La Terza Guerra Mondiale

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camillobenso
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Napolitano spiega perché l’Italia può andare in guerra in Libia



mercoledì 09 marzo 20


16 12:42

“Non si può accettare l’idea che il ricorso alle armi, nei casi previsti dallo statuto delle Nazioni unite, sia qualcosa di contrario ai valori e alla storia italiana”: è un discorso sicuramente schierato quello del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, che è intervenuto in Senato dopo l’informativa del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. L’ex capo dello Stato ha avvertito: “Generare l’illusione che non abbiamo mai nel nostro futuro la possibilita’ di interventi con le forze amate in un mondo che ribolle di conflitti e minacce sarebbe ingannare l’opinione pubblica e sollecitare un pacifismo di vecchissimo stampo che non ha ragione di essere nel mondo di oggi, nel mondo uscito dalla seconda guerra mondiale”. E ha invitato governo e Parlamento a “evitare ulteriori equivoci e prepararci a ciò che dobbiamo fare, in Libia e altrove, per contrastare l’avanzata del terrorismo islamico”. Un discorso molto netto e che è sembrato divergere alquanto dalla linea politica del governo italiano illustrata da Matteo Renzi a Domenica Live.


infatti subito dopo Napolitano parla proprio del premier: “Oggi noi abbiamo un grande punto interrogativo sul governo unitario libico, molte attese sono state deluse. Renzi ha detto che per la sua formazione non c’è un tempo infinito, è frase comprensibile anche se un po’ criptica”. E infine: “A me pare sia indispensabile sottolineare come il problema del contrasto all’Isis vada tenuto distinto, pur intrecciandosi con esso, con il quadro delle nostre possibili responsabilità verso la Libia. Quando si allude ad una missione a guida italiana sarebbe persino grottesco pensare alla lotta all’Isis su tanti fronti a guida italiana: ci può essere invece una missione di supporto alla stabilizzazione in Libia e al suo governo legittimo, una missione di ‘institution building” per la quale, se il governo lo ritiene “indispensabile” si può anche prevedere l’impiego di “limitati reparti speciali”.
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Terrorismo, somalo fermato a Campobasso. Procuratore: “Pronto ad agire, aspettava ordini dall’alto”
Cronaca

Secondo il legale del giovane "non traspare in lui nessuna emozione e non so se questa è una reazione di facciata o se lui invece non si rende conto di quanto è accaduto". Si attende adesso l'udienza di convalida fissata per venerdì. Intanto proseguono le indagini sui contatti del ventiduenne in Italia e all'estero
di F. Q. | 10 marzo 2016
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“Si tratta di un soggetto estremamente veemente e anche abbastanza pronto ad affrontare dei rischi” così il procuratore di Campobasso, Armando D’Alterio, descrive il somalo ventiduenne arrestato mercoledì a Campomarino per terrorismo. Secondo il procuratore il giovane imam era in attesa di “ordini dall’alto” sul come procedere. “Non è sicuramente un tipo non controllato, non è un pazzoide: fino ad adesso si è trattenuto in attesa di sviluppi. Avrebbe proceduto se avesse avuto degli ordini dall’alto”. ha concluso D’Alterio.

L’avvocato Antonio Di Rienzo, legale del ragazzo lo ha descritto come una persona “molto sicura di sé. Non traspare in lui nessuna emozione e non so se questa è una reazione di facciata o se lui invece non si rende conto di quanto è accaduto”. L’udienza di convalida del fermo è stata fissata per venerdì, per questo il legale non si sbilancia sull’evolversi della situazione: “Quando avrò accesso ai faldoni avrò un quadro più chiaro della vicenda” ha spiegato all’Ansa, sottolineando che “lo stralcio di intercettazioni che ho visto finora non dice nulla, ma ce ne saranno probabilmente altra che io ancora non ho potuto visionare”.



Di Rienzo in giornata andrà in carcere per parlare con il suo assistito: “Il problema è che lui ha difficoltà nel comprendere l’italiano e quindi dovrò presentare una istanza al gip per andare nel penitenziario con un interprete”, conclude.

A dare il via alle indagini della Digos, durate due mesi, la segnalazione di altri profughi del centro di accoglienza molisano nel quale risiedeva il ventiduenne, insospettiti e allarmati dalle affermazioni e dal comportamento del compagno. In queste ore gli investigatori stanno completando gli accertamenti, verificando i contatti del somalo in Italia e all’estero: l’attenzione è concentrata sui dati del telefono sequestrato dalle forze dell’ordine. Per la procura, infatti, i viaggi che il ragazzo aveva in programma “erano probabilmente di avvicinamento a possibili zone di attentato purché gli fosse arrivato il placet definitivo dall’alto”.

Dalle indagini è emerso anche che il giovane invitava gli altri ospiti del Centro di accoglienza molisano ad azioni violente e spingeva chi lo ascoltava alla jihad. Un’azione “intensa e veemente di proselitismo” ha commentato D’Alterio, dopo l’arresto. Ma non solo, il ventiduenne esaltava anche gli attentati terroristici di Parigi e il martirio, invitando gli altri ospiti a seguirlo prima a Roma e poi in Siria. Nella sua stanza gli agenti hanno registrato con una telecamera nascosta l’uomo mentre guardava diversi video nei quali si susseguivano immagini di attentati.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... o/2534152/
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Ma l'Italia sta già combattendo in Libia

Nonostante la presenza sul terreno di numerose squadre dei reparti speciali inglesi, americani, francesi ed italiani, non disponiamo di informazioni sufficienti per identificare gli obiettivi dello Stato Islamico in Libia
Franco Iacch - Lun, 14/03/2016 - 12:07
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Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Italia stanno già combattendo in Libia. "Per quanto riguarda il personale dei reparti speciali – si legge in una nota ufficiale di AFRICOM – non possiamo svelare alcun dettaglio a causa di problemi di sicurezza operativa, ma siamo impegnati a collaborare con i libici e gli enti locali in materia di misure di antiterrorismo".

Il rischieramento inglese ed americano era stato più volte confermato, con unità attive sul terreno a supporto delle milizie di Misurata. Ad est, invece, le forze francesi operano nei pressi di Bengasi, presso la base aerea di Benina, principale avamposto del generale Khalifa Belqasim Haftar, che sostiene il governo di Tobruk. Secondo la stima di Stratfor, i francesi potrebbero avere in Libia un piccolo contingente di 180 operatori. Il 24 febbraio scorso, il giornale francese Le Monde ha pubblicato un rapporto sulla guerra segreta condotta dalla Francia in Libia. 50 unità del 9° reggimento incursori paracadutisti "Col Moschin", infine, sono attive in Libia con i servizi segreti dell'AISE. In gran parte conseguenza della guerra guidata dalla NATO nel 2011, la Libia si trova nel caos da cinque anni. Lo Stato Islamico ha utilizzato anni di instabilità politica per ricreare un nuovo santuario jihadista nel cortile di Europa. Proprio la Libia è lacerata da una rivolta interna e governata da due parlamenti e due governi. Il primo, riconosciuto a livello internazionale ha sede a Tobruk, mentre il secondo governo, sostenuto dalle milizie islamiche, si trova nella capitale libica di Tripoli. Sfruttando l’assenza di un’amministrazione efficace, le milizie locali, dopo la fine di Muammar Gheddafi nel 2011, hanno trasformato il paese in un mosaico di feudi in guerra. Sarebbe opportuno rilevare che la Libia potrebbe diventare una posizione di ripiego per lo Stato islamico, qualora dovesse perdere le principali roccaforti in Siria ed Iraq. Lo Stato islamico in Libia – ha affermato in audizione al Senato il comandante di AFRICOM, il generale David Rodriguez – continua a crescere e minaccia direttamente la Tunisia come possibile futura espansione. L'attacco a Ben Guerdane, a circa 20 miglia dal confine libico, dimostra che la minaccia è più che ipotetica. Oggi la Libia è un avamposto fortificato per missioni terroristiche di proiezione.

L’apertura di un possibile fronte libico spaventa gli Stati Uniti per la certezza, qualora avvenisse un dispiegamento terrestre (al momento utopia), di dover garantire il grosso delle truppe dinanzi un’opinione pubblica che si è già espressa contraria in tal senso.

Il Pentagono preme per dei massicci raid aerei contro i campi di addestramento, i centri di comando ed i depositi identificati in Libia. Opzione caldeggiata anche dal segretario alla Difesa Ashton Carter. Nonostante sul tavolo, l’attacco aereo su larga scala continua ad essere fortemente sconsigliato dal Dipartimento di Stato. Le ripercussioni sono evidenti. Tali attacchi aerei, se non coordinati correttamente, potrebbero mettere a repentaglio lo sforzo delle Nazioni Unite per la creazione di un governo in Libia. A riguardo, sarebbe opportuno ricordare anche la deposizione dei servizi segreti USA, avvenuta lo scorso autunno: “nonostante la presenza sul terreno di numerose squadre dei reparti speciali inglesi, americani, francesi ed italiani, non disponiamo di informazioni sufficienti per identificare gli obiettivi dello Stato Islamico in Libia”. E’ comunque una lotta contro il tempo. Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Italia, cercano di gestire un precario equilibrio, nel tentativo di garantire un fragile percorso politico che possa portare ad un governo in Libia. La priorità della soluzione politica, però, non tiene conto del possibile vantaggio di un’azione militare aggressiva immediata. Il rischio di una campagna aerea è potenzialmente fatale e senza progressi diplomatici, potrebbe ottenere gli stessi errori della guerra in Iraq. I progressi nella risoluzione dei problemi politici della Libia sono minimi, mentre la minaccia per la Tunisia è in crescita. La pur breve l'esperienza democratica del nuovo governo dopo la fine del regime di Ben Ali, oggi si ritrova ad affrontare una serie di sfide economiche, tra cui l'elevata disoccupazione e tensioni sociali. Prerequisiti per la diffusione dello Stato islamico che sfrutta proprio il malcontento delle popolazioni locali, allineandosi con le tribù per stabilire un punto d'appoggio. L’obiettivo dei terroristi è chiaro: creare dei piccoli focolai insurrezionali e diffondersi nelle città come una piaga. L’Occidente supporta la Tunisia con consulenti ed equipaggiamento, così come la formazione anti-terrorismo e lo sviluppo di una forza aerea.

C’è poi, infine, un ultimo punto che andrebbe affrontato. Gli Stati Uniti, qualora si dovesse propendere per una legale ed autorizzata invasione terrestre della Libia (al momento non si sussurra nemmeno al di là delle fantasiose speculazioni), dovrebbero quasi certamente fornire il grosso delle truppe. Perché oggi, valutare la NATO senza il supporto americano, sarebbe impossibile. Analizzando la spesa militare degli Alleati, ci si rende conto del reale stato degli eserciti europei, sempre più specializzati in piccole forze orientate in missioni di proiezione. Lo Stato Islamico ed il suo contesto prettamente asimmetrico, rappresentano minacce molto reali per la sicurezza europea e per la NATO. La forza dello Stato islamico in Libia è stimata dai 6500 ai 7000 terroristi in aumento costante. I principali centri del califfato, secondo il Dipartimento della Difesa Usa, sono a Sirte, Tripoli e Bengasi. A differenza delle altre roccaforti in Siria ed Iraq, quelle in Libia sarebbero protette anche da sistemi di difesa terra-aria.


http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lit ... 35446.html
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Libia, Pinotti è pronta a partire: "Interventi mirati per la difesa"

Il ministro della Difesa: "Agire su precisa richiesta di un governo libico legittimo". E fissa le tre condizioni per l'intervento militare
Sergio Rame - Lun, 14/03/2016 - 08:57
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Il governo Renzi inizia a rompere gli indugi sulla Libia. Il ministro della Difesa Roberta Pinotti apre a "interventi di legittima difesa mirati".

"In quel caso l'Italia saprà come agire insieme agli alleati, per evitare rischi sul proprio territorio", spiega in un'intervista al Corriere della Sera precisando che il contributo italiano è subordinato a tre condizioni: "Legittimità internazionale, costituzione di un governo e sua richiesta, approvazione del nostro parlamento".

Pur in mancanza di un voto di fiducia del parlamento di Tobruk, il consiglio presidenziale libico guidato da Serraj ha proclamato l'entrata in funzione del governo di unità nazionale e ha chiesto a tutte le altre autorità libiche di "mettersi immediatamente in contatto con il governo di unità per attuare le modalità di passaggio dei poteri in modo pacifico". Poi l'appello "alla comunità internazionale" di "cessare ogni relazione con autorità che non dipendano direttamente dal governo di unità". L'Unione europea e gli Stati Uniti assicurano "totale sostegno" al governo di unità nazionale protagonista del percorso di stabilizzazione previsto per la Libia. Un appoggio che arriva fino a mettere in cantiere "sanzioni a livello europeo", come ha annunciato Paolo Gentiloni, per chi si oppone al tentativo di Fayez Serraj sostenuto dall'Onu. Per la Pinotti "la dichiarazione del Consiglio presidenziale libico apre uno spiraglio significativo che va sostenuto" e l'azione delle nazioni europee può "dare una spinta". "In alcuni Paesi della coalizione c'è chi spinge per un'accelerazione - aggiunge - ma la linea di fondo non è mai stata messa in discussione. La necessità di maggiore determinazione ha sempre riguardato l'azione contro il terrorismo, non quella di una missione strutturata".

Gli interrogativi però permangono. Dopo decenni di dittatura e violenze non sarà una transizione facile. E, come ha già detto Matteo Renzi, anche la Pinotti ci tiene a ribadire che "il tempo non è infinito". "È giusto farlo presente ai libici - incalza - poiché l'espansione dell'Isis in Libia, al momento contenuta, può diventare molto preoccupante". In ogni caso un'eventuale missione internazionale a sostegno della stabilizzazione della Libia è sempre stata immaginata dal governo Renzi come un intervento richiesto dal governo libico. Non ci sono al momento nemmeno i "numeri" della missione. Perché, come spiega la stessa Pinotti, "tutto dipende dal tipo di supporto che verrà chiesto alla coalizione internazionale". "Una cosa è se riguarda solo l'addestramento - conclude - un'altra se comprende anche la sorveglianza di siti sensibili e altre attività".
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Guerra in Libia, non sarà certo l’Italia a decidere il da farsi

Scritto il 16/3/16 • nella Categoria: idee


Stupidamente in questi giorni ci chiediamo se, quando e come l’Italia debba andare a combattere in Libia.

Stupidamente, perché, in forza dei trattati di pace con gli Usa e del fatto che i banchieri yankee controllano il sistema bancario italiano, sarà Washington (con al più Londra e Parigi) a decidere che cosa farà l’Italia, anche questa volta, come già ha fatto con Kuwait, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Gheddafi.

E lo deciderà senza riguardo agli interessi italiani e alla vita degli Italiani.

La storica stabilità della politica estera italiana malgrado la storica mutevolezza dei suoi governi, dipende dal semplice fatto che, a seguito della resa incondizionata agli angloamericani l’8 settembre 1943, sono stati imposti protocolli che stabiliscono che l’Italia obbedisca agli Usa in materia di politica estera (e in altre materie, comprese quella finanziaria), al disopra delle norme costituzionali che proibiscono che l’Italia faccia guerre.

Quando personaggi istituzionali italiani e non, preposti alla sicurezza e alla difesa, dicono che si cerca di evitare la guerra e che il problema è in mano all’intelligence, intendono che i servizi segreti militari di paesi Nato, tra cui l’Italia, stanno eseguendo serie di uccisioni mirate di capi “nemici” mediante droni armati, mediante tiratori scelti trasportati con velivoli silenziati o stealth, mediante commandos di Legione Straniera o di corpi simili dei paesi Nato e di Israele.

In questi giorni Renzi ha firmato e subito segretato un decreto che estende ai corpi speciali dell’esercito le coperture riservate ai servizi segreti.

Il che vuol dire, esplicitamente, che manda le forze armate italiane a uccidere, cioè a fare la guerra, in Libia.


Se qualcuno di quei militari sarà catturato dall’Isis, probabilmente sarà torturato e ucciso, oppure scambiato con armi o prigionieri, ma la sua cattura e uccisione (così come lo scambio) sarà tenuta segreta anche ai suoi familiari, non solo alla stampa.

Il decreto in questione, essendo in contrasto con l’art. 11 della Costituzione, è illegittimo.

La guerra è già in corso, in segreto, non dibattuta, non dichiarata, non autorizzata dal Parlamento, decisa da Washington.


E così andava anche con le altre guerre in cui l’Italia ha partecipato: anche i nostri governi mandavano militari sotto copertura a uccidere i capi dei gruppi considerati nemici da Washington.


Ma queste pratiche segrete sono da sempre la norma nella politica estera di tutti i paesi.


E’ soltanto l’opinione pubblica ignorante, sistematicamente educata dai media a una visione cosmetica della realtà, che si stupisce e scandalizza.


Tornando alla Libia, che si dovrebbe fare per stabilizzarla? Il paese chiamato “Libia” comprende 3 regioni storicamente differenti: Fezzan, Tripolitania, Cirenaica, abitate da molte tribù da secoli in competizione o guerra tra loro.

Un paese con una popolazione tribale, senza senso civico e democratico, più abituata a combattere che a lavorare, e con un’enorme ricchezza petrolifera che attira gli appetiti armati di potenze occidentali, le quali ricorrono alla guerra per assicurarsi pozzi e porti, e per toglierli agli altri (all’Eni, in particolare – vedi l’assassinio di Mattei).

Come stabilizzare un siffatto paese e un siffatto popolo? E’ ovvio: bisogna che Washington, Londra e Parigi si accordino per spartirsi quelle risorse, che distruggano le forze in campo (usando l’Onu e lo pseudo-governo di Tobruk per deresponsabilizzarsi e dando il comando militare alla serva Italia), che mettano al potere un dittatore armato e finanziato da loro, col duplice incarico di reprimere ogni opposizione o disordine col terrore, e di consentire lo sfruttamento delle risorse petrolifere.


Mutatis mutandis, è quello che stanno realizzando in Italia mediante Renzi e le sue riforme elettorale e costituzionale, che concentrano nel premier i tre poteri dello Stato, limitano la rappresentatività del Parlamento e neutralizzano la funzione dell’opposizione.
(Marco Della Luna, “Italia, Libia, guerra, intelligence”, dal blog di Della Luna del 4 marzo 2016).
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Attentati Bruxelles – LA DIRETTA: “Esplosioni in aeroporto e metropolitana. Almeno 23 morti e 35 feriti. Città paralizzata, esercito in strada, voli e treni fermi” (Foto e video)


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... o/2569027/
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Mondo
Attentati Bruxelles: bombe nella casa degli europei
di Giampiero Gramaglia | 22 marzo 2016
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Ci sono volte che gli attentati colpiscono luoghi che tutti conoscono, dove tutti sono stati perché sono crocevia dell’umanità: Manhattan, la metropolitana di Londra, il centro di Parigi. E ci sono volte che le bombe scoppiano dove noi siamo stati migliaia di volte nella nostra quotidianità, dove amici e colleghi tuttora vivono le loro routine: l’aeroporto di Zaventem a Bruxelles e le stazioni della metropolitana di Schumann e di Maelbeek, le due fermate del ‘quartiere europeo’ della capitale belga, diventano di colpo luoghi del quotidiano violati e insanguinati. Schumann, un cantiere perennemente aperto, dove i lavori sono sempre in corso; e Maelbeek, dove, quando esci, perdi sempre l’orientamento e non sai mai se sei nella direzione giusta.

Bruxelles, due esplosioni all'aeroporto di Zaventem: evacuato l'edificio

Certo, che c’era da aspettarselo, che i terroristi colpissero a Bruxelles e che colpissero le Istituzioni europee: sia per mostrare che l’arresto di Salah non li ha neutralizzati, sia per attaccare i simboli della cooperazione tra le forze di sicurezza europee che, da quando funziona un po’ di più, migliora l’efficienza del contrasto all’integralismo
.


Ma anche se sei sicuro che stanno per colpire, anche se Salah ti dice che stava preparando, di sicuro non da solo, nuovi attentati, ciò non basta a impedire gli attacchi kamikaze contro obiettivi indiscriminati, la folla anonima, dove nessuno è bersaglio fin quando che ti sta accanto non si fa saltare in aria. A meno di militarizzare la nostra vita e le nostre città, senza la garanzia che funzioni e con la certezza che così la diamo vinta agli untori della paura

Venerdì scorso, il 18 marzo, la sera di Bruxelles era stata traversata da sirene che scortavano i leader dei 28 via dal Quartiere europeo, dopo un Vertice sui migranti, l’ennesimo, mentre, più a ovest, altre sirene conducevano Salah in carcere: suoni, in fondo, di sollievo, un’intesa fatta, un terrorista preso. Questa mattina, 84 ore più tardi, è una scena tutta diversa: le sirene convergono sul Quartiere europeo, suoni d’angoscia, altri terroristi hanno colpito – e, intanto, a Idomeni, a Lesbo, altri teatri di dramma e dolore, l’accordo sui migranti non funziona.

Fra le dichiarazioni a caldo che ingolfano l’informazione in queste ore, quella del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk: ricorda che le istituzioni europee sono ospitate a Bruxelles anche grazie a generosità e disponibilità del governo e del popolo belga; e afferma che l’Unione saprà ricambiare la solidarietà e aiuterà Bruxelles, il Belgio e tutta l’Europa ad affrontare la minaccia terroristica. Il primo gesto è quello di fare con efficienza il proprio lavoro.

La polizia belga ha molti limiti e la cronaca dirà se altri ne ha mostrati in queste occasioni. Una risposta ‘federale’ agli attacchi odierni sarebbe la creazione di una polizia federale europea, che, sull’esempio del Secret Service degli Stati Uniti, tuteli le sedi delle Istituzioni che rappresentano – direttamente, come il Parlamento o il Consiglio – o indirettamente – come la Commissione – 500 milioni di cittadini europei. Ma la vera risposta sarà il rafforzamento della cooperazione, di polizia, giudiziaria, culturale, senza ulteriori cedimenti agli egoismi nazionali. Uniti siamo più sicuri; e più forti; e più liberi


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... i/2570776/
camillobenso
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Attentati Bruxelles – DIRETTA – Bombe in aeroporto e metro. Media :”34 morti, 136 feriti”. Isis: “Belgio colpito per raid contro di noi”. Liegi, evacuata centrale nucleare(Foto e video)


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... o/2569027/
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Attentati Bruxelles, Iacovino (CeSi): “Salto di qualità rispetto a Parigi, operazione accelerata dopo l’arresto di Salah”
Mondo

"L'attacco è la dimostrazione di forza di una rete terroristica europea - spiega il coordinatore degli analisti del Centro Studi Internazionali - che riesce a organizzare un attentato in una città in cui l'attenzione era massima e nel punto più presidiato di tutti: l'aeroporto. Manca coordinamento tra le intelligence europee". L'Italia come è messa? "Siamo molto deboli su alcune cose, come le forze di intervento rapido ma forti su altre, come il controllo del territorio e il coordinamento delle intelligence". Ma accorre fare attenzione ai Balcani: "Sono la nostra banlieue"
di Thomas Mackinson | 22 marzo 2016
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“L’attentato a Bruxelles per certi versi è peggio di quelli di Parigi. Dimostra quanto sia capace la rete dello Stato Islamico in Europa. E’ una minaccia evoluta, è la dimostrazione di forza di una rete europea che in barba a tutti i controlli e tutte le indagini riescono a organizzare un attentato nel cuore dell’Europa e nel punto più presidiato di tutti: l’aeroporto”. Parola di Gabriele Iacovino, coordinatore degli analisti del Centro Studi Internazionali (CeSi) che a caldo dopo gli attacchi ragiona della forza degli aggressori e della debolezza degli aggrediti, anche in Italia dove – dice l’esperto – “siamo molto deboli su alcune cose come le forze di intervento rapido ma forti su altre, come il controllo del territorio e il coordinamento delle intelligence”.

Perché hanno colpito ora, una rappresaglia per l’arresto di Salah?

“Da un’analisi rapida e sommaria sulle poche notizie che abbiamo di fatto questo attentato dovrebbe essere stato organizzato da tempo perché non si può improvvisare un attacco con esplosivi in una città come Bruxelles in pochi giorni. Quindi un attentato preparato da tempo, ma la tempistica dell’esecuzione è stata decisa dopo l’arresto di Salah, anche e forse perché di fatto i terroristi hanno avuto il timore che potesse dare informazioni su questo attentato o chi lo stava per compiere. E quindi bruciare tutta la preparazione che questo attentato aveva richiesto”.


Cosa vogliono dimostrare?
“Destabilizzare, minare il nostro senso di sicurezza, certo. E per certi versi ci sono riusciti perché questo attacco ci costringe a chiederci: come è possibile che in un periodo come questo, dove il Belgio dovrebbe essere sottosopra per cercare Salah, di fatto sia stato possibile organizzare un attentato del genere? Un attacco che è addirittura è un passo avanti di metodologia rispetto a Parigi? Qui non si parla nuovamente di attentatori che si mettono a sparare in mezzo alla strada con dei kalashnikov reperiti sul mercato nero. No, qui stiamo parlando di bombe, esplosivi. Ormai siamo abituarti a pensare alle bombe come qualcosa di semplice che si costruisce in casa guardando il bigino su Internet. Non è così, c’è bisogno di un’expertise, di una conoscenza, di una preparazione e capacità di gestire determinati materiali. E poi di trasportarli. Stiamo parlando di trasportare degli ordigni di martedì mattina nei punti nevralgici della capitale d’Europa”.

Come si fa a bucare la sicurezza al suo massimo livello?
“Di fatto è semplice perché se io e lei abbiamo una valigia possiamo andarci ovunque, ma è quello che c’è nella valigia che è complicato. Quindi, da una parte expertise, dall’altra capacità di movimento, inoltre di mettere a sistema una rete per creare un attacco del genere, perché stiamo di nuovo parlando di un attacco congiunto su vari posti anche lontani tra loro, perché l’aeroporto è a 15 km dal centro di Bruxelles. Quindi di cellule coordinate con operativi, logistica, comunicazione e ospitalità perché poi bisogna anche nascondersi, come ben dimostra lo stesso Salah. La cosa che in questo momento fa venire ancor di più i brividi è come questo sia possibile quando l’attenzione era massima perché si cercava un terrorista. Quindi quando c’era più difficoltà negli spostamenti, perché c’era sempre la polizia, c’era più difficoltà nelle comunicazioni perché di fatto si stava in ascolto. Anche la rete, probabilmente, doveva essere ben protetta perché di fatto si sono mossi quando le attenzioni delle forze dell’ordine erano altissime”.

Com’è possibile colpire addirittura l’aeroporto, cioé un punto sensibile per definizione?
“Il sistema di sicurezza occidentale degli aeroporti è focalizzato sulla sicurezza dei velivoli, è un retaggio degli anni Settanta. Infatti io e lei facciamo i controlli dopo, per andare agli imbarchi. Mentre se andiamo in altri paesi, più difficili come Algeria, lo stesso Pakistan ma anche in Ucraina di fatto si fanno controlli con il metal-detector all’ingresso dell’area del check-in, infatti a Bruxelles l’ordigno è esploso proprio lì dove di fatto non ci sono controlli per entrare. E questo significa esporre il fianco da parte nostra, da parte dei terroristi sfruttare la falla in un sistema di sicurezza. Il problema è che il terrorismo colpisce la nostra vita quotidiana. E inevitabilmente in quella ci sono delle falle nella sicurezza. Perché sennò non potremmo fare nulla”.

Cosa ci dice allora questo attentato in aeroporto?
“Che bisogna portare la barriera “oltre”. Pensi ai treni che fanno della velocità la loro punta di diamante. Perché se devo perdere tempo per accedere al treno, a questo punto prendo l’aereo che ci mette di meno. E’ lo stesso concetto: perché non entrare in stazione con un ordigno? E’ veramente difficile fermare gli attentati una volta che sono stati posti in essere. Il punto fondamentale è cercare di prevenirli mettendo a sistema tutte le informazioni della rete di polizia e di intelligence, l’apparato di sicurezza di uno Stato o più Stati. E’ questa la vera sfida che di fatto in Europa, al pari della sfida politica, sta per essere persa: il coordinamento di tutte le intelligence europee è un punto fondamentale e non sta funzionando. Siamo lontanissimi. Se pensa che l’11 Settembre Cia ed Fbi non si sono mai parlati e sono dello stesso stato. Si figuri in Europa, è difficile”.

Ma sono i radicalizzati che sono troppi e difficili da controllare o le autorità belghe ancora una volta dimostrano di non essere in grado?
“Da una parte è un fenomeno difficile da controllare. Perché di fatto stiamo parlando di cittadini europei, di trovare l’ago in un pagliaio. Ma è al difficoltà intrinseca del lavoro dell’agenzia di sicurezza. Di fatto però abbiamo visto da una parte, tra Parigi e Bruxelles che comunque chi organizza questi attentati ha degli spazi di manovra. E dove li trova? In quartieri dove le forze di polizia non entrano, se non sparando. Le banlieue parigine, le periferie di Bruxelles, dove per entrare di fatto devi sparare. Una situazione sui generis. In Italia, ad esempio, non ci troviamo di fronte a questi casi se non per altri fenomeni criminali. Nulla accade a caso: se c’è la possibilità di organizzare qualcosa, io vado dove è più facile organizzarlo. Quindi in quelle regioni”.

Cosa è cambiato rispetto ad Al Qaeda?
“E’ cambiato il messaggio, più patinato e potente, del Califfato, di Daesh e dello Stato Islamico. Il messaggio di radicalizzazione di Al Qaeda non era così forte. EQuella di Bin Laden era un’agenzia di sevizi, finanziava, supportava, preparava. Lo Stato Islamico lavora anche sull’identità, sull’appartenenza e un messaggio molto più “accogliente” per coloro che intendono ingaggiare la guerra santa o non si sentono participi della società europea. E questo ha allargato e moltiplicato i recettori del messaggio che si fa più forte, suggestivo, pervasivo soprattutto nei giovani. Anche perché raggiungere la Siria è molto più facile che andare in Afghanistan. Basta andare in Turchia, prendere l’auto e in un paio di giorni sei lì, dove c’è una palestra pronta per la radicalizzazione da mettere a frutto al rientro, perché grazie al passaporto è facile andare come tornare”.

Italia. Come siamo messi?
“E’ vero che oggi siamo più esposti per un ritrovato impegno del nostro Paese in Libia. Ma è anche vero che sarebbe stato difficile starne fuori di fronte a una minaccia così totalizzante come il Daesh. Siamo tutti occidente ai loro occhi. E tuttavia l’Italia ha una forza nella sua rete di polizia che non ha eguali in Europa. Un po’ perché siamo ridondanti e pletorici, per cui ci piace avere 5 numeri di emergenze. Ma a quei numeri rispondono varie autorità e il fatto stesso di avere polizia e carabinieri di permette di avere un controllo del territorio maggiore della gendarmerié in Francia o la polizia belga. La rete urbana della polizia e quella extraurbana dei carabinieri è comunque una rete estesa che non ha pari in Europa. Quindi non è che siamo al sicuro grazie a questo. Però di fatto come facevamo prima distinguo sulla capacità di questi gruppi che trovano in alcuni quartieri lo spazio d’azione, dobbiamo anche dir e che di fatto in Italia abbiamo una situazione diversa. Non necessariamente migliore, ma diversa”.

Certo, la minaccia è così multiforme che di fatto è difficile dire che siamo sicuri…
“Però accanto a quel modello esteso di controllo de territorio, noi abbiamo uno strumento che di fatto in Europa non ha nessuno: il ‘Casa‘, comitato di analisi strategica antiterrorisimo. E’ un comitato di cooperazione composto da tutti i servizi di intelligence italiani e tutte le forze di polizia che uno o due volte la settimana si mettono al tavolo e mettono a sistema tutte le informazioni. Detta così sembra banale, ma di fatto non succede altrove. Nel mondo dell’intelligence il problema spesso non è trovare l’informazione, ma condividerla e metterla a sistema. Se lei ha un pezzo e io un altro dell’informazione ma non vengono uniti, sono entrambe inutili. Da sole non significano nulla, insieme risolvono il problema. A questo serve il ‘Casa'”.

La grande minaccia per l’Italia?

“In questo momento arriva dalla radicalizzazione dei Balcani. Sono un territorio poco controllato, dove la radicalizzazione è forte ma anche la malavita con i mercato nero delle armi. E’ come se fosse la nostra banlieue separata da un mare che ci divide però se prendiamo un traghetto ad Ancora per andare a Spalato non ci controlla nessuno. E negli ultimi tempi diversi servizi giornalistici hanno documentato come intere cittadine abbiano offerto ospitalità ai radicalisti islamici”.

Che dobbiamo fare come Italia?
“Continuare con il lavoro finora svolto. Cercare di capire quali sono i buchi nella sicurezza. Noi ad esempio abbiamo un gap forte sulle forze di intervento rapido della polizia. Da una parte abbiamo i Nocs, i Gis dall’altra ma sono gruppi ristretti che non possono fare il lavoro su tutto il territorio italiano. Questo sulla fattispecie “Bataclan”, quindi sulla sparatoria. I discorso degli attentati terroristici è soprattutto un lavoro forte di coordinamento di intelligence. Perché una volta che si è messo in moto l’attentato è difficilissimo fermarlo, anche se dispieghi soldati e polizia in forze. Ovviamente anche il nostro concetto di sicurezza negli aeroporti e nelle stazioni dovrà cambiare ed evolvere e in primis noi cittadini dobbiamo capire che per la nostra sicurezza dobbiamo fare una fila in più. Dobbiamo capire che anche al check-in dobbiamo fare controlli: siamo disposti?”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03 ... h/2571271/
camillobenso
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da camillobenso »

(CR) ISIS | Legami fra terroristi e 'Ndrangheta? Si indaga a ...
http://www.mmasciata.it/.../4345_crisis ... si-indaga-...
22 feb 2015 - La Procura di Reggio Calabria sta indagando su possibili collegamenti ... Italia, Notizie, Primo piano ... 'Ndrangheta e Isis muovono ingenti somme di denaro, lo Stato islamico ... Un calabrese, la scorsa estate, anche se la storia è balzata alle ... nella lista dei luoghi di culto da attenzionare nel nostro Paese.
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