La crisi dell'Europa
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Re: La crisi dell'Europa
Cremaschi: l’euro-trappola sgonfia le bolle di Draghi e Renzi
Scritto il 23/3/16 • nella Categoria: segnalazioni
Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.
Poi anche i contratti nazionali furono un po’ alla volta smantellati. Infine dilagarono disoccupazione di massa e precarietà, per spinte del mercato e per volontà delle leggi. Leggi che un po’ alla volta distrussero le tutele dei lavoratori di fronte all’impresa, fino alla libertà di licenziamento garantita dal Jobs Act. Ora Draghi presta danaro a costo zero, perché spera che così ci sia un po’ di aumento dei prezzi, ma i prezzi non crescono. Perché nessuno compra visto che i salari continuano a sprofondare. Se non facesse rabbia ci sarebbe da sorridere nel verificare che i signori del liberismo raccolgono ciò che hanno seminato. Volevano distruggere i salari per accrescere i profitti, ora che avrebbero bisogno di più salari per far ripartire l’economia e gli stessi profitti, devono constatare che la loro distruzione ha creato il deserto. Così continuano a dare soldi alle banche sperando che queste le trasformino in chissà quale sviluppo. Ridicolo.
Draghi presta i soldi al sistema bancario ad interesse zero, ma se io voglio un prestito devo pagare interessi del sette per cento. E se ho uno salario, ed è già una fortuna, questo è sostanzialmente bloccato. Come l’economia. Così i soldi che Draghi regala alle banche restano lì e contribuiscono a gonfiare una bolla finanziaria che prima o poi esploderà su una economia reale sempre più in crisi. Le Borse sanno perfettamente tutto questo e così, dopo aver incamerato qualche guadagno, hanno ricominciato a franare verso il basso. Anche Renzi ha costruito la sua bolla. Ha speso undici miliardi di euro per finanziare assunzioni. Le aziende si sono buttate sopra questo improvviso Bengodi, e hanno così concentrato in pochi mesi le assunzioni che intendevano fare in tempi più lunghi. Anche perché gran parte di esse non erano nuovi posti di lavoro, ma trasformazione di contratti già esistenti. E soprattutto perché il Jobs Act garantisce che questi nuovi assunti possano essere licenziati in qualsiasi momento. Così, appena son calati gli incentivi, il mercato del lavoro è crollato a livelli inferiori a quelli del 2014.
Era già successo con la rottamazione delle auto. Finiti gli incentivi degli anni 90 del secolo scorso il mercato automobilistico è piombato in una depressione decennale. Anche la rottamazione dei diritti del lavoro ora segue lo stesso ciclo, e la bolla occupazionale voluta da Renzi comincia già a sgonfiarsi. Prendersela con le misure costose e sostanzialmente inutili di Draghi e Renzi è giusto, ma non sufficiente. Le loro bolle sono la conseguenze di scelte che sono scritte nei trattati europei e nella politica economica di tutti i governi del continente. La lotta all’inflazione è nel trattato di Maastricht, mentre quella alla disoccupazione lì non è prevista. Il taglio dei salari e la distruzione dello stato sociale sono prescritti dalla riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che impone il pareggio di bilancio. Al resto ci pensa poi il Fiscal Compact. Se non si mettono in discussione l’euro e i trattati europei che impongono le politica di austerità, se si continua con distruzione dei salari e dei diritti del lavoro, tutti soldi immessi nell’economia finiranno in bolle speculative. Renzi e Draghi sono come due amministratori di condominio che di fronte al crollo progressivo della casa continuino a spender soldi per riverniciarla. Sono sicuramente colpevoli, ma non perché usano poca vernice.
(Giorgio Cremaschi, “Si sgonfiano le bolle di Renzi e Draghi”, da “Micromega” del 18 marzo 2016).
Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.
Poi anche i contratti nazionali furono un po’ alla volta smantellati. Infine dilagarono disoccupazione di massa e precarietà, per spinte del mercato e per volontà delle leggi. Leggi che un po’ alla volta distrussero le tutele dei lavoratori di fronte all’impresa, Draghi e Renzifino alla libertà di licenziamento garantita dal Jobs Act. Ora Draghi presta danaro a costo zero, perché spera che così ci sia un po’ di aumento dei prezzi, ma i prezzi non crescono. Perché nessuno compra visto che i salari continuano a sprofondare. Se non facesse rabbia ci sarebbe da sorridere nel verificare che i signori del liberismo raccolgono ciò che hanno seminato. Volevano distruggere i salari per accrescere i profitti, ora che avrebbero bisogno di più salari per far ripartire l’economia e gli stessi profitti, devono constatare che la loro distruzione ha creato il deserto. Così continuano a dare soldi alle banche sperando che queste le trasformino in chissà quale sviluppo. Ridicolo.
Draghi presta i soldi al sistema bancario ad interesse zero, ma se io voglio un prestito devo pagare interessi del sette per cento. E se ho uno salario, ed è già una fortuna, questo è sostanzialmente bloccato. Come l’economia. Così i soldi che Draghi regala alle banche restano lì e contribuiscono a gonfiare una bolla finanziaria che prima o poi esploderà su una economia reale sempre più in crisi. Le Borse sanno perfettamente tutto questo e così, dopo aver incamerato qualche guadagno, hanno ricominciato a franare verso il basso. Anche Renzi ha costruito la sua bolla. Ha speso undici miliardi di euro per finanziare assunzioni. Le aziende si sono buttate sopra questo improvviso Bengodi, e hanno così concentrato in pochi mesi le assunzioni che intendevano fare in tempi più lunghi. Anche perché gran parte di esse non erano nuovi posti di lavoro, ma trasformazione di contratti Cremaschigià esistenti. E soprattutto perché il Jobs Act garantisce che questi nuovi assunti possano essere licenziati in qualsiasi momento. Così, appena son calati gli incentivi, il mercato del lavoro è crollato a livelli inferiori a quelli del 2014.
Era già successo con la rottamazione delle auto. Finiti gli incentivi degli anni 90 del secolo scorso il mercato automobilistico è piombato in una depressione decennale. Anche la rottamazione dei diritti del lavoro ora segue lo stesso ciclo, e la bolla occupazionale voluta da Renzi comincia già a sgonfiarsi. Prendersela con le misure costose e sostanzialmente inutili di Draghi e Renzi è giusto, ma non sufficiente. Le loro bolle sono la conseguenze di scelte che sono scritte nei trattati europei e nella politica economica di tutti i governi del continente. La lotta all’inflazione è nel trattato di Maastricht, mentre quella alla disoccupazione lì non è prevista. Il taglio dei salari e la distruzione dello stato sociale sono prescritti dalla riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che impone il pareggio di bilancio. Al resto ci pensa poi il Fiscal Compact. Se non si mettono in discussione l’euro e i trattati europei che impongono le politica di austerità, se si continua con distruzione dei salari e dei diritti del lavoro, tutti soldi immessi nell’economia finiranno in bolle speculative. Renzi e Draghi sono come due amministratori di condominio che di fronte al crollo progressivo della casa continuino a spender soldi per riverniciarla. Sono sicuramente colpevoli, ma non perché usano poca vernice.
(Giorgio Cremaschi, “Si sgonfiano le bolle di Renzi e Draghi”, da “Micromega” del 18 marzo 2016).
Scritto il 23/3/16 • nella Categoria: segnalazioni
Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.
Poi anche i contratti nazionali furono un po’ alla volta smantellati. Infine dilagarono disoccupazione di massa e precarietà, per spinte del mercato e per volontà delle leggi. Leggi che un po’ alla volta distrussero le tutele dei lavoratori di fronte all’impresa, fino alla libertà di licenziamento garantita dal Jobs Act. Ora Draghi presta danaro a costo zero, perché spera che così ci sia un po’ di aumento dei prezzi, ma i prezzi non crescono. Perché nessuno compra visto che i salari continuano a sprofondare. Se non facesse rabbia ci sarebbe da sorridere nel verificare che i signori del liberismo raccolgono ciò che hanno seminato. Volevano distruggere i salari per accrescere i profitti, ora che avrebbero bisogno di più salari per far ripartire l’economia e gli stessi profitti, devono constatare che la loro distruzione ha creato il deserto. Così continuano a dare soldi alle banche sperando che queste le trasformino in chissà quale sviluppo. Ridicolo.
Draghi presta i soldi al sistema bancario ad interesse zero, ma se io voglio un prestito devo pagare interessi del sette per cento. E se ho uno salario, ed è già una fortuna, questo è sostanzialmente bloccato. Come l’economia. Così i soldi che Draghi regala alle banche restano lì e contribuiscono a gonfiare una bolla finanziaria che prima o poi esploderà su una economia reale sempre più in crisi. Le Borse sanno perfettamente tutto questo e così, dopo aver incamerato qualche guadagno, hanno ricominciato a franare verso il basso. Anche Renzi ha costruito la sua bolla. Ha speso undici miliardi di euro per finanziare assunzioni. Le aziende si sono buttate sopra questo improvviso Bengodi, e hanno così concentrato in pochi mesi le assunzioni che intendevano fare in tempi più lunghi. Anche perché gran parte di esse non erano nuovi posti di lavoro, ma trasformazione di contratti già esistenti. E soprattutto perché il Jobs Act garantisce che questi nuovi assunti possano essere licenziati in qualsiasi momento. Così, appena son calati gli incentivi, il mercato del lavoro è crollato a livelli inferiori a quelli del 2014.
Era già successo con la rottamazione delle auto. Finiti gli incentivi degli anni 90 del secolo scorso il mercato automobilistico è piombato in una depressione decennale. Anche la rottamazione dei diritti del lavoro ora segue lo stesso ciclo, e la bolla occupazionale voluta da Renzi comincia già a sgonfiarsi. Prendersela con le misure costose e sostanzialmente inutili di Draghi e Renzi è giusto, ma non sufficiente. Le loro bolle sono la conseguenze di scelte che sono scritte nei trattati europei e nella politica economica di tutti i governi del continente. La lotta all’inflazione è nel trattato di Maastricht, mentre quella alla disoccupazione lì non è prevista. Il taglio dei salari e la distruzione dello stato sociale sono prescritti dalla riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che impone il pareggio di bilancio. Al resto ci pensa poi il Fiscal Compact. Se non si mettono in discussione l’euro e i trattati europei che impongono le politica di austerità, se si continua con distruzione dei salari e dei diritti del lavoro, tutti soldi immessi nell’economia finiranno in bolle speculative. Renzi e Draghi sono come due amministratori di condominio che di fronte al crollo progressivo della casa continuino a spender soldi per riverniciarla. Sono sicuramente colpevoli, ma non perché usano poca vernice.
(Giorgio Cremaschi, “Si sgonfiano le bolle di Renzi e Draghi”, da “Micromega” del 18 marzo 2016).
Chi ha la mia età salta sulla sedia quando sente le autorità monetarie ed economiche auspicare il ritorno dell’inflazione. Alla fine degli anni 70 del secolo scorso l’inflazione era diventata il male supremo. Bisognava interrompere la spirale prezzi-salari, affermava perentoriamente il nuovo mantra liberista che si era impadronito dell’economia, della politica e anche dei sindacati. Ricordo Luciano Lama che nei comizi denunciava l’inflazione come il nemico dei lavoratori e come la causa economica del fascismo. Un profondo travisamento del passato, perché era stata la disoccupazione di massa, e non l’aumento dei prezzi, a far crescere l’estrema destra in Germania. Così come avviene oggi. La cattiva storia aiutava una cattiva politica. Il risultato fu che l’inflazione fu stroncata abbattendo salari, diritti e stato sociale. Chi ha la mia età ha vissuto in tutti gli anni 80 del secolo scorso la campagna contro la scala mobile dei salari, un istituto che faceva aumentare automaticamente le retribuzioni a tutti i lavoratori, per compensare l’aumento dei prezzi. La scala mobile è inflazionistica e l’Europa non la vuole, si gridava dai pulpiti del potere, e alla fine essa fu abolita.
Poi anche i contratti nazionali furono un po’ alla volta smantellati. Infine dilagarono disoccupazione di massa e precarietà, per spinte del mercato e per volontà delle leggi. Leggi che un po’ alla volta distrussero le tutele dei lavoratori di fronte all’impresa, Draghi e Renzifino alla libertà di licenziamento garantita dal Jobs Act. Ora Draghi presta danaro a costo zero, perché spera che così ci sia un po’ di aumento dei prezzi, ma i prezzi non crescono. Perché nessuno compra visto che i salari continuano a sprofondare. Se non facesse rabbia ci sarebbe da sorridere nel verificare che i signori del liberismo raccolgono ciò che hanno seminato. Volevano distruggere i salari per accrescere i profitti, ora che avrebbero bisogno di più salari per far ripartire l’economia e gli stessi profitti, devono constatare che la loro distruzione ha creato il deserto. Così continuano a dare soldi alle banche sperando che queste le trasformino in chissà quale sviluppo. Ridicolo.
Draghi presta i soldi al sistema bancario ad interesse zero, ma se io voglio un prestito devo pagare interessi del sette per cento. E se ho uno salario, ed è già una fortuna, questo è sostanzialmente bloccato. Come l’economia. Così i soldi che Draghi regala alle banche restano lì e contribuiscono a gonfiare una bolla finanziaria che prima o poi esploderà su una economia reale sempre più in crisi. Le Borse sanno perfettamente tutto questo e così, dopo aver incamerato qualche guadagno, hanno ricominciato a franare verso il basso. Anche Renzi ha costruito la sua bolla. Ha speso undici miliardi di euro per finanziare assunzioni. Le aziende si sono buttate sopra questo improvviso Bengodi, e hanno così concentrato in pochi mesi le assunzioni che intendevano fare in tempi più lunghi. Anche perché gran parte di esse non erano nuovi posti di lavoro, ma trasformazione di contratti Cremaschigià esistenti. E soprattutto perché il Jobs Act garantisce che questi nuovi assunti possano essere licenziati in qualsiasi momento. Così, appena son calati gli incentivi, il mercato del lavoro è crollato a livelli inferiori a quelli del 2014.
Era già successo con la rottamazione delle auto. Finiti gli incentivi degli anni 90 del secolo scorso il mercato automobilistico è piombato in una depressione decennale. Anche la rottamazione dei diritti del lavoro ora segue lo stesso ciclo, e la bolla occupazionale voluta da Renzi comincia già a sgonfiarsi. Prendersela con le misure costose e sostanzialmente inutili di Draghi e Renzi è giusto, ma non sufficiente. Le loro bolle sono la conseguenze di scelte che sono scritte nei trattati europei e nella politica economica di tutti i governi del continente. La lotta all’inflazione è nel trattato di Maastricht, mentre quella alla disoccupazione lì non è prevista. Il taglio dei salari e la distruzione dello stato sociale sono prescritti dalla riscrittura dell’articolo 81 della Costituzione, che impone il pareggio di bilancio. Al resto ci pensa poi il Fiscal Compact. Se non si mettono in discussione l’euro e i trattati europei che impongono le politica di austerità, se si continua con distruzione dei salari e dei diritti del lavoro, tutti soldi immessi nell’economia finiranno in bolle speculative. Renzi e Draghi sono come due amministratori di condominio che di fronte al crollo progressivo della casa continuino a spender soldi per riverniciarla. Sono sicuramente colpevoli, ma non perché usano poca vernice.
(Giorgio Cremaschi, “Si sgonfiano le bolle di Renzi e Draghi”, da “Micromega” del 18 marzo 2016).
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Re: La crisi dell'Europa
Debito, la Bce grazia l’Irlanda: fine del regime del rigore?
Scritto il 06/4/16 • nella Categoria: segnalazioni
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire investimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.
«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire Marco Della Lunainvestimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.
Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?
Scritto il 06/4/16 • nella Categoria: segnalazioni
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire investimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?
«Per risolvere il problema del debito pubblico, è stato iniziato da Dublino un esperimento monetario sotto l’egida della Bce: l’Irlanda emette buoni del tesoro a scadenza centennale, al tasso fisso lordo del 2,5%, e la Bce li compera sul mercato primario». Le conferme si trovano nel web, scrive Marco Della Luna, attento osservatore dei dispositivi di dominio per via finanziaria, autore di saggi come “Cimiteuro, uscirne e risorgere”. «Dato che calcoli a 100 anni sono al di fuori di qualsiasi ragionevole prevedibilità economica – afferma Della Luna nel suo blog – l’acquisto e la gestione di tali titoli è palesemente pensata per soggetti che non si limitano a cercare di prevedere o indovinare, come è il caso dei risparmiatori, ma che hanno la forza di prendere e imporre decisioni di lungo termine, come è il caso del cartello bancario-monetario Bri-Imf-Fed-Bce & C», ovvero le massime “istituzioni” finanziarie occidentali, che da trent’anni hanno imposto il regime dell’austerity agli Stati, costretti a tagliare spese e investimenti.
«Se l’esperimento avrà successo, e se Berlino non avrà la forza di bloccare tutto», continua della Luna, si potrà estendere l’esperimento irlandese «a tutti i paesi europei aventi un grave indebitamento pubblico, per rimetterli in grado di eseguire Marco Della Lunainvestimenti pubblici in funzione di rilanciare quelli privati, i redditi e l’occupazione». E forse, aggiunge, questa inedita “innovazione” «si potrà applicare anche per la risoluzione delle crisi bancarie da deterioramento dei crediti». Sarebbe in ogni caso una svolta epocale: la “monetizzazione del debito” permetterebbe agli Stati di uscire dal tunnel della crisi, innescata dall’irruzione della finanza speculativa nella finanza pubblica – i titoli di Stato affidati ai “mercati” – e aggravata in modo fatale, in Europa, dall’avvento dell’euro, che ha tolto definitivamente ai governi la possibilità di gestire il proprio debito: non più denominato in moneta sovrana, da leva strategica fondamentale (investimenti, salari e infrastrutture, con ricadute positive sull’economia privata) il debito si trasforma in un onere insostenibile.
Secondo Della Luna, il test irandese – se non verrà stoppato dalla Germania – potrebbe creare un precedente per una clamorosa inversione di rotta, dopo decenni di dominio assoluto da parte del super-potere finanziario e neoliberista internazionale, interpretato dal Fmi e dalla Fed, nonché da potenze come la Bank for International Settlements (Bri, banca dei regolamenti internazionali) e fino a ieri anche dal Wto. La missione: disabilitare la capacità di spesa degli Stati, per accelerare la maxi-privatizzazione globale di aziende e servizi. Ruolo in Europa affidato all’Ue e alla Bce, fino ai negoziati segretissimi per la stipula del Ttip, il Trattato Transatlantico che consegnerebbe il potere, anche giuridico, alle multinazionali. Che senso ha, allora, la contromossa che si starebbe giocando in Irlanda, dove – di fatto – si restituirebbe il potere finanziario allo Stato? Un estremo tentativo di tenere in piedi l’Europa dell’euro a guida tedesca, il cui crollo è dato da più parti per imminente, o l’implicita ammissione del fallimento del sistema globalizzato, privatizzatore e neoliberista?
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Re: La crisi dell'Europa
RAGAZZI, LA SITUAZIONE E' PERICOLOSA E PREOCCUPANTE. POTREMMO TROVARCI UN GIORNO CON IL CULO PER TERRA SENZA SAPERE COSA FARE.
LEGGETEVI QUESTO ARTICOLO SENZA PRENDERLO PER UN ATTO DI FEDE.
Dal Fatto Quotidiano di oggi.
Draghi, la grande paura:
“L’Europa non tiene”
Rossi (Bankitalia): “Per le banche serve un intervento pubblico”. Crolli in Borsa
» MARCO PALOMBI
Il linguaggio è quello paludato
di sempre. I contenuti,
però, non potrebbero
essere più dirompenti,
specialmente se le parole di ieri
di Mario Draghi vengono
lette in combinato disposto
con quelle dei vertici di Banca
d’Italia: la situazione nell’Eu -
rozona non tiene più, in Italia
anche meno. Il contesto è noto:
le banche europee – a partire
da Deutsche Bank –non se
la passano bene, anche peggio
d el l ’economia nel suo complesso.
Deflussi consistenti di
capitali dai Paesi periferici
verso Germania e altri Stati
del Nord sono ripresi negli ultimi
mesi (lo si nota nei cosiddetti
saldi Target2): il pericolo
è che si inneschi una nuova
crisi di debito estero come
quella che mise in ginocchio
l’Europa nel 2011 (quella che
viene chiamata, sbagliando,
“crisi dei debiti sovrani”).
IL GOVERNATORE Mario Draghi
ha scritto quanto segue
nella prefazione al Bollettino
della Bce per il 2015 uscito ieri:
“Le prospettive per l’ec o n omia
mondiale sono circondate
da incertezza. Dobbiamo
fronteggiare persistenti forze
deflazionistiche. Si pongono
interrogativi riguardo alla direzione
in cui andrà l’Europa e
alla sua capacità di tenuta a
fronte di nuovi choc”. Ha scritto
anche altre cose, ma è quella
frase che in pochi minuti è finita
sui siti di tutto il mondo:
non si sa se l’Eurozona resisterà
al prossimo choc.
Il pensiero di tutti è andato
al settore bancario, la cui redditività
va appena meglio degli
indici di Borsa, che sono ai minimi
storici. Il rischio di default
del settore, ad esempio,
ieri era tornato ai livelli di febbraio,
cioè a prima che Draghi
armasse il suo nuovo super-
bazooka. Il prezzo dei ti-
toli, poi, nel 2016 ha subito un
tracollo che ha precedenti solo
nel 2011 e nel 2012, prima del
famoso “whatever it takes”con
cui salvò (temporaneamente)
l’euro. Draghi ha sparato le sue
cartucce e non pare averne altre:
i mercati non hanno avuto
neanche un sussulto alla notizia,
contenuta nei verbali della
Bce pubblicati ieri, che “non è
escluso un nuovo taglio dei
tassi in caso di necessità”.
E infatti il sistema bancario
europeo è di nuovo tracollato
nei vari listini, quello italiano
come e peggio degli altri: Monte
dei Paschi ha perso l’8%;
Banco Popolare il 7,5; Ubi Banca
il 6,2; Unicredit il 5,9; Mediobanca
il 5; Intesa il 3,3. Cosa
significhi l’impotenza di Draghi
per l’Italia lo ha spiegato
invece Ignazio Visco (da Francoforte):
senza il Quantitative
easing della Bce (acquisti di titoli
titoli
di Stato e bond aziendali)
iniziato a giugno 2014 “la recessione
italiana sarebbe finita
solo nel 2017 e l’inflazione
sarebbe rimasta negativa per
l’intero periodo di tre anni”.
Insomma, secondo le stime di
Bankitalia il fattore Renzi
(comprese le famose riforme,
dal Jobs act in giù) vale zero.
Non solo: tra i fattori di rischio
sistemico Visco cita pure
l’impoverimento del lavoro
dipendente. Questa la frase:
“In alcuni contratti firmati di
recente in Italia si prevede che
parte dei futuri aumenti degli
stipendi sarà rivista al ribasso
in caso di inflazione inferire alle
previsioni: un’adozione generalizzata
di questo modello
abbasserebbe significativamente
il tasso di crescita dei
salari e questo si rifletterebbe
nelle dinamiche dei prezzi al
consumo” (ma allora non basta
il bazooka...).
Sono comunque le banche
la linea di faglia. La situazione
in Italia non si sblocca: il governo
non riesce a trovare la
formula per gestire gli aumenti
di capitale richiesti dalla Bce
a molte banche (servono circa
7 miliardi), né a capire come
gestire i crediti inesigibili (le
sofferenze) che uccidono il sistema.
I paletti europei sugli
aiuti di Stato, ovviamente, sono
l’ostacolo principale: se
l’accordo sugli aumenti di capitale
pare chiuso, la questione
sofferenze è in alto mare.
AFFRONTARE questo lato del
problema ieri è toccato al direttore
generale di Banca d’Italia
Salvatore Rossi: “L’unio -
ne bancaria europea non è
completa, né perfetta”, ha detto
in un convegno. E cosa manca?
Soprattutto “un back stop
pubblico temporaneo per i casi
in cui l’applicazione del
bail-in, invece che alleviare, finisca
per esacerbare i rischi di
instabilità sistemica”. In sostanza,
dice Rossi, tosare i risparmiatori
in caso di crac
bancari (modello Etruria) distrugge
“la fiducia degli investitori,
bene pubblico impalpabile
e volatile, al cui venir
meno la stabilità dell’intero sistema
finanziario, dunque
dell’intera economia, è minacciata”.
E di chi è la colpa? Risponde
Rossi: ha vinto “la
pressione politica dei Paesi del
Nord Europa”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
LEGGETEVI QUESTO ARTICOLO SENZA PRENDERLO PER UN ATTO DI FEDE.
Dal Fatto Quotidiano di oggi.
Draghi, la grande paura:
“L’Europa non tiene”
Rossi (Bankitalia): “Per le banche serve un intervento pubblico”. Crolli in Borsa
» MARCO PALOMBI
Il linguaggio è quello paludato
di sempre. I contenuti,
però, non potrebbero
essere più dirompenti,
specialmente se le parole di ieri
di Mario Draghi vengono
lette in combinato disposto
con quelle dei vertici di Banca
d’Italia: la situazione nell’Eu -
rozona non tiene più, in Italia
anche meno. Il contesto è noto:
le banche europee – a partire
da Deutsche Bank –non se
la passano bene, anche peggio
d el l ’economia nel suo complesso.
Deflussi consistenti di
capitali dai Paesi periferici
verso Germania e altri Stati
del Nord sono ripresi negli ultimi
mesi (lo si nota nei cosiddetti
saldi Target2): il pericolo
è che si inneschi una nuova
crisi di debito estero come
quella che mise in ginocchio
l’Europa nel 2011 (quella che
viene chiamata, sbagliando,
“crisi dei debiti sovrani”).
IL GOVERNATORE Mario Draghi
ha scritto quanto segue
nella prefazione al Bollettino
della Bce per il 2015 uscito ieri:
“Le prospettive per l’ec o n omia
mondiale sono circondate
da incertezza. Dobbiamo
fronteggiare persistenti forze
deflazionistiche. Si pongono
interrogativi riguardo alla direzione
in cui andrà l’Europa e
alla sua capacità di tenuta a
fronte di nuovi choc”. Ha scritto
anche altre cose, ma è quella
frase che in pochi minuti è finita
sui siti di tutto il mondo:
non si sa se l’Eurozona resisterà
al prossimo choc.
Il pensiero di tutti è andato
al settore bancario, la cui redditività
va appena meglio degli
indici di Borsa, che sono ai minimi
storici. Il rischio di default
del settore, ad esempio,
ieri era tornato ai livelli di febbraio,
cioè a prima che Draghi
armasse il suo nuovo super-
bazooka. Il prezzo dei ti-
toli, poi, nel 2016 ha subito un
tracollo che ha precedenti solo
nel 2011 e nel 2012, prima del
famoso “whatever it takes”con
cui salvò (temporaneamente)
l’euro. Draghi ha sparato le sue
cartucce e non pare averne altre:
i mercati non hanno avuto
neanche un sussulto alla notizia,
contenuta nei verbali della
Bce pubblicati ieri, che “non è
escluso un nuovo taglio dei
tassi in caso di necessità”.
E infatti il sistema bancario
europeo è di nuovo tracollato
nei vari listini, quello italiano
come e peggio degli altri: Monte
dei Paschi ha perso l’8%;
Banco Popolare il 7,5; Ubi Banca
il 6,2; Unicredit il 5,9; Mediobanca
il 5; Intesa il 3,3. Cosa
significhi l’impotenza di Draghi
per l’Italia lo ha spiegato
invece Ignazio Visco (da Francoforte):
senza il Quantitative
easing della Bce (acquisti di titoli
titoli
di Stato e bond aziendali)
iniziato a giugno 2014 “la recessione
italiana sarebbe finita
solo nel 2017 e l’inflazione
sarebbe rimasta negativa per
l’intero periodo di tre anni”.
Insomma, secondo le stime di
Bankitalia il fattore Renzi
(comprese le famose riforme,
dal Jobs act in giù) vale zero.
Non solo: tra i fattori di rischio
sistemico Visco cita pure
l’impoverimento del lavoro
dipendente. Questa la frase:
“In alcuni contratti firmati di
recente in Italia si prevede che
parte dei futuri aumenti degli
stipendi sarà rivista al ribasso
in caso di inflazione inferire alle
previsioni: un’adozione generalizzata
di questo modello
abbasserebbe significativamente
il tasso di crescita dei
salari e questo si rifletterebbe
nelle dinamiche dei prezzi al
consumo” (ma allora non basta
il bazooka...).
Sono comunque le banche
la linea di faglia. La situazione
in Italia non si sblocca: il governo
non riesce a trovare la
formula per gestire gli aumenti
di capitale richiesti dalla Bce
a molte banche (servono circa
7 miliardi), né a capire come
gestire i crediti inesigibili (le
sofferenze) che uccidono il sistema.
I paletti europei sugli
aiuti di Stato, ovviamente, sono
l’ostacolo principale: se
l’accordo sugli aumenti di capitale
pare chiuso, la questione
sofferenze è in alto mare.
AFFRONTARE questo lato del
problema ieri è toccato al direttore
generale di Banca d’Italia
Salvatore Rossi: “L’unio -
ne bancaria europea non è
completa, né perfetta”, ha detto
in un convegno. E cosa manca?
Soprattutto “un back stop
pubblico temporaneo per i casi
in cui l’applicazione del
bail-in, invece che alleviare, finisca
per esacerbare i rischi di
instabilità sistemica”. In sostanza,
dice Rossi, tosare i risparmiatori
in caso di crac
bancari (modello Etruria) distrugge
“la fiducia degli investitori,
bene pubblico impalpabile
e volatile, al cui venir
meno la stabilità dell’intero sistema
finanziario, dunque
dell’intera economia, è minacciata”.
E di chi è la colpa? Risponde
Rossi: ha vinto “la
pressione politica dei Paesi del
Nord Europa”.
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Re: La crisi dell'Europa
Libia, ora l'Onu lancia l'allarme: "Un milione di potenziali migranti"
Il generale Paolo Serra, consigliere militare dell'inviato speciale Onu in Libia, Martin Kobler: "I flussi migratori in partenza dalla Libia possono rappresentare una minaccia alla sicurezza: all'interno potrebbero esserci infatti cellule dormienti"
Luca Romano - Mer, 13/04/2016 - 14:29
commenta
"In Libia ci sono un milione di potenziali migranti. Aiutando il Paese a ricostruire il tessuto economico, agricolo ed industriale, queste persone non avranno più ragione di muoversi".
Lo ha detto il generale Paolo Serra, consigliere militare dell'inviato speciale Onu in Libia, Martin Kobler, in audizione al Comitato Schengen, evidenziando un aumento delle partenze nel 2016 e come l'estrazione petrolifera in Libia sia scesa da 1,8 milioni a 300 mila barili al giorno, togliendo così lavoro ad un gran numero di persone.
I flussi migratori in partenza dalla Libia possono rappresentare anche "una minaccia alla sicurezza: all'interno potrebbero esserci infatti cellule dormienti", ha aggiunto Serra. Che poi ha spiegato: "In Libia non ci sono eserciti e polizia statuali. Solo a Tripoli ci sono 41 milizie: 4.000 uomini sono passati dalla parte del futuro governo di al Sarraj, mentre 2.000 sono fedeli al precedenti organismo. La sfida del futuro è quella di creare un esercito ed una polizia veramente statuali. Ci saranno aree di addestramento e si cercherà di riassorbire le milizie in forze armate normali, nonché di facilitare l'ingresso di nuovi ragazzi e ragazze che vogliono partecipare alla nuova Libia". Oggi, ha spiegato l'alto ufficiale, "ci sono due entità: il Lybian national army del generale Haftar a Tobruk ed il governo di Tripoli. È un problema politico che devono risolvere i libici: da una parte Haftar si dice disponibile ad avere cariche nel futuro Governo, dall'altra i sostenitori del nuovo Governo dicono che lui non dovrà avere cariche".
In Libia l'Isis è in via di espansione. "Fonti aperte statunitensi riportano un incremento della popolazione Isis da 3000 a 6000 persone anche se non ci sono evidenze che lo confermano", inoltre "non ci sono prove che l'Isis partecipi allo sfruttamento del traffico dei migranti", dice il generale Paolo Serra.
"Nel 2015 i migranti dalla Libia all'Italia furono 120mila. Nel mese di gennaio 2016 i migranti sono aumentati dai 3mila dell'anno precedente a 5200. Se le cose continueranno così, possiamo immaginare che nel 2016 avremo circa 250mila arrivi dalla Libia", spiega ancora Serra".
Anche il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, intervenendo durante la sessione plenaria dell'Europarlamento, in corso a Strasburgo, ha posto l'accento sulla situazione libica. "L'Ue e i suoi Stati membri devono essere pronti a dare aiuto e solidarietà a Italia e Malta, visto che non c'è solo la rotta balcanica tra gli itinerari percorribili dai migranti e che il numero delle persone che intendono partire dalla Libia verso nord è allarmante. Non sarà possibile semplicemente copiare le soluzioni che abbiamo trovato per la rotta balcanica anche perché la Libia non è la Turchia. E anche lungo la rotta balcanica abbiamo agito troppo tardi, cosa che ha prodotto la chiusura temporanea dei confini all'interno dell'Ue. Ecco perché la nostra piena cooperazione con Malta e Italia è la condizione per evitare questo scenario in futuro".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lib ... 45855.html
Il generale Paolo Serra, consigliere militare dell'inviato speciale Onu in Libia, Martin Kobler: "I flussi migratori in partenza dalla Libia possono rappresentare una minaccia alla sicurezza: all'interno potrebbero esserci infatti cellule dormienti"
Luca Romano - Mer, 13/04/2016 - 14:29
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"In Libia ci sono un milione di potenziali migranti. Aiutando il Paese a ricostruire il tessuto economico, agricolo ed industriale, queste persone non avranno più ragione di muoversi".
Lo ha detto il generale Paolo Serra, consigliere militare dell'inviato speciale Onu in Libia, Martin Kobler, in audizione al Comitato Schengen, evidenziando un aumento delle partenze nel 2016 e come l'estrazione petrolifera in Libia sia scesa da 1,8 milioni a 300 mila barili al giorno, togliendo così lavoro ad un gran numero di persone.
I flussi migratori in partenza dalla Libia possono rappresentare anche "una minaccia alla sicurezza: all'interno potrebbero esserci infatti cellule dormienti", ha aggiunto Serra. Che poi ha spiegato: "In Libia non ci sono eserciti e polizia statuali. Solo a Tripoli ci sono 41 milizie: 4.000 uomini sono passati dalla parte del futuro governo di al Sarraj, mentre 2.000 sono fedeli al precedenti organismo. La sfida del futuro è quella di creare un esercito ed una polizia veramente statuali. Ci saranno aree di addestramento e si cercherà di riassorbire le milizie in forze armate normali, nonché di facilitare l'ingresso di nuovi ragazzi e ragazze che vogliono partecipare alla nuova Libia". Oggi, ha spiegato l'alto ufficiale, "ci sono due entità: il Lybian national army del generale Haftar a Tobruk ed il governo di Tripoli. È un problema politico che devono risolvere i libici: da una parte Haftar si dice disponibile ad avere cariche nel futuro Governo, dall'altra i sostenitori del nuovo Governo dicono che lui non dovrà avere cariche".
In Libia l'Isis è in via di espansione. "Fonti aperte statunitensi riportano un incremento della popolazione Isis da 3000 a 6000 persone anche se non ci sono evidenze che lo confermano", inoltre "non ci sono prove che l'Isis partecipi allo sfruttamento del traffico dei migranti", dice il generale Paolo Serra.
"Nel 2015 i migranti dalla Libia all'Italia furono 120mila. Nel mese di gennaio 2016 i migranti sono aumentati dai 3mila dell'anno precedente a 5200. Se le cose continueranno così, possiamo immaginare che nel 2016 avremo circa 250mila arrivi dalla Libia", spiega ancora Serra".
Anche il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, intervenendo durante la sessione plenaria dell'Europarlamento, in corso a Strasburgo, ha posto l'accento sulla situazione libica. "L'Ue e i suoi Stati membri devono essere pronti a dare aiuto e solidarietà a Italia e Malta, visto che non c'è solo la rotta balcanica tra gli itinerari percorribili dai migranti e che il numero delle persone che intendono partire dalla Libia verso nord è allarmante. Non sarà possibile semplicemente copiare le soluzioni che abbiamo trovato per la rotta balcanica anche perché la Libia non è la Turchia. E anche lungo la rotta balcanica abbiamo agito troppo tardi, cosa che ha prodotto la chiusura temporanea dei confini all'interno dell'Ue. Ecco perché la nostra piena cooperazione con Malta e Italia è la condizione per evitare questo scenario in futuro".
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/lib ... 45855.html
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Re: La crisi dell'Europa
'Europa nella morsa degli immigrati
Sfondamenti in Macedonia, salvati 3000 migranti nel Mediterraneo. In migliaia verso la Serbia. L'Ue è inerme
Mario Valenza - Sab, 22/08/2015 - 22:01
commenta
La situazione in Europa è sempre più esplosiva sul fronte immigrazione. Fino a qualche mese fa il problema riguardava solo l'Italia che doveva affrontare, da sola, l'emergenza sbarchi proveninete dal Canale di Sicilia.
Macedonia, caos migranti: la polizia spara le granate
Profughi, Bulgaria: "Pronti a schierare l'esercito"
video
Macedonia, il confronto...
gallery
Macedonia, duri scontri...
Adesso i profughi ha adottato nuove rotte per arrivare nin Europa e quella che da Istanbul porta in Grecia e poi in Macedonia, è quelal più battutta nelle utlime settimane. I profughi assediano i confini e gli Stati dopo qualche resistenza li lasciano passare nella speranza che lascino il territorio per dirigersi verso un altro Paese. è quanto è accaduto in Grecia con i profughi che hanno sfondato il blocco in Macedonia e quanto accarà presto in Serbia, dato che le autorità di Skopje hanno aperto la frontiera per lasciar passare i migranti proprio in direzione di Belgrado. La Macedonia ha permesso l’ingresso di oltre 1500 migranti siriani che erano fermi da tre giorni nella terra di nessuno tra la Grecia e la Macedonia. Lo riferiscono i giornalisti sul posto. In precedenza la polizia macerdone aveva usato granate e bastoni per fermare l’esodo. Il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski, afferma che la polizia non vuole usare la forza ma controllare il flusso degli arrivi. I migranti al confine greco-macedone provengono per lo più da Siria, Iraq e Afghanistan. La Macedonia ha dichiarato lo stato di emergenza. Intanto i migranti sostengono che la polizia e le autorità non chiedono più alcun documento, sulla falsariga di quanto succede in Grecia e in Serbia, e aiutano i migranti a lasciare il paese il più in fretta possibile, organizzando un servizio di pullman. In serata, cinque autobus hanno portato 300 migranti in Serbia.
Ma l'invasione deve fare i conti anche col fronte del sud. È di quasi 3.000 migranti salvati il bilancio delle operazioni di soccorso condotte oggi dai mezzi italiani ed europei nel Canale di Sicilia al largo della Libia. I migranti erano a bordo di 23 tra gommoni e barconi che avevano lanciato l’allarme nel corso della mattinata di oggi. Quasi un migliaio di loro si trovano a bordo di una nave norvegese inserita nel dispositivo Triton, altri 900 circa sono stati soccorsi dalle navi della Marina Militare mentre 580 sono stati recuperati da nave Fiorillo della Guardia Costiera. Altri 500 migranti circa, infine, sono stati soccorsi
dalle motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera salpate da Lampedusa. I profughi salvati molto probabilmente verranno accolti in Italia e in Grecia, andando così a mettere a dura prova il sistema di accoglienza che è già al collasso. L'Europa dunque è stretta tra due fronti, uno da mare e uno da terra. Ma tra sfondamenti e salvataggi manca ancora una visione europea per risolvere l'emergenza. Una falla che spalanca le porte agli affari dei trafficanti di uomini.
http://www.ilgiornale.it/news/leuropa-n ... 62463.html
Sfondamenti in Macedonia, salvati 3000 migranti nel Mediterraneo. In migliaia verso la Serbia. L'Ue è inerme
Mario Valenza - Sab, 22/08/2015 - 22:01
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La situazione in Europa è sempre più esplosiva sul fronte immigrazione. Fino a qualche mese fa il problema riguardava solo l'Italia che doveva affrontare, da sola, l'emergenza sbarchi proveninete dal Canale di Sicilia.
Macedonia, caos migranti: la polizia spara le granate
Profughi, Bulgaria: "Pronti a schierare l'esercito"
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Macedonia, il confronto...
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Macedonia, duri scontri...
Adesso i profughi ha adottato nuove rotte per arrivare nin Europa e quella che da Istanbul porta in Grecia e poi in Macedonia, è quelal più battutta nelle utlime settimane. I profughi assediano i confini e gli Stati dopo qualche resistenza li lasciano passare nella speranza che lascino il territorio per dirigersi verso un altro Paese. è quanto è accaduto in Grecia con i profughi che hanno sfondato il blocco in Macedonia e quanto accarà presto in Serbia, dato che le autorità di Skopje hanno aperto la frontiera per lasciar passare i migranti proprio in direzione di Belgrado. La Macedonia ha permesso l’ingresso di oltre 1500 migranti siriani che erano fermi da tre giorni nella terra di nessuno tra la Grecia e la Macedonia. Lo riferiscono i giornalisti sul posto. In precedenza la polizia macerdone aveva usato granate e bastoni per fermare l’esodo. Il portavoce della polizia macedone, Ivo Kotevski, afferma che la polizia non vuole usare la forza ma controllare il flusso degli arrivi. I migranti al confine greco-macedone provengono per lo più da Siria, Iraq e Afghanistan. La Macedonia ha dichiarato lo stato di emergenza. Intanto i migranti sostengono che la polizia e le autorità non chiedono più alcun documento, sulla falsariga di quanto succede in Grecia e in Serbia, e aiutano i migranti a lasciare il paese il più in fretta possibile, organizzando un servizio di pullman. In serata, cinque autobus hanno portato 300 migranti in Serbia.
Ma l'invasione deve fare i conti anche col fronte del sud. È di quasi 3.000 migranti salvati il bilancio delle operazioni di soccorso condotte oggi dai mezzi italiani ed europei nel Canale di Sicilia al largo della Libia. I migranti erano a bordo di 23 tra gommoni e barconi che avevano lanciato l’allarme nel corso della mattinata di oggi. Quasi un migliaio di loro si trovano a bordo di una nave norvegese inserita nel dispositivo Triton, altri 900 circa sono stati soccorsi dalle navi della Marina Militare mentre 580 sono stati recuperati da nave Fiorillo della Guardia Costiera. Altri 500 migranti circa, infine, sono stati soccorsi
dalle motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia Costiera salpate da Lampedusa. I profughi salvati molto probabilmente verranno accolti in Italia e in Grecia, andando così a mettere a dura prova il sistema di accoglienza che è già al collasso. L'Europa dunque è stretta tra due fronti, uno da mare e uno da terra. Ma tra sfondamenti e salvataggi manca ancora una visione europea per risolvere l'emergenza. Una falla che spalanca le porte agli affari dei trafficanti di uomini.
http://www.ilgiornale.it/news/leuropa-n ... 62463.html
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Re: La crisi dell'Europa
IL PROBLEMA E' DIMENSIONALE
Dove si mettono e cosa gli si da' da mangiare.
La Qualunque dove trova i soldi?
"In Italia 6mila migranti in 4 giorni"
L'Organizzazione internazionale per le migrazioni lancia l'allarme e avverte: "Gli arrivi aumenteranno ancora"
Luca Romano - Ven, 15/04/2016 - 13:22
commenta
Quasi 6mila migranti sono giunti in Italia da martedì.
Lo ha reso noto l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), lanciando l'allarme in un momento in cui si teme la ripresa a tambur battente degli arrivi con la bella stagione. "Questa settimana quasi tutti gli arrivi" sono stati registrati in Italia, ha affermato un portavoce dell'organizzazione. In totale, da martedì sono giunti in Europa 5.664 migranti, ma solo 174 sono stati segnalate in Grecia. A Messina stamane sono arrivate 357 persone. L'annuncio arrivo nel momento in cui il governo italiano si appresta a inviare una lettera di aiuto all'Unione Europa per fronteggiare gli arrivi dalla Libia.
E mentre le ondate di sbarchi non si placano, il premier Matteo Renzi minimizza: "C'è un problema che riguarda il nostro Paese ma non c'è un'invasione in corso. Sono in corso iniziative ma non siamo in presenza di una invasione. È un grande problema, abbiamo idee chiare su come affrontarlo. L'Ue si faccia portatrice di una strategia a partire dagli aiuti ai paesi africani e bloccare i viaggi della morte. Io non voglio minimizzare ma voglio dare un messaggio di serietà. I numeri degli sbarchi sono appena qualcuno in più rispetto allo scorso anno. Dico a italiani: buonsenso e ragionevolezza".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 47058.html
Dove si mettono e cosa gli si da' da mangiare.
La Qualunque dove trova i soldi?
"In Italia 6mila migranti in 4 giorni"
L'Organizzazione internazionale per le migrazioni lancia l'allarme e avverte: "Gli arrivi aumenteranno ancora"
Luca Romano - Ven, 15/04/2016 - 13:22
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Quasi 6mila migranti sono giunti in Italia da martedì.
Lo ha reso noto l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), lanciando l'allarme in un momento in cui si teme la ripresa a tambur battente degli arrivi con la bella stagione. "Questa settimana quasi tutti gli arrivi" sono stati registrati in Italia, ha affermato un portavoce dell'organizzazione. In totale, da martedì sono giunti in Europa 5.664 migranti, ma solo 174 sono stati segnalate in Grecia. A Messina stamane sono arrivate 357 persone. L'annuncio arrivo nel momento in cui il governo italiano si appresta a inviare una lettera di aiuto all'Unione Europa per fronteggiare gli arrivi dalla Libia.
E mentre le ondate di sbarchi non si placano, il premier Matteo Renzi minimizza: "C'è un problema che riguarda il nostro Paese ma non c'è un'invasione in corso. Sono in corso iniziative ma non siamo in presenza di una invasione. È un grande problema, abbiamo idee chiare su come affrontarlo. L'Ue si faccia portatrice di una strategia a partire dagli aiuti ai paesi africani e bloccare i viaggi della morte. Io non voglio minimizzare ma voglio dare un messaggio di serietà. I numeri degli sbarchi sono appena qualcuno in più rispetto allo scorso anno. Dico a italiani: buonsenso e ragionevolezza".
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 47058.html
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Re: La crisi dell'Europa
Il monito della Caritas: "Centri profughi pieni, così sarà emergenza"
Ora il cambiamento della natura dei flussi migratori, bloccando il turnover, sta saturando il sistema
Giulia Ulrich - Ven, 15/04/2016 - 14:24
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"La storia europea dello scorso secolo ci ha insegnato che i muri non servono ad arginare la disperazione delle persone ...
e se non ci sarà un'inversione di marcia a livello europeo e nazionale, molto probabilmente il capoluogo lombardo avrà a che fare con un'emergenza umanitaria ancora più grave di quella dei mesi successivi all'ottobre 2013: perchè non sarà più raggiunto da migranti in transito verso i Paesi del Nord, ma da persone che chiederanno asilo in Italia e dunque si fermeranno da noi. Occorre farsi trovare pronti e preparati", afferma Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana. "Fino ad ora Milano ha fatto la sua parte - ha detto ancora Gualzetti - sarebbe interessante e molto utile sapere dai candidati alla guida della città, se e come intendono affrontare la situazione, visto che l'accoglienza dei migranti sarà una delle priorità che il nuovo sindaco, chiunque esso sia, dovrà affrontare probabilmente già nei primi 100 giorni di governo". Secondo Gualzetti questa seconda fase dell'emergenza dovrà chiamare in causa non solo Milano ma anche la sua area metropolitana vasta.
Secondo il direttore di Caritas Ambrosiana questa seconda fase dell'emergenza dovrà chiamare in causa nel territorio della Diocesi non solo Milano ma più direttamente anche la sua area metropolitana vasta. Dalla scorsa estate Caritas Ambrosiana è impegnata nelle creazione di un piano di accoglienza diffusa dei migranti nelle parrocchie e negli istituti che sommandosi al centri già gestiti dall'insieme delle realtà ecclesiali è già giunto ad una capienza di mille posti suddivisi in 109 strutture. Dai centri più grandi di prima accoglienza, i migranti vengono ricollocati nelle strutture più piccole in genere appartamenti, capaci di ospitare nuclei familiari o al massimo 4-5 persone, dove è possibile avviare percorsi di integrazione, contando oltre che sui servizi, stabiliti dalle convezioni, anche sul contributo dei volontari e delle famiglie tutor.
Ora il cambiamento della natura dei flussi migratori, bloccando il turnover, sta saturando il sistema. Ad esempio a Casa Suraya, il primo centro aperto per l'emergenza siriana, il flusso dei migranti in transito si è interrotto. Ora gli ospiti sono tutti richiedenti asilo, per il 45% nigeriani, o "dublinati", in genere eritrei, somali e iracheni, migranti che erano stati identificati in Italia, hanno raggiunto un altro Paese europeo e da lì sono stati riaccompagnati nel nostro Paese per effetto degli accordi di Dublino. Queste persone non si fermeranno solo per pochi giorni come avveniva in passato, ma avranno diritto di rimanere nel centro fino a quando la commissione territoriale non avrà esaminato la domanda, quindi per un tempo che può arrivare anche ad un anno ed oltre.
Ora il cambiamento della natura dei flussi migratori, bloccando il turnover, sta saturando il sistema
Giulia Ulrich - Ven, 15/04/2016 - 14:24
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"La storia europea dello scorso secolo ci ha insegnato che i muri non servono ad arginare la disperazione delle persone ...
e se non ci sarà un'inversione di marcia a livello europeo e nazionale, molto probabilmente il capoluogo lombardo avrà a che fare con un'emergenza umanitaria ancora più grave di quella dei mesi successivi all'ottobre 2013: perchè non sarà più raggiunto da migranti in transito verso i Paesi del Nord, ma da persone che chiederanno asilo in Italia e dunque si fermeranno da noi. Occorre farsi trovare pronti e preparati", afferma Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana. "Fino ad ora Milano ha fatto la sua parte - ha detto ancora Gualzetti - sarebbe interessante e molto utile sapere dai candidati alla guida della città, se e come intendono affrontare la situazione, visto che l'accoglienza dei migranti sarà una delle priorità che il nuovo sindaco, chiunque esso sia, dovrà affrontare probabilmente già nei primi 100 giorni di governo". Secondo Gualzetti questa seconda fase dell'emergenza dovrà chiamare in causa non solo Milano ma anche la sua area metropolitana vasta.
Secondo il direttore di Caritas Ambrosiana questa seconda fase dell'emergenza dovrà chiamare in causa nel territorio della Diocesi non solo Milano ma più direttamente anche la sua area metropolitana vasta. Dalla scorsa estate Caritas Ambrosiana è impegnata nelle creazione di un piano di accoglienza diffusa dei migranti nelle parrocchie e negli istituti che sommandosi al centri già gestiti dall'insieme delle realtà ecclesiali è già giunto ad una capienza di mille posti suddivisi in 109 strutture. Dai centri più grandi di prima accoglienza, i migranti vengono ricollocati nelle strutture più piccole in genere appartamenti, capaci di ospitare nuclei familiari o al massimo 4-5 persone, dove è possibile avviare percorsi di integrazione, contando oltre che sui servizi, stabiliti dalle convezioni, anche sul contributo dei volontari e delle famiglie tutor.
Ora il cambiamento della natura dei flussi migratori, bloccando il turnover, sta saturando il sistema. Ad esempio a Casa Suraya, il primo centro aperto per l'emergenza siriana, il flusso dei migranti in transito si è interrotto. Ora gli ospiti sono tutti richiedenti asilo, per il 45% nigeriani, o "dublinati", in genere eritrei, somali e iracheni, migranti che erano stati identificati in Italia, hanno raggiunto un altro Paese europeo e da lì sono stati riaccompagnati nel nostro Paese per effetto degli accordi di Dublino. Queste persone non si fermeranno solo per pochi giorni come avveniva in passato, ma avranno diritto di rimanere nel centro fino a quando la commissione territoriale non avrà esaminato la domanda, quindi per un tempo che può arrivare anche ad un anno ed oltre.
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Re: La crisi dell'Europa
QUESTA VOLTA NON BISOGNA FARE LA TARA PROPAGANDISTICA AL GIORNALE.
SE IL CORRIERE CITA 4.000 ARRIVI IN DUE GIORNI, CI PUO' STARE IL 6.000 IN 4 GIORNI DEL GIORNALE.
CANALE DI SICILIA
Migranti, 4.000 arrivi in Italia in 2 giorni. Mogherini: «Missione europea in acque libiche»
Mentre il miglioramento delle condizioni del mare e la chiusura della rotta balcanica intensifica i flussi di migranti dal Nord Africa alla Sicilia, l’Ue coinvolge il nuovo governo libico guidato da Sarraj. Renzi: «Nessuna invasione in corso»
di Salvatore Frequente
http://www.corriere.it/cronache/16_apri ... e504.shtml
SE IL CORRIERE CITA 4.000 ARRIVI IN DUE GIORNI, CI PUO' STARE IL 6.000 IN 4 GIORNI DEL GIORNALE.
CANALE DI SICILIA
Migranti, 4.000 arrivi in Italia in 2 giorni. Mogherini: «Missione europea in acque libiche»
Mentre il miglioramento delle condizioni del mare e la chiusura della rotta balcanica intensifica i flussi di migranti dal Nord Africa alla Sicilia, l’Ue coinvolge il nuovo governo libico guidato da Sarraj. Renzi: «Nessuna invasione in corso»
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Re: La crisi dell'Europa
ZONAEURO
Bce, gettare euro con l’elicottero è meglio dei tassi d’interesse negativi
di Loretta Napoleoni | 17 aprile 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2644453/
Bce, gettare euro con l’elicottero è meglio dei tassi d’interesse negativi
di Loretta Napoleoni | 17 aprile 2016
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Re: La crisi dell'Europa
La ragione c'è. Il problema non è la deflazione, grandissima stupidaggine ripetuta 100 volte e asserita purtroppo anche da alcuni politici autorevoli, ma la mancanza di domanda dovuta propriamente da anni di aumento incontrollato dei prezzi sui beni di prima necessità. E poi si è pensato di combatterla non stampando moneta nel modo tradizionale finanziando i debiti pubblici per far ripartire l'economia e risollevare alcuni stati come l'Italia, il cui debito purtroppo è dovuto anche all'illegalità, ma dando i soldi alle banche, cosa anomala e che credo non sia esistita mai nella storia economica. Si sono considerate le banche delle istituzioni, invece che delle imprese che devono assumersi il rischio; ma questo purtroppo in Italia e anche all'estero è stato molto frequente anche nelle grandi industrie, come quelle automobilistiche.
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