Renzi
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Re: Renzi
http://www.repubblica.it/cronaca/2016/0 ... refresh_ce
Inchiesta rifiuti nel centro Eni di Viggiano: 6 arresti. Indagato compagno della Guidi
Indagine in Basilicata. Nel primo filone di indagine per il gip i vertici dell'Eni dell'impianto erano "consapevoli" dell'aggiramento delle norme. Sospesa la produzione petrolifera. Nel secondo, sulle infrastrutture delll'impianto Total Tempa rossa coinvolto il convivente della ministra
di LEO AMATO
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POTENZA - Sei arresti per traffico e smaltimento di rifiuti, 60 indagati sospensione della produzione di petrolio Eni in Val D'Agri e dimissioni di un ministro, Federica Guidi. Dalla Basilicata si espande un'inchiesta della procura di Potenza che tocca, colpisce e travolge interessi economici e politici in tutta Italia. Due filoni d'inchiesta, il primo sul Centro Olio in Val d'Agri a Viggiano dell'Eni, l'altro sull'impianto estrattivo della Total a Tempa Rossa.
Le conseguenze politiche vengono tutte dal filone Tempa Rossa, nel quale è indagato il compagno della ministra Guidi, costretta a rassegnare le dimissioni per una intercettazione finita agli atti in cui garantiva l'approvazione di un emendamento alla legge di Stabilità che favoriva gli interessi economici delle imprese del suo convivente Gianluca Gemelli. L'altro filone ha conseguenze più economiche, con l'Eni che ha deciso la sospensione delle attività estrattive. Per questa parte d'inchiesta sono finiti in sei ai domiciliari.
IL PRIMO FILONE D'INCHIESTA: L'IMPIANTO ENI
La prima parte dell'indagine riguarda presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi al Centro Olio in Val d'Agri a Viggiano dell'Eni. L'inchiesta riguarda lo "sforamento" dei limiti delle emissioni in atmosfera del Cova.
I dirigenti dell'impianto Eni coinvolti, si legge nelle ordinanze, "erano consapevoli dei problemi emissivi" del Centro, ma "cercano di ridurre il numero di comunicazioni sugli sforamenti invece di incidere direttamente sulla causa del malfunzionamento o dell'evento" allo scopo di "non allarmare gli enti di controllo".
A ancora: i vertici dell'impianto Eni "qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita" rifiuti pericolosi - come "non pericolosi", utilizzando quindi un "trattamento non adeguato" degli stessi scarti, e "notevolmente più economico", e dati sulle emissioni in atmosfera "alterati".
Arrestati e indagati. Nell'indagine sono state poste agli arresti domiciliari dai carabinieri per la tutela dell'ambiente sei persone, funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (Potenza) dell'Eni e l'ex sindaca Pd di Corleto Perticara - dove viene trattato il petrolio estratto in Val d'Agri - perché ritenuti responsabili, a vario titolo, di "attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti".
I sei arrestati sono Rosaria Vicino, ex sindaca del Pd di Corleto Perticara, Vincenzo Lisandrelli (coordinatore ambiente del reparto sicurezza e salute all'Eni di Viggiano), Roberta Angelini (responsabile Sicurezza e salute dell'Eni a Viggiano). Nicola Allegro (responsabile operativo del Centro oli di Viggiano), Luca Bagatti (responsabile della produzione del distretto meridionale di Eni) e Antonio Cirelli (dipendente Eni nel comparto ambiente). Divieto di dimora deciso per l'ex vicesindaco, Giambattista Genovese, e per un dirigente della Regione Basilicata, Salvatore Lambiase. Le accuse: “plurime condotte di concussione e corruzione”.
Il comunicato dell'Eni. "Eni - si legge in un comunicato - prende atto dei provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria. E ha provveduto alla sospensione temporanea dei lavoratori oggetto dei provvedimenti cautelari e sta completando ulteriori verifiche interne". Per quanto riguarda l'attività produttiva in Val d'Agri, che al momento è sospesa (75.000 barili al giorno), Eni conferma "sulla base di verifiche esterne commissionate dalla società stessa, il rispetto dei requisiti di legge e delle best practice internazionali". In tal senso Eni richiederà la disponibilità dei beni posti oggi sotto sequestro e continuerà ad interloquire con la magistratura, così come avviene da tempo sul tema, assicurando la massima cooperazione.
Roberti: "Meccanismi per avvelenare la terra". "Dispiace rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini". Commenta così l'inchiesta il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. "Non è giustizia a orologeria - ha aggiunto, riferendosi al voto per il referendum sulle trivellazioni previsto il 17 aprile e le comunali a giugno - le indagini sono iniziate nel 2013 e sono state complesse e delicate: le richieste di misura cautelare sono state presentate tra agosto e novembre del 2015. Quindi prima del referendum e in tempi non sospetti".
IL SECONDO FILONE D'INCHIESTA: TEMPA ROSSA
Oggetto di indagine l'affidamento di appalti e lavori per l'infrastrutturazione del giacimento 'Tempa Rossa' della Total: secondo le indagini delegate alla Polizia, l'ex sindaca di Corleto Perticara si sarebbe adoperata a favore di alcuni imprenditori.
Coinvolto compagno ministra Guidi. Fra gli indagati, come detto, anche Gianluca Gemelli, imprenditore e compagno della ministra dello sviluppo economico Federica Guidi. Gemelli, imprenditore e commissario di Confindustria Siracusa, è accusato di traffico di influenze illecite perché “sfruttando la relazione di convivenza che aveva col ministro allo Sviluppo economico - si legge nella richiesta di misure cautelari - indebitamente si faceva promettere e otteneva da Giuseppe Cobianchi,
dirigente della Total” le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l'impianto estrattivo di Tempa Rossa”.
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Ciao
Paolo11
Inchiesta rifiuti nel centro Eni di Viggiano: 6 arresti. Indagato compagno della Guidi
Indagine in Basilicata. Nel primo filone di indagine per il gip i vertici dell'Eni dell'impianto erano "consapevoli" dell'aggiramento delle norme. Sospesa la produzione petrolifera. Nel secondo, sulle infrastrutture delll'impianto Total Tempa rossa coinvolto il convivente della ministra
di LEO AMATO
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POTENZA - Sei arresti per traffico e smaltimento di rifiuti, 60 indagati sospensione della produzione di petrolio Eni in Val D'Agri e dimissioni di un ministro, Federica Guidi. Dalla Basilicata si espande un'inchiesta della procura di Potenza che tocca, colpisce e travolge interessi economici e politici in tutta Italia. Due filoni d'inchiesta, il primo sul Centro Olio in Val d'Agri a Viggiano dell'Eni, l'altro sull'impianto estrattivo della Total a Tempa Rossa.
Le conseguenze politiche vengono tutte dal filone Tempa Rossa, nel quale è indagato il compagno della ministra Guidi, costretta a rassegnare le dimissioni per una intercettazione finita agli atti in cui garantiva l'approvazione di un emendamento alla legge di Stabilità che favoriva gli interessi economici delle imprese del suo convivente Gianluca Gemelli. L'altro filone ha conseguenze più economiche, con l'Eni che ha deciso la sospensione delle attività estrattive. Per questa parte d'inchiesta sono finiti in sei ai domiciliari.
IL PRIMO FILONE D'INCHIESTA: L'IMPIANTO ENI
La prima parte dell'indagine riguarda presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi al Centro Olio in Val d'Agri a Viggiano dell'Eni. L'inchiesta riguarda lo "sforamento" dei limiti delle emissioni in atmosfera del Cova.
I dirigenti dell'impianto Eni coinvolti, si legge nelle ordinanze, "erano consapevoli dei problemi emissivi" del Centro, ma "cercano di ridurre il numero di comunicazioni sugli sforamenti invece di incidere direttamente sulla causa del malfunzionamento o dell'evento" allo scopo di "non allarmare gli enti di controllo".
A ancora: i vertici dell'impianto Eni "qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita" rifiuti pericolosi - come "non pericolosi", utilizzando quindi un "trattamento non adeguato" degli stessi scarti, e "notevolmente più economico", e dati sulle emissioni in atmosfera "alterati".
Arrestati e indagati. Nell'indagine sono state poste agli arresti domiciliari dai carabinieri per la tutela dell'ambiente sei persone, funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (Potenza) dell'Eni e l'ex sindaca Pd di Corleto Perticara - dove viene trattato il petrolio estratto in Val d'Agri - perché ritenuti responsabili, a vario titolo, di "attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti".
I sei arrestati sono Rosaria Vicino, ex sindaca del Pd di Corleto Perticara, Vincenzo Lisandrelli (coordinatore ambiente del reparto sicurezza e salute all'Eni di Viggiano), Roberta Angelini (responsabile Sicurezza e salute dell'Eni a Viggiano). Nicola Allegro (responsabile operativo del Centro oli di Viggiano), Luca Bagatti (responsabile della produzione del distretto meridionale di Eni) e Antonio Cirelli (dipendente Eni nel comparto ambiente). Divieto di dimora deciso per l'ex vicesindaco, Giambattista Genovese, e per un dirigente della Regione Basilicata, Salvatore Lambiase. Le accuse: “plurime condotte di concussione e corruzione”.
Il comunicato dell'Eni. "Eni - si legge in un comunicato - prende atto dei provvedimenti adottati dall'autorità giudiziaria. E ha provveduto alla sospensione temporanea dei lavoratori oggetto dei provvedimenti cautelari e sta completando ulteriori verifiche interne". Per quanto riguarda l'attività produttiva in Val d'Agri, che al momento è sospesa (75.000 barili al giorno), Eni conferma "sulla base di verifiche esterne commissionate dalla società stessa, il rispetto dei requisiti di legge e delle best practice internazionali". In tal senso Eni richiederà la disponibilità dei beni posti oggi sotto sequestro e continuerà ad interloquire con la magistratura, così come avviene da tempo sul tema, assicurando la massima cooperazione.
Roberti: "Meccanismi per avvelenare la terra". "Dispiace rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini". Commenta così l'inchiesta il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. "Non è giustizia a orologeria - ha aggiunto, riferendosi al voto per il referendum sulle trivellazioni previsto il 17 aprile e le comunali a giugno - le indagini sono iniziate nel 2013 e sono state complesse e delicate: le richieste di misura cautelare sono state presentate tra agosto e novembre del 2015. Quindi prima del referendum e in tempi non sospetti".
IL SECONDO FILONE D'INCHIESTA: TEMPA ROSSA
Oggetto di indagine l'affidamento di appalti e lavori per l'infrastrutturazione del giacimento 'Tempa Rossa' della Total: secondo le indagini delegate alla Polizia, l'ex sindaca di Corleto Perticara si sarebbe adoperata a favore di alcuni imprenditori.
Coinvolto compagno ministra Guidi. Fra gli indagati, come detto, anche Gianluca Gemelli, imprenditore e compagno della ministra dello sviluppo economico Federica Guidi. Gemelli, imprenditore e commissario di Confindustria Siracusa, è accusato di traffico di influenze illecite perché “sfruttando la relazione di convivenza che aveva col ministro allo Sviluppo economico - si legge nella richiesta di misure cautelari - indebitamente si faceva promettere e otteneva da Giuseppe Cobianchi,
dirigente della Total” le qualifiche necessarie per entrare nella “bidder list delle società di ingegneria” della multinazionale francese, e “partecipare alle gare di progettazione ed esecuzione dei lavori per l'impianto estrattivo di Tempa Rossa”.
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Paolo11
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Re: Renzi
"Italia cambiata, ci si dimette". Ma per Renzi la Boschi non si tocca
Agli atti non c'è solo l'appoggio della Guidi al compagno indagato. Tirata in ballo anche la Boschi che, però, non lascia. Renzi la difende: "Firma atto dovuto". Ma Brunetta lo avverte: "Non ti basterà sacrificare un ministro"
Sergio Rame - Ven, 01/04/2016 - 16:26
commenta
"Nel governo Renzi non si muove foglia che la Boschi non voglia. Tanto nelle banche quanto nella legge di stabilità". Le parole di Renato Brunetta rendono bene il clima che c'è nel governo. Perché, dietro alle rassicurazioni del ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi al compagno (indagato) Gianluca Gemelli, c'è l'impegno di Maria Elena Boschi a far uscire l'emendamento incriminato.
Eppure, mentre Matteo Renzi ha fatto pressioni perché la Guidi lasciasse subito il ministero, la Boschi resta ben salda alla poltrona. "La firma dell'emendamento da parte del ministro Boschi - la difende il premier - è un atto dovuto". Ma le opposizioni chiedono a gran voce: "Prima le banche, poi il petrolio. Quando le dimissioni?".
Le intercettazioni su Guidi e Boschi
"E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d'accordo anche Maria Elena, quell'emendamento che mi hanno fatto uscire... alle quattro di notte!". È il 5 novembre del 2014 e la Guidi rivela a Gemelli (titolare di due società che operano nel settore petrolifero) una notizia ancora riservata. Un annuncio che, dicono gli inquirenti, favorirà proprio Gemelli dal momento che il provvedimento che sarà poi inserito nella legge di stabilità avrebbe agevolato l'iter delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto "Tempa Rossa", il giacimento petrolifero della Basilicata la cui base logistica è prevista a Taranto nella raffineria Eni. Un progetto dal valore complessivo di 1,6 miliardi e sul quale Gemelli aveva diverse mire. Il 5 novembre, alle 17.10, gli investigatori sentono dunque il ministro dire al compagno: "... quell'emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte... alle quattro di notte...! rimetterlo dentro alla legge... con l'emendamento alla legge di stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa... ehm... dall'altra parte si muove tutto". A quel punto il compagno chiede se la corsa riguardasse anche i suoi "amici". "Eh certo, capito? - risponde Guidi - certo... te l'ho detto per quello". Gemelli non perde tempo e contatta il dirigente della Total Giuseppe Cobianchi, con il quale da tempo è in contatto. "La chiamo per darle una buona notizia... - dice - si ricorda che tempo fa avevano ritirato un emendamento, ragion per cui c'erano di nuovo problemi su Tempa Rossa...pare che oggi riescano ad inserirlo nuovamente al Senato... ragion per cui... se passa... e pare che ci sia l'accordo con Boschi e compagni... se passa quest'emendamento... che pare... siano d'accordo tutti... perché la Boschi ha accetto di inserirlo... è tutto sbloccato! (ride) volevo che lo sapesse in anticipo... e quindi questa è una notizia... penso che sia positiva! mi hanno chiamato adesso e mi hanno detto... 'guarda lo inseriamo di nuovo' e quindi siamo a posto! Se me l'hanno detto penso che sia chiuso... perché mi dicevano che anche la Boschi era d'accordo... quindi incrociamo le dita ma dovrebbe essere così". Per "ingentilirsi i vertici della società" Gemelli vuole che la notizia arrivi direttamente all'ad della Tecnimont, una società che ha dato lavori in subappalto ad una delle sue aziende. Così chiama il dirigente Luigi Anselmi. "Ascolta c'è un'informazione importante per il tuo ad... glielo dobbiamo far sapere subito... mi hanno chiamato, e tu sai chi, e mi diceva che invece che... d'accordo con la Boschi e... lo stanno reinserendo quell'emendamento, quindi sbloccheranno il tutto... solo che io avrei necessità di dirlo anche a lui... perché gli deve arrivare prima che sia ufficiale... se no non abbiamo fatto niente...".
Perché si dimette soltanto la Guidi?
Nelle carte vengono citati anche altri esponenti del governo. Si parla, per esempio, del ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti e di un convegno a Roma promosso, secondo il compagno del ministro, dalla Fondazione italiani europei di Massimo d'Alema. Vengono alla luce i "contatti" tra il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, ex governatore della Basilicata, e l'imprenditore Pasquale Criscuolo. In una intercettazione De Filippo invita Criscuolo, "qualora avesse necessità di risolvere problematiche sulla capitale", a rivolgersi all'assistente: "Chiedile tutto che lei ti può spiegare tutto è una persona di grande valore a parte che se ti serve qualsiasi cosa è in condizioni di risolverti molti problemi su Roma". Spunta, poi, il legame con il presidente della Basilicata Marcello Pittella. Tanto che il giudice si sofferma "sul ruolo politico assunto da Pittella e sui contatti 'fortì che il fratello di questi, Gianni, europarlamentare, aveva con il premier". Eppure è solo la Guidi a pagare. "Tutti sapevano - vanno alla carica i grillini - tutti a casa". Per Brunetta, infatti, la notizia non sono le dimissioni del ministro, ma il fatto che ci siano solo le sue. "La notizia vera - tuona il deputato di Forza Italia - è la certificazione di come la Legge di Stabilità, che è la spina dorsale della politica del governo, sia marcia in se stessa, abbia come logica suprema non il bene del Paese ma quello degli amici degli amici". E invita Renzi a non illudersi che gli "basti sacrificare la Guidi" per poter tirare avanti a campare.
Renzi fa scudo alla Boschi
All'indomani degli arresti e delle dimissioni, le opposizioni hanno serrato i ranghi per chiedere alla Boschi a gran voce un passo indietro. Per molti, infatti, il ministro per le Riforme è il gran cerimoniere dei traffici di Renzi. Maurizio Gasparri denuncia le "ombre pesanti" che gravano "sull'operato del governo". Ma non è l'unico a denunciarlo. "Tutto il governo è in eterno conflitto d'interessi - attacca Giorgia Meloni - nelle telefonate si parla delle due ministre: una si dimette, l'altra no: perché?". Ma il Pd fa quadrato attorno alla Boschi e rimanda al mittente la richiesta di dimissioni. Finché non è lo stesso Renzi a scendere in campo per difenderla: "L'Italia non è più quella di una volta: se prima per telefonate inopportune non ci si dimetteva, ora ci si dimette". Nonostante la selva di proteste che sono piovute sul governo, il premier trova il modo di vantarsi delle dimissioni della Guidi. Fa il paragone con Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia nei governi Monti e Letta, e liquida le mozioni di sfiducia delle opposizioni come una seccatura che verrà spazza via facilmente. Quindi si fionda a difendere la posizione della Boschi spiegando la firma dell'emendamento come "un atto dovuto". Per Matteo Salvini, infine, non basterebbero nemmeno le dimissioni della Boschi. "Quello che se ne deve andare - intima - è Renzi".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 41366.html
Agli atti non c'è solo l'appoggio della Guidi al compagno indagato. Tirata in ballo anche la Boschi che, però, non lascia. Renzi la difende: "Firma atto dovuto". Ma Brunetta lo avverte: "Non ti basterà sacrificare un ministro"
Sergio Rame - Ven, 01/04/2016 - 16:26
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"Nel governo Renzi non si muove foglia che la Boschi non voglia. Tanto nelle banche quanto nella legge di stabilità". Le parole di Renato Brunetta rendono bene il clima che c'è nel governo. Perché, dietro alle rassicurazioni del ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi al compagno (indagato) Gianluca Gemelli, c'è l'impegno di Maria Elena Boschi a far uscire l'emendamento incriminato.
Eppure, mentre Matteo Renzi ha fatto pressioni perché la Guidi lasciasse subito il ministero, la Boschi resta ben salda alla poltrona. "La firma dell'emendamento da parte del ministro Boschi - la difende il premier - è un atto dovuto". Ma le opposizioni chiedono a gran voce: "Prima le banche, poi il petrolio. Quando le dimissioni?".
Le intercettazioni su Guidi e Boschi
"E poi dovremmo riuscire a mettere dentro al Senato se è d'accordo anche Maria Elena, quell'emendamento che mi hanno fatto uscire... alle quattro di notte!". È il 5 novembre del 2014 e la Guidi rivela a Gemelli (titolare di due società che operano nel settore petrolifero) una notizia ancora riservata. Un annuncio che, dicono gli inquirenti, favorirà proprio Gemelli dal momento che il provvedimento che sarà poi inserito nella legge di stabilità avrebbe agevolato l'iter delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto "Tempa Rossa", il giacimento petrolifero della Basilicata la cui base logistica è prevista a Taranto nella raffineria Eni. Un progetto dal valore complessivo di 1,6 miliardi e sul quale Gemelli aveva diverse mire. Il 5 novembre, alle 17.10, gli investigatori sentono dunque il ministro dire al compagno: "... quell'emendamento che mi hanno fatto uscire quella notte... alle quattro di notte...! rimetterlo dentro alla legge... con l'emendamento alla legge di stabilità e a questo punto se riusciamo a sbloccare anche Tempa Rossa... ehm... dall'altra parte si muove tutto". A quel punto il compagno chiede se la corsa riguardasse anche i suoi "amici". "Eh certo, capito? - risponde Guidi - certo... te l'ho detto per quello". Gemelli non perde tempo e contatta il dirigente della Total Giuseppe Cobianchi, con il quale da tempo è in contatto. "La chiamo per darle una buona notizia... - dice - si ricorda che tempo fa avevano ritirato un emendamento, ragion per cui c'erano di nuovo problemi su Tempa Rossa...pare che oggi riescano ad inserirlo nuovamente al Senato... ragion per cui... se passa... e pare che ci sia l'accordo con Boschi e compagni... se passa quest'emendamento... che pare... siano d'accordo tutti... perché la Boschi ha accetto di inserirlo... è tutto sbloccato! (ride) volevo che lo sapesse in anticipo... e quindi questa è una notizia... penso che sia positiva! mi hanno chiamato adesso e mi hanno detto... 'guarda lo inseriamo di nuovo' e quindi siamo a posto! Se me l'hanno detto penso che sia chiuso... perché mi dicevano che anche la Boschi era d'accordo... quindi incrociamo le dita ma dovrebbe essere così". Per "ingentilirsi i vertici della società" Gemelli vuole che la notizia arrivi direttamente all'ad della Tecnimont, una società che ha dato lavori in subappalto ad una delle sue aziende. Così chiama il dirigente Luigi Anselmi. "Ascolta c'è un'informazione importante per il tuo ad... glielo dobbiamo far sapere subito... mi hanno chiamato, e tu sai chi, e mi diceva che invece che... d'accordo con la Boschi e... lo stanno reinserendo quell'emendamento, quindi sbloccheranno il tutto... solo che io avrei necessità di dirlo anche a lui... perché gli deve arrivare prima che sia ufficiale... se no non abbiamo fatto niente...".
Perché si dimette soltanto la Guidi?
Nelle carte vengono citati anche altri esponenti del governo. Si parla, per esempio, del ministro dell'Ambiente Gian Luca Galletti e di un convegno a Roma promosso, secondo il compagno del ministro, dalla Fondazione italiani europei di Massimo d'Alema. Vengono alla luce i "contatti" tra il sottosegretario alla Salute Vito De Filippo, ex governatore della Basilicata, e l'imprenditore Pasquale Criscuolo. In una intercettazione De Filippo invita Criscuolo, "qualora avesse necessità di risolvere problematiche sulla capitale", a rivolgersi all'assistente: "Chiedile tutto che lei ti può spiegare tutto è una persona di grande valore a parte che se ti serve qualsiasi cosa è in condizioni di risolverti molti problemi su Roma". Spunta, poi, il legame con il presidente della Basilicata Marcello Pittella. Tanto che il giudice si sofferma "sul ruolo politico assunto da Pittella e sui contatti 'fortì che il fratello di questi, Gianni, europarlamentare, aveva con il premier". Eppure è solo la Guidi a pagare. "Tutti sapevano - vanno alla carica i grillini - tutti a casa". Per Brunetta, infatti, la notizia non sono le dimissioni del ministro, ma il fatto che ci siano solo le sue. "La notizia vera - tuona il deputato di Forza Italia - è la certificazione di come la Legge di Stabilità, che è la spina dorsale della politica del governo, sia marcia in se stessa, abbia come logica suprema non il bene del Paese ma quello degli amici degli amici". E invita Renzi a non illudersi che gli "basti sacrificare la Guidi" per poter tirare avanti a campare.
Renzi fa scudo alla Boschi
All'indomani degli arresti e delle dimissioni, le opposizioni hanno serrato i ranghi per chiedere alla Boschi a gran voce un passo indietro. Per molti, infatti, il ministro per le Riforme è il gran cerimoniere dei traffici di Renzi. Maurizio Gasparri denuncia le "ombre pesanti" che gravano "sull'operato del governo". Ma non è l'unico a denunciarlo. "Tutto il governo è in eterno conflitto d'interessi - attacca Giorgia Meloni - nelle telefonate si parla delle due ministre: una si dimette, l'altra no: perché?". Ma il Pd fa quadrato attorno alla Boschi e rimanda al mittente la richiesta di dimissioni. Finché non è lo stesso Renzi a scendere in campo per difenderla: "L'Italia non è più quella di una volta: se prima per telefonate inopportune non ci si dimetteva, ora ci si dimette". Nonostante la selva di proteste che sono piovute sul governo, il premier trova il modo di vantarsi delle dimissioni della Guidi. Fa il paragone con Annamaria Cancellieri, ministro della Giustizia nei governi Monti e Letta, e liquida le mozioni di sfiducia delle opposizioni come una seccatura che verrà spazza via facilmente. Quindi si fionda a difendere la posizione della Boschi spiegando la firma dell'emendamento come "un atto dovuto". Per Matteo Salvini, infine, non basterebbero nemmeno le dimissioni della Boschi. "Quello che se ne deve andare - intima - è Renzi".
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Re: Renzi
2 APR 2016 15:58
FLASH! - IL GOVERNATORE PUGLIESE EMILIANO SCOMMETTE: “NON C'È BISOGNO DI OPPORSI A RENZI. ANDRÀ A SBATTERE DA SOLO” - PALAZZI ROMANI: ‘’SE ALLE AMMINISTRATIVE PERDE SIA ROMA CHE MILANO, IL CAZZONE TOSCANO IL PANETTONE LO MANGIA A RIGNANO SULL’ARNO’’……
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 121879.htm
NB. Ma forse Emiliano non sapeva ancora del disastro ambientale
FLASH! - IL GOVERNATORE PUGLIESE EMILIANO SCOMMETTE: “NON C'È BISOGNO DI OPPORSI A RENZI. ANDRÀ A SBATTERE DA SOLO” - PALAZZI ROMANI: ‘’SE ALLE AMMINISTRATIVE PERDE SIA ROMA CHE MILANO, IL CAZZONE TOSCANO IL PANETTONE LO MANGIA A RIGNANO SULL’ARNO’’……
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 121879.htm
NB. Ma forse Emiliano non sapeva ancora del disastro ambientale
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Re: Renzi
IL PARERE DEL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA. UN GIORNALE AMICO.
ILIL’INCHIESTA, L’ECONOMIA, IL VOTO
Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
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Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) shadow
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ILIL’INCHIESTA, L’ECONOMIA, IL VOTO
Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
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Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) shadow
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Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Re: Renzi
IL PARERE DEL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA. UN GIORNALE AMICO.
ILIL’INCHIESTA, L’ECONOMIA, IL VOTO
Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
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Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) shadow
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
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Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Re: Renzi
IL PARERE DEL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA. UN GIORNALE AMICO.
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Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
© RIPRODUZIONE RISERVATAL’INCHIESTA, L’ECONOMIA, IL VOTO
Una primavera difficile
per il governo
Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) Il presidente del Consiglio Matteo Renzi alla scuola di formazione politica del Pd (Jpeg) shadow
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
2 aprile 2016 (modifica il 2 aprile 2016 | 22:37)
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
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Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Re: Renzi
IL PARERE DEL DIRETTORE DEL CORRIERE DELLA SERA. UN GIORNALE AMICO.
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L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Per il premier il vero giudizio gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi
di Luciano Fontana
L’inchiesta che ha portato alla dimissioni del ministro Federica Guidi è l’anteprima di una primavera di passione per il governo. Il premier Renzi l’ha capito e ha agito con rapidità per cercare di mettere al riparo il suo esecutivo da conseguenze più pesanti. Gli italiani sono scossi dai ripetuti episodi di corruzione che investono ogni attività pubblica. L’idea che un ministro abbia favorito il suo compagno, che l’attività legislativa sia al servizio di interessi privati è davvero insopportabile. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà l’indagine sull’impianto petrolifero di Tempa Rossa e sulla gestione dei rifiuti in Basilicata. Certamente alzerà un ulteriore ostacolo in un percorso già difficile.
Intanto restituisce forza a un referendum, quello sulle trivellazioni, che si avvicinava tra l’indifferenza quasi assoluta dell’opinione pubblica. Solo il sospetto che dietro le autorizzazioni alla ricerca di nuovi giacimenti in mare si nasconda l’interesse, oltre che delle compagnie, di affaristi locali e nazionali può cambiare la natura della scelta che i cittadini dovranno fare il 17 aprile. Non si discuterà più di energia e di difesa dell’ambiente ma purtroppo di lobbies e corrotti. Ancora vento nelle vele del Movimento Cinque Stelle. Matteo Renzi aveva saputo presentarsi, nelle vittoriose elezioni europee, con il volto della novità, della rottura con il passato del centrosinistra. Aveva saputo parlare all’elettorato dei ribelli, degli sfiduciati e degli insoddisfatti. E arginato la crescita di Grillo. Ora lo scenario sembra diverso.
Per il premier il vero giudizio sul governo gli italiani lo daranno in autunno nel referendum sulla riforma costituzionale. Ma ci sono alcuni passaggi politici e alcune emergenze economiche e sociali che fanno dubitare che i tempi saranno questi.
Mancano due mesi alle elezioni amministrative e il Pd si presenta in quasi tutte le grandi città in una condizione di fragilità. Il premier e segretario democratico non è riuscito a costruire a livello regionale e locale una classe dirigente in sintonia con il suo progetto. Il rischio della sconfitta a Roma e Napoli è molto forte e la partita di Milano sembra più aperta di quanto apparisse all’inizio della campagna elettorale. In ogni città, e spesso in Parlamento, è come se esistessero due partiti democratici, in lotta aspra tra di loro. Non c’è un progetto condiviso, un giudizio comune sulle scelte. Le inimicizie politiche e personali, la voglia di consumare vendette sono pane quotidiano.
Una sconfitta alle amministrative, come è accaduto in passato, difficilmente non produce effetti a livello nazionale. La tenuta parlamentare del governo, favorita da un’opposizione di centrodestra frantumata e incapace di costruire una nuova leadership, potrebbe non bastare più ad affrontare i compiti che l’esecutivo ha di fronte.
Perché, oltre alle inchieste, agli scontri politici, ai veleni, alla sfida nelle città, c’è un Paese ancora in emergenza. Alcune riforme positive promosse da Renzi hanno prodotto effetti. Ma l’Italia è alle prese con una crescita debole, con tassi di occupazione che non salgono, con un sistema bancario in tensione e sottoposto da mesi ai colpi del mercato. Per non parlare del fronte dell’immigrazione: qualcuno sta valutando gli effetti della chiusura della rotta balcanica da parte dell’Unione Europea? Nei primi tre mesi dell’anno gli arrivi di migranti in Italia sono stati l’80% in più rispetto al 2015. Per la fine del 2016 si prevede un raddoppio. Cosa comporterà in termini di assistenza, risorse, tensioni sociali?
Il presidente del Consiglio conosce bene tutti i nodi politici, economici e sociali che avrà di fronte in questa primavera. Nella prima parte del suo mandato ha saputo affrontare le sfide con un piglio dinamico, con una capacità di rottura con il suo mondo di riferimento. Ora è atteso alla prova più dura. Dare fiducia è importante ma ripetere che «tutto va bene» non basterà a produrre risultati e a convincere un Paese scosso dalla crisi e dalle inchieste della magistratura. La partita è nelle sue mani, sta a lui giocarla. Per il fischio d’inizio sarebbe, ad esempio, un bel segnale che il nuovo ministro dello Sviluppo economico fosse una personalità forte, competente e al di sopra di ogni conflitto d’interesse. Insomma che il criterio di scelta non fosse solo la fedeltà.
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Re: Renzi
Repubblica 2.4.16
Il fantasma del logoramento
di Stefano Folli
LA MOZIONE di sfiducia contro il governo sul caso Guidi non provocherà la caduta di Renzi. Servirà invece a rafforzare la leadership di Grillo e del suo movimento nel campo vasto ma frastagliato dell’opposizione.
I Cinque Stelle sono gli unici in grado di trarre qualche immediato vantaggio dall’iniziativa e infatti è subito esploso un contrasto con l’altro aspirante alla leadership, il leghista Salvini (altro che patto Carroccio-M5S in chiave anti-premier).
È una manovra politica già vista in passato. Con qualche differenza. La prima è che l’arcipelago del centrodestra d’opposizione non è mai stato così frammentato, causa il tramonto senza fine di Berlusconi e la mancanza di un nuovo federatore. E infatti i grillini, più che federare, si preoccupano di assorbire quel mondo, mescolandolo ai loro temi e ricavandone un’inedita ricetta nazional- populista in cui si aprono spazi originali per la seconda generazione, quella dei Di Maio e delle Raggi.
Ma la differenza maggiore riguarda il presidente del Consiglio. Il caso Guidi ha rivelato un principio di logoramento che rischia di essere molto pericoloso per le prospettive dell’esecutivo e del “renzismo” come progetto di riassetto politico a lungo termine. Per la verità era da qualche tempo che si avvertivano gli scricchiolii. Rispetto alla prima fase del suo governo, il premier-segretario è passato dalla condizione di giovane dinamico e innovatore, capace di mantenere un rapporto positivo con l’opinione pubblica, allo status di personaggio un po’ ingessato nel suo ruolo, tendente a ripetersi nei “tic” e negli schemi, interessato solo alla campagna elettorale permanente in cui sembra credere come a un mantra.
Questa crescente rigidità, solo in apparenza corretta da uno stile disinvolto all’americana, è figlia di problemi più grandi del previsto. E certo non è tutta colpa di Renzi. La ripresa economica promessa rimane ancora oggi poca cosa rispetto alle attese alimentate fin dell’estate del 2014, oltre un anno e mezzo fa. I dati sull’occupazione sono insoddisfacenti, nonostante le riforme. Altre priorità, dalla giustizia a una burocrazia più semplice, non hanno ancora cambiato la vita quotidiana degli italiani, in definitiva gli unici giudici. I lacci che soffocano il sistema economico sono stati tagliati solo in parte; il potere delle “lobby”, come dimostra proprio il caso Guidi, è ancora asfissiante; l’orizzonte di un regime di vera concorrenza è di là da venire.
C’è una crescente sfasatura fra il racconto pubblico renziano, intriso di ottimismo e volto — giustamente — a sollecitare le migliori energie del paese, e la realtà in cui vivono la maggior parte dei cittadini elettori. È quella che si può definire inerzia. L’inerzia di chi non ha saputo o voluto cambiare passo in questi due anni e ha continuato a usare le stesse formule comunicative ignorando che lo scenario intorno stava cambiando: non necessariamente in meglio. Sullo sfondo ci sono le angosce collettive non prevedibili: la paura del terrorismo, le incognite sulle nuove ondate di immigrati, la crisi in Libia e la sensazione diffusa che l’Italia non potrà restarne estranea.Certo, Renzi è un combattente e ha dimostrato in più occasioni la sua notevole personalità. E conosciamo l’argomento che viene usato a mo’ di scudo: non esistono autentiche alternative a questa maggioranza, al governo e all’attuale premier che non siano avventure demagogiche. Ma questo punto, pur vero, non giustifica l’inerzia di chi ha smesso di rinnovarsi, al di là delle tante parole, e di adeguare giorno per giorno il messaggio rivolto agli italiani. Se a ciò si aggiunge l’indifferenza, quando non l’ironia, verso quel che resta dei partiti politici, a cominciare dal suo; nonché il fastidio nemmeno dissimulato verso gli ostacoli lungo il percorso, quale il referendum sulle trivelle o le amministrative di giugno, si capiscono le radici del logoramento.
La vicenda Guidi ha messo in luce la distanza fra il premier che fa jogging nei parchi di Chicago e il piccolo cabotaggio di un governo che ha bisogno di sentire il suo timoniere e non sempre né avverte la presenza. La tendenza all’affarismo, quella mancanza di trasparenza che si avverte nei palazzi romani, è un virus che va debellato al più presto con scelte idonee. È inutile evocare il sindaco di Quarto per mettere in difficoltà i Cinque Stelle: la sproporzione fra i due episodi balza agli occhi. La spinta anti-politica Renzi può contenerla come fece all’inizio del suo mandato: governando con efficacia, circondandosi di una classe dirigente all’altezza dei tempi difficili in cui viviamo, riducendo la tentazione dell’enfasi e della retorica a favore di un discorso-verità, tale da stabilire una nuova corrente di fiducia fra il leader e i cittadini.
Sotto questo aspetto, la scelta del successore di Federica Guidi sarà un segnale di rilievo. Il premier deve dimostrare che l’inerzia e il logoramento non vanno a braccetto nel frenare e impantanare il governo. Può risalire la china e riguadagnare le simpatie di un’opinione pubblica che oggi lo guarda con qualche perplessità. Ma gli errori di sottovalutazione, il nervosismo, una certa inclinazione all’arroganza sono cattivi consiglieri. Al contrario, non piegarsi alla manovra politica dell’opposizione e difendere la dignità dell’esecutivo e dei ministri, in primo luogo la Boschi, esprime la volontà di battersi senza debolezze. Ma stavolta non basta vincere lo scontro parlamentare per uscire dalla palude e riprendere il cammino come se nulla fosse successo. Perché molte cose sono accadute in questi mesi e non tutte positive.
Il fantasma del logoramento
di Stefano Folli
LA MOZIONE di sfiducia contro il governo sul caso Guidi non provocherà la caduta di Renzi. Servirà invece a rafforzare la leadership di Grillo e del suo movimento nel campo vasto ma frastagliato dell’opposizione.
I Cinque Stelle sono gli unici in grado di trarre qualche immediato vantaggio dall’iniziativa e infatti è subito esploso un contrasto con l’altro aspirante alla leadership, il leghista Salvini (altro che patto Carroccio-M5S in chiave anti-premier).
È una manovra politica già vista in passato. Con qualche differenza. La prima è che l’arcipelago del centrodestra d’opposizione non è mai stato così frammentato, causa il tramonto senza fine di Berlusconi e la mancanza di un nuovo federatore. E infatti i grillini, più che federare, si preoccupano di assorbire quel mondo, mescolandolo ai loro temi e ricavandone un’inedita ricetta nazional- populista in cui si aprono spazi originali per la seconda generazione, quella dei Di Maio e delle Raggi.
Ma la differenza maggiore riguarda il presidente del Consiglio. Il caso Guidi ha rivelato un principio di logoramento che rischia di essere molto pericoloso per le prospettive dell’esecutivo e del “renzismo” come progetto di riassetto politico a lungo termine. Per la verità era da qualche tempo che si avvertivano gli scricchiolii. Rispetto alla prima fase del suo governo, il premier-segretario è passato dalla condizione di giovane dinamico e innovatore, capace di mantenere un rapporto positivo con l’opinione pubblica, allo status di personaggio un po’ ingessato nel suo ruolo, tendente a ripetersi nei “tic” e negli schemi, interessato solo alla campagna elettorale permanente in cui sembra credere come a un mantra.
Questa crescente rigidità, solo in apparenza corretta da uno stile disinvolto all’americana, è figlia di problemi più grandi del previsto. E certo non è tutta colpa di Renzi. La ripresa economica promessa rimane ancora oggi poca cosa rispetto alle attese alimentate fin dell’estate del 2014, oltre un anno e mezzo fa. I dati sull’occupazione sono insoddisfacenti, nonostante le riforme. Altre priorità, dalla giustizia a una burocrazia più semplice, non hanno ancora cambiato la vita quotidiana degli italiani, in definitiva gli unici giudici. I lacci che soffocano il sistema economico sono stati tagliati solo in parte; il potere delle “lobby”, come dimostra proprio il caso Guidi, è ancora asfissiante; l’orizzonte di un regime di vera concorrenza è di là da venire.
C’è una crescente sfasatura fra il racconto pubblico renziano, intriso di ottimismo e volto — giustamente — a sollecitare le migliori energie del paese, e la realtà in cui vivono la maggior parte dei cittadini elettori. È quella che si può definire inerzia. L’inerzia di chi non ha saputo o voluto cambiare passo in questi due anni e ha continuato a usare le stesse formule comunicative ignorando che lo scenario intorno stava cambiando: non necessariamente in meglio. Sullo sfondo ci sono le angosce collettive non prevedibili: la paura del terrorismo, le incognite sulle nuove ondate di immigrati, la crisi in Libia e la sensazione diffusa che l’Italia non potrà restarne estranea.Certo, Renzi è un combattente e ha dimostrato in più occasioni la sua notevole personalità. E conosciamo l’argomento che viene usato a mo’ di scudo: non esistono autentiche alternative a questa maggioranza, al governo e all’attuale premier che non siano avventure demagogiche. Ma questo punto, pur vero, non giustifica l’inerzia di chi ha smesso di rinnovarsi, al di là delle tante parole, e di adeguare giorno per giorno il messaggio rivolto agli italiani. Se a ciò si aggiunge l’indifferenza, quando non l’ironia, verso quel che resta dei partiti politici, a cominciare dal suo; nonché il fastidio nemmeno dissimulato verso gli ostacoli lungo il percorso, quale il referendum sulle trivelle o le amministrative di giugno, si capiscono le radici del logoramento.
La vicenda Guidi ha messo in luce la distanza fra il premier che fa jogging nei parchi di Chicago e il piccolo cabotaggio di un governo che ha bisogno di sentire il suo timoniere e non sempre né avverte la presenza. La tendenza all’affarismo, quella mancanza di trasparenza che si avverte nei palazzi romani, è un virus che va debellato al più presto con scelte idonee. È inutile evocare il sindaco di Quarto per mettere in difficoltà i Cinque Stelle: la sproporzione fra i due episodi balza agli occhi. La spinta anti-politica Renzi può contenerla come fece all’inizio del suo mandato: governando con efficacia, circondandosi di una classe dirigente all’altezza dei tempi difficili in cui viviamo, riducendo la tentazione dell’enfasi e della retorica a favore di un discorso-verità, tale da stabilire una nuova corrente di fiducia fra il leader e i cittadini.
Sotto questo aspetto, la scelta del successore di Federica Guidi sarà un segnale di rilievo. Il premier deve dimostrare che l’inerzia e il logoramento non vanno a braccetto nel frenare e impantanare il governo. Può risalire la china e riguadagnare le simpatie di un’opinione pubblica che oggi lo guarda con qualche perplessità. Ma gli errori di sottovalutazione, il nervosismo, una certa inclinazione all’arroganza sono cattivi consiglieri. Al contrario, non piegarsi alla manovra politica dell’opposizione e difendere la dignità dell’esecutivo e dei ministri, in primo luogo la Boschi, esprime la volontà di battersi senza debolezze. Ma stavolta non basta vincere lo scontro parlamentare per uscire dalla palude e riprendere il cammino come se nulla fosse successo. Perché molte cose sono accadute in questi mesi e non tutte positive.
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Re: Renzi
La Stampa 2.4.16
Giudici di nuovo in campo. E ora la sfida è a Renzi
Le inchieste fecero cadere i governi di Berlusconi e Prodi
di Mattia Feltri
Ieri Fabrizio Cicchitto ha detto apertamente quello che Matteo Renzi sospetta e si limita a riferire a beneficio dei retroscena: «Bisogna parlare di una bomba ad orologeria fatta esplodere con il meccanismo procedurale della richiesta di custodie cautelari e la conseguente pubblicità degli atti». E poi: «Non a caso questa richiesta è stata avanzata adesso, indipendentemente dal fatto che l’indagine è stata aperta nel 2014 e in questo modo si fa esplodere la bomba proprio alla vigilia dei referendum di aprile». Il concetto di «giustizia a orologeria» sembrava ormai fuori moda, almeno da quando il massimo teorico, Silvio Berlusconi, occupa i margini della cronaca, compresa quella giudiziaria. Ed è forse la prima volta che esponenti di una maggioranza di centrosinistra - presidente del Consiglio compreso, e nonostante Cicchitto venga dal centrodestra - si esprimono così apertamente sui fini politici dell’azione giudiziaria.
Eppure l’ultimo governo caduto per effetti penali è stato quello di Romano Prodi nel 2008 (l’altro era quello di Berlusconi nel 1994). Ora è preminente e comodissima la tesi secondo cui l’esecutivo era venuto giù per la corruzione del senatore Sergio De Gregorio, passato con la Casa delle libertà in cambio di finanziamenti e onori (e sempre che la teoria regga ai tre gradi di giudizio); ma chiunque capirà il diverso peso dell’uscita dalla maggioranza dell’Udeur di Clemente Mastella ministro della Giustizia. La moglie Sandra Lonardo era stata arrestata e messa ai domiciliari per una serie di accuse che otto anni dopo sono evaporate o disperse, e Mastella, in lite con un molto turgido Antonio Di Pietro, chiedeva a Prodi solidarietà. Fra i due, il Professore scelse naturalmente l’alleato prossimo alla magistratura, e Mastella votò la sfiducia.
È complicato sostenere che a Potenza coltivino progetti politici e calibrino i tempi d’intervento, anche perché dell’inchiesta in sé si è capito poco, nulla di quanti denari siano eventualmente girati, in che cosa consistano gli atti corruttivi e se non siano piuttosto di lobbying, ma tutto delle imbarazzanti implicazioni della ministra Federica Guidi e del suo fidanzato. È uno schema abbastanza ripetitivo. Pochi ricorderanno il nome di Ercole Incalza, nessuno i contorni degli addebiti con cui la procura di Firenze lo ha arrestato un anno fa, ma tutti del tracollo del ministero delle Infrastrutture retto da Maurizio Lupi e di cui Incalza era altissimo dirigente. Poche settimane fa Incalza è stato prosciolto nel disinteresse generale, e alla fine l’azione della procura magari non aveva obiettivi politici ma le conseguenze sono state tali, e gravi.
Dall’inizio della Seconda repubblica la maggior causa di mortalità in politica è dipesa dalle inchieste della magistratura, non sempre concluse con successo, spesso con condanne decisamente ridimensionate rispetto ai presupposti, altre volte con il trionfo pieno degli imputati (il caso di Calogero Mannino, assolto dopo quattordici anni da accuse di mafia è il più notevole) e viene in mente per esempio l’inchiesta Why Not di Luigi De Magistris (allora sostituto procuratore proprio a Potenza), una specie di kolossal giudiziario in cui era finito dentro chiunque, da Prodi in giù. Alla fine i condannati saranno stati cinque o sei su una cinquantina, e il pubblico ministero è stato premiato con la fama e l’elezione a sindaco di Napoli. Dimostrare la premeditazione di De Magistris è impossibile e inutile, però è dura trattenere il sospetto che tante inchieste contro la politica (così scalcagnata da offrire occasioni a ripetizione) dipendano almeno in parte dal rilievo che hanno in tv e sui giornali, dalla reputazione che garantiscono, dall’assenza di conseguenze in caso di errore, soprattutto dalla guerra fra politica e magistratura cominciata con Mani pulite nel 1992, e davanti alla quale una classe dirigente corrotta e squalificata, anche se ben oltre i suoi demeriti, accettò di arretrare. Un regola classica delle dinamiche istituzionali dice che un potere tende per sua natura ad espandersi: quello giudiziario ha occupato lo spazio lasciato libero da esecutivo e legislativo e, sempre per sua natura, non accetta di cederlo. Berlusconi e Prodi, per motivi opposti, hanno perso la partita. Ora sembra volerla riprendere Renzi, e promette di essere una partita avvincente.
La Stampa 2.4.16
La magistratura che fa paura alla politica
di Ugo Magri
C’è un’espressione che Renzi si guarda bene dal pronunciare, ma nel suo mondo circola con insistenza: «giustizia a orologeria». Amici fidati del premier vedono (o credono di scorgere) i segni premonitori di un nuovo protagonismo giudiziario. Temono che una parte delle toghe voglia profittare dei prossimi passaggi politici - le elezioni nelle grandi città, il referendum costituzionale d’autunno - per assestare un colpo al capo del governo e al partito di cui Renzi è il leader. In altre parole, provano la sgradevole sensazione di sentirsi nel mirino delle procure.
Non esattamente come lo fu Berlusconi, anzi il paragone verrebbe considerato oltraggioso dal presidente del Consiglio, però con qualche tratto in comune.
Per esempio, dell’inchiesta di Potenza sui petroli viene contestato il metodo. Che consiste nell’isolare e descrivere un sistema di potere, in questo caso del Pd in Basilicata, per poi cercare a strascico le prove del malaffare che lì e più in alto loco si sarebbe consumato. Dalla Guidi il premier ieri ha preso congedo senza rimpianti, ha colto anzi l’occasione per rivendicare la novità dei ministri che finalmente si dimettono alla prima telefonata «inopportuna», non come prima che restavano incollati alla poltrona. Però l’inchiesta di Potenza non si ferma qui, il premier ne è consapevole. Procede sulla base di un’ipotesi criminale che in Italia è al suo debutto: il cosiddetto «traffico di influenze». Cioè gli scambi di favori tra lobbismo e sottobosco del potere, in quella zona d’ombra dove il confine tra lecito e illecito è sempre stato incerto, spesso indefinibile. E adesso, con l’avvento di questo nuovo reato, lo diventa ancora di più.
È in fondo, a guardar bene, lo stesso mix di affari e politica locale che emerge dalle vicende di Banca Etruria, per cui risulta indagato Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena. Circolano da giorni i «rumor» di nuovi prossimi sviluppi giudiziari, figurarsi se a Palazzo Chigi non ne sono al corrente. Così come non è sfuggita a ottobre la proroga dell’inchiesta genovese che riguarda Tiziano Renzi, babbo del premier, da due anni sulla graticola (un tempo particolarmente lungo). Il sospetto è che si possa o si voglia sollevare un grande polverone. E guai se il metro di giudizio fosse quello di una magistratura prevenuta o vogliosa di riprendersi il centro della scena: questo si osserva non solo ai vertici del Pd, ma pure negli ambienti istituzionali più responsabili. La giustizia deve aiutare i partiti a liberarsi delle loro zavorre. L’allarme di questi giorni, invece, è che possa diventare la scusa per qualcos’altro: per l’esercizio di una tutela permanente nei confronti della politica. Anche di quella pulita, che Renzi è sicuro di incarnare.
La Stampa 2.4.16
I pm vogliono sentire Boschi. Lei si difende: “Rifarei tutto”
Le accuse dell’inchiesta al Pd: brogli e clientele. Mozione di sfiducia del M5S
Boschi nel mirino, Renzi la difende: “L’emendamento l’ho voluto io”
Mozioni di sfiducia delle opposizioni
di Amedeo La Mattina
Dopo Federica Guidi ora è la ministra Maria Elena Boschi al centro della tempesta. Con le opposizioni scatenate contro di lei e i pm che lasciano filtrare l’intenzione di convocarla in procura. Tanto che il premier, per difenderla, passa al contrattacco.
All’unisono Renzi e Boschi rivendicano la concessione del progetto «Tempa Rossa». Nonostante «le telefonate inopportune» di Federica Guidi al fidanzato che l’abbiano costretta alle dimissioni. Per il premier erano inopportune, come quelle del ministro della Giustizia Cancellieri (governo Letta): allora vennero chieste da Renzi le dimissioni ma non ci furono. Ora «l’Italia non è più quella di una volta: se prima non ci si dimetteva, ora ci si dimette. Noi siamo un governo diverso dal passato». Va all’attacco Renzi. Precisa che Guidi non ha commesso alcun reato. Ha sbagliato ed è giusto che paghi. «Con noi la musica è cambiata».
La strategia del premier è chiara: evitare che cresca nell’opinione pubblica l’attenzione sul referendum anti-trivelle, l’avversione contro i petrolieri, consentendo alla consultazione popolare di raggiungere il quorum. Vincerebbe il Sì. Sarebbe il viatico negativo alle amministrative e, ancora peggio, al referendum sulla riforma costituzionale d’autunno. Una strategia per evitare che il caso Guidi si trasformi in quello Boschi. Non è un caso che ieri Renzi l’abbia difesa con forza. «La firma dell’emendamento da parte del ministro Boschi è un atto dovuto. L’emendamento è favorevole a un progetto del governo che avevo io stesso annunciato». E tanto per far capire di cosa si stia parlando, il premier ha ricordato che «Tempa Rossa» produce posti di lavoro, «è una cosa sacrosanta aver consentito a delle persone di venire in Italia e fare degli investimenti: io lavoro perché si creino posti di lavoro». Stesse identiche parole quelle usate dalla Boschi: «Rifirmerei domattina quell’emendamento».
Renzi risponde colpo su colpo, non vuole dare il minimo spazio ai 5 Stelle. Anzi sfida gli oppositori a presentare il prima possibile la mozione di sfiducia al governo. «Grillo non si può permettere di insultare il Pd , perché i nostri iscritti e militanti non sono un bersaglio su cui tirare», dice il vicesegretario Serracchiani. Il primo passo infatti lo hanno fatto i 5 Stelle. Mozioni di sfiducia anche da parte della Lega, Fi, i Fdi e i Conservatori di Fitto. Sfiducia anche dalla Sinistra italiana. La sinistra Dem non voterà la sfiducia, ma attacca Renzi evidenziando gli interessi familiari di molti esponenti dell’esecutivo e la concentrazione di potere. Da una posizione autonoma, il governatore pugliese Emiliano parla di «lobby» che influenzano le politiche energetiche e ambientali ma anche le istituzioni. «Se basta così poco per ottenere un emendamento in un provvedimento legislativo - osserva Emiliano - onestamente la preoccupazione è altissima. C’è una telefonata che dice tutto e sulla quale il Paese intero deve riflettere perché non è una questione che riguarda solo il ministro. Noi abbiamo bisogno di disinquinare anche le istituzioni». Al governatore pugliese, capofila del referendum anti-trivelle, vengono attribuite manovre di scalata al Pd. «Le mie posizioni vengono sempre strumentalizzate per evitare di discutere nel merito», spiega Emiliano che lunedì sarà alla direzione del Pd. Nelle intercettazioni della procura di Potenza il fidanzato della Guidi ricorda al manager della Total che Emiliano in campagna elettorale si è espresso contro «Tempa Rossa», ma una volta eletto cambierà idea. «Invece - commenta il governatore - io onoro i miei impegni elettorali, non prendo in giro chi mi vota». Intanto la procura di Potenza sta valutando di sentire Guidi e Boschi come persone informate dei fatti.
Repubblica 2.4.16
Il premier e l’incubo comunali “Nel mirino per farci perdere”
di Tommaso Ciriaco e Alberto D’argenio
ROMA. «Vogliono inchiodarci a questa storia, la sfruttano in vista del referendum sulle trivelle e per farci perdere anche le amministrative ». Di mezzo c’è ancora un oceano, ma la rabbia di Matteo Renzi da Washington raggiunge Roma. E suona come un allarme in vista delle sfide dei prossimi mesi. Peggio di quell’intercettazione piombata nel bel mezzo della missione negli Stati Uniti, poi, c’è solo la mozione di sfiducia in arrivo. Non per i numeri, blindati dall’ingresso dei verdiniani in maggioranza, ma perché riaprirà una ferita che brucia. Per questo la strategia è obbligata: «Spegniamo subito l’incendio». Come? Alzando il tiro contro i grillini, sostituendo al più presto Federica Guidi allo Sviluppo economico. Con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, oppure con un clamoroso risiko ministeriale: dirottando Angelino Alfano in via Veneto e promuovendo Anna Finocchiaro al Viminale.
Il film dell’incidente culminato nelle dimissioni della ministra è fin troppo semplice, a dare retta alle confidenze di Renzi: «Va bene, Federica ha sbagliato, ma è stata responsabile e si è dimessa. Ora provano a trascinare dentro me, la Boschi e l’intero governo, ma questa è solo campagna elettorale». A dire il vero la prima reazione, sostenuta anche dal fidato Luca Lotti, è stata quella di ipotizzare un lungo interregno allo Sviluppo: «C’è il referendum, poi le amministrative: forse è meglio evitare di scontentare mezzo partito con una nomina. E se mi presentassi martedì prossimo al ministero per prendere l’interim?». Poche ore dopo, il premier cambia idea. «Spegnere l’incendio», appunto.
I nomi, allora. A favore della promozione di De Vincenti c’è il “modello Delrio”: come per il suo predecessore, non c’è più feeling con il premier. Resterebbe però scoperta la casella di sottosegretario alla Presidenza, alla quale potrebbe approdare un fedelissimo come Tommaso Nannicini, se non lo stesso Lotti ampliandone le deleghe. L’alternativa è quella di dirottare Alfano allo Sviluppo, aprendo le porte dell’Interno a Finocchiaro. Al leader Ncd potrebbe fare comodo avere più tempo a disposizione, soprattutto in vista delle Politiche, liberarsi dell’impopolare dossier immigrazione e di un rapporto un po’ logoro con la struttura del Viminale. E alla seconda non resterebbe che incassare una nomina governativa che le è stata promessa mesi fa dallo stesso premier.
Tuttavia resta in campo anche la soluzione interna al Pd, promuovendo la viceministra Teresa Bellanova: è vicina a Maria Elena Boschi, ma ha un dna sindacale e solide radici nella sinistra dem. Più difficile, invece, l’ingresso al governo del direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci. Renzi la stima e l’avrebbe voluta al ministero già un anno e mezzo fa, ma pesa il suo profilo tecnico, soprattutto dopo la battuta d’arresto di un “prodotto” del vivaio imprenditoriale come Guidi. Stesse perplessità che appesantiscono la corsa di Antonella Mansi (toscana, con Squinzi in Confindustria) e Diana Bracco (già in Assolombarda). E complicato sembra anche spostare Mauro Moretti da Finmeccanica a una casella che scadrà al massimo nel 2018, o coinvolgere il pm e ex assessore alla legalità di Roma Alfonso Sabella.
Il nome del successore pesa, naturalmente. Ma conta di più la controffensiva pubblica per uscire dall’angolo. La priorità è archiviare al più presto la mozione di sfiducia delle opposizioni, sfruttando le divisioni interne. «Noi presenteremo un nostro testo e certo non ne voteremo in bianco uno dei grillini», assicura il capogruppo azzurro Paolo Romani. Senza contare lo scoglio del referendum sulle trivelle. Dopo lo scandalo lucano l’attenzione sulla consultazione ha subito un’impennata. E la minoranza dem è pronta a sfruttare la vetrina della direzione di lunedì per rilanciare. «Lì annuncerò il mio sì», confida Roberto Speranza. Nessuna crociata sul caso Guidi, ma neanche carezze: «Renzi - attacca Miguel Gotor - non eluda il tema delle vischiosità di relazioni così strette».
L’ostacolo che preoccupa di più Renzi resta comunque quello delle Comunali. A consolarlo è l’ultimo sondaggio Ipsos in mano a Palazzo Chigi: la fiducia nel premier è in crescita, su di 7 punti da settembre. E un trend simile per Maria Elena Boschi: +3% negli ultimi tre mesi, a quota 30%. Sperando che basti.
Giudici di nuovo in campo. E ora la sfida è a Renzi
Le inchieste fecero cadere i governi di Berlusconi e Prodi
di Mattia Feltri
Ieri Fabrizio Cicchitto ha detto apertamente quello che Matteo Renzi sospetta e si limita a riferire a beneficio dei retroscena: «Bisogna parlare di una bomba ad orologeria fatta esplodere con il meccanismo procedurale della richiesta di custodie cautelari e la conseguente pubblicità degli atti». E poi: «Non a caso questa richiesta è stata avanzata adesso, indipendentemente dal fatto che l’indagine è stata aperta nel 2014 e in questo modo si fa esplodere la bomba proprio alla vigilia dei referendum di aprile». Il concetto di «giustizia a orologeria» sembrava ormai fuori moda, almeno da quando il massimo teorico, Silvio Berlusconi, occupa i margini della cronaca, compresa quella giudiziaria. Ed è forse la prima volta che esponenti di una maggioranza di centrosinistra - presidente del Consiglio compreso, e nonostante Cicchitto venga dal centrodestra - si esprimono così apertamente sui fini politici dell’azione giudiziaria.
Eppure l’ultimo governo caduto per effetti penali è stato quello di Romano Prodi nel 2008 (l’altro era quello di Berlusconi nel 1994). Ora è preminente e comodissima la tesi secondo cui l’esecutivo era venuto giù per la corruzione del senatore Sergio De Gregorio, passato con la Casa delle libertà in cambio di finanziamenti e onori (e sempre che la teoria regga ai tre gradi di giudizio); ma chiunque capirà il diverso peso dell’uscita dalla maggioranza dell’Udeur di Clemente Mastella ministro della Giustizia. La moglie Sandra Lonardo era stata arrestata e messa ai domiciliari per una serie di accuse che otto anni dopo sono evaporate o disperse, e Mastella, in lite con un molto turgido Antonio Di Pietro, chiedeva a Prodi solidarietà. Fra i due, il Professore scelse naturalmente l’alleato prossimo alla magistratura, e Mastella votò la sfiducia.
È complicato sostenere che a Potenza coltivino progetti politici e calibrino i tempi d’intervento, anche perché dell’inchiesta in sé si è capito poco, nulla di quanti denari siano eventualmente girati, in che cosa consistano gli atti corruttivi e se non siano piuttosto di lobbying, ma tutto delle imbarazzanti implicazioni della ministra Federica Guidi e del suo fidanzato. È uno schema abbastanza ripetitivo. Pochi ricorderanno il nome di Ercole Incalza, nessuno i contorni degli addebiti con cui la procura di Firenze lo ha arrestato un anno fa, ma tutti del tracollo del ministero delle Infrastrutture retto da Maurizio Lupi e di cui Incalza era altissimo dirigente. Poche settimane fa Incalza è stato prosciolto nel disinteresse generale, e alla fine l’azione della procura magari non aveva obiettivi politici ma le conseguenze sono state tali, e gravi.
Dall’inizio della Seconda repubblica la maggior causa di mortalità in politica è dipesa dalle inchieste della magistratura, non sempre concluse con successo, spesso con condanne decisamente ridimensionate rispetto ai presupposti, altre volte con il trionfo pieno degli imputati (il caso di Calogero Mannino, assolto dopo quattordici anni da accuse di mafia è il più notevole) e viene in mente per esempio l’inchiesta Why Not di Luigi De Magistris (allora sostituto procuratore proprio a Potenza), una specie di kolossal giudiziario in cui era finito dentro chiunque, da Prodi in giù. Alla fine i condannati saranno stati cinque o sei su una cinquantina, e il pubblico ministero è stato premiato con la fama e l’elezione a sindaco di Napoli. Dimostrare la premeditazione di De Magistris è impossibile e inutile, però è dura trattenere il sospetto che tante inchieste contro la politica (così scalcagnata da offrire occasioni a ripetizione) dipendano almeno in parte dal rilievo che hanno in tv e sui giornali, dalla reputazione che garantiscono, dall’assenza di conseguenze in caso di errore, soprattutto dalla guerra fra politica e magistratura cominciata con Mani pulite nel 1992, e davanti alla quale una classe dirigente corrotta e squalificata, anche se ben oltre i suoi demeriti, accettò di arretrare. Un regola classica delle dinamiche istituzionali dice che un potere tende per sua natura ad espandersi: quello giudiziario ha occupato lo spazio lasciato libero da esecutivo e legislativo e, sempre per sua natura, non accetta di cederlo. Berlusconi e Prodi, per motivi opposti, hanno perso la partita. Ora sembra volerla riprendere Renzi, e promette di essere una partita avvincente.
La Stampa 2.4.16
La magistratura che fa paura alla politica
di Ugo Magri
C’è un’espressione che Renzi si guarda bene dal pronunciare, ma nel suo mondo circola con insistenza: «giustizia a orologeria». Amici fidati del premier vedono (o credono di scorgere) i segni premonitori di un nuovo protagonismo giudiziario. Temono che una parte delle toghe voglia profittare dei prossimi passaggi politici - le elezioni nelle grandi città, il referendum costituzionale d’autunno - per assestare un colpo al capo del governo e al partito di cui Renzi è il leader. In altre parole, provano la sgradevole sensazione di sentirsi nel mirino delle procure.
Non esattamente come lo fu Berlusconi, anzi il paragone verrebbe considerato oltraggioso dal presidente del Consiglio, però con qualche tratto in comune.
Per esempio, dell’inchiesta di Potenza sui petroli viene contestato il metodo. Che consiste nell’isolare e descrivere un sistema di potere, in questo caso del Pd in Basilicata, per poi cercare a strascico le prove del malaffare che lì e più in alto loco si sarebbe consumato. Dalla Guidi il premier ieri ha preso congedo senza rimpianti, ha colto anzi l’occasione per rivendicare la novità dei ministri che finalmente si dimettono alla prima telefonata «inopportuna», non come prima che restavano incollati alla poltrona. Però l’inchiesta di Potenza non si ferma qui, il premier ne è consapevole. Procede sulla base di un’ipotesi criminale che in Italia è al suo debutto: il cosiddetto «traffico di influenze». Cioè gli scambi di favori tra lobbismo e sottobosco del potere, in quella zona d’ombra dove il confine tra lecito e illecito è sempre stato incerto, spesso indefinibile. E adesso, con l’avvento di questo nuovo reato, lo diventa ancora di più.
È in fondo, a guardar bene, lo stesso mix di affari e politica locale che emerge dalle vicende di Banca Etruria, per cui risulta indagato Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena. Circolano da giorni i «rumor» di nuovi prossimi sviluppi giudiziari, figurarsi se a Palazzo Chigi non ne sono al corrente. Così come non è sfuggita a ottobre la proroga dell’inchiesta genovese che riguarda Tiziano Renzi, babbo del premier, da due anni sulla graticola (un tempo particolarmente lungo). Il sospetto è che si possa o si voglia sollevare un grande polverone. E guai se il metro di giudizio fosse quello di una magistratura prevenuta o vogliosa di riprendersi il centro della scena: questo si osserva non solo ai vertici del Pd, ma pure negli ambienti istituzionali più responsabili. La giustizia deve aiutare i partiti a liberarsi delle loro zavorre. L’allarme di questi giorni, invece, è che possa diventare la scusa per qualcos’altro: per l’esercizio di una tutela permanente nei confronti della politica. Anche di quella pulita, che Renzi è sicuro di incarnare.
La Stampa 2.4.16
I pm vogliono sentire Boschi. Lei si difende: “Rifarei tutto”
Le accuse dell’inchiesta al Pd: brogli e clientele. Mozione di sfiducia del M5S
Boschi nel mirino, Renzi la difende: “L’emendamento l’ho voluto io”
Mozioni di sfiducia delle opposizioni
di Amedeo La Mattina
Dopo Federica Guidi ora è la ministra Maria Elena Boschi al centro della tempesta. Con le opposizioni scatenate contro di lei e i pm che lasciano filtrare l’intenzione di convocarla in procura. Tanto che il premier, per difenderla, passa al contrattacco.
All’unisono Renzi e Boschi rivendicano la concessione del progetto «Tempa Rossa». Nonostante «le telefonate inopportune» di Federica Guidi al fidanzato che l’abbiano costretta alle dimissioni. Per il premier erano inopportune, come quelle del ministro della Giustizia Cancellieri (governo Letta): allora vennero chieste da Renzi le dimissioni ma non ci furono. Ora «l’Italia non è più quella di una volta: se prima non ci si dimetteva, ora ci si dimette. Noi siamo un governo diverso dal passato». Va all’attacco Renzi. Precisa che Guidi non ha commesso alcun reato. Ha sbagliato ed è giusto che paghi. «Con noi la musica è cambiata».
La strategia del premier è chiara: evitare che cresca nell’opinione pubblica l’attenzione sul referendum anti-trivelle, l’avversione contro i petrolieri, consentendo alla consultazione popolare di raggiungere il quorum. Vincerebbe il Sì. Sarebbe il viatico negativo alle amministrative e, ancora peggio, al referendum sulla riforma costituzionale d’autunno. Una strategia per evitare che il caso Guidi si trasformi in quello Boschi. Non è un caso che ieri Renzi l’abbia difesa con forza. «La firma dell’emendamento da parte del ministro Boschi è un atto dovuto. L’emendamento è favorevole a un progetto del governo che avevo io stesso annunciato». E tanto per far capire di cosa si stia parlando, il premier ha ricordato che «Tempa Rossa» produce posti di lavoro, «è una cosa sacrosanta aver consentito a delle persone di venire in Italia e fare degli investimenti: io lavoro perché si creino posti di lavoro». Stesse identiche parole quelle usate dalla Boschi: «Rifirmerei domattina quell’emendamento».
Renzi risponde colpo su colpo, non vuole dare il minimo spazio ai 5 Stelle. Anzi sfida gli oppositori a presentare il prima possibile la mozione di sfiducia al governo. «Grillo non si può permettere di insultare il Pd , perché i nostri iscritti e militanti non sono un bersaglio su cui tirare», dice il vicesegretario Serracchiani. Il primo passo infatti lo hanno fatto i 5 Stelle. Mozioni di sfiducia anche da parte della Lega, Fi, i Fdi e i Conservatori di Fitto. Sfiducia anche dalla Sinistra italiana. La sinistra Dem non voterà la sfiducia, ma attacca Renzi evidenziando gli interessi familiari di molti esponenti dell’esecutivo e la concentrazione di potere. Da una posizione autonoma, il governatore pugliese Emiliano parla di «lobby» che influenzano le politiche energetiche e ambientali ma anche le istituzioni. «Se basta così poco per ottenere un emendamento in un provvedimento legislativo - osserva Emiliano - onestamente la preoccupazione è altissima. C’è una telefonata che dice tutto e sulla quale il Paese intero deve riflettere perché non è una questione che riguarda solo il ministro. Noi abbiamo bisogno di disinquinare anche le istituzioni». Al governatore pugliese, capofila del referendum anti-trivelle, vengono attribuite manovre di scalata al Pd. «Le mie posizioni vengono sempre strumentalizzate per evitare di discutere nel merito», spiega Emiliano che lunedì sarà alla direzione del Pd. Nelle intercettazioni della procura di Potenza il fidanzato della Guidi ricorda al manager della Total che Emiliano in campagna elettorale si è espresso contro «Tempa Rossa», ma una volta eletto cambierà idea. «Invece - commenta il governatore - io onoro i miei impegni elettorali, non prendo in giro chi mi vota». Intanto la procura di Potenza sta valutando di sentire Guidi e Boschi come persone informate dei fatti.
Repubblica 2.4.16
Il premier e l’incubo comunali “Nel mirino per farci perdere”
di Tommaso Ciriaco e Alberto D’argenio
ROMA. «Vogliono inchiodarci a questa storia, la sfruttano in vista del referendum sulle trivelle e per farci perdere anche le amministrative ». Di mezzo c’è ancora un oceano, ma la rabbia di Matteo Renzi da Washington raggiunge Roma. E suona come un allarme in vista delle sfide dei prossimi mesi. Peggio di quell’intercettazione piombata nel bel mezzo della missione negli Stati Uniti, poi, c’è solo la mozione di sfiducia in arrivo. Non per i numeri, blindati dall’ingresso dei verdiniani in maggioranza, ma perché riaprirà una ferita che brucia. Per questo la strategia è obbligata: «Spegniamo subito l’incendio». Come? Alzando il tiro contro i grillini, sostituendo al più presto Federica Guidi allo Sviluppo economico. Con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti, oppure con un clamoroso risiko ministeriale: dirottando Angelino Alfano in via Veneto e promuovendo Anna Finocchiaro al Viminale.
Il film dell’incidente culminato nelle dimissioni della ministra è fin troppo semplice, a dare retta alle confidenze di Renzi: «Va bene, Federica ha sbagliato, ma è stata responsabile e si è dimessa. Ora provano a trascinare dentro me, la Boschi e l’intero governo, ma questa è solo campagna elettorale». A dire il vero la prima reazione, sostenuta anche dal fidato Luca Lotti, è stata quella di ipotizzare un lungo interregno allo Sviluppo: «C’è il referendum, poi le amministrative: forse è meglio evitare di scontentare mezzo partito con una nomina. E se mi presentassi martedì prossimo al ministero per prendere l’interim?». Poche ore dopo, il premier cambia idea. «Spegnere l’incendio», appunto.
I nomi, allora. A favore della promozione di De Vincenti c’è il “modello Delrio”: come per il suo predecessore, non c’è più feeling con il premier. Resterebbe però scoperta la casella di sottosegretario alla Presidenza, alla quale potrebbe approdare un fedelissimo come Tommaso Nannicini, se non lo stesso Lotti ampliandone le deleghe. L’alternativa è quella di dirottare Alfano allo Sviluppo, aprendo le porte dell’Interno a Finocchiaro. Al leader Ncd potrebbe fare comodo avere più tempo a disposizione, soprattutto in vista delle Politiche, liberarsi dell’impopolare dossier immigrazione e di un rapporto un po’ logoro con la struttura del Viminale. E alla seconda non resterebbe che incassare una nomina governativa che le è stata promessa mesi fa dallo stesso premier.
Tuttavia resta in campo anche la soluzione interna al Pd, promuovendo la viceministra Teresa Bellanova: è vicina a Maria Elena Boschi, ma ha un dna sindacale e solide radici nella sinistra dem. Più difficile, invece, l’ingresso al governo del direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci. Renzi la stima e l’avrebbe voluta al ministero già un anno e mezzo fa, ma pesa il suo profilo tecnico, soprattutto dopo la battuta d’arresto di un “prodotto” del vivaio imprenditoriale come Guidi. Stesse perplessità che appesantiscono la corsa di Antonella Mansi (toscana, con Squinzi in Confindustria) e Diana Bracco (già in Assolombarda). E complicato sembra anche spostare Mauro Moretti da Finmeccanica a una casella che scadrà al massimo nel 2018, o coinvolgere il pm e ex assessore alla legalità di Roma Alfonso Sabella.
Il nome del successore pesa, naturalmente. Ma conta di più la controffensiva pubblica per uscire dall’angolo. La priorità è archiviare al più presto la mozione di sfiducia delle opposizioni, sfruttando le divisioni interne. «Noi presenteremo un nostro testo e certo non ne voteremo in bianco uno dei grillini», assicura il capogruppo azzurro Paolo Romani. Senza contare lo scoglio del referendum sulle trivelle. Dopo lo scandalo lucano l’attenzione sulla consultazione ha subito un’impennata. E la minoranza dem è pronta a sfruttare la vetrina della direzione di lunedì per rilanciare. «Lì annuncerò il mio sì», confida Roberto Speranza. Nessuna crociata sul caso Guidi, ma neanche carezze: «Renzi - attacca Miguel Gotor - non eluda il tema delle vischiosità di relazioni così strette».
L’ostacolo che preoccupa di più Renzi resta comunque quello delle Comunali. A consolarlo è l’ultimo sondaggio Ipsos in mano a Palazzo Chigi: la fiducia nel premier è in crescita, su di 7 punti da settembre. E un trend simile per Maria Elena Boschi: +3% negli ultimi tre mesi, a quota 30%. Sperando che basti.
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Re: Renzi
Corriere 2.4.16
Caso archiviato per Palazzo Chigi ma gli avversari incalzano
di Massimo Franco
È comprensibile liquidare come «telefonata inopportuna» quella che ha portato alle dimissioni l’ex ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi. Eppure, rischia di fare apparire sproporzionata un’uscita dal governo così repentina. Matteo Renzi se ne attribuisce il merito parlando di «cambio dei tempi». Prima, è la tesi, non ci si dimetteva; adesso sì. Ma non si può non vedere anche la sua esigenza di chiudere il caso prima che assumesse contorni più imbarazzanti; e investisse il ministro Maria Elena Boschi, bersagliata dalle opposizioni.
C’è un evidente tasso di strumentalità, negli attacchi al ministro delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento. Il fatto che la Boschi abbia approvato l’emendamento della Guidi, dice Renzi, era «un atto dovuto». Eppure, prevedere che il caso si sgonfi sarebbe imprudente. Si è chiuso formalmente, ma è destinato a sprigionare altri veleni; e non tanto sulla Guidi quanto su Palazzo Chigi. La richiesta di dimissioni che M5S, Lega e sinistra stanno preparando fa capire che il tiro si sta spostando sull’intero governo.
È questa dinamica a spiegare la fretta di Renzi; e l’intenzione dei suoi avversari di tenere il caso vivo. La volontà di far cadere il governo è pura propaganda: la mozione di sfiducia finirà per consolidare nel breve termine la maggioranza. L’obiettivo vero è di costringerla sulla difensiva, e logorarla. Il premier ironizza con qualche ragione su opposizioni che ormai cercano di sfiduciarlo a ritmo bisettimanale. C’è anche da chiedersi, però, se i pretesti offerti dall’esecutivo ai suoi nemici non stiano diventando un po’ troppo frequenti.
Il caso Guidi permette a chi ha indetto il referendum di metà aprile contro le trivellazioni di additare Renzi come capo di un «governo dei petrolieri»; e di spiegare in questa maniera semplicistica ma suggestiva l’invito all’astensione che il capo del governo ha fatto al Pd. Ancora, a due mesi dalle Amministrative i dem si ritrovano con una nuova tegola che stordisce gli elettori e può portare via voti. E le allusioni alla Boschi emerse dalle intercettazioni aggiungono piombo nelle ali della regista delle riforme istituzionali: riforme sulle quali in autunno ci sarà un referendum decisivo per Palazzo Chigi.
Il ministro rivendica quanto ha fatto. «Rifirmerei domattina» l’emendamento sul quale è scoppiato il caso, ribadisce la Boschi. «Il mio lavoro è di portare in aula tutti gli emendamenti del governo». Parole orgogliose, ma rischiose. La telefonata della Guidi al fidanzato inquisito è del 2014. E diventa inevitabile chiedersi se da allora ce ne possano essere state altre, da un qualunque ministero. Sono dubbi alimentati anche dal Pd. «Vedo molto familismo e segnali inquietanti», constata Gianni Cuperlo. Altri sono meno diplomatici dell’esponente della sinistra dem .
Caso archiviato per Palazzo Chigi ma gli avversari incalzano
di Massimo Franco
È comprensibile liquidare come «telefonata inopportuna» quella che ha portato alle dimissioni l’ex ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi. Eppure, rischia di fare apparire sproporzionata un’uscita dal governo così repentina. Matteo Renzi se ne attribuisce il merito parlando di «cambio dei tempi». Prima, è la tesi, non ci si dimetteva; adesso sì. Ma non si può non vedere anche la sua esigenza di chiudere il caso prima che assumesse contorni più imbarazzanti; e investisse il ministro Maria Elena Boschi, bersagliata dalle opposizioni.
C’è un evidente tasso di strumentalità, negli attacchi al ministro delle Riforme e dei Rapporti con il Parlamento. Il fatto che la Boschi abbia approvato l’emendamento della Guidi, dice Renzi, era «un atto dovuto». Eppure, prevedere che il caso si sgonfi sarebbe imprudente. Si è chiuso formalmente, ma è destinato a sprigionare altri veleni; e non tanto sulla Guidi quanto su Palazzo Chigi. La richiesta di dimissioni che M5S, Lega e sinistra stanno preparando fa capire che il tiro si sta spostando sull’intero governo.
È questa dinamica a spiegare la fretta di Renzi; e l’intenzione dei suoi avversari di tenere il caso vivo. La volontà di far cadere il governo è pura propaganda: la mozione di sfiducia finirà per consolidare nel breve termine la maggioranza. L’obiettivo vero è di costringerla sulla difensiva, e logorarla. Il premier ironizza con qualche ragione su opposizioni che ormai cercano di sfiduciarlo a ritmo bisettimanale. C’è anche da chiedersi, però, se i pretesti offerti dall’esecutivo ai suoi nemici non stiano diventando un po’ troppo frequenti.
Il caso Guidi permette a chi ha indetto il referendum di metà aprile contro le trivellazioni di additare Renzi come capo di un «governo dei petrolieri»; e di spiegare in questa maniera semplicistica ma suggestiva l’invito all’astensione che il capo del governo ha fatto al Pd. Ancora, a due mesi dalle Amministrative i dem si ritrovano con una nuova tegola che stordisce gli elettori e può portare via voti. E le allusioni alla Boschi emerse dalle intercettazioni aggiungono piombo nelle ali della regista delle riforme istituzionali: riforme sulle quali in autunno ci sarà un referendum decisivo per Palazzo Chigi.
Il ministro rivendica quanto ha fatto. «Rifirmerei domattina» l’emendamento sul quale è scoppiato il caso, ribadisce la Boschi. «Il mio lavoro è di portare in aula tutti gli emendamenti del governo». Parole orgogliose, ma rischiose. La telefonata della Guidi al fidanzato inquisito è del 2014. E diventa inevitabile chiedersi se da allora ce ne possano essere state altre, da un qualunque ministero. Sono dubbi alimentati anche dal Pd. «Vedo molto familismo e segnali inquietanti», constata Gianni Cuperlo. Altri sono meno diplomatici dell’esponente della sinistra dem .
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