Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
AL CAPEZZALE Scontro finale L’operazione al cuore, i figli uniti (per la prima volta) e il cerchio magico
Berlusconi è senza eredi e si affida a Dio
» FABRIZIO D’ESPOSITO
Per un carisma, politico,
lungo più di vent’anni e
che ha ucciso e sventrato ogni
candidato alla successione
(Casini, Fini, Alfano, un
qualunque papa straniero),
c’è una sola certezza nel tremebondo
crepuscolo del San
Raffaele di Milano: la sua
creatura, Forza Italia, non gli
potrebbe mai sopravvivere.
Anche per questo, forse, Silvio
Berlusconi ha diramato
una nota in cui dice di essere
“sereno” e di affidarsi a Dio e
ai medici. Quanto al partito
“è perfettamente in grado di
operare in questi giorni di
mia forzata assenza”.
Molto probabilmente l’intervento
al cuore avverrà
martedì prossimo, al massimo
mercoledì, a pochissimi
giorni dal ballottaggio tra Sala
e Parisi a Milano. Chissà,
prima dell’operazione, l’ex
Cavaliere potrebbe finanche
fare un appello al voto dal letto
di ospedale (a Roma è successo
con Veltroni). Ieri, al
San Raffaele, c’è stato il solito
pellegrinaggio di familiari, amici
e affini (alias cerchio
magico) tra cui è spiccata la
donna forte di B.: la primogenita
Marina.
È LEI la protagonista
di queste ore,
in contrapposizione
alle altre
due donne che
hanno “g e s ti t o ”
la vita dell’ex
premier fino alla
crisi cardiaca di
domenica scorsa:
Francesca
Pascale, la fidanzata
napoletana,
e Mariarosaria
Rossi, la senatrice-
badante della provincia
di Caserta. Chi è vicino
alla famiglia racconta che
“per la prima volta tutti e cin-
que i figli sono uniti, senza divisioni
di primo o secondo
letto, per proteggere e tutelare
il padre nei prossimi mesi”.
E l’inedita unità viene rimarcata
anche a proposito del capitolo
principale del riassetto
complessivo dell’impero
berlusconiano: la vendita del
M i l a n . T u t t i ,
compresa Barbara,
ad rossonera,
sarebbero
d’accordo per la
cessione.
È questo, allora,
lo scontro vero
al capezzale
b e rl u s co n i an o .
Da una parte la
famiglia, con in
testa Marina,
supportata da
Fedele Confalonieri,
l’amico di
sempre. Dall’altra, il cerchio
magico, che, dicono sempre,
“non sarà facile liquidare
perché si tratta di due donne
strutturate, non sprovvedute”.
Ovviamente ogni decisione
è rinviata a dopo l’ope -
razione. L’ascendente di Marina
sul padre è sempre stato
forte ma alla fine sarà sempre
lui a fare le scelte definitive,
da Pascale a Rossi e via a scendere
giù per li rami.
TUTTO il resto è la fuffa grottesca
delle voci e dei retroscena
di alcuni quotidiani su un
improbabile direttorio per
Forza Italia definito “una
fantasia” da Deborah Bergamini,
portavoce berlusconiana.
Senza l’ex Cavaliere, da
qui a cent’anni, Forza Italia è
destinata a scomparire. Punto.
Non dimenticando che oggi
i gruppi parlamentari sono
di fatto dimezzati (tre scissioni:
Alfano, Fitto e Verdini)
per l’ostinazione di B. nel seguire
esclusivamente la linea
dei suoi interessi. Di che parliamo
allora? Miserie umane
e opportunismi personali sono
alla base di questo surreale
microgirotondo macabro. Il
regista delle manovre su improbabili
successioni, riferiscono
da Milano, sarebbe il
governatore ligure Giovanni
Toti, forte del suo asse con
Mariastella Gelmini e Paolo
Romani. È il partito del Nord,
filoleghista.
Toti scalpita e sarebbe lui
“lo sciacallo” additato dalla
corte di B.: addirittura si sarebbe
offerto, invano, per andare
alla chiusura della campagna
elettorale a Napoli a
sostegno di Gianni Lettieri, lo
sfidante azzurro di Luigi de
Magistris. Tutte manovre di
onanismo politico. Il berlusconismo
è stato ed è un fenomeno
politico carismatico.
L’unica soluzione che potrebbe
tenere insieme i cocci
forzisti è giocoforza dinastica,
ma Marina si è chiamata
fuori da mesi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Berlusconi è senza eredi e si affida a Dio
» FABRIZIO D’ESPOSITO
Per un carisma, politico,
lungo più di vent’anni e
che ha ucciso e sventrato ogni
candidato alla successione
(Casini, Fini, Alfano, un
qualunque papa straniero),
c’è una sola certezza nel tremebondo
crepuscolo del San
Raffaele di Milano: la sua
creatura, Forza Italia, non gli
potrebbe mai sopravvivere.
Anche per questo, forse, Silvio
Berlusconi ha diramato
una nota in cui dice di essere
“sereno” e di affidarsi a Dio e
ai medici. Quanto al partito
“è perfettamente in grado di
operare in questi giorni di
mia forzata assenza”.
Molto probabilmente l’intervento
al cuore avverrà
martedì prossimo, al massimo
mercoledì, a pochissimi
giorni dal ballottaggio tra Sala
e Parisi a Milano. Chissà,
prima dell’operazione, l’ex
Cavaliere potrebbe finanche
fare un appello al voto dal letto
di ospedale (a Roma è successo
con Veltroni). Ieri, al
San Raffaele, c’è stato il solito
pellegrinaggio di familiari, amici
e affini (alias cerchio
magico) tra cui è spiccata la
donna forte di B.: la primogenita
Marina.
È LEI la protagonista
di queste ore,
in contrapposizione
alle altre
due donne che
hanno “g e s ti t o ”
la vita dell’ex
premier fino alla
crisi cardiaca di
domenica scorsa:
Francesca
Pascale, la fidanzata
napoletana,
e Mariarosaria
Rossi, la senatrice-
badante della provincia
di Caserta. Chi è vicino
alla famiglia racconta che
“per la prima volta tutti e cin-
que i figli sono uniti, senza divisioni
di primo o secondo
letto, per proteggere e tutelare
il padre nei prossimi mesi”.
E l’inedita unità viene rimarcata
anche a proposito del capitolo
principale del riassetto
complessivo dell’impero
berlusconiano: la vendita del
M i l a n . T u t t i ,
compresa Barbara,
ad rossonera,
sarebbero
d’accordo per la
cessione.
È questo, allora,
lo scontro vero
al capezzale
b e rl u s co n i an o .
Da una parte la
famiglia, con in
testa Marina,
supportata da
Fedele Confalonieri,
l’amico di
sempre. Dall’altra, il cerchio
magico, che, dicono sempre,
“non sarà facile liquidare
perché si tratta di due donne
strutturate, non sprovvedute”.
Ovviamente ogni decisione
è rinviata a dopo l’ope -
razione. L’ascendente di Marina
sul padre è sempre stato
forte ma alla fine sarà sempre
lui a fare le scelte definitive,
da Pascale a Rossi e via a scendere
giù per li rami.
TUTTO il resto è la fuffa grottesca
delle voci e dei retroscena
di alcuni quotidiani su un
improbabile direttorio per
Forza Italia definito “una
fantasia” da Deborah Bergamini,
portavoce berlusconiana.
Senza l’ex Cavaliere, da
qui a cent’anni, Forza Italia è
destinata a scomparire. Punto.
Non dimenticando che oggi
i gruppi parlamentari sono
di fatto dimezzati (tre scissioni:
Alfano, Fitto e Verdini)
per l’ostinazione di B. nel seguire
esclusivamente la linea
dei suoi interessi. Di che parliamo
allora? Miserie umane
e opportunismi personali sono
alla base di questo surreale
microgirotondo macabro. Il
regista delle manovre su improbabili
successioni, riferiscono
da Milano, sarebbe il
governatore ligure Giovanni
Toti, forte del suo asse con
Mariastella Gelmini e Paolo
Romani. È il partito del Nord,
filoleghista.
Toti scalpita e sarebbe lui
“lo sciacallo” additato dalla
corte di B.: addirittura si sarebbe
offerto, invano, per andare
alla chiusura della campagna
elettorale a Napoli a
sostegno di Gianni Lettieri, lo
sfidante azzurro di Luigi de
Magistris. Tutte manovre di
onanismo politico. Il berlusconismo
è stato ed è un fenomeno
politico carismatico.
L’unica soluzione che potrebbe
tenere insieme i cocci
forzisti è giocoforza dinastica,
ma Marina si è chiamata
fuori da mesi.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Adesso Equitalia trema per i dossier rimasti segreti
Secretati rapporti degli analisti dell'Ocse e del Fondo monetario internazionale. Ecco cosa c'è in quei dossier
Nicola Porro - Sab, 11/06/2016 - 21:08
commenta
S uccede che l’anno scorso il ministro, anche, delle Finanze Padoan e il suo consigliere economico fiscale, Vieri Ceriani, hanno chiesto a due organismi internazionali un rapporto sul funzionamento delle nostre agenzie fiscali.
Una due diligence, come è scritto nei documenti ufficiali, su Agenzia delle Entrate ed Equitalia. A farlo gli uomini del Fondo monetario internazionale e dell’Ocse. Soprattutto, questi ultimi, hanno preso la cosa davvero sul serio. Mettendosi in testa di andare a fondo. Hanno sentito tutti coloro che per un motivo o per l’altro hanno a che fare con il braccio amato del fisco: sindacati, lavoratori, commercialisti, politici, dirigenti attuali ed ex delle agenzie. Ne sono scaturiti due rapporti. Ma che fine hanno fatto? Secretati. Sì avete capito bene. In un paese che non si tiene un cecio in bocca su nulla, quando si parla di fisco, tutti zitti e muti. I dossier sono nelle mani di pochissimi: una mezza dozzina di persone al ministero di Padoan ed un paio di collaboratori di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Chi parla muore. Al premier hanno spiegato bene cosa c’è scritto dentro. E le sue recenti uscite sulla prossima abolizione di Equitalia, non debbono essere prese solo come una boutade elettorale.
Gli analisti dell’Ocse dipingono un quadretto delle nostre agenzie e in particolare dell’attività di riscossione nei confronti dei microcontribuenti da brivido. Lo stesso che migliaia di invisibili conoscono bene, ma che la tradizione alla Visco nega da sempre. Il punto centrale è che negli ultimi quindici anni queste Agenzie hanno concentrato nelle loro mani un potere incontrollabile. Alle funzioni di accertare banalmente l’evasione ed eventualmente riscuoterla, hanno sommato un potere, micidiale, di condizionamento delle norme fiscali e di loro interpretazione che schiaccia il contribuente. A scriverlo ora sono anche analisti internazionali e indipendenti. Anzi sono proprio quegli analisti che hanno recentemente fatto approvare dal G20 la stretta più forte mai fatta contro l’elusione fiscale da parte delle multinazionali (sono le norma Beps e quello che sta loro intorno): insomma a criticare il nostro inferno fiscale non sono certo delle mammolette lussemburghesi. Nel rapporto Ocse si dice che il comportamento dell’Agenzia delle entrate nei confronti delle grandi imprese, nell’accompagnarle al rispetto delle norme, e nella eventuale riscossione dell’evaso è ben fatta, secondo gli standard internazionali. Ciò che proprio non funziona è il resto: presunzioni tributarie sui ricavi dei piccoli, attività di accertamento troppo dure, contenzioso sbilanciato a favore del pubblico. Insomma ciò che da anni tutti noi sappiamo.
Agenzie forti con i deboli e più o meno corrette con i forti. Immaginatevi cosa potrebbe succedere se la cosa, firmata da Ocse e Fmi, fosse stata divulgata durante una delle nostre continue campagne elettorali. A Palazzo Chigi non sono sprovveduti. In particolare Nannicini è da mesi che lavora su questi temi. E lo stesso Renzi ha criticato «il lato oscuro» dell’Agenzia delle Entrate, minacciato dalla sua responsabile, Orlandi. Per alcune settimane sono stati anche sondati alcuni ex dell’Agenzia per sostituire in corsa la Orlandi (nominata però proprio dal premier su spinta di Visco), ma poi si è deciso di soprassedere: basterà non riconfermarla a scadenza. Nel frattempo si dovranno riformare le Agenzie. Sotto lo slogan di abolire Equitalia c’è dunque ben di più. Ridurre i poteri normativi dell’Agenzia, riportandoli al ministero, e fonderla con Equitalia, unendo così accertamento dell’evasione e riscossione del dovuto. Se questo è il piano, c’è un solo motivo, per il quale tenere segreti i rapporti sul fisco di Ocse e Fmi: si ha paura del loro impatto politico.
Secretati rapporti degli analisti dell'Ocse e del Fondo monetario internazionale. Ecco cosa c'è in quei dossier
Nicola Porro - Sab, 11/06/2016 - 21:08
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S uccede che l’anno scorso il ministro, anche, delle Finanze Padoan e il suo consigliere economico fiscale, Vieri Ceriani, hanno chiesto a due organismi internazionali un rapporto sul funzionamento delle nostre agenzie fiscali.
Una due diligence, come è scritto nei documenti ufficiali, su Agenzia delle Entrate ed Equitalia. A farlo gli uomini del Fondo monetario internazionale e dell’Ocse. Soprattutto, questi ultimi, hanno preso la cosa davvero sul serio. Mettendosi in testa di andare a fondo. Hanno sentito tutti coloro che per un motivo o per l’altro hanno a che fare con il braccio amato del fisco: sindacati, lavoratori, commercialisti, politici, dirigenti attuali ed ex delle agenzie. Ne sono scaturiti due rapporti. Ma che fine hanno fatto? Secretati. Sì avete capito bene. In un paese che non si tiene un cecio in bocca su nulla, quando si parla di fisco, tutti zitti e muti. I dossier sono nelle mani di pochissimi: una mezza dozzina di persone al ministero di Padoan ed un paio di collaboratori di Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Chi parla muore. Al premier hanno spiegato bene cosa c’è scritto dentro. E le sue recenti uscite sulla prossima abolizione di Equitalia, non debbono essere prese solo come una boutade elettorale.
Gli analisti dell’Ocse dipingono un quadretto delle nostre agenzie e in particolare dell’attività di riscossione nei confronti dei microcontribuenti da brivido. Lo stesso che migliaia di invisibili conoscono bene, ma che la tradizione alla Visco nega da sempre. Il punto centrale è che negli ultimi quindici anni queste Agenzie hanno concentrato nelle loro mani un potere incontrollabile. Alle funzioni di accertare banalmente l’evasione ed eventualmente riscuoterla, hanno sommato un potere, micidiale, di condizionamento delle norme fiscali e di loro interpretazione che schiaccia il contribuente. A scriverlo ora sono anche analisti internazionali e indipendenti. Anzi sono proprio quegli analisti che hanno recentemente fatto approvare dal G20 la stretta più forte mai fatta contro l’elusione fiscale da parte delle multinazionali (sono le norma Beps e quello che sta loro intorno): insomma a criticare il nostro inferno fiscale non sono certo delle mammolette lussemburghesi. Nel rapporto Ocse si dice che il comportamento dell’Agenzia delle entrate nei confronti delle grandi imprese, nell’accompagnarle al rispetto delle norme, e nella eventuale riscossione dell’evaso è ben fatta, secondo gli standard internazionali. Ciò che proprio non funziona è il resto: presunzioni tributarie sui ricavi dei piccoli, attività di accertamento troppo dure, contenzioso sbilanciato a favore del pubblico. Insomma ciò che da anni tutti noi sappiamo.
Agenzie forti con i deboli e più o meno corrette con i forti. Immaginatevi cosa potrebbe succedere se la cosa, firmata da Ocse e Fmi, fosse stata divulgata durante una delle nostre continue campagne elettorali. A Palazzo Chigi non sono sprovveduti. In particolare Nannicini è da mesi che lavora su questi temi. E lo stesso Renzi ha criticato «il lato oscuro» dell’Agenzia delle Entrate, minacciato dalla sua responsabile, Orlandi. Per alcune settimane sono stati anche sondati alcuni ex dell’Agenzia per sostituire in corsa la Orlandi (nominata però proprio dal premier su spinta di Visco), ma poi si è deciso di soprassedere: basterà non riconfermarla a scadenza. Nel frattempo si dovranno riformare le Agenzie. Sotto lo slogan di abolire Equitalia c’è dunque ben di più. Ridurre i poteri normativi dell’Agenzia, riportandoli al ministero, e fonderla con Equitalia, unendo così accertamento dell’evasione e riscossione del dovuto. Se questo è il piano, c’è un solo motivo, per il quale tenere segreti i rapporti sul fisco di Ocse e Fmi: si ha paura del loro impatto politico.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Caporalato, l’altra Rosarno è in Puglia: il ghetto di Nardò (Le) è una bomba sociale pronta a esplodere
Il ghetto di Nardò (1)
< 1/11 >
Cronaca
I container e i servizi igenici promessi dalla Regione non arriveranno prima di metà luglio quando la raccolta di pomodori e cocomeri sarà finita. Intanto cresce l'esasperazione nella baraccopoli fra i braccianti stagionali africani: poco lavoro, alcool, droga e dominio dei caporali
di Tiziana Colluto | 12 giugno 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... e/2819034/
Il ghetto di Nardò (1)
< 1/11 >
Cronaca
I container e i servizi igenici promessi dalla Regione non arriveranno prima di metà luglio quando la raccolta di pomodori e cocomeri sarà finita. Intanto cresce l'esasperazione nella baraccopoli fra i braccianti stagionali africani: poco lavoro, alcool, droga e dominio dei caporali
di Tiziana Colluto | 12 giugno 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... e/2819034/
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA RESA DEI CONTI
Sostiene Fratoianni:
C'è soprattutto un forte ridimensionamento di Renzi
Ha scritto Bruno Manfellotto, ex direttore dell'Espresso:
L'affermazione di 5Stelle è una rivolta contro l'establishment. E' la richiesta di risposte adeguate a problemi come crisi e immigrazione.
Ma questa non è la solita antipolitica.
Mentre Marco Damilano ha scritto sull'Espresso:
QUALCOSA SI E' SPEZZATO NELLA COMUNICAZIONE TRA IL PREMIER E UN PEZZO DELLA SOCIETA' CHE PURE LO AVEVA APPOGGIATO. E IL SECONDO TURNO SI TRASFORMA IN UN TEST SULLA TENUTA DELLA SUA LEADERSHIP.
Ma il regolamento si sta facendo sentire anche all'interno del PD.
La sinistra dem ha chiesto l'aiuto di D'alema che non si è tirato indietro nella scelta più propizia per un regolamento di conti.
Sono pronto a votare la Raggi". È scontro D'Alema-Repubblica
Il retroscena su Repubblica: riportate conversazioni di D'Alema coi suoi fedelissimi in cui si dice pronto a "votare la Raggi pur di mandare a casa Renzi". L'ex premier smentisce. Sinistra Pd: "Operazione ingenerosa"
Sergio Rame - Mer, 15/06/2016 - 14:08
commenta
Massimo D'Alema è davvero pronto a tutto? Sarebbe anche disposto a votare "Lucifero"? Secondo Repubblica, non si farebbe certo problemi a dare il proprio voto alla candidata grillina di Roma Virginia Raggi anziché al piddì Roberto Giachetti.
Nei colloqui con gli amici, riportati oggi dal quotidiano diretto da Mario Calabresi, l'ex segretario dei Ds non si sarebbe fatto alcun problema nel rivelare il proprio piano per far cadere Matteo Renzi: "Voto per la Raggi e invito chi mi chiede un consiglio a fare altrettanto". In chiaro, però, lui smentisce.
Il retroscena di Repubblica
D'Alema è ancora in campo. Non si è mai allontanato, a dire il vero. Ora la partita non è certo sostenere il governo e il suo partito, il Pd, ma indebolire l'attuale segretario, far cadere l'esecutivo "e dopo mettersi al lavoro per ricostruire la sinistra riformista". "Sulla strada di questo traguardo si passa da due tappe: quella di domenica, i ballottaggi di Roma e Milano, e il referendum costituzionale di ottobre - si legge nel retroscena di Repubblica - già dalla prossima settimana D'Alema si prepara a costituire i comitati del No". Nei giorni scorsi, l'ex premier ha tenuto diverse riunioni in cui ha delineato la propria strategia. "Se perde Roma e Milano - è il ragionamento - Renzi uscirà molto ridimensionato". Secondo D'Alema una doppia sconfitta avrebbe pesanti ripercussioni sulla politica nazionale. "Verrebbero ribaltati tutti i rapporti di forza - spiega - cominciando dal Pd". E mette in chiaro: "Una sconfitta del premier non provocherebbe affatto una crisi di sistema. Dopo di lui un'alternativa c'è, eccome".
Lo scontro sul referendum
All'indomani dei ballottaggi, D'Alema si metterà in pista per bocciare il ddl Boschi al referendum costituzionale. "La riforma crea un sistema presidenziale" - ha spiegato in più di un'occasione - l'idea del limite di due mandati, totalmente sgrammaticata sul piano istituzionale, cos'altro è se non l'ammissione di una specie di elezione diretta?". L'ex premier si spenderà in prima persona nella campagna elettorale formando i comitati contro la riforma costituzionale di Renzi. "L'obiettivo ora è riunire tutti i pezzi della sinistra, partendo dalle varie anime della minoranza dem". Nella sua "galassia" gravitano Michele Emiliano, il governatore pugliese che sogna di sostituire Renzi, l'ex sindaco Ignazio Marino e il direttore della Treccani Massimo Bray. "In questi comitati potrebbe confluire Area socialista, la componente del Psi costituita da Bobo Craxi in opposizione al segretario Riccardo Nencini schierato con il Sì - fa notare Repubblica - la rete si sviluppa, ma tutto dipende da come si chiuderanno le urne domenica sera. All'ombra del Campidoglio e del Duomo, soprattutto".
La bufera nel partito
La ricostruzione di Repubblica è stata smentita da D'Alema. "È frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti", si legge nella nota affidata a Daniela Reggiani, portavoce dell'ex premier. Che, poi, ha scandito: "L'articolo pubblicato da Repubblica è falso". Chi siano i "mandanti" viene spiegato dall'ala sinistra del partito: "Si cerca di fare casino prima dei ballottaggi, uno scaricabarile. D'altra parte - continuano le stesse fonti - Renzi è da tempo che dice che le polemiche interne hanno ricadute sul risultato elettorale". Il quotidiano diretto da Calabresi, però, insiste e conferma il retroscena. Nella sinistra del partito, la polemica ha suscitato sorpresa mista a delusione: "Sembra proprio che ci sia la ricerca di un pretesto per dire: 'Ecco, vedete per colpa di chi si è perso?'. Un comportamento ingeneroso perchè D'Alema, come tutti gli esponenti di minoranza, sta conducendo davvero una campagna pancia a terra per portare a casa un risultato positivo. Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, a Roma, hanno tenuto iniziative con Roberto Giachetti, si sono impegnati offrendosi anche di andare nei mercati a perorare la causa". Anche Pier Luigi Bersani, che dichiara di non volere commentare nel merito il botta e risposta tra il quotidiano e l'ex premier, spiega di essere concentrato nella campagna in vista del voto di domenica: "Domani sono a Rho e dintorni per la campagna elettorale del candidato Pd, in vista dei ballottaggi. Guerini ha detto 'pancia a terra' per i ballottaggi? E io sono pancia a terra per i ballottaggi".
Sostiene Fratoianni:
C'è soprattutto un forte ridimensionamento di Renzi
Ha scritto Bruno Manfellotto, ex direttore dell'Espresso:
L'affermazione di 5Stelle è una rivolta contro l'establishment. E' la richiesta di risposte adeguate a problemi come crisi e immigrazione.
Ma questa non è la solita antipolitica.
Mentre Marco Damilano ha scritto sull'Espresso:
QUALCOSA SI E' SPEZZATO NELLA COMUNICAZIONE TRA IL PREMIER E UN PEZZO DELLA SOCIETA' CHE PURE LO AVEVA APPOGGIATO. E IL SECONDO TURNO SI TRASFORMA IN UN TEST SULLA TENUTA DELLA SUA LEADERSHIP.
Ma il regolamento si sta facendo sentire anche all'interno del PD.
La sinistra dem ha chiesto l'aiuto di D'alema che non si è tirato indietro nella scelta più propizia per un regolamento di conti.
Sono pronto a votare la Raggi". È scontro D'Alema-Repubblica
Il retroscena su Repubblica: riportate conversazioni di D'Alema coi suoi fedelissimi in cui si dice pronto a "votare la Raggi pur di mandare a casa Renzi". L'ex premier smentisce. Sinistra Pd: "Operazione ingenerosa"
Sergio Rame - Mer, 15/06/2016 - 14:08
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Massimo D'Alema è davvero pronto a tutto? Sarebbe anche disposto a votare "Lucifero"? Secondo Repubblica, non si farebbe certo problemi a dare il proprio voto alla candidata grillina di Roma Virginia Raggi anziché al piddì Roberto Giachetti.
Nei colloqui con gli amici, riportati oggi dal quotidiano diretto da Mario Calabresi, l'ex segretario dei Ds non si sarebbe fatto alcun problema nel rivelare il proprio piano per far cadere Matteo Renzi: "Voto per la Raggi e invito chi mi chiede un consiglio a fare altrettanto". In chiaro, però, lui smentisce.
Il retroscena di Repubblica
D'Alema è ancora in campo. Non si è mai allontanato, a dire il vero. Ora la partita non è certo sostenere il governo e il suo partito, il Pd, ma indebolire l'attuale segretario, far cadere l'esecutivo "e dopo mettersi al lavoro per ricostruire la sinistra riformista". "Sulla strada di questo traguardo si passa da due tappe: quella di domenica, i ballottaggi di Roma e Milano, e il referendum costituzionale di ottobre - si legge nel retroscena di Repubblica - già dalla prossima settimana D'Alema si prepara a costituire i comitati del No". Nei giorni scorsi, l'ex premier ha tenuto diverse riunioni in cui ha delineato la propria strategia. "Se perde Roma e Milano - è il ragionamento - Renzi uscirà molto ridimensionato". Secondo D'Alema una doppia sconfitta avrebbe pesanti ripercussioni sulla politica nazionale. "Verrebbero ribaltati tutti i rapporti di forza - spiega - cominciando dal Pd". E mette in chiaro: "Una sconfitta del premier non provocherebbe affatto una crisi di sistema. Dopo di lui un'alternativa c'è, eccome".
Lo scontro sul referendum
All'indomani dei ballottaggi, D'Alema si metterà in pista per bocciare il ddl Boschi al referendum costituzionale. "La riforma crea un sistema presidenziale" - ha spiegato in più di un'occasione - l'idea del limite di due mandati, totalmente sgrammaticata sul piano istituzionale, cos'altro è se non l'ammissione di una specie di elezione diretta?". L'ex premier si spenderà in prima persona nella campagna elettorale formando i comitati contro la riforma costituzionale di Renzi. "L'obiettivo ora è riunire tutti i pezzi della sinistra, partendo dalle varie anime della minoranza dem". Nella sua "galassia" gravitano Michele Emiliano, il governatore pugliese che sogna di sostituire Renzi, l'ex sindaco Ignazio Marino e il direttore della Treccani Massimo Bray. "In questi comitati potrebbe confluire Area socialista, la componente del Psi costituita da Bobo Craxi in opposizione al segretario Riccardo Nencini schierato con il Sì - fa notare Repubblica - la rete si sviluppa, ma tutto dipende da come si chiuderanno le urne domenica sera. All'ombra del Campidoglio e del Duomo, soprattutto".
La bufera nel partito
La ricostruzione di Repubblica è stata smentita da D'Alema. "È frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti", si legge nella nota affidata a Daniela Reggiani, portavoce dell'ex premier. Che, poi, ha scandito: "L'articolo pubblicato da Repubblica è falso". Chi siano i "mandanti" viene spiegato dall'ala sinistra del partito: "Si cerca di fare casino prima dei ballottaggi, uno scaricabarile. D'altra parte - continuano le stesse fonti - Renzi è da tempo che dice che le polemiche interne hanno ricadute sul risultato elettorale". Il quotidiano diretto da Calabresi, però, insiste e conferma il retroscena. Nella sinistra del partito, la polemica ha suscitato sorpresa mista a delusione: "Sembra proprio che ci sia la ricerca di un pretesto per dire: 'Ecco, vedete per colpa di chi si è perso?'. Un comportamento ingeneroso perchè D'Alema, come tutti gli esponenti di minoranza, sta conducendo davvero una campagna pancia a terra per portare a casa un risultato positivo. Roberto Speranza e Gianni Cuperlo, a Roma, hanno tenuto iniziative con Roberto Giachetti, si sono impegnati offrendosi anche di andare nei mercati a perorare la causa". Anche Pier Luigi Bersani, che dichiara di non volere commentare nel merito il botta e risposta tra il quotidiano e l'ex premier, spiega di essere concentrato nella campagna in vista del voto di domenica: "Domani sono a Rho e dintorni per la campagna elettorale del candidato Pd, in vista dei ballottaggi. Guerini ha detto 'pancia a terra' per i ballottaggi? E io sono pancia a terra per i ballottaggi".
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA RESA DEI CONTI
La versione del Fatto
Elezioni Roma, D’Alema: “Pronto a votare la Raggi pur di cacciare Renzi? Falso”. Ma Repubblica conferma la frase anti premier
Elezioni Amministrative 2016
Secondo un retroscena pubblicato da Repubblica l'ex presidente dei Ds ha rivelato ai suoi che al ballottaggio per il Campidoglio si schiererà per la candidata M5s ("Sono disposto a schierarmi anche con Lucifero") e che lavorerà ai comitati per il No al referendum per le riforme. In mattinata la smentita: "Frasi mai pronunciate frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti". Il presidente dem Orfini su Twitter: "Venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna"
di F. Q. | 15 giugno 2016
COMMENTI (1463)
“Pur di mandare via Renzi, sono disposto a votare Lucifero, figuriamoci se mi tiro indietro davanti alla candidata grillina di Roma Virginia Raggi“. A pronunciare questa frase, secondo Repubblica, è stato il dem ed ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema che starebbe anche lavorando per i comitati del No alle riforme e alla “rinascita della sinistra riformista” con il governatore Michele Emiliano come “sostituto credibile di Renzi”. Un retroscena pubblicato in prima pagina a firma Goffredo De Marchis, che ha subito scatenato gli attacchi del Pd (“Sfasciare tutto non serve a niente”) e che è stato smentito ufficialmente in mattinata dalla portavoce di D’Alema: “Frasi false, frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti”. A negare tutta la ricostruzione è stato anche lo stesso presidente della Puglia: “Non ci siamo mai incontrati”. Il quotidiano ha però confermato la propria versione: “L’articolo riporta fedelmente quanto ci è stato raccontato da numerose fonti. Parlare di mandanti esterni è grottesco”.
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Il primo a commentare su Twitter era stato il presidente del partito Matteo Orfini: “Spero che smentisca al più presto. E che venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna”. Poi a Radio Capital è intervenuta la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani: “Siamo di fronte a questioni personali. Sfasciare tutto non serve”. Sul fronte di D’Alema l’impressione è che ci sia “un vero e proprio dolo” contro l’ex segretario dei Ds: “Supponiamo abbia un’origine nella sede non diciamo del taverniere fiorentino ma certamente nel suo entourage”, si legge ne la Velina Rossa di Pasquale Laurito, molto vicino all’ex segretario dei Ds negli anni della sua premiership. “E’ in corso un gioco politico che dura da molte settimane, D’Alema non ha voluto commentare i risultati delle Comunali proprio per non essere trascinato in un gioco assurdo: un modo per fare caciara e intestare ad altri il prevedibile insuccesso del Pd alle amministrative. Se D’Alema è stato rottamato dal taverniere fiorentino perché gli si attribuisce tanta rilevanza politica? Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
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orfini @orfini
Spero che D'Alema smentisca al più presto. E che venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna. https://twitter.com/repubblicait/status ... 5917173761 …
8:10 AM - 15 Jun 2016
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Nell’articolo di Repubblica si parla dettagliatamente di diversi incontri, nonché di contatti in Puglia, in particolare con il presidente Pd della Regione Emiliano, e a Roma, dove l’ex ministro Massimo Bray e l’ex sindaco Ignazio Marino sarebbero tra i “più assidui interlocutori” di D’Alema. Secondo il retroscena di Goffredo De Marchis, l’obiettivo di D’Alema è quello di indebolire il segretario Pd e due sono le tappe nella sua testa: i ballottaggi a Roma e Milano e il referendum costituzionale di ottobre prossimo. L’ex presidente del Consiglio sta lavorando alla ricostruzione di una sinistra riformista e per questo già nei prossimi giorni ufficializzerà il suo impegno per il “no” alla riforma della Costituzione. D’Alema non si aggregherà ai comitati già esistenti perché, in quanto ex presidente della Bicamerale, non è d’accordo con chi dice “che la Carta non si tocca a prescindere”. Ma al tempo stesso condanna il provvedimento del governo Renzi per la “deriva autoritaria” che secondo lui comporta.
A metà mattina è arrivata la smentita attraverso la portavoce: “L’articolo pubblicato da Repubblica è falso”, si legge nella nota. “I numerosi virgolettati riportati, a cominciare dal titolo, corrispondono a frasi mai pronunciate. D’altra parte, l’autore non precisa né dove, né quando, né con chi sarebbero state dette. Le riunioni di cui si parla non si sono mai svolte“. D’Alema ha poi accusato che dietro la pubblicazione dell’articolo ci sia la volontà di screditarlo: “La ricostruzione è frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti. D’Alema, che è quasi sempre all’estero, non ha avuto modo di occuparsi della campagna elettorale di Roma”. Anche il presidente della Puglia Michele Emiliano ha smentito ogni contatto: “Si precisa che non si è svolto alcun incontro con il presidente Massimo D’Alema e che non è in corso alcuna interlocuzione su questioni politiche nazionali, su materia referendaria o attinenti la leadership del Partito democratico”. Con l’arrivo della smentita ufficiale, Orfini ha cercato di archiviare velocemente la questione: “Polemica chiusa, ora lo aspettiamo ai gazebo per il nostro candidato Roberto Giachetti“, ha scritto sempre su Twitter. Repubblica sul sito internet ha però replicato alle accuse di D’Alema: “L’articolo riporta fedelmente quanto ci è stato raccontato da numerose fonti. Le frasi sono state ripetute in più occasioni di fronte ad interlocutori diversi. Parlare di mandanti esterni è grottesco, a muoverci non è altro che il giornalismo che significa raccontare storie di interesse generale. E questa ci pare proprio che lo sia”.
La versione del Fatto
Elezioni Roma, D’Alema: “Pronto a votare la Raggi pur di cacciare Renzi? Falso”. Ma Repubblica conferma la frase anti premier
Elezioni Amministrative 2016
Secondo un retroscena pubblicato da Repubblica l'ex presidente dei Ds ha rivelato ai suoi che al ballottaggio per il Campidoglio si schiererà per la candidata M5s ("Sono disposto a schierarmi anche con Lucifero") e che lavorerà ai comitati per il No al referendum per le riforme. In mattinata la smentita: "Frasi mai pronunciate frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti". Il presidente dem Orfini su Twitter: "Venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna"
di F. Q. | 15 giugno 2016
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“Pur di mandare via Renzi, sono disposto a votare Lucifero, figuriamoci se mi tiro indietro davanti alla candidata grillina di Roma Virginia Raggi“. A pronunciare questa frase, secondo Repubblica, è stato il dem ed ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema che starebbe anche lavorando per i comitati del No alle riforme e alla “rinascita della sinistra riformista” con il governatore Michele Emiliano come “sostituto credibile di Renzi”. Un retroscena pubblicato in prima pagina a firma Goffredo De Marchis, che ha subito scatenato gli attacchi del Pd (“Sfasciare tutto non serve a niente”) e che è stato smentito ufficialmente in mattinata dalla portavoce di D’Alema: “Frasi false, frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti”. A negare tutta la ricostruzione è stato anche lo stesso presidente della Puglia: “Non ci siamo mai incontrati”. Il quotidiano ha però confermato la propria versione: “L’articolo riporta fedelmente quanto ci è stato raccontato da numerose fonti. Parlare di mandanti esterni è grottesco”.
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Il primo a commentare su Twitter era stato il presidente del partito Matteo Orfini: “Spero che smentisca al più presto. E che venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna”. Poi a Radio Capital è intervenuta la vicesegretaria Pd Debora Serracchiani: “Siamo di fronte a questioni personali. Sfasciare tutto non serve”. Sul fronte di D’Alema l’impressione è che ci sia “un vero e proprio dolo” contro l’ex segretario dei Ds: “Supponiamo abbia un’origine nella sede non diciamo del taverniere fiorentino ma certamente nel suo entourage”, si legge ne la Velina Rossa di Pasquale Laurito, molto vicino all’ex segretario dei Ds negli anni della sua premiership. “E’ in corso un gioco politico che dura da molte settimane, D’Alema non ha voluto commentare i risultati delle Comunali proprio per non essere trascinato in un gioco assurdo: un modo per fare caciara e intestare ad altri il prevedibile insuccesso del Pd alle amministrative. Se D’Alema è stato rottamato dal taverniere fiorentino perché gli si attribuisce tanta rilevanza politica? Chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.
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Spero che D'Alema smentisca al più presto. E che venga a darci una mano in questi ultimi giorni di campagna. https://twitter.com/repubblicait/status ... 5917173761 …
8:10 AM - 15 Jun 2016
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Nell’articolo di Repubblica si parla dettagliatamente di diversi incontri, nonché di contatti in Puglia, in particolare con il presidente Pd della Regione Emiliano, e a Roma, dove l’ex ministro Massimo Bray e l’ex sindaco Ignazio Marino sarebbero tra i “più assidui interlocutori” di D’Alema. Secondo il retroscena di Goffredo De Marchis, l’obiettivo di D’Alema è quello di indebolire il segretario Pd e due sono le tappe nella sua testa: i ballottaggi a Roma e Milano e il referendum costituzionale di ottobre prossimo. L’ex presidente del Consiglio sta lavorando alla ricostruzione di una sinistra riformista e per questo già nei prossimi giorni ufficializzerà il suo impegno per il “no” alla riforma della Costituzione. D’Alema non si aggregherà ai comitati già esistenti perché, in quanto ex presidente della Bicamerale, non è d’accordo con chi dice “che la Carta non si tocca a prescindere”. Ma al tempo stesso condanna il provvedimento del governo Renzi per la “deriva autoritaria” che secondo lui comporta.
A metà mattina è arrivata la smentita attraverso la portavoce: “L’articolo pubblicato da Repubblica è falso”, si legge nella nota. “I numerosi virgolettati riportati, a cominciare dal titolo, corrispondono a frasi mai pronunciate. D’altra parte, l’autore non precisa né dove, né quando, né con chi sarebbero state dette. Le riunioni di cui si parla non si sono mai svolte“. D’Alema ha poi accusato che dietro la pubblicazione dell’articolo ci sia la volontà di screditarlo: “La ricostruzione è frutto della fantasia del cronista e della volontà dei suoi mandanti. D’Alema, che è quasi sempre all’estero, non ha avuto modo di occuparsi della campagna elettorale di Roma”. Anche il presidente della Puglia Michele Emiliano ha smentito ogni contatto: “Si precisa che non si è svolto alcun incontro con il presidente Massimo D’Alema e che non è in corso alcuna interlocuzione su questioni politiche nazionali, su materia referendaria o attinenti la leadership del Partito democratico”. Con l’arrivo della smentita ufficiale, Orfini ha cercato di archiviare velocemente la questione: “Polemica chiusa, ora lo aspettiamo ai gazebo per il nostro candidato Roberto Giachetti“, ha scritto sempre su Twitter. Repubblica sul sito internet ha però replicato alle accuse di D’Alema: “L’articolo riporta fedelmente quanto ci è stato raccontato da numerose fonti. Le frasi sono state ripetute in più occasioni di fronte ad interlocutori diversi. Parlare di mandanti esterni è grottesco, a muoverci non è altro che il giornalismo che significa raccontare storie di interesse generale. E questa ci pare proprio che lo sia”.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA RESA DEI CONTI
Marco Politi, l'ex vaticanista di Repubblica, traccia in questo articolo, con molta dovizia, il malessere del mondo cattolico nei confronti di Mussoloni.
Anche questo contribuirà al declino del Ducetto di Rignano.
Elezioni amministrative 2016, il disagio crescente dei cattolici verso il Pd
di Marco Politi | 13 giugno 2016
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Più informazioni su: Ballottaggi Amministrative 2016, Cattolici, Matteo Renzi, Papa Francesco, PD,Scout
Marco Politi
Scrittore e giornalista
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C’è anche una questione cattolica nello smottamento elettorale del Pd di Matteo Renzi. E’ il rifiuto di segmenti del cattolicesimo democratico e sociale nei confronti di una gestione politica percepita come prepotentemente dissonante rispetto ai propri valori e modi di agire. E’ l’insofferenza di gente comune formatasi alla lezione di De Gasperi e Moro, nella pratica sociale del sindacatoe di molta parte dell’associazionismo bianco o in occasione di appuntamenti come il referendum sull’acqua, che ha visto una larghissima partecipazione di gruppi cattolici locali. Stessi elettori si sono spesso ritrovati sul referendum per le trivelle.
Non va dimenticato che il mondo cattolico nell’estrema varietà delle sue sigle è quasi l’unico spazio pubblico, in cui ci si riunisca regolarmente per discutere e riflettere sul rapporto tra società e i propri valori religiosamente ispirati.
C’è una premessa da fare. Il “popolo cattolico” come blocco elettorale non c’è più da oltre un ventennio (e comunque il monolitismo non è mai esistito). E c’è da aggiungere che anche nell’area cattolica genericamente di sinistra ci sono pezzi convertitisi alrenzismo.
Dunque qui si parla di segmenti, che compongono un mosaico elettorale affidato alle opinioni dei singoli, al loro sentire culturale, al loro vissuto quotidiano in cui – lontano dalla ribalta mediatica – si manifesta l’adesione silenziosa a valori guida e un certo modo di concepire lo Stato. Queste realtà molecolari sono fatte da uomini e donne, famiglie e single attenti alla politica e alla partecipazione,non qualunquisti, che non amano leadership urlate e soprattutto sono impregnate del concetto di “bene comune”, convergendo su alcuni temi chiave agitati da papa Francesco su povertà, degrado sociale e ambientale, precariato, contrasto all’illegalità.
Queste molecole cattoliche (e in queste elezioni le singole migliaia di voti in un senso o nell’altro contano assai) hanno un sentimento riformatore e di sinistra e per molti anni hanno avuto per riferimento il Pd. Ora si staccano per un disagio cresciuto gradualmente nell’ultimo triennio.
Hanno introiettato da sempre il valore della Costituzione italiana, non perché sia poeticamente la “più bella del mondo”, ma per il suo equilibrio tra poteri diversi, il suo contemperare un intreccio di motivi ideali e sociali, il suo sforzo di dare rappresentanza al Paese. Sentire definire “archeologi travestiti da costituzionalisti” presidenti stimati della Corte costituzionale, di cui molti cattolici, urta la sensibilità di questo elettorato. Vedere depotenziato drasticamente il parlamento attraverso diktat di super-canguri e un premio a chi maggioranza non è (perché il 40 per cento non può comandare alla rappresentanza del 60 per cento) disorienta questi elettori di formazione cattolico-democratica.
Vedere l’esibito disinteresse del premier Renzi per la documentazione prodotta dalla commissione antimafiapresieduta da Rosy Bindi già soltanto su un piccolo campionario delle candidature di queste elezioni – espressione di una palese indecenza politica e noncuranza per la legalità, cui il Pd e altri partiti danno silenziosa copertura – provoca un forte disagio in questi elettori.
Così come la sprezzante condotta del premier nell’ignorare il ruolo dei corpi intermedi, a cominciare dal sindacato. Fa parte di una tradizione cattolica radicata proprio la convinzione che oltre al parlamento, la società moderna abbia bisogno di organismi di rappresentanza degli interessi sociali, capaci di farsi ascoltare dalle istituzioni.
Proprio la cultura cattolica dell’ascolto è totalmente assente nella gestione renziana. Quando il premier-capo del Pd va dagli scout e dice che “spesso la politica parla, parla e non ascolta”, afferma una cosa che non ha mai praticato nelle grandi questioni di questi anni. Sarebbe sbagliato credere che una certa parte di elettorato cattolico possa soffrire impunemente l’assenza di qualsivoglia radice culturale, che caratterizza la leadership renzista. La sensibilità scout certamente manca. A partire da un linguaggio gangsteristico tipo “entrerò con il lanciafiamme”, frase che il premier ha rivolto alle correnti di minoranza del partito subito dopo le elezioni dello scorso 5 giugno.
Egualmente assente è il richiamo fecondo ai filoni contemporanei del pensiero cattolico. (Per non parlare degli input sociali forniti dagli ultimi papi, da Giovanni Paolo II a Francesco). Quando la Boschi dichiara “tra Fanfani e Berlinguer, preferisco Fanfani”, risulta evidente dal suo agire in politica che non ha la minima idea né dell’uno né dell’altro.
Ciò che, tuttavia, maggiormente allontana dal Pd odierno molti ambienti cattolici immersi nel quotidiano, è la disattenzione profonda per il vissuto reale di milioni di famiglie, che il Codacons descrive “da Terzo mondo”. Non si tratta qui di elargire qualche bonus o accordare un taglio fiscale (cose sempre benvenute) ma l’esaltato oblio leopoldino per i milioni di poveri assoluti, per i milioni di impoveriti che si reggono appena a galla, per l’effetto drammatico dei tagli lineari a scuola e assistenza sanitaria sulla vita spicciola delle famiglie, produce un malumore sotterraneo.
Gli undici milioni di italiani costretti a rinunciare alle cure mediche nel 2015 non compaiono mai sugli schermi della roboante comunicazione renziana. E soprattutto pesa il sostanziale non-intervento di Renzi sulla precarietà sistematica che affligge milioni di giovani, sfruttati con contratti a tempo determinato fuori da ogni controllo, con l’uso distorsivo dei voucher (al di là della tracciabilità), con l’arrogante imposizione di lavoro falsamente a partita Iva. Dietro ogni giovane, che annaspa, ci sono padri e madri, nonni e zii che li devono sostenere e sono stanchi di slogan, convinti che il capo del Pd non faccia nulla per voltare pagina e aiutare realmente i giovani e le famiglie. Molecole diffuse nella società, molecole che votano.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... d/2823321/
Marco Politi, l'ex vaticanista di Repubblica, traccia in questo articolo, con molta dovizia, il malessere del mondo cattolico nei confronti di Mussoloni.
Anche questo contribuirà al declino del Ducetto di Rignano.
Elezioni amministrative 2016, il disagio crescente dei cattolici verso il Pd
di Marco Politi | 13 giugno 2016
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Marco Politi
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C’è anche una questione cattolica nello smottamento elettorale del Pd di Matteo Renzi. E’ il rifiuto di segmenti del cattolicesimo democratico e sociale nei confronti di una gestione politica percepita come prepotentemente dissonante rispetto ai propri valori e modi di agire. E’ l’insofferenza di gente comune formatasi alla lezione di De Gasperi e Moro, nella pratica sociale del sindacatoe di molta parte dell’associazionismo bianco o in occasione di appuntamenti come il referendum sull’acqua, che ha visto una larghissima partecipazione di gruppi cattolici locali. Stessi elettori si sono spesso ritrovati sul referendum per le trivelle.
Non va dimenticato che il mondo cattolico nell’estrema varietà delle sue sigle è quasi l’unico spazio pubblico, in cui ci si riunisca regolarmente per discutere e riflettere sul rapporto tra società e i propri valori religiosamente ispirati.
C’è una premessa da fare. Il “popolo cattolico” come blocco elettorale non c’è più da oltre un ventennio (e comunque il monolitismo non è mai esistito). E c’è da aggiungere che anche nell’area cattolica genericamente di sinistra ci sono pezzi convertitisi alrenzismo.
Dunque qui si parla di segmenti, che compongono un mosaico elettorale affidato alle opinioni dei singoli, al loro sentire culturale, al loro vissuto quotidiano in cui – lontano dalla ribalta mediatica – si manifesta l’adesione silenziosa a valori guida e un certo modo di concepire lo Stato. Queste realtà molecolari sono fatte da uomini e donne, famiglie e single attenti alla politica e alla partecipazione,non qualunquisti, che non amano leadership urlate e soprattutto sono impregnate del concetto di “bene comune”, convergendo su alcuni temi chiave agitati da papa Francesco su povertà, degrado sociale e ambientale, precariato, contrasto all’illegalità.
Queste molecole cattoliche (e in queste elezioni le singole migliaia di voti in un senso o nell’altro contano assai) hanno un sentimento riformatore e di sinistra e per molti anni hanno avuto per riferimento il Pd. Ora si staccano per un disagio cresciuto gradualmente nell’ultimo triennio.
Hanno introiettato da sempre il valore della Costituzione italiana, non perché sia poeticamente la “più bella del mondo”, ma per il suo equilibrio tra poteri diversi, il suo contemperare un intreccio di motivi ideali e sociali, il suo sforzo di dare rappresentanza al Paese. Sentire definire “archeologi travestiti da costituzionalisti” presidenti stimati della Corte costituzionale, di cui molti cattolici, urta la sensibilità di questo elettorato. Vedere depotenziato drasticamente il parlamento attraverso diktat di super-canguri e un premio a chi maggioranza non è (perché il 40 per cento non può comandare alla rappresentanza del 60 per cento) disorienta questi elettori di formazione cattolico-democratica.
Vedere l’esibito disinteresse del premier Renzi per la documentazione prodotta dalla commissione antimafiapresieduta da Rosy Bindi già soltanto su un piccolo campionario delle candidature di queste elezioni – espressione di una palese indecenza politica e noncuranza per la legalità, cui il Pd e altri partiti danno silenziosa copertura – provoca un forte disagio in questi elettori.
Così come la sprezzante condotta del premier nell’ignorare il ruolo dei corpi intermedi, a cominciare dal sindacato. Fa parte di una tradizione cattolica radicata proprio la convinzione che oltre al parlamento, la società moderna abbia bisogno di organismi di rappresentanza degli interessi sociali, capaci di farsi ascoltare dalle istituzioni.
Proprio la cultura cattolica dell’ascolto è totalmente assente nella gestione renziana. Quando il premier-capo del Pd va dagli scout e dice che “spesso la politica parla, parla e non ascolta”, afferma una cosa che non ha mai praticato nelle grandi questioni di questi anni. Sarebbe sbagliato credere che una certa parte di elettorato cattolico possa soffrire impunemente l’assenza di qualsivoglia radice culturale, che caratterizza la leadership renzista. La sensibilità scout certamente manca. A partire da un linguaggio gangsteristico tipo “entrerò con il lanciafiamme”, frase che il premier ha rivolto alle correnti di minoranza del partito subito dopo le elezioni dello scorso 5 giugno.
Egualmente assente è il richiamo fecondo ai filoni contemporanei del pensiero cattolico. (Per non parlare degli input sociali forniti dagli ultimi papi, da Giovanni Paolo II a Francesco). Quando la Boschi dichiara “tra Fanfani e Berlinguer, preferisco Fanfani”, risulta evidente dal suo agire in politica che non ha la minima idea né dell’uno né dell’altro.
Ciò che, tuttavia, maggiormente allontana dal Pd odierno molti ambienti cattolici immersi nel quotidiano, è la disattenzione profonda per il vissuto reale di milioni di famiglie, che il Codacons descrive “da Terzo mondo”. Non si tratta qui di elargire qualche bonus o accordare un taglio fiscale (cose sempre benvenute) ma l’esaltato oblio leopoldino per i milioni di poveri assoluti, per i milioni di impoveriti che si reggono appena a galla, per l’effetto drammatico dei tagli lineari a scuola e assistenza sanitaria sulla vita spicciola delle famiglie, produce un malumore sotterraneo.
Gli undici milioni di italiani costretti a rinunciare alle cure mediche nel 2015 non compaiono mai sugli schermi della roboante comunicazione renziana. E soprattutto pesa il sostanziale non-intervento di Renzi sulla precarietà sistematica che affligge milioni di giovani, sfruttati con contratti a tempo determinato fuori da ogni controllo, con l’uso distorsivo dei voucher (al di là della tracciabilità), con l’arrogante imposizione di lavoro falsamente a partita Iva. Dietro ogni giovane, che annaspa, ci sono padri e madri, nonni e zii che li devono sostenere e sono stanchi di slogan, convinti che il capo del Pd non faccia nulla per voltare pagina e aiutare realmente i giovani e le famiglie. Molecole diffuse nella società, molecole che votano.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA RESA DEI CONTI
D’Alema: ‘Vogliono che io sia un capro espiatorio
Le frasi? Montate dall’house organ del Nazareno’
L’ex premier a La Stampa: “Ai ballottaggi il Pd teme risultati molto deludenti”. Poi l’attacco a Repubblica
E sul referendum costituzionale: “Ho solo detto che se vince il sì Renzi ci caccia. Ma era una battuta”
d'alema1_pp
Elezioni Amministrative 2016
“E’ una vera e propria montatura contro di me, stanno cercando un capro espiatorio perché temono, domenica, risultati molto deludenti rispetto alle attese. È una palese manovra da parte di quello che è in realtà un house organ del Partito del Nazareno”. Dopo la smentita, arriva il contrattacco. Dalle colonne de La Stampa, Massimo D’Alema torna sul duro scontro all’interno del Pd tra lui e i vertici innescato dal retroscena di Repubblica. L’ex premier: “Sul referendum ho solo detto che se vince il sì Renzi ci caccia, ma era una battuta”
^^^^^
D’Alema: “Montatura per cercare un capro espiatorio, fatta da house organ del Partito del Nazareno”
Elezioni Amministrative 2016
Su La Stampa, l'ex premier smentisce il retroscena di Repubblica che definisce "pura spazzatura da parte di un giornale che perde lettori" e parla di una manovra politica perché "domenica temono risultati molto deludenti rispetto alle attese". Intanto il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari conferma la propria ricostruzione e aggiunge un retroscena: "Ha chiamato il critico d'arte Montanari per cercare di convincerlo ad accettare l'offerta del Movimento 5 Stelle: fare l'assessore alla cultura nella giunta Raggi"
di F. Q. | 16 giugno 2016
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“Si tratta di una vera e propria montatura contro di me, frutto del fatto che stanno cercando un capro espiatorio perché temono, domenica, risultati molto deludenti rispetto alle attese. È una palese manovra da parte di quello che è in realtà un house organ del Partito del Nazareno”. Dopo la smentita arriva il contrattacco. Dalle colonne de La Stampa, Massimo D’Alema torna sul duro scontro all’interno del Pd tra lui e i vertici innescato dal retroscena di Repubblica a firma di Goffredo De Marchis. Secondo il giornalista, l’ex premier sarebbe pronto a votare al ballottaggio di domenica a Roma la candidata del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi al posto del democratico Roberto Giachetti. E che pur di “mandare a casa Renzi – avrebbe detto – sarei disposto a votare anche Lucifero“. Non solo. In un nuovo articolo, De Marchis sostiene che l’ex presidente Pd ha telefonato al critico d’arte Montanari per convincerlo a entrare in un’eventuale giunta pentastellata.
D’Alema invece smentisce punto per punto la ricostruzione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari (confermata invece ancora oggi dal giornalista di Largo Fochetti), dietro la quale vede una chiara strategia politica. L’ex primo ministro ridimensiona anche la frase riguardo al voto di ottobre: “Se vince il sì al referendum, facciamo la scissione; se invece vince il no, ci riprendiamo il partito”. Il “leader Maximo” racconta nel dettaglio come sono andate le cose al vicedirettore del quotidiano torinese, Federico Geremicca. “L’episodio in questione è avvenuto al termine di un seminario sul ventennio della democrazia dell’alternanza, dunque alla fine dei lavori condotti tra noi e l’associazione Magna Carta. Quando il convegno è finito – prosegue l’ex presidente del Consiglio – ci siamo soffermati per i saluti sul pianerottolo e Gaetano Quagliariello ha chiesto a Giovanni Orsina come avrebbe votato sul referendum costituzionale di ottobre. Orsina ha detto che avrebbe votato sì e Quagliariello, allora, ha ribattuto che lui – invece – avrebbe votato no”. Dal canto suo D’Alema ricorda di aver affermato “che in caso di vittoria del sì, Renzi ci avrebbe cacciato dal partito. Ma si trattava chiaramente di una battuta, non di una dichiarazione politica. In più, non ho mai parlato della Raggi. Per questo dico che è una montatura. Anzi, si tratta – come ho già spiegato – di pura spazzatura da parte di un giornale che perde lettori, così come noi del Pd stiamo perdendo elettori”. Anche Gaetano Quagliariello, intervistato dall’Huffington Post, ammette che ci sia stato uno scambio di battute con D’Alema, un “siparietto” dove “non sono certo mancate le iperbole e le reciproche scherzose invettive”, ma “nulla di più”.
Pura invenzione anche riguardo alla frase “voterei Lucifero pur di mandare a casa Renzi”. “Non ho mai detto la parola Lucifero, perché è un termine che non appartiene al mio vocabolario: casomai, avrei detto Belzebù. Ma il punto è che le battute non sono dichiarazioni politiche: se avessi voluto fare una dichiarazione politica avrei saputo farla”. Secondo D’Alema tutta la vicenda “dimostra e conferma il livello di degrado del giornalismo italiano. De Marchis, l’autore dell’articolo su ‘Repubblica’, non mi ha mai chiamato: ha telefonato a Massimo Bray, che gli ha detto in maniera inequivocabile che le frasi attribuitemi non erano vere. Scriverle lo stesso è stata dunque una menzogna, che ha come mandanti chi mi vuole adoperare come capro espiatorio”. “Mi hanno perfino accusato di essere andato in Puglia a tenere riunioni per tramare chissà che cosa, ma in realtà vi sono andato per tenere comizi del Pd. Potete scrivere – conclude D’Alema – che si tratta solo di una montatura da parte di chi, temendo il peggio ai ballottaggi di domenica sta cercando per tempo una persona da incolpare”.
Tutt’altro scenario invece quello raccontato ancora oggi da Repubblica. Il giornalista politico De Marchis, autore dell’articolo “incriminato”, conferma la genuinità del suo retroscena e in un nuovo pezzo fornisce altri elementi a sostegno della sua ricostruzione. “In queste ultime settimane – scrive De Marchis – sono due i temi su cui D’Alema si è espresso, ragionando con colleghi, professori e intellettuali che ha incontrato durante i giri elettorali e negli appuntamenti della sua Fondazione”. Secondo il giornalista, D’Alema, durante una riunione riservata con i suoi fedelissimi a Bari e tre giorni fa alla sua Fondazione, ha manifestato la sua intenzione di creare comitati per il “no” al referendum di domenica in modo di creare un proprio spazio autonomo a sinistra con l’obiettivo di “far cadere Renzi a qualunque costo perché la riforma è un pasticcio, è un presidenzialismo mascherato e senza alcun contrappeso”. Sempre secondo il quotidiano diretto da Mario Calabresi, l’ex premier ha detto di voler votare la Raggi al ballottaggio di domenica a Roma perché “è fondamentale la sconfitta di Renzi a Milano e Roma. Solo così si può ricostruire un campo del centrosinistra”. Questo il ragionamento fatto D’Alema secondo De Marchis, che aggiunge un retroscena. L’ex premier “ha telefonato ben due volte al critico d’arte Tomaso Montanari per cercare di convincerlo ad accettare l’offerta del Movimento 5 Stelle: fare l’assessore alla cultura nella giunta Raggi. Il consiglio, nella sostanza, era quello di schierarsi con i grillini. Ma, alla fine Montanari, allievo di Salvatore Settis, ha declinato l’invito e si è tirato fuori dal totonomi per il Campidoglio“.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... o/2834606/
D’Alema: ‘Vogliono che io sia un capro espiatorio
Le frasi? Montate dall’house organ del Nazareno’
L’ex premier a La Stampa: “Ai ballottaggi il Pd teme risultati molto deludenti”. Poi l’attacco a Repubblica
E sul referendum costituzionale: “Ho solo detto che se vince il sì Renzi ci caccia. Ma era una battuta”
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Elezioni Amministrative 2016
“E’ una vera e propria montatura contro di me, stanno cercando un capro espiatorio perché temono, domenica, risultati molto deludenti rispetto alle attese. È una palese manovra da parte di quello che è in realtà un house organ del Partito del Nazareno”. Dopo la smentita, arriva il contrattacco. Dalle colonne de La Stampa, Massimo D’Alema torna sul duro scontro all’interno del Pd tra lui e i vertici innescato dal retroscena di Repubblica. L’ex premier: “Sul referendum ho solo detto che se vince il sì Renzi ci caccia, ma era una battuta”
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D’Alema: “Montatura per cercare un capro espiatorio, fatta da house organ del Partito del Nazareno”
Elezioni Amministrative 2016
Su La Stampa, l'ex premier smentisce il retroscena di Repubblica che definisce "pura spazzatura da parte di un giornale che perde lettori" e parla di una manovra politica perché "domenica temono risultati molto deludenti rispetto alle attese". Intanto il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari conferma la propria ricostruzione e aggiunge un retroscena: "Ha chiamato il critico d'arte Montanari per cercare di convincerlo ad accettare l'offerta del Movimento 5 Stelle: fare l'assessore alla cultura nella giunta Raggi"
di F. Q. | 16 giugno 2016
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“Si tratta di una vera e propria montatura contro di me, frutto del fatto che stanno cercando un capro espiatorio perché temono, domenica, risultati molto deludenti rispetto alle attese. È una palese manovra da parte di quello che è in realtà un house organ del Partito del Nazareno”. Dopo la smentita arriva il contrattacco. Dalle colonne de La Stampa, Massimo D’Alema torna sul duro scontro all’interno del Pd tra lui e i vertici innescato dal retroscena di Repubblica a firma di Goffredo De Marchis. Secondo il giornalista, l’ex premier sarebbe pronto a votare al ballottaggio di domenica a Roma la candidata del Movimento 5 Stelle Virginia Raggi al posto del democratico Roberto Giachetti. E che pur di “mandare a casa Renzi – avrebbe detto – sarei disposto a votare anche Lucifero“. Non solo. In un nuovo articolo, De Marchis sostiene che l’ex presidente Pd ha telefonato al critico d’arte Montanari per convincerlo a entrare in un’eventuale giunta pentastellata.
D’Alema invece smentisce punto per punto la ricostruzione del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari (confermata invece ancora oggi dal giornalista di Largo Fochetti), dietro la quale vede una chiara strategia politica. L’ex primo ministro ridimensiona anche la frase riguardo al voto di ottobre: “Se vince il sì al referendum, facciamo la scissione; se invece vince il no, ci riprendiamo il partito”. Il “leader Maximo” racconta nel dettaglio come sono andate le cose al vicedirettore del quotidiano torinese, Federico Geremicca. “L’episodio in questione è avvenuto al termine di un seminario sul ventennio della democrazia dell’alternanza, dunque alla fine dei lavori condotti tra noi e l’associazione Magna Carta. Quando il convegno è finito – prosegue l’ex presidente del Consiglio – ci siamo soffermati per i saluti sul pianerottolo e Gaetano Quagliariello ha chiesto a Giovanni Orsina come avrebbe votato sul referendum costituzionale di ottobre. Orsina ha detto che avrebbe votato sì e Quagliariello, allora, ha ribattuto che lui – invece – avrebbe votato no”. Dal canto suo D’Alema ricorda di aver affermato “che in caso di vittoria del sì, Renzi ci avrebbe cacciato dal partito. Ma si trattava chiaramente di una battuta, non di una dichiarazione politica. In più, non ho mai parlato della Raggi. Per questo dico che è una montatura. Anzi, si tratta – come ho già spiegato – di pura spazzatura da parte di un giornale che perde lettori, così come noi del Pd stiamo perdendo elettori”. Anche Gaetano Quagliariello, intervistato dall’Huffington Post, ammette che ci sia stato uno scambio di battute con D’Alema, un “siparietto” dove “non sono certo mancate le iperbole e le reciproche scherzose invettive”, ma “nulla di più”.
Pura invenzione anche riguardo alla frase “voterei Lucifero pur di mandare a casa Renzi”. “Non ho mai detto la parola Lucifero, perché è un termine che non appartiene al mio vocabolario: casomai, avrei detto Belzebù. Ma il punto è che le battute non sono dichiarazioni politiche: se avessi voluto fare una dichiarazione politica avrei saputo farla”. Secondo D’Alema tutta la vicenda “dimostra e conferma il livello di degrado del giornalismo italiano. De Marchis, l’autore dell’articolo su ‘Repubblica’, non mi ha mai chiamato: ha telefonato a Massimo Bray, che gli ha detto in maniera inequivocabile che le frasi attribuitemi non erano vere. Scriverle lo stesso è stata dunque una menzogna, che ha come mandanti chi mi vuole adoperare come capro espiatorio”. “Mi hanno perfino accusato di essere andato in Puglia a tenere riunioni per tramare chissà che cosa, ma in realtà vi sono andato per tenere comizi del Pd. Potete scrivere – conclude D’Alema – che si tratta solo di una montatura da parte di chi, temendo il peggio ai ballottaggi di domenica sta cercando per tempo una persona da incolpare”.
Tutt’altro scenario invece quello raccontato ancora oggi da Repubblica. Il giornalista politico De Marchis, autore dell’articolo “incriminato”, conferma la genuinità del suo retroscena e in un nuovo pezzo fornisce altri elementi a sostegno della sua ricostruzione. “In queste ultime settimane – scrive De Marchis – sono due i temi su cui D’Alema si è espresso, ragionando con colleghi, professori e intellettuali che ha incontrato durante i giri elettorali e negli appuntamenti della sua Fondazione”. Secondo il giornalista, D’Alema, durante una riunione riservata con i suoi fedelissimi a Bari e tre giorni fa alla sua Fondazione, ha manifestato la sua intenzione di creare comitati per il “no” al referendum di domenica in modo di creare un proprio spazio autonomo a sinistra con l’obiettivo di “far cadere Renzi a qualunque costo perché la riforma è un pasticcio, è un presidenzialismo mascherato e senza alcun contrappeso”. Sempre secondo il quotidiano diretto da Mario Calabresi, l’ex premier ha detto di voler votare la Raggi al ballottaggio di domenica a Roma perché “è fondamentale la sconfitta di Renzi a Milano e Roma. Solo così si può ricostruire un campo del centrosinistra”. Questo il ragionamento fatto D’Alema secondo De Marchis, che aggiunge un retroscena. L’ex premier “ha telefonato ben due volte al critico d’arte Tomaso Montanari per cercare di convincerlo ad accettare l’offerta del Movimento 5 Stelle: fare l’assessore alla cultura nella giunta Raggi. Il consiglio, nella sostanza, era quello di schierarsi con i grillini. Ma, alla fine Montanari, allievo di Salvatore Settis, ha declinato l’invito e si è tirato fuori dal totonomi per il Campidoglio“.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... o/2834606/
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Re: Diario della caduta di un regime.
Non è questo il modo di mandarlo a casa. Poi non credo alla riconoscenza dei 5 stelle se vincono. Si è visto quando si doveva fare il governo Bersani o eleggere Prodi alla Presidenza della Repubblica.
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Re: Diario della caduta di un regime.
E' LECITO CHIEDERSI IL PERCHE' QUESTO VIDEO SPUNTA
SUL "New York Post"????
Mps, spunta il video della morte di David Rossi
La morte di David Rossi è un vero e proprio giallo. Adesso spunta il video della caduta dall'ufficio della banca senese
Claudio Torre - Ven, 17/06/2016 - 09:43
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 72812.html
SUL "New York Post"????
Mps, spunta il video della morte di David Rossi
La morte di David Rossi è un vero e proprio giallo. Adesso spunta il video della caduta dall'ufficio della banca senese
Claudio Torre - Ven, 17/06/2016 - 09:43
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 72812.html
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Re: Diario della caduta di un regime.
POLITICA
Pd, Renzi come un Freccia Rossa (che sta per deragliare)
Politica
di Roberto Marchesi | 17 giugno 2016
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I treni super-rapidi (come il “Freccia Rossa”) sono utilissimi perché consentono di coprire comodamente lunghi percorsi in tempi brevi. Così come i supercomputers, che sono utilissimi oggi praticamente in ogni campo dello scibile perché consentono di eseguire calcoli ed algoritmi complicatissimi in milionesimi di secondo.
Bene, la stessa sensazione la provano molti (me compreso) vedendo all’opera il fenomeno Matteo Renzi. Lui è veramente un superdotato, ha capacità eccezionali, sia di memoria che di eloquio, e in più aggiunge di suo anche grandi doti di simpatia e di cordialità. Non può sorprendere dunque che un personaggio con tutte queste doti faccia una strepitosa e folgorante carriera nel campo in cui si è applicato.
Capita però che la velocità non sia sempre il mezzo migliore per raggiungere certe mete. A volte succede anzi che sia proprio la fretta a creare disastri (come i treni veloci che deragliano quando arrivano in curva a velocità insostenibile).
E’ quello che sta succedendo a Renzi di questi tempi. La sua velocità nell’auto-identificarsi nella figura del “grande statista riformatore” è esagerata. Per certe cose è meglio la prudenza piuttosto che la baldanza. La capacità di mediazione, l’intuito del fine politico, l’esperienza, sono requisiti essenziali negli statisti democratici riformatori, doti che in lui scarseggiano vistosamente.
Probabilmente ciò è dovuto anche all’inesperienza frutto dei suoi 41 anni compiuti a febbraio). In quel ruolo di così alto potere, la giovane età gioca brutti scherzi.
Senza esperienza e senza consolidati ideali capaci di tracciare una sicura via da seguire, il fatto di trovarsi al più alto livello esecutivo di una nazione, circondato da persone il cui ruolo è solo quello di obbedire e compiacere, può solo montare la testa. E’ evidente come Renzi non sia riuscito a evitare per sé e per il suo governo questo “infortunio” caratteriale.
Ma è solo dopo la sua orrenda vittoria sul referendum delle “trivelle” (orrenda perché un presidente del consiglio, e un ex presidente della Repubblica, che invita gli elettori a non andare a votare, sputa nel piatto politico in cui egli stesso mangia), quando ha assunto un tono irridente verso gli sconfitti e si è lasciato andare a toni trionfalistici assolutamente stonati, che è apparsa evidente la sua “montatura”. Come faceva a non prevedere che in quel modo se li sarebbe tirati tutti addosso? Non solo gli inviperiti leaders delle opposizioni, ma anche moltitudini di sconcertati elettori che, seppure convinti a non votare in un referendum che magari non conoscevano abbastanza, certamente non avrebbero ripetuto di lì a poco, nelle elezioni amministrative, lo stesso favore al gasatissimo leader che nel frattempo proseguiva la folle corsa in Parlamento a riforme persino costituzionali mai messe in un programma elettorale votato dal popolo e sostenute, strada facendo, con maggioranze che mai il popolo aveva non solo voluto, ma nemmeno potuto immaginare.
Adesso che la frittata è fatta e che il popolo sta per emettere le sentenze, lui avverte il pericolo e le prova tutte per tentare di evitare il naufragio: promette mari e monti trovando soldi che fino al giorno prima non c’erano (nello stile del più classico populismo, che nemmeno lui ha mai rottamato), e annuncia tutti i giorni l’avvio di una ripresa economica sfavillante che nessuno in Italia riesce a vedere.
Berlusconi nell’arte della comunicazione populista era più suadente, lui però viaggia a doppia, anzi tripla velocità in fatto di populismo quantitativo.
E’ il Pd a pagare ora per queste colpe: non si può sperare di tradire tutti, alleati ed elettori spacciando il tutto con la foglia di fico del pragmatismo e con alleanze impresentabili sperando di farla sempre franca. I nodi, presto o tardi, vengono al pettine.
Ciriaco DeMita, il primo nella democrazia italiana che ha voluto sperimentare, nel 1988, il doppio incarico di segretario del partito e di presidente del consiglio lo ha certamente avvisato della estrema difficoltà di tenere insieme due incarichi così gravosi. Lui, com’è sua consuetudine, non ha ascoltato nessuno e sta portando il suo partito a deragliare insieme a lui.
Renzi ha vinto le primarie del Pd ed è stato nominato segretario, ma di fatto il segretario non lo ha quasi mai fatto. I risultati ora si vedono benissimo. Per coerenza, dopo i risultati dei ballottaggi, nel caso in cui siano sfavorevoli al Partito democratico, dovrebbe lasciare subito almeno l’incarico di segretario che ha gestito in modo fallimentare.
Ormai dovrebbe aver capito anche lui che il chiodo fisso della “governabilità”, sul quale ha puntato tutto il capitale delle sue riforme, è un problema suo, e più in generale dei politici, non della gente.
L’opportunismo politico in favore della partitocrazia, che nel suo “Italicum” risulta palese anche a chi segue solo distrattamente le vicende della politica, ormai è venuto a galla in piena luce e non basta più né la sua eloquenza né la sua bravura nel fare promesse che tutti hanno già smascherato, a fargli risalire la china di una sfiducia che potrebbe presto costringerlo a lasciare la sua poltrona molto prima della fine del doppio mandato che lui si affanna a promettere.
Peccato! Se Renzi imparasse a spendere meglio il suo enorme talento personale, sarebbe un vero patrimonio per l’Italia politica. Al momento è soltanto un treno senza freni che sta già per deragliare alla prima “curva” politica del vero consenso elettorale.
Meglio fermarlo ora e lasciargli il tempo per meditare.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... e/2840088/
Pd, Renzi come un Freccia Rossa (che sta per deragliare)
Politica
di Roberto Marchesi | 17 giugno 2016
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I treni super-rapidi (come il “Freccia Rossa”) sono utilissimi perché consentono di coprire comodamente lunghi percorsi in tempi brevi. Così come i supercomputers, che sono utilissimi oggi praticamente in ogni campo dello scibile perché consentono di eseguire calcoli ed algoritmi complicatissimi in milionesimi di secondo.
Bene, la stessa sensazione la provano molti (me compreso) vedendo all’opera il fenomeno Matteo Renzi. Lui è veramente un superdotato, ha capacità eccezionali, sia di memoria che di eloquio, e in più aggiunge di suo anche grandi doti di simpatia e di cordialità. Non può sorprendere dunque che un personaggio con tutte queste doti faccia una strepitosa e folgorante carriera nel campo in cui si è applicato.
Capita però che la velocità non sia sempre il mezzo migliore per raggiungere certe mete. A volte succede anzi che sia proprio la fretta a creare disastri (come i treni veloci che deragliano quando arrivano in curva a velocità insostenibile).
E’ quello che sta succedendo a Renzi di questi tempi. La sua velocità nell’auto-identificarsi nella figura del “grande statista riformatore” è esagerata. Per certe cose è meglio la prudenza piuttosto che la baldanza. La capacità di mediazione, l’intuito del fine politico, l’esperienza, sono requisiti essenziali negli statisti democratici riformatori, doti che in lui scarseggiano vistosamente.
Probabilmente ciò è dovuto anche all’inesperienza frutto dei suoi 41 anni compiuti a febbraio). In quel ruolo di così alto potere, la giovane età gioca brutti scherzi.
Senza esperienza e senza consolidati ideali capaci di tracciare una sicura via da seguire, il fatto di trovarsi al più alto livello esecutivo di una nazione, circondato da persone il cui ruolo è solo quello di obbedire e compiacere, può solo montare la testa. E’ evidente come Renzi non sia riuscito a evitare per sé e per il suo governo questo “infortunio” caratteriale.
Ma è solo dopo la sua orrenda vittoria sul referendum delle “trivelle” (orrenda perché un presidente del consiglio, e un ex presidente della Repubblica, che invita gli elettori a non andare a votare, sputa nel piatto politico in cui egli stesso mangia), quando ha assunto un tono irridente verso gli sconfitti e si è lasciato andare a toni trionfalistici assolutamente stonati, che è apparsa evidente la sua “montatura”. Come faceva a non prevedere che in quel modo se li sarebbe tirati tutti addosso? Non solo gli inviperiti leaders delle opposizioni, ma anche moltitudini di sconcertati elettori che, seppure convinti a non votare in un referendum che magari non conoscevano abbastanza, certamente non avrebbero ripetuto di lì a poco, nelle elezioni amministrative, lo stesso favore al gasatissimo leader che nel frattempo proseguiva la folle corsa in Parlamento a riforme persino costituzionali mai messe in un programma elettorale votato dal popolo e sostenute, strada facendo, con maggioranze che mai il popolo aveva non solo voluto, ma nemmeno potuto immaginare.
Adesso che la frittata è fatta e che il popolo sta per emettere le sentenze, lui avverte il pericolo e le prova tutte per tentare di evitare il naufragio: promette mari e monti trovando soldi che fino al giorno prima non c’erano (nello stile del più classico populismo, che nemmeno lui ha mai rottamato), e annuncia tutti i giorni l’avvio di una ripresa economica sfavillante che nessuno in Italia riesce a vedere.
Berlusconi nell’arte della comunicazione populista era più suadente, lui però viaggia a doppia, anzi tripla velocità in fatto di populismo quantitativo.
E’ il Pd a pagare ora per queste colpe: non si può sperare di tradire tutti, alleati ed elettori spacciando il tutto con la foglia di fico del pragmatismo e con alleanze impresentabili sperando di farla sempre franca. I nodi, presto o tardi, vengono al pettine.
Ciriaco DeMita, il primo nella democrazia italiana che ha voluto sperimentare, nel 1988, il doppio incarico di segretario del partito e di presidente del consiglio lo ha certamente avvisato della estrema difficoltà di tenere insieme due incarichi così gravosi. Lui, com’è sua consuetudine, non ha ascoltato nessuno e sta portando il suo partito a deragliare insieme a lui.
Renzi ha vinto le primarie del Pd ed è stato nominato segretario, ma di fatto il segretario non lo ha quasi mai fatto. I risultati ora si vedono benissimo. Per coerenza, dopo i risultati dei ballottaggi, nel caso in cui siano sfavorevoli al Partito democratico, dovrebbe lasciare subito almeno l’incarico di segretario che ha gestito in modo fallimentare.
Ormai dovrebbe aver capito anche lui che il chiodo fisso della “governabilità”, sul quale ha puntato tutto il capitale delle sue riforme, è un problema suo, e più in generale dei politici, non della gente.
L’opportunismo politico in favore della partitocrazia, che nel suo “Italicum” risulta palese anche a chi segue solo distrattamente le vicende della politica, ormai è venuto a galla in piena luce e non basta più né la sua eloquenza né la sua bravura nel fare promesse che tutti hanno già smascherato, a fargli risalire la china di una sfiducia che potrebbe presto costringerlo a lasciare la sua poltrona molto prima della fine del doppio mandato che lui si affanna a promettere.
Peccato! Se Renzi imparasse a spendere meglio il suo enorme talento personale, sarebbe un vero patrimonio per l’Italia politica. Al momento è soltanto un treno senza freni che sta già per deragliare alla prima “curva” politica del vero consenso elettorale.
Meglio fermarlo ora e lasciargli il tempo per meditare.
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