Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SFIDE
Un altro fronte che dovremo affrontare é questo:
Berlino: guerra alle nostre banche (le loro, salvate da noi)
Scritto il 26/12/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
La Germania non vuole che l’Italia salvi le sue banche traballanti, anche se il nostro paese ha contribuito al salvataggio di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo, mettendo al sicuro la finanza tedesca. E’ una dichiarazione di guerra, quella che ha raccolto Federico Fubini sul “Corriere della Sera”, da parte di Lars Feld, uno dei “cinque saggi” che consigliano il governo tedesco e probabilmente il più vicino al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Feld pretende che l’Italia ricorra al bail-in, senza misericordia. Bail-in, spiega il “Foglio”, significa «azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100.000 euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato». È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore il 1° gennaio. Fubini domanda: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?». Feld risponde: «Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100.000 euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi».
Feld “non crede” che si arriverà a una richiesta di aiuto al fondo-salvataggi Esm. «Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere». Dice “staremo a vedere”, scrive Fubini, e poi Feld «si mette a ridere». Altra domanda: «Non crede dunque Lars Feldche colpire obbligazionisti e correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?» Risposta: «Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C’è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100.000 euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti». La Germania, aggiunge Fubini, ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un’idea così giusta, perché Berlino non l’ha mai applicato? «All’epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà», risponde Feld. «Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c’è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».
Dunque in Germania si pensa e si dice che l’Italia andrà presto in pieno bail-in, e non c’è ragione che l’Europa consenta al governo Renzi di evitarlo perché non sarebbero colpiti i conti correnti sotto i 100.000 euro. I soldi aggredibili dal bail-in sarebbero 1.122 miliardi. Nel frattempo Margrethe Vestager, il commissario europeo alla concorrenza, ex vicepremier danese della sinistra liberale, che da un anno ha in mano il dossier sul futuro delle banche nella terza economia dell’area euro, non parla: «Non si ricorda una sola frase dedicata a spiegare la sua posizione sul sistema degli istituti di credito in Italia», scrive Fubini sul “Corriere”. «L’unica cosa che si ricorda è l’attitudine dei suoi funzionari a bloccare di fatto la riforma di cui l’Italia ha bisogno nel modo più pressante: una “bad bank”», cioè «un’azienda, spesso forte di garanzia da parte dello Stato, costituita per Margrethe Vestagercomprare crediti in default delle banche e liberare così il sistema dal rischio di altri dissesti simili a quelli di banche come Etruria e Marche, o delle casse di risparmio di Ferrara e Chieti».
In Italia i prestiti ad alto rischio di almeno parziale insolvenza – le “sofferenze” – sfiorano i 200 miliardi di euro («qualcosa come circa sette leggi di Stabilità»). E il denaro accantonato dalle banche per farvi fronte è poco più di metà. Il sistema resta sottocapitalizzato e avrà bisogno di rafforzarsi, «ma senza una rapida ripulitura dei bilanci grazie a una “bad bank”, non solo non potranno tornare i prestiti e gli investimenti necessari alla ripresa: più pericolosa ancora è la prospettiva che alcune banche continuino a dissanguarsi sui crediti deteriorati, fino ad aver bisogno di nuovi salvataggi. E dal 2016, secondo l’ormai nota legge europea, qualunque intervento pubblico implica sforbiciate alle obbligazioni degli investitori e ai conti della clientela», aggiunge Fubini. Il commissario Vestager? Teme che l’Italia rischierebbe di concedere aiuti di Stato ai suoi istituti. «La garanzia sulle eventuali perdite della “bad bank” potrebbe infatti incoraggiare quest’azienda a comprare i crediti dalle banche a prezzi più alti di quelli di mercato. E l’unica affermazione ufficiale dei portavoce della Commissione Ue è che quelle cessioni devono invece avvenire ai prezzi che accetterebbe un investitore privato».
Per il complesso degli istituti italiani, prosegue Fubini, questo significherebbe aprire un buco di capitale da circa 40 miliardi, visto che le stime sul valore delle “sofferenze” a bilancio (accettate dalla Bce) sono molto superiori ai prezzi di mercato. «Con l’implicazione di colpire azioni, obbligazioni e conti correnti su tutto il sistema: potenzialmente, milioni di persone». Nel 2009, nel caso di aiuti di Stato, la Commissione Europea ammetteva prezzi distanti da quelli di mercato, ma questa regola è oggi ignorata dai funzionari di Vestager. «Più sorprendente ancora: vengono ignorate anche le norme sulle deroghe all’obbligo di colpire i risparmiatori», ribadite nel 2014 e nel 2013 (possibile derogare alla sforbiciata sul risparmio, se tale misura mettesse «in pericolo la stabilità finanziaria» o determinasse «risultati sproporzionati»). Perché adesso l’Ue va contromano? «La risposta – continua Fubini – è forse in un documento fatto circolare dal ministero delle finanze tedesco, che ci riporta alle Federico Fubinidichiarazioni, apparentemente sfrontate, di Lars Feld». Il documento recita: «È di fondamentale importanza minimizzare i rischi a carico dei contribuenti. Occorre assicurare un credibile bail-in, invece di mettere in comune i rischi bancari».
Dunque, conclude il giornalista del “Corriere”, Berlino teme di pagare per salvare le banche italiane e dà mandato alla Commissione di essere inflessibile. Renzi sta attaccando la Merkel da diversi giorni su tre punti: banche, migranti e politica energetica. Le tensioni sono venute allo scoperto all’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo (Renzi alla Merkel: «Non potete raccontarci che state donando il sangue all’Europa, cara Angela»). Questione migranti: Merkel continua ad accusare l’Italia di barare sulla loro nazionalità per scaricarli poi sui paesi nordici. E dice che non ci stiamo sbrigando a preparare i centri d’accoglienza, detti “hotspot”, dove si deve procedere all’identificazione di ognuno prima dello smistamento. Renzi ha risposto: «I numeri della relocation sono inaccettabili». “Relocation”, cioè redistribuzione dei migranti che sbarcano da noi o in Grecia. Renzi: «Siamo al 50% degli hotspot e allo 0,2% della relocation». Il premier contesta anche i tre miliardi da dare alla Turchia, con contributi anche nostri, che servirebbero ad evitare l’arrivo di due milioni di siriani soprattutto in Germania.
Poi c’è la questione energia: la Ue a trazione tedesca ha bloccato il gasdotto South Stream che avrebbe trasportato il metano russo attraverso i Balcani e l’Italia. Ma lascia che si faccia il gasdotto North Stream, che passerà invece per la Germania. «Un’evidente contraddizione: Berlino si attende che tutti gli stati Ue prolunghino le sanzioni economiche alla Russia senza fiatare, salvo procedere essa stessa al raddoppio del gasdotto». Ma è la questione delle banche europee, insiste il “Foglio”, la bomba atomica pronta ad esplodere in Italia qualora non si trovasse un accordo politico. Unione Bancaria: «I primi due passi sono stati fatti, e cioè abbiamo una sorveglianza bancaria unica e uguale per tutti, e un criterio condiviso per risolvere la crisi di Giorgio Dell'Artiun istituto: se si vuole salvare una banca in fallimento con del denaro pubblico, bisogna prima rasare in tutto o in parte il valore di azioni e obbligazioni secondarie e depositi nella parte eccedente i centomila euro. Questo dal prossimo 1° gennaio».
L’Italia, scrive Giorgio Dell’Arti sulla “Gazzetta dello Sport”, dice che il sì a queste regole venne dato in cambio della promessa che poi si sarebbe messo in piedi un terzo pilastro: una garanzia comune dell’area euro su tutti i conti correnti fino a 100.000 euro. La Merkel nega che questa promessa sia stata fatta. «E, sostenuta dalla Bundesbank e da Schäuble, non intende minimamente mettere a rischio il portafoglio dei suoi elettori per salvare banche del Sud (la posizione italiana è condivisa da Hollande)». In realtà, precisa Fubini, la garanzia su quei depositi c’è già: e a darla, come si sa, sono i singoli Stati. «Ma le file davanti agli sportelli in Grecia dell’estate scorsa dimostrano che risparmiatori e correntisti non credono alle garanzie sui loro conti offerte dai governi più indebitati, se questi sbandano. Serve una tutela europea, come promessa che non tornerà più un panico agli sportelli come quello visto ad Atene cinque mesi fa e per far capire a 300 milioni di cittadini che l’euro è utile, ed è qui per restare. Di qui la proposta di una garanzia comune dell’area euro, prevista nei piani dell’Unione Bancaria. Di qui però anche la frenata di Berlino».
Schäuble e l’intera opinione pubblica in Germania non intendono rischiare di dover pagare per stabilizzare le banche di altri paesi, spiega il “Corriere”. Non, almeno, fino a quando le banche e il debito pubblico di tutta l’Europa del Sud – soprattutto in Italia – non sembreranno ai tedeschi davvero in sicurezza. E per adesso non è così. Visto dall’Italia, può apparire un amaro paradosso. «Il debito pubblico italiano – scrive Fubini – viaggia oggi su livelli di 59,8 miliardi di euro (il 3,7% del Pil) in più di quanto doveva a causa del contributo del governo di Roma ai salvataggi di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo fra il 2010 e il 2012. Nel frattempo, proprio grazie a quegli interventi, le banche tedesche sono uscite miracolosamente illese da investimenti a Angela Merkelrischio per un totale di 334 miliardi nei quattro paesi in crisi. Fin qui il contribuente italiano ha pagato per salvare gli istituti tedeschi. Non il contrario».
Naturalmente, i tedeschi non ammettono la verità. E a Berlino e Francoforte «nessuno crede più che l’Italia cerchi di ridurre il suo enorme debito pubblico», scrive Fubini. «Le continue richieste di “flessibilità” a Bruxelles sul bilancio pubblico – inclusa l’ultima misura “anti-terrorismo”, il bonus da 500 euro per mandare i 18enni a teatro – hanno convinto tutti in Europa che il governo di Matteo Renzi non farà alcun tentativo di risanare il debito». Il vertice della scorsa settimana, chiosa Valerio Lo Prete sul “Foglio”, non ha minimamente spostato le posizioni di nessuno dei contendenti. Renzi ha commentato: «Non ho attaccato la Germania. Ho solo fatto delle domande. Dobbiamo uscire da questa cultura della subalternità». Lo Prete: «Domandare è lecito, ma rispondere rimane pur sempre una cortesia che al momento è appannaggio della cancelliera tedesca. E ad oggi di risposte non se ne intravedono».
Un altro fronte che dovremo affrontare é questo:
Berlino: guerra alle nostre banche (le loro, salvate da noi)
Scritto il 26/12/15 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
La Germania non vuole che l’Italia salvi le sue banche traballanti, anche se il nostro paese ha contribuito al salvataggio di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo, mettendo al sicuro la finanza tedesca. E’ una dichiarazione di guerra, quella che ha raccolto Federico Fubini sul “Corriere della Sera”, da parte di Lars Feld, uno dei “cinque saggi” che consigliano il governo tedesco e probabilmente il più vicino al ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Feld pretende che l’Italia ricorra al bail-in, senza misericordia. Bail-in, spiega il “Foglio”, significa «azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100.000 euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato». È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore il 1° gennaio. Fubini domanda: «Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?». Feld risponde: «Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100.000 euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi».
Feld “non crede” che si arriverà a una richiesta di aiuto al fondo-salvataggi Esm. «Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere». Dice “staremo a vedere”, scrive Fubini, e poi Feld «si mette a ridere». Altra domanda: «Non crede dunque Lars Feldche colpire obbligazionisti e correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?» Risposta: «Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C’è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100.000 euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti». La Germania, aggiunge Fubini, ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un’idea così giusta, perché Berlino non l’ha mai applicato? «All’epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà», risponde Feld. «Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c’è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».
Dunque in Germania si pensa e si dice che l’Italia andrà presto in pieno bail-in, e non c’è ragione che l’Europa consenta al governo Renzi di evitarlo perché non sarebbero colpiti i conti correnti sotto i 100.000 euro. I soldi aggredibili dal bail-in sarebbero 1.122 miliardi. Nel frattempo Margrethe Vestager, il commissario europeo alla concorrenza, ex vicepremier danese della sinistra liberale, che da un anno ha in mano il dossier sul futuro delle banche nella terza economia dell’area euro, non parla: «Non si ricorda una sola frase dedicata a spiegare la sua posizione sul sistema degli istituti di credito in Italia», scrive Fubini sul “Corriere”. «L’unica cosa che si ricorda è l’attitudine dei suoi funzionari a bloccare di fatto la riforma di cui l’Italia ha bisogno nel modo più pressante: una “bad bank”», cioè «un’azienda, spesso forte di garanzia da parte dello Stato, costituita per Margrethe Vestagercomprare crediti in default delle banche e liberare così il sistema dal rischio di altri dissesti simili a quelli di banche come Etruria e Marche, o delle casse di risparmio di Ferrara e Chieti».
In Italia i prestiti ad alto rischio di almeno parziale insolvenza – le “sofferenze” – sfiorano i 200 miliardi di euro («qualcosa come circa sette leggi di Stabilità»). E il denaro accantonato dalle banche per farvi fronte è poco più di metà. Il sistema resta sottocapitalizzato e avrà bisogno di rafforzarsi, «ma senza una rapida ripulitura dei bilanci grazie a una “bad bank”, non solo non potranno tornare i prestiti e gli investimenti necessari alla ripresa: più pericolosa ancora è la prospettiva che alcune banche continuino a dissanguarsi sui crediti deteriorati, fino ad aver bisogno di nuovi salvataggi. E dal 2016, secondo l’ormai nota legge europea, qualunque intervento pubblico implica sforbiciate alle obbligazioni degli investitori e ai conti della clientela», aggiunge Fubini. Il commissario Vestager? Teme che l’Italia rischierebbe di concedere aiuti di Stato ai suoi istituti. «La garanzia sulle eventuali perdite della “bad bank” potrebbe infatti incoraggiare quest’azienda a comprare i crediti dalle banche a prezzi più alti di quelli di mercato. E l’unica affermazione ufficiale dei portavoce della Commissione Ue è che quelle cessioni devono invece avvenire ai prezzi che accetterebbe un investitore privato».
Per il complesso degli istituti italiani, prosegue Fubini, questo significherebbe aprire un buco di capitale da circa 40 miliardi, visto che le stime sul valore delle “sofferenze” a bilancio (accettate dalla Bce) sono molto superiori ai prezzi di mercato. «Con l’implicazione di colpire azioni, obbligazioni e conti correnti su tutto il sistema: potenzialmente, milioni di persone». Nel 2009, nel caso di aiuti di Stato, la Commissione Europea ammetteva prezzi distanti da quelli di mercato, ma questa regola è oggi ignorata dai funzionari di Vestager. «Più sorprendente ancora: vengono ignorate anche le norme sulle deroghe all’obbligo di colpire i risparmiatori», ribadite nel 2014 e nel 2013 (possibile derogare alla sforbiciata sul risparmio, se tale misura mettesse «in pericolo la stabilità finanziaria» o determinasse «risultati sproporzionati»). Perché adesso l’Ue va contromano? «La risposta – continua Fubini – è forse in un documento fatto circolare dal ministero delle finanze tedesco, che ci riporta alle Federico Fubinidichiarazioni, apparentemente sfrontate, di Lars Feld». Il documento recita: «È di fondamentale importanza minimizzare i rischi a carico dei contribuenti. Occorre assicurare un credibile bail-in, invece di mettere in comune i rischi bancari».
Dunque, conclude il giornalista del “Corriere”, Berlino teme di pagare per salvare le banche italiane e dà mandato alla Commissione di essere inflessibile. Renzi sta attaccando la Merkel da diversi giorni su tre punti: banche, migranti e politica energetica. Le tensioni sono venute allo scoperto all’ultimo vertice dei capi di Stato e di governo (Renzi alla Merkel: «Non potete raccontarci che state donando il sangue all’Europa, cara Angela»). Questione migranti: Merkel continua ad accusare l’Italia di barare sulla loro nazionalità per scaricarli poi sui paesi nordici. E dice che non ci stiamo sbrigando a preparare i centri d’accoglienza, detti “hotspot”, dove si deve procedere all’identificazione di ognuno prima dello smistamento. Renzi ha risposto: «I numeri della relocation sono inaccettabili». “Relocation”, cioè redistribuzione dei migranti che sbarcano da noi o in Grecia. Renzi: «Siamo al 50% degli hotspot e allo 0,2% della relocation». Il premier contesta anche i tre miliardi da dare alla Turchia, con contributi anche nostri, che servirebbero ad evitare l’arrivo di due milioni di siriani soprattutto in Germania.
Poi c’è la questione energia: la Ue a trazione tedesca ha bloccato il gasdotto South Stream che avrebbe trasportato il metano russo attraverso i Balcani e l’Italia. Ma lascia che si faccia il gasdotto North Stream, che passerà invece per la Germania. «Un’evidente contraddizione: Berlino si attende che tutti gli stati Ue prolunghino le sanzioni economiche alla Russia senza fiatare, salvo procedere essa stessa al raddoppio del gasdotto». Ma è la questione delle banche europee, insiste il “Foglio”, la bomba atomica pronta ad esplodere in Italia qualora non si trovasse un accordo politico. Unione Bancaria: «I primi due passi sono stati fatti, e cioè abbiamo una sorveglianza bancaria unica e uguale per tutti, e un criterio condiviso per risolvere la crisi di Giorgio Dell'Artiun istituto: se si vuole salvare una banca in fallimento con del denaro pubblico, bisogna prima rasare in tutto o in parte il valore di azioni e obbligazioni secondarie e depositi nella parte eccedente i centomila euro. Questo dal prossimo 1° gennaio».
L’Italia, scrive Giorgio Dell’Arti sulla “Gazzetta dello Sport”, dice che il sì a queste regole venne dato in cambio della promessa che poi si sarebbe messo in piedi un terzo pilastro: una garanzia comune dell’area euro su tutti i conti correnti fino a 100.000 euro. La Merkel nega che questa promessa sia stata fatta. «E, sostenuta dalla Bundesbank e da Schäuble, non intende minimamente mettere a rischio il portafoglio dei suoi elettori per salvare banche del Sud (la posizione italiana è condivisa da Hollande)». In realtà, precisa Fubini, la garanzia su quei depositi c’è già: e a darla, come si sa, sono i singoli Stati. «Ma le file davanti agli sportelli in Grecia dell’estate scorsa dimostrano che risparmiatori e correntisti non credono alle garanzie sui loro conti offerte dai governi più indebitati, se questi sbandano. Serve una tutela europea, come promessa che non tornerà più un panico agli sportelli come quello visto ad Atene cinque mesi fa e per far capire a 300 milioni di cittadini che l’euro è utile, ed è qui per restare. Di qui la proposta di una garanzia comune dell’area euro, prevista nei piani dell’Unione Bancaria. Di qui però anche la frenata di Berlino».
Schäuble e l’intera opinione pubblica in Germania non intendono rischiare di dover pagare per stabilizzare le banche di altri paesi, spiega il “Corriere”. Non, almeno, fino a quando le banche e il debito pubblico di tutta l’Europa del Sud – soprattutto in Italia – non sembreranno ai tedeschi davvero in sicurezza. E per adesso non è così. Visto dall’Italia, può apparire un amaro paradosso. «Il debito pubblico italiano – scrive Fubini – viaggia oggi su livelli di 59,8 miliardi di euro (il 3,7% del Pil) in più di quanto doveva a causa del contributo del governo di Roma ai salvataggi di Grecia, Irlanda, Islanda e Portogallo fra il 2010 e il 2012. Nel frattempo, proprio grazie a quegli interventi, le banche tedesche sono uscite miracolosamente illese da investimenti a Angela Merkelrischio per un totale di 334 miliardi nei quattro paesi in crisi. Fin qui il contribuente italiano ha pagato per salvare gli istituti tedeschi. Non il contrario».
Naturalmente, i tedeschi non ammettono la verità. E a Berlino e Francoforte «nessuno crede più che l’Italia cerchi di ridurre il suo enorme debito pubblico», scrive Fubini. «Le continue richieste di “flessibilità” a Bruxelles sul bilancio pubblico – inclusa l’ultima misura “anti-terrorismo”, il bonus da 500 euro per mandare i 18enni a teatro – hanno convinto tutti in Europa che il governo di Matteo Renzi non farà alcun tentativo di risanare il debito». Il vertice della scorsa settimana, chiosa Valerio Lo Prete sul “Foglio”, non ha minimamente spostato le posizioni di nessuno dei contendenti. Renzi ha commentato: «Non ho attaccato la Germania. Ho solo fatto delle domande. Dobbiamo uscire da questa cultura della subalternità». Lo Prete: «Domandare è lecito, ma rispondere rimane pur sempre una cortesia che al momento è appannaggio della cancelliera tedesca. E ad oggi di risposte non se ne intravedono».
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Re: Diario della caduta di un regime.
SFIDE
«Dovrete colpire i risparmi privati E forse vi servirà un salvataggio Ue» - Corriere.it
Lars Feld, 49 anni, fra i «cinque saggi» che consigliano il governo tedesco è probabilmente il più vicino al ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. E quando lo si ascolta bisogna conoscere bene il significato della parola che pronuncia più spesso: «bail-in». Significa azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100 mila euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato. È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore tra dodici giorni. Per Feld è la chiave per andare avanti nell’area euro.
Eppure al vertice europeo si è capito che Berlino non vuole una garanzia comune sui depositi bancari. Per quale motivo?
«In molti Paesi dell’area euro, fra i quali l’Italia, restano correzioni da fare nei bilanci delle banche. Una garanzia comune sui depositi sarebbe un modo di esternalizzare vecchi problemi delle banche da certi Paesi verso altri. Schaeuble si è opposto, e penso abbia ragione. Prima vanno rafforzati i bilanci delle banche. I crediti inesigibili vanno affrontati a livello nazionale».
Non crede che colpire gli obbligazionisti o i correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?
«Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C’è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100 mila euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti. E in caso di contagio, ci sono strumenti europei per gestirlo».
Vuole dire che l’Italia dovrebbe chiedere aiuto al fondo salvataggi europeo (Esm), ossia alla Troika, se fa un bail-in che provoca contagio finanziario?
«Sì. Se c’è contagio, allora c’e il fondo salvataggi Esm per affrontarlo. L’instabilità finanziaria in Italia può avere un impatto su tutta l’Europa, quindi può aver senso fare un programma europeo per gestire un contagio causato dalle banche italiane. Se ci fosse, naturalmente».
Il governo italiano non ha problemi a finanziarsi. Perché dovrebbe chiedere un aiuto europeo se può ricapitalizzare le banche con i propri soldi, in caso di necessità?
«Tocca al governo decidere. Se ce la fa da solo, bene. Ma andrebbe fatto nel quadro del Fiscal Compact europeo. A un certo punto un governo non può andare ancora più in deficit o in debito. Il fondo salvataggi è lì per gestire il rischio sistemico che va aldilà della capacità di un Paese. Comunque dobbiamo impedire a qualunque governo di sussidiare le banche».
Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?
«Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi. Ma non credo che l’attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm. Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere» (ride).
Non è un po’ l’uovo e la gallina? Non sai mai se c’è instabilità malgrado il bail-in o c’è instabilità e devi chiedere aiuto proprio perché hai fatto il bail-in.
«Il punto è, a un certo momento devi decidere. Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c’è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Spagna e Cipro hanno affrontato la ristrutturazione bancaria, hanno fatto bail-in, ma senza contagio. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».
La Germania ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un’idea così giusta, perché non l’ha mai applicato?
«All’epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà. C’era una crisi finanziaria, come forse ricorda. Questa volta è diverso. Non sappiamo se ci sarà contagio oppure no, dunque non c’è ragione di rinviare la ristrutturazione e il bail-in».
Nel caso della tedesca Hsh Nordbank ci sono stati tre miliardi di aiuti due mesi fa ma niente tagli su azionisti e risparmiatori. Perché?
«Quel caso non è ancora risolto. La questione è in che misura puoi colpire l’azionista di quella banca, che è pubblico. Io sono a favore del bail-in, ma come va trattato un governo in qualità di azionista è un’altra questione».
Anche le casse di risparmio tedesche godono di garanzie pubbliche a tappeto. Poiché i sussidi non sono accettabili, verranno eliminate?
«Sono garanzie implicite, piccole. E la Commissione Ue le ha autorizzate».
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L'intervista originale di Federico Fubini, sul Corriere della Sera.
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Corriere della Sera
L'intervista
Lars Feld, 49 anni, fra i «cinque saggi» che consigliano il governo tedesco è probabilmente il più vicino al ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. E quando lo si ascolta bisogna conoscere bene il significato della parola che pronuncia più spesso: «bail-in». Significa azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100 mila euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato. È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore tra dodici giorni. Per Feld è la chiave per andare avanti nell?area euro.Eppure al vertice europeo si è capito che Berlino non vuole una garanzia comune sui depositi bancari. Per quale motivo?«In molti Paesi dell?area euro, fra i quali l'Italia, restano correzioni da fare nei bilanci delle banche. Una garanzia comune sui depositi sarebbe un modo di esternalizzare vecchi problemi delle banche da certi Paesi verso altri. Schaeuble si è opposto, e penso abbia ragione. Prima vanno rafforzati i bilanci delle banche. I crediti inesigibili vanno affrontati a livello nazionale».Non crede che colpire gli obbligazionisti o i correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?«Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C?è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100 mila euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti. E in caso di contagio, ci sono strumenti europei per gestirlo».Vuole dire che l?Italia dovrebbe chiedere aiuto al fondo salvataggi europeo (Esm), ossia alla Troika, se fa un bail-in che provoca contagio finanziario?«Sì. Se c?è contagio, allora c?e il fondo salvataggi Esm per affrontarlo. L?instabilità finanziaria in Italia può avere un impatto su tutta l?Europa, quindi può aver senso fare un programma europeo per gestire un contagio causato dalle banche italiane. Se ci fosse, naturalmente».Il governo italiano non ha problemi a finanziarsi. Perché dovrebbe chiedere un aiuto europeo se può ricapitalizzare le banche con i propri soldi, in caso di necessità?«Tocca al governo decidere. Se ce la fa da solo, bene. Ma andrebbe fatto nel quadro del Fiscal Compact europeo. A un certo punto un governo non può andare ancora più in deficit o in debito. Il fondo salvataggi è lì per gestire il rischio sistemico che va aldilà della capacità di un Paese. Comunque dobbiamo impedire a qualunque governo di sussidiare le banche».Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l?arrivo della Troika?«Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi. Ma non credo che l?attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm. Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere» (ride).Non è un po? l?uovo e la gallina? Non sai mai se c?è instabilità malgrado il bail-in o c?è instabilità e devi chiedere aiuto proprio perché hai fatto il bail-in.«Il punto è, a un certo momento devi decidere. Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c?è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Spagna e Cipro hanno affrontato la ristrutturazione bancaria, hanno fatto bail-in, ma senza contagio. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».La Germania ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un?idea così giusta, perché non l?ha mai applicato?«All?epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà. C?era una crisi finanziaria, come forse ricorda. Questa volta è diverso. Non sappiamo se ci sarà contagio oppure no, dunque non c?è ragione di rinviare la ristrutturazione e il bail-in».Nel caso della tedesca Hsh Nordbank ci sono stati tre miliardi di aiuti due mesi fa ma niente tagli su azionisti e risparmiatori. Perché?«Quel caso non è ancora risolto. La questione è in che misura puoi colpire l?azionista di quella banca, che è pubblico. Io sono a favore del bail-in, ma come va trattato un governo in qualità di azionista è un?altra questione».Anche le casse di risparmio tedesche godono di garanzie pubbliche a tappeto. Poiché i sussidi non sono accettabili, verranno eliminate?«Sono garanzie implicite, piccole. E la Commissione Ue le ha autorizzate».
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Fubini Federico
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(19 dicembre 2015) - Corriere della Sera
«Dovrete colpire i risparmi privati E forse vi servirà un salvataggio Ue» - Corriere.it
Lars Feld, 49 anni, fra i «cinque saggi» che consigliano il governo tedesco è probabilmente il più vicino al ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. E quando lo si ascolta bisogna conoscere bene il significato della parola che pronuncia più spesso: «bail-in». Significa azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100 mila euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato. È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore tra dodici giorni. Per Feld è la chiave per andare avanti nell’area euro.
Eppure al vertice europeo si è capito che Berlino non vuole una garanzia comune sui depositi bancari. Per quale motivo?
«In molti Paesi dell’area euro, fra i quali l’Italia, restano correzioni da fare nei bilanci delle banche. Una garanzia comune sui depositi sarebbe un modo di esternalizzare vecchi problemi delle banche da certi Paesi verso altri. Schaeuble si è opposto, e penso abbia ragione. Prima vanno rafforzati i bilanci delle banche. I crediti inesigibili vanno affrontati a livello nazionale».
Non crede che colpire gli obbligazionisti o i correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?
«Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C’è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100 mila euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti. E in caso di contagio, ci sono strumenti europei per gestirlo».
Vuole dire che l’Italia dovrebbe chiedere aiuto al fondo salvataggi europeo (Esm), ossia alla Troika, se fa un bail-in che provoca contagio finanziario?
«Sì. Se c’è contagio, allora c’e il fondo salvataggi Esm per affrontarlo. L’instabilità finanziaria in Italia può avere un impatto su tutta l’Europa, quindi può aver senso fare un programma europeo per gestire un contagio causato dalle banche italiane. Se ci fosse, naturalmente».
Il governo italiano non ha problemi a finanziarsi. Perché dovrebbe chiedere un aiuto europeo se può ricapitalizzare le banche con i propri soldi, in caso di necessità?
«Tocca al governo decidere. Se ce la fa da solo, bene. Ma andrebbe fatto nel quadro del Fiscal Compact europeo. A un certo punto un governo non può andare ancora più in deficit o in debito. Il fondo salvataggi è lì per gestire il rischio sistemico che va aldilà della capacità di un Paese. Comunque dobbiamo impedire a qualunque governo di sussidiare le banche».
Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l’arrivo della Troika?
«Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi. Ma non credo che l’attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm. Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere» (ride).
Non è un po’ l’uovo e la gallina? Non sai mai se c’è instabilità malgrado il bail-in o c’è instabilità e devi chiedere aiuto proprio perché hai fatto il bail-in.
«Il punto è, a un certo momento devi decidere. Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c’è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Spagna e Cipro hanno affrontato la ristrutturazione bancaria, hanno fatto bail-in, ma senza contagio. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».
La Germania ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un’idea così giusta, perché non l’ha mai applicato?
«All’epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà. C’era una crisi finanziaria, come forse ricorda. Questa volta è diverso. Non sappiamo se ci sarà contagio oppure no, dunque non c’è ragione di rinviare la ristrutturazione e il bail-in».
Nel caso della tedesca Hsh Nordbank ci sono stati tre miliardi di aiuti due mesi fa ma niente tagli su azionisti e risparmiatori. Perché?
«Quel caso non è ancora risolto. La questione è in che misura puoi colpire l’azionista di quella banca, che è pubblico. Io sono a favore del bail-in, ma come va trattato un governo in qualità di azionista è un’altra questione».
Anche le casse di risparmio tedesche godono di garanzie pubbliche a tappeto. Poiché i sussidi non sono accettabili, verranno eliminate?
«Sono garanzie implicite, piccole. E la Commissione Ue le ha autorizzate».
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L'intervista originale di Federico Fubini, sul Corriere della Sera.
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«Dovrete colpire i risparmi privati E forse vi servirà un salvataggio Ue»>
Corriere della Sera
L'intervista
Lars Feld, 49 anni, fra i «cinque saggi» che consigliano il governo tedesco è probabilmente il più vicino al ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble. E quando lo si ascolta bisogna conoscere bene il significato della parola che pronuncia più spesso: «bail-in». Significa azzerare o tagliare il valore delle azioni, di tutte le obbligazioni e dei saldi di conto corrente per la parte sopra i 100 mila euro, fino a ridurre del 12% le passività di qualunque banca che riceva un aiuto di Stato. È la nuova legislazione europea, voluta dalla Germania, che entra in vigore tra dodici giorni. Per Feld è la chiave per andare avanti nell?area euro.Eppure al vertice europeo si è capito che Berlino non vuole una garanzia comune sui depositi bancari. Per quale motivo?«In molti Paesi dell?area euro, fra i quali l'Italia, restano correzioni da fare nei bilanci delle banche. Una garanzia comune sui depositi sarebbe un modo di esternalizzare vecchi problemi delle banche da certi Paesi verso altri. Schaeuble si è opposto, e penso abbia ragione. Prima vanno rafforzati i bilanci delle banche. I crediti inesigibili vanno affrontati a livello nazionale».Non crede che colpire gli obbligazionisti o i correntisti delle banche possa creare contagio finanziario e instabilità, anziché stabilizzare la situazione?«Il bail-in può sempre essere seguito da instabilità. C?è sempre rischio di contagio quando si interviene su una banca, ma sarebbero colpiti solo i depositi sopra ai 100 mila euro, non quelli piccoli e medi. Dunque non sono rischi pesanti. E in caso di contagio, ci sono strumenti europei per gestirlo».Vuole dire che l?Italia dovrebbe chiedere aiuto al fondo salvataggi europeo (Esm), ossia alla Troika, se fa un bail-in che provoca contagio finanziario?«Sì. Se c?è contagio, allora c?e il fondo salvataggi Esm per affrontarlo. L?instabilità finanziaria in Italia può avere un impatto su tutta l?Europa, quindi può aver senso fare un programma europeo per gestire un contagio causato dalle banche italiane. Se ci fosse, naturalmente».Il governo italiano non ha problemi a finanziarsi. Perché dovrebbe chiedere un aiuto europeo se può ricapitalizzare le banche con i propri soldi, in caso di necessità?«Tocca al governo decidere. Se ce la fa da solo, bene. Ma andrebbe fatto nel quadro del Fiscal Compact europeo. A un certo punto un governo non può andare ancora più in deficit o in debito. Il fondo salvataggi è lì per gestire il rischio sistemico che va aldilà della capacità di un Paese. Comunque dobbiamo impedire a qualunque governo di sussidiare le banche».Lei prevede che in Italia ci sarà bail-in dei conti correnti, quindi contagio e poi una richiesta di aiuto al fondo salvataggi, con l?arrivo della Troika?«Prevedo un pieno bail-in. I tagli alle obbligazioni e ai conti correnti sopra i 100 mila euro dovranno aiutare a ristrutturare le banche, perché la Commissione Ue impedirà salvataggi delle banche da parte del governo o sussidi nascosti agli istituti. Non saranno permessi. Ma non credo che l?attuale situazione porterà necessariamente a una richiesta di aiuto al fondo salvataggi Esm. Non prevedo un contagio. In ogni caso, staremo a vedere» (ride).Non è un po? l?uovo e la gallina? Non sai mai se c?è instabilità malgrado il bail-in o c?è instabilità e devi chiedere aiuto proprio perché hai fatto il bail-in.«Il punto è, a un certo momento devi decidere. Se hai paura del contagio, ma non hai le prove che ci sarà, non c?è ragione di ricapitalizzare le banche con denaro pubblico. Spagna e Cipro hanno affrontato la ristrutturazione bancaria, hanno fatto bail-in, ma senza contagio. Il mio consiglio è: fatelo e vediamo cosa succede».La Germania ha offerto circa 250 miliardi di aiuti di Stato alle proprie banche. Se il bail-in è un?idea così giusta, perché non l?ha mai applicato?«All?epoca non aveva senso colpire i risparmiatori, perché il contagio finanziario era già realtà. C?era una crisi finanziaria, come forse ricorda. Questa volta è diverso. Non sappiamo se ci sarà contagio oppure no, dunque non c?è ragione di rinviare la ristrutturazione e il bail-in».Nel caso della tedesca Hsh Nordbank ci sono stati tre miliardi di aiuti due mesi fa ma niente tagli su azionisti e risparmiatori. Perché?«Quel caso non è ancora risolto. La questione è in che misura puoi colpire l?azionista di quella banca, che è pubblico. Io sono a favore del bail-in, ma come va trattato un governo in qualità di azionista è un?altra questione».Anche le casse di risparmio tedesche godono di garanzie pubbliche a tappeto. Poiché i sussidi non sono accettabili, verranno eliminate?«Sono garanzie implicite, piccole. E la Commissione Ue le ha autorizzate».
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Re: Diario della caduta di un regime.
SFIDE
Banche, nel panico anche le elitè. E per Berlino l’Italia deve affidarsi alla Troika
Lobby
Lettera a Lars Feld, consigliere della cancelliera tedesca, Angela Merkel: "Forse dovremmo fare come la Germania e nazionalizzare il credito, ma il problema è che in Europa la legge è più uguale per il più forte"
di Alberto Bagnai | 27 dicembre 2015
Commenti (979)
Caro Lars, ho letto con interesse ma senza sorpresa la tua affermazione sul Corriere della Sera di sabato secondo cui nel 2016 l’Italia dovrà affidarsi alla Troika. Conosco le tue posizioni da quando ti invitai al convegno sull’Eurozona organizzato l’aprile scorso dal think tank a/simmetrie: i paesi del Sud sono in una crisi di debito pubblico causata dalla loro scarsa competitività, cioè dal fatto di avere salari privati troppo alti (ma che c’entra il debito pubblico coi salari privati?); dato che il deficit è brutto, il surplus è bello, quindi la Germania non deve cooperare e chi è in crisi deve fare i compiti a casa (ma se nessuno fosse in deficit, come farebbe la Germania a essere in surplus?). Con questi presupposti, è ovvio che tu ti opponga allo schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.
La strada giusta verso l’unione, per l’élite tedesca cui appartieni, non è attenuare i rischi creando istituzioni che li mutualizzino, ma alzare l’asticella a chi è in difficoltà. Un darwinismo che non porta da nessuna parte, come l’agonia della Grecia dimostra. Oggi perfino il Cepr, vestale dell’ortodossia, scopre quanto avevamo scritto nel Tramonto dell’euro: il debito pubblico, con la crisi, c’entra poco. Peter Bofinger, membro del Cepr e tuo collega nel collegio degli esperti della Merkel, ha detto il 30 novembre un’altra cosa che sapevamo (perché l’Ilo, agenzia dell’Onu, l’aveva detta nel 2012): il successo tedesco non è dovuto alle virtù della finanza pubblica, ma alla “moderazione salariale”. Pagando relativamente di meno lavoratori relativamente più produttivi la Germania ha trionfato sui mercati esteri. Così facendo, però, ha costretto gli acquirenti esteri a indebitarsi per acquistare beni tedeschi. Le banche del Nord, per sostenere l’industria nazionale – cioè i profitti nazionali (visto che i salari erano “moderati”) – hanno finanziato con grande disinvoltura gli acquirenti esteri di beni nazionali. Finanziare i consumi, però, non è sempre una buona idea: alla fine, il governo tedesco ha dovuto spendere più di 250 miliardi di aiuti di Stato per salvare le sue banche. A noi, invece, è stato vietato di spenderne quattro e c’è scappato il morto: primo dato non scontato di questa triste storia.
Quando Renzi, insediandosi alla presidenza del semestre europeo, ha giustamente osservato che la Germania era stata la prima a sforare il parametro del 3% nel 2003, non credo sapesse il vero motivo di questa violazione: finanziare con oltre 90 miliardi di soldi pubblici l’abbattimento del costo del lavoro (tramite riduzione del cuneo fiscale e misure di sostegno ai redditi troppo “moderati” dalle riforme Hartz). Un primo aiuto di Stato, distorsivo della concorrenza, seguito durante la crisi da un secondo, gigantesco: i 250 miliardi di cui parlavo. Tu dici: “Allora erano necessari per evitare il contagio, ma oggi lo Stato italiano non deve intervenire, perché forse non ci sarà panico”. Scusa, Lars! Cosa vuoi che provochi, se non panico, il rifiuto di procedere verso l’Edis, unito a quello di farci aiutare da soli le nostre banche? La sfiducia verso le banche si sta diffondendo a macchia d’olio, e non è escluso si arrivi a una corsa agli sportelli. Ma soprattutto, caro Lars, menzionando la Troika hai scatenato un panico più pericoloso per voi: quello delle nostre élite. Finché il “ce lo chiede l’Europa” serviva a tagliare i nostri stipendi e le nostre pensioni, ai nostri piani alti erano d’accordo. Ma tu ci sei andato giù duro, e gli hai fatto capire che da oggi il “ce lo chiede l’Europa” serve a espropriarli delle loro banche e del loro potere, via commissariamento della Troika. E questo ai nostri leader piace molto di meno!
Improvvisamente Renzi vuole “uscire dalla cultura della subalternità”, Patuelli invoca parità di trattamento per il sistema bancario italiano, Bankitalia si lamenta, per bocca di Barbagallo, dei vostri “nein”. Chissà se Renzi accetterà di essere “berlusconizzato” a colpi di spread? E se lo fosse, siamo sicuri che l’elettorato benpensante, la nostra “sinistra lompo”, non comincerà a porsi domande sul progetto europeo? Qualche curiosità gliela fai venire tu, quando dici che sì, voi avete appena salvato la Nordbank per 3 miliardi, ma che c’entra: lì l’azionista non potevi colpirlo col bail-in, perché è pubblico! Ah sì!? Quindi mentre al Sud privatizziamo per “fare le riforme”, nel paese moralizzatore par excellence il 45% del sistema bancario è in mano pubblica, incluse Landesbanken e Sparkassen, piene di crediti deteriorati che però sfuggono alla vigilanza europea, costruita su misura per ignorare 1697 piccole banche tedesche, che al bisogno vengono salvate con soldi pubblici “perché l’azionista è pubblico”. Ma allora, forse, un’alternativa alla Troika c’è: fare come la Germania, nazionalizzare le banche. Se lo fate voi che siete bravi! Il problema è che in Europa la legge è uguale per tutti, ma più uguale per il più forte. Ti ringrazio di averlo ricordato al mio governo, che spero ne tragga le debite conclusioni. Lo avrai, caro Lars, il bail-in che pretendi da noi italiani, ma con che moneta si salderà a deciderlo tocca a noi.
Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 23 dicembre
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/12 ... a/2329264/
Banche, nel panico anche le elitè. E per Berlino l’Italia deve affidarsi alla Troika
Lobby
Lettera a Lars Feld, consigliere della cancelliera tedesca, Angela Merkel: "Forse dovremmo fare come la Germania e nazionalizzare il credito, ma il problema è che in Europa la legge è più uguale per il più forte"
di Alberto Bagnai | 27 dicembre 2015
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Caro Lars, ho letto con interesse ma senza sorpresa la tua affermazione sul Corriere della Sera di sabato secondo cui nel 2016 l’Italia dovrà affidarsi alla Troika. Conosco le tue posizioni da quando ti invitai al convegno sull’Eurozona organizzato l’aprile scorso dal think tank a/simmetrie: i paesi del Sud sono in una crisi di debito pubblico causata dalla loro scarsa competitività, cioè dal fatto di avere salari privati troppo alti (ma che c’entra il debito pubblico coi salari privati?); dato che il deficit è brutto, il surplus è bello, quindi la Germania non deve cooperare e chi è in crisi deve fare i compiti a casa (ma se nessuno fosse in deficit, come farebbe la Germania a essere in surplus?). Con questi presupposti, è ovvio che tu ti opponga allo schema europeo di assicurazione dei depositi (Edis, European Deposit Insurance Scheme), offrendoci, in alternativa, il ricorso alla Troika.
La strada giusta verso l’unione, per l’élite tedesca cui appartieni, non è attenuare i rischi creando istituzioni che li mutualizzino, ma alzare l’asticella a chi è in difficoltà. Un darwinismo che non porta da nessuna parte, come l’agonia della Grecia dimostra. Oggi perfino il Cepr, vestale dell’ortodossia, scopre quanto avevamo scritto nel Tramonto dell’euro: il debito pubblico, con la crisi, c’entra poco. Peter Bofinger, membro del Cepr e tuo collega nel collegio degli esperti della Merkel, ha detto il 30 novembre un’altra cosa che sapevamo (perché l’Ilo, agenzia dell’Onu, l’aveva detta nel 2012): il successo tedesco non è dovuto alle virtù della finanza pubblica, ma alla “moderazione salariale”. Pagando relativamente di meno lavoratori relativamente più produttivi la Germania ha trionfato sui mercati esteri. Così facendo, però, ha costretto gli acquirenti esteri a indebitarsi per acquistare beni tedeschi. Le banche del Nord, per sostenere l’industria nazionale – cioè i profitti nazionali (visto che i salari erano “moderati”) – hanno finanziato con grande disinvoltura gli acquirenti esteri di beni nazionali. Finanziare i consumi, però, non è sempre una buona idea: alla fine, il governo tedesco ha dovuto spendere più di 250 miliardi di aiuti di Stato per salvare le sue banche. A noi, invece, è stato vietato di spenderne quattro e c’è scappato il morto: primo dato non scontato di questa triste storia.
Quando Renzi, insediandosi alla presidenza del semestre europeo, ha giustamente osservato che la Germania era stata la prima a sforare il parametro del 3% nel 2003, non credo sapesse il vero motivo di questa violazione: finanziare con oltre 90 miliardi di soldi pubblici l’abbattimento del costo del lavoro (tramite riduzione del cuneo fiscale e misure di sostegno ai redditi troppo “moderati” dalle riforme Hartz). Un primo aiuto di Stato, distorsivo della concorrenza, seguito durante la crisi da un secondo, gigantesco: i 250 miliardi di cui parlavo. Tu dici: “Allora erano necessari per evitare il contagio, ma oggi lo Stato italiano non deve intervenire, perché forse non ci sarà panico”. Scusa, Lars! Cosa vuoi che provochi, se non panico, il rifiuto di procedere verso l’Edis, unito a quello di farci aiutare da soli le nostre banche? La sfiducia verso le banche si sta diffondendo a macchia d’olio, e non è escluso si arrivi a una corsa agli sportelli. Ma soprattutto, caro Lars, menzionando la Troika hai scatenato un panico più pericoloso per voi: quello delle nostre élite. Finché il “ce lo chiede l’Europa” serviva a tagliare i nostri stipendi e le nostre pensioni, ai nostri piani alti erano d’accordo. Ma tu ci sei andato giù duro, e gli hai fatto capire che da oggi il “ce lo chiede l’Europa” serve a espropriarli delle loro banche e del loro potere, via commissariamento della Troika. E questo ai nostri leader piace molto di meno!
Improvvisamente Renzi vuole “uscire dalla cultura della subalternità”, Patuelli invoca parità di trattamento per il sistema bancario italiano, Bankitalia si lamenta, per bocca di Barbagallo, dei vostri “nein”. Chissà se Renzi accetterà di essere “berlusconizzato” a colpi di spread? E se lo fosse, siamo sicuri che l’elettorato benpensante, la nostra “sinistra lompo”, non comincerà a porsi domande sul progetto europeo? Qualche curiosità gliela fai venire tu, quando dici che sì, voi avete appena salvato la Nordbank per 3 miliardi, ma che c’entra: lì l’azionista non potevi colpirlo col bail-in, perché è pubblico! Ah sì!? Quindi mentre al Sud privatizziamo per “fare le riforme”, nel paese moralizzatore par excellence il 45% del sistema bancario è in mano pubblica, incluse Landesbanken e Sparkassen, piene di crediti deteriorati che però sfuggono alla vigilanza europea, costruita su misura per ignorare 1697 piccole banche tedesche, che al bisogno vengono salvate con soldi pubblici “perché l’azionista è pubblico”. Ma allora, forse, un’alternativa alla Troika c’è: fare come la Germania, nazionalizzare le banche. Se lo fate voi che siete bravi! Il problema è che in Europa la legge è uguale per tutti, ma più uguale per il più forte. Ti ringrazio di averlo ricordato al mio governo, che spero ne tragga le debite conclusioni. Lo avrai, caro Lars, il bail-in che pretendi da noi italiani, ma con che moneta si salderà a deciderlo tocca a noi.
Da il Fatto Quotidiano di mercoledì 23 dicembre
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Re: Diario della caduta di un regime.
Non facciamoci illusioni, siamo sempre gli stessi del 1937
Ministero della Cultura Popolare
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ministero ... a_Popolare
Meglio conosciuto come MinCulPop
^^^^^^^
Sconto su mezzi pubblici e meno riscaldamento
Ecco il decalogo anti-smog, ma non è vincolante
Il governo vara le misure per l’emergenza inquinamento: fondo di 12 milioni per Comuni, incentivi per le rottamazioni, vietata combustione di biomasse, ridotta velocità auto e 2 gradi in meno in case e uffici
Subito 12 milioni di euro ai comuni per potenziare trasporto pubblico locale e mobilità condivisa. E in caso di sforamento per più di 7 giorni consecutivi dei limiti di smog, le amministrazioni possono decidere di abbassare le temperature del riscaldamento di 2 gradi e di limitare la velocità di circolazione di 30 chilometri orari, oltre agli sconti sui mezzi pubblici e “incentivi alla rottamazione delle auto più inquinanti”. Da Governo, presidenti di Regioni e Anci un piano nazionale che “metta fine alla babele dei provvedimenti in materia di smog”
•BLOCCO DEL TRAFFICO A MILANO E TARGHE ALTERNE A ROMA •L’esperto: “Blocco traffico abbatte il black carbon” (di P. Hutter)
•CLIMA ANOMALO, “IMPATTO SUGLI ECOSISTEMI” (DI D. PATITUCCI) •I MILANESI MAI CONTENTI: “TROPPE DEROGHE” (VIDEO)
•smog, a Milano e Roma Pm10 oltre limiti dopo due giorni di blocco del traffico e targhe alterne
•ministro Del(i)rio a settembre: “In 3 mesi i dati sui diesel inquinanti”. Procure ancora aspettano dati
Ministero della Cultura Popolare
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Ecco il decalogo anti-smog, ma non è vincolante
Il governo vara le misure per l’emergenza inquinamento: fondo di 12 milioni per Comuni, incentivi per le rottamazioni, vietata combustione di biomasse, ridotta velocità auto e 2 gradi in meno in case e uffici
Subito 12 milioni di euro ai comuni per potenziare trasporto pubblico locale e mobilità condivisa. E in caso di sforamento per più di 7 giorni consecutivi dei limiti di smog, le amministrazioni possono decidere di abbassare le temperature del riscaldamento di 2 gradi e di limitare la velocità di circolazione di 30 chilometri orari, oltre agli sconti sui mezzi pubblici e “incentivi alla rottamazione delle auto più inquinanti”. Da Governo, presidenti di Regioni e Anci un piano nazionale che “metta fine alla babele dei provvedimenti in materia di smog”
•BLOCCO DEL TRAFFICO A MILANO E TARGHE ALTERNE A ROMA •L’esperto: “Blocco traffico abbatte il black carbon” (di P. Hutter)
•CLIMA ANOMALO, “IMPATTO SUGLI ECOSISTEMI” (DI D. PATITUCCI) •I MILANESI MAI CONTENTI: “TROPPE DEROGHE” (VIDEO)
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Re: Diario della caduta di un regime.
L'ANNO DEL GUFO
Non solo Marino.
Corriere 3.1.16
Lungotevere chiuso Roma sconfitta anche dagli storni
di Sergio Rizzo
In una città come Roma, inaspettatamente diventata negli ultimi anni uno spettacolare set cinematografico, sarebbe lo scenario più adatto per girare un remake del famoso thriller di Alfred Hitchcock, Gli uccelli . Con qualche variazione nella trama connessa al differente rapporto fra uomo e volatili. Per la terza volta nel giro di pochi giorni ieri si è dovuto chiudere al traffico un tratto del
Lungotevere per l’enorme quantità di guano sul manto stradale di cui hanno fatto le spese motociclisti e auto coinvolte in una serie di tamponamenti a catena: complice in questo caso la pioggia, che non era inattesa.
Il blocco è durato 9 (nove) ore. A fine giornata i vigili urbani ci hanno fatto sapere ufficialmente, con comprensibile sollevazione, che non si sono registrati «feriti gravi». Evviva.
Ma è un classico. L’arrivo di migliaia di storni, attirati dalla temperatura mite e da 400 mila alberi (e meno male che ci sono), non può essere considerata certo una sorpresa. Ormai è un appuntamento invernale irrinunciabile: va avanti così da anni e anni. Per evitare l’invasione, o semplicemente far sloggiare i volatili, si è tentata ogni strada, come quella degli avvisatori acustici. Nessuna veramente efficace, e forse ci sta. In subordine, però, si potrebbero evitare gli incidenti semplicemente pulendo le strade. Invece le squadre dell’Ama, l’azienda municipale che ha quasi 8 mila dipendenti e dovrebbe assolvere proprio a questo compito, entrano in azione soltanto in seguito. Com’è avvenuto ieri, quando uno squadrone di spazzini si è improvvisamente materializzato dopo i tamponamenti.
E se oggettivamente non si può presentare il conto intero di questi disagi, ancora più inaccettabili considerando il periodo festivo, il Giubileo e la presenza di migliaia di turisti, a un commissario prefettizio che viene da Milano (dove di storni non se ne vedono così tanti), è impossibile non chiamare in causa un’amministrazione che si dimostra a ogni occasione incapace di governare Roma. Che, va ricordato, non è una città qualunque, ma la capitale del Paese.
Il fatto è che si è dimissionato un sindaco come Ignazio Marino considerato da molti anche nel suo partito inadeguato a ricoprire quel ruolo, immaginando forse che così si sarebbero risolti i problemi, ma Roma continua a vivere pericolosamente alla giornata. Vive alla giornata con l’emergenza smog, affrontandola attraverso provvedimenti estemporanei e scarsamente efficaci per ridurre il livello di polveri sottili: per colpa degli scarsi controlli, ma pure delle deroghe numerosissime ai divieti di circolazione, che vanificano le targhe alterne, e di un parco mezzi pubblici obsoleto e altamente inquinante. Vive alla giornata con i trasporti allo sbando, fra decisioni dalla logica del tutto incomprensibile come la chiusura delle metropolitana a Natale e l’incapacità di gestire perfino il biglietto integrato unico della durata di 24 ore. Vive alla giornata nel perenne inseguimento di rimedi in zona Cesarini, mettendo toppe che si rivelano spesso peggiori del buco. L’ultima, davvero clamorosa per gli effetti che potrà avere, è del 31 dicembre. Il giorno di San Silvestro il commissario ha prorogato per ben due anni il contratto con le Assicurazioni di Roma, annullando di fatto le conseguenze della delibera adottata a marzo dal consiglio comunale che aveva decretato lo scioglimento di quella compagnia: l’unica sul pianeta Terra di proprietà di un Comune. La motivazione è intuibile. Perché senza un prolungamento in extremis di quel contratto, dal primo gennaio tutti i mezzi di trasporto del Campidoglio, dagli autobus dell’Atac, ai treni della metropolitana, ai camion dell’Ama, non avrebbero avuto copertura assicurativa con intuibili conseguenze.
Anche se la durata biennale della proroga, che per giunta è accompagnata da un’opzione contrattuale di altri tre anni (!), non soltanto sovverte una decisione presa da un organismo eletto dai cittadini consentendo la sopravvivenza di una società pubblica che dovrebbe essere liquidata, ma dribbla anche l’obbligo di fare una gara per acquistare servizi commerciali quali sono le polizze assicurative. Esattamente come hanno sempre fatto tutte le amministrazioni del Campidoglio, di qualunque colore politico fossero. Succedeva con le giunte di sinistra di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, come pure con le amministrazioni precedenti democristiane e socialiste, è successo con la giunta di destra di Gianni Alemanno.
Questo episodio apparentemente marginale dà comunque l’idea dello stato in cui versa la città di Roma. Dove tutto sembra cambiare, ma soltanto perché ogni cosa rimanga al proprio posto. E di come qui il confine fra l’ordinaria amministrazione, alla quale dovrebbe essere strettamente limitata l’azione di un commissario, e gli interventi straordinari, sia sempre più labile.
Non solo Marino.
Corriere 3.1.16
Lungotevere chiuso Roma sconfitta anche dagli storni
di Sergio Rizzo
In una città come Roma, inaspettatamente diventata negli ultimi anni uno spettacolare set cinematografico, sarebbe lo scenario più adatto per girare un remake del famoso thriller di Alfred Hitchcock, Gli uccelli . Con qualche variazione nella trama connessa al differente rapporto fra uomo e volatili. Per la terza volta nel giro di pochi giorni ieri si è dovuto chiudere al traffico un tratto del
Lungotevere per l’enorme quantità di guano sul manto stradale di cui hanno fatto le spese motociclisti e auto coinvolte in una serie di tamponamenti a catena: complice in questo caso la pioggia, che non era inattesa.
Il blocco è durato 9 (nove) ore. A fine giornata i vigili urbani ci hanno fatto sapere ufficialmente, con comprensibile sollevazione, che non si sono registrati «feriti gravi». Evviva.
Ma è un classico. L’arrivo di migliaia di storni, attirati dalla temperatura mite e da 400 mila alberi (e meno male che ci sono), non può essere considerata certo una sorpresa. Ormai è un appuntamento invernale irrinunciabile: va avanti così da anni e anni. Per evitare l’invasione, o semplicemente far sloggiare i volatili, si è tentata ogni strada, come quella degli avvisatori acustici. Nessuna veramente efficace, e forse ci sta. In subordine, però, si potrebbero evitare gli incidenti semplicemente pulendo le strade. Invece le squadre dell’Ama, l’azienda municipale che ha quasi 8 mila dipendenti e dovrebbe assolvere proprio a questo compito, entrano in azione soltanto in seguito. Com’è avvenuto ieri, quando uno squadrone di spazzini si è improvvisamente materializzato dopo i tamponamenti.
E se oggettivamente non si può presentare il conto intero di questi disagi, ancora più inaccettabili considerando il periodo festivo, il Giubileo e la presenza di migliaia di turisti, a un commissario prefettizio che viene da Milano (dove di storni non se ne vedono così tanti), è impossibile non chiamare in causa un’amministrazione che si dimostra a ogni occasione incapace di governare Roma. Che, va ricordato, non è una città qualunque, ma la capitale del Paese.
Il fatto è che si è dimissionato un sindaco come Ignazio Marino considerato da molti anche nel suo partito inadeguato a ricoprire quel ruolo, immaginando forse che così si sarebbero risolti i problemi, ma Roma continua a vivere pericolosamente alla giornata. Vive alla giornata con l’emergenza smog, affrontandola attraverso provvedimenti estemporanei e scarsamente efficaci per ridurre il livello di polveri sottili: per colpa degli scarsi controlli, ma pure delle deroghe numerosissime ai divieti di circolazione, che vanificano le targhe alterne, e di un parco mezzi pubblici obsoleto e altamente inquinante. Vive alla giornata con i trasporti allo sbando, fra decisioni dalla logica del tutto incomprensibile come la chiusura delle metropolitana a Natale e l’incapacità di gestire perfino il biglietto integrato unico della durata di 24 ore. Vive alla giornata nel perenne inseguimento di rimedi in zona Cesarini, mettendo toppe che si rivelano spesso peggiori del buco. L’ultima, davvero clamorosa per gli effetti che potrà avere, è del 31 dicembre. Il giorno di San Silvestro il commissario ha prorogato per ben due anni il contratto con le Assicurazioni di Roma, annullando di fatto le conseguenze della delibera adottata a marzo dal consiglio comunale che aveva decretato lo scioglimento di quella compagnia: l’unica sul pianeta Terra di proprietà di un Comune. La motivazione è intuibile. Perché senza un prolungamento in extremis di quel contratto, dal primo gennaio tutti i mezzi di trasporto del Campidoglio, dagli autobus dell’Atac, ai treni della metropolitana, ai camion dell’Ama, non avrebbero avuto copertura assicurativa con intuibili conseguenze.
Anche se la durata biennale della proroga, che per giunta è accompagnata da un’opzione contrattuale di altri tre anni (!), non soltanto sovverte una decisione presa da un organismo eletto dai cittadini consentendo la sopravvivenza di una società pubblica che dovrebbe essere liquidata, ma dribbla anche l’obbligo di fare una gara per acquistare servizi commerciali quali sono le polizze assicurative. Esattamente come hanno sempre fatto tutte le amministrazioni del Campidoglio, di qualunque colore politico fossero. Succedeva con le giunte di sinistra di Francesco Rutelli e Walter Veltroni, come pure con le amministrazioni precedenti democristiane e socialiste, è successo con la giunta di destra di Gianni Alemanno.
Questo episodio apparentemente marginale dà comunque l’idea dello stato in cui versa la città di Roma. Dove tutto sembra cambiare, ma soltanto perché ogni cosa rimanga al proprio posto. E di come qui il confine fra l’ordinaria amministrazione, alla quale dovrebbe essere strettamente limitata l’azione di un commissario, e gli interventi straordinari, sia sempre più labile.
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Re: Diario della caduta di un regime.
L'ANNO DEL GUFO
Alberto Sordi è diventato un grande attore perchè ha saputo raccontare gli italiani per come sono.
In questo cinepanettone in ritardo Alberto Sordi recita la parte del capo delegazione tricolore.
Governo in visita in Arabia Saudita. La missione finisce in rissa per i Rolex in regalo
Durante la trasferta a Ryad dello scorso novembre, i delegati italiani si sono accapigliati per dei cronografi da migliaia di euro, un omaggio dei sovrani sauditi. Per questo la delegazione del premier li ha sequestrati. Nota di Palazzo Chigi: "Sono nella nostra disponibilità"
di Carlo Tecce | 8 gennaio 2016
Parapiglia tra dirigenti del governo in viaggio con Matteo Renzi per i Rolex elargiti dagli amici di Ryad. Questo racconto, descritto da testimoni oculari, proviene dall’Arabia Saudita. È una grossa figuraccia internazionale per l’Italia. È ormai la notte tra domenica 8 e lunedì 9 novembre. Il palazzo reale di Ryad è una fonte di luce che illumina la Capitale saudita ficcata nel deserto. La delegazione italiana, che accompagna Matteo Renzi in visita ai signori del petrolio, è sfiancata dal fuso orario e dal tasso d’umidità. La comitiva di governo è nei corridoi immensi con piante e tende vistose, atmosfera ovattata, marmi e dipinti. Gli italiani vanno a dormire. Così il cerimoniale di Palazzo Chigi, depositario degli elenchi e dei protocolli di una trasferta di Stato, prima del riposo tenta di alleviare le fatiche con l’inusuale distribuzione dei regali. Quelli che gli oltre 50 ospiti di Roma – ci sono anche i vertici di alcune aziende statali (Finmeccanica) e private (Salini Impregilo) – hanno adocchiato sui banchetti del salone per la cena con la famiglia al trono: deliziose confezioni col fiocco, cognome scritto in italiano e pure in arabo.
Pubblicità
Gli illustri dipendenti profanano la direttiva di Mario Monti: gli impiegati pubblici di qualsiasi grado devono rifiutare gli omaggi che superano il valore di 150 euro oppure consegnarli subito agli uffici di competenza. Qui non si tratta di centinaia, ma di migliaia di euro. Perché i sovrani sauditi preparano per gli italiani dei pacchetti con orologi preziosi: avveniristici cronografi prodotti a Dubai, con il prezzo che oscilla dai 3.000 ai 4.000 euro e Rolex robusti, per polsi atletici, che sforano decine di migliaia di euro, almeno un paio. A Renzi sarà recapitato anche un cassettone imballato, trascinato con il carrello dagli inservienti. Il cerimoniale sta per conferire i regali. Il momento è di gioia. Ma un furbastro lo rovina. Desidera il Rolex. Scambia la sua scatoletta con il pacchiano cronografo con quella dell’ambito orologio svizzero e provoca un diverbio che rimbomba nella residenza di re Salman. Tutti reclamano il Rolex. Per sedare la rissa interviene la scorta di Renzi: sequestra gli orologi e li custodisce fino al ritorno a Roma.
La compagine diplomatica, guidata dall’ambasciatore Armando Varricchio, inorridisce di fronte a una scena da mercato di provincia per il chiasso che interrompe il sonno dei sauditi. Anche perché i generosi arabi sono disposti a reperire presto altri Rolex pur di calmare gli italiani. Non sarà un pezzo d’oro a sfaldare i rapporti tra Ryad e Roma: ballano miliardi di euro di appalti, mica affinità morali. Nonostante le decapitazioni di Capodanno, tra cui quella dell’imam sciita che scatena la furia dell’Iran, per gli italiani Ryad resta una meta esotica per laute commesse. E che sarà mai una vagonata di Rolex? Il guaio è che degli orologi, almeno durante le vacanze natalizie, non c’era più traccia a Palazzo Chigi. Non c’erano nella stanza dei regali al terzo piano. Chi avrà infranto la regola Monti e chi l’avrà rispettata? E Renzi ce l’ha o non ce l’ha, il Rolex? La dottoressa Ilva Sapora, la padrona del cerimoniale di Palazzo Chigi, non rammenta il contenuto dei doni. Ha la febbre e poca forza per rovistare nella memoria. Varricchio ascolta le domande e la ricostruzione dei fatti di Ryad: annuisce, non replica.
Varricchio è il consigliere per l’estero di Renzi, nonché il prossimo ambasciatore italiano a Washington. Allora merita un secondo contatto al telefono. Non svela il destino del Rolex che ha ricevuto, ma si dimostra comprensivo: “I cittadini devono sapere. Queste vicende meritano la massima attenzione. Le arriverà una nota di Palazzo Chigi. Che la voce sia univoca”. Ecco la voce del governo, che non smentisce niente, che non assolve la Sapora, ma precisa i ruoli: “I doni di rappresentanza ricevuti dalla delegazione istituzionale italiana, in occasione della recente visita italiana in Arabia Saudita, sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio, secondo quello che prevedono le norme. Come sempre avviene in questi casi, dello scambio dei doni se ne occupa il personale della presidenza del Consiglio e non le cariche istituzionali”. Il racconto non finisce. Cos’è accaduto dopo la notte di Ryad? Chi non voleva restituire o non ha ancora restituito i Rolex?
Da il Fatto Quotidiano di venerdì 8 gennaio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2356663/
Alberto Sordi è diventato un grande attore perchè ha saputo raccontare gli italiani per come sono.
In questo cinepanettone in ritardo Alberto Sordi recita la parte del capo delegazione tricolore.
Governo in visita in Arabia Saudita. La missione finisce in rissa per i Rolex in regalo
Durante la trasferta a Ryad dello scorso novembre, i delegati italiani si sono accapigliati per dei cronografi da migliaia di euro, un omaggio dei sovrani sauditi. Per questo la delegazione del premier li ha sequestrati. Nota di Palazzo Chigi: "Sono nella nostra disponibilità"
di Carlo Tecce | 8 gennaio 2016
Parapiglia tra dirigenti del governo in viaggio con Matteo Renzi per i Rolex elargiti dagli amici di Ryad. Questo racconto, descritto da testimoni oculari, proviene dall’Arabia Saudita. È una grossa figuraccia internazionale per l’Italia. È ormai la notte tra domenica 8 e lunedì 9 novembre. Il palazzo reale di Ryad è una fonte di luce che illumina la Capitale saudita ficcata nel deserto. La delegazione italiana, che accompagna Matteo Renzi in visita ai signori del petrolio, è sfiancata dal fuso orario e dal tasso d’umidità. La comitiva di governo è nei corridoi immensi con piante e tende vistose, atmosfera ovattata, marmi e dipinti. Gli italiani vanno a dormire. Così il cerimoniale di Palazzo Chigi, depositario degli elenchi e dei protocolli di una trasferta di Stato, prima del riposo tenta di alleviare le fatiche con l’inusuale distribuzione dei regali. Quelli che gli oltre 50 ospiti di Roma – ci sono anche i vertici di alcune aziende statali (Finmeccanica) e private (Salini Impregilo) – hanno adocchiato sui banchetti del salone per la cena con la famiglia al trono: deliziose confezioni col fiocco, cognome scritto in italiano e pure in arabo.
Pubblicità
Gli illustri dipendenti profanano la direttiva di Mario Monti: gli impiegati pubblici di qualsiasi grado devono rifiutare gli omaggi che superano il valore di 150 euro oppure consegnarli subito agli uffici di competenza. Qui non si tratta di centinaia, ma di migliaia di euro. Perché i sovrani sauditi preparano per gli italiani dei pacchetti con orologi preziosi: avveniristici cronografi prodotti a Dubai, con il prezzo che oscilla dai 3.000 ai 4.000 euro e Rolex robusti, per polsi atletici, che sforano decine di migliaia di euro, almeno un paio. A Renzi sarà recapitato anche un cassettone imballato, trascinato con il carrello dagli inservienti. Il cerimoniale sta per conferire i regali. Il momento è di gioia. Ma un furbastro lo rovina. Desidera il Rolex. Scambia la sua scatoletta con il pacchiano cronografo con quella dell’ambito orologio svizzero e provoca un diverbio che rimbomba nella residenza di re Salman. Tutti reclamano il Rolex. Per sedare la rissa interviene la scorta di Renzi: sequestra gli orologi e li custodisce fino al ritorno a Roma.
La compagine diplomatica, guidata dall’ambasciatore Armando Varricchio, inorridisce di fronte a una scena da mercato di provincia per il chiasso che interrompe il sonno dei sauditi. Anche perché i generosi arabi sono disposti a reperire presto altri Rolex pur di calmare gli italiani. Non sarà un pezzo d’oro a sfaldare i rapporti tra Ryad e Roma: ballano miliardi di euro di appalti, mica affinità morali. Nonostante le decapitazioni di Capodanno, tra cui quella dell’imam sciita che scatena la furia dell’Iran, per gli italiani Ryad resta una meta esotica per laute commesse. E che sarà mai una vagonata di Rolex? Il guaio è che degli orologi, almeno durante le vacanze natalizie, non c’era più traccia a Palazzo Chigi. Non c’erano nella stanza dei regali al terzo piano. Chi avrà infranto la regola Monti e chi l’avrà rispettata? E Renzi ce l’ha o non ce l’ha, il Rolex? La dottoressa Ilva Sapora, la padrona del cerimoniale di Palazzo Chigi, non rammenta il contenuto dei doni. Ha la febbre e poca forza per rovistare nella memoria. Varricchio ascolta le domande e la ricostruzione dei fatti di Ryad: annuisce, non replica.
Varricchio è il consigliere per l’estero di Renzi, nonché il prossimo ambasciatore italiano a Washington. Allora merita un secondo contatto al telefono. Non svela il destino del Rolex che ha ricevuto, ma si dimostra comprensivo: “I cittadini devono sapere. Queste vicende meritano la massima attenzione. Le arriverà una nota di Palazzo Chigi. Che la voce sia univoca”. Ecco la voce del governo, che non smentisce niente, che non assolve la Sapora, ma precisa i ruoli: “I doni di rappresentanza ricevuti dalla delegazione istituzionale italiana, in occasione della recente visita italiana in Arabia Saudita, sono nella disponibilità della Presidenza del Consiglio, secondo quello che prevedono le norme. Come sempre avviene in questi casi, dello scambio dei doni se ne occupa il personale della presidenza del Consiglio e non le cariche istituzionali”. Il racconto non finisce. Cos’è accaduto dopo la notte di Ryad? Chi non voleva restituire o non ha ancora restituito i Rolex?
Da il Fatto Quotidiano di venerdì 8 gennaio 2016
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Re: Diario della caduta di un regime.
•VIDEO – Caporale vs Fiano (Pd): “Rissa tra dirigenti per Rolex dei sauditi”. “Ignominioso, ma per me non c’è notizia”
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/01/ ... ia/461605/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Inchiesta
Fondazioni, i soldi nascosti dei politici
Finanziamenti milionari anonimi. Intrecci con banchieri, costruttori e petrolieri. Società fantasma. Da Renzi a Gasparri, da Alfano ad Alemanno, ecco cosa c'è nei conti delle fondazioni
di Paolo Biondani, Lorenzo Bagnoli e Gianluca Di Feo
07 gennaio 2016
Finanziamenti milionari ma anonimi. Un intreccio tra ministri, petrolieri, banchieri e imprenditori. Con una lunga inchiesta nel numero in edicola “L'Espresso” ha esaminato i documenti ufficiali delle fondazioni che fanno capo ai leader politici, da Renzi a Gasparri, da Alfano a Quagliarello, tutte dominate dall'assenza di trasparenza.
Nel consiglio direttivo di Open, il pensatoio-cassaforte del premier, siedono l’amico che ne è presidente Alberto Bianchi, ora consigliere dell’Enel, il sottosegretario Luca Lotti, il braccio destro Marco Carrai e il ministro Maria Elena Boschi. Il sito pubblica centinaia di nomi di finanziatori, ma omette «i dati delle persone fisiche che non lo hanno autorizzato esplicitamente».
Il patrimonio iniziale di 20 mila euro, stanziato dai fondatori, si è moltiplicato di 140 volte con i contributi successivi: in totale, 2 milioni e 803 mila euro. Sul sito compaiono solo tre sostenitori sopra quota centomila: il finanziere Davide Serra (175), il defunto imprenditore Guido Ghisolfi (125) e la British American Tobacco (100 mila). Molto inferiori le somme versate da politici come Lotti (9.600), Boschi (8.800) o il nuovo manager della Rai, Antonio Campo Dell’Orto (solo 250 euro). Ma un terzo dei finanziatori sono anonimi per un importo di 934 mila euro.
Ad Angelino Alfano invece fa oggi capo la storica fondazione intitolata ad Alcide De Gasperi, che ha «espresso il suo dissenso» alla richiesta ufficiale della prefettura di far esaminare i bilanci: per una fondazione presieduta dal ministro dell’Interno, la trasparenza non esiste. Nell’attuale direttivo compaiono anche Fouad Makhzoumi, l’uomo più ricco del Libano, titolare del colosso del gas Future Pipes Industries. Tra gli italiani, Vito Bonsignore, l’ex politico che dopo una condanna per tangenti è diventato un ricco uomo d’affari; il banchiere Giovanni Bazoli, il marchese Alvise Di Canossa, il manager Carlo Secchi, l’ex dc Giuseppe Zamberletti, l’ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaello Vignali, l’avvocato Sergio Gemma e il professor Mauro Ronco. Ma tutti i contributi alla causa di Alfano sono top secret.
Invece la fondazione Magna Carta è stata costituita dal suo presidente, Gaetano Quagliariello, da un altro politico, Giuseppe Calderisi, e da un banchiere di Arezzo, Giuseppe Morbidelli, ora numero uno della Cassa di risparmio di Firenze. Gli altri fondatori sono tre società: l’assicurazione Sai-Fondiaria, impersonata da Fausto Rapisarda che rappresenta Jonella Ligresti; la Erg Petroli dei fratelli Garrone; e la cooperativa Nuova Editoriale di Enrico Luca Biagiotti, uomo d’affari legato a Denis Verdini. Il capitale iniziale di 300 mila euro è stato interamente «versato dalle tre società in quote uguali».
I politici non ci hanno messo un soldo, ma la dirigono insieme ai finanziatori. Nel 2013 i Ligresti escono dal consiglio, dove intanto è entrata Gina Nieri, manager di Mediaset. L’ultimo verbale (giugno 2015) riconferma l’attrazione verso le assicurazioni, con il manager Fabio Cerchiai, e il petrolio, con Garrone e il nuovo consigliere Gianmarco Moratti. La fondazione pubblica i bilanci, ma non rivela chi l’ha sostenuta: in soli due anni, un milione di finanziamenti anonimi.
La Nuova Italia di Gianni Alemanno invece non esiste più. “L’Espresso” ha scoperto che il 23 novembre scorso la prefettura di Roma ne ha decretato lo scioglimento: «la fondazione nell’ultimo anno non ha svolto alcuna attività», tanto che «le raccomandate inviate dalla prefettura alla sede legale e all’indirizzo del presidente sono tornate al mittente con la dicitura sconosciuto». Ai tempi d’oro della destra romana sembrava un ascensore per il potere: dei 13 soci promotori, tutti legati all’ex Msi o An, almeno nove hanno ottenuto incarichi dal ministero dell’agricoltura o dal comune capitolino.
All’inizio Gianni Alemanno e sua moglie Isabella Rauti figurano solo nel listone dei 449 «aderenti» chiamati a versare «contributi in denaro». I primi soci sborsano il capitale iniziale di 250 mila euro. Tra gli iscritti compaiono tutti i fedelissimi poi indagati o arrestati, come Franco Panzironi, segretario e gestore, Riccardo Mancini, Fabrizio Testa, Franco Fiorito e altri.
La “Fondazione della libertà per il bene comune” è stata creata dal senatore ed ex ministro Altero Matteoli assieme ad altre dieci persone, tra cui politici di destra come Guglielmo Rositani (ex parlamentare e consigliere Rai), Eugenio Minasso, Marco Martinelli e Marcello De Angelis. A procurare i primi 120 mila euro, però, sono anche soci in teoria estranei alla politica, come l’ex consigliere dell’Anas Giovan Battista Papello (15 mila), il professor Roberto Serrentino (10 mila) e l'imprenditore, Erasmo Cinque, che versa 20 mila euro come Matteoli. La fondazione, gestita dal tesoriere Papello, pubblica i bilanci: tra il 2010 e il 2011, in particolare, dichiara di aver incassato 374 mila euro dai «soci fondatori», altri 124 mila di «contributi liberali» e solo duemila dalle proprie attività (convegni e pubblicazioni). Gli atti della prefettura però non spiegano quali benefattori li abbiano versati.
Espressione di Massimo D'Alema, ItalianiEuropei nel 1999 è stata una delle prime fondazioni. I fondatori sono l'ex premier Giuliano Amato, il costruttore romano Alfio Marchini, il presidente della Lega Cooperative, Ivano Barberini, e il finanziere esperto in derivati Leonello Clementi. Il capitale iniziale è di un miliardo di lire (517 mila euro), quasi totalmente versati da aziende o uomini d’affari: 600 milioni di lire da varie associazioni di cooperative rosse, 50 ciascuno da multinazionali come Abb ed Ericsson, la Pirelli di Tronchetti Provera, l’industriale farmaceutico Claudio Cavazza, oltre che da Marchini (50) e Clementi (55). ItalianiEuropei deposita regolari bilanci e ha autorizzato la prefettura di Roma a mostrarli. L’ultimo è del 2013. Gli atti identificano solo i finanziatori iniziali del 1998. A quei 517 mila euro, però, se ne sono aggiunti altri 649 mila sborsati da «nuovi soci», non precisati.
Nei bilanci inoltre compare una diversa categoria di «contributi alle attività» o «per l’esercizio»: in totale in sei anni i finanziamenti ammontano a un milione e 912 mila euro.
Italia Protagonista nasce nel 2010 per volontà di due leader della destra: Maurizio Gasparri, presidente, e Ignazio La Russa, vicepresidente. Tra i fondatori, che versano 7 mila euro ciascuno, c’è un ristretto gruppo di politici e collaboratori, ma anche un manager, Antonio Giordano. Dopo la fine di An, però, La Russa e i suoi uomini escono e la fondazione resta un feudo dell’ex ministro Gasparri. Come direttore compare un missionario della confraternita che s’ispira al beato La Salle, Amilcare Boccuccia, e come vice un suo confratello spagnolo. Tra i soci viene ammesso anche Alvaro Rodriguez Echeverria, esperto e uditore del sinodo 2012 in Vaticano, nonché fratello dell’ex presidente del Costarica.
L’ultimo bilancio riguarda il 2013, quando il capitale, dai 100 mila euro iniziali, è ormai salito a 231 mila. Le donazioni di quell’anno, 56 mila euro, non sono bastate a coprire le spese, con perdite finali per 63 mila, però in banca ci sono 156 mila euro di liquidità. Ma sui nomi dei benefattori, zero informazioni.
«Quello che è assolutamente inaccettabile è l’assenza di una regolamentazione che quanto meno adegui le fondazioni alle regole dei partiti politici», dichiara Raffaele Cantone a “l'Espresso” : «Fermo restando che la riforma Letta sulla pubblicità ai partiti si è rivelata inadeguata, perché il sistema delle verifiche è assolutamente ridicolo, ma almeno ha introdotto un meccanismo di controllo. Sulle fondazioni invece c’è totale anarchia: non si possono conoscere entrate e uscite, non c’é trasparenza sui finanziatori».
L'inchiesta integrale su l'Espresso in edicola da venerdì 8 gennaio e già online per gli abbonati a Espresso+
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Fondazioni, i soldi nascosti dei politici
Finanziamenti milionari anonimi. Intrecci con banchieri, costruttori e petrolieri. Società fantasma. Da Renzi a Gasparri, da Alfano ad Alemanno, ecco cosa c'è nei conti delle fondazioni
di Paolo Biondani, Lorenzo Bagnoli e Gianluca Di Feo
07 gennaio 2016
Finanziamenti milionari ma anonimi. Un intreccio tra ministri, petrolieri, banchieri e imprenditori. Con una lunga inchiesta nel numero in edicola “L'Espresso” ha esaminato i documenti ufficiali delle fondazioni che fanno capo ai leader politici, da Renzi a Gasparri, da Alfano a Quagliarello, tutte dominate dall'assenza di trasparenza.
Nel consiglio direttivo di Open, il pensatoio-cassaforte del premier, siedono l’amico che ne è presidente Alberto Bianchi, ora consigliere dell’Enel, il sottosegretario Luca Lotti, il braccio destro Marco Carrai e il ministro Maria Elena Boschi. Il sito pubblica centinaia di nomi di finanziatori, ma omette «i dati delle persone fisiche che non lo hanno autorizzato esplicitamente».
Il patrimonio iniziale di 20 mila euro, stanziato dai fondatori, si è moltiplicato di 140 volte con i contributi successivi: in totale, 2 milioni e 803 mila euro. Sul sito compaiono solo tre sostenitori sopra quota centomila: il finanziere Davide Serra (175), il defunto imprenditore Guido Ghisolfi (125) e la British American Tobacco (100 mila). Molto inferiori le somme versate da politici come Lotti (9.600), Boschi (8.800) o il nuovo manager della Rai, Antonio Campo Dell’Orto (solo 250 euro). Ma un terzo dei finanziatori sono anonimi per un importo di 934 mila euro.
Ad Angelino Alfano invece fa oggi capo la storica fondazione intitolata ad Alcide De Gasperi, che ha «espresso il suo dissenso» alla richiesta ufficiale della prefettura di far esaminare i bilanci: per una fondazione presieduta dal ministro dell’Interno, la trasparenza non esiste. Nell’attuale direttivo compaiono anche Fouad Makhzoumi, l’uomo più ricco del Libano, titolare del colosso del gas Future Pipes Industries. Tra gli italiani, Vito Bonsignore, l’ex politico che dopo una condanna per tangenti è diventato un ricco uomo d’affari; il banchiere Giovanni Bazoli, il marchese Alvise Di Canossa, il manager Carlo Secchi, l’ex dc Giuseppe Zamberletti, l’ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaello Vignali, l’avvocato Sergio Gemma e il professor Mauro Ronco. Ma tutti i contributi alla causa di Alfano sono top secret.
Invece la fondazione Magna Carta è stata costituita dal suo presidente, Gaetano Quagliariello, da un altro politico, Giuseppe Calderisi, e da un banchiere di Arezzo, Giuseppe Morbidelli, ora numero uno della Cassa di risparmio di Firenze. Gli altri fondatori sono tre società: l’assicurazione Sai-Fondiaria, impersonata da Fausto Rapisarda che rappresenta Jonella Ligresti; la Erg Petroli dei fratelli Garrone; e la cooperativa Nuova Editoriale di Enrico Luca Biagiotti, uomo d’affari legato a Denis Verdini. Il capitale iniziale di 300 mila euro è stato interamente «versato dalle tre società in quote uguali».
I politici non ci hanno messo un soldo, ma la dirigono insieme ai finanziatori. Nel 2013 i Ligresti escono dal consiglio, dove intanto è entrata Gina Nieri, manager di Mediaset. L’ultimo verbale (giugno 2015) riconferma l’attrazione verso le assicurazioni, con il manager Fabio Cerchiai, e il petrolio, con Garrone e il nuovo consigliere Gianmarco Moratti. La fondazione pubblica i bilanci, ma non rivela chi l’ha sostenuta: in soli due anni, un milione di finanziamenti anonimi.
La Nuova Italia di Gianni Alemanno invece non esiste più. “L’Espresso” ha scoperto che il 23 novembre scorso la prefettura di Roma ne ha decretato lo scioglimento: «la fondazione nell’ultimo anno non ha svolto alcuna attività», tanto che «le raccomandate inviate dalla prefettura alla sede legale e all’indirizzo del presidente sono tornate al mittente con la dicitura sconosciuto». Ai tempi d’oro della destra romana sembrava un ascensore per il potere: dei 13 soci promotori, tutti legati all’ex Msi o An, almeno nove hanno ottenuto incarichi dal ministero dell’agricoltura o dal comune capitolino.
All’inizio Gianni Alemanno e sua moglie Isabella Rauti figurano solo nel listone dei 449 «aderenti» chiamati a versare «contributi in denaro». I primi soci sborsano il capitale iniziale di 250 mila euro. Tra gli iscritti compaiono tutti i fedelissimi poi indagati o arrestati, come Franco Panzironi, segretario e gestore, Riccardo Mancini, Fabrizio Testa, Franco Fiorito e altri.
La “Fondazione della libertà per il bene comune” è stata creata dal senatore ed ex ministro Altero Matteoli assieme ad altre dieci persone, tra cui politici di destra come Guglielmo Rositani (ex parlamentare e consigliere Rai), Eugenio Minasso, Marco Martinelli e Marcello De Angelis. A procurare i primi 120 mila euro, però, sono anche soci in teoria estranei alla politica, come l’ex consigliere dell’Anas Giovan Battista Papello (15 mila), il professor Roberto Serrentino (10 mila) e l'imprenditore, Erasmo Cinque, che versa 20 mila euro come Matteoli. La fondazione, gestita dal tesoriere Papello, pubblica i bilanci: tra il 2010 e il 2011, in particolare, dichiara di aver incassato 374 mila euro dai «soci fondatori», altri 124 mila di «contributi liberali» e solo duemila dalle proprie attività (convegni e pubblicazioni). Gli atti della prefettura però non spiegano quali benefattori li abbiano versati.
Espressione di Massimo D'Alema, ItalianiEuropei nel 1999 è stata una delle prime fondazioni. I fondatori sono l'ex premier Giuliano Amato, il costruttore romano Alfio Marchini, il presidente della Lega Cooperative, Ivano Barberini, e il finanziere esperto in derivati Leonello Clementi. Il capitale iniziale è di un miliardo di lire (517 mila euro), quasi totalmente versati da aziende o uomini d’affari: 600 milioni di lire da varie associazioni di cooperative rosse, 50 ciascuno da multinazionali come Abb ed Ericsson, la Pirelli di Tronchetti Provera, l’industriale farmaceutico Claudio Cavazza, oltre che da Marchini (50) e Clementi (55). ItalianiEuropei deposita regolari bilanci e ha autorizzato la prefettura di Roma a mostrarli. L’ultimo è del 2013. Gli atti identificano solo i finanziatori iniziali del 1998. A quei 517 mila euro, però, se ne sono aggiunti altri 649 mila sborsati da «nuovi soci», non precisati.
Nei bilanci inoltre compare una diversa categoria di «contributi alle attività» o «per l’esercizio»: in totale in sei anni i finanziamenti ammontano a un milione e 912 mila euro.
Italia Protagonista nasce nel 2010 per volontà di due leader della destra: Maurizio Gasparri, presidente, e Ignazio La Russa, vicepresidente. Tra i fondatori, che versano 7 mila euro ciascuno, c’è un ristretto gruppo di politici e collaboratori, ma anche un manager, Antonio Giordano. Dopo la fine di An, però, La Russa e i suoi uomini escono e la fondazione resta un feudo dell’ex ministro Gasparri. Come direttore compare un missionario della confraternita che s’ispira al beato La Salle, Amilcare Boccuccia, e come vice un suo confratello spagnolo. Tra i soci viene ammesso anche Alvaro Rodriguez Echeverria, esperto e uditore del sinodo 2012 in Vaticano, nonché fratello dell’ex presidente del Costarica.
L’ultimo bilancio riguarda il 2013, quando il capitale, dai 100 mila euro iniziali, è ormai salito a 231 mila. Le donazioni di quell’anno, 56 mila euro, non sono bastate a coprire le spese, con perdite finali per 63 mila, però in banca ci sono 156 mila euro di liquidità. Ma sui nomi dei benefattori, zero informazioni.
«Quello che è assolutamente inaccettabile è l’assenza di una regolamentazione che quanto meno adegui le fondazioni alle regole dei partiti politici», dichiara Raffaele Cantone a “l'Espresso” : «Fermo restando che la riforma Letta sulla pubblicità ai partiti si è rivelata inadeguata, perché il sistema delle verifiche è assolutamente ridicolo, ma almeno ha introdotto un meccanismo di controllo. Sulle fondazioni invece c’è totale anarchia: non si possono conoscere entrate e uscite, non c’é trasparenza sui finanziatori».
L'inchiesta integrale su l'Espresso in edicola da venerdì 8 gennaio e già online per gli abbonati a Espresso+
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Re: Diario della caduta di un regime.
Per adesso sembra solo essere una notizi ANSA.it.
Sequestrate dal Nas 120 tonnellate di cibi etnici avariati vicino a Roma
Gli alimenti erano destinati a ristoranti e negozi etnici della Capitale
http://www.ansa.it/lazio/notizie/2016/0 ... db62e.html
Buon appetito.
Sequestrate dal Nas 120 tonnellate di cibi etnici avariati vicino a Roma
Gli alimenti erano destinati a ristoranti e negozi etnici della Capitale
http://www.ansa.it/lazio/notizie/2016/0 ... db62e.html
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Re: Diario della caduta di un regime.
I COLPI DI CODA DI UN GURU DA MUSEO DELLE CERE
Renzi, Forza Italia e il voto Il rilancio di Berlusconi
L'intervista al Cavaliere: "Con Renzi la democrazia è sospesa, torniamo alle urne. Forza Italia porterà il centrodestra al 40%"
Alessandro Sallusti - Sab, 09/01/2016 - 08:03
commenta
Silvio Berlusconi ci accoglie sulla soglia di casa sua ad Arcore: «Grazie della visita e buon anno a lei e ai lettori del Giornale». Sul tavolino del salotto ci sono ancora le carte di una riunione appena conclusa.
Presidente, che cosa si aspetta lei dal 2016?
«Sarà l'anno della battaglia contro il regime della sinistra che ha sospeso la democrazia».
(Sivietto si è messo parlare con i morti. Non sà che la sinistra è morta e sepellita??? Come puo chiamare sinistra questa ennesima variante di destra????-Anno nuovo vita vecchia- Giocano a chi la spara più grossa- Sentita stamani in Tv" Sala ha dichiarato che ai tempi ha votato Pci. Allora, io posso dire tranquillamenente di essere stato un generale del Faraone Ramsete II-ndt)
La sua è un'affermazione molto grave, che lei ripete con frequenza, eppure l'attuale governo ha i voti del Parlamento italiano.
«È proprio questo il paradosso. Le formalità della Costituzione sono state rispettate, ma la sostanza è stata profondamente tradita, fin dal suo primo presupposto. L'art. 3 dice che la sovranità appartiene al popolo: eppure l'ultimo governo scelto dal popolo italiano è stato il nostro nel 2008. Poi, solo manovre di palazzo, complotti internazionali e processi politici a sostegno della sinistra che non ha mai avuto dalla sua la maggioranza dai cittadini. Quando mai gli italiani, anche gli elettori di sinistra, hanno votato Monti, Letta o Renzi? Per questo ho parlato di due colpi di Stato recenti, quello che ha abbattuto il mio governo e quello che ha portato Renzi a governare grazie al voto di eletti del centrodestra che hanno tradito i loro elettori e a un premio di maggioranza che la stessa Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo. Con il risultato di un governo non solo non votato dal popolo ma contro il voto del popolo. E come se tutto questo non bastasse...».
Perché, c'è di peggio?
«C'è che il candidato premier del centrodestra, che ha sempre raccolto, dal 1994 a oggi, i voti di molti milioni di italiani, è stato cacciato dal Parlamento prendendo a pretesto una sentenza politica infondata e addirittura paradossale e applicando in modo retroattivo una legge incostituzionale come la Severino. Questo non è mai accaduto in nessuna democrazia occidentale. E quello che sconcerta di più è che nessuno sembra avere consapevolezza di questa situazione non democratica. La coltre di silenzio e di conformismo della politica, della cultura, dell'informazione, è pressoché assoluta».
Come pensa si possa uscire da uno scenario così grave?
«In un solo modo: con lo scioglimento delle Camere e con nuove elezioni. Anche il referendum sulla riforma costituzionale, sarà un banco di prova per Renzi e dimostrerà che la maggioranza degli elettori non vota a sinistra».Ne è davvero certo, Presidente? Se è così, perché Forza Italia nelle elezioni amministrative della prossima primavera non vuole correre con il suo simbolo? È una scelta che sembra dettata dalla paura, dalla voglia di non contarsi.«L'idea che Forza Italia non presenti il suo simbolo è semplicemente assurda. Mi chiedo se qualcuno possa davvero aver pensato una sciocchezza come questa. Ovviamente il nostro simbolo ci sarà e ci sarà per vincere. Il mio impegno è riportare Forza Italia sopra il 20% per vincere le elezioni con il centrodestra superando al primo turno il 40% dei voti».
Pensa di ottenere questo risultato con lei rintanato tra Arcore e Palazzo Grazioli?
«Nei mesi scorsi mi ero autoimposto il silenzio in attesa che la Corte europea, con la sentenza che mi riguarda, facesse finalmente giustizia, annullando una sentenza politica, paradossale e vergognosa della magistratura italiana. Mi era sembrata una questione di stile e di rispetto per le istituzioni».
E ora invece?
«La conseguenza della mia assenza è stata un calo di consensi per Forza Italia, privata del suo leader, mentre Renzi e Salvini erano e sono in televisione tutti i giorni, sei ore alla settimana. Non potevo permettere che continuasse così. È indispensabile rilanciare Forza Italia, perché il centrodestra sia vincente. Le faccio notare un dato che considero molto positivo: da quando sono tornato due volte in televisione, abbiamo guadagnato due punti nei sondaggi, e il centrodestra risulta più forte del Pd in qualunque rilevazione».
Lei parla spesso di unità del centrodestra, e in effetti si tratta di una condizione necessaria, senza la quale la vostra partita sarebbe già persa. Perché allora negli ultimi giorni si parla di una crescente freddezza nei rapporti con Lega e Fratelli d'Italia?
«Perché i suoi colleghi mi scusi durante le feste, quando il chiacchiericcio del teatrino della politica si spegne, devono riempire in qualche modo le pagine dei giornali. E allora sono costretti a inventarsi la qualunque. L'ennesima apparizione del mostro di Lochness oppure le presunte divisioni fra noi e i nostri alleati. Non è difficile capire che i nostri avversari facciano di tutto per alimentare queste voci, ma questo non le rende né vere né credibili».Giornalisti a parte, qual è la verità?«Con Lega e Fratelli d'Italia, al contrario, stiamo implementando una collaborazione cordiale e sistematica nelle aule parlamentari e sul territorio. Stiamo anche lavorando con serietà e determinazione sulle candidature alle amministrative: vogliamo individuare insieme i migliori uomini e donne non solo per vincere, ma per garantire alle maggiori città italiane cinque anni di buon governo. Ce n'è drammaticamente bisogno, alla luce del disastro lasciato in eredità dalle giunte di sinistra che hanno governato fino ad oggi».
Però i nomi del centrodestra tardano ad emergere, segno che le difficoltà ci sono...
«Guardi che non stiamo facendo una gara a chi arriva primo. Si voterà tra cinque mesi. La gara è a chi propone il candidato migliore e il programma più concreto e più realistico. Su questo i cittadini giudicheranno. Il resto appassiona solo i cultori del retroscena, del gossip, del pettegolezzo politico. Noi non parliamo a costoro ma alle italiane e agli italiani, e parliamo con la concretezza e il realismo che hanno sempre contraddistinto il nostro agire politico».
Alcuni, anche nel centrodestra, dicono che il mezzo migliore per individuare i candidati sarebbero le primarie, che affidano la scelta ai cittadini. Lei si è sempre detto contrario. Perché quest'opposizione così netta?
«Perché le primarie sono una finzione di democrazia. Non affidano le scelte ai cittadini, ma ai gruppi organizzati, e sono facilmente manipolabili anche dagli avversari. Ne vuole la controprova? Guardi quello che è accaduto nel Pd. I peggiori sindaci, come Marino, sono stati il frutto delle primarie. Io credo che una forza politica debba avere il coraggio e la capacità di dire agli elettori: questo è il nostro programma, questa è la persona che vi proponiamo per realizzarlo, giudicate voi se la scelta vi sembra adeguata».
Davvero nessun problema di equilibri con Lega e Fratelli d'Italia? Un candidato sindaco può spostare molti voti da un partito all'altro.
«Con la Lega e con Fratelli d'Italia abbiamo deciso due cose. Di mettere da parte il risiko delle appartenenze, il manuale Cencelli delle candidature, per scegliere i candidati migliori, e di sceglierli anche fra persone che non abbiano necessariamente una stretta appartenenza di partito. In linea generale privilegeremo coloro che abbiano dimostrato nella vita professionale, culturale, civile, di saper costruire, di saper realizzare, di aver ottenuto dei risultati concreti».
Scusi, Presidente, questo sembra quasi il ritratto del candidato del Pd a Milano, Beppe Sala, reduce dal successo dell'Expo...
«Con l'occasione le ricordo, alla De Luca, che l'Expo a Milano l'ho portato io, che il merito dell'Expo a Milano è tutto e solo mio. Quanto a Sala è un moderato e un manager capace. Ricordo come ha lavorato con noi ai tempi della giunta Moratti. C'è chi dice addirittura che avremmo potuto candidarlo noi».
Perché non l'avete fatto?
«Ci sono due aspetti che non mi piacciono affatto: il primo è che non apprezzo chi, in base alle proprie ambizioni, è pronto a mettersi al servizio di qualsiasi parte politica purché sia. È una di quelle forme di cinismo che allontanano i cittadini dalla politica. L'altro aspetto è che Sala è ovviamente la foglia di fico che Renzi vuol offrire al Pd per far dimenticare i danni creati dalla giunta Pisapia e avere una chance di vincere a Milano. È un metodo che la sinistra usa spesso: trovare un volto rassicurante per nascondere la sua vera faccia, che è uguale da decine di anni. Se non è così, Sala abbia il coraggio oggi, senza attendere le primarie, di proporre una forte discontinuità con la giunta Pisapia. Se lo farà, guarderemo con rispetto alla sua candidatura».
E il centrodestra, a Milano, che farà? Chi sceglierà?
«Decideremo al momento opportuno. Che non è ancora arrivato. Lei sa che abbiamo diversi ottimi candidati disponibili, uno dei quali ben noto ai lettori del Giornale...».
Capisco l'allusione, ma nel frattempo Forza Italia langue, chiudete la sede, licenziate i dipendenti...
«Siamo stati obbligati ad alcune scelte dolorose, anche per me personalmente, per colpa di una legge fatta su misura per colpire me e Forza Italia. Una legge che mi impedisce di sostenere economicamente il nostro movimento come ho fatto per vent'anni. Questo, unito alla abrogazione del finanziamento pubblico, ha creato una situazione di difficoltà, a noi e a tutte le altre forze politiche. Stiamo lavorando per superarla. Ho dovuto accettare, io che da imprenditore non avevo licenziato un solo collaboratore, di interrompere i rapporti con i nostri dipendenti. Abbiamo lasciato una sede prestigiosa, che era stata scelta in altre circostanze per trasferirci in una sede meno costosa».
E quindi?
«Ciò che è successo ci impone di lavorare in un modo nuovo, in fondo coerente con lo spirito originario di Forza Italia: un movimento basato sul volontariato, sul lavoro degli eletti e sul coinvolgimento diretto dei militanti, che sono tantissimi, e che sono il nostro patrimonio più prezioso. Forza Italia riparte da questo, e i risultati sorprenderanno tutti».
Riuscirete a farlo con una struttura così ridimensionata?
«È con le idee che si vince, non con gli apparati. Io credo che la politica debba saper cambiare rapidamente. Oggi non offre più rendite di posizione, comodi appannaggi, sistemazioni definitive. Occorre, per dedicarsi alla politica, una forte motivazione ideale, non la speranza di far carriera. Solo così la politica potrà ritrovare la fiducia degli elettori, oggi drammaticamente bassa, come dimostrano i dati sull'astensionismo, che riguardano soprattutto i moderati. Noi stiamo facendo la nostra parte, mi sto impegnando in prima persona e sono convinto che ci riusciremo. Anche utilizzando in maniera innovativa il web».
È una strada già battuta da Grillo, quella di usare la rete come strumento principale per creare un partito. Tenterete di imitarlo?
«Grillo ha usato la rete in modo distorto per costruire una finta democrazia dal basso, mentre in realtà le decisioni del suo movimento sono assunte da un direttorio di pochissime persone».
E voi come la userete?
«La rete è uno strumento formidabile che sta cambiando la comunicazione politica, perché consente un contatto diretto, personalizzato e interattivo con i cittadini. Può essere usata come mezzo di partecipazione, o strumentalizzata per disinformare e per manipolare il consenso. Noi ne faremo un uso intelligente e onesto, sarà la nostra sede virtuale, a cui tutti potranno accedere, nella quale tutti potranno lavorare insieme, sulle idee, sulle cose da fare, sulla diffusione nei nostri valori e dei nostri programmi».
Presidente, Lei ha posto più volte l'accento sul suo impegno in prima persona. Non è stanco, dopo vent'anni di battaglie politiche e di attacchi giudiziari? Non ha mai voglia di passare il testimone?
«Ne avrei tanta voglia, ma a chi? Senza di me Forza Italia si dissolverebbe e il centrodestra risulterebbe al terzo posto dopo il Pd e i 5 Stelle, che al ballottaggio prevarrebbero certamente sul Pd. Il mio senso dello Stato, il mio senso di responsabilità verso l'Italia e verso gli italiani mi impone, come nel '94, di fare di tutto affinché questo non accada».
Che ruolo immagina per se stesso?
«Quello dell'ispiratore di un vero centrodestra unito. Vede, gli altri leader del centrodestra, Salvini e Meloni, sono molto capaci nella raccolta del consenso, ma senza i moderati non si vince. Lo dimostrano le vicende elettorali di tutta l'Europa. Il nostro primo compito è riportare i moderati al voto attraverso il convincimento capillare di quegli italiani delusi, disgustati da questa politica e da questi politici che si sono rassegnati pensando che il loro voto non cambi niente e che quindi sia inutile andare a votare. È quella che ho chiamato la grande crociata per la democrazia e per la libertà, nella quale ci impegneremo tutti, io per primo».
A volte si ha l'impressione che lei soffra della solitudine del leader, mentre intorno a lei Forza Italia si divide in fazioni, ripicche, personalismi. Le divergenze fra i due capigruppo, Brunetta e Romani, sono all'ordine del giorno, e ora si parla anche di colonnelli azzurri...
«Tutte sciocchezze. Solo pettegolezzo politico. È sgradevole dirlo parlando di se stessi, ma Forza Italia ha una sola linea politica, della quale da vent'anni l'unico responsabile e l'unico garante sono io. Lo sono per la fiducia che da vent'anni mi attribuiscono liberamente decine di milioni di elettori, milioni di simpatizzanti e di militanti, migliaia e migliaia di eletti, di dirigenti e di amministratori locali. Il resto sono solo opinioni personali, legittime, ma che si devono discutere, semmai, nelle sedi interne».
Il solito dilemma: ricambio o non ricambio?
«Certo che ci sarà il ricambio. È possibile anche perché in questi anni sul territorio in Forza Italia è cresciuta una nuova classe dirigente, preparata, e molto motivata. I professionisti della politica se ne sono andati tutti. Si sono auto-rottamati. Oggi intorno a me ci sono giovani, molto preparati e determinati. Questa nuova classe dirigente che presto si farà conoscere, rappresenta il futuro di Forza Italia e saprà assumersi con il mio aiuto e con il mio sostegno, le necessarie responsabilità».
Torna il Berlusconi ottimista...
«La mia non è solo la lucida follia di Erasmo, né l'ottimismo della volontà al quale dovrebbe contrapporsi il pessimismo della ragione. È invece la ragionevole certezza del fatto che gli italiani sapranno reagire alla attuale sospensione della democrazia e al regime che si è determinato. La battaglia sarà difficile ma sono sicuro che saremo capaci di ridare all'Italia e agli italiani la democrazia e la libertà».
Renzi, Forza Italia e il voto Il rilancio di Berlusconi
L'intervista al Cavaliere: "Con Renzi la democrazia è sospesa, torniamo alle urne. Forza Italia porterà il centrodestra al 40%"
Alessandro Sallusti - Sab, 09/01/2016 - 08:03
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Silvio Berlusconi ci accoglie sulla soglia di casa sua ad Arcore: «Grazie della visita e buon anno a lei e ai lettori del Giornale». Sul tavolino del salotto ci sono ancora le carte di una riunione appena conclusa.
Presidente, che cosa si aspetta lei dal 2016?
«Sarà l'anno della battaglia contro il regime della sinistra che ha sospeso la democrazia».
(Sivietto si è messo parlare con i morti. Non sà che la sinistra è morta e sepellita??? Come puo chiamare sinistra questa ennesima variante di destra????-Anno nuovo vita vecchia- Giocano a chi la spara più grossa- Sentita stamani in Tv" Sala ha dichiarato che ai tempi ha votato Pci. Allora, io posso dire tranquillamenente di essere stato un generale del Faraone Ramsete II-ndt)
La sua è un'affermazione molto grave, che lei ripete con frequenza, eppure l'attuale governo ha i voti del Parlamento italiano.
«È proprio questo il paradosso. Le formalità della Costituzione sono state rispettate, ma la sostanza è stata profondamente tradita, fin dal suo primo presupposto. L'art. 3 dice che la sovranità appartiene al popolo: eppure l'ultimo governo scelto dal popolo italiano è stato il nostro nel 2008. Poi, solo manovre di palazzo, complotti internazionali e processi politici a sostegno della sinistra che non ha mai avuto dalla sua la maggioranza dai cittadini. Quando mai gli italiani, anche gli elettori di sinistra, hanno votato Monti, Letta o Renzi? Per questo ho parlato di due colpi di Stato recenti, quello che ha abbattuto il mio governo e quello che ha portato Renzi a governare grazie al voto di eletti del centrodestra che hanno tradito i loro elettori e a un premio di maggioranza che la stessa Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo. Con il risultato di un governo non solo non votato dal popolo ma contro il voto del popolo. E come se tutto questo non bastasse...».
Perché, c'è di peggio?
«C'è che il candidato premier del centrodestra, che ha sempre raccolto, dal 1994 a oggi, i voti di molti milioni di italiani, è stato cacciato dal Parlamento prendendo a pretesto una sentenza politica infondata e addirittura paradossale e applicando in modo retroattivo una legge incostituzionale come la Severino. Questo non è mai accaduto in nessuna democrazia occidentale. E quello che sconcerta di più è che nessuno sembra avere consapevolezza di questa situazione non democratica. La coltre di silenzio e di conformismo della politica, della cultura, dell'informazione, è pressoché assoluta».
Come pensa si possa uscire da uno scenario così grave?
«In un solo modo: con lo scioglimento delle Camere e con nuove elezioni. Anche il referendum sulla riforma costituzionale, sarà un banco di prova per Renzi e dimostrerà che la maggioranza degli elettori non vota a sinistra».Ne è davvero certo, Presidente? Se è così, perché Forza Italia nelle elezioni amministrative della prossima primavera non vuole correre con il suo simbolo? È una scelta che sembra dettata dalla paura, dalla voglia di non contarsi.«L'idea che Forza Italia non presenti il suo simbolo è semplicemente assurda. Mi chiedo se qualcuno possa davvero aver pensato una sciocchezza come questa. Ovviamente il nostro simbolo ci sarà e ci sarà per vincere. Il mio impegno è riportare Forza Italia sopra il 20% per vincere le elezioni con il centrodestra superando al primo turno il 40% dei voti».
Pensa di ottenere questo risultato con lei rintanato tra Arcore e Palazzo Grazioli?
«Nei mesi scorsi mi ero autoimposto il silenzio in attesa che la Corte europea, con la sentenza che mi riguarda, facesse finalmente giustizia, annullando una sentenza politica, paradossale e vergognosa della magistratura italiana. Mi era sembrata una questione di stile e di rispetto per le istituzioni».
E ora invece?
«La conseguenza della mia assenza è stata un calo di consensi per Forza Italia, privata del suo leader, mentre Renzi e Salvini erano e sono in televisione tutti i giorni, sei ore alla settimana. Non potevo permettere che continuasse così. È indispensabile rilanciare Forza Italia, perché il centrodestra sia vincente. Le faccio notare un dato che considero molto positivo: da quando sono tornato due volte in televisione, abbiamo guadagnato due punti nei sondaggi, e il centrodestra risulta più forte del Pd in qualunque rilevazione».
Lei parla spesso di unità del centrodestra, e in effetti si tratta di una condizione necessaria, senza la quale la vostra partita sarebbe già persa. Perché allora negli ultimi giorni si parla di una crescente freddezza nei rapporti con Lega e Fratelli d'Italia?
«Perché i suoi colleghi mi scusi durante le feste, quando il chiacchiericcio del teatrino della politica si spegne, devono riempire in qualche modo le pagine dei giornali. E allora sono costretti a inventarsi la qualunque. L'ennesima apparizione del mostro di Lochness oppure le presunte divisioni fra noi e i nostri alleati. Non è difficile capire che i nostri avversari facciano di tutto per alimentare queste voci, ma questo non le rende né vere né credibili».Giornalisti a parte, qual è la verità?«Con Lega e Fratelli d'Italia, al contrario, stiamo implementando una collaborazione cordiale e sistematica nelle aule parlamentari e sul territorio. Stiamo anche lavorando con serietà e determinazione sulle candidature alle amministrative: vogliamo individuare insieme i migliori uomini e donne non solo per vincere, ma per garantire alle maggiori città italiane cinque anni di buon governo. Ce n'è drammaticamente bisogno, alla luce del disastro lasciato in eredità dalle giunte di sinistra che hanno governato fino ad oggi».
Però i nomi del centrodestra tardano ad emergere, segno che le difficoltà ci sono...
«Guardi che non stiamo facendo una gara a chi arriva primo. Si voterà tra cinque mesi. La gara è a chi propone il candidato migliore e il programma più concreto e più realistico. Su questo i cittadini giudicheranno. Il resto appassiona solo i cultori del retroscena, del gossip, del pettegolezzo politico. Noi non parliamo a costoro ma alle italiane e agli italiani, e parliamo con la concretezza e il realismo che hanno sempre contraddistinto il nostro agire politico».
Alcuni, anche nel centrodestra, dicono che il mezzo migliore per individuare i candidati sarebbero le primarie, che affidano la scelta ai cittadini. Lei si è sempre detto contrario. Perché quest'opposizione così netta?
«Perché le primarie sono una finzione di democrazia. Non affidano le scelte ai cittadini, ma ai gruppi organizzati, e sono facilmente manipolabili anche dagli avversari. Ne vuole la controprova? Guardi quello che è accaduto nel Pd. I peggiori sindaci, come Marino, sono stati il frutto delle primarie. Io credo che una forza politica debba avere il coraggio e la capacità di dire agli elettori: questo è il nostro programma, questa è la persona che vi proponiamo per realizzarlo, giudicate voi se la scelta vi sembra adeguata».
Davvero nessun problema di equilibri con Lega e Fratelli d'Italia? Un candidato sindaco può spostare molti voti da un partito all'altro.
«Con la Lega e con Fratelli d'Italia abbiamo deciso due cose. Di mettere da parte il risiko delle appartenenze, il manuale Cencelli delle candidature, per scegliere i candidati migliori, e di sceglierli anche fra persone che non abbiano necessariamente una stretta appartenenza di partito. In linea generale privilegeremo coloro che abbiano dimostrato nella vita professionale, culturale, civile, di saper costruire, di saper realizzare, di aver ottenuto dei risultati concreti».
Scusi, Presidente, questo sembra quasi il ritratto del candidato del Pd a Milano, Beppe Sala, reduce dal successo dell'Expo...
«Con l'occasione le ricordo, alla De Luca, che l'Expo a Milano l'ho portato io, che il merito dell'Expo a Milano è tutto e solo mio. Quanto a Sala è un moderato e un manager capace. Ricordo come ha lavorato con noi ai tempi della giunta Moratti. C'è chi dice addirittura che avremmo potuto candidarlo noi».
Perché non l'avete fatto?
«Ci sono due aspetti che non mi piacciono affatto: il primo è che non apprezzo chi, in base alle proprie ambizioni, è pronto a mettersi al servizio di qualsiasi parte politica purché sia. È una di quelle forme di cinismo che allontanano i cittadini dalla politica. L'altro aspetto è che Sala è ovviamente la foglia di fico che Renzi vuol offrire al Pd per far dimenticare i danni creati dalla giunta Pisapia e avere una chance di vincere a Milano. È un metodo che la sinistra usa spesso: trovare un volto rassicurante per nascondere la sua vera faccia, che è uguale da decine di anni. Se non è così, Sala abbia il coraggio oggi, senza attendere le primarie, di proporre una forte discontinuità con la giunta Pisapia. Se lo farà, guarderemo con rispetto alla sua candidatura».
E il centrodestra, a Milano, che farà? Chi sceglierà?
«Decideremo al momento opportuno. Che non è ancora arrivato. Lei sa che abbiamo diversi ottimi candidati disponibili, uno dei quali ben noto ai lettori del Giornale...».
Capisco l'allusione, ma nel frattempo Forza Italia langue, chiudete la sede, licenziate i dipendenti...
«Siamo stati obbligati ad alcune scelte dolorose, anche per me personalmente, per colpa di una legge fatta su misura per colpire me e Forza Italia. Una legge che mi impedisce di sostenere economicamente il nostro movimento come ho fatto per vent'anni. Questo, unito alla abrogazione del finanziamento pubblico, ha creato una situazione di difficoltà, a noi e a tutte le altre forze politiche. Stiamo lavorando per superarla. Ho dovuto accettare, io che da imprenditore non avevo licenziato un solo collaboratore, di interrompere i rapporti con i nostri dipendenti. Abbiamo lasciato una sede prestigiosa, che era stata scelta in altre circostanze per trasferirci in una sede meno costosa».
E quindi?
«Ciò che è successo ci impone di lavorare in un modo nuovo, in fondo coerente con lo spirito originario di Forza Italia: un movimento basato sul volontariato, sul lavoro degli eletti e sul coinvolgimento diretto dei militanti, che sono tantissimi, e che sono il nostro patrimonio più prezioso. Forza Italia riparte da questo, e i risultati sorprenderanno tutti».
Riuscirete a farlo con una struttura così ridimensionata?
«È con le idee che si vince, non con gli apparati. Io credo che la politica debba saper cambiare rapidamente. Oggi non offre più rendite di posizione, comodi appannaggi, sistemazioni definitive. Occorre, per dedicarsi alla politica, una forte motivazione ideale, non la speranza di far carriera. Solo così la politica potrà ritrovare la fiducia degli elettori, oggi drammaticamente bassa, come dimostrano i dati sull'astensionismo, che riguardano soprattutto i moderati. Noi stiamo facendo la nostra parte, mi sto impegnando in prima persona e sono convinto che ci riusciremo. Anche utilizzando in maniera innovativa il web».
È una strada già battuta da Grillo, quella di usare la rete come strumento principale per creare un partito. Tenterete di imitarlo?
«Grillo ha usato la rete in modo distorto per costruire una finta democrazia dal basso, mentre in realtà le decisioni del suo movimento sono assunte da un direttorio di pochissime persone».
E voi come la userete?
«La rete è uno strumento formidabile che sta cambiando la comunicazione politica, perché consente un contatto diretto, personalizzato e interattivo con i cittadini. Può essere usata come mezzo di partecipazione, o strumentalizzata per disinformare e per manipolare il consenso. Noi ne faremo un uso intelligente e onesto, sarà la nostra sede virtuale, a cui tutti potranno accedere, nella quale tutti potranno lavorare insieme, sulle idee, sulle cose da fare, sulla diffusione nei nostri valori e dei nostri programmi».
Presidente, Lei ha posto più volte l'accento sul suo impegno in prima persona. Non è stanco, dopo vent'anni di battaglie politiche e di attacchi giudiziari? Non ha mai voglia di passare il testimone?
«Ne avrei tanta voglia, ma a chi? Senza di me Forza Italia si dissolverebbe e il centrodestra risulterebbe al terzo posto dopo il Pd e i 5 Stelle, che al ballottaggio prevarrebbero certamente sul Pd. Il mio senso dello Stato, il mio senso di responsabilità verso l'Italia e verso gli italiani mi impone, come nel '94, di fare di tutto affinché questo non accada».
Che ruolo immagina per se stesso?
«Quello dell'ispiratore di un vero centrodestra unito. Vede, gli altri leader del centrodestra, Salvini e Meloni, sono molto capaci nella raccolta del consenso, ma senza i moderati non si vince. Lo dimostrano le vicende elettorali di tutta l'Europa. Il nostro primo compito è riportare i moderati al voto attraverso il convincimento capillare di quegli italiani delusi, disgustati da questa politica e da questi politici che si sono rassegnati pensando che il loro voto non cambi niente e che quindi sia inutile andare a votare. È quella che ho chiamato la grande crociata per la democrazia e per la libertà, nella quale ci impegneremo tutti, io per primo».
A volte si ha l'impressione che lei soffra della solitudine del leader, mentre intorno a lei Forza Italia si divide in fazioni, ripicche, personalismi. Le divergenze fra i due capigruppo, Brunetta e Romani, sono all'ordine del giorno, e ora si parla anche di colonnelli azzurri...
«Tutte sciocchezze. Solo pettegolezzo politico. È sgradevole dirlo parlando di se stessi, ma Forza Italia ha una sola linea politica, della quale da vent'anni l'unico responsabile e l'unico garante sono io. Lo sono per la fiducia che da vent'anni mi attribuiscono liberamente decine di milioni di elettori, milioni di simpatizzanti e di militanti, migliaia e migliaia di eletti, di dirigenti e di amministratori locali. Il resto sono solo opinioni personali, legittime, ma che si devono discutere, semmai, nelle sedi interne».
Il solito dilemma: ricambio o non ricambio?
«Certo che ci sarà il ricambio. È possibile anche perché in questi anni sul territorio in Forza Italia è cresciuta una nuova classe dirigente, preparata, e molto motivata. I professionisti della politica se ne sono andati tutti. Si sono auto-rottamati. Oggi intorno a me ci sono giovani, molto preparati e determinati. Questa nuova classe dirigente che presto si farà conoscere, rappresenta il futuro di Forza Italia e saprà assumersi con il mio aiuto e con il mio sostegno, le necessarie responsabilità».
Torna il Berlusconi ottimista...
«La mia non è solo la lucida follia di Erasmo, né l'ottimismo della volontà al quale dovrebbe contrapporsi il pessimismo della ragione. È invece la ragionevole certezza del fatto che gli italiani sapranno reagire alla attuale sospensione della democrazia e al regime che si è determinato. La battaglia sarà difficile ma sono sicuro che saremo capaci di ridare all'Italia e agli italiani la democrazia e la libertà».
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