Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
IL TITOLO DE IL GIORNALE SA' DI PROPAGANDA, MA MUSSOLONI FA' DI TUTTO PER AVERE TUTTI CONTRO.
LA FOTO DI UN ANTICIPO DI QUELLO CHE CI ASPETTERA'.
1 ora fa
Così crolla la Firenze renziana
Auto inghiottite dalla voragine
Claudio Torre
Firenze, Lungarno, voragine di 200 metri: sprofondano decine di auto
Una voragine di 200 metri ha inghiottito decine di auto lungo l'Arno a Firenze. È stato un risveglio amaro quello di alcuni automobilisti fiorentini che si sono ritrovati la loro auto di fatto sprofondata nel Lungarno Torrigiani, tra Ponte Vecchio e Ponte delle Grazie
Claudio Torre - Mer, 25/05/2016 - 12:05
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 63450.html
LA FOTO DI UN ANTICIPO DI QUELLO CHE CI ASPETTERA'.
1 ora fa
Così crolla la Firenze renziana
Auto inghiottite dalla voragine
Claudio Torre
Firenze, Lungarno, voragine di 200 metri: sprofondano decine di auto
Una voragine di 200 metri ha inghiottito decine di auto lungo l'Arno a Firenze. È stato un risveglio amaro quello di alcuni automobilisti fiorentini che si sono ritrovati la loro auto di fatto sprofondata nel Lungarno Torrigiani, tra Ponte Vecchio e Ponte delle Grazie
Claudio Torre - Mer, 25/05/2016 - 12:05
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 63450.html
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA DALL'ASILO ETRURIA
I FRINGUELLI, MUSSOLONI & PETACCI, TACCIONO. LA SANNO LUNGA SUI PARTIGIANI CHE VOTANO SI, MA SULLE DISGRAZIE ITALIANE SONO MUTI COME PESCI.
PUBBLICITA' PROGRESSO
Il risultato della cura Renzi: l'industria ora va a rotoli
Il fatturato dell'industria segna a marzo il peggiore calo tendenziale a partire da agosto 2013
Angelo Scarano - Mer, 25/05/2016 - 10:53
commenta
Ma la crescita dov'è? Di sicuro non nel settore dell'industria, dove la cura renziana ha portato solo effetti negativi.
Infatti, come fotografa l'Istat, si è registrato un brusco calo di fatturato e ordini industriali a marzo.
Il fatturato dell'industria segna a marzo il peggiore calo tendenziale a partire da agosto 2013, con una riduzione del 3,6% rispetto all'anno precedente nei dati corretti per gli effetti di calendario (-3,7% i dati grezzi).
C'è un calo anche rispetto a febbraio dell'1,6% e nella media dei primi tre mesi dell'anno dell'1,1%. Risultano in contrazione sul mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all'anno precedente, crescono dello 0,1%.
In particolare, il primo subisce una riduzione dell'1,6% rispetto al mese precedente, mentre i secondi scendono del 3,3%.
La contrazione del fatturato è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero.
Il calo degli ordinativi è verificato sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).
Il calo del fatturato è verificato anche considerando la dinamica congiunturale degli ultimi tre mesi: l'indice complessivo cala dell'1,1% (-1,2% per il fatturato interno e -0,9% per quello estero).
Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 come a marzo 2015), il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 3,6%, con un calo del 4,4% sul mercato interno e del 2,2% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano incrementi congiunturali per l'energia (+3,2%) mentre risultano in calo i beni strumentali, i beni intermedi (-2,5% per entrambi) e i beni di consumo (-0,6%).
L'indice grezzo del fatturato si riduce, in termini tendenziali, del 3,7%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dell'energia.
L'incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+6,5%), mentre la maggiore diminuzione, limitatamente al comparto manifatturiero, riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-22,4%).
Su base annua, l'indice grezzo degli ordinativi segna invece un lieve aumento (+0,1%).
L'incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+30,7%), mentre la flessione maggiore si osserva nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-13,2%)
I FRINGUELLI, MUSSOLONI & PETACCI, TACCIONO. LA SANNO LUNGA SUI PARTIGIANI CHE VOTANO SI, MA SULLE DISGRAZIE ITALIANE SONO MUTI COME PESCI.
PUBBLICITA' PROGRESSO
Il risultato della cura Renzi: l'industria ora va a rotoli
Il fatturato dell'industria segna a marzo il peggiore calo tendenziale a partire da agosto 2013
Angelo Scarano - Mer, 25/05/2016 - 10:53
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Ma la crescita dov'è? Di sicuro non nel settore dell'industria, dove la cura renziana ha portato solo effetti negativi.
Infatti, come fotografa l'Istat, si è registrato un brusco calo di fatturato e ordini industriali a marzo.
Il fatturato dell'industria segna a marzo il peggiore calo tendenziale a partire da agosto 2013, con una riduzione del 3,6% rispetto all'anno precedente nei dati corretti per gli effetti di calendario (-3,7% i dati grezzi).
C'è un calo anche rispetto a febbraio dell'1,6% e nella media dei primi tre mesi dell'anno dell'1,1%. Risultano in contrazione sul mese anche gli ordinativi (-3,3%), che invece, rispetto all'anno precedente, crescono dello 0,1%.
In particolare, il primo subisce una riduzione dell'1,6% rispetto al mese precedente, mentre i secondi scendono del 3,3%.
La contrazione del fatturato è sintesi della flessione del 2,6% sul mercato interno e di un lieve incremento (+0,1%) su quello estero.
Il calo degli ordinativi è verificato sia sul mercato interno (-1,5%), sia su quello estero (-5,8%).
Il calo del fatturato è verificato anche considerando la dinamica congiunturale degli ultimi tre mesi: l'indice complessivo cala dell'1,1% (-1,2% per il fatturato interno e -0,9% per quello estero).
Corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 22 come a marzo 2015), il fatturato totale diminuisce in termini tendenziali del 3,6%, con un calo del 4,4% sul mercato interno e del 2,2% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano incrementi congiunturali per l'energia (+3,2%) mentre risultano in calo i beni strumentali, i beni intermedi (-2,5% per entrambi) e i beni di consumo (-0,6%).
L'indice grezzo del fatturato si riduce, in termini tendenziali, del 3,7%: il contributo più ampio a tale flessione viene dalla componente interna dell'energia.
L'incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+6,5%), mentre la maggiore diminuzione, limitatamente al comparto manifatturiero, riguarda la fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-22,4%).
Su base annua, l'indice grezzo degli ordinativi segna invece un lieve aumento (+0,1%).
L'incremento più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (+30,7%), mentre la flessione maggiore si osserva nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-13,2%)
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA VOX POPULI SI FA SENTIRE
COMMENTI
linoalo1
Mer, 25/05/2016 - 11:13
Italiani!!!Ringraziamo NAPOLITANO!!!!
moshe
Mer, 25/05/2016 - 11:14
colpa anche di certi industriali che si sono fatti illudere ed hanno appoggiato il ciarlatano
Libertà75
Mer, 25/05/2016 - 11:34
fate presto
Massimo25
Mer, 25/05/2016 - 11:39
Nessuno lo dice ma l'Italia é già fallita da un pezzo..grazie e tutti gli animali che ci hanno governato di ogni colore e razza.
Duka
Mer, 25/05/2016 - 11:40
In effetti gestisce il Paese come gestì Firenze ed i risultati si vedono. Naturalmente per gli occhi comunisti tutto regolare.
(GLI SCEMI NON MANCANO MAI. DOVE VEDE I COMUNISTI NELL'ITALIA TRASFORMATA IN ASILO ETRURIA, LO SA SOLO LUI. ALFANO E VERDINI SONO COMUNISTI???)
gianpiz47
Mer, 25/05/2016 - 11:41
I dati di cui sopra sono tutti sballati a prescindere; lo ha detto e ribadito più volte il pinocchietto. Ma va là che tutto va ben madama la marchesa.
Ritratto di bandog
bandog
Mer, 25/05/2016 - 11:53
Non è vero che fonzie sta mandando a rotoli l'industria...le sta insegnando a fare il...sub!ACCHHH SOOOO!
griso59
Mer, 25/05/2016 - 12:03
All'industria italiana oltre l'esportazione serve anche un contributo degli italiani. E gli italiani con che cosa possono darglielo, con le chiacchere???? Gli stipendi sono fermi, i risparmi sono tassati e non rendono nulla, pensioni da fame, immobili tassati e crollati di prezzo, disoccupazione alle stelle ecc ecc. Caro signor Renzi/Napolitano solo chiacchere e distintivo.
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linoalo1
Mer, 25/05/2016 - 11:13
Italiani!!!Ringraziamo NAPOLITANO!!!!
moshe
Mer, 25/05/2016 - 11:14
colpa anche di certi industriali che si sono fatti illudere ed hanno appoggiato il ciarlatano
Libertà75
Mer, 25/05/2016 - 11:34
fate presto
Massimo25
Mer, 25/05/2016 - 11:39
Nessuno lo dice ma l'Italia é già fallita da un pezzo..grazie e tutti gli animali che ci hanno governato di ogni colore e razza.
Duka
Mer, 25/05/2016 - 11:40
In effetti gestisce il Paese come gestì Firenze ed i risultati si vedono. Naturalmente per gli occhi comunisti tutto regolare.
(GLI SCEMI NON MANCANO MAI. DOVE VEDE I COMUNISTI NELL'ITALIA TRASFORMATA IN ASILO ETRURIA, LO SA SOLO LUI. ALFANO E VERDINI SONO COMUNISTI???)
gianpiz47
Mer, 25/05/2016 - 11:41
I dati di cui sopra sono tutti sballati a prescindere; lo ha detto e ribadito più volte il pinocchietto. Ma va là che tutto va ben madama la marchesa.
Ritratto di bandog
bandog
Mer, 25/05/2016 - 11:53
Non è vero che fonzie sta mandando a rotoli l'industria...le sta insegnando a fare il...sub!ACCHHH SOOOO!
griso59
Mer, 25/05/2016 - 12:03
All'industria italiana oltre l'esportazione serve anche un contributo degli italiani. E gli italiani con che cosa possono darglielo, con le chiacchere???? Gli stipendi sono fermi, i risparmi sono tassati e non rendono nulla, pensioni da fame, immobili tassati e crollati di prezzo, disoccupazione alle stelle ecc ecc. Caro signor Renzi/Napolitano solo chiacchere e distintivo.
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Re: Diario della caduta di un regime.
stenos
Mer, 25/05/2016 - 12:05
Mi associo al fatto che molti industriali lo abbiano appoggiato magari per spuntare qualche porchetia legislativa che li favoriva.
Ritratto di deep purple
deep purple
Mer, 25/05/2016 - 12:07
Fra due settimane l'istat tirerà fuori un dato dove dirà che ad aprile il fatturato dell'industria ha registrato un aumento e quella volta i giornali di sinistra ne parleranno mentre quelli di destra no. In fondo è sempre stato così.
Ritratto di mbferno
mbferno
Mer, 25/05/2016 - 12:09
Eppure la triade di abusivi vedeva la luce in fondo al tunnel: non si sono accorti che erano le torce degli italiani che navigavano al buio.
epc
Mer, 25/05/2016 - 12:10
La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo.
epc
Mer, 25/05/2016 - 12:11
@moshe: certo, alcuni industriali che fanno parte del "giro", ne trarranno vantaggi.
epc
Mer, 25/05/2016 - 12:12
La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo....
Mer, 25/05/2016 - 12:05
Mi associo al fatto che molti industriali lo abbiano appoggiato magari per spuntare qualche porchetia legislativa che li favoriva.
Ritratto di deep purple
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Mer, 25/05/2016 - 12:07
Fra due settimane l'istat tirerà fuori un dato dove dirà che ad aprile il fatturato dell'industria ha registrato un aumento e quella volta i giornali di sinistra ne parleranno mentre quelli di destra no. In fondo è sempre stato così.
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mbferno
Mer, 25/05/2016 - 12:09
Eppure la triade di abusivi vedeva la luce in fondo al tunnel: non si sono accorti che erano le torce degli italiani che navigavano al buio.
epc
Mer, 25/05/2016 - 12:10
La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo.
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@moshe: certo, alcuni industriali che fanno parte del "giro", ne trarranno vantaggi.
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La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo....
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Re: Diario della caduta di un regime.
stenos
Mer, 25/05/2016 - 12:05
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Eppure la triade di abusivi vedeva la luce in fondo al tunnel: non si sono accorti che erano le torce degli italiani che navigavano al buio.
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La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo.
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@moshe: certo, alcuni industriali che fanno parte del "giro", ne trarranno vantaggi.
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La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo....
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La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo.
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La cura Renzi porta gli effetti voluti da Renzi e dai suoi padroni.... Ma lo volete capire che dalla crisi l'Italia NON deve ritornare ad essere un paese sostanzialmente manifatturiero, come era prima? L'establishment ha deciso che Germania e stati del Nord Europa devono essere manifatturieri, Italia ed altri devono SOLO essere turistici, al limite produrre un po' di cultura, un po' di prodotti tipici, pizza e mandolino e ohè simm'a Napule paisà. Punto. La nostra industria DEVE essere svenduta o affossata (vedi ILVA, ENI ecc.). Noi dobbiamo comprare prodotti da altri, non produrne noi. Banche, Governi, magistrati stanno lavorando per questo....
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA DALL'ASILO ETRURIA
I FRINGUELLI, MUSSOLONI & PETACCI, TACCIONO. LA SANNO LUNGA SUI PARTIGIANI CHE VOTANO SI, MA SULLE DISGRAZIE ITALIANE SONO MUTI COME PESCI.
PUBBLICITA' PROGRESSO
SCREMIAMO LA ZAVORRA DELLA PROPAGANDA, MA ALLA FINE LE NOTIZIE CI SONO
Vergogne d'Italia targate Pd
I rifiuti di Napoli, il degrado di Roma e Firenze che affonda nella melma: così il Belpaese a guida piddì va a picco mentre viene deriso dalla stampa mondiale
Andrea Indini - Mer, 25/05/2016 - 17:44
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 63650.html
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Vergogne d'Italia targate Pd
I rifiuti di Napoli, il degrado di Roma e Firenze che affonda nella melma: così il Belpaese a guida piddì va a picco mentre viene deriso dalla stampa mondiale
Andrea Indini - Mer, 25/05/2016 - 17:44
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA DALL'ASILO ETRURIA
I FRINGUELLI, MUSSOLONI & PETACCI, TACCIONO. LA SANNO LUNGA SUI PARTIGIANI CHE VOTANO SI, MA SULLE DISGRAZIE ITALIANE SONO MUTI COME PESCI.
Lungarno Firenze, voragine lunga 200 metri
“Bollette care e gestione criminale dell’acqua”
L’incidente dopo la rottura di una tubazione. Inghiottite una ventina di auto. M5s attaccano: “Prezzi giustificati con investimenti”. E Nardella se la prende con la partecipata Publiacqua: “Vogliamo risposte”
Cronaca
È stata la rottura di un tubo di 70 centimetri a provocare la voragine, lunga circa 200 metri per 7 metri di larghezza, che si è aperta sul lungarno Torrigiani, tra ponte Vecchio e ponte Le Grazie, nel centro di Firenze, inghiottendo una ventina di auto in sosta. “Danni pesantissimi”, dice il sindaco Dario Nardella, che attacca la partecipata del Comune Publiacqua: “Mi aspetto spiegazioni su quanto accaduto”. Contro il sindaco e il premier si scaglia invece il movimento 5 stelle: “Si alza il sipario sulla criminale gestione della risorsa idrica a Firenze di cui Matteo Renzi si è fatto promotore e che Dario Nardella sta proseguendo”
I FRINGUELLI, MUSSOLONI & PETACCI, TACCIONO. LA SANNO LUNGA SUI PARTIGIANI CHE VOTANO SI, MA SULLE DISGRAZIE ITALIANE SONO MUTI COME PESCI.
Lungarno Firenze, voragine lunga 200 metri
“Bollette care e gestione criminale dell’acqua”
L’incidente dopo la rottura di una tubazione. Inghiottite una ventina di auto. M5s attaccano: “Prezzi giustificati con investimenti”. E Nardella se la prende con la partecipata Publiacqua: “Vogliamo risposte”
Cronaca
È stata la rottura di un tubo di 70 centimetri a provocare la voragine, lunga circa 200 metri per 7 metri di larghezza, che si è aperta sul lungarno Torrigiani, tra ponte Vecchio e ponte Le Grazie, nel centro di Firenze, inghiottendo una ventina di auto in sosta. “Danni pesantissimi”, dice il sindaco Dario Nardella, che attacca la partecipata del Comune Publiacqua: “Mi aspetto spiegazioni su quanto accaduto”. Contro il sindaco e il premier si scaglia invece il movimento 5 stelle: “Si alza il sipario sulla criminale gestione della risorsa idrica a Firenze di cui Matteo Renzi si è fatto promotore e che Dario Nardella sta proseguendo”
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA DALL'ASILO ETRURIA
ACCUSE A PUBLIACQUA: DA BOSCHI A D’ANGELIS FINO A VANNONI, LA SOCIETA’ IN MANO AI RENZIANI
Lungarno Firenze, sotto accusa Publiacqua: da Boschi a D’Angelis, il giglio magico nella partecipata del Comune
Cronaca
Dal 2009 la società è stata lo specchietto del potere renziano nel capoluogo toscano: negli anni hanno rivestito ruoli di primo piano l'attuale ministro per le Riforme e l'ex direttore de l'Unità. L'attuale presidente Vannoni è anche consulente del governo. E i cittadini pagano una delle tariffe più alte d'Italia
di F. Q. | 25 maggio 2016
Rete idrica dissestata, amianto e tubature vecchie. Ma anche le tariffe più alte d’Italia motivate con presunti investimenti per migliorare il servizio. A poche ore dall’apertura della voragine sul Lungarno a Firenze, sotto accusa è finita la società partecipata per la gestione della rete idrica: Publiacqua. L’azienda non è solo per il 60 per cento pubblica, ma ha anche visto passare nella dirigenza degli ultimi anni alcuni dei nomi più influenti della galassia renziana: dalla ministra Maria Elena Boschi all’ex sottosegretario e direttore de l’Unità Erasmo D’Angelis. Il sindaco Pd Dario Nardella se l’è presa con l’azienda, ovvero con se stesso: “Deve delle spiegazioni a me e ai cittadini”.
L’occupazione renziana delle partecipate, e quindi anche di Publiacqua, arriva nel 2009: l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi diventa sindaco e mette i suoi nei posti chiave delle aziende che coinvolgono l’amministrazione. Così Marco Carrai finisce a Firenze Parcheggi e Andrea Bacci alla Silfi (illuminazione pubblica), mentre l’importante Publiacqua va nelle mani di Erasmo D’Angelis. A quel tempo era presidente regionale della commissione Ambiente e territorio, ma quello sarà solo il trampolino per la carriera: sottosegretario alle Infrastrutture con il governo Letta, sarà capo dell’unità di crisi con Renzi premier e poi direttore de l’Unità. L’arrivo di D’Angelis porta al primo incarico della ministra Maria Elena Boschi che fa così il suo ingresso nel consiglio d’amministrazione della partecipata: inutile dire che per lei è solo l’inizio del percorso. Da non dimenticare che il presidente attuale è Filippo Vannoni, consulente del governo per le politiche economiche, nominato con decreto del presidente del Consiglio il 12 dicembre 2015: l’incarico scade a dicembre 2017, il compenso previsto è 45mila euro. Vannoni, tra l’altro, è anche marito della dirigente del comune di Firenze ed ex capo di gabinetto di Renzi-sindaco Lucia De Siervo, figlia del costituzionalista Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, da sempre vicino alle posizioni renziane ma ultimamente schierato con il fronte del No al referendum per la riforma costituzionale.
Anche la successione degli amministratori delegati viene dall’orbita del presidente del Consiglio. L’ex ad è Alberto Irace, manager che il leader Pd già aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della romana Acea e che prima ancora, nel 2009, era entrato nel cda di Publiacqua nell’epoca di D’Angelis e insieme alla Boschi; l’attuale ad è invece Alessandro Carfì, marito ai Alessandra Cattoi che fu portavoce del sindaco di Roma Ignazio Marino ed ex assessore alla scuola della stessa giunta.
Ma al netto delle nomine e delle carriere, a parlare per Publiacqua sono le pagine dei giornali locali degli ultimi anni: tubi vecchi di 50\60 anni che costringono a interventi di riparazione in centro città per riparare vere e proprie voragini. La società ha invocato interventi per sistemare la rete ad ogni incidente: “Urgenza di rimodernizzare la rete”, disse D’Angelis nel 2010. “Ormai le nostre squadre anche di notte corrono dietro a emergenze causate dalla vetustà della struttura”. Nel 2011 l’azienda ha annunciato interventi per 740 milioni di euro da realizzare entro il 2021. Nel mentre sono continuati gli incidenti: a gennaio 2012 si è rotto un “grosso tubo” a Firenze e 3mila famiglie sono rimaste a secco per 11 ore. Un altro esempio? Il 6 febbraio del 2012 si rompono 120 tubi in una notte sola, con oltre mille segnalazioni a causa del maltempo e i centralini dell’azienda vanno in tilt. L’ex ad Irace nel 2010 disse che “il sistema di Publiacqua era gestito in modo primitivo” e il riferimento era ai problemi nella lettura dei contatori e la riscossione delle bollette.
Nel corso degli anni il balletto è più o meno sempre lo stesso: Publiacqua lamenta la mancanza di fondi, le bollette aumentano e le opposizioni criticano i rincari a fronte degli utili dell’azienda. E intanto continuano i guasti. Senza dimenticare che la partecipata non si risparmia le sponsorizzazioni che provocano le dure reazioni delle opposizioni. “Con la gestione renziana”, denunciarono i consiglieri comunali Grassi e De Zordo, “la partecipata ha dato 215mila euro a Dot media srl, la stessa che ha seguito la campagna elettorale del sindaco“. Sotto accusa periodicamente per i costi anche le campagne pubblicitarie per promuovere la qualità dell’acqua in Toscana.
La gestione renziana coincide anche con un’altra data importante: quella del referendum sull’acqua. I comitati per la pubblicizzazione sono i primi a ricordare che Matteo Renzi nel 2011 si schierò per il “sì” chiedendo che il sistema tornasse pubblico. La frase che ricordano tutti è questa: “Al di là delle interpretazioni politiche il referendum ha dato dei risultati concreti e credo che sia giusto verificare se ci sono le condizioni tecniche ed economiche per rientrare in possesso del 40% di Publiacqua”. Questo non è mai successo. Anzi la legge approvata dal Parlamento, sulla base del testo di iniziativa popolare, è stata stravolta e non prevede più l’obbligo della gestione pubblica della rete. Che intanto a Firenze fa danni. Nonostante i costi per i cittadini e gli utili per la partecipata che ha fatto la ‘storia’ dell’era renziana a Palazzo Vecchio.
ACCUSE A PUBLIACQUA: DA BOSCHI A D’ANGELIS FINO A VANNONI, LA SOCIETA’ IN MANO AI RENZIANI
Lungarno Firenze, sotto accusa Publiacqua: da Boschi a D’Angelis, il giglio magico nella partecipata del Comune
Cronaca
Dal 2009 la società è stata lo specchietto del potere renziano nel capoluogo toscano: negli anni hanno rivestito ruoli di primo piano l'attuale ministro per le Riforme e l'ex direttore de l'Unità. L'attuale presidente Vannoni è anche consulente del governo. E i cittadini pagano una delle tariffe più alte d'Italia
di F. Q. | 25 maggio 2016
Rete idrica dissestata, amianto e tubature vecchie. Ma anche le tariffe più alte d’Italia motivate con presunti investimenti per migliorare il servizio. A poche ore dall’apertura della voragine sul Lungarno a Firenze, sotto accusa è finita la società partecipata per la gestione della rete idrica: Publiacqua. L’azienda non è solo per il 60 per cento pubblica, ma ha anche visto passare nella dirigenza degli ultimi anni alcuni dei nomi più influenti della galassia renziana: dalla ministra Maria Elena Boschi all’ex sottosegretario e direttore de l’Unità Erasmo D’Angelis. Il sindaco Pd Dario Nardella se l’è presa con l’azienda, ovvero con se stesso: “Deve delle spiegazioni a me e ai cittadini”.
L’occupazione renziana delle partecipate, e quindi anche di Publiacqua, arriva nel 2009: l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi diventa sindaco e mette i suoi nei posti chiave delle aziende che coinvolgono l’amministrazione. Così Marco Carrai finisce a Firenze Parcheggi e Andrea Bacci alla Silfi (illuminazione pubblica), mentre l’importante Publiacqua va nelle mani di Erasmo D’Angelis. A quel tempo era presidente regionale della commissione Ambiente e territorio, ma quello sarà solo il trampolino per la carriera: sottosegretario alle Infrastrutture con il governo Letta, sarà capo dell’unità di crisi con Renzi premier e poi direttore de l’Unità. L’arrivo di D’Angelis porta al primo incarico della ministra Maria Elena Boschi che fa così il suo ingresso nel consiglio d’amministrazione della partecipata: inutile dire che per lei è solo l’inizio del percorso. Da non dimenticare che il presidente attuale è Filippo Vannoni, consulente del governo per le politiche economiche, nominato con decreto del presidente del Consiglio il 12 dicembre 2015: l’incarico scade a dicembre 2017, il compenso previsto è 45mila euro. Vannoni, tra l’altro, è anche marito della dirigente del comune di Firenze ed ex capo di gabinetto di Renzi-sindaco Lucia De Siervo, figlia del costituzionalista Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, da sempre vicino alle posizioni renziane ma ultimamente schierato con il fronte del No al referendum per la riforma costituzionale.
Anche la successione degli amministratori delegati viene dall’orbita del presidente del Consiglio. L’ex ad è Alberto Irace, manager che il leader Pd già aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della romana Acea e che prima ancora, nel 2009, era entrato nel cda di Publiacqua nell’epoca di D’Angelis e insieme alla Boschi; l’attuale ad è invece Alessandro Carfì, marito ai Alessandra Cattoi che fu portavoce del sindaco di Roma Ignazio Marino ed ex assessore alla scuola della stessa giunta.
Ma al netto delle nomine e delle carriere, a parlare per Publiacqua sono le pagine dei giornali locali degli ultimi anni: tubi vecchi di 50\60 anni che costringono a interventi di riparazione in centro città per riparare vere e proprie voragini. La società ha invocato interventi per sistemare la rete ad ogni incidente: “Urgenza di rimodernizzare la rete”, disse D’Angelis nel 2010. “Ormai le nostre squadre anche di notte corrono dietro a emergenze causate dalla vetustà della struttura”. Nel 2011 l’azienda ha annunciato interventi per 740 milioni di euro da realizzare entro il 2021. Nel mentre sono continuati gli incidenti: a gennaio 2012 si è rotto un “grosso tubo” a Firenze e 3mila famiglie sono rimaste a secco per 11 ore. Un altro esempio? Il 6 febbraio del 2012 si rompono 120 tubi in una notte sola, con oltre mille segnalazioni a causa del maltempo e i centralini dell’azienda vanno in tilt. L’ex ad Irace nel 2010 disse che “il sistema di Publiacqua era gestito in modo primitivo” e il riferimento era ai problemi nella lettura dei contatori e la riscossione delle bollette.
Nel corso degli anni il balletto è più o meno sempre lo stesso: Publiacqua lamenta la mancanza di fondi, le bollette aumentano e le opposizioni criticano i rincari a fronte degli utili dell’azienda. E intanto continuano i guasti. Senza dimenticare che la partecipata non si risparmia le sponsorizzazioni che provocano le dure reazioni delle opposizioni. “Con la gestione renziana”, denunciarono i consiglieri comunali Grassi e De Zordo, “la partecipata ha dato 215mila euro a Dot media srl, la stessa che ha seguito la campagna elettorale del sindaco“. Sotto accusa periodicamente per i costi anche le campagne pubblicitarie per promuovere la qualità dell’acqua in Toscana.
La gestione renziana coincide anche con un’altra data importante: quella del referendum sull’acqua. I comitati per la pubblicizzazione sono i primi a ricordare che Matteo Renzi nel 2011 si schierò per il “sì” chiedendo che il sistema tornasse pubblico. La frase che ricordano tutti è questa: “Al di là delle interpretazioni politiche il referendum ha dato dei risultati concreti e credo che sia giusto verificare se ci sono le condizioni tecniche ed economiche per rientrare in possesso del 40% di Publiacqua”. Questo non è mai successo. Anzi la legge approvata dal Parlamento, sulla base del testo di iniziativa popolare, è stata stravolta e non prevede più l’obbligo della gestione pubblica della rete. Che intanto a Firenze fa danni. Nonostante i costi per i cittadini e gli utili per la partecipata che ha fatto la ‘storia’ dell’era renziana a Palazzo Vecchio.
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Re: Diario della caduta di un regime.
CRONACA DALL'ASILO ETRURIA
ACCUSE A PUBLIACQUA: DA BOSCHI A D’ANGELIS FINO A VANNONI, LA SOCIETA’ IN MANO AI RENZIANI
Lungarno Firenze, sotto accusa Publiacqua: da Boschi a D’Angelis, il giglio magico nella partecipata del Comune
Cronaca
Dal 2009 la società è stata lo specchietto del potere renziano nel capoluogo toscano: negli anni hanno rivestito ruoli di primo piano l'attuale ministro per le Riforme e l'ex direttore de l'Unità. L'attuale presidente Vannoni è anche consulente del governo. E i cittadini pagano una delle tariffe più alte d'Italia
di F. Q. | 25 maggio 2016
Rete idrica dissestata, amianto e tubature vecchie. Ma anche le tariffe più alte d’Italia motivate con presunti investimenti per migliorare il servizio. A poche ore dall’apertura della voragine sul Lungarno a Firenze, sotto accusa è finita la società partecipata per la gestione della rete idrica: Publiacqua. L’azienda non è solo per il 60 per cento pubblica, ma ha anche visto passare nella dirigenza degli ultimi anni alcuni dei nomi più influenti della galassia renziana: dalla ministra Maria Elena Boschi all’ex sottosegretario e direttore de l’Unità Erasmo D’Angelis. Il sindaco Pd Dario Nardella se l’è presa con l’azienda, ovvero con se stesso: “Deve delle spiegazioni a me e ai cittadini”.
L’occupazione renziana delle partecipate, e quindi anche di Publiacqua, arriva nel 2009: l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi diventa sindaco e mette i suoi nei posti chiave delle aziende che coinvolgono l’amministrazione. Così Marco Carrai finisce a Firenze Parcheggi e Andrea Bacci alla Silfi (illuminazione pubblica), mentre l’importante Publiacqua va nelle mani di Erasmo D’Angelis. A quel tempo era presidente regionale della commissione Ambiente e territorio, ma quello sarà solo il trampolino per la carriera: sottosegretario alle Infrastrutture con il governo Letta, sarà capo dell’unità di crisi con Renzi premier e poi direttore de l’Unità. L’arrivo di D’Angelis porta al primo incarico della ministra Maria Elena Boschi che fa così il suo ingresso nel consiglio d’amministrazione della partecipata: inutile dire che per lei è solo l’inizio del percorso. Da non dimenticare che il presidente attuale è Filippo Vannoni, consulente del governo per le politiche economiche, nominato con decreto del presidente del Consiglio il 12 dicembre 2015: l’incarico scade a dicembre 2017, il compenso previsto è 45mila euro. Vannoni, tra l’altro, è anche marito della dirigente del comune di Firenze ed ex capo di gabinetto di Renzi-sindaco Lucia De Siervo, figlia del costituzionalista Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, da sempre vicino alle posizioni renziane ma ultimamente schierato con il fronte del No al referendum per la riforma costituzionale.
Anche la successione degli amministratori delegati viene dall’orbita del presidente del Consiglio. L’ex ad è Alberto Irace, manager che il leader Pd già aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della romana Acea e che prima ancora, nel 2009, era entrato nel cda di Publiacqua nell’epoca di D’Angelis e insieme alla Boschi; l’attuale ad è invece Alessandro Carfì, marito ai Alessandra Cattoi che fu portavoce del sindaco di Roma Ignazio Marino ed ex assessore alla scuola della stessa giunta.
Ma al netto delle nomine e delle carriere, a parlare per Publiacqua sono le pagine dei giornali locali degli ultimi anni: tubi vecchi di 50\60 anni che costringono a interventi di riparazione in centro città per riparare vere e proprie voragini. La società ha invocato interventi per sistemare la rete ad ogni incidente: “Urgenza di rimodernizzare la rete”, disse D’Angelis nel 2010. “Ormai le nostre squadre anche di notte corrono dietro a emergenze causate dalla vetustà della struttura”. Nel 2011 l’azienda ha annunciato interventi per 740 milioni di euro da realizzare entro il 2021. Nel mentre sono continuati gli incidenti: a gennaio 2012 si è rotto un “grosso tubo” a Firenze e 3mila famiglie sono rimaste a secco per 11 ore. Un altro esempio? Il 6 febbraio del 2012 si rompono 120 tubi in una notte sola, con oltre mille segnalazioni a causa del maltempo e i centralini dell’azienda vanno in tilt. L’ex ad Irace nel 2010 disse che “il sistema di Publiacqua era gestito in modo primitivo” e il riferimento era ai problemi nella lettura dei contatori e la riscossione delle bollette.
Nel corso degli anni il balletto è più o meno sempre lo stesso: Publiacqua lamenta la mancanza di fondi, le bollette aumentano e le opposizioni criticano i rincari a fronte degli utili dell’azienda. E intanto continuano i guasti. Senza dimenticare che la partecipata non si risparmia le sponsorizzazioni che provocano le dure reazioni delle opposizioni. “Con la gestione renziana”, denunciarono i consiglieri comunali Grassi e De Zordo, “la partecipata ha dato 215mila euro a Dot media srl, la stessa che ha seguito la campagna elettorale del sindaco“. Sotto accusa periodicamente per i costi anche le campagne pubblicitarie per promuovere la qualità dell’acqua in Toscana.
La gestione renziana coincide anche con un’altra data importante: quella del referendum sull’acqua. I comitati per la pubblicizzazione sono i primi a ricordare che Matteo Renzi nel 2011 si schierò per il “sì” chiedendo che il sistema tornasse pubblico. La frase che ricordano tutti è questa: “Al di là delle interpretazioni politiche il referendum ha dato dei risultati concreti e credo che sia giusto verificare se ci sono le condizioni tecniche ed economiche per rientrare in possesso del 40% di Publiacqua”. Questo non è mai successo. Anzi la legge approvata dal Parlamento, sulla base del testo di iniziativa popolare, è stata stravolta e non prevede più l’obbligo della gestione pubblica della rete. Che intanto a Firenze fa danni. Nonostante i costi per i cittadini e gli utili per la partecipata che ha fatto la ‘storia’ dell’era renziana a Palazzo Vecchio.
ACCUSE A PUBLIACQUA: DA BOSCHI A D’ANGELIS FINO A VANNONI, LA SOCIETA’ IN MANO AI RENZIANI
Lungarno Firenze, sotto accusa Publiacqua: da Boschi a D’Angelis, il giglio magico nella partecipata del Comune
Cronaca
Dal 2009 la società è stata lo specchietto del potere renziano nel capoluogo toscano: negli anni hanno rivestito ruoli di primo piano l'attuale ministro per le Riforme e l'ex direttore de l'Unità. L'attuale presidente Vannoni è anche consulente del governo. E i cittadini pagano una delle tariffe più alte d'Italia
di F. Q. | 25 maggio 2016
Rete idrica dissestata, amianto e tubature vecchie. Ma anche le tariffe più alte d’Italia motivate con presunti investimenti per migliorare il servizio. A poche ore dall’apertura della voragine sul Lungarno a Firenze, sotto accusa è finita la società partecipata per la gestione della rete idrica: Publiacqua. L’azienda non è solo per il 60 per cento pubblica, ma ha anche visto passare nella dirigenza degli ultimi anni alcuni dei nomi più influenti della galassia renziana: dalla ministra Maria Elena Boschi all’ex sottosegretario e direttore de l’Unità Erasmo D’Angelis. Il sindaco Pd Dario Nardella se l’è presa con l’azienda, ovvero con se stesso: “Deve delle spiegazioni a me e ai cittadini”.
L’occupazione renziana delle partecipate, e quindi anche di Publiacqua, arriva nel 2009: l’attuale presidente del Consiglio Matteo Renzi diventa sindaco e mette i suoi nei posti chiave delle aziende che coinvolgono l’amministrazione. Così Marco Carrai finisce a Firenze Parcheggi e Andrea Bacci alla Silfi (illuminazione pubblica), mentre l’importante Publiacqua va nelle mani di Erasmo D’Angelis. A quel tempo era presidente regionale della commissione Ambiente e territorio, ma quello sarà solo il trampolino per la carriera: sottosegretario alle Infrastrutture con il governo Letta, sarà capo dell’unità di crisi con Renzi premier e poi direttore de l’Unità. L’arrivo di D’Angelis porta al primo incarico della ministra Maria Elena Boschi che fa così il suo ingresso nel consiglio d’amministrazione della partecipata: inutile dire che per lei è solo l’inizio del percorso. Da non dimenticare che il presidente attuale è Filippo Vannoni, consulente del governo per le politiche economiche, nominato con decreto del presidente del Consiglio il 12 dicembre 2015: l’incarico scade a dicembre 2017, il compenso previsto è 45mila euro. Vannoni, tra l’altro, è anche marito della dirigente del comune di Firenze ed ex capo di gabinetto di Renzi-sindaco Lucia De Siervo, figlia del costituzionalista Ugo De Siervo, presidente emerito della Corte Costituzionale, da sempre vicino alle posizioni renziane ma ultimamente schierato con il fronte del No al referendum per la riforma costituzionale.
Anche la successione degli amministratori delegati viene dall’orbita del presidente del Consiglio. L’ex ad è Alberto Irace, manager che il leader Pd già aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della romana Acea e che prima ancora, nel 2009, era entrato nel cda di Publiacqua nell’epoca di D’Angelis e insieme alla Boschi; l’attuale ad è invece Alessandro Carfì, marito ai Alessandra Cattoi che fu portavoce del sindaco di Roma Ignazio Marino ed ex assessore alla scuola della stessa giunta.
Ma al netto delle nomine e delle carriere, a parlare per Publiacqua sono le pagine dei giornali locali degli ultimi anni: tubi vecchi di 50\60 anni che costringono a interventi di riparazione in centro città per riparare vere e proprie voragini. La società ha invocato interventi per sistemare la rete ad ogni incidente: “Urgenza di rimodernizzare la rete”, disse D’Angelis nel 2010. “Ormai le nostre squadre anche di notte corrono dietro a emergenze causate dalla vetustà della struttura”. Nel 2011 l’azienda ha annunciato interventi per 740 milioni di euro da realizzare entro il 2021. Nel mentre sono continuati gli incidenti: a gennaio 2012 si è rotto un “grosso tubo” a Firenze e 3mila famiglie sono rimaste a secco per 11 ore. Un altro esempio? Il 6 febbraio del 2012 si rompono 120 tubi in una notte sola, con oltre mille segnalazioni a causa del maltempo e i centralini dell’azienda vanno in tilt. L’ex ad Irace nel 2010 disse che “il sistema di Publiacqua era gestito in modo primitivo” e il riferimento era ai problemi nella lettura dei contatori e la riscossione delle bollette.
Nel corso degli anni il balletto è più o meno sempre lo stesso: Publiacqua lamenta la mancanza di fondi, le bollette aumentano e le opposizioni criticano i rincari a fronte degli utili dell’azienda. E intanto continuano i guasti. Senza dimenticare che la partecipata non si risparmia le sponsorizzazioni che provocano le dure reazioni delle opposizioni. “Con la gestione renziana”, denunciarono i consiglieri comunali Grassi e De Zordo, “la partecipata ha dato 215mila euro a Dot media srl, la stessa che ha seguito la campagna elettorale del sindaco“. Sotto accusa periodicamente per i costi anche le campagne pubblicitarie per promuovere la qualità dell’acqua in Toscana.
La gestione renziana coincide anche con un’altra data importante: quella del referendum sull’acqua. I comitati per la pubblicizzazione sono i primi a ricordare che Matteo Renzi nel 2011 si schierò per il “sì” chiedendo che il sistema tornasse pubblico. La frase che ricordano tutti è questa: “Al di là delle interpretazioni politiche il referendum ha dato dei risultati concreti e credo che sia giusto verificare se ci sono le condizioni tecniche ed economiche per rientrare in possesso del 40% di Publiacqua”. Questo non è mai successo. Anzi la legge approvata dal Parlamento, sulla base del testo di iniziativa popolare, è stata stravolta e non prevede più l’obbligo della gestione pubblica della rete. Che intanto a Firenze fa danni. Nonostante i costi per i cittadini e gli utili per la partecipata che ha fatto la ‘storia’ dell’era renziana a Palazzo Vecchio.
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Re: Diario della caduta di un regime.
MEDIA & REGIME
Il Fatto Social Club, siamo come un Comitato di liberazione nazionale
Media & Regime
di Fabrizio d'Esposito | 25 maggio 2016
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Fabrizio d'Esposito
Inviato del Fatto Quotidiano
Post | Articoli
Non è solo la bellezza caraibica del nome, Fatto Social Club, che rimanda a suggestioni immortali e rivoluzionarie. C’è che questo logo rinforza un sentimento che non provavo da anni. E cioè il senso di appartenenza a una comunità. Per chi come me rimpiange il secolo delle ideologie e dei partiti, ed è convinto che destra e sinistra abbiano ancora un significato e un futuro, far parte di una comunità è una sorta di soffio vitale, il classico élan vital, che tiene insieme le varie fasi della vita, dalla politica al lavoro, dalla riflessione all’impegno civico di cittadini (che vuol dire rispettare le leggi, innanzitutto). Ecco, il Fsc per me è innanzitutto questo: avere di nuovo un tetto sulla testa e avere un sentire comune con chi ne fa parte. Una comunità unica nel suo genere, in cui convivono tutte le opinioni politiche in un momento di grande depressione del nostro paese. E il tratto distintivo di tutti noi è la libertà, che comporta anche responsabilità.
Pubblicità
Nella mia parabola professionale ho avuto la fortuna di cimentarmi in molti servizi di un quotidiano (politica, giudiziaria, economia, cultura, sport) e, confrontandomi con i miei amici colleghi di altre testate, c’è una cosa che mi ha sempre colpito: il limite all’informazione e alle notizie imposto dalle convenienze del direttore o dell’editore. Al Fatto, invece, siamo padroni di noi stessi. E non è retorica, semmai una garanzia di valore inestimabile per chi scrive e per chi legge. Dove trovate, in Italia, un giornale in cui per il 25 aprile scrivono l’antifascista Furio Colombo e il revisionista Massimo Fini? Passiamo per grillini e giustizialisti e sorrido. Al contrario, le donne e gli uomini del Fatto mi ricordano un Comitato di liberazione nazionale in cui sono rappresentati tutti i colori. Il discrimine vero è un altro e riguarda l’approccio al problema più antico del mondo, messo a fuoco da Kant: l’umanità come legno storto.
E, visto che non siamo sacerdoti che devono perdonare e assolvere, altrimenti avremmo fondato una chiesa o il convento, al Fatto documentiamo, analizziamo e critichiamo tutte le degenerazioni del legno storto incarnato dall’uomo pubblico, in un paese incline, per pigrizia e storia, al mito dell’uomo forte (Mussolini, Craxi, Berlusconi, adesso Renzi). Talvolta mi rendo conto e lo ammetto, è anche un problema morale o antropologico. Per il Fatto ho raccontato e racconto mondi che ci considerano nemici: berlusconiani, alfaniani, verdiniani, spesso renziani (che sono altra cosa dalla sinistra, sia chiaro). Con molti di loro ho una consuetudine ormai da anni e ogni volta la discussione si arena a causa dei punti di partenza. Per spiegarmi meglio faccio un esempio, riportando la trascrizione più o meno integrale di una mia telefonata dell’altro giorno con un noto esponente di Ala. Lui: “Fabrizio, ma a volte non ti viene il dubbio che qualche magistrato abbia sbagliato o abbia fatto una cosa per calcolo politico?”. Io: “I dubbi, al plurale, te li concedo, ma è la prospettiva che è diversa per me. Tu parti dando per scontata l’aggressione giudiziaria alla politica innocente. Io, al contrario, mi chiedo perché si continua a rubare e perché la corruzione è diventata il dato strutturale dell’astensionismo punitivo in Italia”.
Una questione di prospettiva, appunto. E che in Italia purtroppo sta diventando sempre più patrimonio di pochi. Ai tempi di Tangentopoli, il Pci fu tutto sommato il partito della questione morale. Un quarto di secolo dopo, invece, il Pd sembra la nuova Dc. Ed è per questo che, grazie al Fatto, non sono un randagio senza un tetto sulla testa. Per me il Fatto è un giornale-bandiera, segno di riconoscimento in mezzo alla folla conformista. Sono cresciuto, al liceo, con il Manifesto in tasca, folgorato da quel titolo di Luigi Pintor sul regime di quei tempi: “Non moriremo democristiani”. I miei direttori al Fatto, Padellaro, Travaglio e Gomez, sono stati protagonisti di una stagione per non morire berlusconiani. Adesso ci apprestiamo a non morire renziani. Tutto è grazia, come diceva il povero curato di campagna.
Il Fatto Social Club, siamo come un Comitato di liberazione nazionale
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di Fabrizio d'Esposito | 25 maggio 2016
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Fabrizio d'Esposito
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Non è solo la bellezza caraibica del nome, Fatto Social Club, che rimanda a suggestioni immortali e rivoluzionarie. C’è che questo logo rinforza un sentimento che non provavo da anni. E cioè il senso di appartenenza a una comunità. Per chi come me rimpiange il secolo delle ideologie e dei partiti, ed è convinto che destra e sinistra abbiano ancora un significato e un futuro, far parte di una comunità è una sorta di soffio vitale, il classico élan vital, che tiene insieme le varie fasi della vita, dalla politica al lavoro, dalla riflessione all’impegno civico di cittadini (che vuol dire rispettare le leggi, innanzitutto). Ecco, il Fsc per me è innanzitutto questo: avere di nuovo un tetto sulla testa e avere un sentire comune con chi ne fa parte. Una comunità unica nel suo genere, in cui convivono tutte le opinioni politiche in un momento di grande depressione del nostro paese. E il tratto distintivo di tutti noi è la libertà, che comporta anche responsabilità.
Pubblicità
Nella mia parabola professionale ho avuto la fortuna di cimentarmi in molti servizi di un quotidiano (politica, giudiziaria, economia, cultura, sport) e, confrontandomi con i miei amici colleghi di altre testate, c’è una cosa che mi ha sempre colpito: il limite all’informazione e alle notizie imposto dalle convenienze del direttore o dell’editore. Al Fatto, invece, siamo padroni di noi stessi. E non è retorica, semmai una garanzia di valore inestimabile per chi scrive e per chi legge. Dove trovate, in Italia, un giornale in cui per il 25 aprile scrivono l’antifascista Furio Colombo e il revisionista Massimo Fini? Passiamo per grillini e giustizialisti e sorrido. Al contrario, le donne e gli uomini del Fatto mi ricordano un Comitato di liberazione nazionale in cui sono rappresentati tutti i colori. Il discrimine vero è un altro e riguarda l’approccio al problema più antico del mondo, messo a fuoco da Kant: l’umanità come legno storto.
E, visto che non siamo sacerdoti che devono perdonare e assolvere, altrimenti avremmo fondato una chiesa o il convento, al Fatto documentiamo, analizziamo e critichiamo tutte le degenerazioni del legno storto incarnato dall’uomo pubblico, in un paese incline, per pigrizia e storia, al mito dell’uomo forte (Mussolini, Craxi, Berlusconi, adesso Renzi). Talvolta mi rendo conto e lo ammetto, è anche un problema morale o antropologico. Per il Fatto ho raccontato e racconto mondi che ci considerano nemici: berlusconiani, alfaniani, verdiniani, spesso renziani (che sono altra cosa dalla sinistra, sia chiaro). Con molti di loro ho una consuetudine ormai da anni e ogni volta la discussione si arena a causa dei punti di partenza. Per spiegarmi meglio faccio un esempio, riportando la trascrizione più o meno integrale di una mia telefonata dell’altro giorno con un noto esponente di Ala. Lui: “Fabrizio, ma a volte non ti viene il dubbio che qualche magistrato abbia sbagliato o abbia fatto una cosa per calcolo politico?”. Io: “I dubbi, al plurale, te li concedo, ma è la prospettiva che è diversa per me. Tu parti dando per scontata l’aggressione giudiziaria alla politica innocente. Io, al contrario, mi chiedo perché si continua a rubare e perché la corruzione è diventata il dato strutturale dell’astensionismo punitivo in Italia”.
Una questione di prospettiva, appunto. E che in Italia purtroppo sta diventando sempre più patrimonio di pochi. Ai tempi di Tangentopoli, il Pci fu tutto sommato il partito della questione morale. Un quarto di secolo dopo, invece, il Pd sembra la nuova Dc. Ed è per questo che, grazie al Fatto, non sono un randagio senza un tetto sulla testa. Per me il Fatto è un giornale-bandiera, segno di riconoscimento in mezzo alla folla conformista. Sono cresciuto, al liceo, con il Manifesto in tasca, folgorato da quel titolo di Luigi Pintor sul regime di quei tempi: “Non moriremo democristiani”. I miei direttori al Fatto, Padellaro, Travaglio e Gomez, sono stati protagonisti di una stagione per non morire berlusconiani. Adesso ci apprestiamo a non morire renziani. Tutto è grazia, come diceva il povero curato di campagna.
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