La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
La Stampa 8.12.15
Il prossimo choc può toccare alla Germania
di Bill Emmott
L’unica cosa scioccante del voto di domenica alle elezioni regionali francesi per il Fn, un partito di estrema destra, è che chiunque, in campo politico o giornalistico, possa dirsene scioccato. L’ascesa del partito nazionalista e anti immigrati di Marine Le Pen era lo sviluppo in assoluto più prevedibile della politica francese ben prima che le atrocità commesse dai terroristi a Parigi il 13 novembre ne dessero la certezza. Il pericolo insito nel dirsene scioccati è ciò che implica in termini di negazione, accondiscendenza e mancanza di preparazione della politica ufficiale.
Questo è un fenomeno europeo e non solo francese. È già stato osservato in Danimarca, Svezia, Olanda, Polonia, Regno Unito e, con il revival della Lega Nord, in Italia, e in molti altri Paesi. A volte, come in Spagna e in Grecia, la ribellione contro i partiti istituzionali, vira verso l’estrema sinistra. Ma con 25 milioni di disoccupati nell’Ue, oltre un milione di rifugiati solo in questo ultimo anno, e con la paura del terrorismo che tiene sotto scacco il continente, non c’è da meravigliarsi che il fenomeno prenda la piega dell’estrema destra.
Innanzitutto l’ascesa dell’estrema destra è la risposta all’apparente incapacità e impotenza dei leader tradizionali. Bisogna sopportare la crisi economica, dicono e così l’austerità fiscale. La crisi dei migranti li ha colti di sorpresa, si sono trovati come i Keystone Kops, intenti a barcamenarsi tra soluzioni nazionalistiche e una fragile aspirazione a un approccio comunitario. Solo sugli atti di terrorismo c’è stata una sorta di risposta - una risposta che agli occhi di molti votanti è arrivata troppo tardi.
La domanda a cui ora non c’è risposta è fin dove arriverà questa rimonta dell’estrema destra. La risposta onesta è che dipende da cosa accadrà da ora in poi in termini di crescita economica, gestione del fenomeno dell’immigrazione e terrorismo. La presunzione più pericolosa sarebbe pensare che il quasi 28% raggiunto dal Fronte nazionale a queste elezioni regionali in Francia rappresenti il massimo cui si può arrivare. Può arrivare più in alto, molto più in alto. È anche ipotizzabile – anche se non è probabile – che Marine Le Pen vinca le presidenziali a maggio 2017.
Inoltre, il paese che potrebbe subire il prossimo «choc» potrebbe essere il più importante d’Europa, la Germania. Potrebbe anche non essere direttamente in termini di voti per l’equivalente del Fronte Nazionale, anche se il fin qui piccolo partito dell’Alternativ Für Deutschland appare molto sicuro di sé. Ma si potrebbe trattare di una ribellione contro la cancelliera Angela Merkel all’interno del suo stesso partito, la Cdu-Csu, sui temi dell’immigrazione.
La domanda più facile cui rispondere è come dovrebbero rispondere i partiti al governo e i loro leader, cancelliera Merkel, inclusa. Fin qui, come dimostra la decisione della Svezia di chiudere il famoso ponte che la collega alla Danimarca, in modo da scoraggiare i rifugiati, stanno agendo in preda al panico, mutuando le politiche anti-immigranti dei loro avversari politici.
Una risposta migliore sarebbe dimostrare che i sistemi tradizionali, inclusa la cooperazione nell’ambito dell’Unione, non sono dopotutto inutili o inefficaci se usati con forza e determinazione. Questo vale in primo luogo per l’economia, là dove Francia e Germania dovrebbero, eventualmente anche con la collaborazione della Gran Bretagna, lanciare un nuovo programma europeo di investimenti pubblici per le infrastrutture, in particolare un progetto congiunto per l’elettricità. Sarebbe un buon strumento per affrontare il cambiamento climatico, poiché darebbe ai paesi dell’Unione la possibilità di condividere in modo più efficiente il surplus di energie rinnovabili e creerebbe immediatamente nuovi posti di lavoro.
Maggiori risorse sarebbero anche la migliore risposta alla crisi dei migranti là dove gli sforzi per formare una forza di confine europea, adeguati centri di accoglienza per i migranti e una rete di collaborazione nel Mediterraneo sono stati mal finanziati e mal diretti. L’Europa può permetterselo? Sì, con una discreta ripresa economica che porta a qualche progresso nelle entrate fiscali ma anche con i minori tassi di sconto per i governi da due secoli a questa parte.
La parte più difficile è dare una risposta convincente al terrorismo, che è un obiettivo nascosto e sfuggente. Anche qui, tuttavia, parte della risposta è una franca collaborazione in termini di politica e di intelligence, e di volontà di fare tutto ciò che occorre per fare sì che le persone si sentano sicure. Così lo è una soluzione per la Siria ma il denaro non basta.
Una cosa soprattutto bisogna tenere a mente. Se si ha paura dello Stato Islamico si dovrebbe avere ancora più paura di una presidenza di Marine Le Pen. Sarebbe davvero la fine dell’Europa aperta e liberale costruita con tanta fatica in questi ultimi 70 anni.
Traduzione di Carla Reschia
Il prossimo choc può toccare alla Germania
di Bill Emmott
L’unica cosa scioccante del voto di domenica alle elezioni regionali francesi per il Fn, un partito di estrema destra, è che chiunque, in campo politico o giornalistico, possa dirsene scioccato. L’ascesa del partito nazionalista e anti immigrati di Marine Le Pen era lo sviluppo in assoluto più prevedibile della politica francese ben prima che le atrocità commesse dai terroristi a Parigi il 13 novembre ne dessero la certezza. Il pericolo insito nel dirsene scioccati è ciò che implica in termini di negazione, accondiscendenza e mancanza di preparazione della politica ufficiale.
Questo è un fenomeno europeo e non solo francese. È già stato osservato in Danimarca, Svezia, Olanda, Polonia, Regno Unito e, con il revival della Lega Nord, in Italia, e in molti altri Paesi. A volte, come in Spagna e in Grecia, la ribellione contro i partiti istituzionali, vira verso l’estrema sinistra. Ma con 25 milioni di disoccupati nell’Ue, oltre un milione di rifugiati solo in questo ultimo anno, e con la paura del terrorismo che tiene sotto scacco il continente, non c’è da meravigliarsi che il fenomeno prenda la piega dell’estrema destra.
Innanzitutto l’ascesa dell’estrema destra è la risposta all’apparente incapacità e impotenza dei leader tradizionali. Bisogna sopportare la crisi economica, dicono e così l’austerità fiscale. La crisi dei migranti li ha colti di sorpresa, si sono trovati come i Keystone Kops, intenti a barcamenarsi tra soluzioni nazionalistiche e una fragile aspirazione a un approccio comunitario. Solo sugli atti di terrorismo c’è stata una sorta di risposta - una risposta che agli occhi di molti votanti è arrivata troppo tardi.
La domanda a cui ora non c’è risposta è fin dove arriverà questa rimonta dell’estrema destra. La risposta onesta è che dipende da cosa accadrà da ora in poi in termini di crescita economica, gestione del fenomeno dell’immigrazione e terrorismo. La presunzione più pericolosa sarebbe pensare che il quasi 28% raggiunto dal Fronte nazionale a queste elezioni regionali in Francia rappresenti il massimo cui si può arrivare. Può arrivare più in alto, molto più in alto. È anche ipotizzabile – anche se non è probabile – che Marine Le Pen vinca le presidenziali a maggio 2017.
Inoltre, il paese che potrebbe subire il prossimo «choc» potrebbe essere il più importante d’Europa, la Germania. Potrebbe anche non essere direttamente in termini di voti per l’equivalente del Fronte Nazionale, anche se il fin qui piccolo partito dell’Alternativ Für Deutschland appare molto sicuro di sé. Ma si potrebbe trattare di una ribellione contro la cancelliera Angela Merkel all’interno del suo stesso partito, la Cdu-Csu, sui temi dell’immigrazione.
La domanda più facile cui rispondere è come dovrebbero rispondere i partiti al governo e i loro leader, cancelliera Merkel, inclusa. Fin qui, come dimostra la decisione della Svezia di chiudere il famoso ponte che la collega alla Danimarca, in modo da scoraggiare i rifugiati, stanno agendo in preda al panico, mutuando le politiche anti-immigranti dei loro avversari politici.
Una risposta migliore sarebbe dimostrare che i sistemi tradizionali, inclusa la cooperazione nell’ambito dell’Unione, non sono dopotutto inutili o inefficaci se usati con forza e determinazione. Questo vale in primo luogo per l’economia, là dove Francia e Germania dovrebbero, eventualmente anche con la collaborazione della Gran Bretagna, lanciare un nuovo programma europeo di investimenti pubblici per le infrastrutture, in particolare un progetto congiunto per l’elettricità. Sarebbe un buon strumento per affrontare il cambiamento climatico, poiché darebbe ai paesi dell’Unione la possibilità di condividere in modo più efficiente il surplus di energie rinnovabili e creerebbe immediatamente nuovi posti di lavoro.
Maggiori risorse sarebbero anche la migliore risposta alla crisi dei migranti là dove gli sforzi per formare una forza di confine europea, adeguati centri di accoglienza per i migranti e una rete di collaborazione nel Mediterraneo sono stati mal finanziati e mal diretti. L’Europa può permetterselo? Sì, con una discreta ripresa economica che porta a qualche progresso nelle entrate fiscali ma anche con i minori tassi di sconto per i governi da due secoli a questa parte.
La parte più difficile è dare una risposta convincente al terrorismo, che è un obiettivo nascosto e sfuggente. Anche qui, tuttavia, parte della risposta è una franca collaborazione in termini di politica e di intelligence, e di volontà di fare tutto ciò che occorre per fare sì che le persone si sentano sicure. Così lo è una soluzione per la Siria ma il denaro non basta.
Una cosa soprattutto bisogna tenere a mente. Se si ha paura dello Stato Islamico si dovrebbe avere ancora più paura di una presidenza di Marine Le Pen. Sarebbe davvero la fine dell’Europa aperta e liberale costruita con tanta fatica in questi ultimi 70 anni.
Traduzione di Carla Reschia
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Re: La crisi dell'Europa
il manifesto 9.12.15
Martin Schulz: «Siamo sull’orlo del collasso»
Europa. In un’intervista collettiva a Bruxelles, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si esprime contro le politiche di chiusura sul tema dei migranti: «Ci sono forze che vogliono riportarci indietro, all’epoca degli Stati nazione. Sono preoccupato per questa situazione»
intervista di Carlo Lania
BRUXELLES «L’Unione europea sta vivendo il suo momento forse più drammatico dai giorni dell’unificazione e dell’allargamento all’Europa orientale. Ci sono forze che vogliono riportare l’Europa indietro agli Stati nazione. Sono preoccupato per questa situazione».
Non usa mezzi termini Martin Schulz per descrivere il momento di estrema difficoltà che l’Unione europea sta vivendo da mesi. I motivi di esserlo, secondo il presidente del parlamento europeo, sono molteplici: l’avanzata delle forze populiste in molti paesi dell’Unione (come hanno appena dimostrato le elezioni regionali francesi), la crisi dei migranti, che ogni giorno presenta il conto con naufragi e vittime e il terrorismo.
Tutti fattori di forte instabilità ai quali si somma, ed è forse l’elemento di inquietudine più forte, la scarsa collaborazione tra paesi che, in quanto membri della stessa comunità politica, anziché trovare strategie comuni sembrano voler andare sempre più ognuno per la sua strada.
«L’Europa è sull’orlo del collasso», avverte quindi Schulz che a Bruxelles accetta di sottoporsi a un’intervista collettiva da parte di giornalisti di tutta Europa. In un giorno in cui, per di più, bisogna registrare l’ennesima strage di migranti lungo le coste della Turchia, con sei bambini morti nel tentativo di approdare ad una vita migliore.
«Manca la volontà di collaborare nell’aiutare i rifugiati», denuncia Schulz facendo riferimento, pur senza citarli mai, ai paesi dell’est contrari alla politica di ricollocamento voluta da Bruxelles.
«Abbiamo di fronte persone che scappano dal terrorismo, dal regime di Assad e che vengono da noi senza avere più niente, solo con i bambini in mano. Dobbiamo accogliere queste persone, ma è chiaro che non possiamo faro con tutti: dobbiamo controllare caso per caso chi ha diritto all’asilo e chi no. Un milione di persone divise per 500 milioni di abitanti dell’Unione europea non rappresentano un problema. Ma se alcuni stati membri si rifiutano di accoglierli, allora sono un problema. Per questo dobbiamo rendere più sicuri in confini esterni dell’Unione, in modo da continuare a garantire la libera circolazione attraverso i confini interni».
Nel corso dell’intervista collettiva a Bruxelles, il presidente del parlamento europeo ha affrontato vari temi: gli hotspot, la pressione dell’Unione europea per una maggiore collaborazione tra gli Stati membri, la divisione dei migranti, considerando il desiderio maggioritario di recarsi presso paesi ben precisi, Germania e Nord Europa, fino ad arrivare alla possibilità che si realizzi una mini-Shangen e alle problematiche determinate dall’atteggiamento di alcuni paesi dell’est, come ad esempio Macedonia e Ungheria.
Presidente, Italia e Grecia stanno aprendo gli hotspot: è davvero questa la strada per risolvere la crisi dei rifugiati?
No, gli hotspot non sono la soluzione alla crisi, ma dobbiamo avere un sistema che funziona meglio di quanto non accada oggi. Per questo occorre far funzionare il meccanismo dei ricollocamenti.
Cosa può fare l’Unione europea per garantire sicurezza ai suoi cittadini e allo stesso tempo aiutare i rifugiati?
Come Unione europea stiamo facendo pressione sugli Stati membri perché collaborino di più nello scambio di informazioni. Il problema è che siamo aun punto così drammatico che paesi come la Danimarca fanno un referendum per chiedere ai propri cittadini se avere oppure no una maggiore collaborazione tra gli stati membri sulla sicurezza, e i cittadni hanno detto no (posizione sostenuta dal Partito Popolare, formazione euro scettica e anti immigrati, ndr). E’ incredibile. Questo voto dimostra che i citatdini danno la colpa all’Ue di quanto sta accadendo. Cercano capri espiatori ma non danno mai soluzioni. La situazione è complicata e il nostro compito è di trovare delle risposte adeguate cosa che i partiti populisti non fanno. Bisogna tener conto che i movimenti estremisti di destra in Francia, Belgio, Germania, esistevano prima della crisi dei rifugiati.
Che senso ha distribuire i rifugiati tra i 28 paesi se poi le popolazioni che migrano in realtà hanno un unico desiderio, ovvero spostarsi e vivere tutti in Germania e in Svezia?
I rifugiati hanno diritto a essere protetti. Se ci deve essere una risposta europea allora chi chiede aiuto deve riceverlo in Ungheria come in Germania. Io dico no all’Europa come una fortezza, ma ci sono alcuni Stati che si comportano come una fortezza
Il sistema dei ricollocamenti può essere considerato come la soluzione giusta?
Non è la panacea di tutti i mali ma stiamo andando nella direzione giusta. Il problema è che i flusso dei migranti non diminuirà fino a quando continuerà la guerra civile in Siria e la regione resterà destabilizzata. Per questo serve un sistema che consenta di ricevere i profughi, ma se non riusciamo a distribuire le 160 mila persone sulle quali abbiamo già un accordo, come faremo ad accoglierne altri? L’Unione europea non ha certo il carico maggiore di rifugiati. La Giordania ne ha 2 milioni, un paese piccolo come il Libano più di un milione. Servono soldi per gestire questa emergenza. Nell’estate del 2015 l’Unhcr e il World Program hanno dovuto ridurre la spesa pro capite per i rifugiati a 50 centesimi al giorno. Servono soldi e faccio un appello agli stati membri perché contribuiscano di più.
Si realizzerà una mini-Schengen?
Non penso che una mini-Schengen rappresenti una soluzione. Se la facessimo, o se reintroducessimo controlli sistematici alle frontiere divideremmo l’Unione europea. Non sono dibattiti interessanti. Il Front national propone di chiudere le frontiere, ma ci sono centinaia di migliaia di frontalieri che se davvero lo facessimo la mattina non potrebbero più andare a lavorare. E si bloccherebbero anche le merci, perché non potremmo fermare le persone e non i camion. Perderemmo tutti i beni ai quali siamo abituati oggi.
L’Ungheria e la Macedonia però hanno chiuso i loro confini.
È un peccato. Si tratta della reazione all’incapacità degli stati membri a mettersi d’accordo sui ricollocamenti. I paesi più piccoli come la Macedonia e la Slovenia si trovano in una situazione che non riescono a controllare. Ma tutti i paesi membri devono capire che il prezzo più alto di questa situazione così drammatica lo pagano i rifugiati, le persone che stanno fuggendo dal terrorismo.
Martin Schulz: «Siamo sull’orlo del collasso»
Europa. In un’intervista collettiva a Bruxelles, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz si esprime contro le politiche di chiusura sul tema dei migranti: «Ci sono forze che vogliono riportarci indietro, all’epoca degli Stati nazione. Sono preoccupato per questa situazione»
intervista di Carlo Lania
BRUXELLES «L’Unione europea sta vivendo il suo momento forse più drammatico dai giorni dell’unificazione e dell’allargamento all’Europa orientale. Ci sono forze che vogliono riportare l’Europa indietro agli Stati nazione. Sono preoccupato per questa situazione».
Non usa mezzi termini Martin Schulz per descrivere il momento di estrema difficoltà che l’Unione europea sta vivendo da mesi. I motivi di esserlo, secondo il presidente del parlamento europeo, sono molteplici: l’avanzata delle forze populiste in molti paesi dell’Unione (come hanno appena dimostrato le elezioni regionali francesi), la crisi dei migranti, che ogni giorno presenta il conto con naufragi e vittime e il terrorismo.
Tutti fattori di forte instabilità ai quali si somma, ed è forse l’elemento di inquietudine più forte, la scarsa collaborazione tra paesi che, in quanto membri della stessa comunità politica, anziché trovare strategie comuni sembrano voler andare sempre più ognuno per la sua strada.
«L’Europa è sull’orlo del collasso», avverte quindi Schulz che a Bruxelles accetta di sottoporsi a un’intervista collettiva da parte di giornalisti di tutta Europa. In un giorno in cui, per di più, bisogna registrare l’ennesima strage di migranti lungo le coste della Turchia, con sei bambini morti nel tentativo di approdare ad una vita migliore.
«Manca la volontà di collaborare nell’aiutare i rifugiati», denuncia Schulz facendo riferimento, pur senza citarli mai, ai paesi dell’est contrari alla politica di ricollocamento voluta da Bruxelles.
«Abbiamo di fronte persone che scappano dal terrorismo, dal regime di Assad e che vengono da noi senza avere più niente, solo con i bambini in mano. Dobbiamo accogliere queste persone, ma è chiaro che non possiamo faro con tutti: dobbiamo controllare caso per caso chi ha diritto all’asilo e chi no. Un milione di persone divise per 500 milioni di abitanti dell’Unione europea non rappresentano un problema. Ma se alcuni stati membri si rifiutano di accoglierli, allora sono un problema. Per questo dobbiamo rendere più sicuri in confini esterni dell’Unione, in modo da continuare a garantire la libera circolazione attraverso i confini interni».
Nel corso dell’intervista collettiva a Bruxelles, il presidente del parlamento europeo ha affrontato vari temi: gli hotspot, la pressione dell’Unione europea per una maggiore collaborazione tra gli Stati membri, la divisione dei migranti, considerando il desiderio maggioritario di recarsi presso paesi ben precisi, Germania e Nord Europa, fino ad arrivare alla possibilità che si realizzi una mini-Shangen e alle problematiche determinate dall’atteggiamento di alcuni paesi dell’est, come ad esempio Macedonia e Ungheria.
Presidente, Italia e Grecia stanno aprendo gli hotspot: è davvero questa la strada per risolvere la crisi dei rifugiati?
No, gli hotspot non sono la soluzione alla crisi, ma dobbiamo avere un sistema che funziona meglio di quanto non accada oggi. Per questo occorre far funzionare il meccanismo dei ricollocamenti.
Cosa può fare l’Unione europea per garantire sicurezza ai suoi cittadini e allo stesso tempo aiutare i rifugiati?
Come Unione europea stiamo facendo pressione sugli Stati membri perché collaborino di più nello scambio di informazioni. Il problema è che siamo aun punto così drammatico che paesi come la Danimarca fanno un referendum per chiedere ai propri cittadini se avere oppure no una maggiore collaborazione tra gli stati membri sulla sicurezza, e i cittadni hanno detto no (posizione sostenuta dal Partito Popolare, formazione euro scettica e anti immigrati, ndr). E’ incredibile. Questo voto dimostra che i citatdini danno la colpa all’Ue di quanto sta accadendo. Cercano capri espiatori ma non danno mai soluzioni. La situazione è complicata e il nostro compito è di trovare delle risposte adeguate cosa che i partiti populisti non fanno. Bisogna tener conto che i movimenti estremisti di destra in Francia, Belgio, Germania, esistevano prima della crisi dei rifugiati.
Che senso ha distribuire i rifugiati tra i 28 paesi se poi le popolazioni che migrano in realtà hanno un unico desiderio, ovvero spostarsi e vivere tutti in Germania e in Svezia?
I rifugiati hanno diritto a essere protetti. Se ci deve essere una risposta europea allora chi chiede aiuto deve riceverlo in Ungheria come in Germania. Io dico no all’Europa come una fortezza, ma ci sono alcuni Stati che si comportano come una fortezza
Il sistema dei ricollocamenti può essere considerato come la soluzione giusta?
Non è la panacea di tutti i mali ma stiamo andando nella direzione giusta. Il problema è che i flusso dei migranti non diminuirà fino a quando continuerà la guerra civile in Siria e la regione resterà destabilizzata. Per questo serve un sistema che consenta di ricevere i profughi, ma se non riusciamo a distribuire le 160 mila persone sulle quali abbiamo già un accordo, come faremo ad accoglierne altri? L’Unione europea non ha certo il carico maggiore di rifugiati. La Giordania ne ha 2 milioni, un paese piccolo come il Libano più di un milione. Servono soldi per gestire questa emergenza. Nell’estate del 2015 l’Unhcr e il World Program hanno dovuto ridurre la spesa pro capite per i rifugiati a 50 centesimi al giorno. Servono soldi e faccio un appello agli stati membri perché contribuiscano di più.
Si realizzerà una mini-Schengen?
Non penso che una mini-Schengen rappresenti una soluzione. Se la facessimo, o se reintroducessimo controlli sistematici alle frontiere divideremmo l’Unione europea. Non sono dibattiti interessanti. Il Front national propone di chiudere le frontiere, ma ci sono centinaia di migliaia di frontalieri che se davvero lo facessimo la mattina non potrebbero più andare a lavorare. E si bloccherebbero anche le merci, perché non potremmo fermare le persone e non i camion. Perderemmo tutti i beni ai quali siamo abituati oggi.
L’Ungheria e la Macedonia però hanno chiuso i loro confini.
È un peccato. Si tratta della reazione all’incapacità degli stati membri a mettersi d’accordo sui ricollocamenti. I paesi più piccoli come la Macedonia e la Slovenia si trovano in una situazione che non riescono a controllare. Ma tutti i paesi membri devono capire che il prezzo più alto di questa situazione così drammatica lo pagano i rifugiati, le persone che stanno fuggendo dal terrorismo.
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Re: La crisi dell'Europa
camillobenso ha scritto:il manifesto 9.12.15
Martin Schulz: «Siamo sull’orlo del collasso»È un peccato. Si tratta della reazione all’incapacità degli stati membri a mettersi d’accordo sui ricollocamenti. I paesi più piccoli come la Macedonia e la Slovenia si trovano in una situazione che non riescono a controllare. ............
....Ma tutti i paesi membri devono capire che il prezzo più alto di questa situazione così drammatica lo pagano i rifugiati, le persone che stanno fuggendo dal terrorismo.
Ma queste alte cariche europee sono a questo livello? E perdipiù si definiscono socialdemocratiche?Ma tutti i paesi membri devono capire che il prezzo più alto di questa situazione così drammatica lo pagano i rifugiati, le persone che stanno fuggendo dal terrorismo
Parlano continuamente degli effetti ma non delle cause.
Perché tutto questo? Ignoranza o sfacciataggine, per non tirar fuori un altro termine che subito sarei col cartellino rosso.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: La crisi dell'Europa
Martin Schulz: «Siamo sull’orlo del collasso»
Se ne accorge ora ma credo sia troppo tardi.
I politicanti europei e non solo, sono solo degli affaristi.
Fanno gli stessi errori per cui nel secolo scorso nacque sia il fascismo che il nazismo.
Non analizzare le cause che hanno portato ai disastri del secolo scorso fa si che possano ripetersi anche oggi.
Qualcuno mi potrebbe ripetere qualche analisi fatta ora o anche nel secolo scorso sulle cause dell'antisemitismo, fascismo e nazismo?
A queste affermazioni di Shulz, potrei riderci sopra ma purtroppo non me lo posso permettere di questi tempi.
Un salutone
Se ne accorge ora ma credo sia troppo tardi.
I politicanti europei e non solo, sono solo degli affaristi.
Fanno gli stessi errori per cui nel secolo scorso nacque sia il fascismo che il nazismo.
Non analizzare le cause che hanno portato ai disastri del secolo scorso fa si che possano ripetersi anche oggi.
Qualcuno mi potrebbe ripetere qualche analisi fatta ora o anche nel secolo scorso sulle cause dell'antisemitismo, fascismo e nazismo?
A queste affermazioni di Shulz, potrei riderci sopra ma purtroppo non me lo posso permettere di questi tempi.
Un salutone
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Re: La crisi dell'Europa
L'ora degli estremismi
Tilolo del Tg7 ore 13,30.
Valls: "SE VINCE IL "FN" RISCHIO GUERRA CIVILE"
Eh la madonna!!!!
https://www.google.it/search?q=oh+la+ma ... 1ZWpS7I%3D
Tilolo del Tg7 ore 13,30.
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Re: La crisi dell'Europa
Il successo del Front National viene da lontano.
Da un popolo che non si sente più rappresentato
dalla sinistra. E sceglie la protesta antisistema
Inizia da Parigi il lungo
inverno europeo
L’EUROPA SI DISSOLVE nelle urne
francesi. Con il voto democratico,
ovvero lo strumento più sosticato e
popolare che la nazione dei Lumi
abbia regalato alla modernità. Il successo
del duo Le Pen, zia e nipote, è
suffragato da un vasto consenso elettorale,
libero, legittimo, incontrovertibile.
Che viene da lontano, maturato
ben prima dello choc provocato dal
massacro terrorista del 13 novembre.
È il paradosso rappresentato dalle
elezioni regionali francesi. L’esercizio
della democrazia premia un partito
razzista, xenofobo, nazionalista. Poco
o nulla democratico. Il Front National
è sovranista e dunque ostile
all’Europa unita. Dagli errori politico-
economici e dall’insopportabile
burocratizzazione delle istituzioni
comunitarie di Bruxelles il Front trova
argomenti e forza per radicalizzare
le proprie posizioni antisistema. È il
secondo paradosso di questa stagione
politica: più l’Europa pesa nelle vite
dei cittadini europei, più cresce un
sentimento di ripulsa verso l’Unione.
Per questo il risultato di domenica
6 dicembre va oltre il numero di regioni
che il partito lepenista è in grado
di conquistare ai ballottaggi. La
campana suona per tutte le forze
tradizionali, di sinistra o conservatrici
che siano, in tutti i Paesi europei. I
dati in percentuale sono impietosi,
pur con la tara dell’astensionismo (un
francese su due non si è recato alle
urne): il Front National ha conquistato
il 27,7 per cento; Les Républicains
di Sarkozy il 26,6; i socialisti di Hollande
il 23,1.
Marine Le Pen racconta il suo successo
come «la rivolta del popolo contro
le élite». Può diventare il titolo di un
manifesto del populismo montante in
tutto il Vecchio Continente. È la contrapposizione
tra la massa dell’uomo
qualunque vessato e tartassato e la casta
politico-tecnocratica-intellettuale
che ha modellato una struttura di Europa
sul valore della moneta anziché
sui valori ideali dell’Occidente. Un superpotere
transnazionale, politicamente
irresponsabile, capace di accapigliarsi
per mesi sullo zero-virgola-qualcosa,
ma imbelle nel gestire il dramma dei
migranti prima e di contrastare la minaccia
jihadista ora. Europa matrigna,
odiosa, lontana. La cui identità si afferma
per negazione, come dice il politologo
Ilvo Diamanti al nostro Gigi Riva
(pagina 20).
SE QUESTO SENTIMENTO si è radicato
in Francia, paese fondatore del primo
nucleo a sei, ormai più di mezzo secolo
fa, il pericolo serpeggia in forme
diverse in tutti i 28 Paesi dell’attuale
Ue, una comunità di 500 milioni di
abitanti. Le famiglie politiche europee,
socialdemocratici e cristiano-popolari,
sono culturalmente impreparate
e subiscono l’iniziativa dei partiti
populisti. Otto anni di incessante
crisi economica hanno ridisegnato la
fisionomia delle forze politiche in
campo un po’ dovunque, con l’eccezione
della Germania. E si spiega: la
Grande Crisi ha fatto emergere
un’Europa tedesca, più che una Germania
europea. Giusta o sbagliata
che sia questa percezione, così l’hanno
vissuta i tedeschi guidati con mano
ferma da “Mutti” Merkel; così l’hanno
subita i cittadini delle nazioni alleate.
Il tonfo della sinistra e del centrodestra
francesi sono l’epifenomeno
di quel che cova anche altrove.
IL POPULISMO, per sua natura, usa argomenti
facili, netti, senza dubbi di
fronte alle incognite di un mondo sempre
più difcile da leggere e interpretare.
Il popolo, per un partito come il Fn,
ha sempre ragione e lotta contro i privilegi
di chi detiene il potere. Insieme
alle ideologie vanno in crisi gli schemi
classici destra/sinistra, sostituiti da una
nuova contrapposizione sistema/antisistema.
Solo apparentemente non ideologica.
A soffrirne è innanzitutto la
cultura di sinistra prigioniera del suo
passato. E scopre smarrita che i ceti più
popolari sono attratti dalle parole d’ordine
del populismo, non si sentono
tutelati di fronte a una deriva oligarchica
della democrazia, vedono un peggioramento
delle condizioni di vita causato
dal prolungarsi della recessione. Insomma
le classi lavoratrici e il nuovo
ceto medio proletarizzato hanno
finito per divorziare da una sinistra senza
identità. Destinata alla marginalità.
Senza un blocco sociale di riferimento
(Gramsci) e senza forze morali per un
programma di rinnovamento (Croce),
l’inverno europeo sarà lungo.
Luigi Vicinanza
Editoriale http://www.lespresso.it - @vicinanzal
Da un popolo che non si sente più rappresentato
dalla sinistra. E sceglie la protesta antisistema
Inizia da Parigi il lungo
inverno europeo
L’EUROPA SI DISSOLVE nelle urne
francesi. Con il voto democratico,
ovvero lo strumento più sosticato e
popolare che la nazione dei Lumi
abbia regalato alla modernità. Il successo
del duo Le Pen, zia e nipote, è
suffragato da un vasto consenso elettorale,
libero, legittimo, incontrovertibile.
Che viene da lontano, maturato
ben prima dello choc provocato dal
massacro terrorista del 13 novembre.
È il paradosso rappresentato dalle
elezioni regionali francesi. L’esercizio
della democrazia premia un partito
razzista, xenofobo, nazionalista. Poco
o nulla democratico. Il Front National
è sovranista e dunque ostile
all’Europa unita. Dagli errori politico-
economici e dall’insopportabile
burocratizzazione delle istituzioni
comunitarie di Bruxelles il Front trova
argomenti e forza per radicalizzare
le proprie posizioni antisistema. È il
secondo paradosso di questa stagione
politica: più l’Europa pesa nelle vite
dei cittadini europei, più cresce un
sentimento di ripulsa verso l’Unione.
Per questo il risultato di domenica
6 dicembre va oltre il numero di regioni
che il partito lepenista è in grado
di conquistare ai ballottaggi. La
campana suona per tutte le forze
tradizionali, di sinistra o conservatrici
che siano, in tutti i Paesi europei. I
dati in percentuale sono impietosi,
pur con la tara dell’astensionismo (un
francese su due non si è recato alle
urne): il Front National ha conquistato
il 27,7 per cento; Les Républicains
di Sarkozy il 26,6; i socialisti di Hollande
il 23,1.
Marine Le Pen racconta il suo successo
come «la rivolta del popolo contro
le élite». Può diventare il titolo di un
manifesto del populismo montante in
tutto il Vecchio Continente. È la contrapposizione
tra la massa dell’uomo
qualunque vessato e tartassato e la casta
politico-tecnocratica-intellettuale
che ha modellato una struttura di Europa
sul valore della moneta anziché
sui valori ideali dell’Occidente. Un superpotere
transnazionale, politicamente
irresponsabile, capace di accapigliarsi
per mesi sullo zero-virgola-qualcosa,
ma imbelle nel gestire il dramma dei
migranti prima e di contrastare la minaccia
jihadista ora. Europa matrigna,
odiosa, lontana. La cui identità si afferma
per negazione, come dice il politologo
Ilvo Diamanti al nostro Gigi Riva
(pagina 20).
SE QUESTO SENTIMENTO si è radicato
in Francia, paese fondatore del primo
nucleo a sei, ormai più di mezzo secolo
fa, il pericolo serpeggia in forme
diverse in tutti i 28 Paesi dell’attuale
Ue, una comunità di 500 milioni di
abitanti. Le famiglie politiche europee,
socialdemocratici e cristiano-popolari,
sono culturalmente impreparate
e subiscono l’iniziativa dei partiti
populisti. Otto anni di incessante
crisi economica hanno ridisegnato la
fisionomia delle forze politiche in
campo un po’ dovunque, con l’eccezione
della Germania. E si spiega: la
Grande Crisi ha fatto emergere
un’Europa tedesca, più che una Germania
europea. Giusta o sbagliata
che sia questa percezione, così l’hanno
vissuta i tedeschi guidati con mano
ferma da “Mutti” Merkel; così l’hanno
subita i cittadini delle nazioni alleate.
Il tonfo della sinistra e del centrodestra
francesi sono l’epifenomeno
di quel che cova anche altrove.
IL POPULISMO, per sua natura, usa argomenti
facili, netti, senza dubbi di
fronte alle incognite di un mondo sempre
più difcile da leggere e interpretare.
Il popolo, per un partito come il Fn,
ha sempre ragione e lotta contro i privilegi
di chi detiene il potere. Insieme
alle ideologie vanno in crisi gli schemi
classici destra/sinistra, sostituiti da una
nuova contrapposizione sistema/antisistema.
Solo apparentemente non ideologica.
A soffrirne è innanzitutto la
cultura di sinistra prigioniera del suo
passato. E scopre smarrita che i ceti più
popolari sono attratti dalle parole d’ordine
del populismo, non si sentono
tutelati di fronte a una deriva oligarchica
della democrazia, vedono un peggioramento
delle condizioni di vita causato
dal prolungarsi della recessione. Insomma
le classi lavoratrici e il nuovo
ceto medio proletarizzato hanno
finito per divorziare da una sinistra senza
identità. Destinata alla marginalità.
Senza un blocco sociale di riferimento
(Gramsci) e senza forze morali per un
programma di rinnovamento (Croce),
l’inverno europeo sarà lungo.
Luigi Vicinanza
Editoriale http://www.lespresso.it - @vicinanzal
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Re: La crisi dell'Europa
Europa, record di case sfitte e una su tre è abitata da single
La fotografia di Eurostat nei 28 Paesi dell'Unione: il 17 per cento degli alloggi è vuoto. A Copenaghen i palazzi più vecchi, a Bucarest i più recenti. E il 3 per cento è senza bagni
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
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Stampa
12 dicembre 2015
Europa, record di case sfitte e una su tre è abitata da singleLONDRA - L'Europa vive in una casa di proprietà, costruita prima della seconda guerra mondiale, con uno o nessun inquilino dentro e in qualche caso senza gabinetto. È la fotografia, non troppo rassicurante, scattata da Eurostat, l'agenzia di statistiche della Ue, sulle abitazioni nel vecchio continente, basata su un sondaggio del 2011. Un'immagine che non dice necessariamente come" viviamo", ma illustra "dove" e già questo fornisce dati su cui riflettere. La maggior parte dei cittadini dell'Unione sono proprietari della residenza in cui abitano, e questo è un segnale positivo. Ma molti alloggi sono disabitati, molti europei vivono soli, la maggioranza delle case ha più di settant'anni e forse bisogno di un restauro - per non parlare della necessità dei servizi igienici per la minoranza, esigua ma pur sempre allarmante, che non li ha.
Un'abitazione su sei, in Europa, è disabitata. Il record va al Sud: spesso sono alloggi per le vacanze, dunque "seconde case". L'emergenza abitativa, verrebbe da dire, si potrebbe risolvere più in fretta se le case non occupate venissero date a chi non ne ha. E in tema di alloggi sfitti l'Italia è sul podio. Secondo gli ultimi dati Istat, basate sul censimento del 2011, le case vuote sono oltre 7 milioni, il 22,7%, con picchi del 40% in Calabria e del 50 in Val d'Aosta. Di queste, più di metà sono case vacanza; le altre (2,7 milioni, stima l'Istituto di statistica) sono semplicemente disabitate.
Complessivamente, lo stivale è diviso a metà tra chi abita in appartamento (il 50%, contro una media europea del 41,1%) e chi ha scelto una soluzione indipendente o semi-indipendente. Ma non mancano le ombre: il 27,3% degli italiani vive in alloggi sovraffollati, e quasi una persona su 10 sperimenta il disagio abitativo.
Guardando ai 28 Paesi dell'Unione, il 70% dei cittadini è proprietario della casa in cui vive, percentuale che sale al 90% o quasi in Romania, Ungheria, Lituania e Slovacchia. L'Italia si colloca poco sopra la media, al 73%. La nazione con più case in affitto è invece la Germania, motore economico della Ue, con il 47 %, seguita dall'Austria (43%). Altro dato illuminante: più di 4 europei su dieci vivono in una casa di proprietà senza mutuo da pagare, cioè l'hanno comprata già tutta (o l'hanno ereditata). Il quinto Paese europeo per numero di case di proprietà è la Gran Bretagna: non a caso qui si dice che "la casa di un inglese è il suo castello".
Altro fenomeno di rilievo: quasi un terzo delle case dell'Unione ha un solo inquilino, una fenomeno che cresce al ritmo del 2% all'anno. La capitale della Norvegia, Oslo, è anche la capitale europea di chi vive solo: il 53% degli abitanti. E in Danimarca la percentuale è appena più bassa, il 47%, per scendere al 40 nel resto della Scandinavia e in Germania. La maggioranza di questi europei che abitano in solitudine sono donne. D'altra parte, Londra è la città europea con più case in coabitazione (per forza, con quello che costano); ed è anche la città dove convivono più coppie dello stesso sesso, il 13 per cento.
Il primato delle case più vecchie spetta a Copenhagen: il 68 per cento è stato costruito prima del 1946. Risale a prima della guerra anche un terzo delle abitazioni in Danimarca, Belgio e Regno Unito, mentre in Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro il 43 per cento è stato eretto dopo il 1980. I più nuovi in assoluto
sono i sobborghi di Bucarest, dove il 37% degli alloggi è venuto su dopo il 2000. Ma la Romania ha anche un record meno confortante: il 38% delle abitazioni non ha il bagno. E la toilette manca, in tutta la Ue, in 3 case su cento, una minoranza neanche tanto piccola per il mondo del 2015
da repubblica .it
La fotografia di Eurostat nei 28 Paesi dell'Unione: il 17 per cento degli alloggi è vuoto. A Copenaghen i palazzi più vecchi, a Bucarest i più recenti. E il 3 per cento è senza bagni
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
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12 dicembre 2015
Europa, record di case sfitte e una su tre è abitata da singleLONDRA - L'Europa vive in una casa di proprietà, costruita prima della seconda guerra mondiale, con uno o nessun inquilino dentro e in qualche caso senza gabinetto. È la fotografia, non troppo rassicurante, scattata da Eurostat, l'agenzia di statistiche della Ue, sulle abitazioni nel vecchio continente, basata su un sondaggio del 2011. Un'immagine che non dice necessariamente come" viviamo", ma illustra "dove" e già questo fornisce dati su cui riflettere. La maggior parte dei cittadini dell'Unione sono proprietari della residenza in cui abitano, e questo è un segnale positivo. Ma molti alloggi sono disabitati, molti europei vivono soli, la maggioranza delle case ha più di settant'anni e forse bisogno di un restauro - per non parlare della necessità dei servizi igienici per la minoranza, esigua ma pur sempre allarmante, che non li ha.
Un'abitazione su sei, in Europa, è disabitata. Il record va al Sud: spesso sono alloggi per le vacanze, dunque "seconde case". L'emergenza abitativa, verrebbe da dire, si potrebbe risolvere più in fretta se le case non occupate venissero date a chi non ne ha. E in tema di alloggi sfitti l'Italia è sul podio. Secondo gli ultimi dati Istat, basate sul censimento del 2011, le case vuote sono oltre 7 milioni, il 22,7%, con picchi del 40% in Calabria e del 50 in Val d'Aosta. Di queste, più di metà sono case vacanza; le altre (2,7 milioni, stima l'Istituto di statistica) sono semplicemente disabitate.
Complessivamente, lo stivale è diviso a metà tra chi abita in appartamento (il 50%, contro una media europea del 41,1%) e chi ha scelto una soluzione indipendente o semi-indipendente. Ma non mancano le ombre: il 27,3% degli italiani vive in alloggi sovraffollati, e quasi una persona su 10 sperimenta il disagio abitativo.
Guardando ai 28 Paesi dell'Unione, il 70% dei cittadini è proprietario della casa in cui vive, percentuale che sale al 90% o quasi in Romania, Ungheria, Lituania e Slovacchia. L'Italia si colloca poco sopra la media, al 73%. La nazione con più case in affitto è invece la Germania, motore economico della Ue, con il 47 %, seguita dall'Austria (43%). Altro dato illuminante: più di 4 europei su dieci vivono in una casa di proprietà senza mutuo da pagare, cioè l'hanno comprata già tutta (o l'hanno ereditata). Il quinto Paese europeo per numero di case di proprietà è la Gran Bretagna: non a caso qui si dice che "la casa di un inglese è il suo castello".
Altro fenomeno di rilievo: quasi un terzo delle case dell'Unione ha un solo inquilino, una fenomeno che cresce al ritmo del 2% all'anno. La capitale della Norvegia, Oslo, è anche la capitale europea di chi vive solo: il 53% degli abitanti. E in Danimarca la percentuale è appena più bassa, il 47%, per scendere al 40 nel resto della Scandinavia e in Germania. La maggioranza di questi europei che abitano in solitudine sono donne. D'altra parte, Londra è la città europea con più case in coabitazione (per forza, con quello che costano); ed è anche la città dove convivono più coppie dello stesso sesso, il 13 per cento.
Il primato delle case più vecchie spetta a Copenhagen: il 68 per cento è stato costruito prima del 1946. Risale a prima della guerra anche un terzo delle abitazioni in Danimarca, Belgio e Regno Unito, mentre in Irlanda, Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro il 43 per cento è stato eretto dopo il 1980. I più nuovi in assoluto
sono i sobborghi di Bucarest, dove il 37% degli alloggi è venuto su dopo il 2000. Ma la Romania ha anche un record meno confortante: il 38% delle abitazioni non ha il bagno. E la toilette manca, in tutta la Ue, in 3 case su cento, una minoranza neanche tanto piccola per il mondo del 2015
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Re: La crisi dell'Europa
Francia: la guerra civile evocata da Valls, perfetto imbecille
Scritto il 13/12/15 • nella Categoria: idee
Ci sono affermazioni che non meritano commento alcuno, ma che debbono essere censurate per sottolineare la profonda bestialità di chi le fa. E’ il caso di Valls, degno primo ministro di quel genio di Hollande, che ha dichiarato papale papale che, se vince il Fn c’è rischio di guerra civile. In meno di dieci parole è riuscito a condensare il manuale del perfetto cretino in politica. Perché? Ve lo spiego. 1. Se non c’è un rischio reale di guerra civile, a dirlo si fa la figura del cioccolataio che, pur di avere qualche effetto elettorale, si inventa una balla del genere. Se il rischio è reale, peggio ancora, perché un capo di governo, in quel caso, deve mandare messaggi distensivi e tranquillizzanti, almeno sinché possibile, non certo dichiarazioni incendiarie che chiamano lo scontro. 2. Certe cose, alla vigilia di un voto, può dirle (e sarebbe cosa discutibile) un capo partito, ma le autorità istituzionali (capo dello Stato, capo del governo o ministro dell’interno) devono mantenere una posizione di garanti di tutti e non cercare di delegittimare uno dei contendenti con un argomento del genere.
3. Con questo attacco, per certi versi, il favore è reso – e gratis – a Sarkozy accreditato come unico contendente accettabile, con il risultato di contribuire a mettere in pista un futuro antagonista più pericoloso della Le Pen, proprio perché può più facilmente attirare elettori moderati anche del Ps. 4. Anche dal punto di vista tattico è una bestialità, perché questa indiretta attestazione di “legittimità” data a Sarkozy contro il Fn, e la decisione di desistere a favore dei sarkozysti ha l’unico risultato di confermare l’affinità fra socialisti e centrodestra, confermando che l’unica vera alternativa di sistema è il Fn: bella autorete! Il che non significa affatto che il Fn sia una alternativa decente al sistema, ma alla fine, è un favoloso assist alla Le Pen. 5. Perché quando un partito di governo ha un tracollo di quel tipo nelle amministrative, ha tutto l’interesse a sdrammatizzare la situazione, sminuendo l’importanza del voto (“Sono solo amministrative… alle politiche sarà diverso… vediamo che sanno fare”, ecc.) mentre la dichiarazione dell’imbecille moltiplica la rilevanza del voto, con il risultato di ingigantire un eventuale successo del Fn e questo anche se il Fn perdesse i ballottaggi ma con un risultato del 45-48%
6. Perché se davvero ci fosse rischio di guerra civile ed il modo di bloccarla fosse la vittoria del “centrodestra pulito”, vorrebbe dire che già da ora i socialisti sono irrilevanti e possono al massimo fare da portatori d’acqua di Sarkozy. E per ora fermiamoci qui: siamo all’Abc della politica, questo Valls può fare politica alla bocciofila per farsi eleggere presidente della medesima. Nella mia città d’origine c’è un detto che vi traduco: “Quello è così scemo che a una gara di scemi arriva secondo”. Tradotto: è più fesso di Hollande, che ovviamente sarebbe il primo. E voi non volete che questi partiti dell’Internazionale “socialista” non spariscano per sempre dalla faccia della terra?!
(Aldo Giannuli, “Valls: ma si può essere più bestie di così?”, dal blog di Giannuli dell’11 dicembre 2015).
Scritto il 13/12/15 • nella Categoria: idee
Ci sono affermazioni che non meritano commento alcuno, ma che debbono essere censurate per sottolineare la profonda bestialità di chi le fa. E’ il caso di Valls, degno primo ministro di quel genio di Hollande, che ha dichiarato papale papale che, se vince il Fn c’è rischio di guerra civile. In meno di dieci parole è riuscito a condensare il manuale del perfetto cretino in politica. Perché? Ve lo spiego. 1. Se non c’è un rischio reale di guerra civile, a dirlo si fa la figura del cioccolataio che, pur di avere qualche effetto elettorale, si inventa una balla del genere. Se il rischio è reale, peggio ancora, perché un capo di governo, in quel caso, deve mandare messaggi distensivi e tranquillizzanti, almeno sinché possibile, non certo dichiarazioni incendiarie che chiamano lo scontro. 2. Certe cose, alla vigilia di un voto, può dirle (e sarebbe cosa discutibile) un capo partito, ma le autorità istituzionali (capo dello Stato, capo del governo o ministro dell’interno) devono mantenere una posizione di garanti di tutti e non cercare di delegittimare uno dei contendenti con un argomento del genere.
3. Con questo attacco, per certi versi, il favore è reso – e gratis – a Sarkozy accreditato come unico contendente accettabile, con il risultato di contribuire a mettere in pista un futuro antagonista più pericoloso della Le Pen, proprio perché può più facilmente attirare elettori moderati anche del Ps. 4. Anche dal punto di vista tattico è una bestialità, perché questa indiretta attestazione di “legittimità” data a Sarkozy contro il Fn, e la decisione di desistere a favore dei sarkozysti ha l’unico risultato di confermare l’affinità fra socialisti e centrodestra, confermando che l’unica vera alternativa di sistema è il Fn: bella autorete! Il che non significa affatto che il Fn sia una alternativa decente al sistema, ma alla fine, è un favoloso assist alla Le Pen. 5. Perché quando un partito di governo ha un tracollo di quel tipo nelle amministrative, ha tutto l’interesse a sdrammatizzare la situazione, sminuendo l’importanza del voto (“Sono solo amministrative… alle politiche sarà diverso… vediamo che sanno fare”, ecc.) mentre la dichiarazione dell’imbecille moltiplica la rilevanza del voto, con il risultato di ingigantire un eventuale successo del Fn e questo anche se il Fn perdesse i ballottaggi ma con un risultato del 45-48%
6. Perché se davvero ci fosse rischio di guerra civile ed il modo di bloccarla fosse la vittoria del “centrodestra pulito”, vorrebbe dire che già da ora i socialisti sono irrilevanti e possono al massimo fare da portatori d’acqua di Sarkozy. E per ora fermiamoci qui: siamo all’Abc della politica, questo Valls può fare politica alla bocciofila per farsi eleggere presidente della medesima. Nella mia città d’origine c’è un detto che vi traduco: “Quello è così scemo che a una gara di scemi arriva secondo”. Tradotto: è più fesso di Hollande, che ovviamente sarebbe il primo. E voi non volete che questi partiti dell’Internazionale “socialista” non spariscano per sempre dalla faccia della terra?!
(Aldo Giannuli, “Valls: ma si può essere più bestie di così?”, dal blog di Giannuli dell’11 dicembre 2015).
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Re: La crisi dell'Europa
Elezioni Francia, vola affluenza: +7%. Corsa Le Pen in bilico, exit poll alle 20
Mancano tre ore alla chiusura dei seggi. Stando a quanto riportato da Le Figaro, nelle zone dove i candidati del Front National potrebbero vincere è stato registrato un aumento sensibile della partecipazione. Gli ultimi sondaggi ridimensionano il Front national, ma alcune sfide restano incertissime
di F. Q. | 13 dicembre 2015
Vola l’affluenza per i ballottaggi alle regionali in Francia. Alle 17 il tasso è salito al 50,54%, in rialzo di 7,5 punti rispetto al primo turno. Su questo dato si consumano le ultime ore d’attesa per conoscere l’esito delle elezioni regionali, dove al primo turno il Front National di Marine Le Pen ha conquistato la palma di partito più votato innescando la reazione degli altri, in sofferenza di fronte all’ascesa della destra intorno al 28%, con i repubblicani di Sarkozy al 27 e i socialisti al 23. Il Ps per fermare l’avanzata del Fn ha chiesto ai propri elettori di votare la destra di Sarcozy laddove non ha alcuna possibilità di competere con l’ultra destra. E ha rilanciato l’appello al voto, dopo la scarsa affluenza registrata una settimana fa, il sei dicembre, e ancora ieri.
E’ presto per dire se l’invito sia stato raccolto dai 44,6 milioni aventi diritto, ma i dati di oggi pomeriggio, nell’approssimarsi alla chiusura delle urne prevista per le 20, indicano un aumento della partecipazione notevole. Qualcuno parla anche di affluenza record. Un dato che potrebbe smontare, alla fine, l’exploit di Le Pen. Alle 12 aveva votato il 19,59% contro il 16,27 di una settimana fa. Alle 17 l’affluenza dichiarata dal Minisitero degli Interni è di 50,54% in rialzo di 7,5 punti rispetto al primo turno. Stando a quanto riportato da Le Figaro, nelle zone dove i candidati del Front National potrebbero vincere è stato registrato un aumento sensibile della partecipazione: in Alsazia-Lorena-Champagne-Ardennes , in Provenza-Alpi-Costa Azzurra (Paca). Nel nord, dove la contesa è serrata tra Xavier Bertrand e Marine Le Pen, l’affluenza è stata del 21,9%, in aumento di 2,7 punti. Con il 13,60%, l’Ile-de-France è la regione con il tasso di partecipazione più basso.
Si eleggono oggi i consigli delle nuove 13 regioni uscite dalla riforma degli enti locali approvata all’inizio dell’anno. Alcune delle nuove regioni sono la fusione di regioni precedenti, come la nuova Normandia, fusione di Alta Normandia e Bassa Normandia. Vince la lista che ottiene più del 50% dei voti al primo turno: in questo caso la lista ottiene un premio pari al 25% dei seggi. Il restante 75% viene distribuito proporzionalmente tra le liste che hanno superato la soglia del 5% dei voti. Se nessuna lista ottiene la maggioranza assoluta al primo turno, scatta un ballottaggio tra le liste che hanno superato il 10% al primo turno. La lista più votata al ballottaggio ottiene il premio (sempre del 25%) e poi si procedere alla ripartizione proporzionale dei voti tra le liste. Sono attesi per le 20 i primi exit poll.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... 0/2300875/
Mancano tre ore alla chiusura dei seggi. Stando a quanto riportato da Le Figaro, nelle zone dove i candidati del Front National potrebbero vincere è stato registrato un aumento sensibile della partecipazione. Gli ultimi sondaggi ridimensionano il Front national, ma alcune sfide restano incertissime
di F. Q. | 13 dicembre 2015
Vola l’affluenza per i ballottaggi alle regionali in Francia. Alle 17 il tasso è salito al 50,54%, in rialzo di 7,5 punti rispetto al primo turno. Su questo dato si consumano le ultime ore d’attesa per conoscere l’esito delle elezioni regionali, dove al primo turno il Front National di Marine Le Pen ha conquistato la palma di partito più votato innescando la reazione degli altri, in sofferenza di fronte all’ascesa della destra intorno al 28%, con i repubblicani di Sarkozy al 27 e i socialisti al 23. Il Ps per fermare l’avanzata del Fn ha chiesto ai propri elettori di votare la destra di Sarcozy laddove non ha alcuna possibilità di competere con l’ultra destra. E ha rilanciato l’appello al voto, dopo la scarsa affluenza registrata una settimana fa, il sei dicembre, e ancora ieri.
E’ presto per dire se l’invito sia stato raccolto dai 44,6 milioni aventi diritto, ma i dati di oggi pomeriggio, nell’approssimarsi alla chiusura delle urne prevista per le 20, indicano un aumento della partecipazione notevole. Qualcuno parla anche di affluenza record. Un dato che potrebbe smontare, alla fine, l’exploit di Le Pen. Alle 12 aveva votato il 19,59% contro il 16,27 di una settimana fa. Alle 17 l’affluenza dichiarata dal Minisitero degli Interni è di 50,54% in rialzo di 7,5 punti rispetto al primo turno. Stando a quanto riportato da Le Figaro, nelle zone dove i candidati del Front National potrebbero vincere è stato registrato un aumento sensibile della partecipazione: in Alsazia-Lorena-Champagne-Ardennes , in Provenza-Alpi-Costa Azzurra (Paca). Nel nord, dove la contesa è serrata tra Xavier Bertrand e Marine Le Pen, l’affluenza è stata del 21,9%, in aumento di 2,7 punti. Con il 13,60%, l’Ile-de-France è la regione con il tasso di partecipazione più basso.
Si eleggono oggi i consigli delle nuove 13 regioni uscite dalla riforma degli enti locali approvata all’inizio dell’anno. Alcune delle nuove regioni sono la fusione di regioni precedenti, come la nuova Normandia, fusione di Alta Normandia e Bassa Normandia. Vince la lista che ottiene più del 50% dei voti al primo turno: in questo caso la lista ottiene un premio pari al 25% dei seggi. Il restante 75% viene distribuito proporzionalmente tra le liste che hanno superato la soglia del 5% dei voti. Se nessuna lista ottiene la maggioranza assoluta al primo turno, scatta un ballottaggio tra le liste che hanno superato il 10% al primo turno. La lista più votata al ballottaggio ottiene il premio (sempre del 25%) e poi si procedere alla ripartizione proporzionale dei voti tra le liste. Sono attesi per le 20 i primi exit poll.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... 0/2300875/
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Re: La crisi dell'Europa
Non e' che io tifi le Le Pen o i Repubblicani ma questa mossa di Valls non risolve alcun problema qualora fermasse le due Le Pen.
Le cose rimarranno come stanno ora e tutto ricomincerà come prima.
Ora, invece, c'e' assolutamente bisogno di un cambio radicale delle due politiche sia quella repubblicana che quella socialista se ancora si puo definire cosi.
Questo spauracchio non fa bene ne alla Francia e neppure a noi poiche come loro anche noi abbiamo assolutamente bisogno di una mossa forte per dare inizio ad un cambiamento e dia la giusta fisionomia a i partiti che ora in funzione governativa nel tentativo di prendere voti hanno messo da parte i loro ideali per cui erano nati.
un salutone
Le cose rimarranno come stanno ora e tutto ricomincerà come prima.
Ora, invece, c'e' assolutamente bisogno di un cambio radicale delle due politiche sia quella repubblicana che quella socialista se ancora si puo definire cosi.
Questo spauracchio non fa bene ne alla Francia e neppure a noi poiche come loro anche noi abbiamo assolutamente bisogno di una mossa forte per dare inizio ad un cambiamento e dia la giusta fisionomia a i partiti che ora in funzione governativa nel tentativo di prendere voti hanno messo da parte i loro ideali per cui erano nati.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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