MOVIMENTO 5 STELLE

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aaaa42
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da aaaa42 »

questo articolo dimostra quanto e profonda la crisi delle politica e la crisi purtroppo della sinistra italiana.
studiate il fondatore delle società a partecipare pubblica pasquale saraceno .
l analisi di bilancio deve partire dai fondi di dotazione, da come sono finanziati fondi di rotazione e dai parametri di efficienza al netto dei fondi di dotazione.
altrimenti si scrivono analisi senza senso .
camillobenso
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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IL PUNTO DI VISTA DI SCANZI.



M5s: non hanno sbagliato Nogarin o Pizzarotti, ma Di Maio
Politica
di Andrea Scanzi | 13 maggio 2016
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Andrea Scanzi
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Capisco che la cosa imbarazzi e ferisca i 5 Stelle, ma l’errore non lo hanno fatto (al momento) Nogarin o Pizzarotti: lo ha fatto Di Maio. Perché Pizzarotti dovrebbe dimettersi? Al momento (e sottolineo al momento) il suo avviso di garanzia per abuso d’ufficio è effettivamente, come lui stesso ha detto, “un atto dovuto”. Pizzarotti è indagato in merito alle nomine del direttore generale e di un consulente del Teatro Regio. Con lui sono indagati l’assessora alla Cultura (Laura Ferraris) e tre membri del CdA del Teatro Regio. Le due nomine furono decise al di fuori del bando pubblico perché, al termine della “ricognizione esplorativa” (cioè il bando), nessuno dei trenta candidati parve avere i requisiti necessari. Così fu deciso, da Pizzarotti e dai quattro indagati, di prendere due dirigenti fuori dalla rosa.


L’indagine nasce da un esposto in Procura presentato dal senatore Pd Giorgio Pagliari. Questo esposto ha aperto un’indagine. Ne consegue che Pizzarotti sia indagato come risultato di un “atto dovuto”. Né più né meno. Se si dimettesse sarebbe un imbecille, e Pizzarotti imbecille non è. Vale per ora sostanzialmente lo stesso per Nogarin, indagato a seguito (pure qui) di un normale atto amministrativo (ha assunto precari alla nettezza urbana di Livorno). Chi fa cadere su di loro le colpe dei disastri immani commessi da decenni di governi orrendi di centrodestra e centrosinistra, o è una Picierno o è in totale malafede. O entrambe le cose. Pizzarotti è appena stato sospeso dal M5S, che lo accusa di non avere avvertito per tempo in merito a un avviso di garanzia di cui sapeva da mesi. “Sapeva della indagine, trasparenza è primo dovere”. Sarà, ma messa così sembra più che altro un dispetto a un dissidente che non una scelta logica

Allo stato attuale, nessuno dei due deve dimettersi. Perlomeno per ciò che ci è dato sapere dagli atti. Discorso diverso sarebbe, per esempio, se Pizzarotti avesse nominato amici o parenti (do you know Alemanno?). Come scrive Marco Travaglio stamani: “E’ ovvio che Pizzarotti non si debba dimettere solo perché è finito nel registro degli indagati: altrimenti, per far fuori un sindaco, basterebbe una denuncia dell’opposizione. E così tutti i sindaci di Italia cadrebbero come birilli”. Non diciamo sciocchezze, su: quelle lasciamole all’Unità e a Mary Therese Meli.

Si dirà: eh, ma tutta (o quasi) la stampa equipara Parma e Livorno a Lodi o gli altri 3987 casi che riguardano e costantemente travolgono il Pd renziano. Sai che scoperta. Lo avevamo già visto con Quarto, assurta a centro del mondo sebbene il sindaco 5 Stelle avesse avuto l’unica colpa di negare il ricatto subito, opponendosi però (che è quel che più conta) alle infiltrazioni camorristiche. Non mi pare la stessa cosa fatta, per dire, dal Presidente campano del Pd. L’informazione, in Italia, funziona quasi sempre così: se sbaglia il Pd è normale, se (forse) sbaglia il M5S bisogna invadere la Polonia. E’ così dal primo V-Day dell’8 settembre 2007.

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C’è però un punto che i 5 Stelle non devono negare: la responsabilità di Luigi Di Maio. Ha sbagliato e non possono non ammetterlo. Lasciamo stare i deliri che qua e leggo in Rete, tipo “giustizia a orologeria per far perdere al M5S le amministrative”: erano le stesse cose che diceva Berlusconi, e se i grillini vogliono continuare a definirsi “diversi” dagli altri devono isolare al più presto questi casi umani che hanno frainteso la politica per calcio e tifano neanche fossero in curva. La stessa Virginia Raggi, a Radio Città Futura, se da un lato ha giustamente detto come “sia doveroso capire bene quali siano le circostanze prima di poter dire qualcosa”, dall’altro lambisce pericolosamente il berlusconismo più becero laddove afferma che “altrimenti si avrebbe una sorta di strapotere della magistratura“. Certi toni lasciamoli ai Brunetta qualsiasi.

Il punto è un altro: se siamo tutti d’accordo che esista caso e caso, e che ci si debba dunque dimettere ben prima della sentenza definitiva di fronte all’evidenza di un’accusa infamante, o di una intercettazione imbarazzante (i casi Guidi, Graziano, Uggetti, etc), occorre anche essere tutti serenamente d’accordo che tutto questo imbarazzo nei 5 Stelle sia stato generato da “quella” intervista di Luigi Di Maio. Sento già i difensori a oltranza del grillismo: “Eh, ma Luigi voleva dire altro, intendeva sottolineare la scarsa attenzione di Renzi alla questione morale, etc”. Certo. Ma la forma è sostanza e non l’ho deciso io di fare il parlamentare e di correre pure come Presidente del Consiglio. Lo ha deciso Di Maio. E per Di Maio la forma è appunto sostanza. Non conta solo quello che vuole dire, ma anche e soprattutto ciò che dice. E come ciò venga percepito. Oltretutto, essendo un 5 Stelle, Di Maio è condannato alla mitraglia anche solo se sbaglia un congiuntivo. Renzi può sbagliare sempre (e lo fa), Di Maio non può sbagliare mai.

C’è poco da girarci intorno: quella intervista, e quella frase, furono una cazzata. Una gigantesca cazzata. Anche contenutistica, perché Di Maio – sostenendo genericamente che tutti dovessero dimettersi dopo un avviso di garanzia – neanche pareva dimostrare di conoscere la differenza minima tra “indagato” e “imputato”. Nulla di grave, tutti sbagliano. Io per primo. Pensate: per un po’ ho persino creduto alla buona fede di Luis Eccetera Orellana. E per un po’ ho persino creduto alla Befana che vien di notte con le scarpe tutte rotte. Ma se a sbagliare è il candidato (de facto) Premier della maggiore forza di opposizione, l’errore fa più rumore. E Di Maio lo sa. Lo sa bene.

C’è, all’interno dei 5 Stelle, una sorta di gelosia nei confronti di chi – Di Maio su tutti – è diventato troppo più importante degli altri. E’ una gelosia stupida, se nasconde solo l’invidia per chi è più famoso di te (cosa peraltro giustissima: se Di Battista va in tivù più di una Lombardi c’è un motivo. Di Battista sa fare tivù, la Lombardi no. O sa farla per il Pd, perché induce a votare tutti tranne il M5S). Se però quella “gelosia” tradisce non invidia, ma la paura che si vada così perdendo l’originaria natura collettivista dei 5 Stelle, allora non è una paura stupida. O perlomeno non del tutto infondata.

Le prossime settimane ci diranno molto sulla capacità effettiva dei 5 Stelle nel metabolizzare gli errori e nel gestire un difficile percorso di crescita che li costringe a diventare adulti in fretta. Molto in fretta. Si diventa adulti anche e soprattutto sbagliando: purché però si ammetta l’errore. Che, al momento (e sottolineo al momento), non è di Nogarin o Pizzarotti, che in città devastate (dagli altri) se non altro ci stanno provando, ma di Luigi Di Maio.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... o/2725933/
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

Fa più danni al M5S il comportamento dei vertici del movimento (Casaleggio in testa ) che gli avvisi di garanzia ai sindaci .

A sinistra del PD sta nascendo un movimento in cui è possibile far converere uomini e forze per una democrazia più matura , non è possibile accettare espulsioni senza sentire direttamente l'interessato e sottoporre poi al giudizio di un comitato democraticamente eletto.
camillobenso
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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POLITICA

Pizzarotti, Nogarin e la coerenza a tutti i costi del M5S
Politica
di Luisella Costamagna | 14 maggio 2016
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La coerenza è una brutta bestia. Soprattutto per il M5S, che su quel valore – perché è un valore – ha costruito parte della sua identità. In politica ti si può ritorcere contro: avete detto “chi è indagato deve lasciare”, quindi – per coerenza – dovete far dimettere i vostri; avete detto “fuori i partiti dalla Rai”, quindi – per coerenza – non toccate palla e gli altri si prendono tutto.

Ecco: è arrivato il momento che il M5S rifletta su se stesso, sui propri valori e sulla distanza tra il mondo ideale, che vorrebbe realizzare, e la realtà, difficile e sporca.

Chiariamo alcuni punti.

Le indagini nei confronti dei sindaci Nogarin (indagato per concorso in bancarotta fraudolenta) e Pizzarotti (indagato per abuso d’ufficio) non hanno nulla a che vedere con le inchieste ben più gravi che riguardano – solo per citare i più recenti – il presidente del Pd campano Graziano (indagato per concorso esterno in associazione mafiosa), il sindaco Pd di Lodi Uggetti (arrestato per turbativa d’asta) o l’europarlamentare Pd Soru (condannato in primo grado per evasione fiscale). Un conto è il fallimento dell’Aamps di Livorno (responsabilità dell’amministrazione precedente Pd) e l’assunzione di 33 precari, e le nomine al Teatro Regio di Parma, un’altra è – secondo le accuse – aver chiesto voti al clan dei Casalesi, aver taroccato gare d’appalto per favorire società amiche o aver evaso il fisco per milioni di euro.

Le indagini nei confronti dei sindaci pentastellati sono “atti dovuti”, ma perché Nogarin non è stato sospeso e Pizzarotti sì? Perché il primo ha comunicato immediatamente al M5S di aver ricevuto un avviso di garanzia, il secondo è stato zitto per circa tre mesi. Credo sia stato un silenzio grave, rispetto al quale le motivazioni addotte oggi da Pizzarotti e riassumibili in “Mi avete lasciato solo”, suonano come arrampicate sugli specchi (lo stridio si sentiva distintamente ieri sera da Mentana).

Siamo alla vigilia di elezioni decisive (comunali e referendum), su cui si gioca la sopravvivenza di Renzi, ma anche del M5S: è pronto a guidare i comuni più importanti d’Italia e il paese, o non è in grado? Tanto sono decisive, quanto feroce è e sarà la campagna elettorale. Prepariamoci: questo è solo un assaggio.

Per tutto questo, per evitare confusioni (“tutti rubano”), attacchi (“giustizialisti coi nemici e garantisti con gli amici”), e harakiri, è necessaria un’assoluta chiarezza di comportamento. Da parte di Pizzarotti e da parte del M5S, perché in un momento così cruciale i due destini sono intrecciati: l’uno fa male all’altro e viceversa. Pizzarotti non ha mai nascosto la sua dissidenza, così come il M5S i suoi metodi a volte rudi; ma è anche vero che l’uno ha ben amministrato Parma, come l’altro ha scardinato positivamente gangli melmosi della politica nazionale (per questo è tanto temuto); l’uno esiste grazie all’altro e viceversa. Perché non ripartire da qui? Perché non mettere da parte i rispettivi orgogli e vanità ferite? Oggi il tempo delle beghe interne è finito.

Credo che Pizzarotti dovrebbe ammettere l’errore, accettare la sospensione e, invece di screditare il movimento a cui deve tutto, sostenerlo in vista delle prossime scadenze elettorali.

Credo che anche il M5S dovrebbe ammettere gli errori e, oggi che dalla gioventù è passato all’età adulta, stabilire una linea chiara, invece di rivendicare una coerenza che poi non riesce a rispettare, confondendo i suoi elettori. Quale potrebbe essere? Ad esempio che chi viene indagato deve essere immediatamente sospeso dal partito, in attesa di ulteriori sviluppi. Anche Nogarin. Solo se già nel corso delle indagini emergessero gravi indizi di colpevolezza (e non parrebbe né il caso di Nogarin né di Pizzarotti), ci dovrebbero essere espulsioni e dimissioni.

A meno che non vogliano continuare a farsi del male da soli…

di Luisella Costamagna | 14 maggio 2016
camillobenso
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da camillobenso »

POLITICA

Federico Pizzarotti, un esame di coscienza farebbe bene sia a lui che al M5S
Politica
di Daniela Gaudenzi | 16 maggio 2016
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Daniela Gaudenzi
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Il “caso Pizzarotti” rimanda a varie considerazioni ma in via preliminare mi sembra onesto sottolineare che così come viene fortemente criticata la linea dura della sospensione allo stesso modo sarebbe stata contestata dall’interno del Movimento e soprattutto messa all’indice da politica e “grande informazione” una difesa a tutto campo del sindaco che a Parma fu l’apripista, sconnesso e non da oggi con Grillo e con il direttorio.

Il giorno dopo la sospensione Federico Pizzarotti lo definisce come “normale giornata di lavoro”, dichiara di essere “deciso ad andare avanti” e giudica paradossale che Di Maio, quale responsabile dei rapporti con il territorio non sia a Parma, in una situazione di emergenza, ma a Benevento “a fare il tour”.

Secondo il sindaco, giudicato da una parte dei suoi stessi elettori intelligentemente pragmatico e da molti altri un po’ troppo elastico ed in continuità con scelte precedenti, la mancata comunicazione dell’avviso di garanzia di cui era informato da febbraio deriverebbe unicamente dall’impossibilità di interloquire con Di Maio e Fico e forte di ciò intende andare avanti con l’appoggio dei consiglieri e si riserva eventualmente di presentare entro 10 giorni le controdeduzioni che gli sono state richieste.


Luigi Di Maio, parafulmine ormai consolidato da Quarto in poi delle controversie con i primi cittadini, si limita ad un sintetico “abbiamo applicato le regole” aggiungendo che il direttorio non ha mai ricevuto i documenti ripetutamente richiesti in merito alle due nomine oggetto dell’avviso di garanzia per abuso d’ufficio e che nascondere fino all’ultimo l’avviso di garanzia è una violazione macroscopica del dovere di trasparenza.

Il lungo “pregresso” a questo esito abbastanza prevedibile e per nulla indolore, al di là dell’operazione di enfatizzazione-strumentalizzazione in atto, è databile a molto tempo fa, probabilmente già negli interventi distensivi di Pizzarotti a favore di Giovanni Favia, che quantomeno non si può definire un campione di coerenza, e nelle critiche molto pesanti al direttorio giudicato da subito come organismo romanocentrico incapace e inadatto a risolvere i problemi sul territorio.

E d’altronde l’incipit delle mail senza risposta del sindaco di Parma indirizzate “Al gentilissimo anonimo staff” fa già comprendere quanto potesse essere “ampio” il margine per un confronto e quali fossero le aspettative di ascolto e di fiducia reciproca. Al di là dei meriti o demeriti come amministratore Federico Pizzarotti sembrava già aver preso una strada di autonomia o di solitudine, a seconda dei punti di vista, che la gestione “in segreto” dell’avviso di garanzia per un reato di natura non patrimoniale, in cui può incorrere anche un sindaco in buona fede, ha reso molto prevedibilmente senza ritorno.


Quanto al M5S e al cosiddetto staff si ritrova ancora una volta a confrontarsi con il nodo non adeguatamente risolto della democrazia interna, che però a vedere lo stato delle cose più che irrisolto sembrerebbe irrisolvibile o felicemente e spudoratamente sepolto in casa di tutti i partiti, vecchi e nuovi. Vorrei solo ricordare che il problema del rigido rispetto delle regole anche a discapito di una flessibilità più adatta a conseguire il risultato era stato opportunamente posto in occasione delle candidature per il sindaco a Roma. In quell’occasione a chi faceva presente al M5S l’esigenza di avere un candidato riconoscibile e competitivo come Di Battista, Grillo, Casaleggio e il direttorio obiettavano la necessità di attenersi al principio della fedeltà al mandato parlamentare ricevuto dagli elettori. Allora sembrava anche ad osservatori non ostili un eccessivo irrigidimento che avrebbe pregiudicato la possibilità di accedere al ballottaggio: a distanza di qualche tempo e a poco più di due settimane al voto la scelta di attenersi scrupolosamente alle regole ha prodotto la candidatura altamente competitiva di Virginia Raggi.

Può darsi che anche “la soluzione” inflessibile del “caso Pizzarotti” che per molti rimarrà un regolamento di conti annunciato e persino auspicato, anche se dolorosa e comprensibilmente criticabile e criticata da molti iscritti, contribuisca a tenere la barra dritta sui principi. E si può concordare sulla valutazione che tenere nascosta una comunicazione giudiziaria così rilevante per l’amministrazione è un comportamento di scarso rispetto dei cittadini e degli elettori, come ha sottolineato Virginia Raggi.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... s/2728642/
camillobenso
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da camillobenso »

POLLAME A 5 STELLE



Sondaggi politici, effetto Pizzarotti: una settimana dopo il sorpasso Pd torna davanti a M5s



http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/05 ... s/2736437/
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

L'informazione di garanzia contiene indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia.

Mi sembra che la sostanza , la COSA PIù IMPORTANTE dell'avviso di garanzia non sia tanto il fatto in sè bensì l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate.
Detto ciò quanto succede nel M5S è veramente assurdo perchè la norma violata in realtà non esiste in quanto la nomina fatta delle persone per il regio di Parma è del tutto legittima essendo il bando solo un tentativo per avere la possibilità di vaLUTARE più persone per l'assegnazione di quel posto.

Possibile che un partito voglia farsi del male da solo ?
Come si fa ad accettare che una persona sia il GARANTE DEL MOVIMENTO, che possa decidere una sospensione dal movimento di un sindaco senza alcuna discussione con l 'interessato, e i cittadini elettori che lo sostengono non contano niente ?
Farebbe bene Pizzarotti e gli altri esclusi che hanno condiviso l'anima e i valori del movimento a guardarsi in giro e trovare un partito o movimento più democratico che condivide quei valori.

iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

PUbblicare l'avviso di garanzia o comunicarlo allo staff del movimednto ?
oggi è possibile farlo, mentre fino a qualche giorno fa non lo era”. Il sindaco infatti ha sempre sostenuto che non era possibile divulgare la documentazione in quanto coinvolgeva altre persone e si tratta di un atto personale, come chiarisce anche il parere legale allegato insieme al documento della Procura.

da Il Fatto Q
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

Messaggio da iospero »

La chiesa apre alle istanze sociali del M5S (e isola il neoliberismo renziano)
di Marco Politi | 5 luglio 2016

Se il Papa, il cardinale di Milano e l’Avvenire mostrano apertamente grande attenzione al Movimento 5 Stelle, le cose non si mettono bene per Matteo Renzi.

Chiuso nel suo ombelico, il premer non si accorge del lento smottamento che avviene nel mondo cattolico. Non lo ha capito al tempo del referendum sulle trivelle, non lo ha percepito – intossicato dalla sua idea personale di potere – nel corso della campagna elettorale per le amministrative.

Credendo che il mondo si esaurisca nelle sue scorribande sui social media e che il mormorio irritato proveniente dagli strati inferiori della società possa essere tacitato con qualche slogan come avviene nelle ripetitive riunioni della direzione del Pd, il premier-segretario non coglie (o non vuole cogliere) il movimento molecolare di una parte del mondo cattolico, che per ragioni sociali e valori ha cominciato ad abbandonare il Pd visto come Partito di Renzi.

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“Inclusione” è la parola chiave su cui Matteo Renzi è stato battuto alle recenti elezioni. Un concetto che fa parte della predicazione sociale di papa Francesco, che tocca il malessere profondo annidato non solo nei paesi del Terzo Mondo, ma oggi specialmente acuto nelle società avanzate dell’Occidente dove cresce la massa degli “esclusi” perché l’ascensore sociale si è rotto.
Nel momento in cui la neo sindaca di Torino del Movimento 5 stelle Chiara Appendino afferma di ritenere fondamentale nel suo programma il valore dell’ “inclusione” affinché chi vive nella città “si senta parte di essa”, nel momento in cui l’altra neo sindaca pentastellata di Roma Virginia Raggi cita l’enciclica verde di Bergoglio per condannare lo “scempio al paesaggio fatto senza rispettare le regole” e richiamare la necessità di tener conto dello spirito di comunità e delle persone più fragili, appare evidente che la Trinità esibita da Renzi sul suo gonfalone – Marco Carrai, Davide Serra e Denis Verdini – è totalmente lontana dal sentire comune della gente.

Il Vaticano di Francesco ha deciso di non immischiarsi più nelle contese politiche italiane, appoggiandosi a un determinato partito e dandogli una benedizione ufficiale. Ma i segnali di attenzione venuti in questi giorni nei confronti del Movimento 5 Stelle sono talmente fitti che Renzi dovrebbe preoccuparsene. L’ultimo si ritrova in un’intervista del cardinale di Milano Scola al Corriere della Sera. Contrariamente alla vulgata renziana e di larga parte dei media (prima delle elezioni), che dipinge i grillini come populisti anti-sistema, il cardinale precisa secco: “Non è populismo assecondare il bisogno dei cittadini e dei corpi intermedi che la loro esperienza umana sia considerata portatrice di civiltà”. Sottile e indicativa, per chi conosce la raffinatezza con cui le gerarchie ecclesiastiche sanno vibrare un colpo di fioretto, è la risposta che Scola da una domanda di Aldo Cazzullo sul premier Renzi: “Ammiro il coraggio di questo giovane politico: si espone, dice quello che pensa, credo che sia anche sincero quando afferma che lui non vuole occupare il potere a lungo. Forse deve prendere meglio le misure“. Dove la stoccata è nella puntualizzazione finale.

Significativo è il commento dell’arcivescovo di Milano sui poteri forti (tema estraneo alla narrazione renziana, dal momento che il premier a questi poteri si è sempre appoggiato): “Capisco benissimo che la finanza è molto importante, però capisco altrettanto bene che noi del popolo siamo messi in condizione di comprendere assai poco di quello che la finanza fa. E la finanza morde sulla nostra pelle. Qui c’è qualcosa che non funziona. Ad esempio una forma di salario minimo va introdotta“. Detto da una personalità, che non è certo un rivoluzionario delle comunità di base, è un segnale da non sottovalutare.

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Così come non è da sottovalutare la velocità con cui papa Francesco ha ricevuto la neo sindaca di Roma Virginia Raggi. Il pontefice poteva benissimo darle udienza dopo la costituzione della giunta o dopo le vacanze. Sarebbe stato sempre un gesto di benevola cortesia. L’aver detto sì appena la Raggi l’ha chiesto rivela un’apertura di credito alle istanze sociali del Movimento 5 Stelle ed esprime un incoraggiamento diretto alla Raggi. (Toccherà poi a lei mostrarsi all’altezza della situazione e certo in queste settimane non è parsa sicura di polso come la sua collega Appendino a Torino).

Il segnale più forte, tuttavia, dell’attenzione con cui la Chiesa guarda alle istanze sociali del M5S per invertire il trend neoliberista del governo Renzi (incapace di andare al di là dell’idea di tagliare qualche tassa, concedere gli 80 euro o la regalia dei 500 euro ai diciottenni) si ritrova sull’Avvenire. E non sta tanto nell’editoriale post-elezioni del direttore Marco Tarquinio, ma in un nuovo articolo di fondo dell’economista Leonardo Becchetti, che sottolinea positivamente – in termini di competizione sul mercato politico – alcune proposte dei pentastellati: offrire una protezione minima agli strati più fragili della popolazione come “reddito inclusivo”, propugnare la sostenibilità ambientale e la riorganizzazione degli spazi urbani (invece dell’espansione edilizia ad oltranza), resistere maggiormente alle lobby e ai poteri forti.
La campana dei temi sociali suona per Renzi. Che l’ascolti è un’altra questione.
iospero
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Re: MOVIMENTO 5 STELLE

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Brexit e banche, parla l’economista Galloni: “Si può uscire dal baratro senza l’Europa che alimenta la turbofinanza”

Negli anni Ottanta, da funzionario, fu isolato per le sue posizioni ostili ai trattati e critiche su euro, sistema finanziario e banche. Oggi le sue teorie vengono prese a prestito anche da chi lo avversava. "Bisogna ribaltare i paradigmi senza venire a patti con le istituzioni: sono parte del problema e non hanno soluzioni", è la sua ricetta. Ai Cinque Stelle che attingono alle sue tesi dice: "Sono disponibile, ma per un progetto senza compromessi"
di Thomas Mackinson | 7 luglio 2016 - DA iL fATTO QUOTIDIANO

Alle cronache dell’epoca era passato come “l’oscuro funzionario che fece paura a Helmut Kohl”. Da una posizione di vertice al ministero del Bilancio dell’Italia anni Ottanta aveva osato avversare apertamente i trattati europei. Profetico, a tratti perfino eversivo nelle sue teorie macroeconomiche, metteva già in discussione le politiche neoliberiste, il futuro della moneta unica, il dogma degli investimenti senza debito. E ora, a distanza di trent’anni e di molti libri e conferenze, anche chi governa nei consessi internazionali, perfino chi manovra la nave dell’eurozona alla deriva, inizia a parlare la sua strana lingua. Chiamiamo Antonino Galloni che è sera. Il “pericoloso funzionario”, ormai vicino alla pensione, è alle prese con un pollo ruspante a chilometri zero, da cucinare con lime, vino, carote e timo: “Un peccato non usare certe ricette”, sospira. Le sue le ha scodellate da tempo al servizio di tutti ma per diversi decenni sono rimaste confinate sullo scaffale degli economisti eterodossi, quelli che i politici non ascoltano perché propongono cambiamenti radicali. Ex funzionario del ministero del Bilancio, direttore generale di quello del Lavoro, un tempo docente universitario, Nino Galloni non ha perso per strada le sue convinzioni che ha perfezionato nel tempo, soprattutto alla luce degli sconvolgimenti in corso. Le spiega con pazienza, al telefono, e si premura di avvertire i Cinque Stelle che tante volte alle sue tesi hanno attinto: “Sono pronto a dare una mano, purché l’ansia di governare non li faccia piegare alle richieste delle istituzioni internazionali di dimostrarsi affidabili a tutti i costi, perché così non cambierà nulla. Se qualcuno cerca un programma avanzato per uscire dal baratro, ecco, io ce l’ho”.

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Partiamo dal baratro: le banche, i mercati e la finanza
Sempre lì siamo. E’ il conto che tutti paghiamo al dominio del pensiero unico di matrice neoconservatrice, quello che dagli anni Ottanta ha imposto un modello capitalistico irresponsabile che oggi non è più nemmeno di mercato ma guidato da algoritmi matematici. Il suo obiettivo è massimizzare l’emissione di titoli e i debitori – Stati compresi – perché siano deboli, poco solvibili e sottomessi. Questo costringe a far aumentare la circolazione di derivati e swap (scommesse su tutto, ci spiega). Così si fanno milioni di miliardi di dollari di titoli tossici. Il punto è come uscirne, perché è ormai chiaro che il soccorso che trasferisce Pil a copertura dei debiti delle banche non potrà durare per sempre. I titoli tossici e fasulli in circolazione, a livello planetario, rappresentano 54 volte il Pil mondiale. Stiamo salvando il peggio.

Appunto, come se ne esce?
C’è chi pensa a passare la nottata invece di fermare la roulette impazzita. Possiamo partire proprio dalle banche, ipotizzando un ruolo e una contabilità diversa. Si deve tornare alla separazione tra chi eroga credito operando come agente di sviluppo sul territorio e chi fa raccolta a fini speculativi. Nel credito, poi, si dovrebbe ragionare su una contabilità vera che metta nel conto economico delle banche tutti i versamenti delle rate a titolo di estinzione dei debiti, mentre ora vengono calcolati solo gli interessi.

Cosa cambierebbe?
Quella che oggi si chiama “perdita” o sofferenza sarebbe correttamente contabilizzata per quello che è: un mancato arricchimento. Si abbatterebbe il margine operativo, che resterebbe però sempre a livelli stratosferici, dell’ordine del 50-60%, detratti i costi di funzionamento della banca. E su quelli potrei fargli pagare le tasse, con un’aliquota che diventa bassa per tutti, ricavando così un gettito che concorra a tenere in piedi il sistema.

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Un esempio, per capire…
Mettiamo che lei abbia un’impresa di spettacolo e si fa finanziare un milione di euro. Paga gli operai, i costi, l’intermediazione bancaria e alla fine riesce a restituire solo la metà. Ebbene quei 500mila euro, detratti i costi bancari che poniamo siano del 10%, la banca incassa comunque un attivo di 450mila euro netti. E’ una perdita o un guadagno? E più in generale: oggi si finanzia solo ciò che porta profitto ma siamo fuori dall’età della scarsità delle risorse e lo sviluppo responsabile potrebbe essere limitato solo dalla disponibilità del fattore umano, se solo si annoverassero tra le attività necessarie per un Paese i servizi alla persona, la cura dell’ambiente, l’innovazione tecnologica e tutti quei fattori che sono alla base dello sviluppo.

Perché non lo si fa?
Perché significherebbe avere piena occupazione e aumento dei salari, la gente non sarebbe più asservita e dunque un mondo rispetto al quale il vecchio modo di governare, basato sulla soggezione della gente, non funziona più e salta. Le soluzioni all’attuale crisi economica ci sono ma comportano un’emancipazione delle popolazioni, un aumento alla partecipazione democratica, il ripristino della classe media al posto della categoria dei cittadini-sudditi. Oggi la gente è disperata: non trova lavoro, non riesce a pagare il mutuo, ha paura di quello che può accadere al primo imprevisto. E sta buona. Senza questa sottomissione economica le classi dirigenti andrebbero in crisi: e come facciamo noi a sopravvivere?, si chiedono i parassiti.

E’ un fan delle teorie del controllo sociale alla Bildenberg?
I poteri forti esistono e dominano perché non c’è una classe politica degna di questo nome. Quando ci sono i Roosevelt, i Kennedy, i Moro, i Mattei è chiaro che questi poteri occulti hanno meno peso e importanza. Attraverso gli squilibri finanziari, monetari e bancari mantengono il controllo sulla formazione delle stese classi dirigenti che poi vanno formalmente a governare i paesi.

Che margini ci lasciano?
Si potrebbe ancora rovesciare il tavolo delle regole, forse. Ad esempio autorizzando i disavanzi dei Paesi in funzione del tasso di disoccupazione e non di parametri finanziari decisi chissà dove e come. Ma certo non lo può fare questa Unione Europea e le istituzioni che sono parte del problema.

E perché?
Perché sono lontanissime e tendenzialmente ostili a favorire la consapevolezza delle masse che un certo meccanismo si è rotto. E tendono a tamponare le situazioni per mantenere lo status quo. Le democrazie che guidano sono in crisi perché non sono riuscite a stabilire la differenza tra cittadino e suddito. Per ristabilirla, serve recuperare sovranità e capire quale è il modello economico oggi sostenibile. Ritengo che sia arrivato il momento di infrangere dei tabù e di tentare politiche opposte, di aumento dei salari e della spesa pubblica in disavanzo, di riconoscere la sostenibilità dei rendimenti negativi una volta si sia capito che credito e moneta sono a costo zero non hanno bisogno di copertura ma solo di stimolare la produzione di quei servizi necessari alla comunità di cui si dice erroneamente che mancano i soldi.

Ma abbiamo il debito pubblico alle stelle…
E’ vero. Ma su questo si deve fare un ragionamento finalmente vero e più onesto. Quando andiamo in banca ad accendere un mutuo ci viene concessa una somma fino a cinque volte il nostro reddito annuale. Il reddito di un Paese è il Prodotto interno lordo, ma il debito va paragonato al patrimonio che è di gran lunga superiore. Questa idea per cui siamo appesi ai conti economici delle entrate e delle uscite è una mistificazione che comprime le possibilità di sviluppo e di piena occupazione.

Da molto tempo è ai piani alti del ministero del Lavoro. Come sta andando l’occupazione?
Oggi ho incarichi di controllo ma non ho mai smesso di ragionare su dati, parametri e interventi che di volta in volta vengono fatti. Purtroppo non si è cambiato strada, le esigenze della società continuano a non trovare una risposta attraverso il lavoro. Un errore fondamentale è stato fatto quando ero direttore generale, allora lo denunciavo e oggi timidamente qualche ammissione arriva anche dal ministro. La flessibilizzazione è diventata sciaguratamente precarizzazione perché non si è realizzato il principio secondo cui il lavoratore flessibile doveva costare di più alle imprese di uno stabilizzato.

E le misure del governo?
Col Jobs Act si sono ridotti i diritti dei lavoratori stabili per renderli più appetibili alle imprese e ha funzionato, tuttavia ha eroso la stabilità di chi era garantito. L’effetto lo si vede nell’esplosione dei 500mila voucher che hanno portato altrettanti lavoratori sotto lo schiaffo del caporalato segnando una grande sconfitta per il ministero, per il governo e per il Paese. Tocca chiedersi cosa succederà: se pretendiamo il rispetto della legalità finiremo per togliere lavoro a questa gente per poi reimportare arance e pomodori dal Nord Africa. E’ questo il sacco in cui si trova il lavoro. E tocca capire anche cosa succederà dopo tre anni, quando termineranno gli incentivi previdenziali. Nel frattempo assistiamo a un paradosso: in certi momenti l’occupazione (precaria) è cresciuta più del Pil, e allora il grande successo di queste politiche è… far calare la produttività.

Cosa pensa della Brexit? E’ il segno della disgregazione dell’Europa?
Ha creato un po’ di panico a livello delle classi dirigenti perché si è visto che la gente non si è fatta condizionare e ha scelto in base alla valutazione dei propri interessi. Significa che, in fondo, era stato sottovalutato l’impatto che le classi più umili, le persone più anziane, percepivano delle situazione come negativa. Gli inglesi che hanno votato “si” vogliono liberarsi di una serie di vincoli e problemi e tornare a un maggior realismo in economia, a una maggiore centratura sul livello locale e in parte anche sulle tradizioni. Ma in concreto a breve cambierà poco perché già la Gb non faceva parte dell’euro e ora potrà negoziare accordi di comune interesse. Se la sterlina si svaluta andremo in vacanza a Londra spendendo di meno e verranno meno turisti inglesi da noi. Ma la conseguenza più grande è che si possono rimettere in gioco parecchi equilibri.

Tanto rumore per nulla?
Diverso è se si considera la cosa a livello geopolitico. E’ chiaro che la Corona inglese non si sia spesa per il “remain”. Significa che aveva strategie alternative, come quelle mai nascoste di recuperare il controllo della sua colonia preferita cioè gli Usa che in questo momento sono un po’ allo sbando. Quindi tramite la finanza e altri strumenti che sono il nocciolo duro dell’Inghilterra pensa di avvicinarsi di più ai cugini d’Oltreoceano. Non significa che il Regno Unito, se tale rimane, si allontani dall’Europa ma certo si avvicinerà di più all’America e potrebbe ad esempio rilanciare il TTIP, che era mezzo morto.

Se ci fosse un referendum in Italia come finirebbe?
Non è questo il punto. Se usciamo dall’Europa è per andare dove? Penso che l’Italia potrebbe giocare un ruolo fondamentale nel dialogo Usa-Russia per spostare il baricentro dell’economia europea verso il Mediterraneo che è necessario anche per gestire i flussi migratori e respingere il terrorismo a sfondo religioso. Paradossalmente, per giocarsela in Europa, l’Italia dovrebbe rompere con essa e fare un accordo restrittivo con la Russia, ma meglio portare avanti un dialogo tra Usa-Russia di cui siamo i principali referenti e beneficiari. Il governo italiano dovrebbe battersi per il superamento delle sanzioni.

Come reagirebbe l’Europa?
Il problema è che Renzi o chiunque altro, anche se legittimati da un referendum no euro, non potrebbero cogliere questa prospettiva perché Francia e Germania non lo consentirebbero: loro che hanno avuto maggiori vantaggi di noi da questa Europa a due velocità, già soffrono e non ci stanno a perdere peso.

Le sue tesi piacciono al M5S che oggi ambisce a governare. Risponderebbe a una “chiamata”?
Sì, ma mi preme chiarire un aspetto. Dall’origine del Movimento ad oggi è successo qualcosa di importante e potenzialmente rischioso. Quando l’orizzonte era l’opposizione la mediazione era esclusa, non si scendeva a patti col potere. Oltre all’esigenza del consenso però il Cinque Stelle oggi coltiva l’ambizione del governo e questo sdoppia la sua matrice. Da una parte continua la deriva positiva degli anti-sistema al grido “onestà-onestà”, dall’altra una crescente propensione ad accreditarsi come referenti affidabili, anche presso i consessi internazionali. Ecco, se prevalesse la logica del “vedete, siamo bravi ragazzi” temo che anche mettendo a disposizione le mie ricette non cambierebbe nulla. Se invece vincesse lo spirito delle origini a favore di programmi e posizioni radicalmente innovativi, beh, io ci sarò”.
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