POSTDEMOCRAZIA

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erding
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POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da erding »

Un amico mi ha segnalato questo articolo su un libro di Crouch ...un po' datato , ma,attuale più che mai.
L'ho trovato molto interessante spero possa interessare qualcun altro. ( scusate,non è brevissimo)

[b]C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 148, ISBN 88-420-7106-4[/b]
"[...]anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall'integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici" (p. 6). Questo è il modello di quella 'sindrome' che Colin Crouch definisce 'postdemocrazia'. La tesi di questo volume è che i regimi rappresentativi esibiscono attualmente una tendenza a trasformarsi in postdemocrazie, percorrendo il ramo discendente di una parabola che ha toccato il suo vertice nella seconda metà del secolo XX, epoca di massima affermazione delle politiche egualitarie. Il tema della crisi della democrazia nell'epoca della retorica globale dei sistemi elettivi/rappresentativi - un topos della recente discussione politologica - è affrontato a partire da una critica della concezione liberale-elitista della democrazia che ha il merito di non indulgere in comode scorciatoie normativistiche (come viceversa avviene in molta teorizzazione contemporanea della democrazia deliberativa).
Nel delineare i tratti della postdemocrazia Crouch muove da un'analisi dell'azienda globale "istituzione chiave del mondo postdemocratico". Essa si presenta con i tratti di un'apparente leggerezza. Acquisizioni, fusioni e ristrutturazioni mutano di frequente la stessa identità dell'azienda, mentre le 'nuove' e 'flessibili' forme contrattuali rendono la forza-lavoro sempre più frantumata e dispersa. La stessa esistenza di un core business è vista come un elemento di rigidità: l'azienda tende a concentrarsi sulla gestione della finanza e su quella del logo. Ma Crouch critica radicalmente le interpretazioni che vedono nell'"azienda fantasma" un'istituzione debole, il sintomo della dissoluzione del capitale e del superamento della divisione in classi. Al contrario, questa "capacità di decostruzione è la forma più estrema assunta dal predominio dell'azienda nella società contemporanea" (p. 49). E l'azienda diviene infatti il modello istituzionale anche per il settore pubblico. Si avvia la ristrutturazione degli enti pubblici per renderli più attraenti ai finanziatori privati, mentre l'esternalizzazione da parte dei governi alle imprese di un ingente ambito delle loro attività si traduce in un rapporto più stretto fra potere economico e organi pubblici e nell'aumento del potere politico delle lobby.
Se una delle principali preoccupazioni della teoria economica di Adam Smith era quella di rendere indipendenti e svincolare il mondo politico e l'impresa privata, oggi si assiste al "ritorno dei privilegi politici corporativi coperti dagli slogan del mercato e della libera concorrenza" (p. 59). L'azienda globale gode dell'esonero fiscale, allo stesso modo della nobiltà e del clero nell'ancien régime. "Oggi [...] a causa della crescente dipendenza dei governi dalle competenze e dai pareri di dirigenti delle multinazionali e grandi imprenditori e della dipendenza dei partiti dai loro finanziamenti, andiamo verso la formazione di una nuova classe dominante, politica ed economica, i cui componenti hanno non solo potere e ricchezza in aumento per loro conto via via che le società diventano sempre più diseguali, ma hanno anche acquisito il ruolo politico privilegiato che ha sempre contraddistinto l'autentica classe dominante. Questo è il fattore centrale di crisi della democrazia all'alba del XXI secolo" (p. 60).
In questo quadro l'"assioma politico contemporaneo della sparizione della classe sociale", più che una diagnosi fondata, è un "sintomo della postdemocrazia". Accanto al declino della classe operaia - da classe del futuro a soggetto di politiche di retroguardia - emerge l'incoerenza delle altre classi, la loro mancanza di autonomia e la loro debolezza rispetto alla manipolazione postdemocratica. La politica dei nuovi riformisti si incentra sulla costruzione di un modello di partito adeguato per la postdemocrazia, un 'partito per tutti' che abbandona la sua base tradizionale. "Ma per un partito non avere una base definita significa esistere nel vuoto. È qualcosa che la natura politica aborre e i nuovi interessi delle grandi aziende, incarnati nel nuovo modello aggressivo e flessibile dell'azienda che massimizza i dividendi degli azionisti, hanno spinto per riempirlo" (p. 73). D'altra parte nessuno ha trovato la formula per rappresentare gli interessi dei lavoratori subordinati postindustriali. Mentre "un programma potenzialmente radicale e democratico rimane lettera morta" si assiste all'affermazione di partiti nazionalisti, xenofobi o razzisti, che nel vuoto politico propongono identità nette senza compromessi.
Il tradizionale modello politologico che vedeva i partiti di massa costruiti in una serie di cerchi concentrici (dirigenti, parlamentari, militanti e amministratori locali, via via fino ai tesserati ordinari, sostenitori e ai semplici elettori) viene superato. Si stabilisce un legame diretto fra i dirigenti centrali e gli elettori. E soprattutto si assiste alla trasformazione del primo cerchio in un'ellisse che include le élite dei lobbysti e dei consulenti. "Se ci basiamo sulle tendenze recenti, il classico partito del XXI secolo sarà formato da una élite interna che si autoriproduce, lontana dalla sua base nel movimento di massa, ma ben inserita in mezzo a un certo numero di grandi aziende, che in cambio finanzieranno l'appalto di sondaggi d'opinione, consulenze esterne e raccolta di voti, a patto di essere ben viste dal partito quando questo sarà al governo" (p. 84).
La postdemocrazia si traduce in un processo di "commercializzazione della cittadinanza" che stravolge lo schema elaborato da T.H. Marshall. Una serie di servizi che costituivano dei diritti garantiti dallo status di cittadini vengono messi sul mercato e gestiti con logica commerciale, anche a prescindere dalla proprietà, pubblica o privata, delle agenzie che li erogano. Un colossale progetto globale di smantellamento del welfare state passa attraverso l'individuazione di successive aree da aprire al mercato ed alla privatizzazione: il WTO è stato istituito precisamente per questo scopo. Crouch rileva che la trasformazione del mercato da strumento a principio assoluto, la trasformazione in merce di ogni bene e servizio, produce effetti perversi anche sul piano strettamente economico. E il fatto che il pubblico si occupi di erogare servizi solo per quella parte residuale degli utenti che non interessa al mercato finisce per degradarne la qualità e di fatto per escludere gli utenti dalla cittadinanza. Questo processo non sarà compiuto "fintanto che la fornitura dell'istruzione, dei servizi sanitari e degli altri servizi tipici del welfare state non saranno subappaltati a estese catene di fornitori privati, così che il governo non sia più responsabile della loro produzione di quanto la Nike lo sia delle scarpe su cui mette il marchio" (p. 116). Ma già oggi l'ideologia del mercato si traduce nell'affermazione di un modello giacobino che concentra il potere politico al centro senza livelli intermedi di azione politica. Mentre i cittadini perdono potere il processo elettorale democratico si avvicina "a una campagna di marketing basata abbastanza apertamente sulle tecniche di manipolazione usate per vendere prodotti" (p. 116).
La principale causa del declino della democrazia risiede insomma per Crouch nel "forte squilibrio in via di sviluppo tra il ruolo degli interessi delle grandi aziende e quelli di tutti gli altri gruppi" (p. 116). Crouch ipotizza alcune misure per contrastare questo processo, senza indulgere nell'utopia: l'abolizione del capitalismo rimane un sogno, il suo 'dinamismo' e il suo 'spirito intraprendente' sono una risorsa irrinunciabile. Ma è possibile trovare una nuova forma di compromesso della democrazia con gli interessi delle aziende multinazionali così come in passato si sono trovate altre forme di compromesso con le industrie nazionali, e ancor prima con il potere militare e con le Chiese. Questo sarà possibile, fra l'altro, se i cittadini eserciteranno una pressione non solo attraverso i partiti ma sui partiti. In altri termini occorre rovesciare la tendenza dei partiti a "incoraggiare il massimo livello di minima partecipazione" (p. 126). Quelle in cui aderisce ad alcune proposte istituzionali di Philippe Schmitter non sono forse le migliori pagine del libro di Crouch. Assai più interessante è l'affermazione che occorre "invertire la prospettiva consueta adottata dal mondo politico su cosa sia democrazia e cosa la sua negazione" (p. 131). Il sistema dei partiti mostra in genere scarso allarme per le pressioni degli interessi economici, mentre insiste sui rischi di antidemocraticità dei nuovi movimenti che si affermano di volta in volta sulla scena. Le "nuove creatività dirompenti all'interno del demos" (p. 130) sono invece un antidoto alla postdemocrazia e possono permettere di reindirizzare il malcontento dagli obiettivi e dai capri espiatori dei movimenti reazionari verso le vere cause dei problemi. Per Crouch "c'è bisogno di un mercato aperto dove concorrere a definire identità politiche, che rimanga all'esterno, ma ancora abbastanza vicino, all'arena oligopolistica dei partiti esistenti. [...] La politica democratica dunque ha bisogno di un contesto dove i vari gruppi e movimenti facciano sentire le proprie voci in modo energico, caotico e chiassoso: sono loro il vivaio della futura vitalità democratica" (p. 135). In altri termini, non c'è da scandalizzasi per il conflitto sociale.
Come si vede, la diagnosi di Crouch sulla democrazia integra gli strumenti della scienza politica con quelli della sociologia; l'analisi della struttura economica ha un ruolo centrale, che non scontenterebbe un marxista impenitente. La nozione di 'postdemocarzia' si allarga, al di là dei meccanismi politico-elettorali e delle strutture istituzionali, a connotare un processo sociale complessivo, un po' come avveniva per il termine 'democrazia' nella classica visione di Tocqueville. L'analisi teorica si incontra con la discussione della storia recente e dell'attualità politica, a partire da una conoscenza diretta soprattutto della Gran Bretagna del New Labour. Non c'è che sperare che gli spunti analitici e prognostici, così ricchi in questo breve volume, siano ripresi e sviluppati in un quadro più articolato, che mantenga la stretta interrelazione fra politologia, teoria sociale, scienza economica, magari ampliando lo sguardo a questioni come l'evoluzione dei media, le trasformazioni del diritto, il nuovo ruolo del fondamentalismo e del conservatorismo religioso e, non ultimo, gli scenari della guerra globale. Quella della postdemocrazia è una sindrome che esprime gravi patologie sociali: di fronte ad essa c'è da sperare nei processi e nei conflitti sociali, ma c'è anche un grande bisogno di teoria.
Luca Baccell
http://www.juragentium.org/books/it/crouch.htm
camillobenso
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Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da camillobenso »

POSTDEMOCRAZIA


"[...]anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall'integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici" (p. 6)


Vedo con piacere che qualcun altro se n’è accorto.

Per una strana combinazione, questa mattina cercavo di spiegare ad un amico con cui scambio opinioni sulla politica in generale, e non solo, da un ventennio, questo concetto.

Tutto diventa più evidente osservando le vicende politiche degli ultimi 5 anni.

Parliamo per quanto ci riguarda. Non c’è più bisogno della Marcia su Roma per tenere sotto controllo il Paese.

Oggi basta un Pinocchione qualsiasi, come il fiorentino, che sappia incantare una parte delle masse, con delle grandissime balle, ed il potere reale dei Poteri Forti ha buon gioco.

CONTINUA
camillobenso
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Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da camillobenso »

CONTINUA

In pratica, il sistema attuale si basa sulla capacità dei gruppi, che Crouch definisce con: il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione,
cercando di convincere i più che siamo all’interno di una “democrazia”
, mentre si tratta di una democrazia virtuale.

Quello che mi lascia perplesso è che personaggi del calibro di Rodotà, Zagrebelsky, Pace, o giornalisti di buon livello amanti della libertà e della democrazia, quella vera, non ne facciano menzione e continuino a battersi all’interno, e per, una DEMOCRAZIA VIRTUALE.

Le somarate, per non dire altro, del Pinocchione fiorentino non si contano. La sua mission, e forse non glielo hanno neppure detto, visto la sua arroganza e pienezza di sé, è quella di affondare definitivamente il Bel Paese, ed insieme l’Europa.
Ultima modifica di camillobenso il 19/04/2016, 17:14, modificato 1 volta in totale.
camillobenso
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Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da camillobenso »

DALLA RETE


Colin Crouch
Il potere delle lobby nella “postdemocrazia”


Crouch (1944-vivente al 2012) è uno scienziato politico inglese. Nel suo agile saggio del 2003
intitolato Postdemocrazia, egli illustra i motivi per cui alla breve fase più compiutamente
democratica che ha caratterizzato i paesi occidentali nei primi decenni del dopoguerra, si va
sostituendo una condizione postdemocratica, in cui la possibilità effettiva dei cittadini di
intervenire sulle scelte pubbliche si riduce a poco o nulla. Al di là della onnipresente retorica
democratica, le istituzioni statali hanno ormai ridotti margini di azione di fronte ai flussi economici
globali e al potere delle grandi aziende multinazionali. Anche la società civile è ridotta
sostanzialmente a poco più che una finzione scenica: le masse sono manipolate dai mass media, i
partiti si rivolgono all’elettorato come se stessero vendendo un prodotto e non un progetto di
società (che ormai non si ritiene più cosa plausibile). In questo scenario, rimane solo alle lobby più
ricche e potenti la facoltà di condizionare in modo determinante le scelte politiche.
Campagne e lobby con un preciso orientamento politico […] agiscono direttamente sulla politica
governativa. La vitalità di questo tipo di gruppi attesta una società liberale forte, che però non
coincide con una democrazia forte. Dato che siamo ormai abituati all’idea di «democrazia liberale»
come un tutt’uno, tendiamo a non vedere che vi sono due elementi in azione. La democrazia
richiede una certa eguaglianza di massima nella reale capacità di influire sui risultati politici da
parte di tutti i cittadini. Il liberalismo richiede opportunità libere, diversificate e vaste di influire su
questi risultati. Queste due condizioni sono correlate e interdipendenti. Di certo l’ideale più
ambizioso di democrazia non può svilupparsi senza un forte liberalismo, ma le due cose sono
differenti e in qualche misura persino in conflitto. […]
Facciamo un esempio semplice ma importante. Se non si pongono restrizioni ai fondi che i partiti e i
loro amici possono usare per promuovere la loro causa e sul tipo di mezzi di comunicazione e
pubblicità che possono finanziare, è chiaro che i partiti che godono di maggiori risorse finanziarie
avranno maggiori probabilità di vincere le elezioni. Un tale regime favorisce il liberalismo ma
danneggia la democrazia, poiché non crea un terreno di competizione uniforme come vorrebbe il
criterio egualitario1
. […]
Il mondo dei gruppi di interesse, dei movimenti e delle lobby appartiene al campo politico liberale
piuttosto che a quello democratico, un campo in cui poche regole governano le modalità per
esercitare un’azione politica. Le risorse a disposizione delle varie cause variano enormemente e
sistematicamente. Le lobby che rappresentano interessi economici sono sempre di gran lunga
avvantaggiate, per due diverse ragioni. Primo […], gli interessi economici sono in grado di
minacciare i governi che, se non saranno ascoltati, non avranno successo in quel settore, un fatto
che a sua volta mette a repentaglio gli obiettivi di crescita economica sostenuti dal governo stesso.
In secondo luogo, possono controllare enormi somme per finanziare la loro stessa attività, non solo
perché sono ricchi in partenza, ma anche perché il successo del loro gruppo ne aumenterà i profitti: i
costi sostenuti per gestire la lobby costituiscono un investimento. Gli interessi non economici di
rado possono usare un argomento così potente come il danno alla crescita economica; e il successo
della loro attività lobbistica non porterà un vantaggio materiale (il che è vero, per definizione, di un
interesse non economico), perciò i loro costi rappresentano una spesa, non un investimento. […]
!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1
Oggi ad esempio, molti cittadini, succubi dell’ideologia funzionale alle lobby, se la prendono quasi esclusivamente
con la classe politica, rivendicando drastiche riduzioni del loro potere e dei loro benefici. Così facendo, però, non
pongono mente al fatto che al fatto che il grosso del potere e del denaro non è tanto in mano alla classe politica, ma alle
grandi lobby, che trattano i politici quasi come loro dipendenti. Più il disagio sociale viene riversato sui politici, più la
cittadinanza fatica a scorgere che i veri privilegiati sono altri, che però agiscono dietro le quinte.
Copyright © 2012 Zanichelli Editore SpA, Bologna [4482]
Questo file è una estensione online del corso S. Corradini, S. Sissa Capire la realtà sociale © Zanichelli 2012
Le lobby delle multinazionali non mostrano di disinteressarsi all’uso dello Stato per ottenere
vantaggi personali. Come dimostra l’attuale situazione degli Stati Uniti, queste lobby insidiano da
presso tanto lo Stato non-interventista e neoliberale con spesa pubblica contenuta, quanto il welfare
state di manica più larga. Insomma, più lo Stato rinuncia a intervenire sulle vite della gente
comune, rendendole indifferenti verso la politica, più facilmente le multinazionali possono
mungere, più o meno indisturbate, la collettività. Il mancato riconoscimento di questo fatto è la
principale ingenuità del pensiero neoliberale.
Attività:
• Spiega che differenza c’è tra società liberale e società democratica e perché si ha la
tendenza ad identificare i due concetti, che in realtà sono differenti.
• Chiedendo eventualmente qualche suggerimento al docente, cerca di individuare le
contraddizioni tra l’ideologia neo-liberale (o liberista) che domina oggi la politica e
l’economia da una parte e il rapporto tra le grandi imprese multinazionali e i governi degli
stati dall’altra.
• Rileggi l’ultimo capoverso e poi commenta in particolare il periodo posto in chiusura,
chiarendo come e perché più che di «ingenuità del pensiero neoliberale» sarebbe meglio
parlare piuttosto di ideologia giustificatrice.


http://online.scuola.zanichelli.it/capi ... _lobby.pdf
camillobenso
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Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da camillobenso »

Postdemocrazia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Una postdemocrazia (dal neologismo inglese post-democracy, creato dal politologo britannico Colin Crouch) è un sistema politico che pur essendo regolato da istituzioni e norme democratiche viene in effetti governato e pilotato dalle grandi lobby (ad es. società multinazionali o transnazionali) e dai mass media. Perciò l'applicazione delle regole democratiche nella prassi politica, sociale ed economica viene in realtà progressivamente svuotata. Secondo questa teoria politica le democrazie tradizionali rischiano di perdere parte dei loro caratteri costituenti a favore di nuove forme di esercizio del potere, prevalentemente oligarchiche.

Il termine è comparso in particolare per definire una evoluzione in atto nel corso del XXI secolo in molte democrazie. Si tratta di un termine polemico, in quanto richiamerebbe l'attenzione su quelle democrazie riconosciute che stanno tuttavia perdendo alcuni dei loro principi fondamentali ed evolvendo verso regimi di tipo elitario.


Il termine è stato proposto nel 2003 dal politologo britannico Colin Crouch per presentare un'analisi sullo sviluppo delle democrazie all'inizio del terzo millennio. In seguito è stato adoperato dal giornalista conservatore Peter Oborne per criticare le tendenze aristocratiche nella politica di Tony Blair.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]
Nella sua pubblicazione Crouch prende in esame vari esempi per definire un tipo ideale di democrazia alterata in senso postdemocratico. Si sottolinea innanzitutto che la vita politica continua a svolgersi all'interno delle regole democratiche e pertanto non si tratta di uno stato anti-democratico.[1]

Tuttavia, nella postdemocrazia descritta da Crouch, le occasioni di partecipazione per i cittadini vengono progressivamente ridotte a favore di altre forme decisionali. Acquistano un ruolo decisivo invece le burocrazie, i tecnocrati, gli organi intergovernativi, le lobby, le imprese economiche e i media.

« Anche se le elezioni continuano a svolgersi e condizionare i governi, il dibattito elettorale è uno spettacolo saldamente controllato, condotto da gruppi rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione e si esercita su un numero ristretto di questioni selezionate da questi gruppi. La massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve. A parte lo spettacolo della lotta elettorale, la politica viene decisa in privato dall'integrazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente interessi economici »
.[2]

Promotori di un'ideologia neoliberale e liberista, questi centri di potere tenterebbero di nascondere le differenze di classe, per legittimare più facilmente i propri interessi a scapito della collettività. In questa maniera essi favoriscono tuttavia anche la frustrazione e la disaffezione delle classi meno privilegiate, riducendo ulteriormente la domanda di partecipazione. Mentre i cittadini si allontanano dalla politica, il processo elettorale democratico si avvicina

« a una campagna di marketing basata abbastanza apertamente sulle tecniche di manipolazione usate per vendere prodotti »
.[3]

Esempi[modifica | modifica wikitesto]
Una caratteristica centrale della postdemocrazia secondo Crouch è il degrado della comunicazione politica, soprattutto dopo l'introduzione della televisione privata controllata da interessi commerciali e concentrata in poche mani. Come esempi per questa concentrazione di potere Crouch indica i magnati Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi.

Esempi di partiti con caratteristiche postdemocratiche sono per Crouch il New Labour britannico, il movimento di Pim Fortuyn nei Paesi Bassi e Forza Italia, mentre il PD di Matteo Renzi esemplifica una diversa postdemocrazia, la cosiddetta democrazia autoritaria. Secondo l'analisi di Crouch,

« Silvio Berlusconi ha organizzato l’intera campagna elettorale del centrodestra alle elezioni politiche attorno al suo personaggio, disseminando ovunque sue gigantografie opportunamente ringiovanite, in forte contrasto con lo stile assai più partitocentrico che l’Italia aveva adottato dopo la caduta di Mussolini. Invece di usare questo argomento per contrattaccare, l’unica risposta immediata del centrosinistra è stata identificare un individuo abbastanza fotogenico tra i suoi leader allo scopo di imitare il più possibile la campagna di Berlusconi »
Maucat
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Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da Maucat »

Leggete questa "vecchia" intervista e ditemi se non è ancora attualissima soprattutto nella parte che ho evidenziato.


Alexander Zinovyev: il più lucido lettore storico e politico della globalizzazione
Intervista rilasciata da Alexander Zinovyev nel 1999!


Con quali sentimenti rientrate in Russia dopo un esilio così lungo?


Con il sentimento di aver lasciato una potenza rispettata, forte, e con il timore di ritrovare un paese vinto, in rovina. A differenza di altri, io non avrei mai lasciato l'URSS se mi fosse stata lasciata la scelta. L'emigrazione è stata una vera punizione.


Pertanto qui in Occidente siete stato accolto a braccia aperte!


E' vero...ma malgrado l'accoglienza trionfale e il successo mondiale dei miei libri, non mi sono mai sentito a casa mia qui…


Dopo il crollo del sistema comunista, il sistema occidentale è diventato il vostro principale soggetto di studio? Perché?


Perché quello che avevo detto è successo: il crollo del comunismo si è trasformato nel crollo della Russia. La Russia e il comunismo formavano una sola ed unica cosa.


La lotta contro il comunismo era una copertura per una lotta contro la Russia?


Assolutamente. La catastrofe russa è stata voluta e programmata qui in Occidente. Lo dico perché per un periodo sono stato un iniziato. Ho letto documenti, ho partecipato a studi che sotto la copertura di combattere un'ideologia, preparavano la morte della Russia. E questo mi è diventato insopportabile fino al punto che non posso più vivere dalla parte di coloro che vogliono distruggere il mio paese e il mio popolo. L'Occidente non è qualcosa di estraneo per me, ma una potenza nemica.


Siete diventato un patriota?


Il patriottismo non mi riguarda, non è un mio problema. Ho ricevuto un'educazione internazionalista e gli sono rimasto fedele. Non posso dire se amo o non amo i russi. Ma io appartengo a questo popolo e a questo paese. Ne faccio parte. I problemi attuali del mio popolo sono tali che non posso più continuare a contemplarli da lontano. La brutalità della mondializzazione mette in evidenza delle cose inaccettabili.


I dissidenti sovietici però parlavano come se la loro patria fosse stata la democrazia e il loro popolo i diritti umani. Adesso che questo modo di vedere è diventato quello dominante in Occidente, voi sembrate combatterlo. Non è contraddittorio?


Durante la guerra fredda, la democrazia era un'arma diretta contro il comunismo, ma essa aveva il vantaggio di esistere. D'altronde oggi vediamo che l'epoca della guerra fredda è stata un punto culminante della storia dell'Occidente. Un benessere senza precedenti, uno straordinario progresso sociale, enormi scoperte scientifiche e tecniche, tutto c'era! Ma l'Occidente si modificava quasi impercettibilmente. La timida integrazione dei paesi sviluppati allora cominciava e costituiva le premesse della mondializzazione dell'economia e della globalizzazione del potere alle quali assistiamo oggi. Un'integrazione può essere generosa, positiva se essa risponde per esempio al desiderio legittimo delle nazioni di unirsi. Ma questa forma di integrazione è stata fin dall'inizio pensata in termini di strutture verticali, dominate da un potere sovranazionale. Senza il successo della controrivoluzione russa, non sarebbe stato possibile lanciarsi verso la mondializzazione.


Il ruolo di Gorbaciov, dunque, non è stato positivo?


Io non penso in questi termini. Contrariamente all'idea comunemente accettata, il comunismo non è crollato per ragioni interne. La sua caduta è stata la più grande vittoria della storia dell'Occidente. Una vittoria colossale che, lo ripeto, ha permesso l'instaurazione di un potere planetario. Ma la fine del comunismo ha anche significato la fine della democrazia, la nostra epoca, oggi, non è solo post-comunista, ma è anche post-democratica. Noi oggi assistiamo all'instaurazione di un totalitarismo democratico, o se preferite all'instaurazione della democrazia totalitaria.


Non è un po' assurdo?


Per niente. La democrazia sottintende il pluralismo e il pluralismo suppone l'opposizione di almeno due forze più o meno pari. Forze che si combattono ma che allo stesso tempo si influenzano a vicenda; c'era al tempo della guerra fredda, una democrazia mondiale, un pluralismo globale in seno al quale coabitavano e coesistevano il sistema capitalista e il sistema comunista, e pure una struttura più o meno viva come quella dei paesi non allineati. Il totalitarismo comunista era sensibile alle critiche che venivano dall'Occidente, il quale subiva allo stesso tempo l'influenza del comunismo attraverso l'esistenza dei partiti comunisti. Oggi noi viviamo in un mondo dominato da un'unica ideologia, portata avanti dal partito unico mondialista, un fatto unico. La creazione di quest’ultimo è cominciata all'epoca della guerra fredda, quando delle strutture transnazionali si sono messe all'opera nelle forme più diverse: media, società bancarie, società commerciali… Nonostante i loro differenti settori di attività queste forze erano unite dalla loro natura sovranazionale. Con la caduta del comunismo, esse si sono ritrovate al comando del mondo. I paesi occidentali sono dunque dominatori, ma anche dominati perché perdono progressivamente la loro sovranità a favore di quella che io chiamo la "sovra-società" (supra-société).
Essa è costituita da imprese commerciali e non commerciali con una zona d'influenza che supera le nazioni. I paesi occidentali sono sottomessi come gli altri al controllo di queste strutture non nazionali… Ora la sovranità nazionale è una parte considerabile e costituente del pluralismo, dunque della democrazia in tutto il pianeta. L'integrazione europea che si svolge sotto i nostri occhi sta provocando la scomparsa del pluralismo in questo conglomerato, a favore di un potere sovranazionale.


Ma voi non pensate che la Francia o la Germania continueranno ad essere dei paesi democratici?


I paesi occidentali hanno conosciuto una vera democrazia all'epoca della guerra fredda. I partiti politici avevano delle vere differenze ideologiche e dei programmi politici diversi. Gli organi di stampa avevano anche loro delle marcate differenze. Tutto questo influenzava la vita delle persone, contribuiva al loro benessere. Ora è tutto finito. Perché il capitalismo democratico e prospero, quello delle leggi sociali e delle garanzie sul lavoro, doveva molto alla minaccia comunista. Il grande attacco ai diritti sociali nell'Ovest è cominciato con la caduta del comunismo all'Est. Oggi i socialisti al potere nella maggior parte dei paesi europei svolgono una politica di smantellamento sociale di tutto ciò che c'era di giustamente socialista nei paesi capitalisti. Non esistono più in Occidente delle forze politiche capaci di difendere gli umili. L'esistenza dei partiti politici è puramente formale. Le loro differenze spariscono ogni giorno. […] La democrazia tende a sparire dall'organizzazione sociale occidentale. Questa super-struttura non democratica dà gli ordini, sanziona, bombarda e affama. Anche Clinton si conforma ad essa. Il totalitarismo finanziario ha sottomesso i poteri politici. Il totalitarismo finanziario è freddo. Non conosce né la pietà né i sentimenti. Le dittature politiche fanno pena a confronto di questo totalitarismo. Una certa resistenza era possibile anche nelle più dure dittature, nessuna rivolta è possibile contro una banca.


E la rivoluzione?


Il totalitarismo democratico e la dittatura finanziaria escludono la rivolta sociale.


Perché?


Perché riescono ad unire la più potente brutalità militare e lo strangolamento finanziario planetario. Tutte le rivoluzioni hanno beneficiato del sostegno venuto dall'esterno, oggi è ormai impossibile vista l'assenza di paesi sovrani. In più la classe operaia è stata rimpiazzata dalla classe dei disoccupati, che sta in basso nella scala sociale. Ora che vuole un disoccupato? Un lavoro. Essi sono in una situazione di debolezza, contrariamente alla classe operaia del passato.


Tutti i sistemi occidentali avevano un'ideologia. Quale è oggi l'ideologia di questa nuova società che voi chiamate post-democratica?


Viviamo in un'epoca post-ideologica e in realtà la sovra-ideologia del mondo occidentale diffusa nel corso degli ultimi vent'anni è molto più forte dell'ideologia comunista o nazionalsocialista. Il cittadino occidentale è molto più inebetito di quanto non lo fosse il cittadino medio sovietico sotto la propaganda comunista. Nel campo ideologico l'idea conta meno che i meccanismi della sua diffusione. Ora la potenza della diffusione dei media occidentali è enorme. […] Basta che la decisione sia presa per stigmatizzare un Karadzic o un Milosevic e via, una macchina di propaganda planetaria si mette in marcia. Quando bisognerebbe giudicare i dirigenti occidentali per la violazione di tutte le regole dei diritti esistenti….. La maggioranza dei cittadini occidentali è persuasa che la guerra contro la Serbia sia giusta. […] L'ideologia occidentale combina e fa convergere le idee in funzione dei suoi bisogni. Una di queste idee è che i valori e gli stili di vita occidentali sono superiori agli altri. Cercate di convincere un americano medio che la Russia sta morendo, non ci crederanno e continueranno ad affermare che i valori occidentali sono universali, applicando quindi uno dei vecchi principi del dogmatismo ideologico. I teorici, i media, i dirigenti sono persuasi di avere ragione e che l'uomo occidentale, portatore di questi valori, è un nuovo superuomo.


Quale è l'idea madre di questa ideologia dominante in Occidente?


È il mondialismo, la globalizzazione anche detta dominazione mondiale. E siccome questa idea è molto antipatica viene camuffata sotto il discorso più vago e generico di unificazione planetaria e di unificazione in un mondo integrato. È la vecchia maschera sovietica della "amicizia fra i popoli", destinata a coprire l'espansionismo. In realtà, attualmente l'Occidente procede a un cambiamento della struttura su scala planetaria. Da un lato domina il mondo dalla testa ai piedi, dall'altro si organizza esso stesso in maniera verticale con un potere sovranazionale in cima alla piramide.


Un governo mondiale?


Se volete, sì, è così.


Questo non è essere un po' vittima della teoria del complotto?


Ma quale complotto? Non c'è nessun complotto. Il governo mondiale è diretto dai governanti delle strutture sovranazionali, commerciali, finanziarie e da altre conosciute da tutti. Secondo i miei calcoli più o meno 50 milioni di persone fanno già parte di questa sovra-società che dirige il mondo. Gli Stati Uniti ne sono la metropoli. I paesi dell'Europa occidentale e certi draghi asiatici la base. Gli altri sono dominati attraverso una dura "gradazione" economico-finanziaria. Questa è la realtà. La propaganda dice che un governo mondiale, controllato da un parlamento mondiale sarebbe augurabile e che il mondo è una grande fratellanza. Questi non sono che dei nonsensi destinati alla popolazione. I totalitarismi del ventesimo secolo sono stati estremamente violenti. Non si può dire lo stesso della democrazia occidentale. Non sono i metodi ma i risultati che contano. I russi hanno perso venti milioni di persone e hanno avuto delle consistenti distruzioni combattendo la Germania nazista. Dopo la guerra fredda, senza bombe né cannoni, le sue perdite sono state su tutti i piani molto più consistenti: perdita di dieci anni nella speranza di vita, la mortalità infantile è catastrofica, due milioni di bambini non dormono a casa, cinque milioni di bambini in età di studio non vanno a scuola. Ci sono 12 milioni di tossicodipendenti recensiti. L'alcolismo è diffuso. Il 70% dei giovani non sono arruolabili al sevizio militare a causa del loro stato fisico. Sono queste le conseguenze dirette della sconfitta della guerra fredda, sconfitta seguita dall'occidentalizzazione. Se ciò continua la popolazione del paese scenderà a 50 milioni di abitanti, il totalitarismo democratico sorpasserà in violenza tutto quello che lo ha preceduto.


In violenza?


La droga, la malnutrizione, l'AIDS sono più efficaci della violenza della guerra. L'Occidente ha inventato la guerra pacifica. L'Iraq e la Jugoslavia sono due esempi di risposta sproporzionata e di punizione collettiva, che l'apparato di propaganda incarica di camuffare come guerre giuste. L'esercizio della violenza delle vittime contro se stesse è una tecnica precisa. La controrivoluzione russa del 1985 (salita al potere di Gorbaciov nel 1985 e conseguente Perestrojka, NdT) ne è un esempio. Ma facendo la guerra alla Jugoslavia, i paesi dell'Europa occidentale se la sono fatta a se stessi.


Secondo voi la guerra contro la Serbia è stata una guerra contro l'Europa?


Assolutamente! Esistono in seno all'Europa delle forze capaci di agire contro l'Europa stessa. La Serbia è stata scelta perché essa resisteva al rullo compressore mondialista. La Russia può benissimo essere la prossima, prima della Cina.


Non pensate che gli uomini e le donne possano avere delle opinioni, votare e sanzionare con il voto?


Prima di tutto la gente già vota poco e continuerà a votare sempre di meno. Quanto all'opinione pubblica occidentale, essa è ormai condizionata dai media. Basta vedere l'approvazione di massa alla guerra in Kosovo. Dunque provate a pensare alla guerra di Spagna! I volontari arrivavano dal mondo intero per combattere da una parte come dall'altra. Vi ricordate della guerra in Vietnam? La gente è ormai così condizionata che non reagisce più se non nel senso voluto dall'apparato di propaganda.


L'URSS e la Jugoslavia erano i paesi più multietnici al mondo e pertanto sono stati distrutti. Voi vedete un legame fra la distruzione di paesi multietnici da un lato e la propaganda per la multietnicità dall'altro?


Il totalitarismo sovietico aveva creato una vera società multinazionale e multietnica. Sono le democrazie occidentali che hanno fatto degli sforzi disumani di propaganda, all'epoca della guerra fredda, per risvegliare i nazionalismi. Perché essi vedevano nella dissoluzione dell'URSS il miglior modo di distruggerla. Lo stesso meccanismo ha funzionato in Jugoslavia. La Germania ha sempre voluto la morte della Jugoslavia. Unita, essa avrebbe potuto essere molto più difficile da vincere. Il sistema occidentale consiste nel dividere per poter meglio imporre la propria legge a tutte le parti allo stesso tempo ed ergersi a giudice supremo. Non ci sono ragioni perché non possa essere applicato anche in Cina. Essa potrebbe essere divisa in decine di Stati.


Voi dite che la democrazia totalitaria è colonizzatrice. Per Marx, la colonizzazione era civilizzatrice, perché non lo potrebbe essere anche lei?


Perché no in effetti? Ma non per tutto il mondo. Guardate il contributo dei russi! L'Occidente diffidava meno della potenza militare sovietica che del suo potenziale intellettuale, artistico e sportivo. Perché vedeva in esso una straordinaria vitalità. Ora questa è la prima cosa da distruggere nell'avversario. Ed è quello che è stato fatto. La scienza russa oggi dipende dai finanziamenti americani. E si trova in uno stato pietoso, perché questi ultimi non hanno alcun interesse a far lavorare i loro concorrenti. Preferiscono farli lavorare negli Stati Uniti. Il cinema sovietico è stato esso stesso distrutto e rimpiazzato dal cinema americano. Nella letteratura è la stessa cosa. La dominazione mondiale si esprime prima di tutto per i diktat intellettuali o culturali, se preferite. Ecco perché gli americani sono impegnati da decenni a far abbassare il livello culturale e intellettuale del mondo: vogliono sottometterlo al loro potere per poter esercitare i loro diktat.


Ma questa dominazione non sarebbe un bene per l'umanità?


Quelli che vivranno fra dieci generazioni potranno effettivamente dire se le cose sono state fatte per il bene dell'umanità, per il loro stesso bene. Ma cosa ne è dei francesi o dei russi oggi? Possiamo gioire sapendo che il loro avvenire è quello degli indiani d'America? Il termine "umanità" è un'astrazione… Nella vita reale ci sono i russi, i cinesi, i francesi, i serbi, eccetera. Ora se le cose continuano come sono iniziate, i popoli che hanno fatto la nostra civilizzazione, e penso essenzialmente ai popoli latini, scompariranno. L'Europa occidentale è sommersa da una marea di stranieri e non è un caso. Non ne abbiamo ancora parlato ma questo non è stato il frutto del caso né il frutto di un movimento incontrollabile. Lo scopo è quello di creare una situazione simile a quella degli Stati Uniti. Sapere che l'umanità diventerà felice ma senza i francesi non dovrebbe rallegrare i francesi di oggi. Dopo tutto lasciare sulla nostra terra un numero limitato di gente che vivrebbe come in un paradiso potrebbe essere un progetto razionale. Essi penserebbero sicuramente che la felicità è il risultato del divenire storico. No, non è la vita che noi viviamo oggi.


Il sistema sovietico era inefficace. Le società totalitarie sono condannate all'inefficacia?


Cos'è l'inefficacia? Negli Stati Uniti le somme spese per dimagrire superano il budget della Russia e pertanto il numero degli obesi aumenta. E ci sono decine di esempi in questo senso.


Possiamo dire che l'Occidente vive attualmente una radicalizzazione che porta i germi della sua propria distruzione?


Il nazismo è stato distrutto in una guerra totale. Il sistema sovietico era giovane e vigoroso. Avrebbe continuato a vivere se non fosse stato combattuto dall'esterno. I sistemi sociali non si autodistruggono. Solo una forza esteriore può sconfiggere un sistema sociale, come solo un ostacolo può impedire a una palla di rotolare. Lo potrei dimostrare come si dimostra un teorema. Attualmente siamo stati sopraffatti da un paese che dispone di una superiorità economica e militare schiacciante. Il nuovo ordine mondiale vuole essere unipolare. Se il governo sovranazionale dovesse arrivare, senza avere alcun nemico esterno, tale sistema potrebbe esistere fino alla fine dei tempi. Un uomo solo potrebbe essere distrutto dalle sue proprie malattie. Ma un gruppo anche ristretto avrebbe la tendenza a sopravvivere, non fosse altro che per la riproduzione. Immaginatevi un sistema sociale composto da miliardi di individui!!! Le sue possibilità di far deperire e arrestare i fenomeni distruttori sarebbero infiniti. Il processo di uniformazione del mondo non può essere arrestato nell'avvenire prevedibile. Perché il totalitarismo democratico è l'ultima fase dell'evoluzione della società occidentale. Evoluzione incominciata con il Rinascimento.


Questa analisi è eccezionale, fatta 17 anni fa sembra scritta ieri: ci fa capire quanto sia stata grande e lo sia ancora la manipolazione che abbiamo subito e stiamo subendo.
Se non ci sveglia rapidamente sarà finita.
erding
Messaggi: 1188
Iscritto il: 21/02/2012, 22:55

Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da erding »

Grazie della segnalazione Camillo!
Una interessante "parabola" che sa, in modo semplice ed efficace,
spiegare i meccanismi essenziali della speculazione e... non solo.
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da camillobenso »

Si, è così, caro Maucat.

Questa analisi è eccezionale, fatta 17 anni fa sembra scritta ieri: ci fa capire quanto sia stata grande e lo sia ancora la manipolazione che abbiamo subito e stiamo subendo.
Se non ci sveglia rapidamente sarà finita.



La domanda quindi la rivolgo non solo a chi scrive abitualmente, ma anche a chi legge abitualmente.

Fatevi coraggio, tirate fuori delle idee perché Maucat ha ragione:

Se non ci si sveglia rapidamente sarà finita.
lilly
Messaggi: 317
Iscritto il: 02/03/2015, 18:13

Re: POSTDEMOCRAZIA

Messaggio da lilly »

Il contrasto tra liberalismo e democrazia per la competizione elettorale è apparente.Infatti tutti devono avere gli stessi nastri partenza poi ci sarà chi è più bravo e chi meno.Questo impone un limite alle donazioni perche se non ci fosse il limite il partito diventerebbe un partito padronale in mano alle lobbies.Poi tutti devono avere gli stessi spazi in tv e chi non può pagarsi la campagna elettorale dovrebbe essere sovvenzionato.Per ex in uk ancora esiste il finanziamento pubblico che dovrebbe essere trasparente e certificato,entrate ,uscite,utilizzi
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