La Terza Guerra Mondiale

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camillobenso
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SI RICOMINCIA

https://www.youtube.com/watch?v=BjoS5tfaDkU


Repubblica 18.12.15
Ora missione militare a Tripoli, guida italiana nel caos milizie

di Vincenzo Nigro

CI sono 52 milizie soltanto nell’area di Tripoli. Sono gruppi militari legati a partiti politici, brigate islamiche, milizie di quartiere, paranze di contrabbandieri e trafficanti che si sono affiliati ad altri miliziani “politici”, clan di criminali che presidiano la loro zona d’affari, per esempio i trafficanti di droga che controllano parte di Tajura.
Bene: è in questo girone infernale che dovrà infilarsi il generale dell’Esercito italiano Paolo Serra, ex capo di Unifil in Libano e oggi consigliere militare dell’Onu per la Libia. Serra ha la prospettiva non invidiabile di diventare capo militare della missione Onu nel paese che fu di Gheddafi: dovrà arrivare in Libia con un esercito multinazionale, sostenere il nuovo governo, addestrare polizia e militari, garantire la sicurezza del governo libico e delle ambasciate straniere, proteggere la missione Onu e quella dell’Unione europea. Non sarà semplice.
SOLDATI E CARABINIERI ITALIANI
La missione militare guidata da Serra per il momento è stata concepita “a fisarmonica”: si allargherà a seconda delle richieste. Il ministro Pinotti, in un’intervista di alcuni mesi fa, si era lasciata sfuggire che l’Italia pensa di impegnare anche 6.000 uomini. Ieri il Times da Londra ha scritto che Londra metterebbe a disposizione 1.000 uomini. Ci stanno lavorando.
IL CONTROLLO DELLA CAPITALE
Nel suo ruolo da giorni Serra ha iniziato a volare da Tunisi (dove Unsmil ha la sua base provvisoria) verso le varie “capitali” della Libia divisa. Misurata, Tobruk, Tripoli. Alcuni incontri gli sono andati bene, sicuramente quelli con i capi politici e militari di Misurata, una città commerciale che ha l’interesse di tenere unito il paese e di rafforzare i suoi rapporti con l’Europa.
Altri sono stati meno fruttuosi: parte del governo di Tripoli gli ha remato contro quando ha saputo che per assicurare garanzie di sicurezza nella capitale Serra puntava molto proprio sulle milizie di Misurata. Ma è importante che a Tripoli si raggiunga un accordo fra le milizie per far entrare in città il governo di Fayez Serraj.
A TRIPOLI NUOVA BATTAGLIA?
Il controllo della capitale sarà strategico. Serra nei colloqui con le milizie ha capito che presto ci saranno degli “aggiustamenti”, dei regolamenti di conti in vista dell’arrivo del governo Onu. «Abbiamo capito che il nuovo governo non metterà piede a Tripoli prima di una settimana se va bene», dice un diplomatico italiano. Nel frattempo milizie e bande criminali varie prevedibilmente si combatteranno per farsi trovare pronte ad accogliere l’Onu e il suo governo in posizioni di forza.
LA RISOLUZIONE ONU
Nel frattempo a New York all’Onu è già in preparazione la risoluzione con cui il Consiglio di sicurezza dirà che il governo libico formato ieri in Marocco «è l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale ed è quello a cui andrà il suo sostegno». Il voto potrebbe arrivare già lunedì prossimo, e permettere al governo libico di fare le sue richieste all’Onu. Prevedibilmente Tripoli chiederà all’Onu la messa in sicurezza della città, l’addestramento di militari e polizia, soprattutto il sostegno alle amministrazioni civili, in un’operazione di “institutions building” che le Nazioni Unite stanno studiando da mesi. Poi ci sarà una seconda risoluzione.
CHI BOICOTTA?
Le prossime ore saranno decisive per capire se il governo Onu riuscirà anche solo ad insediarsi. I presidenti dei due parlamenti, che perderanno ruolo e potere nella nuova geografia politica libica, sono stati i principali sabotatori dell’intesa. Nuri Abusahmain (un commerciante di Tripoli, importatore anche di cibo italiano) e Agila Saleh Issa, capo del Parlamento di Tobruk, sabato all’ultimo minuto si sono incontrati a Malta per cercare un’intesa alternativa all’Onu.
Non è chiaro come verranno compensati, o se mobiliteranno i loro miliziani. Nel frattempo, prima della firma in Marocco, il generale Serra e l’inviato Onu Martin Kobler, erano volati a Marj, vicino Tobruk, dove ha la sua base il generale filo- egiziano Haftar. È l’uomo che puntava a diventare il nuovo Gheddafi di Libia, ma ha aggravato le divisioni del paese senza riuscire a conquistarlo. Dovrà farsi da parte come capo dell’esercito; bisogna capire cosa offriranno anche a lui, e se si accontenterà.
L’Onu prepara una risoluzione. L’incognita del ruolo degli ex generali di Gheddafi: dovranno fare un passo indietro La forza sarà multinazionale, con il ruolo di sostenere il nuovo governo, addestrare la polizia e garantire la sicurezza.
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I GIORNI DEL KAOS




Il punto di vista di Paul Craig Roberts, economista ed analista geopolitico Usa.



Craig Roberts: gangster Nato e Isis, tutti uniti contro Putin


Scritto il 19/12/15 • LIBRE nella Categoria: idee



Una delle lezioni della storia militare è che, una volta che la mobilitazione bellica abbia avuto inizio, essa assume una dinamica propria e incontrollabile.

Questo potrebbe essere proprio quello che si sta verificando sotto i nostri occhi, non riconosciuto.


Nel suo discorso del 28 settembre per il settantesimo anniversario delle Nazioni Unite, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che la Russia non può più tollerare l’attuale situazione nel mondo.



Due giorni dopo, su invito del governo siriano, la Russia ha iniziato la sua guerra contro l’Isis.


La Russia ha avuto rapidamente fortuna nel distruggere i depositi d’armi dell’Isis e nell’aiutare l’esercito siriano a disfarne i successi.


La Russia ha distrutto anche migliaia di autobotti, il contenuto delle quali stava finanziando l’Isis trasportando in Turchia il petrolio siriano rubato, dove viene venduto dalla famiglia dell’attuale gangster che governa la Turchia stessa.



Washington è stata colta di sorpresa dalla fermezza della Russia.



Temendo che il rapido successo di tale decisiva azione russa avrebbe scoraggiato i vassalli Nato di Washington dal continuare a sostenere la sua guerra contro Assad e dall’usare il suo governo fantoccio a Kiev per tenere sotto pressione la Russia, Washington ha organizzato con la Turchia l’abbattimento di un cacciabombardiere russo, nonostante l’accordo tra Russia e Nato che non ci sarebbero stati scontri aria-aria nella zona delle operazioni aeree russe in Siria.



Anche se nega ogni responsabilità, Washington ha usato la bassa intensità della risposta russa all’attacco, per il quale la Turchia non si è scusata, per rassicurare l’Europa che la Russia è una tigre di carta.




Le “presstitute” occidentali hanno strombazzato: la Russia è una tigre di carta.
La bassa intensità nella risposta del governo russo alla provocazione è stata usata da Washington per rassicurare l’Europa che non vi è alcun rischio nel continuare la pressione sulla Russia in Medio Oriente, Ucraina, Georgia, Montenegro e altrove.




L’attacco di Washington ai soldati di Assad viene utilizzato per rafforzare la convinzione che si sta inculcato nei governi europei che il comportamento responsabile della Russia per evitare la guerra è invece un segno di paura e di debolezza.


Non è chiaro fino a che punto i governi russo e cinese capiscano che le loro politiche indipendenti, ribadite dai presidenti di Russia e Cina il 28 settembre, siano considerate da Washington come “minacce esistenziali” per l’egemonia statunitense.


La base della politica estera degli Stati Uniti è l’impegno ad evitare il sorgere di poteri in grado di condizionare l’azione unilaterale di Washington.


La capacità di Russia e Cina di fare proprio questo li rende entrambi un obbiettivo.
Washington non si oppone al terrorismo.



Ha creato appositamente il terrorismo per molti anni.




Il terrorismo è un’arma che Washington intende utilizzare per destabilizzare la Russia e la Cina esportandolo alle popolazioni musulmane in Russia e Cina.



Washington sta usando la Siria, come una volta l’Ucraina, per dimostrare l’impotenza della Russia all’Europa – e anche alla Cina, essendo una Russia impotente un alleato meno attraente per la Cina.



Per la Russia, la risposta responsabile alle provocazioni è diventata una forma di passività, perché incoraggia ulteriori provocazioni.





In altre parole, Washington e la sprovvedutezza dei suoi vassalli europei hanno messo l’umanità in una situazione molto pericolosa, in quanto le uniche scelte rimaste a Russia e Cina sono quelle di accettare il vassallaggio americano o di prepararsi per la guerra.




Putin deve essere rispettato per aver riservato più valore alla vita umana di quanto non facciano Washington e i suoi vassalli europei, e per aver evitato risposte militari alle provocazioni.


Tuttavia, la Russia deve fare qualcosa per rendere i paesi della Nato consapevoli che ci sono gravi costi nel loro essere così accomodanti verso l’aggressione di Washington contro la Russia.



Ad esempio, il governo russo potrebbe decidere che non ha senso vendere energia ai paesi europei che si trovano in uno stato di guerra di fatto contro la Russia.



Con l’inverno alle porte, il governo russo potrebbe annunciare che la Russia non vende energia ai paesi membri della Nato.




La Russia avrebbe perso i suoi soldi, ma è più conveniente che perdere la propria sovranità o una guerra.



Per porre fine al conflitto in Ucraina, o per aumentarne l’intensità oltre la volontà dell’Europa a parteciparvi, la Russia potrebbe accettare le richieste delle province separatiste di ricongiungersi con la Russia.


Per Kiev, continuare il conflitto significherebbe che l’Ucraina dovrebbe attaccare la stessa Russia.




Il governo russo ha fatto affidamento su risposte responsabili e non provocatorie.


La Russia ha adottato un approccio diplomatico, confidando su governi europei realisti, capaci di rendersi conto che i loro interessi nazionali divergono da quelli di Washington e in grado di cessare di consentire la politica egemonica di Washington.


La politica della Russia non ha avuto successo.



Le risposte responsabili della Russia sono state utilizzate da Washington per dipingere la Russia come una tigre di carta che nessuno deve temere.





Ci ritroviamo con il paradosso che la determinazione della Russia ad evitare la guerra ci sta portando direttamente in guerra.





Che i media russi, il popolo russo e la totalità del governo russo lo capiscano o meno, questo deve essere evidente per i militari russi.


Tutto ciò che i capi militari russi devono fare è guardare la composizione delle forze inviate dalla Nato per “combattere l’Isis”.




Come fa notare George Abert, gli aerei americani, francesi e britannici che sono stati dispiegati sono aerei da combattimento il cui scopo è il combattimento aereo, non l’attacco al suolo.


I caccia non sono stati dispiegati per attaccare l’Isis a terra, ma per minacciare i cacciabombardieri russi che stanno attaccando i bersagli dell’Isis al suolo.






Non vi è dubbio che Washington stia spingendo il mondo verso l’Armageddon e l’Europa ne sia l’attivatore.






I pupazzi “acquistati-e-pagati-come-marionette” di Washington in Germania, Francia e Regno Unito sono stupidi, indifferenti o impotenti a sfuggire alla morsa di Washington.




A meno che la Russia non svegli l’Europa, la guerra è inevitabile.





I guerrafondai neocon totalmente malvagi e stronzi hanno insegnato a Putin che la guerra è inevitabile?



Guardate questo video, in cui Putin dice: «Cinquant’anni fa anni fa le strade di Leningrado mi hanno insegnato una lezione: se la lotta è inevitabile, colpisci per primo!».



(Paul Craig Roberts, “La guerra è all’orizzonte: è troppo tardi per fermarla?”, intervento pubblicato sul blog di Craig Roberts, tradotto da “Spondasud” e ripreso da “Megachip” il 14 dicembre 2015. Eminente economista e analista geopolitico, Craig Roberts è stato membro del governo di Ronald Reagan).
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il manifesto 19.12.15
Guerre d’appalto
Aveva detto: «Noi non rincorriamo le bombe degli altri», e invece Matteo Renzi, subito dopo la chiamata di Barack Obama, ha annunciato da Porta a Porta (a questo punto la prima Camera del Paese) l’invio a Mosul, l’area più calda dell’Iraq, di 450 soldati

di Tommaso Di Francesco



Aveva detto: «Noi non rincorriamo le bombe degli altri», e invece Matteo Renzi, subito dopo la chiamata di Barack Obama, ha annunciato da Porta a Porta (a questo punto la prima Camera del Paese) l’invio a Mosul, l’area più calda dell’Iraq, di 450 soldati.


Una svolta del «disertore» Renzi, passata quasi sotto silenzio, anzi sotto banco.

Perché si tratta di «stivali a terra», truppe sul campo, quelle che l’America non mette più in questa misura, tanto che delega l’appalto del presidio di guerra proprio all’Italia che si accoda così alla scia dei pesanti bombardamenti Usa nella regione.



Dopo le gravi responsabilità degli Amici della Siria (Stati uniti, Paesi europei, Turchia e petromonarchie del Golfo) che per più di due ani hanno destabilizzato questo Paese «perché Assad se ne deva andare», favorendo indirettamente e direttamente la nascita dello Stato islamico.


Andiamo in armi a Mosul per difendere l’importantissima struttura della mega-diga, ora ripresa dai peshmerga ma diventata famosa nel 2014 per lo sventolìo di bandiere dell’Isis che annunciava la sua estensione e visibilità dalla Siria alla provincia irachena di Anbar, proprio con la conquista di Mosul. Da dove infatti il «califfo» Al Baghdadi ha fatto il suo proclama al mondo. Una zona dunque ad alto rischio.


Che, pur accerchiata ma da eserciti quasi pronti a farsi la guerra fra loro, resta saldamente in mano alle milizie dell’Isis.


Le stesse che approfittano anche del conflitto tra l’autorità centrale di Baghdad e il governo del Kurdistan iracheno impegnato nella separazione dall’Iraq e, sotto la guida di Barzani, a chiamare – assai poco fraternamente con i kurdi del Rojava e quelli del Pkk – in soccorso l’esercito turco, subito inviato da Erdogan.


Per cominciare a farlo evacuare il governo iracheno ha dovuto presentare una mozione al Consiglio di sicurezza dell’Onu.


Ora l’Italia invia in quest’area di conflitto aspro con il nemico Califfato ma anche tra «alleati», centinaia di soldati a presidiare una zona che, nel prosieguo della guerra, diventerà peggio di Nassiriya.





Renzi aveva detto e ripetuto «senza una strategia non c’è intervento militare», e invece corriamo al seguito della strategia Usa mirata ai suoi dividendi di guerra e ad impegnare la più presentabile Italia in sostituzione dell’improponibile Sultano atlantico di Ankara.




In Iraq, da dove ci siamo ritirati da anni.

Mentre si apre anche la possibilità di un intervento in Libia, ora che, divisa e in guerra civile, vede la firma dei due parlamenti di Tripoli e Tobruk per un governo di carta che chiami truppe occidentali a definire hotspot «sicuri» per recintare la disperazione dei profughi.





Non solo ci appaltano una guerra, ma annunciamo che lo facciamo per un appalto.




Per la ditta di Cesena, il Gruppo Trevi, che avrebbe dovuto avere una committenza milionaria per la sistemazione della diga di Mosul, ma ancora non ce l’ha.




E allora corriamo manu militari per il made in Italy in concorrenza con gli interessi tedeschi per lo stesso subappalto. Finalmente una chiarezza: stavolta non è una guerra «umanitaria» ma d’affari.




Un altro sbattimento di tacchi, un altro signorsì di Matteo Renzi dopo la decisione di estendere, su richiesta della Casa bianca, la missione militare italiana in Afghanistan, dove siamo in guerra con la Nato da «soli» 14 anni contro il nemico talebano che resta sempre all’offensiva.


Presa a ridosso della strage Nato dell’ospedale Msf di Kunduz e nello stesso giorno in cui il neo-premier canadese Trudeau ritirava il contingente di Ottawa.

Insomma, da un appalto all’altro.
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La Stampa 19.12.15
Fra due mesi forse i primi italiani a Tripoli
Perché la missione sta per accelerare?

di Paolo Mastrolilli

Dopo la Siria, la Libia. Il ministro degli Esteri italiano Gentiloni ha spiegato che «l’obiettivo è arrivare ad una risoluzione dell’Onu nei primi giorni della prossima settimana, che recepisca e sostenga l’accordo firmato giovedì in Marocco per la creazione di un governo d’unità nazionale».


Il capo della Farnesina ha aggiunto che la risoluzione dovrebbe «lanciare un appello alla comunità internazionale, affinché risponda alle richieste che verranno dall’esecutivo per il processo di stabilizzazione del paese».


In altre parole, il testo dovrà avviare il processo per costituire la forza di pace internazionale, che l’Italia ambisce a guidare.

Come nel caso della Siria, il percorso è appena cominciato e pieno di insidie.

Almeno sulla carta, però, il calendario è definito.


Entro trenta giorni, il Consiglio di presidenza varato in Marocco dovrebbe formare il nuovo governo di unità nazionale, che nei quaranta giorni successivi si insedierebbe a Tripoli.


Questo significa che la missione di pace, se verrà richiesta dal nuovo esecutivo e le tappe previste saranno rispettate, dovrebbe essere operativa nel giro di due mesi.

Gentiloni ha detto che «l’Italia è pronta a fare la sua parte, per ragioni storiche, geografiche, politiche, nell’ambito di una cornice dell’Onu e dietro richiesta del governo locale, che non deve dare l’impressione di esistere solo per invitare forze straniere».

In passato lo stesso Renzi aveva dichiarato che l’Italia ambisce a guidare questa missione, e avrebbe già un candidato molto forte nel generale Serra, ex comandante di Unifil in Libano e oggi consigliere militare del segretario generale Ban Ki-moon proprio in Libia.


La minaccia dell’infiltrazione dell’Isis, secondo Gentiloni, «spinge l’Italia ancora di più a collaborare, e sarebbe un errore aspettare».


È vero che competerebbe al nuovo governo invitare la missione internazionale, ma secondo il ministro anche il Consiglio di presidenza già costituito avrebbe la legittimità per lanciare un appello alla comunità internazionale.



In un secondo momento l’Onu potrebbe riprendere la risoluzione chiesta in primavera dall’Italia, per autorizzare operazioni nelle acque territoriali libiche allo scopo di fermare il traffico di esseri umani.
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Meglio visionare anche la fotografia del reportage del Corriere.

73 anni fà toccava a noi. E non è detto che non tocchi ancora.

VISTE ANCHE LE REAZIONI DI UN'ORA FA' DA QUESTE PARTI.

Si preoccupano per il futuro dei figli e dei nipoti, ma subiscono tranquilli tutto quanto ci propinano per abituarci ad una nuova guerra mondiale.



Kobane, l’Isis è ancora una minaccia che incombe ma fra le macerie rinascono le pasticcerie
E nella città martoriata si tornano a vendere gli abiti da sposa
di dall’inviato Lorenzo Cremonesi
http://www.corriere.it/esteri/15_dicemb ... 6df5.shtml
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MAMMA LI TURCHI!!!!!



Deputato turco: Ankara ha dato all’Isis il gas letale Sarin


Scritto il 21/12/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni



Putin che evoca il ricorso all’atomica? Notizia accolta dal mainstream occidentale nel solito modo: pericolose follie dell’Orso russo, nostalgico dell’Urss. Sennonché, emerge che Ankara – con cui la tensione è altissima, dopo la provocazione dell’abbattimento del bombardiere russo Sukhoi-24 impegnato a contrastare i collegamenti fra Isis e Turchia – avrebbe fornito ai jihadisti il materiale per produrre il gas letale Sarin. «Lo afferma il deputato del Partito Popolare Repubblicano turco (Chp) Eren Erdem in un’intervista a “Russia Today”, emittente vicina al Cremlino», scrive “Sponda Sud”. Il Sarin fu usato negli attacchi di Ghouta e nei sobborghi di Damasco nel 2013, per i quali venne accusato Assad. Erdem ha mostrato in Parlamento il fascicolo aperto dalla procura di Adana, poi archiviato, accusando le autorità di aver «insabbiato» il caso. L’indagine, secondo Erdem, rivela che un certo numero di cittadini turchi prese parte alle negoziazioni con i jihadisti. Citando le prove contenute nell’atto di accusa, il deputato turco assicura che le intercettazioni confermano che un militante di Al-Qaeda, Hayyam Kasap, entrò in possesso del Sarin.
Tutto sarebbe contenuto nel faldone “2013/120”, l’indagine che venne poi archiviata. «Ci sono dati sostanziali in quelle carte», dice Erdem a “Rt”. «Si capisce che il materiale usato per le armi chimiche passa attraverso la Turchia e viene assemblato nei campi dell’Isis, che allora era conosciuto come “Al-Qaeda irachena”. È tutto registrato. Ci sono intercettazioni che dicono “non ti preoccupare per la frontiera, ci pensiamo noi”, e si comprende chiaramente come vengono usati i burocrati». A questo punto, aggiunge “Sponda Sud”, il procuratore di Adana Mehmet ArOkan ordina un blitz e 13 persone vengono arrestate. Poi, secondo Erdem, avviene “l’inspiegabile”: una settimana dopo, il caso viene chiuso. E i sospettati passano immediatamente la frontiera turco-siriana. «Le intercettazioni chiarivano come sarebbe avvenuta la consegna, quali camion sarebbero stato usati». Tutto «documentato dalla A alla Z: nonostante gli indizi, i sospettati sono stati rilasciati. E la consegna del carico è avvenuta, perchè nessuno li ha fermati. Forse l’uso del Sarin in Siria dipende da questo».
Sempre secondo Erdem, i turchi coinvolti nel traffico sarebbero poi legati alla “Makina ve Kimya Endustrisi Kurumu” (Mkek), ovvero la principale holding governativa di industrie per la difesa. Gli indizi porterebbero verso un intervento delle autorità per insabbiare il caso, con il possibile coinvolgimento del ministro della giustizia turco Bekir Bozdag. «Il procuratore ArOkan – continua Erdem – non era, per quanto ho capito, uno potente; così una settimana dopo gli arresti un altro pm è stato assegnato al caso e il caso è stato chiuso. Per l’attacco coi gas di Ghouta sono state incolpate le truppe governative siriane», conclude Erdem. «Ma c’è un’alta probabilità che quell’attacco sia stato compiuto con questi materiali transitati dalla Turchia. Con queste prove sappiamo chi ha usato il Sarin e lo sa anche il nostro governo». Forse si capisce meglio, dunque, perché oggi Putin – che ha almeno duemila uomini sul terreno siriano – esprime la “speranza” che non si debba ricorrere all’arma estrema, quella nucleare.
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Mondo
Al Baghdadi e Assad, chi è il più feroce tra i due?
di Franco Rizzi | 22 dicembre 2015
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Il titolo è di per sé già provocatorio, perché – come è noto- stiamo parlando di due macellai che caratterizzano le loro azioni in modo diverso, pur rimanendo due candidati ad un processo internazionale per crimini contro l’umanità. Le vicende per sostenere questo mio convincimento sono tante anche se la loro funzione nella narrazione del Califfato differisce da quella della Sira di Bashar. Voi mi direte che stiamo parlando sempre di morte e di assassini. E’ vero, ma è interessante cercare di capire le differenze. Iniziamo dal Califfo.

Spesso la televisione mostra – nelle immagini di repertorio a proposito della Siria- macerie, case crollate, palazzi che si sbriciolano a causa delle bombe, lunghe strade asfaltate senza veri e propri bordi che delimitano i vari sensi di marcia, camion che sfrecciano carichi di derrate e diversi posti di blocco, dove spesso vengono fermati i veicoli per i controlli da parte dei miliziani dell’Isis.
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Mi viene in mente il caso di due autisti arabi che scendono dal camion e sono sottoposti ad accertamenti per capire – fra l’altro- se si tratta di sciiti oppure no e, per appurare il loro grado di religiosità, si chiede loro, avendo intimato di mettersi in ginocchio, di recitare alcuni versetti del Corano con un fucile puntato alla testa. L’errore, l’amnesia momentanea e la paura non permise ai due autisti di rispondere alla domanda.

Questo fu sufficiente per passare all’atto e spararli un colpo in testa con la conseguente morte dei due. La giustificazione per comportamenti quali questo è che la lotta dell’Isis non è solo contro i cristiani, ma anche contro coloro che, musulmani, non seguono le indicazioni del Corano. I venti copti sgozzati rappresentano anch’essi un messaggio che l’Isis vuole comunicare al mondo arabo musulmano e all’Occidente. Il luogo in cui avvenne l’eccidio, il Mediterraneo e le coste libiche atti a ribadire l’appartenenza di questo mare al mondo arabo musulmano. La ferocia dell’esecuzione, mediante il taglio della gola, la tenuta dei prigionieri simile a quella dei detenuti di Guantanamo. L’inflessibilità e la mancanza di pietà nei riguardi del nemico dimostrano che in questo incubo purificatore in cui le milizie dell’Isis vivono non ci saranno prigionieri. La purezza della umma non può essere contaminata dai valori occidentali e l’Isis vuole dimostrare che sta lavorando per raggiungere questo obbiettivo.

E Bashar Al assad e i suoi miliziani, che cosa fanno di diverso? Anzitutto una considerazione. I media si sono talmente concentrati sugli orrori dell’Isis da far passare in second’ordine quelli compiuti dall’esercito siriano, così come si parla del numero di bombardamenti che le varie coalizioni fanno sull’Iraq e territori siriani in mano del califfo, ma nessuno parla degli effetti collaterali sulla popolazione civile.


Sapevamo già del lavoro di un fotografo siriano, Cesar (pseudonimo) che era riuscito a scappare in Occidente nel 2013 e a portare con se migliaia di foto che testimoniavano gli orrori della milizia di Assad, ma solo ultimamente e grazie al lavoro di Human Rights Watch si può parlare con certezza del contenuto di queste foto per il riconoscimento dei cadaveri e per la loro localizzazione di morte in territorio siriano. La brutalità del regime siriano era nota fin dai tempi del padre di Bashar. Altrettanto nota è la prigione militare Tadmur dove, una volta entrati, difficilmente si riusciva ad uscire sulle proprie gambe. E a questo proposito vorrei consigliare a coloro che leggono il mio post, il bellissimo libro di Mustafa Khalifa, La conchiglia. I miei anni nelle prigioni siriane, Castelvecchi editore, in cui l’autore racconta la spietatezza dei militari e l’orrore che accompagna la sua esperienza carceraria.

Il regime di Bashar stesso ha cercato di difendersi dicendo che quelle foto di Cesar non dimostrano niente. Alla luce dei riconoscimenti operati dai familiari delle vittime, difficilmente si potrà negare quello che le milizie siriane fanno quotidianamente nei confronti degli oppositori. E il regime continuerà a massacrare perché, contrariamente al Califfo che deve mostrare la ferocia dei suoi omicidi per esaltare la sua scelta lungo la via della purificazione del mondo eliminando tutti i miscredenti, Assad deve nascondere i suoi assassini per cercare di non screditarsi ulteriormente di fronte all’opinione pubblica internazionale. Nonostante queste diverse giustificazioni, rimangono due macellai che dovranno essere giudicati per crimini contro l’umanità.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... e/2323645/
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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I GIORNI DEL KAOS



Un, due, tre, pronti via. L'anno del Gufo parte in salita


Ieri per quanto successo in Israele, sembra attribuibile ad un ragazzo non a posto, ma in Arabia Saudita, NO.



Blog Noury – L’anno nuovo comincia come quello vecchio: 157 le esecuzioni nel 2015


Arabia Saudita, messo a morte l’imam Al Nimr
Iran: “Pagherete”. Mondo sciita annuncia rivolta


Eseguite 47 condanne capitali per attentati di Al Qaeda tra 2003 e 2006. Religioso era uno dei leader delle proteste nell’est del Paese. Teheran: ‘Aiutate jihadisti’. Libano: ‘Grave errore’. Domani studenti in piazza

http://www.ilfattoquotidiano.it/

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Arabia Saudita, eseguite 47 condanne a morte per terrorismo. Tra gli uccisi anche il leader sciita Al Nimr. Iran: “Pagherete”
Mondo

Lo ha annunciato il ministero dell’interno saudita secondo quanto riferisce Al Arabiya. La maggior parte dei condannati è stata coinvolta in una serie di attentati attribuiti ad Al Qaeda tra il 2003 e il 2006 e proveniva da 12 regioni del paese. I corpi del leader religioso, del nipote e degli altri cinque sciiti sauditi sono stati esposti pubblicamente. Si leva la rabbia del mondo sciita. L’Iran avverte: l’esecuzione del religioso "vi costerà cara". Riad ha anche annunciato la fine del cessate il fuoco nello Yemen
di F. Q. | 2 gennaio 2016
Commenti (456)



La più grande esecuzione di massa per reati legati al terrorismo dal 1980. Quarantasette persone, coinvolte secondo le autorità in una serie di attentati compiuti tra il 2003 e il 2006 e attribuiti ad Al Qaeda, sono state messe a morte in Arabia Saudita. A annunciarlo è stato il ministero dell’Interno di Riad, che in una dichiarazione rilasciata alla tv di Stato ha elencato i nomi delle 47 vittime: per ciascuna di loro ne ha ricordato i crimini commessi.

Tra gli uccisi anche il religioso sciita Nimr al-Nimr, che era stato condannato a morte l’anno scorso per sedizione. Arrestato a luglio del 2012, era uno dei leader principali delle proteste sciite nella parte orientale del paese. Insieme all’imam, cui la pena capitale era stata inflitta lo scorso anno, sono stati giustiziati almeno altri 3 sciiti, tra cui Ali al-Rubh, che sarebbe stato minorenne al momento del reato.


In un primo momento nella lista delle vittime era stato incluso anche il nome di Ali Mohammed Baqir al-Nimr, giovane attivista nipote del leader religioso, condannato a morte per reati presumibilmente commessi all’età di 17 anni. In seguito la notizia è stata smentita.

I corpi del leader religioso e degli altri 3 sciiti sauditi sono stati esposti pubblicamente, la pena più severa a disposizione dei giudici nel regno saudita, a maggioranza sunnita. Mohammed al-Nimr, fratello dell’imam e padre di Ali, ha chiesto che eventuali reazioni da parte della comunità sciita per la morte del leader religioso siano pacifiche e non sfocino in altre violenze: “Ci aspettavamo l’esecuzione, ma speravamo che la voce dei politici moderati avrebbe prevalso”, ha dichiarato Mohammed al-Nimr a Reuters. “Siamo rimasti scioccati da questa dura notizia. L’imam Nimr godeva di grande stima nella sua comunità e nella società musulmana in generale, e senza dubbio ci saranno reazioni alla sua morte – ha aggiunto – ci auguriamo che eventuali reazioni su limiteranno a un quadro pacifico”. “Basta spargimenti di sangue”, ha concluso.

Quella di oggi è la più grande esecuzione di massa per questi reati dal 1980, quando furono giustiziati 63 ribelli jihadisti, accusati di aver computo l’assalto alla Grande Moschea della Mecca nel 1979, che causò oltre 150 morti. L’Arabia Saudita è tra i paesi che eseguono il più alto numero di sentenze: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte oltre 2200 persone. Lo scorso anno le condanne a

Rabbia del mondo sciita. Iran: “Riad sostiene i terroristi”
Proteste si sono levate da tutto il mondo sciita. L’Iran e i leader religiosi sciiti in Medioriente hanno condannato l’esecuzione dell’imam, annunciando ripercussioni nei confronti della casa reale saudita. In un crescendo di tensioni religiose e diplomatiche, Iran, Yemen e Libano sostengono che l’uccisione di Al Nimr porterà con sé un’ondata di rabbia diffusa e manifestazioni di protesta. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Hossein Jaber Ansari, ad esempio, ha accusato Riad di sostenere il terrorismo e di giustiziare chi si oppone ai terroristi. “Il governo saudita sostiene i terroristi e gli estremisti takfiri (termine usato per indicare i sunniti radicali, ndr), mentre giustizia e sopprime le voci critiche all’interno del Paese”, ha detto Jaber Ansari citato dall’agenzia di stampa Irna.

Nel Paese monta la rabbia. Studenti delle scuole coraniche sono scesi in piazza nella città di Qom con le foto del dissidente saudita, riferisce l’agenzia iraniana Mehr, aggiungendo che domani gli studenti universitari e delle scuole coraniche scenderanno in piazza a Teheran per marciare verso l’ambasciata saudita. I religiosi in tutto il Paese hanno condannato l’esecuzione, annunciando la sospensione dei loro corsi.

Libano, Consiglio supremo islamico: “Grave errore”
L’esecuzione di Al Nimr è stata definita un “grave errore” dal Consiglio supremo islamico sciita in Libano e una “flagrante violazione dei diritti umani” da parte dei ribelli houthi in Yemen. Citato dall’agenzia di stampa Mehr, l’Ayatollah Ahmad Khatami ha detto di “non avere dubbi che questo sangue puro macchierà il colletto della Casa di Saud. L’esecuzione dello Sheikh Nimr è parte di un disegno criminale da parte di questa famiglia infida. Il mondo islamico denuncerà questo regime infame fino a quando sarà possibile”.

Fedeli in piazza in Bahrein, scontri con la polizia
Alla notizia delle esecuzioni è esplosa la rabbia degli sciiti in Bahrein. La polizia ha sparato gas lacrimogeni contro diverse decine di persone che stavano protestando in strada nel villaggio sciita di Abu-Saiba, a ovest della capitale Manama: i manifestanti avevano in mano le immagini del religioso e si sono scontrati con le forze dell’ordine.

Iraq, deputati: “Ora Baghdad giustizi detenuti sunniti”
Voci di protesta si levano anche dall’Iraq. La massima autorità sciita del Paese, l’Imam Moqtada al-Sadr, ha chiesto “agli sciiti dell’Arabia Saudita di mostrare coraggio nella risposta, anche con manifestazioni pacifiche, e lo stesso per gli sciiti nel Golfo, come deterrente per l’ingiustizia e il terrorismo di governo in futuro”. “Chiedo che ci siano manifestazioni davanti a siti e interessi sauditi e io chiedo al governo (iracheno, ndr) di non aprire l’ambasciata saudita”.

“L’applicazione della condanna a morte di Nimr Baqir al-Nimr incendierà la regione”, ha detto il deputato sciita Mohammed al-Sayhood. Haitham al-Jubouri, un altro parlamentare sciita, ha detto che “l’esecuzione di Mujahid Sheikh Nimr al-Nimr da parte del regime terrorista saudita rappresenta l’inizio della fine dei Saud’’. “Questa decisione infiammerà il conflitto settario nella regione e nel mondo”, ha proseguito Jubouri, affermando che ”quest’azione non resterà impunita da parte di Dio e del popolo”. Il deputato sciita Kamil al-Zaidi, del blocco politico dello Stato di Diritto, ha condannato l’esecuzione e chiesto al governo di Baghdad “l’applicazione delle condanne a morte per tutti gli arabi, in particolare per i sauditi, e per i terroristi stranieri che sono stati processati da tribunali iracheni”.

Coalizione militare araba: “Fine tregua nello Yemen”
Nello stesso giorno delle esecuzioni l’agenzia di stampa saudita Spa ha reso noto su Twitter che la coalizione militare araba a guida saudita ha annunciato la fine del cessate il fuoco nello Yemen, dov’è impegnata dal 26 marzo a combattere i miliziani sciiti houthi sostenuti dall’Iran. La tregua era iniziata il 15 dicembre, ma è stato violata più volte sia dalla coalizione militare araba, sia dai miliziani sciiti. “La leadership della coalizione che sostiene la legittimità in Yemen annuncia la fine della tregua in Yemen a partire dalle 14 di sabato”, ora locale, ha riferito la Spa.

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Re: La Terza Guerra Mondiale

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La versione sulla Siria di Andre Vltchek




Lo straordinario coraggio del popolo siriano parla a tutti noi

Scritto il 03/1/16 • LIBRE nella Categoria: idee

Giorno e notte, per anni, una forza travolgente s’è abbattuta su questa nazione tranquilla, una delle culle della civiltà umana. Centinaia di migliaia sono morti, e milioni sono stati costretti a fuggire all’estero o sono stati sfollati. In molte città e villaggi non una casa è rimasta intatta. Ma la Siria è, contro ogni previsione, ancora in piedi. Negli ultimi 3 anni ho lavorato in quasi tutti gli angoli della Siria, denunciando la nascita dell’Isil nei campi gestiti dalla Nato costruiti in Turchia e Giordania. Ho lavorato nella alture occupate del Golan, e in Iraq. Ho lavorato anche in Libano, un paese ora costretto ad ospitare più di 2 milioni (per lo più siriani) di rifugiati. L’unico motivo per cui l’Occidente ha iniziato la sua orribile campagna di destabilizzazione, era perché “non poteva tollerare” la disobbedienza della Siria e la natura socialista del suo Stato. In breve, il modo in cui la dirigenza siriana metteva il benessere del suo popolo al di sopra degli interessi delle multinazionali.
Più di due anni fa, la mia ex-videoredattrice indonesiana pretese una risposta in tono alterato: «Così tante persone muoiono in Siria! Ne vale davvero la pena? Non sarebbe più semplice e migliore per i siriani mollare e lasciare che gli Stati Uniti abbiano ciò che esigono?». Cronicamente pietrificata, questa giovane donna era sempre alla ricerca di soluzioni facili per mantenersi al sicuro, e con significativi vantaggi personali. Come tanti altri oggi, di questi tempi, per sopravvivere e andare aventi, hanno sviluppato un sistema contorto che poggia su tradimenti, autodifese e inganni. Come rispondere a una domanda del genere? Era legittima, dopo tutto. Eduardo Galeano mi disse: «La gente sa quando è il momento di combattere. Non abbiamo il diritto di dirglielo… e quando lo decide, è nostro obbligo sostenerla, anche guidandola se ci avvicina». In questo caso, il popolo siriano ha deciso. Alcun governo o forza politica potrebbe imporre a un’intera nazione tale enorme eroismo e sacrificio.
I russi l’hanno fatto durante la Seconda Guerra Mondiale, e i siriani lo fanno ora. Due anni fa risposi così: «Ho assistito al crollo totale del Medio Oriente. Non c’era più niente in piedi. I paesi che hanno optato per la propria strada sono stati letteralmente rasi al suolo. I paesi che hanno ceduto ai dettami occidentali hanno perso anima, cultura ed essenza, trasformandosi alcuni nei luoghi più miseri della terra. E i siriani lo sapevano: se si arrendevano, sarebbero divenuti un altro Iraq, Yemen o Libia, perfino Afghanistan». E così la Siria si oppose. Decise di combattere, per sé e per la sua parte nel mondo. Ancora una volta, elesse il suo governo e si appoggiò al suo esercito. Qualunque cosa gli occidentali dicessero, qualsiasi tradimento le Ong scrivessero, la semplice logica lo dimostrava. Questa nazione modesta non ha media così potenti da condividere i propri coraggio e agonia col mondo. Sono sempre gli altri che ne commentano la lotta, spesso in modo del tutto dannoso. Ma è innegabile che, mentre le forze sovietiche fermarono l’avanzata dei nazisti a Stalingrado, i siriani sono riusciti a fermare le forze fasciste alleate degli occidentali nella sua parte del mondo.
Naturalmente la Russia ne è direttamente coinvolta. Naturalmente la Cina osserva, anche se spesso nell’ombra. E l’Iran ha dato aiuto. Ed Hezbollah del Libano ha fatto ciò che descrivo spesso, una lotta epica assieme a Damasco contro i mostri estremisti inventati e armati da Occidente, Turchia e Arabia Saudita. Ma il merito principale deve andare al popolo siriano. Sì, ora non c’è più nulla del Medio Oriente. Ora sono più le lacrime che le gocce di pioggia a scendere su questa terra antica. Ma la Siria è in piedi. Bruciata, ferita, ma in piedi. E come è stato ampiamente riportato, dopo che le forze armate russe sono giunte in soccorso della nazione siriana, oltre 1 milione di siriani è potuto reintrare a casa… spesso trovando solo cenere e devastazione, ma a casa. Come le persone tornarono a Stalingrado, oltre 70 anni fa.
Quindi quale sarebbe la mia risposta a tale domanda ora: “sarebbe più facile il contrario”, arrendersi all’Impero? Credo qualcosa del genere: «La vita ha un senso, è degna di essere vissuta solo se possono essere soddisfatte certe condizioni di base. Non si tradisce un grande amore, sia esso per un’altra persona o per un paese, l’umanità o gli ideali. Se non lo si fa, sarebbe meglio non nascere affatto. Allora dico: la sopravvivenza del genere umano è l’obiettivo più sacro. Non qualche effimero vantaggio o ‘sicurezza’ personale, ma la sopravvivenza di tutti noi, persone, nonché della sicurezza di tutti noi, esseri umani». Quando la vita stessa è minacciata, la gente tende a opporsi e a combattere, istintivamente. In quei momenti, alcuni dei capitoli più monumentali della storia umana sono stati scritti. Purtroppo, in quei momenti, milioni morirono. Ma la devastazione non è a causata da coloro che difendono la nostra razza umana. E’ causata dai mostri imperialisti e dai loro succubi.
La maggior parte di noi sogna un mondo senza guerre, senza violenza. Vogliamo che la vera bontà prevalga sulla Terra. Molti di noi lavorano senza sosta per tale società. Ma fino a quando non sarà costruita, fino a quando ogni egoismo estremo, avidità e brutalità sarà sconfitto, dobbiamo lottare per qualcosa di molto più “modesto”, per la sopravvivenza dei popoli e dell’umanesimo. Il prezzo è spesso orribile. Ma l’alternativa è un grande vuoto. Semplicemente il nulla, alla fine, e nient’altro! A Stalingrado, milioni morirono per farci vivere. Nulla rimase della città, tranne che acciaio fuso, mattoni sparsi e un oceano di cadaveri. Il nazismo fu fermato. L’espansionismo occidentale iniziava la ritirata, all’epoca verso Berlino. Ora la Siria, con calma ma stoicamente ed eroicamente, si oppone ai piani sauditi, qatarioti, israeliani, turchi e occidentali per distruggere il Medio Oriente. E il popolo siriano ha vinto. Per quanto tempo, non lo so. Ma ha dimostrato che un paese arabo può ancora sconfiggere potenti orde assassine.


Andre Vltchek “La Siria è la Stalingrado del Medio Oriente”, dalla rivista online “New Eastern Outlook” del 2 gennaio 2016, ripreso dal newsmagazine “Aurora”. Andre Vltchek è un filosofo e scrittore russo, anche regista e giornalista investigativo, ideatore di “World Vltchek”, applicazione per Twitter).
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Nuovo video dell'Isis: minacce a Cameron e Regno Unito


L'annuncio di Site: diffuso un nuovo video. Minacce e insulti a Cameron e Blair. Nel mirino la decisione di Londra di partecipare ai raid aerei sulla Siria insieme al resto della Coalizione
Giovanni Masini - Dom, 03/01/2016 - 15:5

Articolo + Video

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/nuo ... 09641.html
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