La Terza Guerra Mondiale

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camillobenso
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18 aprile 2016 | di Andrea Paolini
Siria, l’orrore della guerra in diretta: cronista ferito al volto durante un attacco aereo

Un reporter della tv siriana Orient News, Ebrahim al-Khateebè, stato raggiunto al volto da un frammento di un missile durante un‘incursione aerea nel nord della Siria. L’episodio giovedì scorso è accaduto ad Handarat dove il cronista aveva appena terminato un servizio. Khateeb è stato subito soccorso dai suoi colleghi e condotto in ospedale


VIDEO

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/04/ ... eo/508942/
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Gerusalemme, esplosione su un bus: almeno 15 feriti, due gravi


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2649031/
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L'INDIFFERENZA



Che differenza esiste tra noi e i tedeschi che vedevano uscire il fumo dai campi di sterminio nazisti?


La stessa indifferenza la registriamo noi dopo la notizia di oggi sui 400 morti dal capovolgimento dei gommoni.

Loro dicevano: MA TANTO IN FONDO SONO EBREI, NON SONO COME NOI, DI RAZZA PURA ARIANA.

Noi : MA TANTO SONO NERI E PURE MUSSULMANI.
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Terrorismo, Bild: “Spiagge italiane a rischio attentati”. Ma i servizi italiani smentiscono
Cronaca
Il quotidiano tedesco cita un rapporto dei nostri 007 e di quelli tedeschi secondo cui il nuovo obiettivo sono le coste di Italia, Spagna e Francia del sud. "Gli islamisti potrebbero colpire vestiti da ambulanti", scrive il tabloid
di F. Q. | 19 aprile 2016
COMMENTI (240)



“Terrorismo pianificato sulle nostre spiagge!”. Il titolo di apertura della Bild, il tabloid tedesco più venduto in Germania, lancia l’allarme sulle spiagge europee. Secondo il giornale, che cita i servizi segreti italiani in contatto con quelli tedeschi del Bnd, gli islamisti dell’Isis possono farsi esplodere sul bagnasciuga “travestiti da venditori ambulanti” di gelati o magliette. Obiettivi: le spiagge di Italia, Spagna e Francia del sud. Ma a smentire quanto pubblicato sono i nostri 007 che valutano la notizia come “destituita di fondamento” e sottolineano di non aver inviato alcuna informazione in merito alla possibilità che si verifichi l’ipotesi descritta dal quotidiano.

Secondo la Bild, il “piano concreto” di attacco prevede spari sulla folla dei bagnanti con armi automatiche, attacchi suicidi ed esplosivi nascosti sotto la sabbia. E le spiagge sono obiettivi relativamente facili, viste le difficoltà finanziaria e sul terreno in Iraq e Siria. “Potrebbe darsi che in questo modo l’Isis concepisca una nuova dimensione di terrore. Le spiagge non possono essere protette”, dice un alto funzionario della sicurezza tedesca. La minaccia, continua il quotidiano, verrebbe da Boko Haram, gruppo terrorista nigeriano alleato dell’autoproclamato Stato Islamico. I potenziali terroristi sarebbero persone che vengono dall’Africa con visti e documenti regolari, non i migranti sui barconi. Secondo Seck Pouye, capo della polizia della città senegalese di Saly, “questa gente viaggia regolarmente verso l’Italia e altri luoghi con visto e documenti. Non sono illegali perché sono considerati uomini d’affari e commercianti. Questo li rende pericolosi”.

Il modello dell’attacco terroristico in spiaggia non è nuovo, visto che l’Isis ha già colpito altri luoghi di villeggiatura. Dall’attentato in Tunisia, a Sousse, l’anno scorso – costato la vita a 38 turisti -, a quelli di qualche mese fa in Burkina Faso e Costa d’Avorio. In quest’ultimo caso ad avere rivendicato l’attentato era stato il gruppo di Al Qaeda per il Maghreb.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2650828/
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L'ORA X E' SCATTATA????



Libia, governo Al Sarraj chiede all’Onu “aiuti per proteggere” pozzi petroliferi
Mondo
di F. Q. | 25 aprile 2016
COMMENTI
Più informazioni su: Guerra in Libia, Libia, ONU
“Aiuti per proteggere” le risorse petrolifere del Paese. E’ la prima richiesta di aiuto ufficialmente avanzata dal Consiglio presidenziale libico guidato da Fayez al Sarraj all’Onu, ai Paesi europei e quelli africani confinanti. In un comunicato, il Consiglio esprime profonda preoccupazione per gli avvertimenti ricevuti dalla Compagnia Nazionale Petrolifera (Noc) e dai rapporti delle forze di sicurezza su possibili attacchi a installazioni petrolifere, anche marittime.

Due giorni fa l’Isis ha lanciato una nuova offensiva nei pressi dei pozzi di Brega: i miliziani avrebbero preso il controllo del cosiddetto ‘checkpoint 52‘, a sud dell’importante porto petrolifero, nel golfo della Sirte. I guardiani dei vicini pozzi hanno respinto l’attacco durante violenti scontri che – secondo fonti locali – hanno provocato un morto e sei feriti tra gli stessi guardiani.

Questa mattina, hanno fatto sapere fonti di Palazzo Chigi, Al Sarraj ha avuto una conversazione telefonica con Matteo Renzi. Al centro del colloquio la situazione nel Paese, alla vigilia della riunione ‘Quint’ di oggi nel castello di Herrenhausen, ad Hannover. Nella città tedesca, nel pomeriggio Renzi vedrà il presidente degli Usa Barack Obama, la cancelliera Angela Merkel, il presidente della Francia François Hollande, il premier britannico David Cameron.

In un’intervista a La Repubblica, il presidente del Consiglio ha ribadito la linea tenuta dal governo italiano negli ultimi mesi: in Libia “interverremo solo se il governo Sarraj chiederà a noi e al resto della comunità internazionale un sostegno”. “E solo insieme alla comunità internazionale – aggiunge il premier – pronti a un ruolo forte, ma niente avventure”.

Secondo il Daily Mail, commando britannici “si preparano” a lanciare entro alcune settimane un attacco contro i gruppi affiliati allo Stato Islamico che controllano Sirte. Il tabloid precisa che le forze speciali Gb si uniranno a quelle francesi e americane. I militari britannici verranno impiegati simultaneamente anche nell’operazione per riconquistare Mosul, la ‘capitale’ del Califfato in Iraq. Sabato il ministro degli Esteri britannico, Philip Hammond, aveva dichiarato al The Telegraph di non per “escludere” la necessità di truppe in futuro per combattere i terroristi che controllano un tratto di costa mediterranea della Libia.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... i/2669299/
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Libia, blindati a Tobruk inviati da Egitto ed Emirati. In violazione dell’embargo Onu. E il Paese è sempre più diviso in due
Mondo
I mezzi sbarcati sabato al porto di Tobruk sono pick-up blindati Toyota Hilux e blindo da combattimento Panthera T6, entrambi prodotti da due aziende specializzate di Dubai, la Minerva Special Purpose Vehicles e la Ares Security Vehicles e, su licenza, da un’azienda egiziana, la Eagles International Vehicles
di Enrico Piovesana | 25 aprile 2016
COMMENTI (3)


Dietro la fornitura di blindati per l’esercito libico del generale Khalifa Haftar ci sono i suoi storici alleati, Emirati Arabi ed Egitto. I mezzi sbarcati sabato al porto di Tobruk sono pick-up blindati Toyota Hilux e blindo da combattimento Panthera T6, entrambi prodotti da due aziende specializzate di Dubai, la Minerva Special Purpose Vehicles e la Ares Security Vehicles e, su licenza, da un’azienda egiziana, la Eagles International Vehicles.

Questa fornitura, in violazione all’embargo internazionale che impedisce la vendita di armi alla Libia, agevolerà l’avanzata del generale Khalifa Haftar contro l’Isis in Cirenaica e verso Sirte, approfondendo pericolosamente la spaccatura in due della Libia: da una parte il governo di Fayez Al Serraj a Tripoli, sostenuto da Italia, Turchia, Stati Uniti e Nazioni Unite (e internamente dai salafiti di Abdelhakim Belhadj e dalla Fratellanza Musulmana del gran muftì Sadiq Al Ghariani) che sabato, riferisce l’agenzia Lana, si è riunito per la prima volta nella sede del Congresso sciolto nelle scorse settimane; dall’altra, a Tobruk, l’esercito di Haftar che continua a non riconosce il nuovo governo di unità nazionale e ad avanzare militarmente grazie al sostegno di Emirati, Egitto, Francia – che partecipa direttamente alle operazioni con le sue forze speciali basate a Benina – e Gran Bretagna, presente con i suoi commando dello Special Air Service.



Secondo il Daily Mail, commando britannici “si preparano” a lanciare entro alcune settimane un attacco contro l’Isis a Sirte. Il quotidiano precisa che le forze speciali Gb si uniranno a quelle francesi e americane e che l’attacco verrà coordinato dai commando Sbs, le forze speciali della Marina britannica. I militari identificheranno gli obiettivi che verranno colpiti dai droni Predator e dagli F-15 Strike Eagle.

Le mire egiziane, e francesi, sui pozzi petroliferi della Cirenaica non sono un mistero, ma il rischio è che lo scontro si estenda alla Tripolitania e ai suoi giacimenti, controllati dall’Eni e protetti dalle Guardie degli Impianti Petroliferi. Una situazione che rischia di spaccare in due non solo la Libia, ma la stessa comunità internazionale. Sullo sfondo la Russia di Vladimir Putin, silenziosamente schierata con l’Egitto e quindi con le milizie del generale Haftar.

Per l’Italia, che continua a proporsi come capofila di un’intervento militare in Libia a sostegno del governo di Tripoli, si profila uno scenario molto difficile, aggravato dalla crisi con l’Egitto per il caso Regeni e dalla sempre più stretta alleanza tra il presidente francese François Hollande e il presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi.

di Enrico Piovesana | 25 aprile 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... 2/2669506/
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DEPURATE LA PARTE DELLA SOLITA RETORICA E PROPAGANDA. MA ALLA FINE LA NOTIZIA DI GIORNATA ESISTE.




Pronti alla guerra in Libia Italia in trincea (tra i dubbi)

Tripoli chiede aiuto per salvare il petrolio e l'intervento è ormai vicino Parigi e Londra pensano ai loro interessi. Noi ci terremo gli immigrati


Gian Micalessin - Mar, 26/04/2016 - 08:09


http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 50901.html
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CON TUTTA L'ESPERIENZA ACCUMULATA IN ANNI DI ATTIVITA' NEL CAMPO DELLO SPIONAGGIO E DEL CONTROSPIONAGGIO, E' POSSIBILE CHE LE NAZIONI OCCIDENTALI NON SIANO ALL'ALTEZZA DI QUESTO COMPITO?????

SE POI I MEDIA HANNO IL COMPITO DI TERRORIZZARE LE NAZIONI, E' UN'ALTRO PAIO DI MANICHE.

SE POI IL PROCURATORE CAPO DI REGGIO CALABRIA, DE RAO, DICHIARA ALL'UNIVERSITA' MEDITERRANEA, NEL 2015, DAVANTI AL SOTTOSEGRETARIO MARCO MINNITI CON DELEGA AI SERVIZI SEGRETI, CHE LA 'NDRANGHETA, NELLE CAMPAGNE CALABRESI DA SUPPORTO LOGISTICO ALL'ISIS, IN CAMBIO DI ARMI E DROGA, E DA ALLORA NON E' SUCCESSO NULLA, COSA DOBBIAMO PENSARE?????




"Cellule clandestine dell'Isis in Germania, Inghilterra e Italia"
Il direttore della National Intelligence americana, James R. Clapper, lancia l'allarme



Luca Romano - Mar, 26/04/2016 - 11:28
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Lo Stato Islamico ha cellule terroristiche clandestine in Gran Bretagna, Germania e Italia, analoghe ai gruppi che hanno condotto gli attentati di Parigi e Bruxelles.


A lanciare l'allarme, si legge sul New York Times, è stato il direttore della National Intelligence americana, James R. Clapper. Alla domanda se l'Isis sia impegnato in attività clandestine in quei paesi, Clapper ha risposto affermativamente, sottolineando come questo sia oggetto di preoccupazione "per noi e per i nostri alleati europei".

"Continuiamo a riscontrare prove di complotti da parte dell'Is nei paesi che avete nominato". Clapper - intervenuto nel corso di una colazione di lavoro con un gruppo di giornalisti organizzato da The Christian Science Monitor - è uno dei funzionari occidentali di più alto grado a riconoscere pubblicamente l'estesa portata della presenza dell'Is in Europa, oggetto di crescenti timori per i servizi di intelligence e per gli strateghi americani ed europei. Gli esperti occidentali sottolineano naturalmente di non essere in grado di prevedere il posto in cui potrebbe aver luogo un prossimo attacco. Indicazioni analoghe a quelle rese pubbliche da Clapper arrivano anche dai funzionari dell'antiterrorismo in Europa, che affermano di avere informazioni provenienti da molteplici fonti secondo cui Gran Bretagna Germania ed Italia e forse altri paesi sarebbero nel mirino delle reti europee dell'Is. L'informazione arriva intanto dallo stesso Stato Islamico, che spesso segnala le proprie intenzioni con minacce, quindi da sospetti o da intercettazioni telefoniche e di email. Secondo Claude Moniquet, ex funzionario dell'intelligence francese che segue da vicino le vicende di terrorismo, britannici e tedeschi sono particolarmente preoccupati dal rischio di un attacco. Lo stesso può dirsi anche per francesi e belgi.

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/cel ... 51004.html
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"I nostri pozzi in Libia? Per difenderli servono 15mila soldati"
Il generale Carlo Jean: "Ma l'intervento è lontano, il G5 è diviso: francesi e inglesi hanno obiettivi diversi dai nostri"


Giuseppe Marino - Mer, 27/04/2016 - 08:33
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«Per difendere davvero impianti di estrazione petrolifera e oleodotti in Libia ci vorrebbero 50.000 uomini, l'Italia potrebbe contribuire fino a 15.000».


Mentre sui giornali si rincorrono ipotesi e smentite sul numero di soldati che l'Italia potrebbe impegnare (ballano cifre ben più basse, da 50 a 900), il generale Carlo Jean spazza via le tante illazioni delle ultime ore e ci riporta con i piedi per terra. Quella terra che, secondo l'esperto di strategia e geopolitica, gli stivali dei nostri soldati non toccheranno presto.

Generale, dopo i colloqui del G5 di Hannover l'intervento militare è più vicino?

«A me pare che in quel summit si siano fatte più chiacchiere che altro, la situazione della Libia continua a essere assai complessa e la comunità internazionale è divisa».

Eppure dal G5 sarebbe emersa la disponibilità a rispondere all'appello del leader libico Fayez al Serraj.

«Per l'Italia, la cui strategia diplomatica è particolarmente attenta ai formalismi, ci vorrebbe prima una richiesta ufficiale di intervento all'Onu da parte del governo libico. Che però non è ancora pienamente legittimato. Senza contare che potrebbe volerci anche un'altra pronuncia del Consiglio di sicurezza Onu, visto che la Russia ha sottolineato che la mozione contro l'Isis riguarda solo Iraq e Siria e non la Libia. Altri Paesi, che invece intervengono a difendere i propri interessi senza badare ai cavilli, potrebbero anche muoversi fuori dal quadro Onu. Ma al momento è difficile, anche perché dietro l'apparente unità ogni Paese ha un'agenda diversa».

Gli interessi dell'Italia non coincidono con quelli dei partner?

«L'obiettivo dell'Italia è stabilizzare la Libia e porre sotto controllo il tratto di costa che va da Tripoli alla Tunisia, quello in cui si concentra l'ondata di partenze dei migranti. Ci preoccupano di più le bande criminali che gestiscono il traffico che l'Isis. Alla Francia interessa la zona petrolifera dell'est in cui operano le proprie compagnie insieme alla spagnola Repsol e rafforzare il legame con il governo egiziano, anche gli inglesi hanno i loro interessi in altri campi petroliferi. Gli arabi hanno appena mandato mille pickup al generale Haftar. L'Italia può appoggiarsi solo agli americani, gli unici che, per loro convenienza, potrebbero sostenere un nostro ruolo nel Mediterraneo».

Sono circolate ipotesi sul numero di uomini che l'Italia potrebbe mobilitare per soccorrere Serraj, nell'ordine di poche centinaia.

«Sul campo ci sono già forze speciali, compresi gli incursori della Marina. Ma un vero intervento per difendere le infrastrutture petrolifere è un'altra cosa. Attualmente i libici hanno un corpo apposito di 27.000 uomini, le Petroleum facilities guard, e non bastano, anche perché non sembrano essere particolarmente pronte alla battaglia. Ci vorranno almeno 50.000 uomini. Il contingente di cui si è parlato al massimo può servire a proteggere le strutture dell'Onu. Il cui inviato, Martin Kobler, continua del resto a essere contrario all'intervento».

Che rischi politici ci sono?

«Serraj è sostenuto dalla Banca centrale libica e dalla compagnia petrolifera nazionale ma deve convincere le tante milizie in lotta tra loro a cedere parte del loro potere in cambio di qualcosa. Un intervento esterno potrebbe farlo apparire come un burattino manovrato dagli stranieri. E poi bisogna stare attenti agli equilibri: indebolire una milizia, incluso l'Isis, significa favorirne un'altra. Meglio che non si intervenga finché la comunità internazionale non avrà una visione comune per la Libia».
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"I nostri pozzi in Libia? Per difenderli servono 15mila soldati"
Il generale Carlo Jean: "Ma l'intervento è lontano, il G5 è diviso: francesi e inglesi hanno obiettivi diversi dai nostri"


Giuseppe Marino - Mer, 27/04/2016 - 08:33
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«Per difendere davvero impianti di estrazione petrolifera e oleodotti in Libia ci vorrebbero 50.000 uomini, l'Italia potrebbe contribuire fino a 15.000».


Mentre sui giornali si rincorrono ipotesi e smentite sul numero di soldati che l'Italia potrebbe impegnare (ballano cifre ben più basse, da 50 a 900), il generale Carlo Jean spazza via le tante illazioni delle ultime ore e ci riporta con i piedi per terra. Quella terra che, secondo l'esperto di strategia e geopolitica, gli stivali dei nostri soldati non toccheranno presto.

Generale, dopo i colloqui del G5 di Hannover l'intervento militare è più vicino?

«A me pare che in quel summit si siano fatte più chiacchiere che altro, la situazione della Libia continua a essere assai complessa e la comunità internazionale è divisa».

Eppure dal G5 sarebbe emersa la disponibilità a rispondere all'appello del leader libico Fayez al Serraj.

«Per l'Italia, la cui strategia diplomatica è particolarmente attenta ai formalismi, ci vorrebbe prima una richiesta ufficiale di intervento all'Onu da parte del governo libico. Che però non è ancora pienamente legittimato. Senza contare che potrebbe volerci anche un'altra pronuncia del Consiglio di sicurezza Onu, visto che la Russia ha sottolineato che la mozione contro l'Isis riguarda solo Iraq e Siria e non la Libia. Altri Paesi, che invece intervengono a difendere i propri interessi senza badare ai cavilli, potrebbero anche muoversi fuori dal quadro Onu. Ma al momento è difficile, anche perché dietro l'apparente unità ogni Paese ha un'agenda diversa».

Gli interessi dell'Italia non coincidono con quelli dei partner?

«L'obiettivo dell'Italia è stabilizzare la Libia e porre sotto controllo il tratto di costa che va da Tripoli alla Tunisia, quello in cui si concentra l'ondata di partenze dei migranti. Ci preoccupano di più le bande criminali che gestiscono il traffico che l'Isis. Alla Francia interessa la zona petrolifera dell'est in cui operano le proprie compagnie insieme alla spagnola Repsol e rafforzare il legame con il governo egiziano, anche gli inglesi hanno i loro interessi in altri campi petroliferi. Gli arabi hanno appena mandato mille pickup al generale Haftar. L'Italia può appoggiarsi solo agli americani, gli unici che, per loro convenienza, potrebbero sostenere un nostro ruolo nel Mediterraneo».

Sono circolate ipotesi sul numero di uomini che l'Italia potrebbe mobilitare per soccorrere Serraj, nell'ordine di poche centinaia.

«Sul campo ci sono già forze speciali, compresi gli incursori della Marina. Ma un vero intervento per difendere le infrastrutture petrolifere è un'altra cosa. Attualmente i libici hanno un corpo apposito di 27.000 uomini, le Petroleum facilities guard, e non bastano, anche perché non sembrano essere particolarmente pronte alla battaglia. Ci vorranno almeno 50.000 uomini. Il contingente di cui si è parlato al massimo può servire a proteggere le strutture dell'Onu. Il cui inviato, Martin Kobler, continua del resto a essere contrario all'intervento».

Che rischi politici ci sono?

«Serraj è sostenuto dalla Banca centrale libica e dalla compagnia petrolifera nazionale ma deve convincere le tante milizie in lotta tra loro a cedere parte del loro potere in cambio di qualcosa. Un intervento esterno potrebbe farlo apparire come un burattino manovrato dagli stranieri. E poi bisogna stare attenti agli equilibri: indebolire una milizia, incluso l'Isis, significa favorirne un'altra. Meglio che non si intervenga finché la comunità internazionale non avrà una visione comune per la Libia».
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