Renzi
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Re: Renzi
LA GUERRA A TRE - SENZA ESCLUSIONE DI COLPI
"Banca Etruria ha finanziato la fondazione di Renzi"
L'accusa arriva da Giovanni Donzelli, capogruppo di FdI in Regione Toscana secondo cui la fondazione Open che organizza la Leopolda avrebbe ricevuto 15mila euro da una società legata a Banca Etruria
Francesco Curridori - Mer, 20/01/2016 - 18:04
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"Banca Etruria ha finanziato la Fondazione Open che sostiene Matteo Renzi e che, fra le altre cose, organizza ogni anno la convention della Leopolda".
L'accusa arriva da Giovanni Donzelli, capogruppo di Fratelli d'Italia al Consiglio regionale della Toscana, secondo il quale il finanziamento di 15mila euro sarebbe arrivato tramite la società 'Intesa Aretina Scarl', di cui è socia Banca Etruria.
"La Fondazione Open - spiega Donzelli - è presieduta da Alberto Bianchi, avvocato di Renzi, ed il consiglio direttivo è composto da Maria Elena Boschi, il cui padre è stato vicepresidente dell'istituto di credito, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, e Marco Carrai, che il Presidente del Consiglio sta proprio in questi giorni pensando di nominare a responsabile di una struttura per la cybersecurity". "Il finanziamento è pubblicato sul sito della Fondazione Open - sottolinea Donzelli - ed è gravissimo che il Presidente del Consiglio abbia preso l'iniziativa del 'salva-banche' dopo aver ricevuto quei soldi dall'istituto di credito che maggiormente ne ha beneficiato. Come abbiamo sempre sostenuto il conflitto d'interessi non coinvolge soltanto Maria Elena Boschi, ma lo stesso Matteo Renzi".
Secondo l'esponente dell'opposizione: "il salvataggio di Banca Etruria è stata una cambiale decisa dal governo ma pagata con i soldi dei risparmiatori truffati, che hanno così perso i loro investimenti" e quindi, dopo la scoperta dei legami tra Rosi e Tiziano padre, "adesso risulta chiaro che il Presidente del Consiglio non ha più alcuna credibilità per mantenere il suo incarico".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 15330.html
"Banca Etruria ha finanziato la fondazione di Renzi"
L'accusa arriva da Giovanni Donzelli, capogruppo di FdI in Regione Toscana secondo cui la fondazione Open che organizza la Leopolda avrebbe ricevuto 15mila euro da una società legata a Banca Etruria
Francesco Curridori - Mer, 20/01/2016 - 18:04
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"Banca Etruria ha finanziato la Fondazione Open che sostiene Matteo Renzi e che, fra le altre cose, organizza ogni anno la convention della Leopolda".
L'accusa arriva da Giovanni Donzelli, capogruppo di Fratelli d'Italia al Consiglio regionale della Toscana, secondo il quale il finanziamento di 15mila euro sarebbe arrivato tramite la società 'Intesa Aretina Scarl', di cui è socia Banca Etruria.
"La Fondazione Open - spiega Donzelli - è presieduta da Alberto Bianchi, avvocato di Renzi, ed il consiglio direttivo è composto da Maria Elena Boschi, il cui padre è stato vicepresidente dell'istituto di credito, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, e Marco Carrai, che il Presidente del Consiglio sta proprio in questi giorni pensando di nominare a responsabile di una struttura per la cybersecurity". "Il finanziamento è pubblicato sul sito della Fondazione Open - sottolinea Donzelli - ed è gravissimo che il Presidente del Consiglio abbia preso l'iniziativa del 'salva-banche' dopo aver ricevuto quei soldi dall'istituto di credito che maggiormente ne ha beneficiato. Come abbiamo sempre sostenuto il conflitto d'interessi non coinvolge soltanto Maria Elena Boschi, ma lo stesso Matteo Renzi".
Secondo l'esponente dell'opposizione: "il salvataggio di Banca Etruria è stata una cambiale decisa dal governo ma pagata con i soldi dei risparmiatori truffati, che hanno così perso i loro investimenti" e quindi, dopo la scoperta dei legami tra Rosi e Tiziano padre, "adesso risulta chiaro che il Presidente del Consiglio non ha più alcuna credibilità per mantenere il suo incarico".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 15330.html
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Re: Renzi
il manifesto 21.1.16
Renzi chiama il popolo
Senato. Ultimo voto di palazzo Madama sulla riforma costituzionale. Il premier si prende la scena e lancia, direttamente in aula, la campagna per il sì al referendum
di Andrea Fabozzi
«Andiamo a vedere da che parte sta il popolo». Lo accusano di cercare il plebiscito, lui lo rivendica. Matteo Renzi, non annunciato, toglie a Maria Elena Boschi l’ultima passerella in senato. E trasforma la replica sulla «madre di tutte le riforme» nel primo comizio del comitato del Sì. Direttamente in aula. L’aula che per l’ultima volta ha votato a maggioranza assoluta — 180 favorevoli — la sua riduzione a dopolavoro per consiglieri regionali.
Un pomeriggio, quello di martedì, e una mattinata, quella di ieri, sono trascorsi in monologhi senatoriali, quasi tutti critici verso un testo ormai immodificabile. Poi è arrivato Renzi, nel momento in cui il senatore e filosofo Mario Tronti citava Weber. E Pareto, e Mosca e la «crisi di autorità che è più acuta della crisi di rappresentanza» — lo sta facendo per motivare il suo voto a favore. Renzi lo ha applaudito. E un attimo dopo lo ha citato nella sua replica, è stato l’unico che ha citato. Forse l’unico che ha sentito.
Poi il presidente del Consiglio in 35 minuti — chiusi da «viva l’Italia» — ha offerto la dimostrazione di quanto la costituzione materiale del paese sia cambiata anche più di quella formale, che si avvia a essere riscritta per un terzo. Il governo firma la nuova Carta. E non è una delle mille polemiche fatte dall’opposizione nei due anni trascorsi dal giorno in cui apparve il testo Renzi-Boschi. No, è il biglietto da visita di un presidente del Consiglio che soffre il fatto di non essere passato dalle urne, il suo programma quanto il Jobs act o gli 80 euro, anzi di più. Il programma con il quale si presenterà alle “sue” elezioni, quello che dovrebbe essere lo strumento in mano alle minoranze per fermare una modifica della Costituzione non condivisa.
Siamo già lì, subito, al referendum di ottobre. «Faremo campagna elettorale casa per casa» (ma con la residenza a palazzo Chigi), questo il presidente del Consiglio l’aveva già detto. Non aveva aggiunto però, come ha fatto ieri con impressionante chiarezza, che «non c’è da continuare il dibattito nel merito». Piuttosto, appunto, «andare a vedere con chi sta il popolo».
Con lui intanto stanno 180 senatori. Diciannove in più della maggioranza assoluta, senza la quale la legge costituzionale sarebbe finita qui. Ventiquattro in meno della maggioranza qualificata, senza la quale il referendum è una possibilità in mano a chi si oppone (o meglio avrebbe dovuto essere). 180 sono gli stessi voti dell’ottobre scorso, quando la riforma ha chiuso la prima lettura al senato, più uno che è quello della senatrice Pd Amati che ha votato contro per due anni e poi all’ultimo si è allineata «per appartenenza».
Nel Pd c’è solo il voto contrario di Walter Tocci e la non partecipazione di Felice Casson. Altro assente tra i democratici Turano, eletto all’estero, mentre lo svizzero Micheloni ha misteriosamente annunciato il no «accada quel che accada» e poi è accaduto che ha votato sì. Come hanno votato sì i circa venti senatori della minoranza Pd, per i quali «sarebbe uno strappo gravissimo trasformare il referendum in un plebiscito o in un voto estraneo al merito». Sarebbe. Sono intanto stati decisivi per raggiungere la maggioranza assoluta, e come loro lo sono stati due senatori di Forza Italia, Villari e Bernabò Bocca, un paio del Gal, tre senatrici ex leghiste con Flavio Tosi e tutti i senatori di Verdini. I quali, perennemente alla ricerca di visibilità, sono stati i primi a battere il cinque con Matteo Renzi, subito dopo il «viva l’Italia». Mentre Verdini, più attento, ha aspettato dietro l’angolo per una stretta di mano con Renzi di spalle, non perfetta per i fotografi.
Solo in un punto il presidente del Consiglio ha parlato del merito della riforma, a modo suo. Ha detto che questa revisione costituzionale «non tocca il sistema di pesi e contrappesi previsto dalla Carta». Per chi lo ascoltava, neanche il tempo di ripensare ai poteri che guadagnano il governo — la fiducia monocamerale, le leggi a data certa — e la maggioranza — la presa sull’elezione dei giudici costituzionali, del Csm, del presidente della Repubblica — che Renzi ha aggiunto: «Probabilmente questo rispetto dei pesi e contrappesi è il punto debole della riforma». Molto chiaro: avrebbe voluto fare di più.
E molto di più potrà fare, anche ad ascoltare la dichiarazione di voto della senatrice Anna Finocchiaro, che ha condotto in porto questo testo con la benedizione di Giorgio Napolitano (presentissimo al primo banco). Per quanto immiserito, il nuovo senato secondo la presidente della prima commissione alla quale il Pd ha concesso l’onore dell’ultima parola, «ha uno straordinario potenziale», malgrado la nuova Costituzione dica il contrario. Perché, ha spiegato, i senatori (consiglieri regionali e sindaci) potranno imporsi: «La democrazia è prassi». E’ così, ma chi lo ha capito meglio di tutti è Renzi.
Renzi chiama il popolo
Senato. Ultimo voto di palazzo Madama sulla riforma costituzionale. Il premier si prende la scena e lancia, direttamente in aula, la campagna per il sì al referendum
di Andrea Fabozzi
«Andiamo a vedere da che parte sta il popolo». Lo accusano di cercare il plebiscito, lui lo rivendica. Matteo Renzi, non annunciato, toglie a Maria Elena Boschi l’ultima passerella in senato. E trasforma la replica sulla «madre di tutte le riforme» nel primo comizio del comitato del Sì. Direttamente in aula. L’aula che per l’ultima volta ha votato a maggioranza assoluta — 180 favorevoli — la sua riduzione a dopolavoro per consiglieri regionali.
Un pomeriggio, quello di martedì, e una mattinata, quella di ieri, sono trascorsi in monologhi senatoriali, quasi tutti critici verso un testo ormai immodificabile. Poi è arrivato Renzi, nel momento in cui il senatore e filosofo Mario Tronti citava Weber. E Pareto, e Mosca e la «crisi di autorità che è più acuta della crisi di rappresentanza» — lo sta facendo per motivare il suo voto a favore. Renzi lo ha applaudito. E un attimo dopo lo ha citato nella sua replica, è stato l’unico che ha citato. Forse l’unico che ha sentito.
Poi il presidente del Consiglio in 35 minuti — chiusi da «viva l’Italia» — ha offerto la dimostrazione di quanto la costituzione materiale del paese sia cambiata anche più di quella formale, che si avvia a essere riscritta per un terzo. Il governo firma la nuova Carta. E non è una delle mille polemiche fatte dall’opposizione nei due anni trascorsi dal giorno in cui apparve il testo Renzi-Boschi. No, è il biglietto da visita di un presidente del Consiglio che soffre il fatto di non essere passato dalle urne, il suo programma quanto il Jobs act o gli 80 euro, anzi di più. Il programma con il quale si presenterà alle “sue” elezioni, quello che dovrebbe essere lo strumento in mano alle minoranze per fermare una modifica della Costituzione non condivisa.
Siamo già lì, subito, al referendum di ottobre. «Faremo campagna elettorale casa per casa» (ma con la residenza a palazzo Chigi), questo il presidente del Consiglio l’aveva già detto. Non aveva aggiunto però, come ha fatto ieri con impressionante chiarezza, che «non c’è da continuare il dibattito nel merito». Piuttosto, appunto, «andare a vedere con chi sta il popolo».
Con lui intanto stanno 180 senatori. Diciannove in più della maggioranza assoluta, senza la quale la legge costituzionale sarebbe finita qui. Ventiquattro in meno della maggioranza qualificata, senza la quale il referendum è una possibilità in mano a chi si oppone (o meglio avrebbe dovuto essere). 180 sono gli stessi voti dell’ottobre scorso, quando la riforma ha chiuso la prima lettura al senato, più uno che è quello della senatrice Pd Amati che ha votato contro per due anni e poi all’ultimo si è allineata «per appartenenza».
Nel Pd c’è solo il voto contrario di Walter Tocci e la non partecipazione di Felice Casson. Altro assente tra i democratici Turano, eletto all’estero, mentre lo svizzero Micheloni ha misteriosamente annunciato il no «accada quel che accada» e poi è accaduto che ha votato sì. Come hanno votato sì i circa venti senatori della minoranza Pd, per i quali «sarebbe uno strappo gravissimo trasformare il referendum in un plebiscito o in un voto estraneo al merito». Sarebbe. Sono intanto stati decisivi per raggiungere la maggioranza assoluta, e come loro lo sono stati due senatori di Forza Italia, Villari e Bernabò Bocca, un paio del Gal, tre senatrici ex leghiste con Flavio Tosi e tutti i senatori di Verdini. I quali, perennemente alla ricerca di visibilità, sono stati i primi a battere il cinque con Matteo Renzi, subito dopo il «viva l’Italia». Mentre Verdini, più attento, ha aspettato dietro l’angolo per una stretta di mano con Renzi di spalle, non perfetta per i fotografi.
Solo in un punto il presidente del Consiglio ha parlato del merito della riforma, a modo suo. Ha detto che questa revisione costituzionale «non tocca il sistema di pesi e contrappesi previsto dalla Carta». Per chi lo ascoltava, neanche il tempo di ripensare ai poteri che guadagnano il governo — la fiducia monocamerale, le leggi a data certa — e la maggioranza — la presa sull’elezione dei giudici costituzionali, del Csm, del presidente della Repubblica — che Renzi ha aggiunto: «Probabilmente questo rispetto dei pesi e contrappesi è il punto debole della riforma». Molto chiaro: avrebbe voluto fare di più.
E molto di più potrà fare, anche ad ascoltare la dichiarazione di voto della senatrice Anna Finocchiaro, che ha condotto in porto questo testo con la benedizione di Giorgio Napolitano (presentissimo al primo banco). Per quanto immiserito, il nuovo senato secondo la presidente della prima commissione alla quale il Pd ha concesso l’onore dell’ultima parola, «ha uno straordinario potenziale», malgrado la nuova Costituzione dica il contrario. Perché, ha spiegato, i senatori (consiglieri regionali e sindaci) potranno imporsi: «La democrazia è prassi». E’ così, ma chi lo ha capito meglio di tutti è Renzi.
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Re: Renzi
A futura memoria.
Questa vignetta di Giannelli la replico anche in questo 3D.
http://www.corriere.it/foto-gallery/cul ... 98ad.shtml
Questa vignetta di Giannelli la replico anche in questo 3D.
http://www.corriere.it/foto-gallery/cul ... 98ad.shtml
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Re: Renzi
paolo11 ha scritto:https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... =3&theater
Paolo11
NON VEDE SOLO CHI NON VUOL VEDERE.
MA ORMAI E' TROPPO TARDI DA QUESTA SITUAZIONE NON NE USCIREMO PIU' IN MODALITA' ORDINARIA.
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Re: Renzi
24 gen 2016 17:56
C’ERAVAMO TANTO AMATI
- GRASSO: “L’ULTIMO REGALO DI SCOLA E’ LA BATTUTA DI D’ALEMA AL FUNERALE DEL REGISTA: “RENZI? PERCHÈ C’ERA ANCHE LUI?”
- ALL’IMPROVVISO MAX DIVENTA MARIO, IL COMUNISTA DE ‘LA TERRAZZA’, QUELLO CHE DICEVA “COME SI ERA FELICI QUAND'ERAVATE TUTTI IMBECILLI!” -
“La battuta di D' Alema è forse l' ultimo regalo di Scola, giusto per artigliare la retorica di queste cerimonie, la passerella dei soliti noti. Eccolo l' ex presidente del Consiglio che si allontana, felicemente trasfigurato nel ruolo che fu di Vittorio Gassman: ‘Ormai siamo tutti così: personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente’”...
C’ERAVAMO TANTO AMATI
- GRASSO: “L’ULTIMO REGALO DI SCOLA E’ LA BATTUTA DI D’ALEMA AL FUNERALE DEL REGISTA: “RENZI? PERCHÈ C’ERA ANCHE LUI?”
- ALL’IMPROVVISO MAX DIVENTA MARIO, IL COMUNISTA DE ‘LA TERRAZZA’, QUELLO CHE DICEVA “COME SI ERA FELICI QUAND'ERAVATE TUTTI IMBECILLI!” -
“La battuta di D' Alema è forse l' ultimo regalo di Scola, giusto per artigliare la retorica di queste cerimonie, la passerella dei soliti noti. Eccolo l' ex presidente del Consiglio che si allontana, felicemente trasfigurato nel ruolo che fu di Vittorio Gassman: ‘Ormai siamo tutti così: personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente’”...
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Re: Renzi
La7 sta tramettendo 1992.
Risponde Bossi:
"Questa é la politica,......fare promesse,.....................non mantenerle."
L'aveva capito il pirlotto di Cassano Magnago.
Renzi ne ha fatto il sua credo 24 anni dopo.
Risponde Bossi:
"Questa é la politica,......fare promesse,.....................non mantenerle."
L'aveva capito il pirlotto di Cassano Magnago.
Renzi ne ha fatto il sua credo 24 anni dopo.
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Re: Renzi
Articolo da depurare dal fatto che la Ghisleri sia la sondaggista preferita da anni, dalla mummia cinese di Hardcore.
E che Silvietto è intenzionato a tornare in campo per fermare l'altro centrodestra che lui chiama sinistra e i grillini, che potrebbero interdire i favori alle aziende dei figli.
Gli estratti dell'intervista
Alessandra Ghisleri: "Banca Etruria porta Renzi al minimo storico"
Su Libero di lunedì 25 gennaio, l'intervista di Pietro Senaldi ad Alessandra Ghisleri, fondatrice di Euromedia Research e "regina" dei sondaggi. La sondaggista spiega che tra islam, banche e politica, in Italia, rispetto a qualche tempo fa, è cambiato tutto. E anche per Matteo Renzi, ora, le prospettive sembrano mutate, profondamente. Infatti Ghisleri spiega che "dopo gli ultimi crolli delle banche in borsa e le vicissitudini del padre della Boschi, per la seconda volta Renzi è sceso sotto il 30% di gradimento. La prima volta era accaduto a novembre, quando scoppiò la vicenda Banca Etruria". Insomma, il caso dell'istituto che fu vicediretto dal padre della Boschi pesa, eccome, per il premier. Ghisleri aggiunge: "Siamo in Toscana, la geografia non lo aiuta. E neppure il fatto che uno dei responsabili del fallimento della banca sia individuato dall'opinione pubblica nel padre del ministro a cui il premier si è dimostrato più vicino. In più pesa la rivendicazione della paternità del decreto che ha salvato le banche ma non gli obbligazionisti".
25 Gennaio 2016
E che Silvietto è intenzionato a tornare in campo per fermare l'altro centrodestra che lui chiama sinistra e i grillini, che potrebbero interdire i favori alle aziende dei figli.
Gli estratti dell'intervista
Alessandra Ghisleri: "Banca Etruria porta Renzi al minimo storico"
Su Libero di lunedì 25 gennaio, l'intervista di Pietro Senaldi ad Alessandra Ghisleri, fondatrice di Euromedia Research e "regina" dei sondaggi. La sondaggista spiega che tra islam, banche e politica, in Italia, rispetto a qualche tempo fa, è cambiato tutto. E anche per Matteo Renzi, ora, le prospettive sembrano mutate, profondamente. Infatti Ghisleri spiega che "dopo gli ultimi crolli delle banche in borsa e le vicissitudini del padre della Boschi, per la seconda volta Renzi è sceso sotto il 30% di gradimento. La prima volta era accaduto a novembre, quando scoppiò la vicenda Banca Etruria". Insomma, il caso dell'istituto che fu vicediretto dal padre della Boschi pesa, eccome, per il premier. Ghisleri aggiunge: "Siamo in Toscana, la geografia non lo aiuta. E neppure il fatto che uno dei responsabili del fallimento della banca sia individuato dall'opinione pubblica nel padre del ministro a cui il premier si è dimostrato più vicino. In più pesa la rivendicazione della paternità del decreto che ha salvato le banche ma non gli obbligazionisti".
25 Gennaio 2016
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