Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Le notizie che si susseguono in questi tempi di kaos sono spesso discordanti ed anche, come in questo caso, apocalittiche.
Stamani il dibattito di Omnibus sulle banche ed il loro stato dell’arte si è svolto su altri piani.
Evidente il fatto che non si voglia creare panico.
Secondo Trefiletti non ci sono solo le 4 banche saltate precedentemente, ma ce ne sono 15 commissariate.
Molto più realistico
Ma quello che fa riflettere è la tabella esposta al punto : 5:33, dove appare che la Germania “geograficamente è collocata in provincia di Napoli.”
Perché????
Perché è inaccettabile che GLI AIUTI DI STATO, sono stati così erogati:
GERMANIA…….= 247 miliardi
ITALIA…………….= 4 miliardi
I tedeschi hanno fatto i furbi. Hanno sistemato le loro banche con gli aiuti di Stato da quando è scoppiato il caso Lehman Brothers (2007), Germania (2008). La Germania era la nazione europea che aveva nelle sue banche il maggior numero di carta straccia dovuta ai derivati.
Ha recuperato parte dei suoi crediti mettendo in ginocchio la Grecia.
Poi quando si è messa a posto e ha cominciato a tirare il fiato, ha cominciato ad imporre all’Europa il bail-in,
proibendo gli aiuti di Stato.
Altro che soluzione alla napoletana!!!!!!!
http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/omn ... 016-172659
Più equilibrato il banchiere Gianluca Garbi, che ha affermato che ci sono banche che vanno bene e banche che vanno male. A differenza degli apparati di Stato che insistono sul “Tutto va bene madama la marchesa”
A chi dare credito diventa sempre più difficile da stabilire.
Anche se nella parte finale mr. White ha capito poco delle intenzioni di Renzi.
William White: il mondo va verso epiche bancarotte
Scritto il 23/1/16 • nella Categoria: segnalazioni
«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali.
Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi.
«I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare quello che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato».
Quale sarebbe il modo ordinato?
«I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri».
Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.
Dunque è una questione di potere: i vincenti (non so se ho detto Germania) devono subire un ridimensionamento a favore dei perdenti?
Ovvio che resistano: gli attacchi di Juncker a Renzi sono uno dei fenomeni della resistenza dei vincitori, che non vogliono fare la loro parte, e continuare a vincere fino al default generale dei perdenti.
Secondo mr. White, i creditori europei sono quelli che probabilmente subiranno un più grosso taglio da un giubileo.
Le banche europee hanno ammesso di avere un trilione di prestiti non funzionanti; sono pesantemente esposte ai mercati emergenti e stanno certamente prolungando debiti marciti che non hanno mai rivelato (viene a mente Deutsche Bank, il buco con un paese attorno? Non solo…).
Il sistema bancario europeo dovrà essere ricapitalizzato su scala mai immaginata prima, e le nuove regole di bail-in significano che ogni depositante sopra i garantiti 100 euro dovrà contribuire al pagamento (si capisce perché Berlino ha salvato le sue banche con quasi 300 miliardi di soldi pubblici, poi ha fatto votare al parlamento italiano le norme sul bail-in?)
White è uno dei pochissimi che ha detto ad alta voce, dal 2008, che la finanza occidentale stava andando a sbattere provocando una violenta crisi finale.
Il solo a dire che stimolare l’economia a forza di stampaggio e tassi zero da parte delle banche centrali dopo la crisi Lehman (2007) alimentava “stimoli” dell’Asia e nei mercati emergenti, gonfiando bolle di credito, e un aumento dell’indebitamento in dollari che era difficile da controllare in un mondo di libera circolazione di capitali.
La globalizzazione capitalistica ha sempre prodotto lo stesso danno finale: chi lo ha negato per tutti questi anni, è solo perché ci guadagnava: faceva vincere la sete del potere invece della verità. Il risultato?
Che anche gli emergenti sono oggi nel gorgo del debito.
I debiti privati e pubblici sommati sono saliti in questi mercati al 185% del Pil, e nei paesi Ocse del 265 per cento: «Il 5 per cento in più rispetto all’altro ciclo del 2007» che ha portato al disastro Lehman e alla crisi recessiva mondiale in corso.
Con questa complicazione: «I mercati emergenti, allora, furono parte della soluzione.
Adesso anch’essi sono parte del problema».
Traduzione: il capitalismo si salvò indebitando (pardon, “facendo giungere capitali per lo sviluppo dei”) paesi emergenti, fino a renderli come sono ora, insolventi. Ora anche loro hanno bisogno di un giubileo.
Che cosa produrrà il crollo del sistema dando il via alle epiche bancarotte mondiali?
Impossibile dirlo: «Il sistema ha perso la sua ancora ed è prono alle rotture in modo inerente».
Una svalutazione cinese può metastatizzare.
«Ogni paese grande s’è lanciato in una guerra valutaria, anche se si ostina a dire che il quantitative easing non ha nulla a che fare con la svalutazione competitiva. Hanno giocato, tranne la Cina – fino ad ora».
L’effetto dello stampaggio è uno spendere in anticipo sul futuro; ciò provoca una tossicodipendenza e, alla fine, non riesce più a “fare trazione”
Alla fine, il futuro arriva nel presente, e non puoi più spenderlo.
E il gioco mica l’han cominciato dal 2007. Già nel 1987 la Fed ha iniettato troppo stimolo per prevenire una “purga” (dei creditori) dopo il crash che avvenne allora.
Dopodiché le “autorità”, banche centrali e governi, hanno lasciato che ogni boom facesse la sua corsa, pensando che avrebbero avviato la pulizia più tardi, e rispondendo ad ogni shock con altra stampa, alacremente.
Ciò ha portato, secondo l’esperto della Bri, la finanza a una convinzione della facilitazione perpetua, fino alla caduta degli interessi al disotto del loro “tasso naturale”, cessando di essere un segnale del rischio di credito.
«L’errore fu peggiorato negli anni ’90, quando Cina ed Europa dell’Est sono state unite improvvisamente all’economia, inondando il mondo con esportazioni a basso prezzo.
I prezzi calanti dei beni industriali hanno mascherato l’inflazione degli attivi (finanziari) che stava avvenendo.
I politici sono stati indotti all’inazione da una serie di credenze consolanti, che ora si rivela false.
Sono stati indotti a credere che finché l’inflazione è sotto controllo, tutto va bene».
Ecco in poche limpide parole perché gli americani hanno accelerato la globalizzazione, fatto entrare il gigante cinese nel mercato mondiale nonostante la sua economia statalista, ed aperto all’Est europeo: per gonfiare la loro bolla, e andare avanti ancora un po’.
Adesso la Cina, dopo uno sviluppo eccessivamente rapido artificialmente montato dai capitali, si è trasformata da locomotiva in valanga. Una valanga immane.
La Fed ha prodotto bolle su bolle, fino a provocare quella in cui siamo oggi: la “debt deflation” preconizzata da Irving Fisher, il grande economista della Grande Depressione.
Oggi la Fed è in «un terribile dilemma», e tenta di raddrizzare la nave sottraendosi a ulteriori quantitative easing.
«Se alzano i tassi, sarà brutta. Se non li alzano, non si fa’ che peggiorare la cosa.
La situazione è così maligna, che non esistono risposte giuste per risolverla.
E’ la trappola del debito, non c’è uscita facile».
Secondo mr. White, un inizio sarebbe che i governi smettano di dipendere dalle banche centrali per non essere loro a fare il lavoro sporco.
Le banche centrali non possono risolvere un problema di insolvenza, possono solo risolvere problemi di liquidità. I politici «devono ritornare al fondamentale attività di bilancio, chiamatela keynesiana se volete, e lanciare un mai visto e potente programma di investimenti sulle infrastrutture, che si paghi grazie alla crescita maggiore».
E’ il momento delle soluzioni alternative, del “quantitative easing per il popolo”?
La speranza è che al Forum di Davos i potenti del mondo affrontino in questo problema così limpidamente posto da White e dal “Telegraph”.
Ecco uno dei motivi per cui la cancelliera Merkel ha annullato la sua partecipazione a Davos?
Se è così, sarà un crollo disordinato, una guerra europea. I tedeschi e Bruxelles sanno che posson perdere tutto,e fanno i duri….E noi, o metà dei media e del popolo italiota, a “prendere le distanze da Renzi”. Lo so anch’io che Renzi è un peso minimo. Ma è lui a questo passo cruciale della storia, ed è la carta con cui dobbiamo giocare. Se aspettiamo – come sempre facciamo noi italiani – l’arcangelo Michele che prenda il governo italiota, per finalmente sentirci ben guidati e pronti alla lotta, abbiamo da aspettare…la possibilità reale è che ci mettano di nuovo Monti, Letta, o Giuliano Amato, o Napolitano. O la Mogherini: vi ho fatto paura, vero?
(Maurizio Blondet, “Il mondo va verso epiche bancarotte”, dal blog di Blondet del 20 gennaio 2016).
COME NE VENIAMO FUORI?????
Stamani il dibattito di Omnibus sulle banche ed il loro stato dell’arte si è svolto su altri piani.
Evidente il fatto che non si voglia creare panico.
Secondo Trefiletti non ci sono solo le 4 banche saltate precedentemente, ma ce ne sono 15 commissariate.
Molto più realistico
Ma quello che fa riflettere è la tabella esposta al punto : 5:33, dove appare che la Germania “geograficamente è collocata in provincia di Napoli.”
Perché????
Perché è inaccettabile che GLI AIUTI DI STATO, sono stati così erogati:
GERMANIA…….= 247 miliardi
ITALIA…………….= 4 miliardi
I tedeschi hanno fatto i furbi. Hanno sistemato le loro banche con gli aiuti di Stato da quando è scoppiato il caso Lehman Brothers (2007), Germania (2008). La Germania era la nazione europea che aveva nelle sue banche il maggior numero di carta straccia dovuta ai derivati.
Ha recuperato parte dei suoi crediti mettendo in ginocchio la Grecia.
Poi quando si è messa a posto e ha cominciato a tirare il fiato, ha cominciato ad imporre all’Europa il bail-in,
proibendo gli aiuti di Stato.
Altro che soluzione alla napoletana!!!!!!!
http://www.la7.it/omnibus/rivedila7/omn ... 016-172659
Più equilibrato il banchiere Gianluca Garbi, che ha affermato che ci sono banche che vanno bene e banche che vanno male. A differenza degli apparati di Stato che insistono sul “Tutto va bene madama la marchesa”
A chi dare credito diventa sempre più difficile da stabilire.
Anche se nella parte finale mr. White ha capito poco delle intenzioni di Renzi.
William White: il mondo va verso epiche bancarotte
Scritto il 23/1/16 • nella Categoria: segnalazioni
«La situazione d’oggi è peggio che nel 2007. Le nostre munizioni macro-economiche per contrastare la caduta sono state tutte sparate»: così al “Telegraph” William White, presidente della commissione revisioni dell’Ocse e già capo economista della Banca dei Regolamenti internazionali.
Lettura consigliata a tutti quelli che credono sia in corso una crisi delle banche italiane, strapiene di crediti marci, e godono perché ce l’hanno con Renzi.
«I debiti han continuato ad accumularsi negli ultimi otto anni – dice White – ed hanno raggiunto un livello tale in tutte le parti del mondo da esser divenute una potente causa di zizzania criminale. La sola domanda è se saremo capaci di guardare in faccia la realtà e affrontare quello che sta avvenendo in modo ordinato, o disordinato».
Quale sarebbe il modo ordinato?
«I giubilei del debito avvengono da 5 mila anni, dal tempo dei Sumeri».
Dedicato a quelli che “i debiti vanno pagati”. Commenta Evans Pritchard, il più limpido giornalista economico nel mazzo: il compito che aspetta autorità globali sarà come gestire cancellazioni del debito, e di conseguenza un grande riordino dei vincenti e perdenti nella società – senza scatenare una tempesta politica.
Dunque è una questione di potere: i vincenti (non so se ho detto Germania) devono subire un ridimensionamento a favore dei perdenti?
Ovvio che resistano: gli attacchi di Juncker a Renzi sono uno dei fenomeni della resistenza dei vincitori, che non vogliono fare la loro parte, e continuare a vincere fino al default generale dei perdenti.
Secondo mr. White, i creditori europei sono quelli che probabilmente subiranno un più grosso taglio da un giubileo.
Le banche europee hanno ammesso di avere un trilione di prestiti non funzionanti; sono pesantemente esposte ai mercati emergenti e stanno certamente prolungando debiti marciti che non hanno mai rivelato (viene a mente Deutsche Bank, il buco con un paese attorno? Non solo…).
Il sistema bancario europeo dovrà essere ricapitalizzato su scala mai immaginata prima, e le nuove regole di bail-in significano che ogni depositante sopra i garantiti 100 euro dovrà contribuire al pagamento (si capisce perché Berlino ha salvato le sue banche con quasi 300 miliardi di soldi pubblici, poi ha fatto votare al parlamento italiano le norme sul bail-in?)
White è uno dei pochissimi che ha detto ad alta voce, dal 2008, che la finanza occidentale stava andando a sbattere provocando una violenta crisi finale.
Il solo a dire che stimolare l’economia a forza di stampaggio e tassi zero da parte delle banche centrali dopo la crisi Lehman (2007) alimentava “stimoli” dell’Asia e nei mercati emergenti, gonfiando bolle di credito, e un aumento dell’indebitamento in dollari che era difficile da controllare in un mondo di libera circolazione di capitali.
La globalizzazione capitalistica ha sempre prodotto lo stesso danno finale: chi lo ha negato per tutti questi anni, è solo perché ci guadagnava: faceva vincere la sete del potere invece della verità. Il risultato?
Che anche gli emergenti sono oggi nel gorgo del debito.
I debiti privati e pubblici sommati sono saliti in questi mercati al 185% del Pil, e nei paesi Ocse del 265 per cento: «Il 5 per cento in più rispetto all’altro ciclo del 2007» che ha portato al disastro Lehman e alla crisi recessiva mondiale in corso.
Con questa complicazione: «I mercati emergenti, allora, furono parte della soluzione.
Adesso anch’essi sono parte del problema».
Traduzione: il capitalismo si salvò indebitando (pardon, “facendo giungere capitali per lo sviluppo dei”) paesi emergenti, fino a renderli come sono ora, insolventi. Ora anche loro hanno bisogno di un giubileo.
Che cosa produrrà il crollo del sistema dando il via alle epiche bancarotte mondiali?
Impossibile dirlo: «Il sistema ha perso la sua ancora ed è prono alle rotture in modo inerente».
Una svalutazione cinese può metastatizzare.
«Ogni paese grande s’è lanciato in una guerra valutaria, anche se si ostina a dire che il quantitative easing non ha nulla a che fare con la svalutazione competitiva. Hanno giocato, tranne la Cina – fino ad ora».
L’effetto dello stampaggio è uno spendere in anticipo sul futuro; ciò provoca una tossicodipendenza e, alla fine, non riesce più a “fare trazione”
Alla fine, il futuro arriva nel presente, e non puoi più spenderlo.
E il gioco mica l’han cominciato dal 2007. Già nel 1987 la Fed ha iniettato troppo stimolo per prevenire una “purga” (dei creditori) dopo il crash che avvenne allora.
Dopodiché le “autorità”, banche centrali e governi, hanno lasciato che ogni boom facesse la sua corsa, pensando che avrebbero avviato la pulizia più tardi, e rispondendo ad ogni shock con altra stampa, alacremente.
Ciò ha portato, secondo l’esperto della Bri, la finanza a una convinzione della facilitazione perpetua, fino alla caduta degli interessi al disotto del loro “tasso naturale”, cessando di essere un segnale del rischio di credito.
«L’errore fu peggiorato negli anni ’90, quando Cina ed Europa dell’Est sono state unite improvvisamente all’economia, inondando il mondo con esportazioni a basso prezzo.
I prezzi calanti dei beni industriali hanno mascherato l’inflazione degli attivi (finanziari) che stava avvenendo.
I politici sono stati indotti all’inazione da una serie di credenze consolanti, che ora si rivela false.
Sono stati indotti a credere che finché l’inflazione è sotto controllo, tutto va bene».
Ecco in poche limpide parole perché gli americani hanno accelerato la globalizzazione, fatto entrare il gigante cinese nel mercato mondiale nonostante la sua economia statalista, ed aperto all’Est europeo: per gonfiare la loro bolla, e andare avanti ancora un po’.
Adesso la Cina, dopo uno sviluppo eccessivamente rapido artificialmente montato dai capitali, si è trasformata da locomotiva in valanga. Una valanga immane.
La Fed ha prodotto bolle su bolle, fino a provocare quella in cui siamo oggi: la “debt deflation” preconizzata da Irving Fisher, il grande economista della Grande Depressione.
Oggi la Fed è in «un terribile dilemma», e tenta di raddrizzare la nave sottraendosi a ulteriori quantitative easing.
«Se alzano i tassi, sarà brutta. Se non li alzano, non si fa’ che peggiorare la cosa.
La situazione è così maligna, che non esistono risposte giuste per risolverla.
E’ la trappola del debito, non c’è uscita facile».
Secondo mr. White, un inizio sarebbe che i governi smettano di dipendere dalle banche centrali per non essere loro a fare il lavoro sporco.
Le banche centrali non possono risolvere un problema di insolvenza, possono solo risolvere problemi di liquidità. I politici «devono ritornare al fondamentale attività di bilancio, chiamatela keynesiana se volete, e lanciare un mai visto e potente programma di investimenti sulle infrastrutture, che si paghi grazie alla crescita maggiore».
E’ il momento delle soluzioni alternative, del “quantitative easing per il popolo”?
La speranza è che al Forum di Davos i potenti del mondo affrontino in questo problema così limpidamente posto da White e dal “Telegraph”.
Ecco uno dei motivi per cui la cancelliera Merkel ha annullato la sua partecipazione a Davos?
Se è così, sarà un crollo disordinato, una guerra europea. I tedeschi e Bruxelles sanno che posson perdere tutto,e fanno i duri….E noi, o metà dei media e del popolo italiota, a “prendere le distanze da Renzi”. Lo so anch’io che Renzi è un peso minimo. Ma è lui a questo passo cruciale della storia, ed è la carta con cui dobbiamo giocare. Se aspettiamo – come sempre facciamo noi italiani – l’arcangelo Michele che prenda il governo italiota, per finalmente sentirci ben guidati e pronti alla lotta, abbiamo da aspettare…la possibilità reale è che ci mettano di nuovo Monti, Letta, o Giuliano Amato, o Napolitano. O la Mogherini: vi ho fatto paura, vero?
(Maurizio Blondet, “Il mondo va verso epiche bancarotte”, dal blog di Blondet del 20 gennaio 2016).
COME NE VENIAMO FUORI?????
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- Iscritto il: 21/02/2012, 22:55
Re: Come se ne viene fuori ?
< COSE DA PAZZI
Un giorno le cose si ribellarono.I fiumi si misero a correre all'indietro, l'acqua si ghiacciò al sole e le pietre si librarono felici nell'aria.
Gli uomini non sapevano più come comportarsi. Per un po' ciascuno di loro pensò di essere ammattito ma poi, quando trovò il
coraggio di parlarne agli altri, si rese conto che tutti vedevano allo stesso modo: era il mondo dunque ad essere ammattito.
Gli uomini decisero di mandare una delegazione a parlamentare con le cose. Si sedettero tutti intorno ad un tavolo senza gambe,
bevvero un sorso d'acqua da un bicchiere vuoto e cominciarono a lamentarsi. “Non si può più andare avanti così” disse l'uomo più
anziano e più saggio “il vostro comportamento va contro le leggi della natura ed è quindi irresponsabile e assurdo.
Di questo passo saremo costretti a dichiararvi tutte un'allucinazione.”
“Questa è bella” rispose una gomma che invece di cancellare scriveva “chi siete voi per dire quali sono le leggi della natura?
Al massimo, siete una parte della natura, e un'altra parte siamo noi, con uguali diritti.
Perché dovremmo comportarci come vi fa comodo per essere giudicati responsabili?”
“Sospettavo qualcosa del genere” ribatté un uomo più giovane e focoso “ la vostra è una vera e propria guerra, e come tale va
combattuta, non a parole ma con le armi.”
Si, si, ma quali armi?” soggiunse un fucile “chi vi dice che le armi siano dalla vostra parte?” E, per chiarire meglio,
fece partire un proiettile attraverso il grilletto.
“Un attimo” interruppe l'uomo saggio “non è il caso di farsi prendere dall'eccitazione. Noi non vi abbiamo imposto niente.
Vi siamo stati a guardare per secoli e abbiamo visto come vi comportavate: le leggi di natura non sono che un resoconto
delle nostre osservazioni.”
“È proprio questo il punto” sbotto un lampadario appeso per terra “ci avete osservato per secoli, avete tratto le vostre conclusioni
e adesso non ci osservate più. Ci avete esaurito, neanche più ci vedete, e poi avete il coraggio di dire che se non seguiamo
le vostre istruzioni non ci siamo davvero.
Invece noi ci siamo proprio perché possiamo dare fastidio. Gli uomini erano allibiti “ Che cosa dobbiamo fare?” chiese un
piccolino dagli occhi dolci. “certo se continuate così non sopravviveremo.” “Non è la vostra morte che vogliamo” rispose
una palla che non rimbalzava. “Vogliamo solo un po d'attenzione. Siamo sempre in grado di sorprendervi, e se ve lo dimenticate
lo faremo ancora.” Su queste parole la seduta si sciolse: le finestre si aprirono e i camini si accesero. Tutto torno come prima,
ma da allora gli uomini guardarono alle cose con più interesse, e anche con un po' più di rispetto.”>
(Ermanno Bencivenga -La filosofia in trentadue favole-
Un giorno le cose si ribellarono.I fiumi si misero a correre all'indietro, l'acqua si ghiacciò al sole e le pietre si librarono felici nell'aria.
Gli uomini non sapevano più come comportarsi. Per un po' ciascuno di loro pensò di essere ammattito ma poi, quando trovò il
coraggio di parlarne agli altri, si rese conto che tutti vedevano allo stesso modo: era il mondo dunque ad essere ammattito.
Gli uomini decisero di mandare una delegazione a parlamentare con le cose. Si sedettero tutti intorno ad un tavolo senza gambe,
bevvero un sorso d'acqua da un bicchiere vuoto e cominciarono a lamentarsi. “Non si può più andare avanti così” disse l'uomo più
anziano e più saggio “il vostro comportamento va contro le leggi della natura ed è quindi irresponsabile e assurdo.
Di questo passo saremo costretti a dichiararvi tutte un'allucinazione.”
“Questa è bella” rispose una gomma che invece di cancellare scriveva “chi siete voi per dire quali sono le leggi della natura?
Al massimo, siete una parte della natura, e un'altra parte siamo noi, con uguali diritti.
Perché dovremmo comportarci come vi fa comodo per essere giudicati responsabili?”
“Sospettavo qualcosa del genere” ribatté un uomo più giovane e focoso “ la vostra è una vera e propria guerra, e come tale va
combattuta, non a parole ma con le armi.”
Si, si, ma quali armi?” soggiunse un fucile “chi vi dice che le armi siano dalla vostra parte?” E, per chiarire meglio,
fece partire un proiettile attraverso il grilletto.
“Un attimo” interruppe l'uomo saggio “non è il caso di farsi prendere dall'eccitazione. Noi non vi abbiamo imposto niente.
Vi siamo stati a guardare per secoli e abbiamo visto come vi comportavate: le leggi di natura non sono che un resoconto
delle nostre osservazioni.”
“È proprio questo il punto” sbotto un lampadario appeso per terra “ci avete osservato per secoli, avete tratto le vostre conclusioni
e adesso non ci osservate più. Ci avete esaurito, neanche più ci vedete, e poi avete il coraggio di dire che se non seguiamo
le vostre istruzioni non ci siamo davvero.
Invece noi ci siamo proprio perché possiamo dare fastidio. Gli uomini erano allibiti “ Che cosa dobbiamo fare?” chiese un
piccolino dagli occhi dolci. “certo se continuate così non sopravviveremo.” “Non è la vostra morte che vogliamo” rispose
una palla che non rimbalzava. “Vogliamo solo un po d'attenzione. Siamo sempre in grado di sorprendervi, e se ve lo dimenticate
lo faremo ancora.” Su queste parole la seduta si sciolse: le finestre si aprirono e i camini si accesero. Tutto torno come prima,
ma da allora gli uomini guardarono alle cose con più interesse, e anche con un po' più di rispetto.”>
(Ermanno Bencivenga -La filosofia in trentadue favole-
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Come se ne viene fuori ?
Al punto di vista di William White, con ll pollice verso il basso, bisogna aggiungere
quello di Marco Della Luna, decisamente differente da quanto si sente nei talk.
Ma allora a cosa servono i talk, se non servono a mettere a confronto i vari punti di vista????
Della Luna: banche e sangue, stanno per portarci via tutto
Scritto il 24/1/16 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati.
Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie.
Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45!
Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide).
Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.
Non sa, inoltre, che molti crediti divenuti inesigibili figurano invece a bilancio come a rischio ordinario solo perché il loro ammortamento, cioè la scadenza delle rate, è stato sospeso dalle banche stesse in accordo con i clienti morosi, nel reciproco interesse.
Non sa che molti crediti, apparentemente coperti da idonee garanzie, in realtà sono scoperti, perché le garanzie sono state sopravvalutate ad arte al fine di concedere crediti a compari e a clientele politiche che era inteso che non li avrebbero rimborsati.
O che sono beni sopravvalutati per consentire agli amici-venditori di venderli per un prezzo moltiplicato a compratori fasulli.
Non sa che le garanzie immobiliari acquisita dalle banche a collaterale dei crediti erogati si sono fortemente svalutate e sono divenute pressoché invendibili, fonte più di spese che di recuperi, a causa della quasi morte del settore immobiliare fortemente voluta con la politica fiscale dal governo Monti, sicché le banche, pur avendo sulla carta la possibilità di recuperare i loro crediti vendendo gli immobili ipotecati a copertura, in realtà incasserebbero troppo tardi perché il realizzo possa aiutare a superare la crisi odierna.
Non sa che il sistema bancario italiano non crolla solo perché continua: a ricevere aiuti (credito gratuito) dalla Bce; ad avere la possibilità di realizzare profitti illeciti, ossia solo perché le varie autorità competenti non gli impediscono di continuare; ad applicare commissioni illegittime, interessi usurari, anatocismo; nonché a collocare titoli-spazzatura o sopravvalutati; e, come già detto, a non dichiarare in bilancio tutte le perdite sui crediti.
Tutte queste cose, al contrario, le sa la Banca Centrale Europea, che a giorni manderà i suoi ispettori nelle banche italiane, e si sa già che cosa quindi questi signori troveranno.
Ecco il perché delle turbo-vendite massicce anche allo scoperto dei titoli delle banche italiane.
Si sa che l’ispezione, se non solo minacciata ma anche rigidamente eseguita (e qui c’è spazio per mediazione politica e il buon senso, ovviamente) potrà portare a un disastro di tutto il sistema bancario e a conseguenze radicali per l’intero paese.
Più dell’arrivo della Troika, di nuove tasse di emergenza per finanziare la bad bank, di un bail-in generalizzato, di una legge che ipotechi forzatamente i beni immobili degli italiani a garanzia di qualche prestito di salvataggio da parte del Fmi.
E siccome una qualche situazione esplosiva molto probabilmente si realizzerà prima che sia stato instaurato il nuovo, schiacciante sistema di dominio autocratico del premier, cioè la riforma costituzionale ed elettorale del governo Renzi, è abbastanza possibile che il paese si ribelli.
Soprattutto se verrà divulgata la notizia che gli stessi fondi di investimento e altri investitori istituzionali che stanno conducendo la campagna di svendita dei titoli delle banche italiane, sono quelli che partecipano la Banca d’Italia, le agenzie di rating, e la stessa Bce, la quale adesso manda le ispezioni.
È molto pericoloso che la gente apprenda chi e come le sta portando via il risparmio e la casa e il posto di lavoro e, al contempo, la libertà.
(Marco Della Luna, “Banche e sangue, questa è l’Italia che riparte”, dal blog di Della Luna del 21 gennaio 2016).
quello di Marco Della Luna, decisamente differente da quanto si sente nei talk.
Ma allora a cosa servono i talk, se non servono a mettere a confronto i vari punti di vista????
Della Luna: banche e sangue, stanno per portarci via tutto
Scritto il 24/1/16 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni
I risparmi degli italiani, mobiliari e immobiliari, già stimati in 8.000 miliardi, da tempo attraggono l’interesse di finanzieri e politici, che già ne hanno preso una discreta parte tra truffe bancarie ed estorsioni tributarie, come ben sanno soprattutto i molti imprenditori che devono chiedere prestiti per pagare le tasse su redditi non realizzati.
Mercoledì 20 ho ascoltato per quasi un’ora il giornalista economico di “Radio 24”, il quale si meravigliava del fatto che continuano le vendite massicce di azioni delle banche italiane sebbene i loro circa 300 miliardi di crediti deteriorati siano coperti per oltre il 90% da accantonamenti e garanzie.
Oggi i titoli bancari hanno recuperato, ma di ben poco rispetto alle perdite accumulate recentemente. Mps oggi passa da 0,50 a 0,73 (+ 0,43%), ma otto giorni fa era a 1 e otto mesi fa era 9,45!
Quest’anima candida di giornalista economico par non sapere ciò che sanno tutti gli operatori (quindi crederà a Draghi che oggi sostiene che le banche italiane siano solide).
Non sa, innanzitutto, che i crediti deteriorati sono molti di più di quelli dichiarati in bilancio, perché quasi tutte le banche hanno molte sofferenze sommerse, cioè che non dichiarano perché non hanno i soldi per fare i relativi accantonamenti.
Non sa, inoltre, che molti crediti divenuti inesigibili figurano invece a bilancio come a rischio ordinario solo perché il loro ammortamento, cioè la scadenza delle rate, è stato sospeso dalle banche stesse in accordo con i clienti morosi, nel reciproco interesse.
Non sa che molti crediti, apparentemente coperti da idonee garanzie, in realtà sono scoperti, perché le garanzie sono state sopravvalutate ad arte al fine di concedere crediti a compari e a clientele politiche che era inteso che non li avrebbero rimborsati.
O che sono beni sopravvalutati per consentire agli amici-venditori di venderli per un prezzo moltiplicato a compratori fasulli.
Non sa che le garanzie immobiliari acquisita dalle banche a collaterale dei crediti erogati si sono fortemente svalutate e sono divenute pressoché invendibili, fonte più di spese che di recuperi, a causa della quasi morte del settore immobiliare fortemente voluta con la politica fiscale dal governo Monti, sicché le banche, pur avendo sulla carta la possibilità di recuperare i loro crediti vendendo gli immobili ipotecati a copertura, in realtà incasserebbero troppo tardi perché il realizzo possa aiutare a superare la crisi odierna.
Non sa che il sistema bancario italiano non crolla solo perché continua: a ricevere aiuti (credito gratuito) dalla Bce; ad avere la possibilità di realizzare profitti illeciti, ossia solo perché le varie autorità competenti non gli impediscono di continuare; ad applicare commissioni illegittime, interessi usurari, anatocismo; nonché a collocare titoli-spazzatura o sopravvalutati; e, come già detto, a non dichiarare in bilancio tutte le perdite sui crediti.
Tutte queste cose, al contrario, le sa la Banca Centrale Europea, che a giorni manderà i suoi ispettori nelle banche italiane, e si sa già che cosa quindi questi signori troveranno.
Ecco il perché delle turbo-vendite massicce anche allo scoperto dei titoli delle banche italiane.
Si sa che l’ispezione, se non solo minacciata ma anche rigidamente eseguita (e qui c’è spazio per mediazione politica e il buon senso, ovviamente) potrà portare a un disastro di tutto il sistema bancario e a conseguenze radicali per l’intero paese.
Più dell’arrivo della Troika, di nuove tasse di emergenza per finanziare la bad bank, di un bail-in generalizzato, di una legge che ipotechi forzatamente i beni immobili degli italiani a garanzia di qualche prestito di salvataggio da parte del Fmi.
E siccome una qualche situazione esplosiva molto probabilmente si realizzerà prima che sia stato instaurato il nuovo, schiacciante sistema di dominio autocratico del premier, cioè la riforma costituzionale ed elettorale del governo Renzi, è abbastanza possibile che il paese si ribelli.
Soprattutto se verrà divulgata la notizia che gli stessi fondi di investimento e altri investitori istituzionali che stanno conducendo la campagna di svendita dei titoli delle banche italiane, sono quelli che partecipano la Banca d’Italia, le agenzie di rating, e la stessa Bce, la quale adesso manda le ispezioni.
È molto pericoloso che la gente apprenda chi e come le sta portando via il risparmio e la casa e il posto di lavoro e, al contempo, la libertà.
(Marco Della Luna, “Banche e sangue, questa è l’Italia che riparte”, dal blog di Della Luna del 21 gennaio 2016).
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Re: Come se ne viene fuori ?
I GIORNI DEL KAOS
IL PUNTO
Ma perché Mattarella ci dovrebbe mandare a votare???
Si conclude così la lettera inviata ad Il TEMPO, da Luigi Bisignani, e pubblicata stamani.
.......E magari qualcuno a Bruxelles ancora continua a pensare a Mario Draghi come futuro demiurgo. Ma sono certo che questa volta il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella davanti ad una nuova crisi pilotata dai poteri forti internazionali e dai burocrati europei manderà gli italiani a votare.
IL PUNTO
Ma perché Mattarella ci dovrebbe mandare a votare???
Si conclude così la lettera inviata ad Il TEMPO, da Luigi Bisignani, e pubblicata stamani.
.......E magari qualcuno a Bruxelles ancora continua a pensare a Mario Draghi come futuro demiurgo. Ma sono certo che questa volta il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella davanti ad una nuova crisi pilotata dai poteri forti internazionali e dai burocrati europei manderà gli italiani a votare.
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Re: Come se ne viene fuori ?
I GIORNI DEL KAOS
Mentre su Il Tempo Bisignani eccitava la fantasia con nuove elezioni, su LIBRE compariva questo punto di vista:
Il dopo-Renzi sarà anche peggio (si accettano scommesse)
Scritto il 27/1/16 • nella Categoria: idee
Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».
In palio, a quanto pare, ci sarebbe «la sostituzione del terzo governo italiano non eletto, filo-atlantista, euroservo e antipopolare». Secondo Dezzani, dopo Renzi ci sarà «un governo tecnico per attuare misure estreme contro di noi, il quarto non eletto dopo Monti, Letta e Renzi, forse guidato da Ignazio Visco». Oppure, piano-B: l’establishment euro-atlantico potrebbe giocare a sorpresa la carta del Movimento 5 Stelle, che Dezzani definisce «appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare e addomesticare il voto di protesta». Secondo Giannuli, invece, potrebbe sorprenderci il ritorno del re dei dinosauri, il super-privatizzatore Massimo D’Alema, o magari quello dell’estromesso Letta, «per riorientare il partito», il Pd strattonato da Renzi. O ancora, il ritorno in Italia, a capo del governo, di Federica Mogherini, attuale “Lady Pesc”, che «farà addirittura rimpiangere Renzi». Eugenio Orso, poi, teme addirittura «l’avvento del famigerato governo-Troika commissariale definitivo, che non lascerebbe più spazio ai tentennamenti dei collaborazionisti locali nell’applicare le controriforme e fare le privatizzazioni, svendendo tutte le municipalizzate».
E’ difficile dire cosa accadrà veramente, ammette Orso, visto che il 2016 che è appena agli inizi. Meglio allora procedere con cautela. Primo passo, un governo tecnico per attuare misure estreme, con a capo (come scrive Dezzani) Ignazio Visco. «Abbastanza probabile, se decideranno di continuare ancora per un po’ la sequenza di governi tecnici-nominati (dall’esterno, naturalmente)». La carta 5 Stelle? Secondo Dezzani, il movimento di Grillo non è che l’emanazione truffaldina, mascherata, dell’establishment euro-atlantico: «Del direttorio grillino – riassume Orso – il “papabile” potrebbe essere Di Maio, molto più di Fico e Di Battista, quotatissimo com’è negli immancabili sondaggi». Per Orso, sarebbe una soluzione «non troppo probabile», ovvero «possibile ma rischiosa per le élite, proprio per l’incapacità dei grillini nell’amministrare senza combinar casini (non nascondiamolo!) e per possibili resistenze alle controriforme contro il paese di una parte dei rappresentanti pentastellati e/o della base (i supporter del cinque stelle non sanno di essere eterodiretti!)».
Sul ritorno di personaggi come D’Alema e Letta, «per superare il renzismo nel Pd e mantenere l’entità collaborazionista di governo», pronta ai diktat di Bruxelles, meglio sorvolare: una «minestra riscaldata», come dice Giannuli. E la Mogherini, distanziatasi da Renzi per fare da magafono dell’Ue? «Ha qualche probabilità in più», scrive Orso, «perché ci sarebbe, a supporto, per far digerire la pillola agli idiotizzati sinistroidi politicamente corretti, anche la retorica, amplificata dai lacchè giornalistici, sul primo capo di governo donna, emancipata, capace, relativamente giovane e brillante: Mogherini, la salvatrice dell’Italia al femminile, dopo Monti il salvatore e Renzi il rottamatore! Per noi, un deciso passo in avanti verso il burrone». In cima ai timori di Orso c’è però il commissariamento definitivo da parte della Troika: «Rappresenterebbe l’ultimo passo necessario per neutralizzare e saccheggiare l’Italia. Le élite renderebbero così il paese una pattumiera euroatlantista nel Mediterraneo, con poca industria e masse di straccioni adatti a lavori sottopagati, a “basso contenuto tecnologico”, esattamente quel che prevede il “sogno europeo” – ossia il progetto euroglobalista – fuor di retorica e propaganda per i gonzi».
Mentre su Il Tempo Bisignani eccitava la fantasia con nuove elezioni, su LIBRE compariva questo punto di vista:
Il dopo-Renzi sarà anche peggio (si accettano scommesse)
Scritto il 27/1/16 • nella Categoria: idee
Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».
In palio, a quanto pare, ci sarebbe «la sostituzione del terzo governo italiano non eletto, filo-atlantista, euroservo e antipopolare». Secondo Dezzani, dopo Renzi ci sarà «un governo tecnico per attuare misure estreme contro di noi, il quarto non eletto dopo Monti, Letta e Renzi, forse guidato da Ignazio Visco». Oppure, piano-B: l’establishment euro-atlantico potrebbe giocare a sorpresa la carta del Movimento 5 Stelle, che Dezzani definisce «appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare e addomesticare il voto di protesta». Secondo Giannuli, invece, potrebbe sorprenderci il ritorno del re dei dinosauri, il super-privatizzatore Massimo D’Alema, o magari quello dell’estromesso Letta, «per riorientare il partito», il Pd strattonato da Renzi. O ancora, il ritorno in Italia, a capo del governo, di Federica Mogherini, attuale “Lady Pesc”, che «farà addirittura rimpiangere Renzi». Eugenio Orso, poi, teme addirittura «l’avvento del famigerato governo-Troika commissariale definitivo, che non lascerebbe più spazio ai tentennamenti dei collaborazionisti locali nell’applicare le controriforme e fare le privatizzazioni, svendendo tutte le municipalizzate».
E’ difficile dire cosa accadrà veramente, ammette Orso, visto che il 2016 che è appena agli inizi. Meglio allora procedere con cautela. Primo passo, un governo tecnico per attuare misure estreme, con a capo (come scrive Dezzani) Ignazio Visco. «Abbastanza probabile, se decideranno di continuare ancora per un po’ la sequenza di governi tecnici-nominati (dall’esterno, naturalmente)». La carta 5 Stelle? Secondo Dezzani, il movimento di Grillo non è che l’emanazione truffaldina, mascherata, dell’establishment euro-atlantico: «Del direttorio grillino – riassume Orso – il “papabile” potrebbe essere Di Maio, molto più di Fico e Di Battista, quotatissimo com’è negli immancabili sondaggi». Per Orso, sarebbe una soluzione «non troppo probabile», ovvero «possibile ma rischiosa per le élite, proprio per l’incapacità dei grillini nell’amministrare senza combinar casini (non nascondiamolo!) e per possibili resistenze alle controriforme contro il paese di una parte dei rappresentanti pentastellati e/o della base (i supporter del cinque stelle non sanno di essere eterodiretti!)».
Sul ritorno di personaggi come D’Alema e Letta, «per superare il renzismo nel Pd e mantenere l’entità collaborazionista di governo», pronta ai diktat di Bruxelles, meglio sorvolare: una «minestra riscaldata», come dice Giannuli. E la Mogherini, distanziatasi da Renzi per fare da magafono dell’Ue? «Ha qualche probabilità in più», scrive Orso, «perché ci sarebbe, a supporto, per far digerire la pillola agli idiotizzati sinistroidi politicamente corretti, anche la retorica, amplificata dai lacchè giornalistici, sul primo capo di governo donna, emancipata, capace, relativamente giovane e brillante: Mogherini, la salvatrice dell’Italia al femminile, dopo Monti il salvatore e Renzi il rottamatore! Per noi, un deciso passo in avanti verso il burrone». In cima ai timori di Orso c’è però il commissariamento definitivo da parte della Troika: «Rappresenterebbe l’ultimo passo necessario per neutralizzare e saccheggiare l’Italia. Le élite renderebbero così il paese una pattumiera euroatlantista nel Mediterraneo, con poca industria e masse di straccioni adatti a lavori sottopagati, a “basso contenuto tecnologico”, esattamente quel che prevede il “sogno europeo” – ossia il progetto euroglobalista – fuor di retorica e propaganda per i gonzi».
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il punto
(Questa volta più amaro del solito)
Gian Antonio Stella, nell’editoriale di ieri sulla prima pagina del Corriere se la prende con i tricolori:
Il Paese dei furbi
LA SOCIETÀ
CHE È POCO
CIVILE
Ci sono pezzi di «società civile» che danno francamente la nausea.
Come la signora che usava il contrassegno disabili della zia morta da nove anni e s’è fatta scoprire perché, ingorda, voleva agganciarla all’auto nuova.
O la miriade di automobilisti denunciati perché truccavano la targa col nastro adesivo nero così da entrare nelle Ztl romane.
O i duemila falsi poveri beccati dalla sola Asl di Livorno (figuratevi il resto d’Italia) che non avevano diritto all’esenzione del ticket.
O la professoressa che figurava assente con la «legge 104» per accudire la madre disabile ma era in Olanda a una gara di tango.
Migliaia e migliaia di casi.
Per carità, non sono rapinatori, non stuprano bambine, non spacciano droga.
Potete scommettere anzi che in larga parte si considerano persone
«perbene».
Trovano però in qualche modo «normale» imbrogliare lo Stato, l’Inps, i
Comuni... Rubare soldi pubblici.
Violare le norme che impongono sacrifici osemplici fastidi.
E una volta scovati fanno spallucce: «Cosa sarà mai!».
Le cronache degli ultimi mesi traboccano di storie di illegalità diffusa.
Come la denuncia, da parte della Guardia di finanza, di «456 fittizi eredi o elegati alla riscossione, di persone decedute, alle quali, ante mortem, era stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento» nella sola area di Castrovillari.
O l’inchiesta su cinque dipendenti del Fatebenefratelli di Milano accusati d’«essersi
appropriati dei soldi delle prestazioni sanitarie dei cittadini» allo sportello.
Oi controlli sulle dichiarazioni degli universitari capitolini arrivati ad accertare a fine 2013 addirittura il 62% di falsi, incluso quello di una ragazza esentata dal ticket in mensa nonostante il papà avesse la Ferrari.
Non si tratta di quisquilie e pinzillacchere, per dirla con Totò.
Lo scriveva Fiorenza Sarzanini partendo da un dossier della Finanza: «Ormai si sfiorano i quattro miliardi di euro, cifra record di buco nei conti dello Stato.
È la voragine creata dall’attività illecita di circa 7.000 dipendenti pubblici infedeli ».
Molti convinti che in fondo «così fan tutti».
Ma può uno Stato sopravvivere a una «società civile» infettata da tanta illegalità diffusa e, peggio ancora, in qualche modo accettata con un sospiro se non con un sorrisetto bonario?
Uno Stato dove un processo appena chiuso condanna per assenteismo 78 su 96 dipendenti dello Iacp di Messina senza che uno solo sia licenziato?
Dove hanno usato la legge 104 il 63% degli insegnanti trasferiti a Catania e il 56% di quelli a Palermo e tutti (tutti!) i maestri e i bidelli spostati negli ultimi sette anni in provincia di Agrigento nonostante la Procura abbia accertato che
una dichiarazione su quattro è falsa?
Dove uno dei pochi licenziati per aver fatto il furbo con «415 giornate di congedo
straordinario», in provincia di Pordenone, è in causa e vuole tutti gli arretrati?
Dove decine di piloti in cassa integrazione con assegni spesso deluxe lavoravano
in realtà all’estero?
Lasciamo pure da parte, oggi, il tema dell’abusivismo e dell’evasione fiscale che, come ha ricordato Sergio Mattarella, sottrae agli italiani onesti 122 miliardi di euro e cioè 7 punti e mezzo di Pil.
La prima delle violazioni collettive di ogni regola di convivenza.
Sapete quante volte l’Ansa ha dato notizia di truffe sui falsi braccianti agricoli dal 2010 a oggi?
Centotto.
False circa 700 aziende, falsi trentamila braccianti, falsi i terreni su cui
Un esempio, l’inchiesta su 829 persone denunciate a luglio nel cosentino: «Oltre il 90% delle giornate dichiarate erano fasulle».
Embè? Tanto paga l’Inps...
Spiega un dossier Ania che la norma che nel 2012 introdusse l’obbligo d’una radiografia per il risarcimento danni da colpi di frusta ha causato «una diminuzione delle denunce per danni fisici lievi (da 1 a 9 punti di invalidità) da 580 mila nel 2011 a 370 mila nel 2014: 210 mila feriti in meno».
O 210 mila furbetti stoppati.
Per non dire dell’inchiesta, a Napoli, sugli incidenti stradali «fantasma »: 62 medici, 12 avvocati, 300 indagati a vario titolo.
Come non fosse cambiato nulla, nel gennaio 2016, da quando un giudice vent’anni fa capì che Gerardo «Tapparella» Oliva, di professione testimone,
non poteva proprio aver assistito (un frontale qua, un tamponamento
là...) a 650 incidenti.
Che una pretesa superiorità morale della «società civile» non avesse senso, sia chiaro, si sapeva da un pezzo.
E nulla è fastidioso quanto ascoltare gli strilli di chi è idrofobo con «chi comanda» e il «governo ladro », sia esso di destra o di sinistra, e insieme indulgente verso se stesso, i propri furti, le proprie furbizie.
Detto questo, però, l’assoluzione della politica «che in fondo è solo lo specchio della società» è inaccettabile.
È la politica che deve pilotare la società a migliorare.
Lo spiegava, secoli fa, David Hume: «Nell’escogitare un sistema qualunque di governo e nel fissare i molti freni e controlli della Costituzione, si deve supporre
che ogni uomo sia un furfante e non abbia, in tutte le sue azioni, altro fine che l’interesse personale».
Sono le regole e la severità sul loro rispetto ad aiutare una società a crescere.
A diventare più corretta.
Ce l’ha ricordato, a modo suo, anche Roberto Mancini: «Il gesto del dito in Inghilterra non l’avrei fatto mai». Appunto...
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CONTINUA
(Questa volta più amaro del solito)
Gian Antonio Stella, nell’editoriale di ieri sulla prima pagina del Corriere se la prende con i tricolori:
Il Paese dei furbi
LA SOCIETÀ
CHE È POCO
CIVILE
Ci sono pezzi di «società civile» che danno francamente la nausea.
Come la signora che usava il contrassegno disabili della zia morta da nove anni e s’è fatta scoprire perché, ingorda, voleva agganciarla all’auto nuova.
O la miriade di automobilisti denunciati perché truccavano la targa col nastro adesivo nero così da entrare nelle Ztl romane.
O i duemila falsi poveri beccati dalla sola Asl di Livorno (figuratevi il resto d’Italia) che non avevano diritto all’esenzione del ticket.
O la professoressa che figurava assente con la «legge 104» per accudire la madre disabile ma era in Olanda a una gara di tango.
Migliaia e migliaia di casi.
Per carità, non sono rapinatori, non stuprano bambine, non spacciano droga.
Potete scommettere anzi che in larga parte si considerano persone
«perbene».
Trovano però in qualche modo «normale» imbrogliare lo Stato, l’Inps, i
Comuni... Rubare soldi pubblici.
Violare le norme che impongono sacrifici osemplici fastidi.
E una volta scovati fanno spallucce: «Cosa sarà mai!».
Le cronache degli ultimi mesi traboccano di storie di illegalità diffusa.
Come la denuncia, da parte della Guardia di finanza, di «456 fittizi eredi o elegati alla riscossione, di persone decedute, alle quali, ante mortem, era stata riconosciuta l’indennità di accompagnamento» nella sola area di Castrovillari.
O l’inchiesta su cinque dipendenti del Fatebenefratelli di Milano accusati d’«essersi
appropriati dei soldi delle prestazioni sanitarie dei cittadini» allo sportello.
Oi controlli sulle dichiarazioni degli universitari capitolini arrivati ad accertare a fine 2013 addirittura il 62% di falsi, incluso quello di una ragazza esentata dal ticket in mensa nonostante il papà avesse la Ferrari.
Non si tratta di quisquilie e pinzillacchere, per dirla con Totò.
Lo scriveva Fiorenza Sarzanini partendo da un dossier della Finanza: «Ormai si sfiorano i quattro miliardi di euro, cifra record di buco nei conti dello Stato.
È la voragine creata dall’attività illecita di circa 7.000 dipendenti pubblici infedeli ».
Molti convinti che in fondo «così fan tutti».
Ma può uno Stato sopravvivere a una «società civile» infettata da tanta illegalità diffusa e, peggio ancora, in qualche modo accettata con un sospiro se non con un sorrisetto bonario?
Uno Stato dove un processo appena chiuso condanna per assenteismo 78 su 96 dipendenti dello Iacp di Messina senza che uno solo sia licenziato?
Dove hanno usato la legge 104 il 63% degli insegnanti trasferiti a Catania e il 56% di quelli a Palermo e tutti (tutti!) i maestri e i bidelli spostati negli ultimi sette anni in provincia di Agrigento nonostante la Procura abbia accertato che
una dichiarazione su quattro è falsa?
Dove uno dei pochi licenziati per aver fatto il furbo con «415 giornate di congedo
straordinario», in provincia di Pordenone, è in causa e vuole tutti gli arretrati?
Dove decine di piloti in cassa integrazione con assegni spesso deluxe lavoravano
in realtà all’estero?
Lasciamo pure da parte, oggi, il tema dell’abusivismo e dell’evasione fiscale che, come ha ricordato Sergio Mattarella, sottrae agli italiani onesti 122 miliardi di euro e cioè 7 punti e mezzo di Pil.
La prima delle violazioni collettive di ogni regola di convivenza.
Sapete quante volte l’Ansa ha dato notizia di truffe sui falsi braccianti agricoli dal 2010 a oggi?
Centotto.
False circa 700 aziende, falsi trentamila braccianti, falsi i terreni su cui
Un esempio, l’inchiesta su 829 persone denunciate a luglio nel cosentino: «Oltre il 90% delle giornate dichiarate erano fasulle».
Embè? Tanto paga l’Inps...
Spiega un dossier Ania che la norma che nel 2012 introdusse l’obbligo d’una radiografia per il risarcimento danni da colpi di frusta ha causato «una diminuzione delle denunce per danni fisici lievi (da 1 a 9 punti di invalidità) da 580 mila nel 2011 a 370 mila nel 2014: 210 mila feriti in meno».
O 210 mila furbetti stoppati.
Per non dire dell’inchiesta, a Napoli, sugli incidenti stradali «fantasma »: 62 medici, 12 avvocati, 300 indagati a vario titolo.
Come non fosse cambiato nulla, nel gennaio 2016, da quando un giudice vent’anni fa capì che Gerardo «Tapparella» Oliva, di professione testimone,
non poteva proprio aver assistito (un frontale qua, un tamponamento
là...) a 650 incidenti.
Che una pretesa superiorità morale della «società civile» non avesse senso, sia chiaro, si sapeva da un pezzo.
E nulla è fastidioso quanto ascoltare gli strilli di chi è idrofobo con «chi comanda» e il «governo ladro », sia esso di destra o di sinistra, e insieme indulgente verso se stesso, i propri furti, le proprie furbizie.
Detto questo, però, l’assoluzione della politica «che in fondo è solo lo specchio della società» è inaccettabile.
È la politica che deve pilotare la società a migliorare.
Lo spiegava, secoli fa, David Hume: «Nell’escogitare un sistema qualunque di governo e nel fissare i molti freni e controlli della Costituzione, si deve supporre
che ogni uomo sia un furfante e non abbia, in tutte le sue azioni, altro fine che l’interesse personale».
Sono le regole e la severità sul loro rispetto ad aiutare una società a crescere.
A diventare più corretta.
Ce l’ha ricordato, a modo suo, anche Roberto Mancini: «Il gesto del dito in Inghilterra non l’avrei fatto mai». Appunto...
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Re: Come se ne viene fuori ?
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Il punto
(Questa volta più amaro del solito)
Mentre Gian Antonio Stella preparava il suo editoriale, i suoi colleghi preparavano questi articoli per altri quotidiani riferitii agli ultimi avvenimenti, con una cronca copiosa alle spalle:
Raccolgono cibo per i poveri e lo vendono ai ristoranti | Oggi ...
http://www.oggitreviso.it › Treviso
26 gen 2015 - Raccolgoni cibo per i poveri e lo vendono ai ristoranti ... I due sono accusati di concorso in truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. ... sono d'accordo con te, quando andremo a raccolte alimentari ci sentiremo ...
Raccoglievano il cibo per i poveri ma lo vendevano ai ...
corrieredelveneto.corriere.it/.../raccoglievano-cibo-poveri-ma-vendevan...
24 gen 2015 - Raccoglievano il cibo per i poveri ... occupa della raccolta di alimenti per i bisognosi, per i reati di truffa ai dello Stato e appropriazione indebita.
Maxi truffa, 12 persone arrestate: vendevano alimenti ...
ilpuntontc.com/.../maxi-truffa-12-persone-arrestate-vendevano-alimenti....
1 giorno fa - Rivendono alimenti destinati ai poveri: maxi-truffa Ue da 4 milioni ... Secondo le prove raccolte dai militari, i truffatori hanno rivenduto 13 tonnellate di cibo ... milioni di poveri che in Italia hanno bisogno di aiuto per alimentarsi ...
Solo in Italia! Raccolgono cibo per i poveri e lo rivendono ...
http://www.italianosveglia.com/solo_in_ ... poveri_e_l...
08 mar 2015 - Raccolgono cibo per i poveri e lo rivendono nei ristoranti! ... e vice di un'associazione dedita alla raccolta di alimenti per i più bisognosi. ... PONZANO VENETO Concorso in truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita.
Ponzano, il cibo raccolto per i bisognosi rivenduto ai ristoranti
tribunatreviso.gelocal.it/.../il-cibo-raccolto-per-i-bisognosi-rivenduto-ai-r...
24 gen 2015 - Denunciati per appropriazione indebita e concorso in truffa ai danni dello Stato i titolari di una nota Onlus ... una raccolta di cibo per bisognosi.
Mancanti: poveri
Maxi truffa della frutta per i poveri: 12 arresti in tutta Italia, la ...
http://www.lodiedintorni.com/maxi-truff ... -arresti-i...
17 ore fa - Maxi truffa della frutta per i poveri: 12 arresti in tutta Italia, la mente era a ... che riusciva a rivendere in nero la frutta e la verdura destinata ai poveri, acquista in origine con i fondi UE. ... centro-raccolta-cibo-solidale-lodi-notizie.
Truffa: venduti alimenti per poveri - guadagno di 4 mln da ...
http://www.scoopnest.com/it/user/Medias ... 3492586497
#truffa a Ue, vendono 4 milioni di #alimenti destinati ai #poveri https://t.co/UwlbRQFaem ... #rieti, raccolta offerte e prodotti per le mense dei poveri
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Raccolgono cibo per i poveri e lo vendono ai ristoranti | Oggi ...
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26 gen 2015 - Raccolgoni cibo per i poveri e lo vendono ai ristoranti ... I due sono accusati di concorso in truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. ... sono d'accordo con te, quando andremo a raccolte alimentari ci sentiremo ...
Raccoglievano il cibo per i poveri ma lo vendevano ai ...
corrieredelveneto.corriere.it/.../raccoglievano-cibo-poveri-ma-vendevan...
24 gen 2015 - Raccoglievano il cibo per i poveri ... occupa della raccolta di alimenti per i bisognosi, per i reati di truffa ai dello Stato e appropriazione indebita.
Maxi truffa, 12 persone arrestate: vendevano alimenti ...
ilpuntontc.com/.../maxi-truffa-12-persone-arrestate-vendevano-alimenti....
1 giorno fa - Rivendono alimenti destinati ai poveri: maxi-truffa Ue da 4 milioni ... Secondo le prove raccolte dai militari, i truffatori hanno rivenduto 13 tonnellate di cibo ... milioni di poveri che in Italia hanno bisogno di aiuto per alimentarsi ...
Solo in Italia! Raccolgono cibo per i poveri e lo rivendono ...
http://www.italianosveglia.com/solo_in_ ... poveri_e_l...
08 mar 2015 - Raccolgono cibo per i poveri e lo rivendono nei ristoranti! ... e vice di un'associazione dedita alla raccolta di alimenti per i più bisognosi. ... PONZANO VENETO Concorso in truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita.
Ponzano, il cibo raccolto per i bisognosi rivenduto ai ristoranti
tribunatreviso.gelocal.it/.../il-cibo-raccolto-per-i-bisognosi-rivenduto-ai-r...
24 gen 2015 - Denunciati per appropriazione indebita e concorso in truffa ai danni dello Stato i titolari di una nota Onlus ... una raccolta di cibo per bisognosi.
Mancanti: poveri
Maxi truffa della frutta per i poveri: 12 arresti in tutta Italia, la ...
http://www.lodiedintorni.com/maxi-truff ... -arresti-i...
17 ore fa - Maxi truffa della frutta per i poveri: 12 arresti in tutta Italia, la mente era a ... che riusciva a rivendere in nero la frutta e la verdura destinata ai poveri, acquista in origine con i fondi UE. ... centro-raccolta-cibo-solidale-lodi-notizie.
Truffa: venduti alimenti per poveri - guadagno di 4 mln da ...
http://www.scoopnest.com/it/user/Medias ... 3492586497
#truffa a Ue, vendono 4 milioni di #alimenti destinati ai #poveri https://t.co/UwlbRQFaem ... #rieti, raccolta offerte e prodotti per le mense dei poveri
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Re: Come se ne viene fuori ?
CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA: ECCO A VOI LA VERA STORIA ITALIANA
di Nino Galloni
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l’Italia.
A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
È la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato.
All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.
Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.
E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l’assassino di Salvador Allende).
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».
Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».
E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.
Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».
Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.
Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.
«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.
Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».
Fonte: http://fuorisubito.blogspot.it/2014/11/ ... oi-la.html
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di Nino Galloni
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l’Italia.
A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
È la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato.
All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.
Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.
E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l’assassino di Salvador Allende).
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».
Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».
E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.
Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».
Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.
Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.
«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.
Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».
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Re: Come se ne viene fuori ?
pancho ha scritto:CIA, BILDERBERG, BR, BRITANNIA: ECCO A VOI LA VERA STORIA ITALIANA
di Nino Galloni
Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi, l’Italia.
A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.
È la drammatica ricostruzione di Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato.
All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, finche potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco.
Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli (facenti anche loro parte del gruppo Bilderberg) e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa».
Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”.
E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima» (Kissinger è anche l’assassino di Salvador Allende).
Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.
Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».
Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione» (il piano lo stà ultimando Renzi con il suo Job Acts). Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale».
Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».
Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici».
E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.
Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni.
Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».
Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».
Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.
Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questa Europa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti.
«Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».
Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gli Usa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista.
L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.
Prima, però, bisogna mandare a casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia.
Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».
Fonte: http://fuorisubito.blogspot.it/2014/11/ ... oi-la.html
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Questa di Nino Galloni è una conferma postuma fatta da chi ha vissuto la politica dall'interno, molto vicino al potere (Giovanni Galloni esponente della Dc dell'epoca era padre dell'autore di questo articolo), a noi ex ragazzacci di sinistra degli anni '60-'70-'80, che avevamo intuito quanto Galloni racconta con etrema obiettività.
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Re: Come se ne viene fuori ?
CONTINUA
Il punto
(Questa volta più amaro del solito)
La società italiana è continuamente squassata da problemi etico-sociali.
LO SCANDALO
Affittopoli, a Roma 9 mila case
agli abusivi (con indennizzo)
Il caso dei residenti senza contratto che ogni mese pagano una quota al Comune per non essere sfrattati. Al via la task force di Tronca. L’ex sindaco Marino: il commissario è astuto, i dati sono online da marzo
di Ernesto Menicucci
Articolo + Video
http://roma.corriere.it/notizie/cronaca ... 46a7.shtml
Il punto
(Questa volta più amaro del solito)
La società italiana è continuamente squassata da problemi etico-sociali.
LO SCANDALO
Affittopoli, a Roma 9 mila case
agli abusivi (con indennizzo)
Il caso dei residenti senza contratto che ogni mese pagano una quota al Comune per non essere sfrattati. Al via la task force di Tronca. L’ex sindaco Marino: il commissario è astuto, i dati sono online da marzo
di Ernesto Menicucci
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