Economia
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Re: Economia
Davide Lak • un'ora fa
"Lasciamo decidere ai Mercati"
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Truciolo • un'ora fa
come?!?! perché Citigroup avverte: "Economia globale in una spirale della morte"??????? perché di cosa avete paura?!?
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Paolo Catti De Gasperi • un'ora fa
Sembra che questa volta Grillo abbia sbagliato previsioni. La situazione rischia di essere peggiore di quel che va dicendo da tempo
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Gabriele Del Giovine • un'ora fa
Enjoy your Euro.
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Adma • un'ora fa
Ma come?? Ma il sistema bancario italiano non era il più solido d'europa???
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Gabriele Del Giovine • un'ora fa
La mattanza c'è stata ieri. Oggi si riapre la camera della morte per i tonni che ancora aspettano di entrarci.
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Giroma • un'ora fa
Manager, con 5 Stipendi -10 incarichi Pubblici e Pensione d’Oro.
Sono preoccupati per la saturazione del Mercato !
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L'autarchico • un'ora fa
haahahahahha il botto del mercato fuffa globbalizzato è vicino
il futuro è semiautarchia e chiusura delle borse
poi qualcuno deve lavorare sul serio aaaaahahhaahah
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"Lasciamo decidere ai Mercati"
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Truciolo • un'ora fa
come?!?! perché Citigroup avverte: "Economia globale in una spirale della morte"??????? perché di cosa avete paura?!?
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Paolo Catti De Gasperi • un'ora fa
Sembra che questa volta Grillo abbia sbagliato previsioni. La situazione rischia di essere peggiore di quel che va dicendo da tempo
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Gabriele Del Giovine • un'ora fa
Enjoy your Euro.
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Adma • un'ora fa
Ma come?? Ma il sistema bancario italiano non era il più solido d'europa???
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Gabriele Del Giovine • un'ora fa
La mattanza c'è stata ieri. Oggi si riapre la camera della morte per i tonni che ancora aspettano di entrarci.
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Giroma • un'ora fa
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Sono preoccupati per la saturazione del Mercato !
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L'autarchico • un'ora fa
haahahahahha il botto del mercato fuffa globbalizzato è vicino
il futuro è semiautarchia e chiusura delle borse
poi qualcuno deve lavorare sul serio aaaaahahhaahah
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Re: Economia
TRA SCILLA E CARIDDI
Per La Qualunque, l'era renziana é il migliore dei mondi possibili.
Alfonso Gianni la pensa diversamente.
il manifesto 12.2.16
La recessione globale
Economia. Arriva la tempesta l’Italia sprofonda. E non è questione di decimali.
di Alfonso Gianni
La festa è già finita, anche se i gaudenti non raggiungevano neppure quel fatidico uno per cento che separa i ricchi dal restante 99 della popolazione mondiale. Dopo la chiusura in risalita di ieri, le borse di tutto il mondo sono sprofondate. La peggiore performance è quella di Milano. Il più 5,03% dell’altro ieri è stato polverizzato da un meno 5,6%. Perdono Parigi, Londra, Francoforte, mentre Shanghai, Tokyo e Taipei sono state salvate dalla chiusura per festività. Ma Hong Kong ha chiuso con meno 4 e Wall Street ha aperto in forte calo sulla scia negativa delle borse europee. Una botta recessiva mondiale.
Milano è stata la peggiore di tutte. Pesa la situazione disastrata del settore bancario, in un quadro europeo che lo vede mal messo da tempo. L’indice paneuropeo FTSEuro first 300 a fine mattinata perdeva il 3,5%, rimangiandosi abbondantemente i rialzi del giorno prima. Dall’inizio di febbraio l’indice ha lasciato per le terre quasi l’11%. Ci avviamo con rapido passo verso una perdita mensile quale non si era vista dal 2008. In Italia il settore bancario, di cui tutti vantavano la straordinaria solidità, dal Presidente del Consiglio al Governatore di Bankitalia, è in sprofondo rosso. Mps è arretrata del 10,5%, Unicredit del 8,9%, Mediobanca del 9,96%.
Intanto il differenziale di rendimento, lo spread, fra Btp italiano e il Bund tedesco (quest’ultimo ormai con rendimenti negativi) viaggia sui 155 punti. Più o meno a metà strada fra il luglio 2011, quando era sopra i 200 punti, e il febbraio dello scorso anno quando varcava al ribasso la soglia dei 100 punti per la prima volta dopo cinque anni di crisi. Si torna indietro quindi e di parecchio. I timori di una nuova fase acuta recessiva sono tutt’altro che infondati. Anche perché il cane della crisi si morde la coda.
Alla base del tonfo di ieri vi sono varie cause, diverse e contemporanee. Alcune più contingenti, altre più strutturali. Solo che si sommano tra loro provocando effetti shock. Certamente ha pesato la decisione della Fed di rinunciare per il momento al rialzo, seppure modestissimo dei tassi. Il che indica – ed è questo che conta – che la Yellen ha percepito dagli ultimi dati che l’economia americana non è più in fase di sicura ripresa come sembrava fino a poco tempo fa e che l’occupazione, indicatore chiave per la Fed a differenza che per la Bce, segna il passo. Lo sanno bene coloro che sono corsi a votare nelle primarie democratiche per Bernie Sanders.
Tutto diventa così più incerto a livello globale. Il petrolio continua la sua corsa al ribasso. Ne soffrono i paesi produttori e al contempo dimostra che nei paesi importatori – vedi la Cina – l’economia non riprende quota. Siamo giunti a 27 dollari al barile e per converso l’oro – la “barbara reliquia” come la definì Keynes – rispolvera i fasti di bene rifugio, riportando l’oncia a quota 1.214 dollari.
L’ottovolante delle Borse non può tuttavia essere spiegato solo con la fragilità psicologica degli investitori. Piuttosto con le contraddizioni intrinseche del mercato finanziario globale, che sono concatenate tra loro e quindi si alimentano a vicenda. Le Borse sono “vittime” di vendite forzate di titoli azionari. Ovvero non spinte da puri disegni speculativi — anche quelli intendiamoci — ma quasi obbligate dal concatenarsi di situazioni sfavorevoli. Chi ha preso denaro in prestito ponendo azioni in garanzia, ora che il mercato azionistico vacilla si trova costretto a reintegrare quelle garanzie. Lo fa con altro denaro o con altre azioni. Se non ne ha, le banche vendono le azioni in loro possesso. Visto il calo del prezzo del petrolio, molti fondi sovrani alimentati da petrodollari sono spinti a liquidare titoli in loro possesso. Si parla di 300 miliardi di dollari in pochi mesi.
I fondi pensione e le assicurazioni a loro volta per erogare i tassi minimi che garantivano (tra l’1% e il 1,5%) si sono riempiti di Bund. Ma se il rendimento dei Bund trentennali è al di sotto, devono comprare le opportune “protezioni” sul mercato finanziario. Ad esempio futures sui Bund che ne deprimono ulteriormente i rendimenti.
Dal canto loro le banche, in primis quelle italiane, si sono riempite di denaro a basso costo elargito dalla Bce. Ma non l’hanno prestato, anche per aumentare il patrimonio e in vista dall’entrata in funzione del bail in. Che peraltro sarebbe stato molto meglio procrastinare, visto anche che non vi è alcuna garanzia europea sui depositi bancari per l’opposizione tedesca. L’aumento dello spread ora le penalizza. Infatti con quel denaro hanno ricomprato titoli di stato sul mercato e ne sono piene.
Se questi sono considerati più rischiosi, la banca viene percepita come più insicura e più costoso diventa il suo finanziamento. Quindi stringono la cinghia. I mutui tornano a tassi più elevati; i prestiti a famiglie e imprese diminuiscono o si bloccano del tutto. La domanda di consumi e di investimenti si deprime ulteriormente. L’economia italiana sprofonda. E non è questione di decimali.
Per La Qualunque, l'era renziana é il migliore dei mondi possibili.
Alfonso Gianni la pensa diversamente.
il manifesto 12.2.16
La recessione globale
Economia. Arriva la tempesta l’Italia sprofonda. E non è questione di decimali.
di Alfonso Gianni
La festa è già finita, anche se i gaudenti non raggiungevano neppure quel fatidico uno per cento che separa i ricchi dal restante 99 della popolazione mondiale. Dopo la chiusura in risalita di ieri, le borse di tutto il mondo sono sprofondate. La peggiore performance è quella di Milano. Il più 5,03% dell’altro ieri è stato polverizzato da un meno 5,6%. Perdono Parigi, Londra, Francoforte, mentre Shanghai, Tokyo e Taipei sono state salvate dalla chiusura per festività. Ma Hong Kong ha chiuso con meno 4 e Wall Street ha aperto in forte calo sulla scia negativa delle borse europee. Una botta recessiva mondiale.
Milano è stata la peggiore di tutte. Pesa la situazione disastrata del settore bancario, in un quadro europeo che lo vede mal messo da tempo. L’indice paneuropeo FTSEuro first 300 a fine mattinata perdeva il 3,5%, rimangiandosi abbondantemente i rialzi del giorno prima. Dall’inizio di febbraio l’indice ha lasciato per le terre quasi l’11%. Ci avviamo con rapido passo verso una perdita mensile quale non si era vista dal 2008. In Italia il settore bancario, di cui tutti vantavano la straordinaria solidità, dal Presidente del Consiglio al Governatore di Bankitalia, è in sprofondo rosso. Mps è arretrata del 10,5%, Unicredit del 8,9%, Mediobanca del 9,96%.
Intanto il differenziale di rendimento, lo spread, fra Btp italiano e il Bund tedesco (quest’ultimo ormai con rendimenti negativi) viaggia sui 155 punti. Più o meno a metà strada fra il luglio 2011, quando era sopra i 200 punti, e il febbraio dello scorso anno quando varcava al ribasso la soglia dei 100 punti per la prima volta dopo cinque anni di crisi. Si torna indietro quindi e di parecchio. I timori di una nuova fase acuta recessiva sono tutt’altro che infondati. Anche perché il cane della crisi si morde la coda.
Alla base del tonfo di ieri vi sono varie cause, diverse e contemporanee. Alcune più contingenti, altre più strutturali. Solo che si sommano tra loro provocando effetti shock. Certamente ha pesato la decisione della Fed di rinunciare per il momento al rialzo, seppure modestissimo dei tassi. Il che indica – ed è questo che conta – che la Yellen ha percepito dagli ultimi dati che l’economia americana non è più in fase di sicura ripresa come sembrava fino a poco tempo fa e che l’occupazione, indicatore chiave per la Fed a differenza che per la Bce, segna il passo. Lo sanno bene coloro che sono corsi a votare nelle primarie democratiche per Bernie Sanders.
Tutto diventa così più incerto a livello globale. Il petrolio continua la sua corsa al ribasso. Ne soffrono i paesi produttori e al contempo dimostra che nei paesi importatori – vedi la Cina – l’economia non riprende quota. Siamo giunti a 27 dollari al barile e per converso l’oro – la “barbara reliquia” come la definì Keynes – rispolvera i fasti di bene rifugio, riportando l’oncia a quota 1.214 dollari.
L’ottovolante delle Borse non può tuttavia essere spiegato solo con la fragilità psicologica degli investitori. Piuttosto con le contraddizioni intrinseche del mercato finanziario globale, che sono concatenate tra loro e quindi si alimentano a vicenda. Le Borse sono “vittime” di vendite forzate di titoli azionari. Ovvero non spinte da puri disegni speculativi — anche quelli intendiamoci — ma quasi obbligate dal concatenarsi di situazioni sfavorevoli. Chi ha preso denaro in prestito ponendo azioni in garanzia, ora che il mercato azionistico vacilla si trova costretto a reintegrare quelle garanzie. Lo fa con altro denaro o con altre azioni. Se non ne ha, le banche vendono le azioni in loro possesso. Visto il calo del prezzo del petrolio, molti fondi sovrani alimentati da petrodollari sono spinti a liquidare titoli in loro possesso. Si parla di 300 miliardi di dollari in pochi mesi.
I fondi pensione e le assicurazioni a loro volta per erogare i tassi minimi che garantivano (tra l’1% e il 1,5%) si sono riempiti di Bund. Ma se il rendimento dei Bund trentennali è al di sotto, devono comprare le opportune “protezioni” sul mercato finanziario. Ad esempio futures sui Bund che ne deprimono ulteriormente i rendimenti.
Dal canto loro le banche, in primis quelle italiane, si sono riempite di denaro a basso costo elargito dalla Bce. Ma non l’hanno prestato, anche per aumentare il patrimonio e in vista dall’entrata in funzione del bail in. Che peraltro sarebbe stato molto meglio procrastinare, visto anche che non vi è alcuna garanzia europea sui depositi bancari per l’opposizione tedesca. L’aumento dello spread ora le penalizza. Infatti con quel denaro hanno ricomprato titoli di stato sul mercato e ne sono piene.
Se questi sono considerati più rischiosi, la banca viene percepita come più insicura e più costoso diventa il suo finanziamento. Quindi stringono la cinghia. I mutui tornano a tassi più elevati; i prestiti a famiglie e imprese diminuiscono o si bloccano del tutto. La domanda di consumi e di investimenti si deprime ulteriormente. L’economia italiana sprofonda. E non è questione di decimali.
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Re: Economia
”
Petrolio a picco dopo flop del vertice su congelamento produzione. “Stop dell’Arabia a causa di tensioni con Iran”
Economia
Il Brent è sceso poco sopra i 41 dollari al barile dopo che la settimana scorsa era arrivato a 45. “Le speranze in una risposta coordinata dell'Opec ora sono a zero", ha commentato a Bloomberg David Hufton, amministratore delegato della società di broker Pvm Group. Il rappresentante di Teheran: "Vogliono impedirci di riconquistare la nostra legittima quota di mercato"
di F. Q. | 18 aprile 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... n/2647708/
Petrolio a picco dopo flop del vertice su congelamento produzione. “Stop dell’Arabia a causa di tensioni con Iran”
Economia
Il Brent è sceso poco sopra i 41 dollari al barile dopo che la settimana scorsa era arrivato a 45. “Le speranze in una risposta coordinata dell'Opec ora sono a zero", ha commentato a Bloomberg David Hufton, amministratore delegato della società di broker Pvm Group. Il rappresentante di Teheran: "Vogliono impedirci di riconquistare la nostra legittima quota di mercato"
di F. Q. | 18 aprile 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/04 ... n/2647708/
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Re: Economia
E' UN PO' DIFFICILE NON SENTIRSI IN UNA SOCIETA' CRIMINALE. UN TEMPO SI DICEVA :"GOVERNARE COME UN PADRE DI FAMIGLIA".
E UN PADRE DI FAMIGLIA SI TOGLIEVA IL PANE DI BOCCA PER SFAMARE I PROPRI FIGLI.
QUI INVECE SIAMO NEL GIORNO DELLO SCIACALLO.
SOPRATTUTTO UNO CHE SI SCAMBIA COMPLIMENTI CON IL PREMIER CAZZONE, COME LO CHIAMA DAGOSPIA.
27 APR 2016 18:35
SALUTAMI LA CRISI - IL 2015 E’ STATO UN ANNO D’ORO PER I 10 MANAGER PIU’ PAGATI D’ITALIA: MEGASTIPENDI AUMENTATI A DISMISURA - MARCHIONNE PRIMO CON 54,5 MILIONI (150MILA EURO AL GIORNO) SEGUITO DA ADIL MEHBOOB KHAN (LUXOTTICA, 13,5 MLN) E FERRARIO (ITALCEMENTI, 10,4)
Il caso della Popolare di Vicenza travolta dalla crisi: l’ex ad Samuele Sorato, il manager che ha messo la sua firma sotto i risultati tragici dell’istituto, è uscito di scena con in tasca una buonuscita da 4 milioni di euro…
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 123573.htm
E UN PADRE DI FAMIGLIA SI TOGLIEVA IL PANE DI BOCCA PER SFAMARE I PROPRI FIGLI.
QUI INVECE SIAMO NEL GIORNO DELLO SCIACALLO.
SOPRATTUTTO UNO CHE SI SCAMBIA COMPLIMENTI CON IL PREMIER CAZZONE, COME LO CHIAMA DAGOSPIA.
27 APR 2016 18:35
SALUTAMI LA CRISI - IL 2015 E’ STATO UN ANNO D’ORO PER I 10 MANAGER PIU’ PAGATI D’ITALIA: MEGASTIPENDI AUMENTATI A DISMISURA - MARCHIONNE PRIMO CON 54,5 MILIONI (150MILA EURO AL GIORNO) SEGUITO DA ADIL MEHBOOB KHAN (LUXOTTICA, 13,5 MLN) E FERRARIO (ITALCEMENTI, 10,4)
Il caso della Popolare di Vicenza travolta dalla crisi: l’ex ad Samuele Sorato, il manager che ha messo la sua firma sotto i risultati tragici dell’istituto, è uscito di scena con in tasca una buonuscita da 4 milioni di euro…
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 123573.htm
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Re: Economia
Allarme rosso sui consumi Italia in deflazione
I prezzi ad aprile sono calati dello 0,5% su base annua: continua la spirale negativa S&P avverte: obiettivi di bilancio a rischio
Gian Maria De Francesco - Sab, 14/05/2016 - 08:14
Il Paese è in deflazione e, come se non bastasse, l'agenzia di rating Standard & Poor's che valuta i Btp un gradino sopra la «spazzatura» (BBB-) ha tagliato le prospettive di crescita dell'Italia nel 2016 e nel 2017.
Eppure la giornata sul fronte macroeconomico si era aperta molto bene per il primo ministro Matteo Renzi e per il titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan: nel primo trimestre il Pil è aumentato dello 0,3% sui tre mesi precedenti e dell'1% sullo stesso periodo dell'anno scorso.
Un dato in linea con le attese degli analisti che contiene anche alcune riscontri confortanti: una prosecuzione del trend positivo della domanda interna, cioè dei consumi, e dell'industria (+0,7% la produzione nel primo trimestre). Nonostante tutto questo, però, l'Italia ha fatto peggio di Eurolandia (+0,5%) e, soprattutto della Germania (+0,7%) che ha fatto meglio delle attese grazie a una ripartenza dei consumi interni trainata da politiche di minor contenimento dei salari.
Questo spiega perché la deflazione su base annua ad aprile a Berlino sia stata dello 0,1% e a Roma dello 0,5 per cento. In Italia una simile variazione negativa dei prezzi al consumo non si registrava da gennaio dell'anno scorso (-0,6%). Che cosa significa questo? In pratica, che i volumi delle vendite e dei fatturati crescono meno di quanto potrebbero fare perché i prezzi bassi applicati ai prodotti comprimono i margini. E, soprattutto, che i consumi crescono perché l'occupazione è lievemente aumentata non perché vi sia una maggiore capacità di spesa a livello individuale.
Magari non tocchiamo con mano la deflazione tutti i giorni perché i prezzi dei generi alimentari sono sostanzialmente invariati, ma ci sono due conseguenze che si possono osservare. La prima è che la deflazione ritarda gli investimenti in quanto le imprese tendono a non indebitarsi per qualcosa che si deprezza molto velocemente. La seconda è che meno investimenti significano meno crescita. Per realizzare gli obiettivi del Def (+1,2%) il Pil italiano dovrebbe crescere più dello 0,3% del trimestre passato.
Di questa possibilità Standard & Poor's dubita fortemente tanto da aver ridotto da +1,2 a +1,1% e da +1,4 a +1,3% le previsioni di crescita del nostro Paese rispettivamente per l'anno in corso e per il prossimo. Per fortuna non c'è stato nessun downgrade e quindi l'Italia ha conservato il suo livello investment anche se «le debolezze del Pil dell'Italia ne erodono la competitività e ne minano la sostenibilità della finanza pubblica». Ebbene sì, perché il Pil che cresce meno del previsto significa più debito/Pil. E più debito/Pil significa più correzione di bilancio, cioè più tasse che frenano la competitività delle aziende.
Il taglio delle stime è solo una conseguenza della decelerazione dell'economia italiana alla fine del 2015 e soprattutto delle prospettive poco incoraggianti di crescita globale nel resto dell'anno in corso. La fine del comunicato di S&P, però, è illuminante. «Senza una ripresa degli investimenti dubitiamo che la crescita possa accelerare», sostengono gli esperti dell'agenzia lodando il tentativo renziano di abbassare le tasse sul lavoro.
Non a caso i due temi affrontati rappresentano due obiettivi che Renzi e Padoan cercano vanamente di inseguire. Il problema è che tanto la deflazione quanto l'obbligo di consolidamento di bilancio imposto dall'Europa restringono pesantemente i margini di manovra. Un taglio della spesa pubblica fatto seriamente sarebbe d'aiuto ma produrrebbe, almeno inizialmente, recessione. Questa si potrebbe combattere solo sostenendo gli investimenti, sia pubblici che privati. Tali spese, però, non sarebbero mai autorizzate da Bruxelles poiché sarebbero più alte dello 0,7% del Pil. Ecco perché Renzi e Padoan si trovano tra l'incudine e il martello.
I prezzi ad aprile sono calati dello 0,5% su base annua: continua la spirale negativa S&P avverte: obiettivi di bilancio a rischio
Gian Maria De Francesco - Sab, 14/05/2016 - 08:14
Il Paese è in deflazione e, come se non bastasse, l'agenzia di rating Standard & Poor's che valuta i Btp un gradino sopra la «spazzatura» (BBB-) ha tagliato le prospettive di crescita dell'Italia nel 2016 e nel 2017.
Eppure la giornata sul fronte macroeconomico si era aperta molto bene per il primo ministro Matteo Renzi e per il titolare del Tesoro, Pier Carlo Padoan: nel primo trimestre il Pil è aumentato dello 0,3% sui tre mesi precedenti e dell'1% sullo stesso periodo dell'anno scorso.
Un dato in linea con le attese degli analisti che contiene anche alcune riscontri confortanti: una prosecuzione del trend positivo della domanda interna, cioè dei consumi, e dell'industria (+0,7% la produzione nel primo trimestre). Nonostante tutto questo, però, l'Italia ha fatto peggio di Eurolandia (+0,5%) e, soprattutto della Germania (+0,7%) che ha fatto meglio delle attese grazie a una ripartenza dei consumi interni trainata da politiche di minor contenimento dei salari.
Questo spiega perché la deflazione su base annua ad aprile a Berlino sia stata dello 0,1% e a Roma dello 0,5 per cento. In Italia una simile variazione negativa dei prezzi al consumo non si registrava da gennaio dell'anno scorso (-0,6%). Che cosa significa questo? In pratica, che i volumi delle vendite e dei fatturati crescono meno di quanto potrebbero fare perché i prezzi bassi applicati ai prodotti comprimono i margini. E, soprattutto, che i consumi crescono perché l'occupazione è lievemente aumentata non perché vi sia una maggiore capacità di spesa a livello individuale.
Magari non tocchiamo con mano la deflazione tutti i giorni perché i prezzi dei generi alimentari sono sostanzialmente invariati, ma ci sono due conseguenze che si possono osservare. La prima è che la deflazione ritarda gli investimenti in quanto le imprese tendono a non indebitarsi per qualcosa che si deprezza molto velocemente. La seconda è che meno investimenti significano meno crescita. Per realizzare gli obiettivi del Def (+1,2%) il Pil italiano dovrebbe crescere più dello 0,3% del trimestre passato.
Di questa possibilità Standard & Poor's dubita fortemente tanto da aver ridotto da +1,2 a +1,1% e da +1,4 a +1,3% le previsioni di crescita del nostro Paese rispettivamente per l'anno in corso e per il prossimo. Per fortuna non c'è stato nessun downgrade e quindi l'Italia ha conservato il suo livello investment anche se «le debolezze del Pil dell'Italia ne erodono la competitività e ne minano la sostenibilità della finanza pubblica». Ebbene sì, perché il Pil che cresce meno del previsto significa più debito/Pil. E più debito/Pil significa più correzione di bilancio, cioè più tasse che frenano la competitività delle aziende.
Il taglio delle stime è solo una conseguenza della decelerazione dell'economia italiana alla fine del 2015 e soprattutto delle prospettive poco incoraggianti di crescita globale nel resto dell'anno in corso. La fine del comunicato di S&P, però, è illuminante. «Senza una ripresa degli investimenti dubitiamo che la crescita possa accelerare», sostengono gli esperti dell'agenzia lodando il tentativo renziano di abbassare le tasse sul lavoro.
Non a caso i due temi affrontati rappresentano due obiettivi che Renzi e Padoan cercano vanamente di inseguire. Il problema è che tanto la deflazione quanto l'obbligo di consolidamento di bilancio imposto dall'Europa restringono pesantemente i margini di manovra. Un taglio della spesa pubblica fatto seriamente sarebbe d'aiuto ma produrrebbe, almeno inizialmente, recessione. Questa si potrebbe combattere solo sostenendo gli investimenti, sia pubblici che privati. Tali spese, però, non sarebbero mai autorizzate da Bruxelles poiché sarebbero più alte dello 0,7% del Pil. Ecco perché Renzi e Padoan si trovano tra l'incudine e il martello.
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Re: Economia
FACCIAMO PURE LA TARA POLITICA DELLA PROPAGANDA, SE VIENE DA PORRO E IL GIORNALE. MA I DATI CI STANNO. ALTRIMENTI NEPPURE DAGOSTINO L'AVREBBE PUBBLICATA
14 MAG 2016 18:05
ECCOLO, IL 'SANO' SISTEMA BANCARIO ITALIANO - LA CRISI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO È STATA PAGATA DAI RISPARMIATORI: UNA MAZZATA DA 210 MILIARDI DI EURO DALL'INIZIO DELLA CRISI
- E SI PARLA SOLO DI VALORE PERSO, AL QUALE VA AGGIUNTO IL DANNO ALL'ECONOMIA REALE: MENO PRESTITI, MENO IMPRESE, PIÙ FALLIMENTI
La crisi delle banche italiane è costata la bellezza di 210 miliardi di euro. Avete letto bene. I calcoli li ha fatti il centro studi ImpresaLavoro, ma i numeri, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sono invisibili, mentre il peso si fa sentire
Nicola Porro per ''Il Giornale''
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 124728.htm
14 MAG 2016 18:05
ECCOLO, IL 'SANO' SISTEMA BANCARIO ITALIANO - LA CRISI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO È STATA PAGATA DAI RISPARMIATORI: UNA MAZZATA DA 210 MILIARDI DI EURO DALL'INIZIO DELLA CRISI
- E SI PARLA SOLO DI VALORE PERSO, AL QUALE VA AGGIUNTO IL DANNO ALL'ECONOMIA REALE: MENO PRESTITI, MENO IMPRESE, PIÙ FALLIMENTI
La crisi delle banche italiane è costata la bellezza di 210 miliardi di euro. Avete letto bene. I calcoli li ha fatti il centro studi ImpresaLavoro, ma i numeri, pur essendo sotto gli occhi di tutti, sono invisibili, mentre il peso si fa sentire
Nicola Porro per ''Il Giornale''
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 124728.htm
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Re: Economia
TENIAMO LA TESTA BEN SALDA SOTTO LA SABBIA, COSI' NON VEDIAMO IL BURRONE, MENTRE MUSSOLONI CONTINUA A SUONARE IL PIFFERO.
IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Economia
Industria, Istat: “A marzo il fatturato crolla del 3,6% in un anno: è il calo peggiore dal 2013″. Pesa il settore auto
Economia
di F. Q. | 25 maggio 2016
COMMENTI (6)
A marzo crolla il fatturato dell’industria, trascinato verso il basso dal settore dell’auto.
Il dato segna il peggiore calo su base annuale a partire da agosto 2013, con una riduzione del 3,6% rispetto al 2015.
Finora il dato era stato tenuto a galla proprio dal settore dell’auto, che oggi invece dà un segno di cedimento, registrando il primo calo dal dicembre del 2013.
Non si tratta certo di un segnale incoraggiante per la ripresa italiana, con il Pil che nel primo trimestre ha segnato un aumento dello 0,3%, avanzando a un ritmo ridotto rispetto ai partner dell’Eurozona che viaggiavano a +0,5%.
Nel dettaglio, il fatturato dell’industria ha registrato una flessione anche rispetto a febbraio dell’1,6% e nella media dei primi tre mesi dell’anno dell’1,1%.
Risultano in contrazione sul mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all’anno precedente, crescono dello 0,1%.
La contrazione del fatturato, segnala l’Istat, è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero. Il calo degli ordinativi è verificato sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).
A pesare sulla flessione dell’industria è il calo del fatturato del settore autoveicoli, che cala a marzo del 6,5% rispetto all’anno precedente.
Lo rileva l’Istat sottolineando che si tratta del primo calo da dicembre del 2013, oltre due anni fa.
Per la fabbricazione di mezzi di trasporto in generale, gli incassi sono in aumento del 5,1%.
Per il settore auto è negativo anche il bilancio dei primi tre mesi dell’anno, con i fatturati in contrazione del 3,3%.
Mantengono il segno più, invece, gli ordinativi, che crescono dello 0,1% a marzo e del 2,6% nella media del trimestre.
IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Economia
Industria, Istat: “A marzo il fatturato crolla del 3,6% in un anno: è il calo peggiore dal 2013″. Pesa il settore auto
Economia
di F. Q. | 25 maggio 2016
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A marzo crolla il fatturato dell’industria, trascinato verso il basso dal settore dell’auto.
Il dato segna il peggiore calo su base annuale a partire da agosto 2013, con una riduzione del 3,6% rispetto al 2015.
Finora il dato era stato tenuto a galla proprio dal settore dell’auto, che oggi invece dà un segno di cedimento, registrando il primo calo dal dicembre del 2013.
Non si tratta certo di un segnale incoraggiante per la ripresa italiana, con il Pil che nel primo trimestre ha segnato un aumento dello 0,3%, avanzando a un ritmo ridotto rispetto ai partner dell’Eurozona che viaggiavano a +0,5%.
Nel dettaglio, il fatturato dell’industria ha registrato una flessione anche rispetto a febbraio dell’1,6% e nella media dei primi tre mesi dell’anno dell’1,1%.
Risultano in contrazione sul mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all’anno precedente, crescono dello 0,1%.
La contrazione del fatturato, segnala l’Istat, è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero. Il calo degli ordinativi è verificato sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).
A pesare sulla flessione dell’industria è il calo del fatturato del settore autoveicoli, che cala a marzo del 6,5% rispetto all’anno precedente.
Lo rileva l’Istat sottolineando che si tratta del primo calo da dicembre del 2013, oltre due anni fa.
Per la fabbricazione di mezzi di trasporto in generale, gli incassi sono in aumento del 5,1%.
Per il settore auto è negativo anche il bilancio dei primi tre mesi dell’anno, con i fatturati in contrazione del 3,3%.
Mantengono il segno più, invece, gli ordinativi, che crescono dello 0,1% a marzo e del 2,6% nella media del trimestre.
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Re: Economia
La crisi
finanziaria
Il Fatto Speciale
Dal Bail-in ai risparmi
in fumo alle sofferenze
Quel che serve sapere
Precipizio Dal crac di Popolare Etruria in poi
il settore creditizio rischia la crisi sistemica:
si tratta con l’Europa per non far saltare tutto
» MARCO MARONI
Non c’è solo la crisi del Montepaschi.
Fiaccato dalla peggiore
recessione dal dopoguerra
(che fa esplodere il numero di
debitori insolventi), da tanti
casi di malagestione e da una
vigilanza distratta o connivente,
il settore bancario italiano
è in grave difficoltà. Gli
italiani se ne sono accorti con
il salvataggio di quattro banche
locali in novembre, pagato
dai risparmiatori con l’a zzeramento
di 2,6 miliardi di
titoli. Ci troviamo nel mezzo
di una situazione che rischia
d’essere disastrosa per il Paese
e talvolta è difficile orientarsi
tra tecnicismi, acronimi
e procedure complesse da addetti
ai lavori. Ecco una guida
ragionata.
CREDITI DETERIORATI In gergo
finanziario sono noti come
Non performing loans (N pl),
sono i crediti difficili da riscuotere,
perché l’azienda o
l’individuo a cui il denaro è stato
prestato si trova in una situazione
di difficoltà finanziaria.
I casi più difficili sono definiti
“incagli” e “sofferenze”.
I primi sono crediti in situazione
di difficoltà temporanea,
i secondi sono inesigibili
perché il debitore è in fallimento
o in una situazione simile.
Poiché la gran parte dei
prestiti erogati è a fronte di garanzie
offerte dal debitore
(per esempio immobili su cui è
stata iscritta un’ipoteca) si
conta su un margine di recupero.
La banca così svaluta il
credito e ne copre una parte
con accantonamenti in vista di
future perdite. La parte di sofferenze
al netto delle svalutazioni
effettuate, sono le cosiddette
sofferenze nette. La crisi
ha fatto esplodere le sofferenze.
Erano 59 miliardi lordi e 36
netti nel 2009, sono 198 miliardi
lordi e 85 netti ora. Significa
che del totale dei crediti in
sofferenza il sistema bancario
valuta si possa recuperare il
42%. Solo che il mercato la
pensa diversamente. Il prezzo
offerto dai fondi speculativi
stranieri è attorno al 20%.
All’incirca quello applicato alle
quattro banche locali (Marche,
Etruria, Ferrara, Chieti)
salvate nel novembre scorso.
La Bce ha chiesto al Monte dei
Paschi di ridurre di 10 miliardi
entro tre anni la sua mole di
crediti deteriorati lordi (47
miliardi, 24 netti). Venderli ai
prezzi di mercato aprirebbe
voragini nel bilancio
BAIL- IN È la nuova norma Ue
per le crisi bancarie prevista
dalla direttiva Brrd (Bank recovery
and resolution directive).
Il principio fondamentale
è la condivisione delle perdite
Del salvataggio della banca in
difficoltà devono farsi carico,
nell’ordine: azionisti, portatori
di obbligazioni subordinate
e di obbligazioni senior e, se
non basta, anche correntisti
sopra i 100 mila euro (sotto
questa cifra c’è la garanzia del
fondo interbancario). La direttiva
Ue è stata recepita in Italia
il 16 novembre 2015 e applicata
al salvataggio di quattro
banche locali: Popolare
de ll’Etruria, Banca Marche,
Cassa di risparmio di Ferrara e
Cassa di risparmio di Chieti.
Per coprire le perdite, il valore
delle obbligazioni subordinate
è stato azzerato. I piccoli risparmiatori
coinvolti erano
10.500, per un valore totale di
340 milioni di euro. L’istituto
da salvare adesso è il Monte
dei Paschi di Siena, terza banca
nazionale. Considerato il
contenzioso e le proteste innescate
dalla vicenda delle
quattro banche locali, il governo
sta cercando di evitare di
applicare la stessa direttiva e
quindi salvare i risparmi. Le
obbligazioni subordinate del
Montepaschi sono in mano a
circa 60 mila risparmiatori.
AIUTI DI STATO Fino al 2013,
per gli Stati dell’Ue era molto
più facile salvare le proprie
b a n c h e ( i l c o s i d d e t t o
bail-out): il totale degli interventi,
tra il 2018-2014 ha superato
i 600 miliardi di euro
(pubblici). Dal 2013, con
un’apposita comunicazione, e
poi in seguito con il bai l-in,
Bruxelles ha stabilito che prima
vanno tosati azionisti e
creditori. Le trattative vengono
fatte con gli uffici dell’An -
titrust europeo della Commissaria
Margrethe Vestager.
SUBORDINATE Sono i titoli obbligazionari
meno garantiti. I
titoli di debito si distinguono
in due principali classi: senior
e subordinati. Le obbligazioni
seniorosecured sono le più garantite,
danno al sottoscrittore
il diritto prioritario al rimborso
in caso di fallimento o di
bail-in. Le obbligazioni subordinate
fanno invece parte del
debito cosiddetto unsecured,o
junior. In caso di fallimento o
di bail-in, queste obbligazioni
sono rimborsate solo dopo che
siano stati soddisfatti gli obbligazionisti
senior, ma se non
basta a coprire le perdite (per
almeno l’8% delle passività totali)
anche queste ultime vengono
azzerate. La Banca d’Ita -
lia calcola in 67 miliardi le obbligazioni
subordinate in circolazione
in Italia, quasi la metà
in mano alle famiglie (il resto
è degli investitori professionali).
Mps ne ha per quasi 5
miliardi.
AUMENTI DI CAPITALE Il patrimonio
netto delle banche,
come di qualsiasi società, è dato
dalla differenza tra attivo e
passivo. Quando l’attivo diminuisce
il patrimonio cala e i soci
devono mettere mano al
portafoglio per ricostituirlo.
L’attivo delle banche è fatto
prevalentemente di crediti,
soldi prestati a imprese e famiglie.
Quando questi crediti diventano
deteriorati o inesigibili,
insieme all’attivo cala anche
il patrimonio. Le banche
hanno per legge dei requisiti di
patrimonio molto stringenti,
quindi in caso di deterioramento
dei crediti sono costrette
ad aumentare il capitale
chiedendo i soldi al mercato
(con la possibilità di dare la
precedenza, in opzione, ai soci).
Se Mps applicasse subito
quanto chiesto dalla Bce, dovrebbe
reperire tra i 3 e i 4 miliardi.
VIGILANZA BANCARIA Dal
novembre del 2014, la vigilanza
sugli istituti di credito non è
più appannaggio della sola
Banca d’Italia, ma si è allargata
alla Banca centrale europea,
come previsto dall’Uni one
bancaria. È nato il Single supervisory
mechanism, che sorveglia
le banche “significati -
ve” dell'area euro, cioè quelle
con attivi sopra 30 miliardi o
superiori comunque al 20%
del Pil del Paese. Quelle “meno
significative” restano sotto il
faro di Via Nazionale, i cui ispettori
affiancano in colleghi
della Bce nelle ispezioni delle
grandi banche. Francoforte
non è però un corpo unico: l'Unione
bancaria – sulla carta
composta da tre pilastri – ha
previsto una distinzione tra
politica monetaria e supervisione
sul credito per evitare
conflitti tra obiettivi divergenti.
Risultato: l’attività di
Mario Draghi è separata da
quella della vigilanza, guidata
dalla francese Danièle Nouy, e
in questi mesi si è notata la diversità
di approccio tra i due. Il
secondo pilastro è il “Mecca -
nismo unico di risoluzione”
per gestire le crisi bancarie,
anche se in caso di aiuti di Stato
serve sempre l'ok di Bruxelles
(altrimenti la Bce deve cassarli
dal capitale dell'istituto salvato).
Il terzo pilastro dell’Unio -
ne bancaria, l'assicurazione unica
sui depositi a livello europeo,
non è mai nato perché
Berlino ha posto il veto, prima
vuole che si spezzi il legame
tra Stati e banche che comprano
i loro titoli di debito.
STRESS TEST Sono definite
così le valutazioni che i tecnici
della Bce fanno sui patrimoni
bancari per determinarne la
vulnerabilità a eventi negativi,
per esempio un peggioramento
della crisi economica, un
deterioramento dei crediti, una
crisi di fiducia degli investitori.
Servono insomma a
stabilire se le banche sono abbastanza
solide da sopportare
eventi imprevisti. La valutazione
consiste innanzitutto in
un’analisi degli attivi, per verificare
se il patrimonio sia adeguato
a fronteggiare la loro
rischiosità. I primi stress test
della vigilanza Bce sulle banche
europee, di cui 15 italiane,
furono fatti alla fine del 2013.
Nove banche italiane risultarono
potenzialmente carenti
di capitale: Banco Popolare,
Popolare di Milano, Popolare
di Sondrio, Popolare di Vicenza,
Carige, Credito Valtellinese,
Monte dei Paschi, Veneto
Banca. Queste banche nel
2014 fecero aumenti di capitale
per complessivi 10 miliardi e
rientrarono nei parametri di
prudenza stabiliti dalla vigilanza.
Alla fine del 2014 rimanevano
fuori dai parametri solo
Mps e Carige. I risultati dei
nuovi stress test, che riguardano
53 banche europee di cui 5
italiane (Unicredit, Intesa
Sanpaolo, Banca Monte dei
Paschi di Siena, Banco Popolare
e Ubi) verranno resi noti il
29 luglio: Mps non dovrebbe
passarli. Rispetto ai vecchi test,
però, i nuovi non determinano
una bocciatura secca con
richiesta della Bce di nuovo
capitale. Ma la banca sarà di
fatto spinta a farlo per evitare
ulteriori crolli in Borsa.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
finanziaria
Il Fatto Speciale
Dal Bail-in ai risparmi
in fumo alle sofferenze
Quel che serve sapere
Precipizio Dal crac di Popolare Etruria in poi
il settore creditizio rischia la crisi sistemica:
si tratta con l’Europa per non far saltare tutto
» MARCO MARONI
Non c’è solo la crisi del Montepaschi.
Fiaccato dalla peggiore
recessione dal dopoguerra
(che fa esplodere il numero di
debitori insolventi), da tanti
casi di malagestione e da una
vigilanza distratta o connivente,
il settore bancario italiano
è in grave difficoltà. Gli
italiani se ne sono accorti con
il salvataggio di quattro banche
locali in novembre, pagato
dai risparmiatori con l’a zzeramento
di 2,6 miliardi di
titoli. Ci troviamo nel mezzo
di una situazione che rischia
d’essere disastrosa per il Paese
e talvolta è difficile orientarsi
tra tecnicismi, acronimi
e procedure complesse da addetti
ai lavori. Ecco una guida
ragionata.
CREDITI DETERIORATI In gergo
finanziario sono noti come
Non performing loans (N pl),
sono i crediti difficili da riscuotere,
perché l’azienda o
l’individuo a cui il denaro è stato
prestato si trova in una situazione
di difficoltà finanziaria.
I casi più difficili sono definiti
“incagli” e “sofferenze”.
I primi sono crediti in situazione
di difficoltà temporanea,
i secondi sono inesigibili
perché il debitore è in fallimento
o in una situazione simile.
Poiché la gran parte dei
prestiti erogati è a fronte di garanzie
offerte dal debitore
(per esempio immobili su cui è
stata iscritta un’ipoteca) si
conta su un margine di recupero.
La banca così svaluta il
credito e ne copre una parte
con accantonamenti in vista di
future perdite. La parte di sofferenze
al netto delle svalutazioni
effettuate, sono le cosiddette
sofferenze nette. La crisi
ha fatto esplodere le sofferenze.
Erano 59 miliardi lordi e 36
netti nel 2009, sono 198 miliardi
lordi e 85 netti ora. Significa
che del totale dei crediti in
sofferenza il sistema bancario
valuta si possa recuperare il
42%. Solo che il mercato la
pensa diversamente. Il prezzo
offerto dai fondi speculativi
stranieri è attorno al 20%.
All’incirca quello applicato alle
quattro banche locali (Marche,
Etruria, Ferrara, Chieti)
salvate nel novembre scorso.
La Bce ha chiesto al Monte dei
Paschi di ridurre di 10 miliardi
entro tre anni la sua mole di
crediti deteriorati lordi (47
miliardi, 24 netti). Venderli ai
prezzi di mercato aprirebbe
voragini nel bilancio
BAIL- IN È la nuova norma Ue
per le crisi bancarie prevista
dalla direttiva Brrd (Bank recovery
and resolution directive).
Il principio fondamentale
è la condivisione delle perdite
Del salvataggio della banca in
difficoltà devono farsi carico,
nell’ordine: azionisti, portatori
di obbligazioni subordinate
e di obbligazioni senior e, se
non basta, anche correntisti
sopra i 100 mila euro (sotto
questa cifra c’è la garanzia del
fondo interbancario). La direttiva
Ue è stata recepita in Italia
il 16 novembre 2015 e applicata
al salvataggio di quattro
banche locali: Popolare
de ll’Etruria, Banca Marche,
Cassa di risparmio di Ferrara e
Cassa di risparmio di Chieti.
Per coprire le perdite, il valore
delle obbligazioni subordinate
è stato azzerato. I piccoli risparmiatori
coinvolti erano
10.500, per un valore totale di
340 milioni di euro. L’istituto
da salvare adesso è il Monte
dei Paschi di Siena, terza banca
nazionale. Considerato il
contenzioso e le proteste innescate
dalla vicenda delle
quattro banche locali, il governo
sta cercando di evitare di
applicare la stessa direttiva e
quindi salvare i risparmi. Le
obbligazioni subordinate del
Montepaschi sono in mano a
circa 60 mila risparmiatori.
AIUTI DI STATO Fino al 2013,
per gli Stati dell’Ue era molto
più facile salvare le proprie
b a n c h e ( i l c o s i d d e t t o
bail-out): il totale degli interventi,
tra il 2018-2014 ha superato
i 600 miliardi di euro
(pubblici). Dal 2013, con
un’apposita comunicazione, e
poi in seguito con il bai l-in,
Bruxelles ha stabilito che prima
vanno tosati azionisti e
creditori. Le trattative vengono
fatte con gli uffici dell’An -
titrust europeo della Commissaria
Margrethe Vestager.
SUBORDINATE Sono i titoli obbligazionari
meno garantiti. I
titoli di debito si distinguono
in due principali classi: senior
e subordinati. Le obbligazioni
seniorosecured sono le più garantite,
danno al sottoscrittore
il diritto prioritario al rimborso
in caso di fallimento o di
bail-in. Le obbligazioni subordinate
fanno invece parte del
debito cosiddetto unsecured,o
junior. In caso di fallimento o
di bail-in, queste obbligazioni
sono rimborsate solo dopo che
siano stati soddisfatti gli obbligazionisti
senior, ma se non
basta a coprire le perdite (per
almeno l’8% delle passività totali)
anche queste ultime vengono
azzerate. La Banca d’Ita -
lia calcola in 67 miliardi le obbligazioni
subordinate in circolazione
in Italia, quasi la metà
in mano alle famiglie (il resto
è degli investitori professionali).
Mps ne ha per quasi 5
miliardi.
AUMENTI DI CAPITALE Il patrimonio
netto delle banche,
come di qualsiasi società, è dato
dalla differenza tra attivo e
passivo. Quando l’attivo diminuisce
il patrimonio cala e i soci
devono mettere mano al
portafoglio per ricostituirlo.
L’attivo delle banche è fatto
prevalentemente di crediti,
soldi prestati a imprese e famiglie.
Quando questi crediti diventano
deteriorati o inesigibili,
insieme all’attivo cala anche
il patrimonio. Le banche
hanno per legge dei requisiti di
patrimonio molto stringenti,
quindi in caso di deterioramento
dei crediti sono costrette
ad aumentare il capitale
chiedendo i soldi al mercato
(con la possibilità di dare la
precedenza, in opzione, ai soci).
Se Mps applicasse subito
quanto chiesto dalla Bce, dovrebbe
reperire tra i 3 e i 4 miliardi.
VIGILANZA BANCARIA Dal
novembre del 2014, la vigilanza
sugli istituti di credito non è
più appannaggio della sola
Banca d’Italia, ma si è allargata
alla Banca centrale europea,
come previsto dall’Uni one
bancaria. È nato il Single supervisory
mechanism, che sorveglia
le banche “significati -
ve” dell'area euro, cioè quelle
con attivi sopra 30 miliardi o
superiori comunque al 20%
del Pil del Paese. Quelle “meno
significative” restano sotto il
faro di Via Nazionale, i cui ispettori
affiancano in colleghi
della Bce nelle ispezioni delle
grandi banche. Francoforte
non è però un corpo unico: l'Unione
bancaria – sulla carta
composta da tre pilastri – ha
previsto una distinzione tra
politica monetaria e supervisione
sul credito per evitare
conflitti tra obiettivi divergenti.
Risultato: l’attività di
Mario Draghi è separata da
quella della vigilanza, guidata
dalla francese Danièle Nouy, e
in questi mesi si è notata la diversità
di approccio tra i due. Il
secondo pilastro è il “Mecca -
nismo unico di risoluzione”
per gestire le crisi bancarie,
anche se in caso di aiuti di Stato
serve sempre l'ok di Bruxelles
(altrimenti la Bce deve cassarli
dal capitale dell'istituto salvato).
Il terzo pilastro dell’Unio -
ne bancaria, l'assicurazione unica
sui depositi a livello europeo,
non è mai nato perché
Berlino ha posto il veto, prima
vuole che si spezzi il legame
tra Stati e banche che comprano
i loro titoli di debito.
STRESS TEST Sono definite
così le valutazioni che i tecnici
della Bce fanno sui patrimoni
bancari per determinarne la
vulnerabilità a eventi negativi,
per esempio un peggioramento
della crisi economica, un
deterioramento dei crediti, una
crisi di fiducia degli investitori.
Servono insomma a
stabilire se le banche sono abbastanza
solide da sopportare
eventi imprevisti. La valutazione
consiste innanzitutto in
un’analisi degli attivi, per verificare
se il patrimonio sia adeguato
a fronteggiare la loro
rischiosità. I primi stress test
della vigilanza Bce sulle banche
europee, di cui 15 italiane,
furono fatti alla fine del 2013.
Nove banche italiane risultarono
potenzialmente carenti
di capitale: Banco Popolare,
Popolare di Milano, Popolare
di Sondrio, Popolare di Vicenza,
Carige, Credito Valtellinese,
Monte dei Paschi, Veneto
Banca. Queste banche nel
2014 fecero aumenti di capitale
per complessivi 10 miliardi e
rientrarono nei parametri di
prudenza stabiliti dalla vigilanza.
Alla fine del 2014 rimanevano
fuori dai parametri solo
Mps e Carige. I risultati dei
nuovi stress test, che riguardano
53 banche europee di cui 5
italiane (Unicredit, Intesa
Sanpaolo, Banca Monte dei
Paschi di Siena, Banco Popolare
e Ubi) verranno resi noti il
29 luglio: Mps non dovrebbe
passarli. Rispetto ai vecchi test,
però, i nuovi non determinano
una bocciatura secca con
richiesta della Bce di nuovo
capitale. Ma la banca sarà di
fatto spinta a farlo per evitare
ulteriori crolli in Borsa.
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Re: Economia
ECONOMIA
Banche, il piano del governo
per garantire i risparmiatori
Decisivi gli «stress test»
Secondo il governo non c’è un caso banche italiane. Ma soluzioni riguardo al piano per gestire la crisi ancora non sono state raggiunte. A sentire le opposizioni sembra che la situazione stia per precipitare. Beppe Grillo scrive sul suo blog: «Se salta Mps, nuova crisi globale». Intanto, il 29 luglio si attende il risultato degli stress test su 53 istituti europei, cinque italiani
di Enrico Marro
La situazione delle banche italiane, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, è drammatica oppure no? A sentire il governo c’è “solo” un problema di «sofferenze», cioè di crediti inesigibili da smaltire, che può essere affrontato con «soluzioni di mercato» mentre per il resto non c’è un caso banche italiane perché, per esempio, la montagna di derivati in pancia agli istituti di credito tedeschi è un bubbone altrettanto preoccupante. A sentire le opposizioni sembra invece che la situazione stia per precipitare. Il leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, scrive sul suo blog che «Monte dei Paschi di Siena potrebbe scatenare una nuova crisi finanziaria globale trascinandosi dietro anche colossi esteri come Deutsche Bank». E Renato Brunetta di Forza Italia sfida il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «Venga in Parlamento a dire la verità».Di sicuro il governo, al di là delle dichiarazioni, è preoccupato. Anche perché sui due fronti del piano per gestire la crisi non si sono ancora raggiunte soluzioni. Non è stata infatti lanciata l’operazione di cartolarizzazione dei crediti deteriorati di Mps, che secondo la Banca centrale europea dovrebbero essere ceduti per almeno 10 miliardi (su un totale di 47 miliardi lordi) entro tre anni. Mancano purtroppo investitori privati (banche innanzitutto) disposti a mettere altri soldi nel fondo Atlante che dovrebbe occuparsi appunto di rilevare i crediti deteriorati. Sul secondo fronte del piano, quello della ricapitalizzazione del Monte, non c’è ancora l’accordo con l’Ue.
Appuntamento il 29 luglio
Oggi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, volerà a Bruxelles per la riunione con i colleghi dell’Eurogruppo e domani dell’Ecofin. Sui tavoli e ancora di più nei corridoi si parlerà delle banche, anche se il tema non figura all’ordine del giorno. La trattativa con la Commissione europea è complicata. Oggetto del contendere sono le conseguenze a carico dei risparmiatori nel caso di intervento dello Stato nel capitale del Monte dei Paschi. Intervento per qualche miliardo (la misura dipende anche dal prezzo cui verranno ceduti i crediti deteriorati) che potrebbe rendersi necessario quando il 29 luglio l’Eba, autorità europea, renderà noti i risultati degli stress test su 53 banche europee, di cui 5 italiane (oltre a Mps, Unicredit, Intesa , Banco popolare e Ubi). Le nuove regole Ue prevedono che in caso di salvataggio pubblico di una banca vengano salvaguardati solo i depositi fino a 100 mila euro. Nessuna protezione invece per le quote eccedenti e per chi ha investito in titoli azionari e obbligazionari della banca. Questo perché si vuole che il prezzo del fallimento sia a carico di chi si è assunto il rischio dell’investimento e non dei contribuenti. Queste regole (bail in) possono però essere sospese e quindi la protezione accordata a tutti nel caso in cui sia a rischio la stabilità finanziaria, dicono le stesse regole Ue. Ci sono due fattori che potrebbero configurare questo rischio. 1) Mps è la terza banca italiana. 2) Obbligazioni subordinate per complessivi 5 miliardi sono in mano a 60 mila piccoli risparmiatori (2,1 miliardi rappresentati dal bond con taglio minimo da mille euro rifilato alla clientela per finanziare l’acquisto di Antonveneta) e a vari investitori istituzionali (circa 2 miliardi). Un mix che potrebbe scatenare il panico in caso di bail in. Ecco perché, dice il governo, andrebbe sospeso. Tanto più se gli stress test evidenzieranno che ci sono problemi anche per grandi banche straniere.
http://www.corriere.it/economia/16_lugl ... b946.shtml
Banche, il piano del governo
per garantire i risparmiatori
Decisivi gli «stress test»
Secondo il governo non c’è un caso banche italiane. Ma soluzioni riguardo al piano per gestire la crisi ancora non sono state raggiunte. A sentire le opposizioni sembra che la situazione stia per precipitare. Beppe Grillo scrive sul suo blog: «Se salta Mps, nuova crisi globale». Intanto, il 29 luglio si attende il risultato degli stress test su 53 istituti europei, cinque italiani
di Enrico Marro
La situazione delle banche italiane, in particolare del Monte dei Paschi di Siena, è drammatica oppure no? A sentire il governo c’è “solo” un problema di «sofferenze», cioè di crediti inesigibili da smaltire, che può essere affrontato con «soluzioni di mercato» mentre per il resto non c’è un caso banche italiane perché, per esempio, la montagna di derivati in pancia agli istituti di credito tedeschi è un bubbone altrettanto preoccupante. A sentire le opposizioni sembra invece che la situazione stia per precipitare. Il leader del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo, scrive sul suo blog che «Monte dei Paschi di Siena potrebbe scatenare una nuova crisi finanziaria globale trascinandosi dietro anche colossi esteri come Deutsche Bank». E Renato Brunetta di Forza Italia sfida il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: «Venga in Parlamento a dire la verità».Di sicuro il governo, al di là delle dichiarazioni, è preoccupato. Anche perché sui due fronti del piano per gestire la crisi non si sono ancora raggiunte soluzioni. Non è stata infatti lanciata l’operazione di cartolarizzazione dei crediti deteriorati di Mps, che secondo la Banca centrale europea dovrebbero essere ceduti per almeno 10 miliardi (su un totale di 47 miliardi lordi) entro tre anni. Mancano purtroppo investitori privati (banche innanzitutto) disposti a mettere altri soldi nel fondo Atlante che dovrebbe occuparsi appunto di rilevare i crediti deteriorati. Sul secondo fronte del piano, quello della ricapitalizzazione del Monte, non c’è ancora l’accordo con l’Ue.
Appuntamento il 29 luglio
Oggi il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, volerà a Bruxelles per la riunione con i colleghi dell’Eurogruppo e domani dell’Ecofin. Sui tavoli e ancora di più nei corridoi si parlerà delle banche, anche se il tema non figura all’ordine del giorno. La trattativa con la Commissione europea è complicata. Oggetto del contendere sono le conseguenze a carico dei risparmiatori nel caso di intervento dello Stato nel capitale del Monte dei Paschi. Intervento per qualche miliardo (la misura dipende anche dal prezzo cui verranno ceduti i crediti deteriorati) che potrebbe rendersi necessario quando il 29 luglio l’Eba, autorità europea, renderà noti i risultati degli stress test su 53 banche europee, di cui 5 italiane (oltre a Mps, Unicredit, Intesa , Banco popolare e Ubi). Le nuove regole Ue prevedono che in caso di salvataggio pubblico di una banca vengano salvaguardati solo i depositi fino a 100 mila euro. Nessuna protezione invece per le quote eccedenti e per chi ha investito in titoli azionari e obbligazionari della banca. Questo perché si vuole che il prezzo del fallimento sia a carico di chi si è assunto il rischio dell’investimento e non dei contribuenti. Queste regole (bail in) possono però essere sospese e quindi la protezione accordata a tutti nel caso in cui sia a rischio la stabilità finanziaria, dicono le stesse regole Ue. Ci sono due fattori che potrebbero configurare questo rischio. 1) Mps è la terza banca italiana. 2) Obbligazioni subordinate per complessivi 5 miliardi sono in mano a 60 mila piccoli risparmiatori (2,1 miliardi rappresentati dal bond con taglio minimo da mille euro rifilato alla clientela per finanziare l’acquisto di Antonveneta) e a vari investitori istituzionali (circa 2 miliardi). Un mix che potrebbe scatenare il panico in caso di bail in. Ecco perché, dice il governo, andrebbe sospeso. Tanto più se gli stress test evidenzieranno che ci sono problemi anche per grandi banche straniere.
http://www.corriere.it/economia/16_lugl ... b946.shtml
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Re: Economia
Istat: “A giugno i prezzi calano dello 0,4% in un anno. E’ il quinto mese consecutivo di deflazione”
Economia
A trascinare il dato verso il basso sono i beni energetici, mentre i prodotti alimentari tornano a crescere. Codacons: "Siamo in presenza di una emergenza prezzi nel nostro Paese. Il governo resta a guardare mentre le famiglie non comprano e il commercio soffre una crisi nerissima"
di F. Q. | 13 luglio 2016
Giugno 2016 è il quinto mese consecutivo di deflazione in Italia. L’Istat conferma che l’indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,4% in un anno, un calo peggiore rispetto allo 0,3% di maggio. Anche se il dato, su base mensile, registra un aumento dello 0,1%.
Il Codacons, associazione dei consumatori, ha commentato la tendenza parlando di “emergenza prezzi” e accusando il governo di “restare a guardare”.
Il perdurare della deflazione, spiega l’Istat, è in gran parte riconducibile all’ampio calo dei prezzi dei beni energetici (-7,5% rispetto a giugno 2015), sebbene meno intenso di quello registrato a maggio.
Al netto di questi beni l’inflazione, anche se in lieve ridimensionamento, resta positiva e pari a +0,4% (era +0,5% a maggio). L’inflazione acquisita per il 2016, cioè quella relativa all’anno in corso, è pari a -0,2%.
I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, che riempiono il carrello della spesa degli italiani, tornano invece a crescere e aumentano dello 0,2% sia su base mensile sia su base annua.
A maggio la variazione era stata nulla.
“Siamo in presenza di una emergenza prezzi nel nostro Paese, con i listini che per il quinto mese consecutivo registrano segno negativo su base annua – commenta il presidente del Codacons,Carlo Rienzi –
Il grave perdurare della deflazione è dovuto principalmente alla mancata ripresa dei consumi da parte delle famiglie.
Il 2016 doveva essere infatti l’anno della ripartenza della spesa, ma la domanda interna appare lenta e ben al di sotto delle aspettative”.
Così l’associazione dei consumatori punta il dito contro l’esecutivo: “Di fronte al perdurare di tale situazione che danneggia da mesi l’intera economia italiana, il governo avrebbe dovuto correre ai ripari, adottando misure correttive.
Al contrario, l’esecutivo resta a guardare mentre i prezzi scendono, le famiglie non comprano e il commercio soffre una crisi nerissima”.
Economia
A trascinare il dato verso il basso sono i beni energetici, mentre i prodotti alimentari tornano a crescere. Codacons: "Siamo in presenza di una emergenza prezzi nel nostro Paese. Il governo resta a guardare mentre le famiglie non comprano e il commercio soffre una crisi nerissima"
di F. Q. | 13 luglio 2016
Giugno 2016 è il quinto mese consecutivo di deflazione in Italia. L’Istat conferma che l’indice dei prezzi al consumo è sceso dello 0,4% in un anno, un calo peggiore rispetto allo 0,3% di maggio. Anche se il dato, su base mensile, registra un aumento dello 0,1%.
Il Codacons, associazione dei consumatori, ha commentato la tendenza parlando di “emergenza prezzi” e accusando il governo di “restare a guardare”.
Il perdurare della deflazione, spiega l’Istat, è in gran parte riconducibile all’ampio calo dei prezzi dei beni energetici (-7,5% rispetto a giugno 2015), sebbene meno intenso di quello registrato a maggio.
Al netto di questi beni l’inflazione, anche se in lieve ridimensionamento, resta positiva e pari a +0,4% (era +0,5% a maggio). L’inflazione acquisita per il 2016, cioè quella relativa all’anno in corso, è pari a -0,2%.
I prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona, che riempiono il carrello della spesa degli italiani, tornano invece a crescere e aumentano dello 0,2% sia su base mensile sia su base annua.
A maggio la variazione era stata nulla.
“Siamo in presenza di una emergenza prezzi nel nostro Paese, con i listini che per il quinto mese consecutivo registrano segno negativo su base annua – commenta il presidente del Codacons,Carlo Rienzi –
Il grave perdurare della deflazione è dovuto principalmente alla mancata ripresa dei consumi da parte delle famiglie.
Il 2016 doveva essere infatti l’anno della ripartenza della spesa, ma la domanda interna appare lenta e ben al di sotto delle aspettative”.
Così l’associazione dei consumatori punta il dito contro l’esecutivo: “Di fronte al perdurare di tale situazione che danneggia da mesi l’intera economia italiana, il governo avrebbe dovuto correre ai ripari, adottando misure correttive.
Al contrario, l’esecutivo resta a guardare mentre i prezzi scendono, le famiglie non comprano e il commercio soffre una crisi nerissima”.
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