a dialogare. Ma purtroppo il suo messaggio, che viene visto soprattutto come amore, è pericoloso per l’ebraismo».
Perché?
«Perché ripropone l’idea che, con l’arrivo di Gesù, il Dio dell’Antico Testamento è cambiato: prima era severo e vendicativo, poi è diventato il Dio dell’amore. Quindi gli ebrei sono giustizialisti e i cristiani buoni e misericordiosi. È un’aberrazione teologica molto antica, che è rimasta una sorta di malattia infantile del cristianesimo».
Ne ha parlato con il papa?
«Sì e gli ho anche detto che continuare a usare, come fa lui, il termine “farisei” con una connotazione negativa può rinforzare il pregiudizio in un pubblico non preparato».
Che cosa gli ha risposto?
«Mi ha detto: “Capisco benissimo. Io sono gesuita e anche la parola “gesuita” fa un brutto effetto”. Ho visto che poi ci è stato più attento».
Cogliamo l’occasione perché ci spieghi la differenza sostanziale tra un prete e un rabbino.
«È semplice: il prete è un sacerdote, il rabbino no. Il rabbino è un maestro che deve insegnare e deve far applicare la tradizione».
E la religione?
«Il rabbino è responsabile del fatto che i riti siano officiati secondo le regole. Si occupa, per esempio, del controllo degli alimenti perché una parte considerevole del rito ebraico riguarda appunto quello che si può e non si può mangiare, ed è sempre più difficile fare distinzioni in una società di cibi industrializzati. È il mio campo di specializzazione. E poi saprà che i rabbini prendono moglie».
Lei quando si è sposato?
«Presto, a 25 anni con una ragazza di 19. Mi ero laureato in medicina e da un po’ mi ero lasciato alle spalle la mia stagione movimentista».
Quindi ha fatto il Sessantotto?
«Sì, ne fui sedotto ed è stato molto interessante, perché c’era l’occasione di far vacillare il mondo baronale, patetico e autoreferenziale che guidava l’istruzione in Italia. Ma non ero un leader, ero un gregario: assemblee, cortei, occupazione dell’Istituto di Igiene e poco altro».
È ancora di sinistra?
«Perché, c’è ancora una sinistra?»
Le piacerebbe che ce ne fosse una?
«Mah, bisognerebbe vedere, potrebbero esserci molti drammi. Pensi a noi ebrei: siamo figli ripudiati dal padre, anzi padri ripudiati dai figli. Certe cose le abbiamo inventate noi e poi ci hanno cacciato via».
Lei è anche vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Con le sue idee come ha fatto ad aderire all’ultimo Family day?
«Io non ho aderito, ho mandato una lettera che invitava a una discussione non ideologica. Ma loro ne hanno fatto, appunto, un uso strumentale e ideologico».
Ci dica allora la sua posizione sulle unioni omosessuali.
«Penso che potremo arrivare al contratto civile, che è una cosa ben diversa dal matrimonio».
Non crede che siamo comunque in ritardo sul resto del mondo occidentale? Israele, per esempio, riconosce da tempo i matrimoni omosessuali celebrati all’estero.
«Israele è uno Stato democratico che non applica la legge rabbinica, ma quella del Parlamento».
Che ne pensa della scelta di designare un’italiana, Fiamma Nirenstein, come ambasciatrice di Israele in Italia?
«È ancora in corso una procedura di approvazione. Mi chiedo, però, se sia lecito che una persona che è stata deputata al Parlamento italiano venga ora a rappresentare uno Stato estero».
Siamo quasi alla fine del nostro incontro e non abbiamo ancora parlato della Shoah.
«Ne dobbiamo parlare?»
È strano che me lo chieda. Non è un elemento essenziale dell’identità ebraica moderna?
«Ho conosciuto la Shoah con il latte materno da una madre sfuggita alla razzia degli ebrei romani perché si era rifugiata con i miei fratelli in un casolare delle Marche, vicino a mio padre partigiano, medaglia d’argento della Resistenza. A 5 anni ho ascoltato il primo racconto sui campi nazisti da una cugina di mio padre sopravvissuta ad Auschwitz. Le pare che non m’interessi?»
Sta dicendo che ne teme la retorica?
«Insieme alla banalizzazione. La mia preoccupazione è sempre stata quella che l’identità ebraica basata soltanto sulla Shoah sia un’identità avvelenata, un’identità di morte non di vita. È un discorso che fatico a fare anche nella mia comunità».
Le hanno fatto effetto quei numeri segnati sulle braccia dei profughi siriani?
«Mi ha fatto effetto che si usassero parole come deportazione per un semplice accorgimento di triage. Nella medicina delle catastrofi, la prima cosa che si fa è quella. E poi un conto è il pennarello su un ferito o un profugo e un conto il tatuaggio sul prigioniero. Anche questo uso delle parole fa parte della banalizzazione. La Shoah è un unicum che ci deve far ricordare soprattutto l’importanza della convivenza con il vicino e con il diverso. Qualcuno dice che l’Europa nasce da Auschwitz. Non vorrei che finisse con un’altra Auschwitz».
Non ci spaventi, rabbino. Che cosa intende?
«Provi a pensare a quei milioni di persone di cui abbiamo parlato e li immagini tra vent’anni. Lei riesce a vedere un futuro di convivenza pacifica?».
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
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