Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SE la cosa è vera.La cosa è grave.
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Galan Dopo aver tolto dalla sua villa caminetti bagni ecc........Gli hanno detto di rimettere tutto a posto.In questo caso dovevano dargli qualche anno in più.Ora non ricordo se Abano terme o altri posti.Comunque i cittadini non lo vogliono.
Basta 3, 4 anni di sentenza. Bisogna partire da almeno 10 anni di galera.
Ciao
Paolo11
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Galan Dopo aver tolto dalla sua villa caminetti bagni ecc........Gli hanno detto di rimettere tutto a posto.In questo caso dovevano dargli qualche anno in più.Ora non ricordo se Abano terme o altri posti.Comunque i cittadini non lo vogliono.
Basta 3, 4 anni di sentenza. Bisogna partire da almeno 10 anni di galera.
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Paolo11
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Re: Diario della caduta di un regime.
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: “L’altrovecrazia”
"E gli italiani erano molto sdegnati, ma per la squalifica del motociclista Valentino Rossi. Anch’essi, da tempo, erano Altrove..."
Pubblicato il 3 novembre 2015 08:10 | Ultimo aggiornamento: 3 novembre 2015 08:10
di Redazione Blitz
Guarda la versione ingrandita di Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano:
Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "L'altrovecrazia"
ROMA – “Da un libro di storia del 2030 – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – L’ultimo atto formale della democrazia parlamentare in Italia fu il 24 gennaio 2008. Quel giorno il premier Romano Prodi – scaricato dall’alleato e ministro Mastella nei guai con la giustizia – si presentò a Palazzo Madama per verificare l’esistenza della sua maggioranza. La decisione di parlamentarizzare la crisi fece infuriare il presidente Napolitano, che pretendeva una crisi extraparlamentare perché – ipotizzò il ministro Padoa-Schioppa nei suoi diari – senza una sfiducia del Senato, Prodi avrebbe potuto tornare con un nuovo governo, stavolta di larghe intese, cui il presidente lavorava da tempo”.
L’editoriale di Marco Travaglio: Prodi però – come già aveva fatto nel 1998 rifiutando l’appoggio di Mastella e Cossiga per rimpiazzare Bertinotti e preferendo farsi sfiduciare per un solo voto anziché tradire il mandato elettorale – rifiutò l’escamotage e fu sfiduciato. Le elezioni le rivinse Silvio Berlusconi. Il suo fu l’ultimo governo italiano scelto dagli elettori, anche se poi tradì ogni principio democratico: seguitò a farsi leggi ad personam; espropriò le Camere e gli altri organi di controllo affidando alla Protezione civile del superprefetto Bertolaso grandi opere ed eventi per aggirare le regole con la scusa di finte emergenze; comprò deputati per rimpiazzare i fuorusciti Fini&C.
E quando nell’agosto 2011 i suoi scandali, i suoi fallimenti e la speculazione internazionale lo portarono sull’orlo del baratro, per salvare la poltrona consegnò se stesso e l’Italia nelle mani della Bce, autrice di una lettera che privava governo e Parlamento della sovranità politica e finanziaria dettando le “riforme” economiche, fiscali, previdenziali e sociali. La crisi esplose comunque a novembre: le risate di Merkel e Sarkozy sancirono l’isolamento dell’Italia in Europa e indussero decine di deputati Pdl a mollare B., con la garanzia trapelata dal Colle che non si sarebbe tornati al voto, ma sarebbe nata un’ammucchiata “tecnica” che avrebbe salvato le loro poltrone e garantito la loro rielezione, allontanando la prevedibile ondata dei 5Stelle. Fu così consacrata l’Altrovecrazia, dove le decisioni si prendono in luoghi segreti, alla larga dalle urne e dal Parlamento. Anziché far decidere ai cittadini chi dovesse pagare i costi della crisi, Napolitano partorì il governo Monti, con il programma scritto dalla Bce e via via varato a colpi di decreti e fiducie dal 90% del Parlamento, senza opposizione a parte Lega e Idv: sacrifici per i deboli (pensionati, esodati, lavoratori) e favori alle banche.
Quando poi si andò finalmente a votare perché non si poteva proprio evitarlo (febbraio 2013), gli elettori bocciarono i partiti che avevano sostenuto Monti e premiarono il M5S. Ma, nelle segrete stanze italiane e non, si decise di riportare al governo l’ammucchiata appena sfiduciata dal popolo. Purtroppo il garante dell’operazione, Napolitano, aveva esaurito il suo mandato e i candidati più accreditati a succedergli – Prodi e Rodotà – erano antropologicamente estranei all’inciucio. Niente paura: il Regno dell’Altrove organizzò una pattuglia di 101 franchi tiratori Pd per impallinare Prodi, mentre Rodotà non fu neppur considerato. Il tutto per simulare l’inevitabilità salvifica della rielezione di Napolitano (…).
Profittando della crisi di FI, Renzi prese a governare con varie maggioranze: una ufficiale di centrosinistra, le altre clandestine con pezzi di destra (acquistati con scambi occulti) da sfoderare alla bisogna per far passare tutto ciò che piaceva a lui. Comprese una legge elettorale e una riforma costituzionale improntate all’uomo solo al comando, che il Parlamento non poteva discutere nel merito, ma solo approvare senza fiatare. Già che c’era, il premier cacciò a metà mandato il sindaco di Roma, del Pd ma incontrollabile, infischiandosene del voto dei romani e non facendolo sfiduciare dal Consiglio, ma imponendo ai consiglieri di dimettersi dal notaio (…).
Intanto s’iniziava a parlare di modifiche alla legge elettorale: non per cancellare il mostruoso premio di maggioranza e i capilista bloccati, ma per impedire ai 5Stelle di andare al ballottaggio ed eventualmente di vincerlo. Qualcuno osava sottolineare la svolta autoritaria al ralenty, ma passava per “gufo”. E gli italiani erano molto sdegnati, ma per la squalifica del motociclista Valentino Rossi. Anch’essi, da tempo, erano Altrove.
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"E gli italiani erano molto sdegnati, ma per la squalifica del motociclista Valentino Rossi. Anch’essi, da tempo, erano Altrove..."
Pubblicato il 3 novembre 2015 08:10 | Ultimo aggiornamento: 3 novembre 2015 08:10
di Redazione Blitz
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Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano: "L'altrovecrazia"
ROMA – “Da un libro di storia del 2030 – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – L’ultimo atto formale della democrazia parlamentare in Italia fu il 24 gennaio 2008. Quel giorno il premier Romano Prodi – scaricato dall’alleato e ministro Mastella nei guai con la giustizia – si presentò a Palazzo Madama per verificare l’esistenza della sua maggioranza. La decisione di parlamentarizzare la crisi fece infuriare il presidente Napolitano, che pretendeva una crisi extraparlamentare perché – ipotizzò il ministro Padoa-Schioppa nei suoi diari – senza una sfiducia del Senato, Prodi avrebbe potuto tornare con un nuovo governo, stavolta di larghe intese, cui il presidente lavorava da tempo”.
L’editoriale di Marco Travaglio: Prodi però – come già aveva fatto nel 1998 rifiutando l’appoggio di Mastella e Cossiga per rimpiazzare Bertinotti e preferendo farsi sfiduciare per un solo voto anziché tradire il mandato elettorale – rifiutò l’escamotage e fu sfiduciato. Le elezioni le rivinse Silvio Berlusconi. Il suo fu l’ultimo governo italiano scelto dagli elettori, anche se poi tradì ogni principio democratico: seguitò a farsi leggi ad personam; espropriò le Camere e gli altri organi di controllo affidando alla Protezione civile del superprefetto Bertolaso grandi opere ed eventi per aggirare le regole con la scusa di finte emergenze; comprò deputati per rimpiazzare i fuorusciti Fini&C.
E quando nell’agosto 2011 i suoi scandali, i suoi fallimenti e la speculazione internazionale lo portarono sull’orlo del baratro, per salvare la poltrona consegnò se stesso e l’Italia nelle mani della Bce, autrice di una lettera che privava governo e Parlamento della sovranità politica e finanziaria dettando le “riforme” economiche, fiscali, previdenziali e sociali. La crisi esplose comunque a novembre: le risate di Merkel e Sarkozy sancirono l’isolamento dell’Italia in Europa e indussero decine di deputati Pdl a mollare B., con la garanzia trapelata dal Colle che non si sarebbe tornati al voto, ma sarebbe nata un’ammucchiata “tecnica” che avrebbe salvato le loro poltrone e garantito la loro rielezione, allontanando la prevedibile ondata dei 5Stelle. Fu così consacrata l’Altrovecrazia, dove le decisioni si prendono in luoghi segreti, alla larga dalle urne e dal Parlamento. Anziché far decidere ai cittadini chi dovesse pagare i costi della crisi, Napolitano partorì il governo Monti, con il programma scritto dalla Bce e via via varato a colpi di decreti e fiducie dal 90% del Parlamento, senza opposizione a parte Lega e Idv: sacrifici per i deboli (pensionati, esodati, lavoratori) e favori alle banche.
Quando poi si andò finalmente a votare perché non si poteva proprio evitarlo (febbraio 2013), gli elettori bocciarono i partiti che avevano sostenuto Monti e premiarono il M5S. Ma, nelle segrete stanze italiane e non, si decise di riportare al governo l’ammucchiata appena sfiduciata dal popolo. Purtroppo il garante dell’operazione, Napolitano, aveva esaurito il suo mandato e i candidati più accreditati a succedergli – Prodi e Rodotà – erano antropologicamente estranei all’inciucio. Niente paura: il Regno dell’Altrove organizzò una pattuglia di 101 franchi tiratori Pd per impallinare Prodi, mentre Rodotà non fu neppur considerato. Il tutto per simulare l’inevitabilità salvifica della rielezione di Napolitano (…).
Profittando della crisi di FI, Renzi prese a governare con varie maggioranze: una ufficiale di centrosinistra, le altre clandestine con pezzi di destra (acquistati con scambi occulti) da sfoderare alla bisogna per far passare tutto ciò che piaceva a lui. Comprese una legge elettorale e una riforma costituzionale improntate all’uomo solo al comando, che il Parlamento non poteva discutere nel merito, ma solo approvare senza fiatare. Già che c’era, il premier cacciò a metà mandato il sindaco di Roma, del Pd ma incontrollabile, infischiandosene del voto dei romani e non facendolo sfiduciare dal Consiglio, ma imponendo ai consiglieri di dimettersi dal notaio (…).
Intanto s’iniziava a parlare di modifiche alla legge elettorale: non per cancellare il mostruoso premio di maggioranza e i capilista bloccati, ma per impedire ai 5Stelle di andare al ballottaggio ed eventualmente di vincerlo. Qualcuno osava sottolineare la svolta autoritaria al ralenty, ma passava per “gufo”. E gli italiani erano molto sdegnati, ma per la squalifica del motociclista Valentino Rossi. Anch’essi, da tempo, erano Altrove.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Perché si dice “fare le cose alla carlona” ?
Con il detto “fare le cose alla carlona”, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.
L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone e rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che amava indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.
Allo stesso modo ha preso piede il detto fare le cose all’italiana.
Sull'onda delle emergenze, e non sapendo che pesci prendere, per cercare di salvarsi, il ceto politico italiano da decenni ormai cavalca la tigre del populismo e della demagogia e sperando di rimanere a galla emana leggi, norme e persino riforme costituzionali pur di calmare l'inquietudine e la sommossa popolare. E il "popolo" abbocca.
Salvo poi, alla prossima tornata senza nessuna remora e senza nessuno scrupolo di coerenza e di razionalità, ricancellare le vecchie norme rivelatesi pasticciate, raffazzonate, semplicistiche e senza nessun quadro di riferimento, senza nessun disegno razionale. E' stato così con le leggi maggioritarie, le riforme elettorali in Provincia, nei comuni, nelle regioni. Mille sistemi elettorali, mille modi di eleggere i rappresentanti a seconda delle regioni, a seconda delle convenienze dei partiti maggioritari del momento, a seconda delle alleanze e delle loro convenienze.
Mille province nate senza che ci fosse la necessità e le motivazioni e le esigenze sociali, ma dettate solo al fine di ritorni elettoralistici e appettiti localistici. Province fatte arraffazzonando comuni piccolissimi dai nomi assurdi con poche migliaia di cittadini. Solo per soddisfare gli appettiti locali e dei notabili del luogo. Ora si eliminano perché troppo costose. In fretta si giunse al Federalismo per tener buona la forza politica emergente di allora, la Lega. Ora si invoca al ritorno del centralismo, seppure parziale, non perché ci sia un disegno istituzionale e costituzionale, un disegno di quale repubblica e di come strutturarla, no! Solo per il semplice motivo che non si è in grado di gestire e governare le spinte clientelari e di malaffare del localismo clienterale. Sulla spinta degli scandali assurdi e dell'emozionale ondata scandalistica.
Allo stesso modo è diventato di moda fare le elezioni primarie.
Le elezioni primarie sono state un’esigenza di Romano Prodi appena sbarcato dall’aereo che lo riportava in Italia sul finire del 2005.
I due pifferi che guidavano le due compagini dell’Ulivo, Rutelli & Fassino, lo avevano ingannato dopo averlo strappato dalla sua posizione di Commissario Ue, per battere il Caimano nelle elezioni della primavera dell’anno successivo.
Dopo essere andati a Canossa, gli presentarono subito il conto. Qui comandiamo noi.
Prodi dovette inventarsi le primarie per risultare indipendente dai due Bibi & Bibò della politica italiana.
Ma poi non furono mai regolamentate, tanto che ultimamente si mettevano in coda anche cinesi a pagamento.
La Qualunque è diventato segretario del PD spurghi con i voti degli amici di Verdini e Berlusconi.
Ancora oggi a secondo delle esigenze e convenienze vengono richieste o rifiutate, con la modalità dell’elastico delle mutande.
Normarle, è troppo impegnativo per il partito dei piazzisti della poltrona.
3 novembre 2015 | di Alessandro Madron
Milano, Pisapia: “Sala? Voterò e farò campagna per chiunque vinca le primarie”
Gremita la sala dell’Ambrosianeum di Milano per assistere al dibattito sul dopo Expo. Al tavolo dei relatori il sindaco uscente Giuliano Pisapia e quello che in molti danno per entrante, Giuseppe Sala. Le attese sono alte e l’avvertimento è d’obbligo: “Non è una staffetta, non c’è nessuna investitura“. Il sindaco stesso ha poi ribadito che farà “campagna elettorale per il candidato che uscirà vincente dalle primarie, chiunque esso sia“
VIDEO
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/11/ ... ie/434649/
Con il detto “fare le cose alla carlona”, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.
L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone e rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che amava indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.
Allo stesso modo ha preso piede il detto fare le cose all’italiana.
Sull'onda delle emergenze, e non sapendo che pesci prendere, per cercare di salvarsi, il ceto politico italiano da decenni ormai cavalca la tigre del populismo e della demagogia e sperando di rimanere a galla emana leggi, norme e persino riforme costituzionali pur di calmare l'inquietudine e la sommossa popolare. E il "popolo" abbocca.
Salvo poi, alla prossima tornata senza nessuna remora e senza nessuno scrupolo di coerenza e di razionalità, ricancellare le vecchie norme rivelatesi pasticciate, raffazzonate, semplicistiche e senza nessun quadro di riferimento, senza nessun disegno razionale. E' stato così con le leggi maggioritarie, le riforme elettorali in Provincia, nei comuni, nelle regioni. Mille sistemi elettorali, mille modi di eleggere i rappresentanti a seconda delle regioni, a seconda delle convenienze dei partiti maggioritari del momento, a seconda delle alleanze e delle loro convenienze.
Mille province nate senza che ci fosse la necessità e le motivazioni e le esigenze sociali, ma dettate solo al fine di ritorni elettoralistici e appettiti localistici. Province fatte arraffazzonando comuni piccolissimi dai nomi assurdi con poche migliaia di cittadini. Solo per soddisfare gli appettiti locali e dei notabili del luogo. Ora si eliminano perché troppo costose. In fretta si giunse al Federalismo per tener buona la forza politica emergente di allora, la Lega. Ora si invoca al ritorno del centralismo, seppure parziale, non perché ci sia un disegno istituzionale e costituzionale, un disegno di quale repubblica e di come strutturarla, no! Solo per il semplice motivo che non si è in grado di gestire e governare le spinte clientelari e di malaffare del localismo clienterale. Sulla spinta degli scandali assurdi e dell'emozionale ondata scandalistica.
Allo stesso modo è diventato di moda fare le elezioni primarie.
Le elezioni primarie sono state un’esigenza di Romano Prodi appena sbarcato dall’aereo che lo riportava in Italia sul finire del 2005.
I due pifferi che guidavano le due compagini dell’Ulivo, Rutelli & Fassino, lo avevano ingannato dopo averlo strappato dalla sua posizione di Commissario Ue, per battere il Caimano nelle elezioni della primavera dell’anno successivo.
Dopo essere andati a Canossa, gli presentarono subito il conto. Qui comandiamo noi.
Prodi dovette inventarsi le primarie per risultare indipendente dai due Bibi & Bibò della politica italiana.
Ma poi non furono mai regolamentate, tanto che ultimamente si mettevano in coda anche cinesi a pagamento.
La Qualunque è diventato segretario del PD spurghi con i voti degli amici di Verdini e Berlusconi.
Ancora oggi a secondo delle esigenze e convenienze vengono richieste o rifiutate, con la modalità dell’elastico delle mutande.
Normarle, è troppo impegnativo per il partito dei piazzisti della poltrona.
3 novembre 2015 | di Alessandro Madron
Milano, Pisapia: “Sala? Voterò e farò campagna per chiunque vinca le primarie”
Gremita la sala dell’Ambrosianeum di Milano per assistere al dibattito sul dopo Expo. Al tavolo dei relatori il sindaco uscente Giuliano Pisapia e quello che in molti danno per entrante, Giuseppe Sala. Le attese sono alte e l’avvertimento è d’obbligo: “Non è una staffetta, non c’è nessuna investitura“. Il sindaco stesso ha poi ribadito che farà “campagna elettorale per il candidato che uscirà vincente dalle primarie, chiunque esso sia“
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http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/11/ ... ie/434649/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Politica
Decadenza Marino, al Pd senza bussola non basta ‘smaltire’ l’ex sindaco
di Daniela Gaudenzi | 2 novembre 2015
Commenti (90)
La velocità dell’operazione che in casa Pd va sotto la dicitura soft di “decantazione” ma che in realtà è stata lo smaltimento di Marino nella “pattumiera della storia” entro 24 ore dalla sua fuoriuscita dal Campidoglio, non ha paragoni adeguati nella pratica millenaria della damnatio memoriae.
Sarà forse perché il “mandante” dei 26 “sicari” che lo hanno “accoltellato”, secondo la colorita definizione del defenestrato, al di fuori delle procedure democratiche a tutela della rappresentanza democratica è il presidente-segretario fast già artefice del mirabolante “cronoprogramma” di governo. Ma all’urgenza assoluta con cui il Pd vorrebbe cancellare dalla memoria dei cittadini la grande tristezza del “caso Roma” grazie all’insediamento del commissario Tronca, circondato da un’aura di consenso incontenibile che ricorda quello tributato a suo tempo al tecnico Monti, corrisponde lo stato confusionale su candidati e primarie.
Che cosa possono pensare i superstiti elettori del Pd a Roma che, dopo aver assistito alla gestione “politica” del problema Marino da parte del plenipotenziario Matteo Orfini, hanno sentito in meno di 48 ore evocare come candidati il prefetto Gabrielli, Raffaele Cantone, Beatrice Lorenzin, Marianna Madia, Alfio Marchini (in condivisione con B.) e persino quello dello stesso Orfini che doveva “raddrizzare” il partito dopo Mafia Capitale?
Naturalmente gli esponenti più vicini a Renzi hanno dichiarato che tutti i nomi fatti circolare fin qui non hanno nessun fondamento e da ultimo nella rosa annunciata dei venti candidabili sarebbe entrato anche quello di Fabrizio Barca, ex ministro di Monti e soprattutto autore dell’inchiesta interna sui circoli del Pd romano che ha confermato il livello diffuso di degrado e non ha fatto sconti alla dirigenza del partito. L’ingresso di un nome più “ragionevole” e condiviso si spiegherebbe non solo e non tanto con l’esigenza di non scontentare troppo minoranza e sinistra e di essere un deterrente nei confronti di una probabile lista Marino, ma soprattutto con la determinazione da parte di Renzi di evitare un nuovo rischio primarie.
E comunque non è certamente sufficiente a riaffermare quel “primato della politica” rivendicato spesso a sproposito ed in modo strafottente da Renzi nei confronti degli altri poteri ed in particolare della magistratura. Oggi, come ha ricordato anche Massimo Cacciari in un’intervista su La Stampa, “la cosa comica” è che il politico del fare a ritmo di cronoprogramma “in tutte le situazioni critiche deve ricorrere a tecnici”: e così a Roma che è un Comune, ecco il dream team del modello Expo “che non c’entra nulla”. Invece quando a operare è stato un politico messo lì dal presidente-segretario si è assistito alla gestione disastrosa del commissario Orfini che secondo l’ex sindaco di Venezia dovrebbe essere cacciato o mandato a fare il capo sezione a Orbetello.
Quanto alle previsioni, quelle di Cacciari vanno oltre il quadro offerto dai sondaggi e le aspettative di Grillo: “A Roma il centrodestra cercherà di competere con Marchini, ma vincerà il M5S e il Pd non arriverà al 10%”, “e Milano possono salvarla solo con Sala”. E comprendere cosa ne sarebbe del governo e della incontrastata leadership renziana qualora perdesse Roma e Milano è abbastanza facile.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... o/2180578/
Decadenza Marino, al Pd senza bussola non basta ‘smaltire’ l’ex sindaco
di Daniela Gaudenzi | 2 novembre 2015
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La velocità dell’operazione che in casa Pd va sotto la dicitura soft di “decantazione” ma che in realtà è stata lo smaltimento di Marino nella “pattumiera della storia” entro 24 ore dalla sua fuoriuscita dal Campidoglio, non ha paragoni adeguati nella pratica millenaria della damnatio memoriae.
Sarà forse perché il “mandante” dei 26 “sicari” che lo hanno “accoltellato”, secondo la colorita definizione del defenestrato, al di fuori delle procedure democratiche a tutela della rappresentanza democratica è il presidente-segretario fast già artefice del mirabolante “cronoprogramma” di governo. Ma all’urgenza assoluta con cui il Pd vorrebbe cancellare dalla memoria dei cittadini la grande tristezza del “caso Roma” grazie all’insediamento del commissario Tronca, circondato da un’aura di consenso incontenibile che ricorda quello tributato a suo tempo al tecnico Monti, corrisponde lo stato confusionale su candidati e primarie.
Che cosa possono pensare i superstiti elettori del Pd a Roma che, dopo aver assistito alla gestione “politica” del problema Marino da parte del plenipotenziario Matteo Orfini, hanno sentito in meno di 48 ore evocare come candidati il prefetto Gabrielli, Raffaele Cantone, Beatrice Lorenzin, Marianna Madia, Alfio Marchini (in condivisione con B.) e persino quello dello stesso Orfini che doveva “raddrizzare” il partito dopo Mafia Capitale?
Naturalmente gli esponenti più vicini a Renzi hanno dichiarato che tutti i nomi fatti circolare fin qui non hanno nessun fondamento e da ultimo nella rosa annunciata dei venti candidabili sarebbe entrato anche quello di Fabrizio Barca, ex ministro di Monti e soprattutto autore dell’inchiesta interna sui circoli del Pd romano che ha confermato il livello diffuso di degrado e non ha fatto sconti alla dirigenza del partito. L’ingresso di un nome più “ragionevole” e condiviso si spiegherebbe non solo e non tanto con l’esigenza di non scontentare troppo minoranza e sinistra e di essere un deterrente nei confronti di una probabile lista Marino, ma soprattutto con la determinazione da parte di Renzi di evitare un nuovo rischio primarie.
E comunque non è certamente sufficiente a riaffermare quel “primato della politica” rivendicato spesso a sproposito ed in modo strafottente da Renzi nei confronti degli altri poteri ed in particolare della magistratura. Oggi, come ha ricordato anche Massimo Cacciari in un’intervista su La Stampa, “la cosa comica” è che il politico del fare a ritmo di cronoprogramma “in tutte le situazioni critiche deve ricorrere a tecnici”: e così a Roma che è un Comune, ecco il dream team del modello Expo “che non c’entra nulla”. Invece quando a operare è stato un politico messo lì dal presidente-segretario si è assistito alla gestione disastrosa del commissario Orfini che secondo l’ex sindaco di Venezia dovrebbe essere cacciato o mandato a fare il capo sezione a Orbetello.
Quanto alle previsioni, quelle di Cacciari vanno oltre il quadro offerto dai sondaggi e le aspettative di Grillo: “A Roma il centrodestra cercherà di competere con Marchini, ma vincerà il M5S e il Pd non arriverà al 10%”, “e Milano possono salvarla solo con Sala”. E comprendere cosa ne sarebbe del governo e della incontrastata leadership renziana qualora perdesse Roma e Milano è abbastanza facile.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Più che caduta di un regime è il suo consolidamento"
da www.huffingtonpost
da www.huffingtonpost
Pd, al circolo di Trastevere la protesta contro i vertici per il caso Marino. Fabrizio Barca: "Era un'esperienza finita"
Pubblicato: 04/11/2015 09:04 CET
"I nostri consiglieri sono stati costretti ad andare dal notaio e a dimettersi, è vergognoso!". Scatta l'applauso. Al circolo di Trastevere va in scena il processo del Pd a se stesso. Sul banco degli imputati i vertici del partito, in primis il commissario del Pd romano Matteo Orfini e il segretario nazionale Renzi. La parte dell'accusa invece la svolgono i militanti, la base. Sono smarriti, e arrabbiati: "C'è democrazia nel nostro partito? No, non credo". Nella storica sede del Municipio di Roma si respira un'aria densa e pesante. Pochi sorridono, molti i musi lunghi. A Fabrizio Barca il compito apparentemente insormontabile di spiegare le ragioni della cacciata di Ignazio Marino dal Campidoglio, proprio mentre l'ex sindaco attaccava via Facebook il premier Renzi: "E' bulimico di potere, voleva Roma e se l'è presa".
Una "defenestrazione" difficile da comprendere per il popolo dem, che non nasconde il suo malessere profondo. I militanti sono accorsi in tanti all'assemblea sul futuro del Pd romano. Le persone si sono accalcate fin sulla porta d'ingresso per sentire quello che ha da dire Barca, nel non facile ruolo di dirigente di partito che ha da rispondere a un bel po' di domande rimaste a lungo inevase.
"Quello che è successo è squallido: la gente mi chiede perché Marino è stato cacciato mentre il Pd non ha fatto nulla per mandare a casa Alemanno nei cinque anni precedenti. A questa domanda non so rispondere, e me ne vergogno", dice Sandra. "La scelta di cacciare Marino è stata politica ma a noi militanti nessuno è venuto a spiegarla", aggiunge Marzia. Che attacca: "Non possiamo nasconderci: il sospetto che il governo non abbia voluto aiutare il sindaco c'è. E i soldi per il Giubileo che arrivano solo dopo le dimissioni... questo è grave! è grave!", ripete. Scatta un altro applauso.
Sembra che si sia spezzato un filo tra i vertici e la base romana. L'uscita di scena forzata dell'ex sindaco ha scavato segni profondi nella pelle del partito. Ma Barca, che ha passato al setaccio i circoli romani e stilato la relazione di cui Orfini si è servito per chiudere 35 circoli su 110, prova a ricucire. "E' vero, parte del Pd si è apertamente schierato contro Marino, fin dall'inizio. Però più sono dure le battaglie che fai e più forti sono quelli che ti attaccano, tanto più i tuoi comportamenti devono essere impeccabili. E' una questione di opportunità e su quello Marino è scivolato". Ma perché non sfiduciarlo in assemblea capitolina, perché cacciarlo con un'operazione extra-consiliare, dettata dai vertici del partito, senza nessuna consultazione con la base? Perché ricorrere a un atto d'imperio?, si chiedono i militanti.
"E' stato un atto di correttezza umana - risponde Barca - perché portarlo in aula per poi sfiduciarlo? A che serve? Ci sono dei momenti in cui bisogna prendere atto che un'esperienza è finita. E' stato un atto di autotutela umana nei confronti del sindaco, ho anche litigato con chi incoraggiava inutilmente Marino ad andare avanti".
L'ex ministro del governo Monti prova a mettere in fila le cause che hanno portato alla situazione attuale. Dopo lo scoppio del bubbone di Mafia Capitale "il Pd ha percorso due strate: da un lato ha commissariato il partito chiudendo alcuni circoli sulla base del lavoro svolto da me e dal mio team nella mappatura; dall'altro ha ridato fiducia alla giunta Marino rafforzandola con gli ingressi di Causi, Rossi Doria, Esposito". Due processi avviati, ma non conclusi. Perché la brusca accelerazione che ha portato all'uscita di scena di Marino li ha stoppati. "Sul fronte del partito io ho dato via alla pars destruens, poi spero che arrivi la part costruens, la riorganizzazione del partito sul territorio. Anche sul fronte amministrativo alcuni risultati ottenuti dalla giunta sono dovuti ai nuovi ingressi, al rafforzamento e quindi al lavoro di commissariamento del Pd. Ma poi la giunta non è riuscita più a lavorare e ad andare avanti".
Una squadra che è riuscita a portare a casa alcuni risultati positivi, riconosce Barca nel ruolo di difensore del Pd davanti a una platea scoraggiata e incredula. "Con Marino c'è stata un'intenzionale discontinuità con il sistema precedente", dice l'ex ministro. "Il tuo linguaggio mi piace, Fabrizio - risponde Nino - ma non è lo stesso linguaggio che usa il partito. E' stata interrotta un'esperienza coraggiosa, si guardi ai Fori, a Malagrotta e ai varchi aperti sul lungomare di Ostia. C'era del buono ma perché è stata messa la parola fine?", si chiede. "Non abbiamo spiegazioni del fallimento". Poi alza il tono della voce: "Non ci nascondiamo e diciamoci la verità: vengano qui e ci spieghino, anzi ci dimostrino che Marino è un incapace. Ce lo devono dimostrare! E' vergognoso quello che hanno fatto". E, ancora, applausi. "C'è democrazia nel Pd? Non credo. E poi il segretario Renzi che deride Chiamparino.... sono cose che può fare Maurizio Crozza, non il segretario del Pd".
Orfini e Renzi sono sotto accusa, e non solo per le vicende romane: "Verso quale partito stiamo andando?", chiede Marco. "Io ho dei dubbi quando Renzi fa una legge sul falso in bilancio ma esclude le valutazioni dal perimetro del reato". La dimostrazione che non è solo il caso Roma a tenere in fibrillazione il partito. Quel partito che manca di "un piano strategico che dia un'anima alla città, quel partito che ha un problema di fiducia", sottolinea Barca, " a prescindere dalle persone che sceglierà di appoggiare in futuro". Perché prima delle persone devono venire "i contenuti".
Eppure a proposito di persone, proprio il nome di Barca è circolato per il dopo-Marino. Nicola, un altro militante, nel suo intervento prova a sollecitare la sua candidatura: "Noi ora ci aspettiamo che dopo tutto questo, tanti dirigenti del Pd si propongano per raccogliere l'eredità lasciata a Roma dal Pd, anche da te ce lo aspettiamo Fabrizio". Il messaggio è chiaro, ma Barca con un gesto della mano come per dire 'siete pazzi' non lascia spazio a molte speranze. Risposta esaustiva. A Trastevere, come ha detto il segretario del circolo Bitonti in apertura dell'assemblea, "il senso di smarrimento è tanto".
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Diario della caduta di un regime.
Da come parla Barca, che speravo che fosse un nome spendibile per rifondare la sinistra, pare che non riconosca quel che di buono c'è stato sulla lotta all'illegalità. Non so poi come si pone con Renzi e dall'altra parte con la sinistra del partito.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Poi uno pensa male…
06/11/2015 di triskel182
Innalzamento della soglia di punibilità per il versamento dell’Iva e per l’evasione fiscale.
3500 processi che vanno in fumo a Milano. Di fatto si rende possibile avere una riserva di nero fino a 300mila euro.
L’elusione fiscale non è più punibile: il processo all’Ilva per presunta evasione da 52 ml salta.
Il falso in bilancio riformato col buco: le valutazioni errate non rientrano più tra i termini della falsificazione. Il sondaggista di B. si è così salvato dal processo.
Il rientro dei capitali salva l’evasore dalle condanne penali: con la volontary disclosure si si pagheranno le tasse arretrate andando indietro di solo 4 anni.
E’ divertente sentire come i signori della maggioranza giustificano queste riforme: ieri ad Otto e mezzo il sottosegretario De Micheli ci ha provato, anche con motlo trasporto.
Non siamo riusciti a contrastare l’evasione, usando i pagamenti elettronici per gli affitti, e allora abbiamo deciso di togliere il vincolo. Come a dire che siccome si continua a rubare, togliamo il reato di corruzione.
E ancora: innalzando la soglia del contante, almeno incasseremo i soldi dall’Iva.
Cioè, il governo spera negli evasori di buon cuore: ma se io incassavo a nero prima, perché dovrei smettere oggi? E vale per i piccoli commercianti come per il pizzo o la mazzetta?
Tutti pagamenti non tracciati, che non finiranno mai in queste benedette banche dati, tirate in ballo dal governo per contrastare il nero.
Oggi, alla radio sentivo del niet del governo alla proposta di Boeri, di tagliare le pensioni d’oro (quelle ancora in retributivo) e usare quei soldi per sostenere i ceti deboli, quelli che hanno perso lavoro.
Il governo teme di perdere consenso elettorale (ma non si dovevav votare nel 2018?): ma chi sono gli elettori a cui si sta rivolgendo il partito della nazione (e il PD)?
Uno poi pensa male…
Da unoenessuno.blogspot.it
06/11/2015 di triskel182
Innalzamento della soglia di punibilità per il versamento dell’Iva e per l’evasione fiscale.
3500 processi che vanno in fumo a Milano. Di fatto si rende possibile avere una riserva di nero fino a 300mila euro.
L’elusione fiscale non è più punibile: il processo all’Ilva per presunta evasione da 52 ml salta.
Il falso in bilancio riformato col buco: le valutazioni errate non rientrano più tra i termini della falsificazione. Il sondaggista di B. si è così salvato dal processo.
Il rientro dei capitali salva l’evasore dalle condanne penali: con la volontary disclosure si si pagheranno le tasse arretrate andando indietro di solo 4 anni.
E’ divertente sentire come i signori della maggioranza giustificano queste riforme: ieri ad Otto e mezzo il sottosegretario De Micheli ci ha provato, anche con motlo trasporto.
Non siamo riusciti a contrastare l’evasione, usando i pagamenti elettronici per gli affitti, e allora abbiamo deciso di togliere il vincolo. Come a dire che siccome si continua a rubare, togliamo il reato di corruzione.
E ancora: innalzando la soglia del contante, almeno incasseremo i soldi dall’Iva.
Cioè, il governo spera negli evasori di buon cuore: ma se io incassavo a nero prima, perché dovrei smettere oggi? E vale per i piccoli commercianti come per il pizzo o la mazzetta?
Tutti pagamenti non tracciati, che non finiranno mai in queste benedette banche dati, tirate in ballo dal governo per contrastare il nero.
Oggi, alla radio sentivo del niet del governo alla proposta di Boeri, di tagliare le pensioni d’oro (quelle ancora in retributivo) e usare quei soldi per sostenere i ceti deboli, quelli che hanno perso lavoro.
Il governo teme di perdere consenso elettorale (ma non si dovevav votare nel 2018?): ma chi sono gli elettori a cui si sta rivolgendo il partito della nazione (e il PD)?
Uno poi pensa male…
Da unoenessuno.blogspot.it
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Re: Diario della caduta di un regime.
E' INUTILE GIRARCI INTORNO,...ORMAI LA LOTTA POLITICA HA TOCCATO IL FONDO
8 nov 2015 17:48
TIPI MAL-DESTRI
- SALVINI HA UNA ALTA STIMA DI ALFANO: "OCCUPATI DEI POLIZIOTTI, CRETINO CHE NON SEI ALTRO, E LASCIA PERDERE LA POLITICA CHE NON FA PER TE"
– E SENZA QUID REPLICA: "SALVINI È SOLO UN INCOLTO QUAQUARAQUÀ"
Il ministro va anche all'attacco dell'ex Cav: "Andare a 80 anni a farsi fischiare da questa gente è una cosa molto triste. Salvini è diventato il suo diretto superiore". Berlusconi, che "ha fatto malissimo ad andare lì" alla manifestazione di Bologna. "La macchina - aggiunge - la guida Salvini"...
ARTICOLO Ansa.it
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 112403.htm
8 nov 2015 17:48
TIPI MAL-DESTRI
- SALVINI HA UNA ALTA STIMA DI ALFANO: "OCCUPATI DEI POLIZIOTTI, CRETINO CHE NON SEI ALTRO, E LASCIA PERDERE LA POLITICA CHE NON FA PER TE"
– E SENZA QUID REPLICA: "SALVINI È SOLO UN INCOLTO QUAQUARAQUÀ"
Il ministro va anche all'attacco dell'ex Cav: "Andare a 80 anni a farsi fischiare da questa gente è una cosa molto triste. Salvini è diventato il suo diretto superiore". Berlusconi, che "ha fatto malissimo ad andare lì" alla manifestazione di Bologna. "La macchina - aggiunge - la guida Salvini"...
ARTICOLO Ansa.it
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 112403.htm
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Re: Diario della caduta di un regime.
ULTIMO ATTO ????????
Per chi ha memoria, si stanno ripedendo negli ultimi venti giorni le stesse vicende serrate degli ultimi anni ottanta e inizio anni novanta.
Non passava allora e non passa oggi un giorno senza scandali.
- All'Aquila arrestato il vice sindaco PD, renziano.
- Ieri è emersa l'indagine di Guariniello sull'olio d'oliva truccato.
- Vincenzo De Luca indagato per corruzione
“Pressioni sul magistrato per salvarsi il posto”
Inchiesta a Roma, coinvolto anche il magistrato che accolse il ricorso del governatore contro la ‘Severino’
Ipotesi di uno scambio con incarichi in ospedali – Quando il suo capo segreteria scalciò cronista (video)
^^
Vincenzo De Luca indagato, “pressioni sul giudice per salvarsi il posto”
Il presidente della Regione Campania è iscritto per corruzione per induzione. Secondo la procura di Roma, insieme al braccio destro Mastursi (che si è dimesso lunedì) ha pilotato la decisione sulla propria sospensione ottenendo il reintegro
di F. Q. | 11 novembre 2015
Vincenzo De Luca è indagato insieme al giudice che a luglio ne ha sentenziato la permanenza alla carica di governatore della Campania, congelando gli effetti della legge Severino. È il clamoroso sviluppo dell’inchiesta che ha toccato nei giorni scorsi il capo della segreteria di De Luca, Carmelo “Nello” Mastursi, dimessosi l’altroieri dopo aver subito una perquisizione. La grana giudiziaria arriva dalla Procura di Roma. De Luca, insieme ad altre sei persone, è stato iscritto nell’ambito di una vicenda che attraversa il contenzioso giudiziario collegato alla legge Severino, che prevedeva la sua sospensione dalla carica per una condanna a un anno per abuso d’ufficio a Salerno.
Gli indagati sono sette: oltre a De Luca e Mastursi, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio e corruzione, sono stati iscritti anche il giudice del Tribunale civile di Napoli, Anna Scognamiglio, suo marito Guglielmo Manna, due infermieri dell’ospedale pediatrico Santobono-Pausilippon di Napoli, Gianfranco Brancaccio e Giorgio Poziello, e un dirigente politico di una lista di De Luca alle regionali, Giuseppe Vetrano.
Al centro dell’inchiesta, arrivata a Roma per competenza, ci sarebbe infatti l’intervento, ipotetico e da verificare, sul giudice che il 22 luglio ha depositato la sentenza sulla legge Severino che di fatto ha reintegrato De Luca, in cambio di favori o incarichi nel mondo della sanità. Che si tratti di millanterie o fatti penalmente rilevanti lo stabilirà l’inchiesta. La notizia dell’indagine capitolina infatti era iniziata a circolare due giorni fa quando Carmelo Mastursi ha rassegnato le dimissioni. Sui retroscena, De Luca ha minimizzato parlando di “ricostruzioni fantastiche politico-giudiziarie” in merito alle quali, dice, “non perdo neanche dieci secondi”.
Eppure l’inchiesta della procura di Roma, di cui sono titolare l’aggiunto Francesco Caporale, con i sostituti Corrado Fasanelli e Giorgio Orano, racconta un vicenda diversa. Per capirla bisogna fare un passo indietro e tornare a quando i magistrati napoletani intercettano una telefonata di Guglielmo Manna, marito di Anna Scognamiglio, il giudice relatore. Gugliemo Manna è un avvocato napoletano, che ha lavorato anche nel settore affari legali dell’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon. Intercettato per altri fatti, sono proprio le sue parole che inguaiano il giudice. Al telefono con Mastursi avrebbe avanzato richiesta di incarichi o favori nella sanità, promettendo o millantando un intervento sulla moglie. Il ruolo di De Luca e del suo fedelissimo Mastursi sarebbe stato quello di favorire l’incontro, per poi far ottenere al marito del giudice gli incarichi presso l’ospedale pediatrico. Di qui il coinvolgimento dei due infermieri che avrebbero favorito l’appuntamento.
L’inchiesta è solo alle fasi iniziali, ma – secondo indiscrezioni – la procura avrebbe deciso di accelerare le operazioni della squadra mobile di Napoli alla luce del fatto che il prossimo 20 novembre potrebbe esserci lo step finale del giudizio di merito del Tribunale civile sul ricorso di De Luca. Così già 15 giorni fa gli uomini della mobile sono entrati negli uffici di Palazzo Santa Lucia. Ci sono poi tornati lo scorso venerdì, quando hanno acquisito altri atti, oltre a perquisire alcuni cassetti e mobili proprio di Mastursi, sequestrandogli anche il cellulare. Il giorno dopo poi è scattata la perquisizione nella casa salernitana del capo della segreteria.
Insomma bisognava prendere materiale, in vista del prossimo 20 novembre. In questa data potrebbe esserci infatti un altro punto a favore del Governatore proprio sulla sentenza di luglio. All’unanimità, i giudici della prima sezione del tribunale di Napoli all’epoca hanno emesso un provvedimento di 25 pagine nel quale sollevavano alla Consulta quattro dubbi di costituzionalità sulla legge Severino. Una sentenza che allora De Luca accolse con entusiasmo, elogiando “la grande sensibilità giuridica del collegio partenopeo: è una bella pagina di giustizia a tutto merito della magistratura napoletana, cui rendo onore”.
Un commento che adesso – alla luce dell’inchiesta di Roma – diventa ancora più imbarazzante. Intanto per tutta la giornata di ieri, il governatore ha continuato a difendere le ragioni delle dimissioni di Mastursi: “Mi ha comunicato che faceva fatica a reggere il doppio lavoro in segreteria e nell’organizzazione del Pd Campania, alla vigilia di una campagna amministrativa estremamente impegnativa”. E poi ha voluto rincarare la dose: “Ho invidiato Mastursi – ha detto De Luca intervenuto a Radio Kiss Kiss Napoli – perché ha avuto una pubblicità incredibile, neanche fosse Churchill o Cavour”.
di Vincenzo Iurillo e Valeria Pacelli
da Il Fatto Quotidiano dell’11 novembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... o/2208373/
Per chi ha memoria, si stanno ripedendo negli ultimi venti giorni le stesse vicende serrate degli ultimi anni ottanta e inizio anni novanta.
Non passava allora e non passa oggi un giorno senza scandali.
- All'Aquila arrestato il vice sindaco PD, renziano.
- Ieri è emersa l'indagine di Guariniello sull'olio d'oliva truccato.
- Vincenzo De Luca indagato per corruzione
“Pressioni sul magistrato per salvarsi il posto”
Inchiesta a Roma, coinvolto anche il magistrato che accolse il ricorso del governatore contro la ‘Severino’
Ipotesi di uno scambio con incarichi in ospedali – Quando il suo capo segreteria scalciò cronista (video)
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Vincenzo De Luca indagato, “pressioni sul giudice per salvarsi il posto”
Il presidente della Regione Campania è iscritto per corruzione per induzione. Secondo la procura di Roma, insieme al braccio destro Mastursi (che si è dimesso lunedì) ha pilotato la decisione sulla propria sospensione ottenendo il reintegro
di F. Q. | 11 novembre 2015
Vincenzo De Luca è indagato insieme al giudice che a luglio ne ha sentenziato la permanenza alla carica di governatore della Campania, congelando gli effetti della legge Severino. È il clamoroso sviluppo dell’inchiesta che ha toccato nei giorni scorsi il capo della segreteria di De Luca, Carmelo “Nello” Mastursi, dimessosi l’altroieri dopo aver subito una perquisizione. La grana giudiziaria arriva dalla Procura di Roma. De Luca, insieme ad altre sei persone, è stato iscritto nell’ambito di una vicenda che attraversa il contenzioso giudiziario collegato alla legge Severino, che prevedeva la sua sospensione dalla carica per una condanna a un anno per abuso d’ufficio a Salerno.
Gli indagati sono sette: oltre a De Luca e Mastursi, accusato di rivelazione di segreto d’ufficio e corruzione, sono stati iscritti anche il giudice del Tribunale civile di Napoli, Anna Scognamiglio, suo marito Guglielmo Manna, due infermieri dell’ospedale pediatrico Santobono-Pausilippon di Napoli, Gianfranco Brancaccio e Giorgio Poziello, e un dirigente politico di una lista di De Luca alle regionali, Giuseppe Vetrano.
Al centro dell’inchiesta, arrivata a Roma per competenza, ci sarebbe infatti l’intervento, ipotetico e da verificare, sul giudice che il 22 luglio ha depositato la sentenza sulla legge Severino che di fatto ha reintegrato De Luca, in cambio di favori o incarichi nel mondo della sanità. Che si tratti di millanterie o fatti penalmente rilevanti lo stabilirà l’inchiesta. La notizia dell’indagine capitolina infatti era iniziata a circolare due giorni fa quando Carmelo Mastursi ha rassegnato le dimissioni. Sui retroscena, De Luca ha minimizzato parlando di “ricostruzioni fantastiche politico-giudiziarie” in merito alle quali, dice, “non perdo neanche dieci secondi”.
Eppure l’inchiesta della procura di Roma, di cui sono titolare l’aggiunto Francesco Caporale, con i sostituti Corrado Fasanelli e Giorgio Orano, racconta un vicenda diversa. Per capirla bisogna fare un passo indietro e tornare a quando i magistrati napoletani intercettano una telefonata di Guglielmo Manna, marito di Anna Scognamiglio, il giudice relatore. Gugliemo Manna è un avvocato napoletano, che ha lavorato anche nel settore affari legali dell’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon. Intercettato per altri fatti, sono proprio le sue parole che inguaiano il giudice. Al telefono con Mastursi avrebbe avanzato richiesta di incarichi o favori nella sanità, promettendo o millantando un intervento sulla moglie. Il ruolo di De Luca e del suo fedelissimo Mastursi sarebbe stato quello di favorire l’incontro, per poi far ottenere al marito del giudice gli incarichi presso l’ospedale pediatrico. Di qui il coinvolgimento dei due infermieri che avrebbero favorito l’appuntamento.
L’inchiesta è solo alle fasi iniziali, ma – secondo indiscrezioni – la procura avrebbe deciso di accelerare le operazioni della squadra mobile di Napoli alla luce del fatto che il prossimo 20 novembre potrebbe esserci lo step finale del giudizio di merito del Tribunale civile sul ricorso di De Luca. Così già 15 giorni fa gli uomini della mobile sono entrati negli uffici di Palazzo Santa Lucia. Ci sono poi tornati lo scorso venerdì, quando hanno acquisito altri atti, oltre a perquisire alcuni cassetti e mobili proprio di Mastursi, sequestrandogli anche il cellulare. Il giorno dopo poi è scattata la perquisizione nella casa salernitana del capo della segreteria.
Insomma bisognava prendere materiale, in vista del prossimo 20 novembre. In questa data potrebbe esserci infatti un altro punto a favore del Governatore proprio sulla sentenza di luglio. All’unanimità, i giudici della prima sezione del tribunale di Napoli all’epoca hanno emesso un provvedimento di 25 pagine nel quale sollevavano alla Consulta quattro dubbi di costituzionalità sulla legge Severino. Una sentenza che allora De Luca accolse con entusiasmo, elogiando “la grande sensibilità giuridica del collegio partenopeo: è una bella pagina di giustizia a tutto merito della magistratura napoletana, cui rendo onore”.
Un commento che adesso – alla luce dell’inchiesta di Roma – diventa ancora più imbarazzante. Intanto per tutta la giornata di ieri, il governatore ha continuato a difendere le ragioni delle dimissioni di Mastursi: “Mi ha comunicato che faceva fatica a reggere il doppio lavoro in segreteria e nell’organizzazione del Pd Campania, alla vigilia di una campagna amministrativa estremamente impegnativa”. E poi ha voluto rincarare la dose: “Ho invidiato Mastursi – ha detto De Luca intervenuto a Radio Kiss Kiss Napoli – perché ha avuto una pubblicità incredibile, neanche fosse Churchill o Cavour”.
di Vincenzo Iurillo e Valeria Pacelli
da Il Fatto Quotidiano dell’11 novembre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11 ... o/2208373/
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- Iscritto il: 22/02/2012, 10:21
Re: Diario della caduta di un regime.
Come direbbe Montalbano: "... si va a schifio ..."
da www.repubblica.it
De Luca: "Mastursi ha sbagliato. Manna? Uno dei mille che si propongono"
Il governatore scarica il suo collaboratore e rilancia: "Chi mi assedia riceverà olio bollente". E la giudice che lo avrebbe agevolato sugli effetti della legge Severino rischia il trasferimento d'ufficio
da www.repubblica.it
De Luca: "Mastursi ha sbagliato. Manna? Uno dei mille che si propongono"
Il governatore scarica il suo collaboratore e rilancia: "Chi mi assedia riceverà olio bollente". E la giudice che lo avrebbe agevolato sugli effetti della legge Severino rischia il trasferimento d'ufficio
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