Renzi
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Re: Renzi
Se Renzi impugna la bandiera europea di Spinelli
Il premier prenda ora l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo e consolidi l'identità di vedute con Mario Draghi
di EUGENIO SCALFARI
la lettera di Renzi dice: "La risposta ad una politica di rigore che fa soltanto danni, non è un superministro delle Finanze, ma la direzione della politica economica". Sono passati pochi giorni e Renzi ha presentato alle autorità europee un documento di nove pagine diviso in tre punti e una conclusione.
Il primo punto è intitolato: "A Fragile Recovery: Challenges and Opportunities " (è redatto in inglese). Il secondo punto è intitolato: "A Comprehensive Policy Mix". Dove si descrive un complesso di misure che realizzino una politica espansiva al posto di quella di austerità e rigore fin qui imposta dalla Commissione (e dalla Germania). Bisogna aumentare le capacità di crescita, sostenere la politica monetaria della Bce, varare una politica fiscale europea che tenda a riequilibrare le politiche nazionali aiutando la loro flessibilità in modo da ristabilire tra loro un equilibrio attualmente molto alterato. Completare l'Unione Bancaria ed estendere le garanzie in favore dei depositi bancari dei singoli Paesi. Fare intervenire l'Europa anche nelle politiche sociali e sindacali dei singoli Paesi, sempre al fine di rafforzare l'integrazione europea ed una politica di crescita e di equità. Rafforzare i confini europei verso il resto del mondo e smantellare al più presto possibile i confini interni ripristinati in molti Paesi violando il patto di Schengen. Dunque una politica comune dell'immigrazione più volte chiesta dall'Italia ma finora inesistente.
Infine il punto tre del documento che rappresenta, con un titolo altamente significativo, lo sbocco istituzionale della politica europeista delineata nelle pagine precedenti: "From the Short-term to the Long-term View" e così prosegue: "Una più forte comune politica monetaria ha bisogno di istituzioni comuni. Abbiamo bisogno d'una comune casa europea adottando un sistema comune. Queste funzioni debbono essere gestite da un ministro delle Finanze dell'Eurozona che persegua una comune politica fiscale. A questo scopo abbiamo bisogno d'un bilancio dell'Eurozona dotato delle risorse necessarie. Naturalmente questo ministro deve essere politicamente dotato di poteri per svolgere questo ruolo. Un ministro del genere deve far parte della Commissione europea e deve avere forti legami con il Parlamento di Bruxelles". Debbo dire: mi sono stropicciato gli occhi a leggere queste nove pagine del documento, la loro conclusione e il titolo che è tutto un programma. Bisogna passare da una politica a breve termine ad una visione a lungo termine: una frase nella quale c'è qualcosa che somiglia molto agli Stati Uniti d'Europa.
Sembrava che Renzi fosse andato inutilmente a Ventotene e invece il messaggio contenuto nel Manifesto firmato da Spinelli, Rossi e Colorni è stato, almeno così sembra, fatto proprio da Renzi che non si limita a invocare una politica di crescita e flessibilità economica, ma sceglie anche una bandiera che guidi l'opinione pubblica europeista e i governi che decidano di rappresentarla verso un radicale mutamento delle istituzioni: la visione di lungo termine, che però non può essere attesa senza darle subito un avvio. Bisognerà accendere una serie di motori e quello iniziale che dia inizio al percorso. Così accadde negli anni del dopoguerra con Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman. Allora nacque la Comunità del carbone e dell'acciaio e furono firmati nel 1957 i Trattati di Roma. Assumere come guida politica quella bandiera dà all'Italia uno status politico completamente diverso da quello avuto finora. Non più un monello che chiede concessioni alla spicciolata, un miliardo per un progetto, un altro miliardo per un'iniziativa, alternando sorrisi e insulti alla maniera d'un questuante, ma rivendicando il progetto che fu fatto proprio dai fondatori dell'Europa ma che aspetta ancora d'essere attuato.
Se Renzi ha scelto sul serio questa strada, che non sarà certo di rapida attuazione, il suo compito è di prendere l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo, consolidare l'identità di vedute con Mario Draghi affinché il motore politico si sposi a quello economico e monetario e ponga alla Germania il dilemma che quel Paese leader non può eludere. Aggiungo ancora che questo è anche il vero modo di rappresentare la sinistra. La domanda che prima ci siamo posti sulla vera natura della sinistra del ventunesimo secolo ha qui la sua risposta: la sinistra ha il compito di porsi l'obiettivo di costruire l'Europa federata che riformisti e moderati debbono far nascere insieme, come richiede una società globale governata da Stati di dimensioni continentali.
La sinistra italiana ed europea deve porsi alla testa di questo ideale e farne una concreta realtà dove le diseguaglianze siano rimosse e la produttività economica sia tutt'una con l'equità sociale, la comunione dei valori, il riconoscimento dei diritti e dei connessi doveri, la separazione dei poteri che garantiscano la nobiltà della politica
e la democrazia. L'Inno alla gioia e la bandiera stellata europea, come ha proposto Laura Boldrini, divengano i simboli della Nazione Europa. Da questo punto di vista ben venga il Partito democratico se lotterà affinché la Nazione Europa diventi una realtà.
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Il punto resta proprio questo
Il premier prenda ora l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo e consolidi l'identità di vedute con Mario Draghi
Il premier prenda ora l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo e consolidi l'identità di vedute con Mario Draghi
di EUGENIO SCALFARI
la lettera di Renzi dice: "La risposta ad una politica di rigore che fa soltanto danni, non è un superministro delle Finanze, ma la direzione della politica economica". Sono passati pochi giorni e Renzi ha presentato alle autorità europee un documento di nove pagine diviso in tre punti e una conclusione.
Il primo punto è intitolato: "A Fragile Recovery: Challenges and Opportunities " (è redatto in inglese). Il secondo punto è intitolato: "A Comprehensive Policy Mix". Dove si descrive un complesso di misure che realizzino una politica espansiva al posto di quella di austerità e rigore fin qui imposta dalla Commissione (e dalla Germania). Bisogna aumentare le capacità di crescita, sostenere la politica monetaria della Bce, varare una politica fiscale europea che tenda a riequilibrare le politiche nazionali aiutando la loro flessibilità in modo da ristabilire tra loro un equilibrio attualmente molto alterato. Completare l'Unione Bancaria ed estendere le garanzie in favore dei depositi bancari dei singoli Paesi. Fare intervenire l'Europa anche nelle politiche sociali e sindacali dei singoli Paesi, sempre al fine di rafforzare l'integrazione europea ed una politica di crescita e di equità. Rafforzare i confini europei verso il resto del mondo e smantellare al più presto possibile i confini interni ripristinati in molti Paesi violando il patto di Schengen. Dunque una politica comune dell'immigrazione più volte chiesta dall'Italia ma finora inesistente.
Infine il punto tre del documento che rappresenta, con un titolo altamente significativo, lo sbocco istituzionale della politica europeista delineata nelle pagine precedenti: "From the Short-term to the Long-term View" e così prosegue: "Una più forte comune politica monetaria ha bisogno di istituzioni comuni. Abbiamo bisogno d'una comune casa europea adottando un sistema comune. Queste funzioni debbono essere gestite da un ministro delle Finanze dell'Eurozona che persegua una comune politica fiscale. A questo scopo abbiamo bisogno d'un bilancio dell'Eurozona dotato delle risorse necessarie. Naturalmente questo ministro deve essere politicamente dotato di poteri per svolgere questo ruolo. Un ministro del genere deve far parte della Commissione europea e deve avere forti legami con il Parlamento di Bruxelles". Debbo dire: mi sono stropicciato gli occhi a leggere queste nove pagine del documento, la loro conclusione e il titolo che è tutto un programma. Bisogna passare da una politica a breve termine ad una visione a lungo termine: una frase nella quale c'è qualcosa che somiglia molto agli Stati Uniti d'Europa.
Sembrava che Renzi fosse andato inutilmente a Ventotene e invece il messaggio contenuto nel Manifesto firmato da Spinelli, Rossi e Colorni è stato, almeno così sembra, fatto proprio da Renzi che non si limita a invocare una politica di crescita e flessibilità economica, ma sceglie anche una bandiera che guidi l'opinione pubblica europeista e i governi che decidano di rappresentarla verso un radicale mutamento delle istituzioni: la visione di lungo termine, che però non può essere attesa senza darle subito un avvio. Bisognerà accendere una serie di motori e quello iniziale che dia inizio al percorso. Così accadde negli anni del dopoguerra con Adenauer, De Gasperi, Monnet, Schuman. Allora nacque la Comunità del carbone e dell'acciaio e furono firmati nel 1957 i Trattati di Roma. Assumere come guida politica quella bandiera dà all'Italia uno status politico completamente diverso da quello avuto finora. Non più un monello che chiede concessioni alla spicciolata, un miliardo per un progetto, un altro miliardo per un'iniziativa, alternando sorrisi e insulti alla maniera d'un questuante, ma rivendicando il progetto che fu fatto proprio dai fondatori dell'Europa ma che aspetta ancora d'essere attuato.
Se Renzi ha scelto sul serio questa strada, che non sarà certo di rapida attuazione, il suo compito è di prendere l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo, consolidare l'identità di vedute con Mario Draghi affinché il motore politico si sposi a quello economico e monetario e ponga alla Germania il dilemma che quel Paese leader non può eludere. Aggiungo ancora che questo è anche il vero modo di rappresentare la sinistra. La domanda che prima ci siamo posti sulla vera natura della sinistra del ventunesimo secolo ha qui la sua risposta: la sinistra ha il compito di porsi l'obiettivo di costruire l'Europa federata che riformisti e moderati debbono far nascere insieme, come richiede una società globale governata da Stati di dimensioni continentali.
La sinistra italiana ed europea deve porsi alla testa di questo ideale e farne una concreta realtà dove le diseguaglianze siano rimosse e la produttività economica sia tutt'una con l'equità sociale, la comunione dei valori, il riconoscimento dei diritti e dei connessi doveri, la separazione dei poteri che garantiscano la nobiltà della politica
e la democrazia. L'Inno alla gioia e la bandiera stellata europea, come ha proposto Laura Boldrini, divengano i simboli della Nazione Europa. Da questo punto di vista ben venga il Partito democratico se lotterà affinché la Nazione Europa diventi una realtà.
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Il punto resta proprio questo
Il premier prenda ora l'iniziativa di un'intesa dei Paesi che condividono l'obiettivo e consolidi l'identità di vedute con Mario Draghi
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Re: Renzi
Continuo
Il problema che Scalfari non comprende è sempre lo stesso, cioè " se mia nonna avesse le ruote non sarebbe mia nonna, ma un carro".
Infatti come potrebbe Renzi condividere una politica Con Grecia, Spagna, Portogallo (qualora in questi paesi la sinistra andasse al potere , ed è probabile) quando l'idea DI SINISTRA è TUTTA UN'ALTRA COSA.
Il problema che Scalfari non comprende è sempre lo stesso, cioè " se mia nonna avesse le ruote non sarebbe mia nonna, ma un carro".
Infatti come potrebbe Renzi condividere una politica Con Grecia, Spagna, Portogallo (qualora in questi paesi la sinistra andasse al potere , ed è probabile) quando l'idea DI SINISTRA è TUTTA UN'ALTRA COSA.
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Re: Renzi
Referendum, tutti contro Renzi: se perde, dovrà andarsene
Scritto il 21/3/16 • nella Categoria: idee
Questo articolo potrebbe ridursi a pochissime parole: Renzi ha la maggioranza relativa dei simpatizzanti, ma la maggioranza assoluta degli odiatori. Non c’è dubbio che, fra i politici attualmente in corsa, Renzi sia quello che conta il maggior numero di simpatizzanti, magari non più il mitico 41% delle europee di due anni fa, ma, comunque, è al di là del 30%, un livello che non raggiunge nessun altro esponente politico attuale. Però è anche molto odiato da tutti gli altri. Dai sostenitori del M5s a quelli della Lega, da quelli di Sel e Rifondazione a quelli di Forza Italia e raccoglie una nutrita schiera di antipatizzanti anche nell’area di chi non vota. Detto così potrebbe essere un’ affermazione ovvia: ogni uomo politico raccoglie il maggior numero dei suoi simpatizzanti fra gli elettori del suo partito, mentre ha più numerosi antipatizzanti fra quelli che votano per gli altri partiti. Ma non si tratta di questo: Renzi è un caso particolare, come lo fu Berlusconi (quando ancora era vivo). Il fiorentino non suscita solo ovvi dissensi, freddezza o semplici antipatie come qualsiasi altro politico, lui accende ostilità feroci.Fra gli elettori di altri partiti, uno come Veltroni, Bersani, Franceschini può attirare antipatie, ma anche molta indifferenza, freddezza, forse anche una vaga commiserazione, mentre Renzi non risulta mai indifferente: è detestato. Neppure D’Alema è mai riuscito a riscuotere tanta avversione. A rendere il fiorentino tanto inviso sono la sua arroganza, rozzezza, maleducazione, la sua incapacità di trattare in modo civile con chi non è un suo fan, la cialtroneria nel vantare successi inesistenti o non suoi, lo stile da telepromozioni commerciali dei suoi discorsi, la sua andatura pavoneggiante, ma, più di tutto, il suo sfrenato narcisismo. Renzi si sente bravo, è convinto di essere meglio di Napoleone, Cavour e De Gaulle messi insieme. E questo può costargli molto. In qualche modo è quello che spiega la “maledizione del secondo turno” per il il Pd: di solito, vince quando vince al primo turno, mentre al secondo spesso perde anche con avversari che partono da 20 o 25 punti in meno.Il segreto è questo: gli elettori della sinistra preferiscono astenersi o votare M5s piuttosto che votare Pd. Gli elettori della destra preferiscono il M5s o l’astensione ma non votano mai per il Pd. Quello del M5s preferiscono l’astensione, più raramente la destra e quasi mai il Pd. Al secondo turno l’elettorato dei partiti che non sono arrivati al ballottaggio non votano per qualcuno, ma contro l’altro, quello più odiato. Ed il Pd, con l’immagine di Renzi è il più odiato. La cosa divertente è che il doppio turno è sempre stato il sistema preferito ad Pci-Pds-Pd sino all’Italicum. Dicevamo che questo può costare molto a Renzi e c’è già un’occasione in cui verificarlo: il referendum di ottobre sulla riforma istituzionale. Sul merito del referendum scriveremo ad hoc, qui ci limitiamo ad affermate che Renzi parte in forte vantaggio: stante il tasso di spoliticizzazione della gente, il sentire comune degli elettori è dalla parte sua perché la gente capisce solo che Renzi vuol tagliare le spese per la politica ed, in qualche modo, dare un ceffone alla casta e questo suscita simpatie.Stare a spiegare il progetto autoritario che c’è dietro per il combinato disposto con l’infame legge elettorale (la Boschi-Acerbo) è cosa complicata e da specialisti, per cui affrontare il referendum su quel fianco (come propongono gli ottuagenari costituzionalisti della sinistra) significa perderlo con sicurezza. E sai che novità: l’unica cosa che la sinistra sa fare con stile e competenza è perdere. Dunque, per il presidente del Consiglio potrebbe essere una partita di tutto riposo, da affrontare in scioltezza, ma il “fiorentino spirito buzzurro” ha vellicato il suo imbattibile narcisismo suggerendogli di trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua augusta persona, in modo che la vittoria lo incoroni Re d’Italia a vita. Dopo pochi mesi andremmo a votare e, con un successo referendario alle spalle, per lui sarebbe un gioco da ragazzi: la destra sarebbe impreparata (e temo lo sarebbe anche il M5s che sarebbe comunque dalla parte degli sconfitti ai referendum anche lui), nel partito nessuno oserebbe fare un bliz e lui potrebbe massacrare la sinistra uomo per uomo (e questo sarebbe l’unico dato positivo) e poi andare a vincere le elezioni in tutta tranquillità. Per di più, se si votasse nel 2017 si scanserebbe anche il giudizio della Corte Costituzionale sull’Italicum.Il punto è che fare il referendum non sulla riforma ma su Renzi è, per il valente statista, l’unico modo serio di rischiare di perdere. La sua sfida va raccolta e nel referendum bisogna parlare poco del merito della riforma e molto dei disastri combinati da questo governo, delle sue mirabolanti promesse e dei sui desolanti risultati, delle figuracce internazionali, ecc. Ai giovano precari ed ai lavoratori bisogna parlare del job act, agli insegnanti ed agli studenti della legge sulla buona scuola, ai risparmiatori ed ai piccoli azionisti delle banche degli scandali bancari e delle strane riforme sulle popolari e le Bcc, e così via. Poi gli eruditi giuristi della sinistra intrattengano pure le signore bene, all’ora del the, con le loro dotte disquisizioni: va bene, servono anche quei quattro voti. Dobbiamo accontentalo: Renzi deve essere il centro della campagna referendaria. Slogan centrale: “Renzi ha detto che se perde se ne va: un’occasione da non perdere!”.(Aldo Giannuli, “Il referendum di ottobre: il punto debole di Renzi”, dal blog di Giannuli del 14 marzo 2016).
Questo articolo potrebbe ridursi a pochissime parole: Renzi ha la maggioranza relativa dei simpatizzanti, ma la maggioranza assoluta degli odiatori. Non c’è dubbio che, fra i politici attualmente in corsa, Renzi sia quello che conta il maggior numero di simpatizzanti, magari non più il mitico 41% delle europee di due anni fa, ma, comunque, è al di là del 30%, un livello che non raggiunge nessun altro esponente politico attuale. Però è anche molto odiato da tutti gli altri. Dai sostenitori del M5s a quelli della Lega, da quelli di Sel e Rifondazione a quelli di Forza Italia e raccoglie una nutrita schiera di antipatizzanti anche nell’area di chi non vota. Detto così potrebbe essere un’ affermazione ovvia: ogni uomo politico raccoglie il maggior numero dei suoi simpatizzanti fra gli elettori del suo partito, mentre ha più numerosi antipatizzanti fra quelli che votano per gli altri partiti. Ma non si tratta di questo: Renzi è un caso particolare, come lo fu Berlusconi (quando ancora era vivo). Il fiorentino non suscita solo ovvi dissensi, freddezza o semplici antipatie come qualsiasi altro politico, lui accende ostilità feroci.
Fra gli elettori di altri partiti, uno come Veltroni, Bersani, Franceschini può attirare antipatie, ma anche molta indifferenza, freddezza, forse anche una vaga commiserazione, mentre Renzi non risulta mai indifferente: è detestato. Neppure D’Alema è mai Renziriuscito a riscuotere tanta avversione. A rendere il fiorentino tanto inviso sono la sua arroganza, rozzezza, maleducazione, la sua incapacità di trattare in modo civile con chi non è un suo fan, la cialtroneria nel vantare successi inesistenti o non suoi, lo stile da telepromozioni commerciali dei suoi discorsi, la sua andatura pavoneggiante, ma, più di tutto, il suo sfrenato narcisismo. Renzi si sente bravo, è convinto di essere meglio di Napoleone, Cavour e De Gaulle messi insieme. E questo può costargli molto. In qualche modo è quello che spiega la “maledizione del secondo turno” per il il Pd: di solito, vince quando vince al primo turno, mentre al secondo spesso perde anche con avversari che partono da 20 o 25 punti in meno.
Il segreto è questo: gli elettori della sinistra preferiscono astenersi o votare M5s piuttosto che votare Pd. Gli elettori della destra preferiscono il M5s o l’astensione ma non votano mai per il Pd. Quello del M5s preferiscono l’astensione, più raramente la destra e quasi mai il Pd. Al secondo turno l’elettorato dei partiti che non sono arrivati al ballottaggio non votano per qualcuno, ma contro l’altro, quello più odiato. Ed il Pd, con l’immagine di Renzi è il più odiato. La cosa divertente è che il doppio turno è sempre stato il sistema preferito ad Pci-Pds-Pd sino all’Italicum. Dicevamo che questo può costare molto a Renzi e c’è già un’occasione in cui verificarlo: il referendum di ottobre sulla riforma istituzionale. Sul merito del referendum scriveremo ad hoc, qui ci limitiamo ad affermate che Renzi parte in forte vantaggio: stante il tasso di spoliticizzazione della gente, il sentire comune Renzi con la Boschidegli elettori è dalla parte sua perché la gente capisce solo che Renzi vuol tagliare le spese per la politica ed, in qualche modo, dare un ceffone alla casta e questo suscita simpatie.
Stare a spiegare il progetto autoritario che c’è dietro per il combinato disposto con l’infame legge elettorale (la Boschi-Acerbo) è cosa complicata e da specialisti, per cui affrontare il referendum su quel fianco (come propongono gli ottuagenari costituzionalisti della sinistra) significa perderlo con sicurezza. E sai che novità: l’unica cosa che la sinistra sa fare con stile e competenza è perdere. Dunque, per il presidente del Consiglio potrebbe essere una partita di tutto riposo, da affrontare in scioltezza, ma il “fiorentino spirito buzzurro” ha vellicato il suo imbattibile narcisismo suggerendogli di trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua augusta persona, in modo che la vittoria lo incoroni Re d’Italia a vita. Dopo pochi mesi andremmo a votare e, con un successo referendario alle spalle, per lui sarebbe un gioco da ragazzi: la destra sarebbe impreparata (e temo lo sarebbe anche il M5s che sarebbe comunque dalla parte degli sconfitti ai referendum anche lui), nel partito nessuno oserebbe fare un bliz e lui potrebbe massacrare la sinistra uomo per uomo (e questo sarebbe l’unico dato positivo) e poi andare a vincere le elezioni in tutta tranquillità. Per di più, se si votasse nel 2017 si Giannuliscanserebbe anche il giudizio della Corte Costituzionale sull’Italicum.
Il punto è che fare il referendum non sulla riforma ma su Renzi è, per il valente statista, l’unico modo serio di rischiare di perdere. La sua sfida va raccolta e nel referendum bisogna parlare poco del merito della riforma e molto dei disastri combinati da questo governo, delle sue mirabolanti promesse e dei sui desolanti risultati, delle figuracce internazionali, ecc. Ai giovano precari ed ai lavoratori bisogna parlare del job act, agli insegnanti ed agli studenti della legge sulla buona scuola, ai risparmiatori ed ai piccoli azionisti delle banche degli scandali bancari e delle strane riforme sulle popolari e le Bcc, e così via. Poi gli eruditi giuristi della sinistra intrattengano pure le signore bene, all’ora del the, con le loro dotte disquisizioni: va bene, servono anche quei quattro voti. Dobbiamo accontentalo: Renzi deve essere il centro della campagna referendaria. Slogan centrale: “Renzi ha detto che se perde se ne va: un’occasione da non perdere!”.
(Aldo Giannuli, “Il referendum di ottobre: il punto debole di Renzi”, dal blog di Giannuli del 14 marzo 2016).
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Re: Renzi
Referendum, tutti contro Renzi: se perde, dovrà andarsene
Scritto il 21/3/16 • nella Categoria: idee
Questo articolo potrebbe ridursi a pochissime parole: Renzi ha la maggioranza relativa dei simpatizzanti, ma la maggioranza assoluta degli odiatori. Non c’è dubbio che, fra i politici attualmente in corsa, Renzi sia quello che conta il maggior numero di simpatizzanti, magari non più il mitico 41% delle europee di due anni fa, ma, comunque, è al di là del 30%, un livello che non raggiunge nessun altro esponente politico attuale. Però è anche molto odiato da tutti gli altri. Dai sostenitori del M5s a quelli della Lega, da quelli di Sel e Rifondazione a quelli di Forza Italia e raccoglie una nutrita schiera di antipatizzanti anche nell’area di chi non vota. Detto così potrebbe essere un’ affermazione ovvia: ogni uomo politico raccoglie il maggior numero dei suoi simpatizzanti fra gli elettori del suo partito, mentre ha più numerosi antipatizzanti fra quelli che votano per gli altri partiti. Ma non si tratta di questo: Renzi è un caso particolare, come lo fu Berlusconi (quando ancora era vivo). Il fiorentino non suscita solo ovvi dissensi, freddezza o semplici antipatie come qualsiasi altro politico, lui accende ostilità feroci.Fra gli elettori di altri partiti, uno come Veltroni, Bersani, Franceschini può attirare antipatie, ma anche molta indifferenza, freddezza, forse anche una vaga commiserazione, mentre Renzi non risulta mai indifferente: è detestato. Neppure D’Alema è mai riuscito a riscuotere tanta avversione. A rendere il fiorentino tanto inviso sono la sua arroganza, rozzezza, maleducazione, la sua incapacità di trattare in modo civile con chi non è un suo fan, la cialtroneria nel vantare successi inesistenti o non suoi, lo stile da telepromozioni commerciali dei suoi discorsi, la sua andatura pavoneggiante, ma, più di tutto, il suo sfrenato narcisismo. Renzi si sente bravo, è convinto di essere meglio di Napoleone, Cavour e De Gaulle messi insieme. E questo può costargli molto. In qualche modo è quello che spiega la “maledizione del secondo turno” per il il Pd: di solito, vince quando vince al primo turno, mentre al secondo spesso perde anche con avversari che partono da 20 o 25 punti in meno.Il segreto è questo: gli elettori della sinistra preferiscono astenersi o votare M5s piuttosto che votare Pd. Gli elettori della destra preferiscono il M5s o l’astensione ma non votano mai per il Pd. Quello del M5s preferiscono l’astensione, più raramente la destra e quasi mai il Pd. Al secondo turno l’elettorato dei partiti che non sono arrivati al ballottaggio non votano per qualcuno, ma contro l’altro, quello più odiato. Ed il Pd, con l’immagine di Renzi è il più odiato. La cosa divertente è che il doppio turno è sempre stato il sistema preferito ad Pci-Pds-Pd sino all’Italicum. Dicevamo che questo può costare molto a Renzi e c’è già un’occasione in cui verificarlo: il referendum di ottobre sulla riforma istituzionale. Sul merito del referendum scriveremo ad hoc, qui ci limitiamo ad affermate che Renzi parte in forte vantaggio: stante il tasso di spoliticizzazione della gente, il sentire comune degli elettori è dalla parte sua perché la gente capisce solo che Renzi vuol tagliare le spese per la politica ed, in qualche modo, dare un ceffone alla casta e questo suscita simpatie.Stare a spiegare il progetto autoritario che c’è dietro per il combinato disposto con l’infame legge elettorale (la Boschi-Acerbo) è cosa complicata e da specialisti, per cui affrontare il referendum su quel fianco (come propongono gli ottuagenari costituzionalisti della sinistra) significa perderlo con sicurezza. E sai che novità: l’unica cosa che la sinistra sa fare con stile e competenza è perdere. Dunque, per il presidente del Consiglio potrebbe essere una partita di tutto riposo, da affrontare in scioltezza, ma il “fiorentino spirito buzzurro” ha vellicato il suo imbattibile narcisismo suggerendogli di trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua augusta persona, in modo che la vittoria lo incoroni Re d’Italia a vita. Dopo pochi mesi andremmo a votare e, con un successo referendario alle spalle, per lui sarebbe un gioco da ragazzi: la destra sarebbe impreparata (e temo lo sarebbe anche il M5s che sarebbe comunque dalla parte degli sconfitti ai referendum anche lui), nel partito nessuno oserebbe fare un bliz e lui potrebbe massacrare la sinistra uomo per uomo (e questo sarebbe l’unico dato positivo) e poi andare a vincere le elezioni in tutta tranquillità. Per di più, se si votasse nel 2017 si scanserebbe anche il giudizio della Corte Costituzionale sull’Italicum.Il punto è che fare il referendum non sulla riforma ma su Renzi è, per il valente statista, l’unico modo serio di rischiare di perdere. La sua sfida va raccolta e nel referendum bisogna parlare poco del merito della riforma e molto dei disastri combinati da questo governo, delle sue mirabolanti promesse e dei sui desolanti risultati, delle figuracce internazionali, ecc. Ai giovano precari ed ai lavoratori bisogna parlare del job act, agli insegnanti ed agli studenti della legge sulla buona scuola, ai risparmiatori ed ai piccoli azionisti delle banche degli scandali bancari e delle strane riforme sulle popolari e le Bcc, e così via. Poi gli eruditi giuristi della sinistra intrattengano pure le signore bene, all’ora del the, con le loro dotte disquisizioni: va bene, servono anche quei quattro voti. Dobbiamo accontentalo: Renzi deve essere il centro della campagna referendaria. Slogan centrale: “Renzi ha detto che se perde se ne va: un’occasione da non perdere!”.
(Aldo Giannuli, “Il referendum di ottobre: il punto debole di Renzi”, dal blog di Giannuli del 14 marzo 2016).
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Re: Renzi
Referendum trivelle: c’era una volta il Pd, oggi traditore:?
di Paolo Farinella | 21 marzo 2016
Commenti (17)
Mentre scrivo, il calendario cattolico riporta la memoria di San Giuseppe operaio (o piccolo imprenditore, poco importa) e il pensiero corre al film (anno 1971) di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso”, musiche di Ennio Morricone e la faccia tragica di Gian Maria Volontè (Lulù) che oggi, con la politica nefasta del Partito (ex)democratico non solo non andrebbe mai nemmeno in purgatorio, ma sarebbe sprofondato all’inferno, perché la Leopolda di Renzi non vuole operai e tanto meno vuole democrazia. Il potere è più gustoso da solo senza doverlo spartire con il popolo senza arte né parte.
Bisogna lasciare comandare il bullo fiorentino e la sua degna comare Etruria-Boschi perché sono illuminati a led e ci fanno risparmiare tempo. Il referendum contro le trivellazioni petrolifere “è inutile” dice la Serracchiani che fece carriera attaccando (segretario Franceschini) la casta che privava la base di partecipazione democratica. Il 21 gennaio 2012, cioè l’altro ieri, la signora governatrice dichiarò di essere andata “a Monopoli alla manifestazione a difesa del mare Adriatico dai rischi delle trivellazioni petrolifere”. I casi sono due: o le trivellazioni fanno male sempre sia che si sia al governo sia che si stia all’opposizione o chi parla così è una mistificatrice; non esistono trivellazioni governative e trivellazioni di opposizione.
Il fatto più grave è l’invito di Renzi e di Serracchiani e di Etruria-Boschi a non andare a votare il 17 aprile 2017 contro le trivellazioni in mare, specialmente dopo la conferenza di Parigi sull’ambiente. Quando lo fece Craxi (e perse) il partito della Serracchiani gridò alla blasfemìa; quando lo fece il card. Ruini (e vinse con Berlusconi), vi fu una levata di scusi tanto che Prodi che si permise di dire di essere “un cristiano adulto” e quindi decise di andare a votare, ci rimise le penne, il governo e la carriera politica futura.
Che Berlusconi se ne strafreghi della democrazia non fa notizia perché si sa che è pregiudicato e affarista il cui unico interesse erano i suoi soldi, per cui è stato anche condannato. Che il Partito sedicente democratico inviti a non andare a votare dichiarando che il più grande strumento di democrazia (v. la Svizzera) “è inutile“, ha passato il segno della decenza e del lecito. Non solo Renzi-Etruria-Madia-Serracchiani ci hanno defraudato del voto politico perché “è inutile” – questa volta sì! – andare a votare per liste di nominati dalla segreteria del partito che, con una stringata minoranza (il 25% di voti) può papparsi tutta la Camera dei deputati e quindi il Parlamento. Qui ci vogliono togliere anche l’ultimo sprazzo di democrazia che resta: il referendum che essi vedono come fumo negli occhi.
Se dovessero vincere Renzi e l’Etruria, noi non andremo più a votare né potremmo indire un referendum popolare contro le loro leggi perché hanno aumentato le firme fino a 800mila proprio per scoraggiare fin da adesso eventuali spiriti con venature democratiche e fare vedere chi comanda. Se Berlusconi avesse azzardato anche solo la metà dello scempio di democrazia che stanno facendo Renzi e Boschi, l’intero Pd sarebbe nelle piazze, in ogni anfratto, girotondi, sfilate, manifestazioni, convocazioni di assemblee e avrebbe vinto perché Berlusconi era debole perché proprietario di una masnada di profittatori che, infatti, lo hanno abbandonato, tranne Bertolaso che vuole continuare a coprirsi di vergogna.
L’esempio eclatante è la norma approvata dal governo Renzi-Boschi che, denigrando il referendum dell’acqua che con la percentuale del 95% ha imposto a qualsiasi governo di lasciarla pubblica ne permette la gestione privata, infischiandosene della volontà popolare. Occorre dargli una lezione di civiltà.
Il Partito ex democratico è un traditore del suo passato, di tutto il mondo operaio, dei pensionati, dei suoi iscritti, del suo popolo, ormai in fuga, e anche del futuro dell’Italia. Prima ancora che Renzi pugnalasse alle spalle Enrico Letta e poi Prodi al Quirinale, dissi e scrissi che bisognava stare attenti perché sarebbe stato peggio di Berlusconi e avrebbe distrutto il Pd; allora tutti i miei amici mi risero dietro, lasciandosi affascinare dalla giovane età (che però è una malattia che passa presto con gli anni) e dalla squadra leggiadra “alzo tacco 12″ della Elena Boschi. Oggi è peggio perché a questo governo, forse legittimo formalmente, ma illegittimo moralmente, manca qualsiasi morale, qualsiasi senso di pudore.
Al referendum del 17 aprile bisogna andare a votare sì contro le trivelle petrolifere per la salvezza del nostro mare che appartiene ai vostri figli e ai nostri nipoti; per affermare il diritto della democrazia; per contrastare la dittatura oligarchica di una manica di bulli che si stanno succhiando l’Italia, almeno quello che resta di quella che si è bevuta Craxi e i suoi familiari. Occorre votare «sì» per coerenza, per difendere noi stessi, la nostra libertà e la funzione del governo che deve rispettare la volontà popolare. Sempre.
Al referendum costituzionale bisogna andare a votare No per amore della Costituzione, perché se passa il Sì di Renzi, non solo lui e la Boschi-Etruria restano al governo fino alla morte, ma noi retrocederemo al livello di servi della gleba, schiavi volontari che hanno abdicato anche alla loro dignità. Non possiamo permetterlo, non possiamo tollerarlo.
È ora il tempo di dare un colpo di reni e, bandendo rassegnazione e viltà, attuare il dettato costituzionale che stabilisce con orgoglio che il “potere appartiene al popolo” e non a un Renzi-Etruria qualsiasi.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... e/2565973/
di Paolo Farinella | 21 marzo 2016
Commenti (17)
Mentre scrivo, il calendario cattolico riporta la memoria di San Giuseppe operaio (o piccolo imprenditore, poco importa) e il pensiero corre al film (anno 1971) di Elio Petri “La classe operaia va in paradiso”, musiche di Ennio Morricone e la faccia tragica di Gian Maria Volontè (Lulù) che oggi, con la politica nefasta del Partito (ex)democratico non solo non andrebbe mai nemmeno in purgatorio, ma sarebbe sprofondato all’inferno, perché la Leopolda di Renzi non vuole operai e tanto meno vuole democrazia. Il potere è più gustoso da solo senza doverlo spartire con il popolo senza arte né parte.
Bisogna lasciare comandare il bullo fiorentino e la sua degna comare Etruria-Boschi perché sono illuminati a led e ci fanno risparmiare tempo. Il referendum contro le trivellazioni petrolifere “è inutile” dice la Serracchiani che fece carriera attaccando (segretario Franceschini) la casta che privava la base di partecipazione democratica. Il 21 gennaio 2012, cioè l’altro ieri, la signora governatrice dichiarò di essere andata “a Monopoli alla manifestazione a difesa del mare Adriatico dai rischi delle trivellazioni petrolifere”. I casi sono due: o le trivellazioni fanno male sempre sia che si sia al governo sia che si stia all’opposizione o chi parla così è una mistificatrice; non esistono trivellazioni governative e trivellazioni di opposizione.
Il fatto più grave è l’invito di Renzi e di Serracchiani e di Etruria-Boschi a non andare a votare il 17 aprile 2017 contro le trivellazioni in mare, specialmente dopo la conferenza di Parigi sull’ambiente. Quando lo fece Craxi (e perse) il partito della Serracchiani gridò alla blasfemìa; quando lo fece il card. Ruini (e vinse con Berlusconi), vi fu una levata di scusi tanto che Prodi che si permise di dire di essere “un cristiano adulto” e quindi decise di andare a votare, ci rimise le penne, il governo e la carriera politica futura.
Che Berlusconi se ne strafreghi della democrazia non fa notizia perché si sa che è pregiudicato e affarista il cui unico interesse erano i suoi soldi, per cui è stato anche condannato. Che il Partito sedicente democratico inviti a non andare a votare dichiarando che il più grande strumento di democrazia (v. la Svizzera) “è inutile“, ha passato il segno della decenza e del lecito. Non solo Renzi-Etruria-Madia-Serracchiani ci hanno defraudato del voto politico perché “è inutile” – questa volta sì! – andare a votare per liste di nominati dalla segreteria del partito che, con una stringata minoranza (il 25% di voti) può papparsi tutta la Camera dei deputati e quindi il Parlamento. Qui ci vogliono togliere anche l’ultimo sprazzo di democrazia che resta: il referendum che essi vedono come fumo negli occhi.
Se dovessero vincere Renzi e l’Etruria, noi non andremo più a votare né potremmo indire un referendum popolare contro le loro leggi perché hanno aumentato le firme fino a 800mila proprio per scoraggiare fin da adesso eventuali spiriti con venature democratiche e fare vedere chi comanda. Se Berlusconi avesse azzardato anche solo la metà dello scempio di democrazia che stanno facendo Renzi e Boschi, l’intero Pd sarebbe nelle piazze, in ogni anfratto, girotondi, sfilate, manifestazioni, convocazioni di assemblee e avrebbe vinto perché Berlusconi era debole perché proprietario di una masnada di profittatori che, infatti, lo hanno abbandonato, tranne Bertolaso che vuole continuare a coprirsi di vergogna.
L’esempio eclatante è la norma approvata dal governo Renzi-Boschi che, denigrando il referendum dell’acqua che con la percentuale del 95% ha imposto a qualsiasi governo di lasciarla pubblica ne permette la gestione privata, infischiandosene della volontà popolare. Occorre dargli una lezione di civiltà.
Il Partito ex democratico è un traditore del suo passato, di tutto il mondo operaio, dei pensionati, dei suoi iscritti, del suo popolo, ormai in fuga, e anche del futuro dell’Italia. Prima ancora che Renzi pugnalasse alle spalle Enrico Letta e poi Prodi al Quirinale, dissi e scrissi che bisognava stare attenti perché sarebbe stato peggio di Berlusconi e avrebbe distrutto il Pd; allora tutti i miei amici mi risero dietro, lasciandosi affascinare dalla giovane età (che però è una malattia che passa presto con gli anni) e dalla squadra leggiadra “alzo tacco 12″ della Elena Boschi. Oggi è peggio perché a questo governo, forse legittimo formalmente, ma illegittimo moralmente, manca qualsiasi morale, qualsiasi senso di pudore.
Al referendum del 17 aprile bisogna andare a votare sì contro le trivelle petrolifere per la salvezza del nostro mare che appartiene ai vostri figli e ai nostri nipoti; per affermare il diritto della democrazia; per contrastare la dittatura oligarchica di una manica di bulli che si stanno succhiando l’Italia, almeno quello che resta di quella che si è bevuta Craxi e i suoi familiari. Occorre votare «sì» per coerenza, per difendere noi stessi, la nostra libertà e la funzione del governo che deve rispettare la volontà popolare. Sempre.
Al referendum costituzionale bisogna andare a votare No per amore della Costituzione, perché se passa il Sì di Renzi, non solo lui e la Boschi-Etruria restano al governo fino alla morte, ma noi retrocederemo al livello di servi della gleba, schiavi volontari che hanno abdicato anche alla loro dignità. Non possiamo permetterlo, non possiamo tollerarlo.
È ora il tempo di dare un colpo di reni e, bandendo rassegnazione e viltà, attuare il dettato costituzionale che stabilisce con orgoglio che il “potere appartiene al popolo” e non a un Renzi-Etruria qualsiasi.
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Re: Renzi
La prova della truffa
Così i risparmiatori vengono fregati
Francesco Forte - Lun, 21/03/2016 - 15:30
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Il presidente Lorenzo Rosi, il vicepresidente Alfredo Berni, il vicepresidente Pier Luigi Boschi e il consiglio di amministrazione di Banca Etruria sono sotto inchiesta, da parte della procura della Repubblica di Arezzo, per bancarotta fraudolenta perché hanno dato un milione e 200mila euro di buona uscita al direttore generale Luca Bronchi, con la delibera del 30 giugno 2014 con cui questi veniva licenziato prima del termine del suo contratto in quanto la banca si trovava in una situazione gravemente deteriorata ed occorreva una nuova gestione.
In tali casi non tocca all'alto dirigente una buona uscita, ma si discute se gli si debbano contestare responsabilità specifiche e fare al riguardo accertamenti. Questo è ciò che prescrive la prassi e che si legge nel rapporto che la Banca di Italia, che ha portato al suo commissariamento da parte del ministero dell'Economia su proposta della medesima. Come rileva la Relazione di allora della Banca di Italia, le regole di Banca Etruria vigenti nel luglio del 2008 quando Bronchi era stato assunto e quando nell'estate del 2014 era stato licenziato, prevedevano che in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, l'eventuale bonus fosse commisurato alla sua performance e ai rischi da lui assunti. Questi 1,2 milioni di euro non dovuti non sono una grossa percentuale nella bancarotta di Banca Etruria, che secondo il liquidatore del fallimento è di 1,1 miliardi. Ma il fatto che il presidente e i due vicepresidenti e il resto del consiglio di amministrazione - tranne il consigliere Giovanni Grazzini, astenuto - abbiano approvato il ricco bonus senza indagare sulla gestione segnala che si voleva stendere un velo pietoso sulle ragioni del dissesto che aveva costretto a un ricambio di direttore generale e che stava per portare al commissariamento.Ne consegue che gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinati della banca che sono ora con un pugno di carta straccia sono stati ingannati e molto probabilmente truffati. Non hanno corso un rischio di cui erano o potevano esser consapevoli. La verità è stata scientemente occultata. Eppure essi non possono inserirsi nel fallimento per far valere le loro ragioni, perché il decreto del governo sul salvataggio di questa banca e di altre tre minori lo impedisce. Il decreto ha salvato il personale e i depositanti ed ha fatto pagare il conto agli azionisti e ai titolari di obbligazioni subordinati, violando le norme costituzionali sulla tutela del risparmio in tutte le sue forme. Esso non ha previsto un risarcimento per questa lesione illecita di diritti dei risparmiatori. Gli azionisti e obbligazionisti subordinati, con il decreto governativo, vengono indennizzati solo per motivazioni sociali, quando non abbiano redditi elevati cioè in virtù di un presunto atto umanitario. La nuova Banca Etruria, però ha ora un valido motivo oggettivo per riparare a ciò: risarcire chi non viene indennizzato dallo Stato, onde smacchiare il nome che essa porta da una cattiva reputazione attribuibile alla passata gestione. Certamente, fatto che ora emerge, con l'indagine per bancarotta fraudolenta che sta facendo la Guardia di finanza, su ordine della Procura della Repubblica aretina, anche su altri episodi oltre a questo bonus, indica che ci può esser molto più marcio nella gestione passata della banca, di quello qui accertato. Ma già ora ce ne è abbastanza per porre il quesito: «Perché i vertici della banca hanno tollerato quel marciume? Perché il governo quando - il 18 dicembre del 2015 - ha varato il decreto legge per Banca Etruria e le altre banche minori, non ha tenuto conto di tutto ciò che già allora si sapeva sulla probabilità di una truffa per i risparmiatori? Il danno che è stato fatto è enorme non solo per questa banca, ma soprattutto per la reputazione del nostro sistema bancario dando all'opinione pubblica una cattiva sensazione, su cui gli ambienti finanziari internazionali hanno inzuppato il loro pane.
Francesco Forte
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 37458.html
Così i risparmiatori vengono fregati
Francesco Forte - Lun, 21/03/2016 - 15:30
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Il presidente Lorenzo Rosi, il vicepresidente Alfredo Berni, il vicepresidente Pier Luigi Boschi e il consiglio di amministrazione di Banca Etruria sono sotto inchiesta, da parte della procura della Repubblica di Arezzo, per bancarotta fraudolenta perché hanno dato un milione e 200mila euro di buona uscita al direttore generale Luca Bronchi, con la delibera del 30 giugno 2014 con cui questi veniva licenziato prima del termine del suo contratto in quanto la banca si trovava in una situazione gravemente deteriorata ed occorreva una nuova gestione.
In tali casi non tocca all'alto dirigente una buona uscita, ma si discute se gli si debbano contestare responsabilità specifiche e fare al riguardo accertamenti. Questo è ciò che prescrive la prassi e che si legge nel rapporto che la Banca di Italia, che ha portato al suo commissariamento da parte del ministero dell'Economia su proposta della medesima. Come rileva la Relazione di allora della Banca di Italia, le regole di Banca Etruria vigenti nel luglio del 2008 quando Bronchi era stato assunto e quando nell'estate del 2014 era stato licenziato, prevedevano che in caso di risoluzione anticipata del rapporto di lavoro, l'eventuale bonus fosse commisurato alla sua performance e ai rischi da lui assunti. Questi 1,2 milioni di euro non dovuti non sono una grossa percentuale nella bancarotta di Banca Etruria, che secondo il liquidatore del fallimento è di 1,1 miliardi. Ma il fatto che il presidente e i due vicepresidenti e il resto del consiglio di amministrazione - tranne il consigliere Giovanni Grazzini, astenuto - abbiano approvato il ricco bonus senza indagare sulla gestione segnala che si voleva stendere un velo pietoso sulle ragioni del dissesto che aveva costretto a un ricambio di direttore generale e che stava per portare al commissariamento.Ne consegue che gli azionisti e i titolari di obbligazioni subordinati della banca che sono ora con un pugno di carta straccia sono stati ingannati e molto probabilmente truffati. Non hanno corso un rischio di cui erano o potevano esser consapevoli. La verità è stata scientemente occultata. Eppure essi non possono inserirsi nel fallimento per far valere le loro ragioni, perché il decreto del governo sul salvataggio di questa banca e di altre tre minori lo impedisce. Il decreto ha salvato il personale e i depositanti ed ha fatto pagare il conto agli azionisti e ai titolari di obbligazioni subordinati, violando le norme costituzionali sulla tutela del risparmio in tutte le sue forme. Esso non ha previsto un risarcimento per questa lesione illecita di diritti dei risparmiatori. Gli azionisti e obbligazionisti subordinati, con il decreto governativo, vengono indennizzati solo per motivazioni sociali, quando non abbiano redditi elevati cioè in virtù di un presunto atto umanitario. La nuova Banca Etruria, però ha ora un valido motivo oggettivo per riparare a ciò: risarcire chi non viene indennizzato dallo Stato, onde smacchiare il nome che essa porta da una cattiva reputazione attribuibile alla passata gestione. Certamente, fatto che ora emerge, con l'indagine per bancarotta fraudolenta che sta facendo la Guardia di finanza, su ordine della Procura della Repubblica aretina, anche su altri episodi oltre a questo bonus, indica che ci può esser molto più marcio nella gestione passata della banca, di quello qui accertato. Ma già ora ce ne è abbastanza per porre il quesito: «Perché i vertici della banca hanno tollerato quel marciume? Perché il governo quando - il 18 dicembre del 2015 - ha varato il decreto legge per Banca Etruria e le altre banche minori, non ha tenuto conto di tutto ciò che già allora si sapeva sulla probabilità di una truffa per i risparmiatori? Il danno che è stato fatto è enorme non solo per questa banca, ma soprattutto per la reputazione del nostro sistema bancario dando all'opinione pubblica una cattiva sensazione, su cui gli ambienti finanziari internazionali hanno inzuppato il loro pane.
Francesco Forte
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Re: Renzi
Carrai, la rete occulta dello 007 di Renzi. Tra soldi all’estero e faccendieri
Politica
Il premier va al Colle per difendere l'incarico di "Marchino" alla cybersecurity. Dietro di lui una rete di banchieri, costruttori e società estere costruita nel corso degli anni, in cui è arrivato un fiume di denaro da uomini legati al renzismo. Soldi e società in Lussemburgo e Israele
di Antonio Massari e Davide Vecchi | 21 marzo 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... i/2566729/
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Il premier va al Colle per difendere l'incarico di "Marchino" alla cybersecurity. Dietro di lui una rete di banchieri, costruttori e società estere costruita nel corso degli anni, in cui è arrivato un fiume di denaro da uomini legati al renzismo. Soldi e società in Lussemburgo e Israele
di Antonio Massari e Davide Vecchi | 21 marzo 2016
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Re: Renzi
MA COME E' UMANO LEI...............
Ieri la BELLA FIGHEIRA, è volata in SPAGNA per farsi pubblicità gratuita, sostenendo di consolare i genitori delle morte dell'ERASMUS
Ieri la BELLA FIGHEIRA, è volata in SPAGNA per farsi pubblicità gratuita, sostenendo di consolare i genitori delle morte dell'ERASMUS
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Re: Renzi
Primo Piano
Perché stamattina non andrò ad ascoltare Renzi a Harvard
Io, professore italiano di Harvard, non ho proprio voglia di partecipare al "reality show" del nostro premier
di Francesco Erspamer - 31 marzo 2016
Questa mattina Matteo Renzi parlerà a Harvard. Penso che abbia voluto venirci, oltre che per promuovere sé stesso, per promuovere in Italia la sua riforma dell’università. Il premier italiano lo disse chiaramente, alcuni mesi fa: bisogna imitare il modello americano. E ora è venuto per far vedere ai suoi connazionali ed elettori che lui quel modello lo conosce. Harvard è la più prestigiosa università del mondo e questo gli basta: non si domanda con quali criteri e scopi siano stilate le classifiche di eccellenza o quali siano le condizioni e implicazioni di una simile preminenza (per esempio che Harvard sia una corporation con un capitale di più di 36 miliardi di dollari che ammette lo 0,04% degli studenti che ogni anno vanno al college) o tanto meno quale sia il livello delle altre 4139 università americane: no, lui tornerà tutto contento in patria e proclamerà che l’università italiana, la più antica del mondo, deve diventare come quella americana, convinto che se lo diventasse non sarebbe una scopiazzatura fuori contesto e fuori tempo (l’America sta cominciando a guardare all’Europa per rimediare ai disastrosi scompensi del suo sistema educativo) ma una sua grande innovazione. Un po’ come se gli riuscisse di aprire uno Starbucks in Piazza della Signoria a Firenze; o ancor meglio in Piazza della Repubblica a Rignano sull’Arno.
Ma non è per questo che stamattina non andrò a sentirlo. E neppure per via del mio radicale dissenso con il suo progetto di reaganizzare l’Italia (e per di più in ritardo, quando gli altri paesi stanno cercando rimedi): non andrò a sentirlo perché è venuto a Harvard con lo stesso spirito con cui sarebbe andato a inaugurare un centro commerciale o ad aprire il nuovo anno alla Borsa di Milano. Tutte cose che un primo ministro deve fare: ma accorgendosi che sono differenti e rispettando le loro differenze. Per Renzi invece sono la stessa cosa: occasioni di visibilità, interamente prive di contenuti.
Significativamente, non parlerà alla Kennedy School of Government, dove avrebbe avuto senso per il ruolo istituzionale che ricopre. E neppure a economia, in riconoscimento delle sue riforme liberiste. Parlerà in un museo, all’Harvard Museum. Scelto, immagino, per confermare l’immagine che dell’Italia hanno gli americani: il paese della cultura e della bellezza. Forse chi lo ha invitato ricordava la sua foto insieme a Angela Merkel sotto il David, al meeting di un anno fa alla Galleria dell’Accademia: senza accorgersi (o peggio: senza curarsi) di quanto non autentica fosse quella cornice: ambienti carichi di storia abusati per promuovere politiche globaliste, volte a distruggere proprio quell’identità culturale.
Più che un rottamatore Renzi è in effetti un disneyficatore: che banalizza tutto ciò che tocca riducendolo a evento mediatico, dunque equivalente a qualsiasi altro che attiri l’attenzione dei giornali e dei network televisivi, senza gerarchie, distinzioni, senza valori di riferimento. La sua dimensione è quella della pubblicità e dei reality, in cui si fa finta di essere veri ma facendo in modo di non essere davvero creduti, in cui ci si maschera ma mantenendo una distanza ironica che impedisca equivoci, guardandosi bene dal correre il rischio che possa diventare un’esperienza autentica e dunque cambiare qualcosa. In ciò Renzi è integralmente liberista, impegnato nella sistematica deregulation dei princìpi e specificamente dell’autenticità: contro la quale impiega collaudate tecniche come la cazzata, che toglie di significato (scrisse il filosofo Harry Frankfurt in un celebre saggio) all’opposizione verità-menzogna e realtà-virtualità.
Non so di cosa parlerà a Harvard. Gli annunci del suo intervento non aiutano: “A keynote address”, “un discorso ufficiale”, senza ulteriori specificazioni, a confermare che non è venuto perché avesse qualcosa da dire. C’è venuto per far sapere che c’è stato. Presumo che abbia messo qualcosa insieme all’ultimo momento, cercando su Google qualche aneddoto su Harvard; come fece poco più di un mese fa in un’altra università, quella di Buenos Aires, dove al termine di un discorso confuso e infarcito di perle da Baci Perugina (“Non c’è parola più grande dell’amicizia per descrivere la storia di popoli diversi”: qualcuno mi spieghi cosa significa) citò in spagnolo dei versi di Borges. Solo che non era una poesia di Borges, subito notò El País, bensì un falso che compare su internet quando si inserisca la coppia di parole borges-amicizia.
Qualcuno ricorderà il concetto rinascimentale di sprezzatura, teorizzato nel Cortegiano, uno dei libri italiani che più influenzarono la civiltà europea. Castiglione pretendeva dalla classe dominante, in cambio dei suoi privilegi, capacità e stile senza ostentazione: bisognava sapere tutto e saper fare tutto però come se fosse una cosa naturale. Ma quella era una società fortemente regolamentata. Nell’età della deregulation i vincenti alla Renzi seguono un precetto opposto: ostentazione senza capacità né stile. Per questo stamattina non andrò a Harvard ad ascoltarlo. Perché a differenza di Berlusconi e di tanti altri politici, Renzi non si limita a ignorare la cultura o magari disprezzarla. La cultura può sopravvivere all’ignoranza e al disprezzo. No, Renzi la svuota. Con la sua programmatica trivialità svilisce la ragione e il linguaggio, riduce la comunicazione, ossia la facoltà più propriamente umana e sociale, a rumore. La chiarezza e il rigore costringono a una certa misura di coerenza; le improprietà deresponsabilizzano, rendono tutto indifferente, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, le qualità e i difetti, i profittatori e le loro vittime. E quando il vuoto diventa uno stile e un programma, la fine della democrazia è pericolosamente prossima.
http://www.lavocedinewyork.com/news/pri ... i-harvard/
Perché stamattina non andrò ad ascoltare Renzi a Harvard
Io, professore italiano di Harvard, non ho proprio voglia di partecipare al "reality show" del nostro premier
di Francesco Erspamer - 31 marzo 2016
Questa mattina Matteo Renzi parlerà a Harvard. Penso che abbia voluto venirci, oltre che per promuovere sé stesso, per promuovere in Italia la sua riforma dell’università. Il premier italiano lo disse chiaramente, alcuni mesi fa: bisogna imitare il modello americano. E ora è venuto per far vedere ai suoi connazionali ed elettori che lui quel modello lo conosce. Harvard è la più prestigiosa università del mondo e questo gli basta: non si domanda con quali criteri e scopi siano stilate le classifiche di eccellenza o quali siano le condizioni e implicazioni di una simile preminenza (per esempio che Harvard sia una corporation con un capitale di più di 36 miliardi di dollari che ammette lo 0,04% degli studenti che ogni anno vanno al college) o tanto meno quale sia il livello delle altre 4139 università americane: no, lui tornerà tutto contento in patria e proclamerà che l’università italiana, la più antica del mondo, deve diventare come quella americana, convinto che se lo diventasse non sarebbe una scopiazzatura fuori contesto e fuori tempo (l’America sta cominciando a guardare all’Europa per rimediare ai disastrosi scompensi del suo sistema educativo) ma una sua grande innovazione. Un po’ come se gli riuscisse di aprire uno Starbucks in Piazza della Signoria a Firenze; o ancor meglio in Piazza della Repubblica a Rignano sull’Arno.
Ma non è per questo che stamattina non andrò a sentirlo. E neppure per via del mio radicale dissenso con il suo progetto di reaganizzare l’Italia (e per di più in ritardo, quando gli altri paesi stanno cercando rimedi): non andrò a sentirlo perché è venuto a Harvard con lo stesso spirito con cui sarebbe andato a inaugurare un centro commerciale o ad aprire il nuovo anno alla Borsa di Milano. Tutte cose che un primo ministro deve fare: ma accorgendosi che sono differenti e rispettando le loro differenze. Per Renzi invece sono la stessa cosa: occasioni di visibilità, interamente prive di contenuti.
Significativamente, non parlerà alla Kennedy School of Government, dove avrebbe avuto senso per il ruolo istituzionale che ricopre. E neppure a economia, in riconoscimento delle sue riforme liberiste. Parlerà in un museo, all’Harvard Museum. Scelto, immagino, per confermare l’immagine che dell’Italia hanno gli americani: il paese della cultura e della bellezza. Forse chi lo ha invitato ricordava la sua foto insieme a Angela Merkel sotto il David, al meeting di un anno fa alla Galleria dell’Accademia: senza accorgersi (o peggio: senza curarsi) di quanto non autentica fosse quella cornice: ambienti carichi di storia abusati per promuovere politiche globaliste, volte a distruggere proprio quell’identità culturale.
Più che un rottamatore Renzi è in effetti un disneyficatore: che banalizza tutto ciò che tocca riducendolo a evento mediatico, dunque equivalente a qualsiasi altro che attiri l’attenzione dei giornali e dei network televisivi, senza gerarchie, distinzioni, senza valori di riferimento. La sua dimensione è quella della pubblicità e dei reality, in cui si fa finta di essere veri ma facendo in modo di non essere davvero creduti, in cui ci si maschera ma mantenendo una distanza ironica che impedisca equivoci, guardandosi bene dal correre il rischio che possa diventare un’esperienza autentica e dunque cambiare qualcosa. In ciò Renzi è integralmente liberista, impegnato nella sistematica deregulation dei princìpi e specificamente dell’autenticità: contro la quale impiega collaudate tecniche come la cazzata, che toglie di significato (scrisse il filosofo Harry Frankfurt in un celebre saggio) all’opposizione verità-menzogna e realtà-virtualità.
Non so di cosa parlerà a Harvard. Gli annunci del suo intervento non aiutano: “A keynote address”, “un discorso ufficiale”, senza ulteriori specificazioni, a confermare che non è venuto perché avesse qualcosa da dire. C’è venuto per far sapere che c’è stato. Presumo che abbia messo qualcosa insieme all’ultimo momento, cercando su Google qualche aneddoto su Harvard; come fece poco più di un mese fa in un’altra università, quella di Buenos Aires, dove al termine di un discorso confuso e infarcito di perle da Baci Perugina (“Non c’è parola più grande dell’amicizia per descrivere la storia di popoli diversi”: qualcuno mi spieghi cosa significa) citò in spagnolo dei versi di Borges. Solo che non era una poesia di Borges, subito notò El País, bensì un falso che compare su internet quando si inserisca la coppia di parole borges-amicizia.
Qualcuno ricorderà il concetto rinascimentale di sprezzatura, teorizzato nel Cortegiano, uno dei libri italiani che più influenzarono la civiltà europea. Castiglione pretendeva dalla classe dominante, in cambio dei suoi privilegi, capacità e stile senza ostentazione: bisognava sapere tutto e saper fare tutto però come se fosse una cosa naturale. Ma quella era una società fortemente regolamentata. Nell’età della deregulation i vincenti alla Renzi seguono un precetto opposto: ostentazione senza capacità né stile. Per questo stamattina non andrò a Harvard ad ascoltarlo. Perché a differenza di Berlusconi e di tanti altri politici, Renzi non si limita a ignorare la cultura o magari disprezzarla. La cultura può sopravvivere all’ignoranza e al disprezzo. No, Renzi la svuota. Con la sua programmatica trivialità svilisce la ragione e il linguaggio, riduce la comunicazione, ossia la facoltà più propriamente umana e sociale, a rumore. La chiarezza e il rigore costringono a una certa misura di coerenza; le improprietà deresponsabilizzano, rendono tutto indifferente, il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, le qualità e i difetti, i profittatori e le loro vittime. E quando il vuoto diventa uno stile e un programma, la fine della democrazia è pericolosamente prossima.
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