La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Siamo solo al terzo giorno del nuovo anno ed il Tg3 delle 19,00 dedica un terzo del suo tempo alla crisi tra Iran e Arabia Saudita.
Un bel inizio d'anno. Non c'è di che.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Turchia, Erdogan: “Germania di Hitler esempio di presidenzialismo”. Poi il chiarimento
Mondo
Dopo che il presidente ha citato il Terzo Reich per spiegare l'accentramento di poteri che vuole attuare nel paese, è scoppiata la polemica tra i media turchi. Ma lui si difende: "La metafora è stata distorta e utilizzata in senso opposto"
di F. Q. | 2 gennaio 2016
Commenti (448)
“Non esiste un modello unico di sistema presidenziale. Ci sono tanti esempi in tutto il mondo anche nel passato: guardate la Germania di Hitler“. Ad affermarlo in una conferenza stampa è stato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il parallelismo con il Terzo Reich è stato fatto per spiegare come in Turchia sia necessario, a suo giudizio, un accentramento dei poteri: “Quello che conta – ha continuato Erdogan – è che un sistema presidenziale non dia fastidio al popolo per come viene applicato. Se garantisci la giustizia, non ci saranno problemi perché la gente vuole e si aspetta giustizia”. Erdogan ha più volte sostenuto come sia necessario dare più ampi poteri al capo dello Stato come avviene in Stati Uniti e Francia.
Ma la citazione del dittatore tedesco ha suscitato molte polemiche tra i media del paese. La presidenza turca ha subito respinto le accuse per l’esaltazione della figura del Führer: “La metafora sulla Germania di Hitler di Erdogan – si legge in una nota – è stata distorta da alcuni media e utilizzata in senso opposto”. L’obiettivo, spiega ancora la presidenza, non era mostrare il Terzo Reich in chiave positiva: “Se il sistema viene abusato può portare a una cattiva gestione che porta a disastri come nella Germania di Hitler… La cosa importante è quella di perseguire un sistema di governo equo che sia al servizio della nazione”. La nota si conclude ricordando passate prese di posizione del presidente turco di condanna dell’Olocausto e dell’antisemitismo.
Tuttavia Erdogan negli ultimi mesi è stato più volte accusato di voler instaurare un sistema autoritario. In particolare è stato molto criticato per i suoi tentativi di censura alla stampa di opposizione. Tra i media più presi di mira la rivista Nokta, i cui vertici sono stati più volti accusati di eversione e propaganda terroristica. L’ultima volta, il primo novembre scorso, subito dopo le elezioni politiche turche, quando furono arrestati il direttore e il vicedirettore del settimanale. Quello stesso giorno finirono in cella 35 persone in quanto sostenitori del religioso musulmano, Fethullah Gulen, avversario di Erdogan.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2344819/
Turchia, Erdogan: “Germania di Hitler esempio di presidenzialismo”. Poi il chiarimento
Mondo
Dopo che il presidente ha citato il Terzo Reich per spiegare l'accentramento di poteri che vuole attuare nel paese, è scoppiata la polemica tra i media turchi. Ma lui si difende: "La metafora è stata distorta e utilizzata in senso opposto"
di F. Q. | 2 gennaio 2016
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“Non esiste un modello unico di sistema presidenziale. Ci sono tanti esempi in tutto il mondo anche nel passato: guardate la Germania di Hitler“. Ad affermarlo in una conferenza stampa è stato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan. Il parallelismo con il Terzo Reich è stato fatto per spiegare come in Turchia sia necessario, a suo giudizio, un accentramento dei poteri: “Quello che conta – ha continuato Erdogan – è che un sistema presidenziale non dia fastidio al popolo per come viene applicato. Se garantisci la giustizia, non ci saranno problemi perché la gente vuole e si aspetta giustizia”. Erdogan ha più volte sostenuto come sia necessario dare più ampi poteri al capo dello Stato come avviene in Stati Uniti e Francia.
Ma la citazione del dittatore tedesco ha suscitato molte polemiche tra i media del paese. La presidenza turca ha subito respinto le accuse per l’esaltazione della figura del Führer: “La metafora sulla Germania di Hitler di Erdogan – si legge in una nota – è stata distorta da alcuni media e utilizzata in senso opposto”. L’obiettivo, spiega ancora la presidenza, non era mostrare il Terzo Reich in chiave positiva: “Se il sistema viene abusato può portare a una cattiva gestione che porta a disastri come nella Germania di Hitler… La cosa importante è quella di perseguire un sistema di governo equo che sia al servizio della nazione”. La nota si conclude ricordando passate prese di posizione del presidente turco di condanna dell’Olocausto e dell’antisemitismo.
Tuttavia Erdogan negli ultimi mesi è stato più volte accusato di voler instaurare un sistema autoritario. In particolare è stato molto criticato per i suoi tentativi di censura alla stampa di opposizione. Tra i media più presi di mira la rivista Nokta, i cui vertici sono stati più volti accusati di eversione e propaganda terroristica. L’ultima volta, il primo novembre scorso, subito dopo le elezioni politiche turche, quando furono arrestati il direttore e il vicedirettore del settimanale. Quello stesso giorno finirono in cella 35 persone in quanto sostenitori del religioso musulmano, Fethullah Gulen, avversario di Erdogan.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Religione? Anche petrolio nella crisi Arabia-Iran
Produttori al collasso. E Isis ha già ‘diversificato’
Teheran vuole esportare. Ryad in deficit per il crollo dei prezzi. Mentre Daesh ha ampliato le sue entrate
Iran attacca: “Regime saudita come Stato Islamico”. L’esercito: “Serve una risposta militare adeguata”
Economia & Lobby
Le scintille tra Arabia Saudita e Iran (leggi) non sono (solo) l’ultimo capitolo dello scontro secolare tra le due anime dell’Islam (leggi). Ma anche frutto di tensioni che toccano gli interessi delle due potenze: produzione ed esportazione del petrolio. Il cui prezzo ha raggiunto i minimi dal 2004. Una rivoluzione che sta mettendo in ginocchio molti produttori e ha affossato i conti 2015 della monarchia saudita (leggi). Mentre Teheran, dopo l’accordo sul nucleare firmato con la comunità internazionale (leggi) si prepara a estrazioni su larga scala. E l’Isis? Lo Stato islamico ha diversificato le entrate e risente meno del crollo del greggio di Felice Meoli
^^^^^^^^^^
Petrolio, dietro le tensioni Arabia Saudita-Iran il crollo dei prezzi. Ecco le conseguenze per i grandi produttori
Economia
Teheran si prepara a riprendere le esportazioni mentre Ryad ha chiuso il 2015 con un deficit record a causa del calo dei ricavi. Sullo sfondo i contrasti all'interno dell'Opec, che ha tenuto alta la produzione per mettere fuori gioco la produzione di shale oil degli Usa, e la crisi di Russia, Brasile e Venezuela. L'Isis invece ha diversificato fin dall'inizio le fonti di entrate
di Felice Meoli | 3 gennaio 2016
Commenti (74)
Le scintille di inizio anno tra Arabia Saudita e Iran non sono (solo) l’ultimo capitolo dello scontro secolare tra le due anime dell’Islam. Ma anche il risultato di tensioni più recenti che toccano gli interessi economici delle due potenze: quelli legati alla produzione e all’esportazione del petrolio. I cui prezzi nei giorni scorsi hanno raggiunto i minimi dal 2004, dopo aver perso circa il 70% dal giugno 2014. Una rivoluzione che, intrecciata con le novità tecnologiche sul fronte dell’estrazione, sta mettendo in ginocchio molti grandi produttori – dal Sudamerica alla Russia – e ha affossato anche i conti 2015 della monarchia saudita. Mentre Teheran, che da decenni non poteva vendere oro nero all’estero, dopo l’accordo sul nucleare firmato con la comunità internazionale si prepara a riavviare le estrazioni su larga scala e a registrare ingenti ricavi aggiuntivi. E l’Isis? Lo Stato islamico ha ampiamente diversificato le proprie fonti di entrate, per cui risente relativamente del crollo delle quotazioni del petrolio.
Il barile potrebbe scendere fino a quota 15 dollari - Diciotto mesi fa, Brent e Wti superavano i 100 dollari al barile. Oggi si attestano in area 35 dollari. E secondo alcuni analisti, tra cui il responsabile della ricerca sulle commodity di Goldman Sachs Jeffrey Currie, l’eccesso di offerta continuerà anche nel 2016, con la possibilità di vedere un barile di greggio a 20 dollari. Una sensazione confermata dai dati provenienti dal New York Mercantile Exchange e dallo Us Depository Trust & Clearing Corporation, che segnalano acquisti in massa da parte degli investitori di opzioni di vendita nella fascia compresa tra i 30 e i 20 dollari al barile per il prossimo dicembre. E addirittura fino a un livello di 15 dollari. Il clima mite di questo inverno ha contribuito a ridurre la domanda di greggio, ma la sovrapproduzione appare un vero e proprio obiettivo dei Paesi produttori e in particolare dell’Opec, l’organizzazione che rappresenta il 35% dell’offerta globale.
L’Opec spaccata tra falchi e colombe non controlla più la produzione – Dopo aver rinunciato ad avere un prezzo target, durante l’ultimo vertice di Vienna l’Opec ha abdicato alle quote produttive dei singoli Paesi e anche a un tetto di produzione collettivo: una decisione che deriva dalla spaccatura tra i “falchi” capitanati dall’Arabia Saudita, che spingevano per il rialzo della produzione, e le “colombe” come Algeria e Venezuela che avevano invece chiesto un taglio per adeguarsi alla riduzione della domanda. L’obiettivo, non troppo nascosto, è mettere fuori gioco la produzione di shale oil degli Stati Uniti, cioè l’estrazione di idrocarburi non convenzionali, più costosa (tra i 45 e i 55 dollari al barile) di quella tradizionale. Una novità che ha spinto Washington, sempre a dicembre, a una decisione storica: l’eliminazione del bando alle esportazioni, introdotto 40 anni fa per favorire l’indipendenza energetica del Paese.
Negli Usa già nove gruppi in bancarotta e altri a rischio sotto il peso dei debiti – Gli effetti combinati di questa situazione si stanno facendo sentire. Il boom dello shale oil e i tassi di interesse vicini allo zero hanno favorito nel recente passato l’accumulo di debito da parte delle compagnie petrolifere, che hanno inoltre emesso obbligazioni ad alto rendimento (tecnicamente “high-yield”, ma anche “junk“, spazzatura, in quanto poco sicure), coperte da contratti di hedging con prezzi prefissati anche a 90 dollari, per finanziare le nuove trivellazioni. Il petrolio a sconto, unito al recente rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve (il primo dal 2006), oggi mette a rischio questo impianto. Standard & Poor’s ha calcolato a fine novembre che oltre il 50% dei junk bond energetici sono “distressed”, ovvero a rischio default. Complessivamente, negli Stati Uniti circa 180 miliardi di dollari di debito sono a rischio default, il livello più alto dal 2009, e la maggior parte fa riferimento proprio al settore Oil & Gas. Secondo quanto riportato dalla Federal Reserve di Dallas, sono almeno nove le compagnie energetiche che nel quarto trimestre del 2015 sono andate in bancarotta, per un debito complessivo di oltre 2 miliardi di dollari, con una perdita di 70mila posti di lavoro dall’ottobre del 2014. Per Jeffrey Gundlach, fondatore della società di investimenti DoubleLine Capital e “Re dei Bond” secondo la rivista americana Barron’s, i downgrade dei titoli emessi dalle compagnie energetiche stanno già accelerando e proseguiranno con ulteriori default se i prezzi del greggio non ritorneranno sopra quota 50 dollari.
Arabia Saudita e Oman per la prima volta fanno i conti con l’austerity - Ma la strategia dell’Opec non è senza conseguenze né per gli stessi Paesi di quello che molti analisti considerano già un ex cartello, né per gli altri. Inedita la condizione dell’Arabia Saudita, che ha presentato per il 2015 un disavanzo di 98 miliardi di dollari (circa il 15% del Pil) a fronte di entrate petrolifere in calo del 23%, e si appresta a varare un articolato piano di austerity che prevede il taglio dei sussidi energetici, il rincaro del prezzo della benzina, delle bollette elettriche e dell’acqua, valutando inoltre l’introduzione dell’Iva e l’aumento delle accise su bevande e tabacco. Notizie simili provengono anche dall’Alaska e dall’Oman: lo Stato americano sta studiando la reintroduzione delle imposte sui redditi, dopo 35 anni di esenzione per i residenti, mentre il Sultanato ha già annunciato tagli alla spesa pubblica del 15,6 per cento.
Con il calo dei ricavi si aggrava la crisi di Venezuela e Brasile – Situazione critica per il Venezuela, il cui ministro del Petrolio ha chiesto la convocazione di un vertice tra i Paesi Opec e non Opec in gennaio per discutere nuovamente di azioni che possano dare impulso al prezzo del greggio, a cui è legata a filo doppio la fragile economia di Caracas. Il presidente Nicolas Maduro, che ha appena incassato la prima sconfitta elettorale del partito di governo da diciassette anni a questa parte, è alle prese con un’inflazione che nel 2015 ha raggiunto il 150%, con stime per l’anno in corso che puntano al 200 per cento. Sempre in Sudamerica, il Brasile sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia recente. Il 2015 si è chiuso in forte recessione (-3,2%), con disoccupazione e inflazione crescenti, moneta svalutata del 35%, una richiesta parlamentare di impeachment per il presidente Dilma Rousseff e lo scandalo corruzione di Petrobras che si trascina ormai da oltre un anno. Il crollo del prezzo del petrolio ha colpito chirurgicamente lo Stato di Rio de Janeiro aggravando una crisi già profonda, alle porte dei prossimi giochi olimpici. La sanità ha già sofferto di numerosi tagli, gli stipendi non vengono pagati da mesi e i pazienti negli ospedali vengono rispediti a casa. E siccome Rio è responsabile del 67% della produzione di greggio (oltre al 40% di gas), per recuperare all’incirca 500 milioni di dollari è stata lanciata una flat tax da 0,69 dollari per ogni barile prodotto. Condizione simile per la Nigeria: il greggio vale il 75% delle entrate statali e quasi il 90% delle esportazioni del Paese. Anche qui si registrano impiegati pubblici senza stipendio e paradossalmente, per il maggior esportatore africano di petrolio, nonché uno dei maggiori del mondo, blackout energetici e mancanza di carburante per la popolazione.
L’asse Russia-Iraq-Iran e la strategia di Teheran - Ma da un punto di vista geopolitico i riflettori sono puntati su quanto sta accadendo in Russia, Iraq e Iran. Mosca, che a novembre ha visto il proprio Prodotto interno lordo contrarsi del 4% anno su anno, fa affidamento per quasi la metà delle sue entrate statali su petrolio e gas. Colpita anche dalle sanzioni economiche, la Federazione, che ha accusato l’Arabia Saudita di destabilizzare il mercato, dovrebbe aver chiuso il 2015 con una contrazione del Pil del 3,8%, con un budget che fissava il prezzo del barile a 50 dollari. Sono solidi i rapporti del presidente Vladimir Putin con Baghdad e Teheran, due protagonisti della cosiddetta Mezzaluna Sciita. Per finanziare la guerra allo Stato Islamico l’Iraq nel 2015 ha spinto sull’acceleratore dell’estrazione del greggio, ma l’atteso surplus di ricavi è stato assorbito dal calo dei prezzi. Ma ora anche l’Iran punta forte sulla produzione dell’oro nero. Il Paese, detentore della quarta riserva mondiale di petrolio, dopo l’accordo dello scorso luglio nel 2016 dovrebbe veder superate le sanzioni ed è pronto a produrre nel giro di una settimana fino a 500mila barili al giorno, per arrivare a quota 1 milione dopo un mese. Questa strategia, accompagnata dalle dichiarazioni di Mehdi Assadli, delegato iraniano all’Opec, che ha svelato un costo di produzione per barile da parte di Teheran inferiore ai 10 dollari al barile, potrebbe incrementare ulteriormente le pressioni sui prezzi e condurre a un muro contro muro ribassista proprio con Ryad.
Lo Stato islamico ha già diversificato - Meno esposto degli altri, al crollo dei prezzi del greggio, sembrerebbe invece lo Stato Islamico. A giugno, con il barile a 60 dollari, l’Is vendeva sul mercato nero a 30 dollari a barile. Ai prezzi odierni, che oscillano intorno ai 35 dollari, lo Stato Islamico vende intorno ai 20 dollari, registrando dunque un calo meno che proporzionale rispetto ai mercati ufficiali. E se fino allo scorso ottobre il commercio dell’oro nero rappresentava la sola fonte di entrate, anche a seguito degli attacchi alle infrastrutture da parte delle potenze occidentali e alla difficoltà di ripristino e manutenzione degli impianti l’Is (o Daesh) ha già provveduto a diversificare le proprie attività. La società di consulenza Ihs ne segnala infatti altre in grande sviluppo: in primis la confisca di terre e proprietà e le estorsioni nei territori sotto controllo (che raccolgono circa il 50% del totale delle entrate), oltre al traffico di droga e reperti archeologici, attività criminali come rapine in banca e riscatti a seguito di sequestri di persona, piccoli business legati a trasporti, elettricità e attività immobiliari e infine donazioni e sovvenzioni. Per non parlare del fatto che in un documento risalente a gennaio 2015, reso noto da Reuters, il consiglio degli ulema che risponde direttamente al sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi dà il via libera al traffico di organi dei prigionieri. Il volume d’affari complessivo di tutte queste attività è stimato attorno agli 80 milioni di dollari al mese, mentre il petrolio varrebbe oggi, percentualmente, meno della metà delle entrate totali.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... i/2346955/
Produttori al collasso. E Isis ha già ‘diversificato’
Teheran vuole esportare. Ryad in deficit per il crollo dei prezzi. Mentre Daesh ha ampliato le sue entrate
Iran attacca: “Regime saudita come Stato Islamico”. L’esercito: “Serve una risposta militare adeguata”
Economia & Lobby
Le scintille tra Arabia Saudita e Iran (leggi) non sono (solo) l’ultimo capitolo dello scontro secolare tra le due anime dell’Islam (leggi). Ma anche frutto di tensioni che toccano gli interessi delle due potenze: produzione ed esportazione del petrolio. Il cui prezzo ha raggiunto i minimi dal 2004. Una rivoluzione che sta mettendo in ginocchio molti produttori e ha affossato i conti 2015 della monarchia saudita (leggi). Mentre Teheran, dopo l’accordo sul nucleare firmato con la comunità internazionale (leggi) si prepara a estrazioni su larga scala. E l’Isis? Lo Stato islamico ha diversificato le entrate e risente meno del crollo del greggio di Felice Meoli
^^^^^^^^^^
Petrolio, dietro le tensioni Arabia Saudita-Iran il crollo dei prezzi. Ecco le conseguenze per i grandi produttori
Economia
Teheran si prepara a riprendere le esportazioni mentre Ryad ha chiuso il 2015 con un deficit record a causa del calo dei ricavi. Sullo sfondo i contrasti all'interno dell'Opec, che ha tenuto alta la produzione per mettere fuori gioco la produzione di shale oil degli Usa, e la crisi di Russia, Brasile e Venezuela. L'Isis invece ha diversificato fin dall'inizio le fonti di entrate
di Felice Meoli | 3 gennaio 2016
Commenti (74)
Le scintille di inizio anno tra Arabia Saudita e Iran non sono (solo) l’ultimo capitolo dello scontro secolare tra le due anime dell’Islam. Ma anche il risultato di tensioni più recenti che toccano gli interessi economici delle due potenze: quelli legati alla produzione e all’esportazione del petrolio. I cui prezzi nei giorni scorsi hanno raggiunto i minimi dal 2004, dopo aver perso circa il 70% dal giugno 2014. Una rivoluzione che, intrecciata con le novità tecnologiche sul fronte dell’estrazione, sta mettendo in ginocchio molti grandi produttori – dal Sudamerica alla Russia – e ha affossato anche i conti 2015 della monarchia saudita. Mentre Teheran, che da decenni non poteva vendere oro nero all’estero, dopo l’accordo sul nucleare firmato con la comunità internazionale si prepara a riavviare le estrazioni su larga scala e a registrare ingenti ricavi aggiuntivi. E l’Isis? Lo Stato islamico ha ampiamente diversificato le proprie fonti di entrate, per cui risente relativamente del crollo delle quotazioni del petrolio.
Il barile potrebbe scendere fino a quota 15 dollari - Diciotto mesi fa, Brent e Wti superavano i 100 dollari al barile. Oggi si attestano in area 35 dollari. E secondo alcuni analisti, tra cui il responsabile della ricerca sulle commodity di Goldman Sachs Jeffrey Currie, l’eccesso di offerta continuerà anche nel 2016, con la possibilità di vedere un barile di greggio a 20 dollari. Una sensazione confermata dai dati provenienti dal New York Mercantile Exchange e dallo Us Depository Trust & Clearing Corporation, che segnalano acquisti in massa da parte degli investitori di opzioni di vendita nella fascia compresa tra i 30 e i 20 dollari al barile per il prossimo dicembre. E addirittura fino a un livello di 15 dollari. Il clima mite di questo inverno ha contribuito a ridurre la domanda di greggio, ma la sovrapproduzione appare un vero e proprio obiettivo dei Paesi produttori e in particolare dell’Opec, l’organizzazione che rappresenta il 35% dell’offerta globale.
L’Opec spaccata tra falchi e colombe non controlla più la produzione – Dopo aver rinunciato ad avere un prezzo target, durante l’ultimo vertice di Vienna l’Opec ha abdicato alle quote produttive dei singoli Paesi e anche a un tetto di produzione collettivo: una decisione che deriva dalla spaccatura tra i “falchi” capitanati dall’Arabia Saudita, che spingevano per il rialzo della produzione, e le “colombe” come Algeria e Venezuela che avevano invece chiesto un taglio per adeguarsi alla riduzione della domanda. L’obiettivo, non troppo nascosto, è mettere fuori gioco la produzione di shale oil degli Stati Uniti, cioè l’estrazione di idrocarburi non convenzionali, più costosa (tra i 45 e i 55 dollari al barile) di quella tradizionale. Una novità che ha spinto Washington, sempre a dicembre, a una decisione storica: l’eliminazione del bando alle esportazioni, introdotto 40 anni fa per favorire l’indipendenza energetica del Paese.
Negli Usa già nove gruppi in bancarotta e altri a rischio sotto il peso dei debiti – Gli effetti combinati di questa situazione si stanno facendo sentire. Il boom dello shale oil e i tassi di interesse vicini allo zero hanno favorito nel recente passato l’accumulo di debito da parte delle compagnie petrolifere, che hanno inoltre emesso obbligazioni ad alto rendimento (tecnicamente “high-yield”, ma anche “junk“, spazzatura, in quanto poco sicure), coperte da contratti di hedging con prezzi prefissati anche a 90 dollari, per finanziare le nuove trivellazioni. Il petrolio a sconto, unito al recente rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve (il primo dal 2006), oggi mette a rischio questo impianto. Standard & Poor’s ha calcolato a fine novembre che oltre il 50% dei junk bond energetici sono “distressed”, ovvero a rischio default. Complessivamente, negli Stati Uniti circa 180 miliardi di dollari di debito sono a rischio default, il livello più alto dal 2009, e la maggior parte fa riferimento proprio al settore Oil & Gas. Secondo quanto riportato dalla Federal Reserve di Dallas, sono almeno nove le compagnie energetiche che nel quarto trimestre del 2015 sono andate in bancarotta, per un debito complessivo di oltre 2 miliardi di dollari, con una perdita di 70mila posti di lavoro dall’ottobre del 2014. Per Jeffrey Gundlach, fondatore della società di investimenti DoubleLine Capital e “Re dei Bond” secondo la rivista americana Barron’s, i downgrade dei titoli emessi dalle compagnie energetiche stanno già accelerando e proseguiranno con ulteriori default se i prezzi del greggio non ritorneranno sopra quota 50 dollari.
Arabia Saudita e Oman per la prima volta fanno i conti con l’austerity - Ma la strategia dell’Opec non è senza conseguenze né per gli stessi Paesi di quello che molti analisti considerano già un ex cartello, né per gli altri. Inedita la condizione dell’Arabia Saudita, che ha presentato per il 2015 un disavanzo di 98 miliardi di dollari (circa il 15% del Pil) a fronte di entrate petrolifere in calo del 23%, e si appresta a varare un articolato piano di austerity che prevede il taglio dei sussidi energetici, il rincaro del prezzo della benzina, delle bollette elettriche e dell’acqua, valutando inoltre l’introduzione dell’Iva e l’aumento delle accise su bevande e tabacco. Notizie simili provengono anche dall’Alaska e dall’Oman: lo Stato americano sta studiando la reintroduzione delle imposte sui redditi, dopo 35 anni di esenzione per i residenti, mentre il Sultanato ha già annunciato tagli alla spesa pubblica del 15,6 per cento.
Con il calo dei ricavi si aggrava la crisi di Venezuela e Brasile – Situazione critica per il Venezuela, il cui ministro del Petrolio ha chiesto la convocazione di un vertice tra i Paesi Opec e non Opec in gennaio per discutere nuovamente di azioni che possano dare impulso al prezzo del greggio, a cui è legata a filo doppio la fragile economia di Caracas. Il presidente Nicolas Maduro, che ha appena incassato la prima sconfitta elettorale del partito di governo da diciassette anni a questa parte, è alle prese con un’inflazione che nel 2015 ha raggiunto il 150%, con stime per l’anno in corso che puntano al 200 per cento. Sempre in Sudamerica, il Brasile sta attraversando uno dei momenti più difficili della sua storia recente. Il 2015 si è chiuso in forte recessione (-3,2%), con disoccupazione e inflazione crescenti, moneta svalutata del 35%, una richiesta parlamentare di impeachment per il presidente Dilma Rousseff e lo scandalo corruzione di Petrobras che si trascina ormai da oltre un anno. Il crollo del prezzo del petrolio ha colpito chirurgicamente lo Stato di Rio de Janeiro aggravando una crisi già profonda, alle porte dei prossimi giochi olimpici. La sanità ha già sofferto di numerosi tagli, gli stipendi non vengono pagati da mesi e i pazienti negli ospedali vengono rispediti a casa. E siccome Rio è responsabile del 67% della produzione di greggio (oltre al 40% di gas), per recuperare all’incirca 500 milioni di dollari è stata lanciata una flat tax da 0,69 dollari per ogni barile prodotto. Condizione simile per la Nigeria: il greggio vale il 75% delle entrate statali e quasi il 90% delle esportazioni del Paese. Anche qui si registrano impiegati pubblici senza stipendio e paradossalmente, per il maggior esportatore africano di petrolio, nonché uno dei maggiori del mondo, blackout energetici e mancanza di carburante per la popolazione.
L’asse Russia-Iraq-Iran e la strategia di Teheran - Ma da un punto di vista geopolitico i riflettori sono puntati su quanto sta accadendo in Russia, Iraq e Iran. Mosca, che a novembre ha visto il proprio Prodotto interno lordo contrarsi del 4% anno su anno, fa affidamento per quasi la metà delle sue entrate statali su petrolio e gas. Colpita anche dalle sanzioni economiche, la Federazione, che ha accusato l’Arabia Saudita di destabilizzare il mercato, dovrebbe aver chiuso il 2015 con una contrazione del Pil del 3,8%, con un budget che fissava il prezzo del barile a 50 dollari. Sono solidi i rapporti del presidente Vladimir Putin con Baghdad e Teheran, due protagonisti della cosiddetta Mezzaluna Sciita. Per finanziare la guerra allo Stato Islamico l’Iraq nel 2015 ha spinto sull’acceleratore dell’estrazione del greggio, ma l’atteso surplus di ricavi è stato assorbito dal calo dei prezzi. Ma ora anche l’Iran punta forte sulla produzione dell’oro nero. Il Paese, detentore della quarta riserva mondiale di petrolio, dopo l’accordo dello scorso luglio nel 2016 dovrebbe veder superate le sanzioni ed è pronto a produrre nel giro di una settimana fino a 500mila barili al giorno, per arrivare a quota 1 milione dopo un mese. Questa strategia, accompagnata dalle dichiarazioni di Mehdi Assadli, delegato iraniano all’Opec, che ha svelato un costo di produzione per barile da parte di Teheran inferiore ai 10 dollari al barile, potrebbe incrementare ulteriormente le pressioni sui prezzi e condurre a un muro contro muro ribassista proprio con Ryad.
Lo Stato islamico ha già diversificato - Meno esposto degli altri, al crollo dei prezzi del greggio, sembrerebbe invece lo Stato Islamico. A giugno, con il barile a 60 dollari, l’Is vendeva sul mercato nero a 30 dollari a barile. Ai prezzi odierni, che oscillano intorno ai 35 dollari, lo Stato Islamico vende intorno ai 20 dollari, registrando dunque un calo meno che proporzionale rispetto ai mercati ufficiali. E se fino allo scorso ottobre il commercio dell’oro nero rappresentava la sola fonte di entrate, anche a seguito degli attacchi alle infrastrutture da parte delle potenze occidentali e alla difficoltà di ripristino e manutenzione degli impianti l’Is (o Daesh) ha già provveduto a diversificare le proprie attività. La società di consulenza Ihs ne segnala infatti altre in grande sviluppo: in primis la confisca di terre e proprietà e le estorsioni nei territori sotto controllo (che raccolgono circa il 50% del totale delle entrate), oltre al traffico di droga e reperti archeologici, attività criminali come rapine in banca e riscatti a seguito di sequestri di persona, piccoli business legati a trasporti, elettricità e attività immobiliari e infine donazioni e sovvenzioni. Per non parlare del fatto che in un documento risalente a gennaio 2015, reso noto da Reuters, il consiglio degli ulema che risponde direttamente al sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi dà il via libera al traffico di organi dei prigionieri. Il volume d’affari complessivo di tutte queste attività è stimato attorno agli 80 milioni di dollari al mese, mentre il petrolio varrebbe oggi, percentualmente, meno della metà delle entrate totali.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Non conosco Chicco Mentana, e quindi non non posso influenzare quanto afferma.
La seconda notizia dopo quella del gatto nero di Rignano e le Borse, è quella suò Medio Oriente.
MENTANA APRE SOSTENENDO CHE LA SITUAZIONE E' DIFFICILE E PERICOLOSA.
Vero.
Il servizio evidenzia che la lotta tra sunniti e sciiti dura dalla morte del profeta Maometto.
La solita questione di potere.
Ma voi non avete niente da segnalare in proposito??????????????
Va tutto bene così???????
Ho provato a scorrere qualche pagina all'indietro ma oltre a Maucat, che tra l'altro si è fermato al 18 del mese scorso, nessuno interviene su questo 3D.
Che sia chiaro una cosa, non perché il 3D l'ho aperto io, ma perché la situazione si aggrava sempre più e riguarda il destino di tutti noi, e di tutti i familiari e degli amici che abbiamo alle spalle.
Sicuro che non avete niente da dire oltre a fare i soliti scongiuri:
“Aglio fravaglio fattura ca nun quaglia corna e bicorna caparice e capodaglio ”
Pappagone
Non conosco Chicco Mentana, e quindi non non posso influenzare quanto afferma.
La seconda notizia dopo quella del gatto nero di Rignano e le Borse, è quella suò Medio Oriente.
MENTANA APRE SOSTENENDO CHE LA SITUAZIONE E' DIFFICILE E PERICOLOSA.
Vero.
Il servizio evidenzia che la lotta tra sunniti e sciiti dura dalla morte del profeta Maometto.
La solita questione di potere.
Ma voi non avete niente da segnalare in proposito??????????????
Va tutto bene così???????
Ho provato a scorrere qualche pagina all'indietro ma oltre a Maucat, che tra l'altro si è fermato al 18 del mese scorso, nessuno interviene su questo 3D.
Che sia chiaro una cosa, non perché il 3D l'ho aperto io, ma perché la situazione si aggrava sempre più e riguarda il destino di tutti noi, e di tutti i familiari e degli amici che abbiamo alle spalle.
Sicuro che non avete niente da dire oltre a fare i soliti scongiuri:
“Aglio fravaglio fattura ca nun quaglia corna e bicorna caparice e capodaglio ”
Pappagone
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Libia, inizia la guerra all'Isis: l'Italia guiderà 6mila forze speciali
L'Italia guiderà un contingente di truppe scelte. Ma a fare la guerra saranno i soldati inglesi con l'appoggio di marine e navy seal americani e della Legione straniera
Andrea Indini - Lun, 04/01/2016 - 15:39
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Dopo l'intervento militare in Siria, la coalizione anti Isis si prepara a sbarcare in Libia.
Nel giro di poche settimane un migliaio di soldati inglesi, tra cui 200 operatori della Sas, sbarcheranno per arginare l’avanzata dello Stato islamico.
Come anticipa il Mirror l'operazione coinvolgerà circa seimila soldati, truppe scelte composte da marine americani e soldati della Legione straniera. "La forza sarà guidata dagli italiani - si legge sul quotidiano britannico - il contingente sarà in prevalenza formato da soldati inglesi, francesi ed americani".
Il conflitto contro i tagliagole del Califfato nero si allarga dalla Siria alla Libia.
Dall'Inghilterra, come fa trapelare il sito Difesa Online, viene confermato il ruolo di comando degli italiani il cui ruolo, però, sarà limitato alla semplice coordinazione delle truppe sul campo.
È, infatti, già stato escluso il coinvolgimento in prima linea di soldati italiani.
"I seimila soldati che a breve giungeranno in Libia non svolgeranno compiti di ricognizione (quel ruolo è già stato affidato allo Special Reconnaissance Regiment), ma saranno truppe combattenti al fianco delle milizie lealiste - spiega Franco Iacch su Difesa Online - in un primo momento dovrebbero svolgere compiti di formazione, ma l'impiego in prima linea appare certo considerando il numero schierato".
In LIbia la coalizione anti Isis si troverà a dover contrastare almeno cinquemila miliziani fedeli a Abu Bakr al Baghdadi. Forze che sono in espansione costante perché, dopo i bombardamenti in Siria e in Iraq, i jihadisti del Califfato si stanno spostando in Libia.
Nelle ultime settimane il fronte libico si è fatto sempre più caldo.
A premere per un intervento militare sono soprattutto gli inglesi.
Non a caso la Royal Navy ha già inviato un cacciatorpediniere verso la costa del Nord Africa, mentre la Raf ha già iniziato a programmare i primi raid aerei contro obiettivi dello Stato islamico.
Ma il governo di David Cameron non è certo il solo a volere una nuova guerra.
Anche gli Stati Uniti avrebbero già acconsentito a inviare un manipolo di marine, supportato da alcuni team Navy Seal in ruolo di ricognizione, per combattere i tagliagole dell'Isis.
Anche il presidente Francois Hollande è pronto a dare l'appoggio della Francia mettendo a disposizioni le dieci basi dislocate in Ciad, Nigeria, Mali, Burkina Faso, Senegal, Costa d’Avorio e Gabon.
"Quella schierata in Africa dai francesi non è una forza di peacekeeping - fa notare Iacch - ma un vero e proprio esercito del tutto autosufficiente e addestrato specificatamente nella guerriglia con operatori del Commandement des opérations spéciales e due compagnie della Legione Straniera per un totale di settemila soldati".
Quanto agli obiettivi quello principale è evitare che i miliziani del Califfato mettano le mani su il più grande giacimento petrolifero del Nord Africa: i pozzi di Marsa al Brega. Secondo fonti di intelligence americana, infatti, i jihadisti del Califfato stanno puntano ai centri petroliferi per finanziare la guerra santa.
Dopo aver bloccato l'ingresso di nuovi tagliagole dal fronte siriano, spiegano fonti vicine alla Difesa inglese riportate dal Mirror, la coalizione anti Isis proverà a riconquistare la roccaforte costiera di Sirte.
Libia, inizia la guerra all'Isis: l'Italia guiderà 6mila forze speciali
L'Italia guiderà un contingente di truppe scelte. Ma a fare la guerra saranno i soldati inglesi con l'appoggio di marine e navy seal americani e della Legione straniera
Andrea Indini - Lun, 04/01/2016 - 15:39
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Dopo l'intervento militare in Siria, la coalizione anti Isis si prepara a sbarcare in Libia.
Nel giro di poche settimane un migliaio di soldati inglesi, tra cui 200 operatori della Sas, sbarcheranno per arginare l’avanzata dello Stato islamico.
Come anticipa il Mirror l'operazione coinvolgerà circa seimila soldati, truppe scelte composte da marine americani e soldati della Legione straniera. "La forza sarà guidata dagli italiani - si legge sul quotidiano britannico - il contingente sarà in prevalenza formato da soldati inglesi, francesi ed americani".
Il conflitto contro i tagliagole del Califfato nero si allarga dalla Siria alla Libia.
Dall'Inghilterra, come fa trapelare il sito Difesa Online, viene confermato il ruolo di comando degli italiani il cui ruolo, però, sarà limitato alla semplice coordinazione delle truppe sul campo.
È, infatti, già stato escluso il coinvolgimento in prima linea di soldati italiani.
"I seimila soldati che a breve giungeranno in Libia non svolgeranno compiti di ricognizione (quel ruolo è già stato affidato allo Special Reconnaissance Regiment), ma saranno truppe combattenti al fianco delle milizie lealiste - spiega Franco Iacch su Difesa Online - in un primo momento dovrebbero svolgere compiti di formazione, ma l'impiego in prima linea appare certo considerando il numero schierato".
In LIbia la coalizione anti Isis si troverà a dover contrastare almeno cinquemila miliziani fedeli a Abu Bakr al Baghdadi. Forze che sono in espansione costante perché, dopo i bombardamenti in Siria e in Iraq, i jihadisti del Califfato si stanno spostando in Libia.
Nelle ultime settimane il fronte libico si è fatto sempre più caldo.
A premere per un intervento militare sono soprattutto gli inglesi.
Non a caso la Royal Navy ha già inviato un cacciatorpediniere verso la costa del Nord Africa, mentre la Raf ha già iniziato a programmare i primi raid aerei contro obiettivi dello Stato islamico.
Ma il governo di David Cameron non è certo il solo a volere una nuova guerra.
Anche gli Stati Uniti avrebbero già acconsentito a inviare un manipolo di marine, supportato da alcuni team Navy Seal in ruolo di ricognizione, per combattere i tagliagole dell'Isis.
Anche il presidente Francois Hollande è pronto a dare l'appoggio della Francia mettendo a disposizioni le dieci basi dislocate in Ciad, Nigeria, Mali, Burkina Faso, Senegal, Costa d’Avorio e Gabon.
"Quella schierata in Africa dai francesi non è una forza di peacekeeping - fa notare Iacch - ma un vero e proprio esercito del tutto autosufficiente e addestrato specificatamente nella guerriglia con operatori del Commandement des opérations spéciales e due compagnie della Legione Straniera per un totale di settemila soldati".
Quanto agli obiettivi quello principale è evitare che i miliziani del Califfato mettano le mani su il più grande giacimento petrolifero del Nord Africa: i pozzi di Marsa al Brega. Secondo fonti di intelligence americana, infatti, i jihadisti del Califfato stanno puntano ai centri petroliferi per finanziare la guerra santa.
Dopo aver bloccato l'ingresso di nuovi tagliagole dal fronte siriano, spiegano fonti vicine alla Difesa inglese riportate dal Mirror, la coalizione anti Isis proverà a riconquistare la roccaforte costiera di Sirte.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Imam ucciso, Arabia Saudita sospende i voli con l’Iran. Emirati, Bahrein e Sudan interrompono le relazioni con Teheran
Mondo
Dopo gli attacchi alle sedi diplomatiche saudite nella capitale iraniana e a Mashad, non si placa la rabbia dell'Islam sciita causata dalla messa a morte del religioso: tre moschee sunnite sono state attaccate nella provincia irachena di Babil, due le vittime. La Russia, intanto, si dice pronta ad agire come intermediaria per contribuire alla soluzione della tensione. Lega Araba: "Domenica riunione d'urgenza"
di F. Q. | 4 gennaio 2016
Commenti (308)
L’escalation di tensione tra Riad e Teheran sembra non avere fine.
Dopo aver interrotto i rapporti diplomatici, l’Arabia Saudita ha sospeso tutti i voli da e verso l’Iran, mettendo fine anche alle relazioni commerciali e vietando ai suoi cittadini di viaggiare nella Repubblica islamica.
Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, affermando che Nimr Al-Nimr, l’imam sciita messo a morte dalle autorità saudite insieme ad altri 46 persone, era un terrorista coinvolto in attacchi e che Riad dovrebbe essere elogiata per l’esecuzione, non criticata.
Il ministro ha precisato che sarà tuttavia consentito ai pellegrini iraniani visitare la Mecca e Medina. Prima che le relazioni tra i due Paesi possano essere ripristinate, ha aggiunto al-Jubeir, Teheran dovrà rispettare il diritto internazionale.
Contro Teheran si muove anche la Lega Araba, che ha deciso di convocare una riunione d’emergenza.
Lo ha annunciato il vice capo della Lega, Ahmed Ben Helli, spiegando che la riunione è stata richiesta dai sauditi, si svolgerà domenica e ha l’obiettivo di “condannare le interferenze iraniane negli affari arabi”.
Gli Stati alleati del regime di Riad, intanto, fanno il vuoto attorno a Teheran.
Il Bahrein ha annunciato di aver interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran.
La tv panaraba Al Arabiya ha precisato che il Bahrein ha dato 48 ore di tempo ai diplomatici iraniani per lasciare il Paese.
Anche gli Emirati Arabi Uniti ridurranno le relazioni diplomatiche con l’Iran: lo rende noto l’agenzia di stampa emiratina.
Il Sudan ha deciso di espellere l’ambasciatore iraniano e di richiamare in patria il suo rappresentante diplomatico a Teheran, in solidarietà con l’Arabia Saudita.
Il capo dell’ufficio stampa del presidente sudanese Omar Al Bashir ha avuto una conversazione telefonica con Mohammad bin Salman al-Saud, vice principe ereditario saudita, secondo vice primo ministro e ministro della Difesa, nella quale lo ha informato della decisione di Khartoum.
La Russia si dice pronta ad agire come intermediaria per contribuire alla soluzione della tensione.
Lo ha annunciato un funzionario del ministero degli Esteri di Mosca, citato dalle agenzie russe: “In quanto amici, se ci fosse richiesto, saremmo pronti a svolgere un ruolo di mediazione per risolvere i contrasti esistenti e quelli nuovi che dovessero nascere tra i due paesi”, ha sottolineato la fonte.
Per Teheran risponde procuratore generale iraniano, Ebrahim Raisì: “L’Arabia Saudita è diventata un tumore canceroso nella regione e nel mondo islamico ed è la fonte che alimenta di più il movimento takfiri (radicali sunniti, ndr)”, ha spiegato Raisì citato dall’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna.
Per questo, ha continuato, l’Iran, in linea con la dichiarazione del leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, assicura che “il martirio dell’imam Al Nimr farà cadere il governo di Al Saud (come è definita la famiglia reale saudita, ndr)”.
In mattinata Teheran aveva già puntato il dito contro Riad.
“Sembra che l’Arabia Saudita leghi la sua sopravvivenza alla continuazione di tensioni e conflitti, e provi a risolvere i suoi problemi interni creandone nella regione”, aveva detto il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Jaberi Ansari, rispondendo alla decisione di Riad di chiudere le relazioni con Teheran dopo l’assalto alla sua ambasciata in Iran.
“Riad ha usato la questione (dell’esecuzione dell’imam, ndr) – ha detto Ansari – come pretesto per accrescere le tensioni e i conflitti”. Tensioni esterni, appunto, “per esempio con l’imporre la sanguinosa guerra nello Yemen e creando instabilità in molti Paesi”.
L’ira dell’Islam sciita nella regione non accenna a placarsi.
Fonti della sicurezza locale hanno reso noto che tre moschee sunnite sono state attaccate nella provincia irachena di Babil.
Una bomba è esplosa dopo la mezzanotte nella moschea sunnita di Ammar bin Yasser nel quartiere di Bakerli a Hilla, circa 80 km a sud di Baghdad, uccidendo una guardia.
“Dopo che abbiamo sentito un’esplosione siamo andati nel luogo e abbiamo trovato un ordigno esplosivo rudimentale all’interno della moschea – ha detto un funzionario di polizia – gli abitanti del luogo hanno detto che un gruppo di persone con indosso uniformi militari hanno condotto questa operazione”.
Nell’esplosione sono anche state danneggiate una decina di case vicine alla moschea.
Una seconda esplosione è stata poi registrata nella moschea sunnita di Al-Fateh nel villaggio di Sinjar, alla periferia di Hilla.
Anche in questo caso sono entrati in azione “tre o quattro uomini in uniforme militare”, ha detto la polizia, che hanno “approfittato del freddo, non c’era nessuno in giro”. Una fonte medica ha riferito che tre persone sono rimaste ferite nelle esplosioni.
Un edificio religioso è stato colpito anche a Iskandriyah, dove un muezzin sarebbe stato ucciso nella sua abitazione.
Le forze irachene sono intervenute e hanno aumentato le misure di sicurezza, nel timore di rappresaglie tra le comunità sciite e sunnite dell’area. Dopo l’esecuzione del religioso sciita Nimr al-Nimr, le autorità e i politici sciiti iracheni hanno condannato con forza e accusato Riad di voler alimentare le tensioni settarie nella regione.
E’ tornato a parlare anche Mohammed Al Nimr, fratello dell’imam ucciso, che ha condannato gli attacchi sferrati contro le missioni diplomatiche saudite in Iran. Intervenendo in inglese su Twitter, ha scritto: “Apprezziamo il vostro amore per il martire #Sheikh_AlNimr che vive nei nostri cuori, ma noi rifiutiamo gli attacchi contro le ambasciate #Saudite in #Iran o altrove”.
Il corpo dell’imam non è stato consegnato alla famiglia per la sepoltura, ha fatto sapere il fratello, esprimendo l’auspicio che “i funzionari (sauditi, ndr) rispondano al nostro desiderio legittimo di ridarci presto il corpo dello sheikh martire in modo da poterlo seppellire nella sua città natale Awamiya“.
Imam ucciso, Arabia Saudita sospende i voli con l’Iran. Emirati, Bahrein e Sudan interrompono le relazioni con Teheran
Mondo
Dopo gli attacchi alle sedi diplomatiche saudite nella capitale iraniana e a Mashad, non si placa la rabbia dell'Islam sciita causata dalla messa a morte del religioso: tre moschee sunnite sono state attaccate nella provincia irachena di Babil, due le vittime. La Russia, intanto, si dice pronta ad agire come intermediaria per contribuire alla soluzione della tensione. Lega Araba: "Domenica riunione d'urgenza"
di F. Q. | 4 gennaio 2016
Commenti (308)
L’escalation di tensione tra Riad e Teheran sembra non avere fine.
Dopo aver interrotto i rapporti diplomatici, l’Arabia Saudita ha sospeso tutti i voli da e verso l’Iran, mettendo fine anche alle relazioni commerciali e vietando ai suoi cittadini di viaggiare nella Repubblica islamica.
Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, affermando che Nimr Al-Nimr, l’imam sciita messo a morte dalle autorità saudite insieme ad altri 46 persone, era un terrorista coinvolto in attacchi e che Riad dovrebbe essere elogiata per l’esecuzione, non criticata.
Il ministro ha precisato che sarà tuttavia consentito ai pellegrini iraniani visitare la Mecca e Medina. Prima che le relazioni tra i due Paesi possano essere ripristinate, ha aggiunto al-Jubeir, Teheran dovrà rispettare il diritto internazionale.
Contro Teheran si muove anche la Lega Araba, che ha deciso di convocare una riunione d’emergenza.
Lo ha annunciato il vice capo della Lega, Ahmed Ben Helli, spiegando che la riunione è stata richiesta dai sauditi, si svolgerà domenica e ha l’obiettivo di “condannare le interferenze iraniane negli affari arabi”.
Gli Stati alleati del regime di Riad, intanto, fanno il vuoto attorno a Teheran.
Il Bahrein ha annunciato di aver interrotto le relazioni diplomatiche con l’Iran.
La tv panaraba Al Arabiya ha precisato che il Bahrein ha dato 48 ore di tempo ai diplomatici iraniani per lasciare il Paese.
Anche gli Emirati Arabi Uniti ridurranno le relazioni diplomatiche con l’Iran: lo rende noto l’agenzia di stampa emiratina.
Il Sudan ha deciso di espellere l’ambasciatore iraniano e di richiamare in patria il suo rappresentante diplomatico a Teheran, in solidarietà con l’Arabia Saudita.
Il capo dell’ufficio stampa del presidente sudanese Omar Al Bashir ha avuto una conversazione telefonica con Mohammad bin Salman al-Saud, vice principe ereditario saudita, secondo vice primo ministro e ministro della Difesa, nella quale lo ha informato della decisione di Khartoum.
La Russia si dice pronta ad agire come intermediaria per contribuire alla soluzione della tensione.
Lo ha annunciato un funzionario del ministero degli Esteri di Mosca, citato dalle agenzie russe: “In quanto amici, se ci fosse richiesto, saremmo pronti a svolgere un ruolo di mediazione per risolvere i contrasti esistenti e quelli nuovi che dovessero nascere tra i due paesi”, ha sottolineato la fonte.
Per Teheran risponde procuratore generale iraniano, Ebrahim Raisì: “L’Arabia Saudita è diventata un tumore canceroso nella regione e nel mondo islamico ed è la fonte che alimenta di più il movimento takfiri (radicali sunniti, ndr)”, ha spiegato Raisì citato dall’agenzia di stampa ufficiale iraniana Irna.
Per questo, ha continuato, l’Iran, in linea con la dichiarazione del leader supremo, l’Ayatollah Ali Khamenei, assicura che “il martirio dell’imam Al Nimr farà cadere il governo di Al Saud (come è definita la famiglia reale saudita, ndr)”.
In mattinata Teheran aveva già puntato il dito contro Riad.
“Sembra che l’Arabia Saudita leghi la sua sopravvivenza alla continuazione di tensioni e conflitti, e provi a risolvere i suoi problemi interni creandone nella regione”, aveva detto il portavoce del ministro degli Esteri iraniano Jaberi Ansari, rispondendo alla decisione di Riad di chiudere le relazioni con Teheran dopo l’assalto alla sua ambasciata in Iran.
“Riad ha usato la questione (dell’esecuzione dell’imam, ndr) – ha detto Ansari – come pretesto per accrescere le tensioni e i conflitti”. Tensioni esterni, appunto, “per esempio con l’imporre la sanguinosa guerra nello Yemen e creando instabilità in molti Paesi”.
L’ira dell’Islam sciita nella regione non accenna a placarsi.
Fonti della sicurezza locale hanno reso noto che tre moschee sunnite sono state attaccate nella provincia irachena di Babil.
Una bomba è esplosa dopo la mezzanotte nella moschea sunnita di Ammar bin Yasser nel quartiere di Bakerli a Hilla, circa 80 km a sud di Baghdad, uccidendo una guardia.
“Dopo che abbiamo sentito un’esplosione siamo andati nel luogo e abbiamo trovato un ordigno esplosivo rudimentale all’interno della moschea – ha detto un funzionario di polizia – gli abitanti del luogo hanno detto che un gruppo di persone con indosso uniformi militari hanno condotto questa operazione”.
Nell’esplosione sono anche state danneggiate una decina di case vicine alla moschea.
Una seconda esplosione è stata poi registrata nella moschea sunnita di Al-Fateh nel villaggio di Sinjar, alla periferia di Hilla.
Anche in questo caso sono entrati in azione “tre o quattro uomini in uniforme militare”, ha detto la polizia, che hanno “approfittato del freddo, non c’era nessuno in giro”. Una fonte medica ha riferito che tre persone sono rimaste ferite nelle esplosioni.
Un edificio religioso è stato colpito anche a Iskandriyah, dove un muezzin sarebbe stato ucciso nella sua abitazione.
Le forze irachene sono intervenute e hanno aumentato le misure di sicurezza, nel timore di rappresaglie tra le comunità sciite e sunnite dell’area. Dopo l’esecuzione del religioso sciita Nimr al-Nimr, le autorità e i politici sciiti iracheni hanno condannato con forza e accusato Riad di voler alimentare le tensioni settarie nella regione.
E’ tornato a parlare anche Mohammed Al Nimr, fratello dell’imam ucciso, che ha condannato gli attacchi sferrati contro le missioni diplomatiche saudite in Iran. Intervenendo in inglese su Twitter, ha scritto: “Apprezziamo il vostro amore per il martire #Sheikh_AlNimr che vive nei nostri cuori, ma noi rifiutiamo gli attacchi contro le ambasciate #Saudite in #Iran o altrove”.
Il corpo dell’imam non è stato consegnato alla famiglia per la sepoltura, ha fatto sapere il fratello, esprimendo l’auspicio che “i funzionari (sauditi, ndr) rispondano al nostro desiderio legittimo di ridarci presto il corpo dello sheikh martire in modo da poterlo seppellire nella sua città natale Awamiya“.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
La vox populi per sondare cosa ne pensano gli italiani in queste ore difficili diventa più utile che in passato.
Laura Perrini • 42 minuti fa
Se le cose peggiorano, mi terrorizza l'idea che gli Americani vogliano intervenire e che, come al solito, coinvolgano la colonia Italia. Ma che idea è ficcarci in una guerra fratricida fra sunniti e sciiti che dura dalla morte di Maometto?
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camillobenso Laura Perrini • alcuni secondi fa Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
Ma che idea è ficcarci in una guerra fratricida fra sunniti e sciiti che dura dalla morte di
Maometto?
Vero.
Ma quando fai parte di un'alleanza non puoi sottrarti.
il problema è anche che l'Onu non conta più niente come a suo tempo la Società delle Nazioni.
Non c'è un luogo dove dirimere queste questioni.
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marione • 43 minuti fa
La mossa dei sauditi è pericolosissima e molto incauta, e serve solo a sperare che gli iraniani facciano un passo falso e cosi' l'occidente riveda la fine delle sanzioni contro Teheran e soprattutto l'embargo per il loro petrolio, che gli iraniani si preparano ad esportare, entrando quindi in competizione con i sauditi stessi...
Se gli iraniani riusciranno a mantenere la calma a non fare gesti sconsiderati e frettolosi ne usciranno vincitori, ed a rimetterci alla fine saranno i sauditi e non loro...
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pierluigi • 43 minuti fa
Sia il Telegraph
http://www.telegraph.co.uk/new...
che il Financial Times
http://www.ft.com/cms/s/0/e820...
paiono "scaricare" l'Arabia Saudita, visto anche, forse, lo scarso consenso suscitato tra i paesi sunniti, pochi dei quali paiono ansiosi di lanciarsi nella crociata contro Teheran.
L'occidente continua a tirare sassi e a nascondere la mano, ma continua anche ad accumulare i rottami dei paesi lanciati contro la Russia e i suoi alleati, e poi abbandonati senza avere il coraggio di sostenerli. L'Ucraina, la Turchia, l'Arabia Saudita, (e lo stato islamico), sono i cadaveri di una politica occidentale aleatoria, fatta di incertezze e "vorrei ma non posso", di molte retromarce e litigi interni; i relitti di una "guerra" pensata per isolare la Russia ma che ha finito per fare della Russia il protagonista assoluto della scena mondiale, e sta per di più frantumando lo stesso occidente ed aggravandone la già precaria situazione con le voragini economiche dei paesi "bruciati" dallo scontro.
3
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Il contadino pierluigi • 7 minuti fa
Se Putin, da come ha iniziato la "partita" e la sta conducendo, ruiscirà a non far pescare il Jolly, a questa marmaglia di BARI, forse anche lui subirà ancora conseguenze - Vedi l'intrigo ucraino- ed il Medio Oriente potrà conoscere anche giornate peggiori di queste, ma i suoi sforzi e quelli dei suoi alleati possono avere la meglio sulle canaglie che non si rassegnano alla sconfitta.
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Laura Perrini • 42 minuti fa
Se le cose peggiorano, mi terrorizza l'idea che gli Americani vogliano intervenire e che, come al solito, coinvolgano la colonia Italia. Ma che idea è ficcarci in una guerra fratricida fra sunniti e sciiti che dura dalla morte di Maometto?
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camillobenso Laura Perrini • alcuni secondi fa Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
Ma che idea è ficcarci in una guerra fratricida fra sunniti e sciiti che dura dalla morte di
Maometto?
Vero.
Ma quando fai parte di un'alleanza non puoi sottrarti.
il problema è anche che l'Onu non conta più niente come a suo tempo la Società delle Nazioni.
Non c'è un luogo dove dirimere queste questioni.
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marione • 43 minuti fa
La mossa dei sauditi è pericolosissima e molto incauta, e serve solo a sperare che gli iraniani facciano un passo falso e cosi' l'occidente riveda la fine delle sanzioni contro Teheran e soprattutto l'embargo per il loro petrolio, che gli iraniani si preparano ad esportare, entrando quindi in competizione con i sauditi stessi...
Se gli iraniani riusciranno a mantenere la calma a non fare gesti sconsiderati e frettolosi ne usciranno vincitori, ed a rimetterci alla fine saranno i sauditi e non loro...
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pierluigi • 43 minuti fa
Sia il Telegraph
http://www.telegraph.co.uk/new...
che il Financial Times
http://www.ft.com/cms/s/0/e820...
paiono "scaricare" l'Arabia Saudita, visto anche, forse, lo scarso consenso suscitato tra i paesi sunniti, pochi dei quali paiono ansiosi di lanciarsi nella crociata contro Teheran.
L'occidente continua a tirare sassi e a nascondere la mano, ma continua anche ad accumulare i rottami dei paesi lanciati contro la Russia e i suoi alleati, e poi abbandonati senza avere il coraggio di sostenerli. L'Ucraina, la Turchia, l'Arabia Saudita, (e lo stato islamico), sono i cadaveri di una politica occidentale aleatoria, fatta di incertezze e "vorrei ma non posso", di molte retromarce e litigi interni; i relitti di una "guerra" pensata per isolare la Russia ma che ha finito per fare della Russia il protagonista assoluto della scena mondiale, e sta per di più frantumando lo stesso occidente ed aggravandone la già precaria situazione con le voragini economiche dei paesi "bruciati" dallo scontro.
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Il contadino pierluigi • 7 minuti fa
Se Putin, da come ha iniziato la "partita" e la sta conducendo, ruiscirà a non far pescare il Jolly, a questa marmaglia di BARI, forse anche lui subirà ancora conseguenze - Vedi l'intrigo ucraino- ed il Medio Oriente potrà conoscere anche giornate peggiori di queste, ma i suoi sforzi e quelli dei suoi alleati possono avere la meglio sulle canaglie che non si rassegnano alla sconfitta.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Colpire al-Nimr per educare l’Occidente: l’Arabia Saudita contro l’Iran
http://www.limesonline.com/colpire-al-n ... 5?prv=true
Colpire al-Nimr per educare l’Occidente: l’Arabia Saudita contro l’Iran
http://www.limesonline.com/colpire-al-n ... 5?prv=true
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
La domanda non posso non farvela:
QUAL'E' IL PUNTO LIMITE DI TOLLERANZA DELLA SOCIETA' ITALIANA, DI QUELLA EUROPEA E DI QUELLA MONDIALE, ALL'ACCUMULARSI IN SEQUENZA DI QUESTI ACCADIMENTI???????????????????
1) GERMANIA SOTTO CHOC
Colonia, molestie di massa a Capodanno
«Ci accerchiavano, un incubo»|foto|video
http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 599e.shtml
2) Stupro di massa in Germania: mille immigrati violentano 80 donne
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cap ... 10201.html
3) Nell'ex aeroporto di Hitler
i rifugiati vivono nel degrado
Alessandra Benignetti
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rif ... 10342.html
4) La Turchia prende i soldi Ue
per lasciare morire i migranti
Sergio Rame
http://www.ilgiornale.it/news/turchia-p ... 10361.html
5) Macedonia: i migranti tra i campi innevati passano il confine con la Serbia
http://www.corriere.it/foto-gallery/est ... 599e.shtml
6) Turchia: a riva i corpi di 34 migranti, tra loro anche sette bambini
Neonato di 4 mesi muore di freddo
I cadaveri rinvenuti in due diverse spiagge nel distretto di Ayvalik, sulla costa turca sul mar Egeo. Erano diretti all’isola di Lesbo, il primo avamposto del territorio europeo
di Redazione Online
http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 599e.shtml
La domanda non posso non farvela:
QUAL'E' IL PUNTO LIMITE DI TOLLERANZA DELLA SOCIETA' ITALIANA, DI QUELLA EUROPEA E DI QUELLA MONDIALE, ALL'ACCUMULARSI IN SEQUENZA DI QUESTI ACCADIMENTI???????????????????
1) GERMANIA SOTTO CHOC
Colonia, molestie di massa a Capodanno
«Ci accerchiavano, un incubo»|foto|video
http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 599e.shtml
2) Stupro di massa in Germania: mille immigrati violentano 80 donne
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cap ... 10201.html
3) Nell'ex aeroporto di Hitler
i rifugiati vivono nel degrado
Alessandra Benignetti
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/rif ... 10342.html
4) La Turchia prende i soldi Ue
per lasciare morire i migranti
Sergio Rame
http://www.ilgiornale.it/news/turchia-p ... 10361.html
5) Macedonia: i migranti tra i campi innevati passano il confine con la Serbia
http://www.corriere.it/foto-gallery/est ... 599e.shtml
6) Turchia: a riva i corpi di 34 migranti, tra loro anche sette bambini
Neonato di 4 mesi muore di freddo
I cadaveri rinvenuti in due diverse spiagge nel distretto di Ayvalik, sulla costa turca sul mar Egeo. Erano diretti all’isola di Lesbo, il primo avamposto del territorio europeo
di Redazione Online
http://www.corriere.it/esteri/16_gennai ... 599e.shtml
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I GIORNI DEL KAOS
Mondo
Imam ucciso, questa può essere la goccia che fa traboccare il vaso
di Enrico Verga | 5 gennaio 2016
Commenti (2)
Il regno saudita ha deciso di condannare a morte 47 detenuti. Nella lista dei condannati vi era anche un clerico sciita, tale Nimr Al-Nimr, persona nota in tutto il mondo sciita. A Teheran la folla ha preso d’assalto l’ambasciata saudita, solo l’azione della polizia ha evitato che la popolazione inveisse ulteriormente aggravando il caso diplomatico. Questa crisi, che sembra una cosa “tutta medio-orientale”, può essere la famosa goccia che fa traboccare il vaso.
L’Arabia Saudita e la repubblica iraniana sono già in guerra. I campi di battaglia sono noti: in Yemen dove la fazione Al Houti sciita è opposta al governo filo saudita. In Siria il governo di Assad deve la sua resistenza e la sua forza sul campo alle truppe iraniane (e recente al supporto russo). Sul fronte Sunnita le differenti milizie ribelli, finanziate dall’Arabia Saudita, hanno dimostrato come la loro azione si riduca a un continua guerriglia sanguinaria.
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Come si schiera il mondo? La Russia si è offerta di mediare la crisi. Il gioco del mediatore in medioriente è in mano agli americani, di solito. Con questa “gentile offerta” la Russia tenta di proiettarsi in tutta la penisola arabica. Una posizione di per sé, quella russa, non proprio neutrale. I russi sostengono l’Iran: in Siria al loro fianco e in generale hanno sempre fatto scudo a ogni tentativo, in sede Onu, di attaccare la repubblica sciita. Gli iraniani han appena ricevuto anche i missili S300 dai russi (forse non il modello nuovo, piuttosto “ la versione dell’anno scorso” del tipo “in Russia stiamo svuotando i magazzini dell’invenduto”).
La Cina è pratica: i cinesi vogliono energia a basso prezzo. Durante l’assedio commerciale che l’occidente ha mosso contro l’Iran (che sta per finire) la Cina è stato il maggiore partner commerciale della repubblica comprando ogni prodotto energetico. La Cina è anche un valido cliente del regno saudita. È quindi plausibile che il dragone resterà un compratore neutrale, beneficiando del prezzo del petrolio in crollo.
Gli Usa in tutto questo son titubanti. Obama ha aperto alla repubblica iraniana, e questo ovviamente ha terrorizzato i Saud. L’alleato storico (e in ultima istanza il protettore) americano sembra in procinto di cambiare il gioco. Un esempio per tutti: alcuni mesi fa un piccolo incidente tra Iran e Usa (qualche missile iraniano sparato in prossimità di una nave da guerra Usa) è passato inosservato. Solo in seguito il ministero della difesa Usa ha emesso un flebile comunicato che suonava molto stile “ma so’ ragazzi, stavano a giocà”. In passato sarebbe stato motivo di urla e strepiti su ogni media occidentale, sintomo che gli interessi economici americani hanno fatto digerire ai “falchi” della politica estera Usa che “ogni tanto qualche malinteso è accettabile, basta che facciamo soldi”.
In verità i problemi dell’Arabia Saudita sono prima di tutto economici. Il prezzo del petrolio è crollato. I Saud, un po’ per anticipare la guerra economica con l’Iran, un po’ per spalleggiare gli Usa e colpire gli interessi energetici russi, hanno tenuto la testa alta scegliendo una strategia che avrebbe fatto crollare il prezzo dell’oro nero.
Il supporto che il regno ha scelto di dare a tutte le frange, ribelli o governative, che sostenevano la filosofia wahabita ha imposto una politica regionale di ambasciatore del sunnismo rigido. L’essersi immischiato durante l’epoca delle primavere arabe negli affari interni di differenti “vicini di casa” dallo Yemen, Oman fino al Bahrain (dove vennero inviate truppe saudite per sopprimere nella violenza le istanze democratiche della popolazione) ha esposto il fianco del regno alle critiche da parte di molte nazioni occidentali.
La percezione che i regnanti sauditi sembrano voler dare è che sono forti, intoccabili e sicuri della loro posizione di potere. La scelta quindi di queste esecuzioni, in particolare del clerico sciita, appare come un segnale chiaro che i Saud non temono confronti.
Va detto che con questa mossa la famiglia regnante sembra voler mettere gli stessi Usa di fronte a una sorta di scelta: o con noi (e quindi ci supporti) o contro di noi (e quindi non ci supporti e dai ragione agli iraniani).
Ultimo ma non meno importante l’Iran.
La posizione religiosa dell’ayatollah Khamenei sciita è chiara e rappresenta la visione mondiale sciita: Khamenei non può permettersi esitazioni e la sua condanna morale è senza dubbio una posizione forte. Più morbida la posizioni politiche: Rohani è cosciente che non può concedersi il lusso di apparire troppo forte contro il suo vicino. In un momento delicato come questo, dove nel 2016 negli Usa ci saranno le elezioni, gli interessi economici americani e iraniani sono molto vicini, una posizione oltranzista e violenta (dal punto di vista politico) iraniana potrebbe offrire lo spunto ai falchi americani per vincere le elezioni (potenzialmente i repubblicani) usando ancora il vetusto “bomb bomb iran” del tipo “guardate quanto son aggressivi gli iraniani”. La prossima mossa ora spetta a Obama: fare da mediatore, tentando di rubare la scena a Putin, o restare a guardare.
@enricoverga
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2349343/
Mondo
Imam ucciso, questa può essere la goccia che fa traboccare il vaso
di Enrico Verga | 5 gennaio 2016
Commenti (2)
Il regno saudita ha deciso di condannare a morte 47 detenuti. Nella lista dei condannati vi era anche un clerico sciita, tale Nimr Al-Nimr, persona nota in tutto il mondo sciita. A Teheran la folla ha preso d’assalto l’ambasciata saudita, solo l’azione della polizia ha evitato che la popolazione inveisse ulteriormente aggravando il caso diplomatico. Questa crisi, che sembra una cosa “tutta medio-orientale”, può essere la famosa goccia che fa traboccare il vaso.
L’Arabia Saudita e la repubblica iraniana sono già in guerra. I campi di battaglia sono noti: in Yemen dove la fazione Al Houti sciita è opposta al governo filo saudita. In Siria il governo di Assad deve la sua resistenza e la sua forza sul campo alle truppe iraniane (e recente al supporto russo). Sul fronte Sunnita le differenti milizie ribelli, finanziate dall’Arabia Saudita, hanno dimostrato come la loro azione si riduca a un continua guerriglia sanguinaria.
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Come si schiera il mondo? La Russia si è offerta di mediare la crisi. Il gioco del mediatore in medioriente è in mano agli americani, di solito. Con questa “gentile offerta” la Russia tenta di proiettarsi in tutta la penisola arabica. Una posizione di per sé, quella russa, non proprio neutrale. I russi sostengono l’Iran: in Siria al loro fianco e in generale hanno sempre fatto scudo a ogni tentativo, in sede Onu, di attaccare la repubblica sciita. Gli iraniani han appena ricevuto anche i missili S300 dai russi (forse non il modello nuovo, piuttosto “ la versione dell’anno scorso” del tipo “in Russia stiamo svuotando i magazzini dell’invenduto”).
La Cina è pratica: i cinesi vogliono energia a basso prezzo. Durante l’assedio commerciale che l’occidente ha mosso contro l’Iran (che sta per finire) la Cina è stato il maggiore partner commerciale della repubblica comprando ogni prodotto energetico. La Cina è anche un valido cliente del regno saudita. È quindi plausibile che il dragone resterà un compratore neutrale, beneficiando del prezzo del petrolio in crollo.
Gli Usa in tutto questo son titubanti. Obama ha aperto alla repubblica iraniana, e questo ovviamente ha terrorizzato i Saud. L’alleato storico (e in ultima istanza il protettore) americano sembra in procinto di cambiare il gioco. Un esempio per tutti: alcuni mesi fa un piccolo incidente tra Iran e Usa (qualche missile iraniano sparato in prossimità di una nave da guerra Usa) è passato inosservato. Solo in seguito il ministero della difesa Usa ha emesso un flebile comunicato che suonava molto stile “ma so’ ragazzi, stavano a giocà”. In passato sarebbe stato motivo di urla e strepiti su ogni media occidentale, sintomo che gli interessi economici americani hanno fatto digerire ai “falchi” della politica estera Usa che “ogni tanto qualche malinteso è accettabile, basta che facciamo soldi”.
In verità i problemi dell’Arabia Saudita sono prima di tutto economici. Il prezzo del petrolio è crollato. I Saud, un po’ per anticipare la guerra economica con l’Iran, un po’ per spalleggiare gli Usa e colpire gli interessi energetici russi, hanno tenuto la testa alta scegliendo una strategia che avrebbe fatto crollare il prezzo dell’oro nero.
Il supporto che il regno ha scelto di dare a tutte le frange, ribelli o governative, che sostenevano la filosofia wahabita ha imposto una politica regionale di ambasciatore del sunnismo rigido. L’essersi immischiato durante l’epoca delle primavere arabe negli affari interni di differenti “vicini di casa” dallo Yemen, Oman fino al Bahrain (dove vennero inviate truppe saudite per sopprimere nella violenza le istanze democratiche della popolazione) ha esposto il fianco del regno alle critiche da parte di molte nazioni occidentali.
La percezione che i regnanti sauditi sembrano voler dare è che sono forti, intoccabili e sicuri della loro posizione di potere. La scelta quindi di queste esecuzioni, in particolare del clerico sciita, appare come un segnale chiaro che i Saud non temono confronti.
Va detto che con questa mossa la famiglia regnante sembra voler mettere gli stessi Usa di fronte a una sorta di scelta: o con noi (e quindi ci supporti) o contro di noi (e quindi non ci supporti e dai ragione agli iraniani).
Ultimo ma non meno importante l’Iran.
La posizione religiosa dell’ayatollah Khamenei sciita è chiara e rappresenta la visione mondiale sciita: Khamenei non può permettersi esitazioni e la sua condanna morale è senza dubbio una posizione forte. Più morbida la posizioni politiche: Rohani è cosciente che non può concedersi il lusso di apparire troppo forte contro il suo vicino. In un momento delicato come questo, dove nel 2016 negli Usa ci saranno le elezioni, gli interessi economici americani e iraniani sono molto vicini, una posizione oltranzista e violenta (dal punto di vista politico) iraniana potrebbe offrire lo spunto ai falchi americani per vincere le elezioni (potenzialmente i repubblicani) usando ancora il vetusto “bomb bomb iran” del tipo “guardate quanto son aggressivi gli iraniani”. La prossima mossa ora spetta a Obama: fare da mediatore, tentando di rubare la scena a Putin, o restare a guardare.
@enricoverga
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2349343/
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