Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Italicum, il caso si riapre: ed è guerriglia nel Pd
Grillo: ‘Renzi baro, teme il 70 a 30 come a Roma’
La legge elettorale entra in vigore domani. Ma una mozione in aula rimette tutto in discussione (leggi)
Dem divisi. Renzi: “Resti così”. Gotor: “È da rifare”. Di Maio: “Facciano pure, ma le priorità sono altre”
Politica
L’Italicum tornerà alla Camera. Lo fa attraverso una mozione di Sinistra Italiana che vuole sfrondare la legge elettorale di tutti “gli evidenti profili di incostituzionalità“. La discussione è stata inserita nel calendario di Montecitorio di settembre, su decisione della conferenza dei capigruppo (leggi). Tutto si riapre e ricomincia la guerriglia. Luigi Di Maio scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”. Il Pd è diviso e addirittura Angelino Alfano, secondo i retroscena dei giornali, sulle modifiche minaccia di aprire la crisi di governo
^^^^^^^^
Italicum, nel Pd torna la guerriglia. Renzi: “Io non voglio cambiarlo”. Il M5s: “E’ un baro, cambia le carte in tavola”
Politica
La legge elettorale entra in vigore domani eppure la discussione è ricominciata daccapo. Democratici divisi, perfino i franceschiniani sarebbero d'accordo per dare il premio di maggioranza alla coalizione. Il premier resiste, ma riflette. La sinistra Pd ringalluzzita. Gotor: "Rifare completamente". Di Maio (M5s): "Le priorità sono altre"
di F. Q. | 30 giugno 2016
COMMENTI
L’Italicum nasce e già non si sa se e quanto resterà in vita. La legge elettorale entra in vigore tra poche ore, alla mezzanotte del primo luglio, ma le elezioni amministrative vinte dal M5s e perse dal Pd (con una dose di piacere del centrodestra) hanno avuto l’effetto del tasto rewind. Ricomincia daccapo tutta la discussione su quote, premi, preferenze eccetera. Come se i tre passaggi tra Camera e Senato per arrivare all’approvazione definitiva non fossero mai avvenuti. Certo, le carte sono rimescolate. Resta la guerriglia nel Pd tra renziani e resto del partito, ma per esempio Luigi Di Maio, Movimento Cinque Stelle, scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”, mentre nel pieno del dibattito prima dell’approvazione parlò di una legge “pro corruzione” perché era come il Porcellum oppure, dall’altra parte, Angelino Alfano che vuole il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Per ora chi resiste almeno – nonostante i retroscena dei giornali dai toni contraddittori giorno dopo giorno – è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Mi scrivono: ‘Non si provi a cambiare l’Italicum…’. A me lo dite?” ha tagliato corto durante il suo #matteorisponde by night da Palazzo Chigi. La stessa linea la tengono i suoi, a ogni livello.
Ma il sospetto (che per qualcuno è speranza e per qualcun altro è timore) è che in realtà la legge elettorale torni davvero in discussione. Come scrivono i Cinquestelle sul blog di Beppe Grillo tra “modifica della legge elettorale” e “posticipazione del referendum” (della quale per ora non si ha notizia), Renzi “ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe”. Ma il M5s avverte che non serve “cambiare la legge elettorale per cercare di evitare l’inevitabile. Non si può fermare il vento con le mani. Quando il M5s sarà al governo la legge elettorale sarà ancorata alla Costituzione per evitare che i partiti possano cambiarla quando fa comodo a loro”. Secondo il leader dei Cinquestelle insomma “si fanno le regole ad partitum e quando non gli vanno più bene le cambiano, impegnando la Camera che costa 100mila euro al giorno a occuparsi dei loro affari e non degli interessi di dieci milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà o delle imprese che chiudono a centinaia ogni giorno”. Infine il Movimento rivendica come abbia “combattuto contro l’Italicum, presentato una legge elettorale scritta in Rete e cercato il dialogo con il Pd per una legge che fosse a garanzia dei cittadini, non dei partiti. Renzi ha pensato solo al suo. Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere”. Al ballottaggio, secondo loro, Renzi ha paura di esser battuto con un 70-30 come successo a Roma”.
Fino alle vittorie M5S a Roma e Torino #Italicum era legge migliore al mondo (per noi è uno schifo).Ora Renzi pronto a cambiarla.Cialtroni!
— AlessandroDiBattista (@ale_dibattista) 30 giugno 2016
Ma sul no alle modifiche della legge elettorale, in verità, per il momento tutto il gruppo dirigente renziano sembra compatto: “Con l’Italicum – dice al Corriere della Sera il capogruppo alla Camera Ettore Rosato – abbiamo costruito un impianto solido, che garantisce la governabilità e la rappresentanza e che risolve quei problemi che anche oggi possiamo rivedere in Spagna. Detto questo, non abbiamo mai negato il dialogo”. E per coincidenza usa le stesse parole di Di Maio: “Le priorità del Paese” sono “altre, semplificazione, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà”. La stessa prudenza del capogruppo al Senato Luigi Zanda, anche lui di indubbia fede: “Sarebbe la prima volta che si modifica una legge elettorale mai sperimentata”.
Meno sorprendente è la posizione della sinistra del Pd – parte della quale non votò la legge – che torna a ringalluzzirsi dopo la mozione di Sinistra Italiana che sarà discussa a settembre (anche se sulla costituzionalità e non sul merito). La riaccensione del juke box delle dichiarazioni sull’Italicum è soprattutto merito loro. Miguel Gotor per esempio non perde il turno nemmeno a questo giro e non si accontenta di generiche modifiche: la legge va proprio cambiata, non corretta, dice. “Perché – aggiunge parlando a Repubblica – tra la cosmetica e una legge che garantisce davvero maggiore rappresentanza preferiamo la seconda strada”. La mozione di Si non basta: “Tocca a Renzi prendere l’iniziativa”.
Come succedeva nella vecchia politica, #M5S dice no a #Italicum ma si deve leggere come un si. Non ne vogliono parlare, ma ne parlano sempre
— Andrea Marcucci (@AndreaMarcucci) 30 giugno 2016
La modifica più richiesta è al momento l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Lo chiede Forza Italia e questo è arcinoto perché Silvio Berlusconi vuole unire il fronte del centrodestra con Lega Nord e Fratelli d’Italia perché altrimenti nessuno dei tre partiti ha speranza di giocare alcun ruolo alle Politiche. Ma ora lo chiede anche Area Popolare – segmento fondamentale della maggioranza – e l’idea è condivisa appunto anche dalla fetta di renziani che seguono il ministro Dario Franceschini. Il punto vero di tutta questa discussione è che qualsiasi modifica si decida di fare, servono i voti in Parlamento: chi vuole realizzarle, osserva insomma il renziano Andrea Marcucci, deve trovare una maggioranza che le voti in Parlamento. E al primo giro non è stato per niente facile.
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa – Ma al fondo mi sembrerebbe suicida chiedere di cambiare una legge elettorale perché ti fanno paura i Cinque Stelle. Una posizione che definirei ‘sconfittistica’. Non reggerebbe di fronte al Paese”. Renzi sembra di questo avviso. Per ora.
di F. Q. | 30 giugno 2016
Grillo: ‘Renzi baro, teme il 70 a 30 come a Roma’
La legge elettorale entra in vigore domani. Ma una mozione in aula rimette tutto in discussione (leggi)
Dem divisi. Renzi: “Resti così”. Gotor: “È da rifare”. Di Maio: “Facciano pure, ma le priorità sono altre”
Politica
L’Italicum tornerà alla Camera. Lo fa attraverso una mozione di Sinistra Italiana che vuole sfrondare la legge elettorale di tutti “gli evidenti profili di incostituzionalità“. La discussione è stata inserita nel calendario di Montecitorio di settembre, su decisione della conferenza dei capigruppo (leggi). Tutto si riapre e ricomincia la guerriglia. Luigi Di Maio scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”. Il Pd è diviso e addirittura Angelino Alfano, secondo i retroscena dei giornali, sulle modifiche minaccia di aprire la crisi di governo
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Italicum, nel Pd torna la guerriglia. Renzi: “Io non voglio cambiarlo”. Il M5s: “E’ un baro, cambia le carte in tavola”
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La legge elettorale entra in vigore domani eppure la discussione è ricominciata daccapo. Democratici divisi, perfino i franceschiniani sarebbero d'accordo per dare il premio di maggioranza alla coalizione. Il premier resiste, ma riflette. La sinistra Pd ringalluzzita. Gotor: "Rifare completamente". Di Maio (M5s): "Le priorità sono altre"
di F. Q. | 30 giugno 2016
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L’Italicum nasce e già non si sa se e quanto resterà in vita. La legge elettorale entra in vigore tra poche ore, alla mezzanotte del primo luglio, ma le elezioni amministrative vinte dal M5s e perse dal Pd (con una dose di piacere del centrodestra) hanno avuto l’effetto del tasto rewind. Ricomincia daccapo tutta la discussione su quote, premi, preferenze eccetera. Come se i tre passaggi tra Camera e Senato per arrivare all’approvazione definitiva non fossero mai avvenuti. Certo, le carte sono rimescolate. Resta la guerriglia nel Pd tra renziani e resto del partito, ma per esempio Luigi Di Maio, Movimento Cinque Stelle, scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”, mentre nel pieno del dibattito prima dell’approvazione parlò di una legge “pro corruzione” perché era come il Porcellum oppure, dall’altra parte, Angelino Alfano che vuole il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Per ora chi resiste almeno – nonostante i retroscena dei giornali dai toni contraddittori giorno dopo giorno – è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Mi scrivono: ‘Non si provi a cambiare l’Italicum…’. A me lo dite?” ha tagliato corto durante il suo #matteorisponde by night da Palazzo Chigi. La stessa linea la tengono i suoi, a ogni livello.
Ma il sospetto (che per qualcuno è speranza e per qualcun altro è timore) è che in realtà la legge elettorale torni davvero in discussione. Come scrivono i Cinquestelle sul blog di Beppe Grillo tra “modifica della legge elettorale” e “posticipazione del referendum” (della quale per ora non si ha notizia), Renzi “ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe”. Ma il M5s avverte che non serve “cambiare la legge elettorale per cercare di evitare l’inevitabile. Non si può fermare il vento con le mani. Quando il M5s sarà al governo la legge elettorale sarà ancorata alla Costituzione per evitare che i partiti possano cambiarla quando fa comodo a loro”. Secondo il leader dei Cinquestelle insomma “si fanno le regole ad partitum e quando non gli vanno più bene le cambiano, impegnando la Camera che costa 100mila euro al giorno a occuparsi dei loro affari e non degli interessi di dieci milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà o delle imprese che chiudono a centinaia ogni giorno”. Infine il Movimento rivendica come abbia “combattuto contro l’Italicum, presentato una legge elettorale scritta in Rete e cercato il dialogo con il Pd per una legge che fosse a garanzia dei cittadini, non dei partiti. Renzi ha pensato solo al suo. Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere”. Al ballottaggio, secondo loro, Renzi ha paura di esser battuto con un 70-30 come successo a Roma”.
Fino alle vittorie M5S a Roma e Torino #Italicum era legge migliore al mondo (per noi è uno schifo).Ora Renzi pronto a cambiarla.Cialtroni!
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Ma sul no alle modifiche della legge elettorale, in verità, per il momento tutto il gruppo dirigente renziano sembra compatto: “Con l’Italicum – dice al Corriere della Sera il capogruppo alla Camera Ettore Rosato – abbiamo costruito un impianto solido, che garantisce la governabilità e la rappresentanza e che risolve quei problemi che anche oggi possiamo rivedere in Spagna. Detto questo, non abbiamo mai negato il dialogo”. E per coincidenza usa le stesse parole di Di Maio: “Le priorità del Paese” sono “altre, semplificazione, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà”. La stessa prudenza del capogruppo al Senato Luigi Zanda, anche lui di indubbia fede: “Sarebbe la prima volta che si modifica una legge elettorale mai sperimentata”.
Meno sorprendente è la posizione della sinistra del Pd – parte della quale non votò la legge – che torna a ringalluzzirsi dopo la mozione di Sinistra Italiana che sarà discussa a settembre (anche se sulla costituzionalità e non sul merito). La riaccensione del juke box delle dichiarazioni sull’Italicum è soprattutto merito loro. Miguel Gotor per esempio non perde il turno nemmeno a questo giro e non si accontenta di generiche modifiche: la legge va proprio cambiata, non corretta, dice. “Perché – aggiunge parlando a Repubblica – tra la cosmetica e una legge che garantisce davvero maggiore rappresentanza preferiamo la seconda strada”. La mozione di Si non basta: “Tocca a Renzi prendere l’iniziativa”.
Come succedeva nella vecchia politica, #M5S dice no a #Italicum ma si deve leggere come un si. Non ne vogliono parlare, ma ne parlano sempre
— Andrea Marcucci (@AndreaMarcucci) 30 giugno 2016
La modifica più richiesta è al momento l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Lo chiede Forza Italia e questo è arcinoto perché Silvio Berlusconi vuole unire il fronte del centrodestra con Lega Nord e Fratelli d’Italia perché altrimenti nessuno dei tre partiti ha speranza di giocare alcun ruolo alle Politiche. Ma ora lo chiede anche Area Popolare – segmento fondamentale della maggioranza – e l’idea è condivisa appunto anche dalla fetta di renziani che seguono il ministro Dario Franceschini. Il punto vero di tutta questa discussione è che qualsiasi modifica si decida di fare, servono i voti in Parlamento: chi vuole realizzarle, osserva insomma il renziano Andrea Marcucci, deve trovare una maggioranza che le voti in Parlamento. E al primo giro non è stato per niente facile.
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa – Ma al fondo mi sembrerebbe suicida chiedere di cambiare una legge elettorale perché ti fanno paura i Cinque Stelle. Una posizione che definirei ‘sconfittistica’. Non reggerebbe di fronte al Paese”. Renzi sembra di questo avviso. Per ora.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Italicum, il caso si riapre: ed è guerriglia nel Pd
Grillo: ‘Renzi baro, teme il 70 a 30 come a Roma’
La legge elettorale entra in vigore domani. Ma una mozione in aula rimette tutto in discussione (leggi)
Dem divisi. Renzi: “Resti così”. Gotor: “È da rifare”. Di Maio: “Facciano pure, ma le priorità sono altre”
Politica
L’Italicum tornerà alla Camera. Lo fa attraverso una mozione di Sinistra Italiana che vuole sfrondare la legge elettorale di tutti “gli evidenti profili di incostituzionalità“. La discussione è stata inserita nel calendario di Montecitorio di settembre, su decisione della conferenza dei capigruppo (leggi). Tutto si riapre e ricomincia la guerriglia. Luigi Di Maio scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”. Il Pd è diviso e addirittura Angelino Alfano, secondo i retroscena dei giornali, sulle modifiche minaccia di aprire la crisi di governo
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Italicum, nel Pd torna la guerriglia. Renzi: “Io non voglio cambiarlo”. Il M5s: “E’ un baro, cambia le carte in tavola”
Politica
La legge elettorale entra in vigore domani eppure la discussione è ricominciata daccapo. Democratici divisi, perfino i franceschiniani sarebbero d'accordo per dare il premio di maggioranza alla coalizione. Il premier resiste, ma riflette. La sinistra Pd ringalluzzita. Gotor: "Rifare completamente". Di Maio (M5s): "Le priorità sono altre"
di F. Q. | 30 giugno 2016
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L’Italicum nasce e già non si sa se e quanto resterà in vita. La legge elettorale entra in vigore tra poche ore, alla mezzanotte del primo luglio, ma le elezioni amministrative vinte dal M5s e perse dal Pd (con una dose di piacere del centrodestra) hanno avuto l’effetto del tasto rewind. Ricomincia daccapo tutta la discussione su quote, premi, preferenze eccetera. Come se i tre passaggi tra Camera e Senato per arrivare all’approvazione definitiva non fossero mai avvenuti. Certo, le carte sono rimescolate. Resta la guerriglia nel Pd tra renziani e resto del partito, ma per esempio Luigi Di Maio, Movimento Cinque Stelle, scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”, mentre nel pieno del dibattito prima dell’approvazione parlò di una legge “pro corruzione” perché era come il Porcellum oppure, dall’altra parte, Angelino Alfano che vuole il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Per ora chi resiste almeno – nonostante i retroscena dei giornali dai toni contraddittori giorno dopo giorno – è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Mi scrivono: ‘Non si provi a cambiare l’Italicum…’. A me lo dite?” ha tagliato corto durante il suo #matteorisponde by night da Palazzo Chigi. La stessa linea la tengono i suoi, a ogni livello.
Ma il sospetto (che per qualcuno è speranza e per qualcun altro è timore) è che in realtà la legge elettorale torni davvero in discussione. Come scrivono i Cinquestelle sul blog di Beppe Grillo tra “modifica della legge elettorale” e “posticipazione del referendum” (della quale per ora non si ha notizia), Renzi “ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe”. Ma il M5s avverte che non serve “cambiare la legge elettorale per cercare di evitare l’inevitabile. Non si può fermare il vento con le mani. Quando il M5s sarà al governo la legge elettorale sarà ancorata alla Costituzione per evitare che i partiti possano cambiarla quando fa comodo a loro”. Secondo il leader dei Cinquestelle insomma “si fanno le regole ad partitum e quando non gli vanno più bene le cambiano, impegnando la Camera che costa 100mila euro al giorno a occuparsi dei loro affari e non degli interessi di dieci milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà o delle imprese che chiudono a centinaia ogni giorno”. Infine il Movimento rivendica come abbia “combattuto contro l’Italicum, presentato una legge elettorale scritta in Rete e cercato il dialogo con il Pd per una legge che fosse a garanzia dei cittadini, non dei partiti. Renzi ha pensato solo al suo. Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere”. Al ballottaggio, secondo loro, Renzi ha paura di esser battuto con un 70-30 come successo a Roma”.
Fino alle vittorie M5S a Roma e Torino #Italicum era legge migliore al mondo (per noi è uno schifo).Ora Renzi pronto a cambiarla.Cialtroni!
— AlessandroDiBattista (@ale_dibattista) 30 giugno 2016
Ma sul no alle modifiche della legge elettorale, in verità, per il momento tutto il gruppo dirigente renziano sembra compatto: “Con l’Italicum – dice al Corriere della Sera il capogruppo alla Camera Ettore Rosato – abbiamo costruito un impianto solido, che garantisce la governabilità e la rappresentanza e che risolve quei problemi che anche oggi possiamo rivedere in Spagna. Detto questo, non abbiamo mai negato il dialogo”. E per coincidenza usa le stesse parole di Di Maio: “Le priorità del Paese” sono “altre, semplificazione, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà”. La stessa prudenza del capogruppo al Senato Luigi Zanda, anche lui di indubbia fede: “Sarebbe la prima volta che si modifica una legge elettorale mai sperimentata”.
Meno sorprendente è la posizione della sinistra del Pd – parte della quale non votò la legge – che torna a ringalluzzirsi dopo la mozione di Sinistra Italiana che sarà discussa a settembre (anche se sulla costituzionalità e non sul merito). La riaccensione del juke box delle dichiarazioni sull’Italicum è soprattutto merito loro. Miguel Gotor per esempio non perde il turno nemmeno a questo giro e non si accontenta di generiche modifiche: la legge va proprio cambiata, non corretta, dice. “Perché – aggiunge parlando a Repubblica – tra la cosmetica e una legge che garantisce davvero maggiore rappresentanza preferiamo la seconda strada”. La mozione di Si non basta: “Tocca a Renzi prendere l’iniziativa”.
Come succedeva nella vecchia politica, #M5S dice no a #Italicum ma si deve leggere come un si. Non ne vogliono parlare, ma ne parlano sempre
— Andrea Marcucci (@AndreaMarcucci) 30 giugno 2016
La modifica più richiesta è al momento l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Lo chiede Forza Italia e questo è arcinoto perché Silvio Berlusconi vuole unire il fronte del centrodestra con Lega Nord e Fratelli d’Italia perché altrimenti nessuno dei tre partiti ha speranza di giocare alcun ruolo alle Politiche. Ma ora lo chiede anche Area Popolare – segmento fondamentale della maggioranza – e l’idea è condivisa appunto anche dalla fetta di renziani che seguono il ministro Dario Franceschini. Il punto vero di tutta questa discussione è che qualsiasi modifica si decida di fare, servono i voti in Parlamento: chi vuole realizzarle, osserva insomma il renziano Andrea Marcucci, deve trovare una maggioranza che le voti in Parlamento. E al primo giro non è stato per niente facile.
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa – Ma al fondo mi sembrerebbe suicida chiedere di cambiare una legge elettorale perché ti fanno paura i Cinque Stelle. Una posizione che definirei ‘sconfittistica’. Non reggerebbe di fronte al Paese”. Renzi sembra di questo avviso. Per ora.
di F. Q. | 30 giugno 2016
Grillo: ‘Renzi baro, teme il 70 a 30 come a Roma’
La legge elettorale entra in vigore domani. Ma una mozione in aula rimette tutto in discussione (leggi)
Dem divisi. Renzi: “Resti così”. Gotor: “È da rifare”. Di Maio: “Facciano pure, ma le priorità sono altre”
Politica
L’Italicum tornerà alla Camera. Lo fa attraverso una mozione di Sinistra Italiana che vuole sfrondare la legge elettorale di tutti “gli evidenti profili di incostituzionalità“. La discussione è stata inserita nel calendario di Montecitorio di settembre, su decisione della conferenza dei capigruppo (leggi). Tutto si riapre e ricomincia la guerriglia. Luigi Di Maio scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”. Il Pd è diviso e addirittura Angelino Alfano, secondo i retroscena dei giornali, sulle modifiche minaccia di aprire la crisi di governo
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Italicum, nel Pd torna la guerriglia. Renzi: “Io non voglio cambiarlo”. Il M5s: “E’ un baro, cambia le carte in tavola”
Politica
La legge elettorale entra in vigore domani eppure la discussione è ricominciata daccapo. Democratici divisi, perfino i franceschiniani sarebbero d'accordo per dare il premio di maggioranza alla coalizione. Il premier resiste, ma riflette. La sinistra Pd ringalluzzita. Gotor: "Rifare completamente". Di Maio (M5s): "Le priorità sono altre"
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L’Italicum nasce e già non si sa se e quanto resterà in vita. La legge elettorale entra in vigore tra poche ore, alla mezzanotte del primo luglio, ma le elezioni amministrative vinte dal M5s e perse dal Pd (con una dose di piacere del centrodestra) hanno avuto l’effetto del tasto rewind. Ricomincia daccapo tutta la discussione su quote, premi, preferenze eccetera. Come se i tre passaggi tra Camera e Senato per arrivare all’approvazione definitiva non fossero mai avvenuti. Certo, le carte sono rimescolate. Resta la guerriglia nel Pd tra renziani e resto del partito, ma per esempio Luigi Di Maio, Movimento Cinque Stelle, scrive su facebook che rispetto alla modifica della legge elettorale “le priorità sono altre”, mentre nel pieno del dibattito prima dell’approvazione parlò di una legge “pro corruzione” perché era come il Porcellum oppure, dall’altra parte, Angelino Alfano che vuole il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Per ora chi resiste almeno – nonostante i retroscena dei giornali dai toni contraddittori giorno dopo giorno – è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: “Mi scrivono: ‘Non si provi a cambiare l’Italicum…’. A me lo dite?” ha tagliato corto durante il suo #matteorisponde by night da Palazzo Chigi. La stessa linea la tengono i suoi, a ogni livello.
Ma il sospetto (che per qualcuno è speranza e per qualcun altro è timore) è che in realtà la legge elettorale torni davvero in discussione. Come scrivono i Cinquestelle sul blog di Beppe Grillo tra “modifica della legge elettorale” e “posticipazione del referendum” (della quale per ora non si ha notizia), Renzi “ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere. Un baro da due soldi e con la coda tra le gambe”. Ma il M5s avverte che non serve “cambiare la legge elettorale per cercare di evitare l’inevitabile. Non si può fermare il vento con le mani. Quando il M5s sarà al governo la legge elettorale sarà ancorata alla Costituzione per evitare che i partiti possano cambiarla quando fa comodo a loro”. Secondo il leader dei Cinquestelle insomma “si fanno le regole ad partitum e quando non gli vanno più bene le cambiano, impegnando la Camera che costa 100mila euro al giorno a occuparsi dei loro affari e non degli interessi di dieci milioni di italiani che vivono in condizioni di povertà o delle imprese che chiudono a centinaia ogni giorno”. Infine il Movimento rivendica come abbia “combattuto contro l’Italicum, presentato una legge elettorale scritta in Rete e cercato il dialogo con il Pd per una legge che fosse a garanzia dei cittadini, non dei partiti. Renzi ha pensato solo al suo. Ora vuole cambiare le carte in tavola perché ha paura di perdere”. Al ballottaggio, secondo loro, Renzi ha paura di esser battuto con un 70-30 come successo a Roma”.
Fino alle vittorie M5S a Roma e Torino #Italicum era legge migliore al mondo (per noi è uno schifo).Ora Renzi pronto a cambiarla.Cialtroni!
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Ma sul no alle modifiche della legge elettorale, in verità, per il momento tutto il gruppo dirigente renziano sembra compatto: “Con l’Italicum – dice al Corriere della Sera il capogruppo alla Camera Ettore Rosato – abbiamo costruito un impianto solido, che garantisce la governabilità e la rappresentanza e che risolve quei problemi che anche oggi possiamo rivedere in Spagna. Detto questo, non abbiamo mai negato il dialogo”. E per coincidenza usa le stesse parole di Di Maio: “Le priorità del Paese” sono “altre, semplificazione, lotta alla disoccupazione, lotta alla povertà”. La stessa prudenza del capogruppo al Senato Luigi Zanda, anche lui di indubbia fede: “Sarebbe la prima volta che si modifica una legge elettorale mai sperimentata”.
Meno sorprendente è la posizione della sinistra del Pd – parte della quale non votò la legge – che torna a ringalluzzirsi dopo la mozione di Sinistra Italiana che sarà discussa a settembre (anche se sulla costituzionalità e non sul merito). La riaccensione del juke box delle dichiarazioni sull’Italicum è soprattutto merito loro. Miguel Gotor per esempio non perde il turno nemmeno a questo giro e non si accontenta di generiche modifiche: la legge va proprio cambiata, non corretta, dice. “Perché – aggiunge parlando a Repubblica – tra la cosmetica e una legge che garantisce davvero maggiore rappresentanza preferiamo la seconda strada”. La mozione di Si non basta: “Tocca a Renzi prendere l’iniziativa”.
Come succedeva nella vecchia politica, #M5S dice no a #Italicum ma si deve leggere come un si. Non ne vogliono parlare, ma ne parlano sempre
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La modifica più richiesta è al momento l’introduzione del premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista. Lo chiede Forza Italia e questo è arcinoto perché Silvio Berlusconi vuole unire il fronte del centrodestra con Lega Nord e Fratelli d’Italia perché altrimenti nessuno dei tre partiti ha speranza di giocare alcun ruolo alle Politiche. Ma ora lo chiede anche Area Popolare – segmento fondamentale della maggioranza – e l’idea è condivisa appunto anche dalla fetta di renziani che seguono il ministro Dario Franceschini. Il punto vero di tutta questa discussione è che qualsiasi modifica si decida di fare, servono i voti in Parlamento: chi vuole realizzarle, osserva insomma il renziano Andrea Marcucci, deve trovare una maggioranza che le voti in Parlamento. E al primo giro non è stato per niente facile.
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa – Ma al fondo mi sembrerebbe suicida chiedere di cambiare una legge elettorale perché ti fanno paura i Cinque Stelle. Una posizione che definirei ‘sconfittistica’. Non reggerebbe di fronte al Paese”. Renzi sembra di questo avviso. Per ora.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
IL CRETINISMO AL POTERE
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa
Pensare che dopo la serie di flop, iniziati con le amministrative, con i riflessi della Brexit, con le trattative andate a male con il Kaiser Merkel, con l’aumento del 4% dell’energia elettrica e l’1,9 % dell’aumento del gas, con questa nuova grana dell’Italicum, che Mussoloni-Bomba possa ancora vincere a ottobre, è paragonabile ai fuori testa dell’Isis che pensando di farsi saltare per la causa riceveranno i riconoscimenti di Allah.
IL CRETINISMO AL POTERE
Poi c’è la riflessione politica, però. Qui si inserisce anche il consiglio di un renziano extraparlamentare, il costituzionalista Stefano Ceccanti, ex senatore democratico: “Non ci sono i tempi tecnici per cambiare una legge elettorale prima del referendum costituzionale d’autunno: e se Renzi vincerà, molte cose cambieranno… – dichiara alla Stampa
Pensare che dopo la serie di flop, iniziati con le amministrative, con i riflessi della Brexit, con le trattative andate a male con il Kaiser Merkel, con l’aumento del 4% dell’energia elettrica e l’1,9 % dell’aumento del gas, con questa nuova grana dell’Italicum, che Mussoloni-Bomba possa ancora vincere a ottobre, è paragonabile ai fuori testa dell’Isis che pensando di farsi saltare per la causa riceveranno i riconoscimenti di Allah.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
30 GIU 2016 18:21
STAMPA BASTARDA
- IL “VENERDI’ NERO” DEI GIORNALONI IN EDICOLA SENZA BREXIT
- RENZI CHE ALLA VIGILIA DEL VOTO AVEVA ANNUNCIATO CHE PER L’ITALIA “CI SAREBBERO STATI EFFETTI LIMITATI”. BRUCIATI IN BORSA, INVECE, 61 MILIARDI DI EURO IN UNA BOTTA SOLA
– UNO TSUNAMI FINANZIARIO MOLTO PEGGIO DI QUANDO NEL 2011 BELLANAPOLI COSTRINSE CON UN COLPO DI MANO ISPIRATO DALLA MERKEL ALLE DIMISSIONI BERLUSCONI
C’è stata una Waterloo politica finanziaria per il governo ben più grave dei “fatti drammatici” del 2011, ma stavolta l’infausto passaggio è stato quasi ignorato dai giornali dei Poteri marciti. Gli stessi che applaudivano Re Giorgio I, che sui diktat di Angela Merkel, cacciava da palazzo Chigi, Silvio Berlusconi...
DAGONOTA
Fermate le rotative! Spegnete i televisori! E maledite i sondaggisti di sua maestà britannica! La notte del 23 giugno 2016, scandita dall’esito incerto fino all’ultimo del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa (Brexit) ha preceduto quello che a lungo sarà ricordato come il “venerdì nero” anche dei media tradizionali. Stavolta, però, la colpa non è dei direttori incolpevoli di aver bucatol’evento.
La notizia della vittoria del “Sì” al referendum è arrivata quando i giornali già erano in stampa. Il loro peccato è di aver mandato nelle edicole un prodotto troppo pesante (decine e decine di paginate sull’argomento) e non usufruibile dal povero lettore. Il quotidiano, insomma, puzzava di vecchio sin dal mattino e prima ancora d’incartarci il pesce. Già. Un quotidiano mutilato della “memorabile” notizia dell’implosione del Vecchio Continente con la vittoria oltre Manica di “Leave” metteva davvero tristezza.
“Omero è nuovo è niente è così vecchio come il giornale”, verrebbe da dire con le parole del saggista e poeta francese Charles Pèguy. Ma a una settimana dallotsunami finanziario (annunciato e prevedibile) lo spartito informativo non sembra cambiato registro. E il lettore continua a non capirci un’acca su cosa accadrà dopo l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa nonostante la massa di notizie che gli è caduta sugli occhi. Il che forse meriterebbe qualche seria riflessione sul perché - a prescindere dall’Infernet della Rete -, la carta stampata abbia mancato l’evento della storia puntando sulla quantità mostruosa (di pagine) piuttosto che sull’analisi (sintetica e qualificata)
Una Minima moralia, insomma, su quello che Adorno chiamava, a proposito dei titoli dei giornali, “un fragore senza suono”. A quando, allora, una consapevole svolta (redazionale) nel tentativo di bloccare la fuga in massa dalle edicole?
Una sterzata che tenga il passo con la globalizzazione della notizia. In Italia il primato (in discesa) delle copie vendute tra la Repubblica e il Corrierone si gioca ormai sotto l’asticella misera delle 200 mila copie. E la montagna di carta andata al macero in occasione della Brexit (e nei giorni successivi) non è forse figlia dell’eccesso (o del caos) di notizie somministrate al lettore? Il doppio delle pagine pubblicate dai quotidiani inglesi sullo psicodramma Brexit. Tanto per fare un esempio pertinente. Di tutto e di più, invece, qui da noi: sterminate articolesse, reportage a go go, commenti vari (e avariati). Tutto, insomma, e il contrario di tutto.
Nell’ultima settimana c’è stata una vera e propria degenerazione del sistema informativo con il risultato di erodere ulteriormente l’affidabilità dei media tradizionali. Mentre non c’è statistica al mondo che non evidenzi come il tempo medio di lettura dedicato ai quotidiani non superi dai suoi acquirenti i 15-20 minuti. “Dal punto di vista del lettore – osservano gli analisti di European Journalism Observatory - il problema di oggi non è la scarsità d’informazioni, ma l’eccesso d’informazioni.
Non solo, ma per quanto riguarda lo stile di vita attuale – aggiungono - è il fattore tempo a complicare ulteriormente le cose: quando ci si dedica ala lettura di un giornale si vorrebbe che in pochi minuti e in poco spazio si riuscisse ad avere un quadro generale di quanto sta succedendo”. E il ragionamento, in parte, vale pure per i siti Web.
Una raccomandazione forte, caduta ahimè nel vuoto. Tant’è che siamo stati sommersi da una valanga di pezzi orientati soprattutto a farci intendere, prima e dopo la consultazione, che l’Inghilterra avrebbe sbagliato a lasciare l’Europa dei burocrati e a non seguire i consigli del baronetto del Corriere, Beppe Servegnini, o del suo editorialista di punta (e tacco) Sir Antony Polaito.
REPUBBLICA del sommo Eugenio Scalfari, le trombonate sullo spirito europeistico dei pionieri di Ventotene (Spinelli&C), evocati dall’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, parlavano poi a chi quell’idea (politica) europeista l’hanno vista umiliata dalla feroce e iniqua burocrazia di Bruxelles.
Senza chiedersi il suo direttore, Mariopio Calabresi, sul perché il cocco di Bellanapoli, il ducetto di Rignano sull’Arno - cui oggi stanno tanto a cuore le sorti dell’Europa (la “casa comune”) -, avesse convocato la direzione del Pd lo stesso giorno del voto sulla Brexit per discutere del tracollo alle ultime amministrative.
Del resto, alla vigilia del referendum il Califfo del Nazareno aveva dichiarato spocchioso e ignorante: “La Brexit avrà effetti limitati sull’Italia”. Ma nel pieno dell’orgasmo informativo, i nostri giornaloni hanno glissato sull’improvvida e disgraziata uscita di Renzi. Anche dopo che la Borsa di Milano, in una sola seduta, aveva bruciato 61 miliardi di Euro.
Risultando la peggiore piazza finanziaria del mondo. Tanto il conto (salato) delle nostre banche (-50% in Borsa dall’inizio dell’anno) il premier Renzi, e la sua sodale Etruria Boschi, alla fine lo faranno pagare ai soliti contribuenti.
Dunque, c’è stata una Waterloo politica finanziaria per il governo ben più grave dei “fatti drammatici” del 2011, ma stavolta l’infausto passaggio è stato quasi ignorato dai giornali dei Poteri marciti. Gli stessi che applaudivano Re Giorgio I, che sui diktat di Angela Merkel, cacciava da palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, per sostituirlo con il pallido bocconiano, Mario Monti.
30 GIU 2016 18:21
STAMPA BASTARDA
- IL “VENERDI’ NERO” DEI GIORNALONI IN EDICOLA SENZA BREXIT
- RENZI CHE ALLA VIGILIA DEL VOTO AVEVA ANNUNCIATO CHE PER L’ITALIA “CI SAREBBERO STATI EFFETTI LIMITATI”. BRUCIATI IN BORSA, INVECE, 61 MILIARDI DI EURO IN UNA BOTTA SOLA
– UNO TSUNAMI FINANZIARIO MOLTO PEGGIO DI QUANDO NEL 2011 BELLANAPOLI COSTRINSE CON UN COLPO DI MANO ISPIRATO DALLA MERKEL ALLE DIMISSIONI BERLUSCONI
C’è stata una Waterloo politica finanziaria per il governo ben più grave dei “fatti drammatici” del 2011, ma stavolta l’infausto passaggio è stato quasi ignorato dai giornali dei Poteri marciti. Gli stessi che applaudivano Re Giorgio I, che sui diktat di Angela Merkel, cacciava da palazzo Chigi, Silvio Berlusconi...
DAGONOTA
Fermate le rotative! Spegnete i televisori! E maledite i sondaggisti di sua maestà britannica! La notte del 23 giugno 2016, scandita dall’esito incerto fino all’ultimo del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Europa (Brexit) ha preceduto quello che a lungo sarà ricordato come il “venerdì nero” anche dei media tradizionali. Stavolta, però, la colpa non è dei direttori incolpevoli di aver bucatol’evento.
La notizia della vittoria del “Sì” al referendum è arrivata quando i giornali già erano in stampa. Il loro peccato è di aver mandato nelle edicole un prodotto troppo pesante (decine e decine di paginate sull’argomento) e non usufruibile dal povero lettore. Il quotidiano, insomma, puzzava di vecchio sin dal mattino e prima ancora d’incartarci il pesce. Già. Un quotidiano mutilato della “memorabile” notizia dell’implosione del Vecchio Continente con la vittoria oltre Manica di “Leave” metteva davvero tristezza.
“Omero è nuovo è niente è così vecchio come il giornale”, verrebbe da dire con le parole del saggista e poeta francese Charles Pèguy. Ma a una settimana dallotsunami finanziario (annunciato e prevedibile) lo spartito informativo non sembra cambiato registro. E il lettore continua a non capirci un’acca su cosa accadrà dopo l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa nonostante la massa di notizie che gli è caduta sugli occhi. Il che forse meriterebbe qualche seria riflessione sul perché - a prescindere dall’Infernet della Rete -, la carta stampata abbia mancato l’evento della storia puntando sulla quantità mostruosa (di pagine) piuttosto che sull’analisi (sintetica e qualificata)
Una Minima moralia, insomma, su quello che Adorno chiamava, a proposito dei titoli dei giornali, “un fragore senza suono”. A quando, allora, una consapevole svolta (redazionale) nel tentativo di bloccare la fuga in massa dalle edicole?
Una sterzata che tenga il passo con la globalizzazione della notizia. In Italia il primato (in discesa) delle copie vendute tra la Repubblica e il Corrierone si gioca ormai sotto l’asticella misera delle 200 mila copie. E la montagna di carta andata al macero in occasione della Brexit (e nei giorni successivi) non è forse figlia dell’eccesso (o del caos) di notizie somministrate al lettore? Il doppio delle pagine pubblicate dai quotidiani inglesi sullo psicodramma Brexit. Tanto per fare un esempio pertinente. Di tutto e di più, invece, qui da noi: sterminate articolesse, reportage a go go, commenti vari (e avariati). Tutto, insomma, e il contrario di tutto.
Nell’ultima settimana c’è stata una vera e propria degenerazione del sistema informativo con il risultato di erodere ulteriormente l’affidabilità dei media tradizionali. Mentre non c’è statistica al mondo che non evidenzi come il tempo medio di lettura dedicato ai quotidiani non superi dai suoi acquirenti i 15-20 minuti. “Dal punto di vista del lettore – osservano gli analisti di European Journalism Observatory - il problema di oggi non è la scarsità d’informazioni, ma l’eccesso d’informazioni.
Non solo, ma per quanto riguarda lo stile di vita attuale – aggiungono - è il fattore tempo a complicare ulteriormente le cose: quando ci si dedica ala lettura di un giornale si vorrebbe che in pochi minuti e in poco spazio si riuscisse ad avere un quadro generale di quanto sta succedendo”. E il ragionamento, in parte, vale pure per i siti Web.
Una raccomandazione forte, caduta ahimè nel vuoto. Tant’è che siamo stati sommersi da una valanga di pezzi orientati soprattutto a farci intendere, prima e dopo la consultazione, che l’Inghilterra avrebbe sbagliato a lasciare l’Europa dei burocrati e a non seguire i consigli del baronetto del Corriere, Beppe Servegnini, o del suo editorialista di punta (e tacco) Sir Antony Polaito.
REPUBBLICA del sommo Eugenio Scalfari, le trombonate sullo spirito europeistico dei pionieri di Ventotene (Spinelli&C), evocati dall’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano, parlavano poi a chi quell’idea (politica) europeista l’hanno vista umiliata dalla feroce e iniqua burocrazia di Bruxelles.
Senza chiedersi il suo direttore, Mariopio Calabresi, sul perché il cocco di Bellanapoli, il ducetto di Rignano sull’Arno - cui oggi stanno tanto a cuore le sorti dell’Europa (la “casa comune”) -, avesse convocato la direzione del Pd lo stesso giorno del voto sulla Brexit per discutere del tracollo alle ultime amministrative.
Del resto, alla vigilia del referendum il Califfo del Nazareno aveva dichiarato spocchioso e ignorante: “La Brexit avrà effetti limitati sull’Italia”. Ma nel pieno dell’orgasmo informativo, i nostri giornaloni hanno glissato sull’improvvida e disgraziata uscita di Renzi. Anche dopo che la Borsa di Milano, in una sola seduta, aveva bruciato 61 miliardi di Euro.
Risultando la peggiore piazza finanziaria del mondo. Tanto il conto (salato) delle nostre banche (-50% in Borsa dall’inizio dell’anno) il premier Renzi, e la sua sodale Etruria Boschi, alla fine lo faranno pagare ai soliti contribuenti.
Dunque, c’è stata una Waterloo politica finanziaria per il governo ben più grave dei “fatti drammatici” del 2011, ma stavolta l’infausto passaggio è stato quasi ignorato dai giornali dei Poteri marciti. Gli stessi che applaudivano Re Giorgio I, che sui diktat di Angela Merkel, cacciava da palazzo Chigi, Silvio Berlusconi, per sostituirlo con il pallido bocconiano, Mario Monti.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
PERCHE' LA MERKELLONA HA CAMBIATO IDEA NEL GIRO DI 24 ORE, DOPO CHE SI ERA SPESA METTENDOCI LA FACCIA IN UN'INTERVISTA PUBBLICA?
30 GIU 2016 17:52
LA BREXIT SALVA L'ITALIA!
- LA MERKEL CEDE E LA COMMISSIONE EUROPEA DA' L'OK ALL'ITALIA PER UNA GARANZIA PUBBLICA ALLE BANCHE: 150 MILIARDI DI LIQUIDITÀ PER CREARE UN PROGRAMMA PREVENTIVO DA TENERE IN PIEDI SOLO PER IL 2016 E PER GLI ISTITUTI SOLVIBILI
- E PIAZZA AFFARI CHIUDE BRINDANDO
Emerge da una nota della commissione. Si tratta di una garanzia statale su 150 miliardi di liquidità per creare un programma preventivo di supporto alle banche, da attivare nel solo 2016 e per gli istituti solvibili, che rispetta le "regole sugli aiuti di Stato" in situazioni "eccezionali"...
(ANSA) - La commissione europea ha dato domenica il via libera a un piano di sostegno pubblico alle banche italiane, da attivare da parte del Governo se necessario per fronteggiare eventuali turbolenze dei mercati. Emerge da una nota della commissione. Si tratta, secondo il Wall Street Journal, di una garanzia statale su 150 miliardi di liquidità per creare un programma preventivo di supporto alle banche, da attivare nel solo 2016 e per gli istituti solvibili, che rispetta le "regole sugli aiuti di Stato" in situazioni "eccezionali".
PERCHE' LA MERKELLONA HA CAMBIATO IDEA NEL GIRO DI 24 ORE, DOPO CHE SI ERA SPESA METTENDOCI LA FACCIA IN UN'INTERVISTA PUBBLICA?
30 GIU 2016 17:52
LA BREXIT SALVA L'ITALIA!
- LA MERKEL CEDE E LA COMMISSIONE EUROPEA DA' L'OK ALL'ITALIA PER UNA GARANZIA PUBBLICA ALLE BANCHE: 150 MILIARDI DI LIQUIDITÀ PER CREARE UN PROGRAMMA PREVENTIVO DA TENERE IN PIEDI SOLO PER IL 2016 E PER GLI ISTITUTI SOLVIBILI
- E PIAZZA AFFARI CHIUDE BRINDANDO
Emerge da una nota della commissione. Si tratta di una garanzia statale su 150 miliardi di liquidità per creare un programma preventivo di supporto alle banche, da attivare nel solo 2016 e per gli istituti solvibili, che rispetta le "regole sugli aiuti di Stato" in situazioni "eccezionali"...
(ANSA) - La commissione europea ha dato domenica il via libera a un piano di sostegno pubblico alle banche italiane, da attivare da parte del Governo se necessario per fronteggiare eventuali turbolenze dei mercati. Emerge da una nota della commissione. Si tratta, secondo il Wall Street Journal, di una garanzia statale su 150 miliardi di liquidità per creare un programma preventivo di supporto alle banche, da attivare nel solo 2016 e per gli istituti solvibili, che rispetta le "regole sugli aiuti di Stato" in situazioni "eccezionali".
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
SE LO SAPEVANO PRIMA, PERCHE' HANNO DATO VITA A QUELLA SCENEGGIATA????
Banche italiane, aiuti di Stato in caso di crisi
Bruxelles ha autorizzato la garanzia pubblica
L’ok della Commissione già prima del confronto Renzi-Merkel di ieri (leggi). Deroga prevista dalle
norme sul bail per evitare “perturbazioni dell’economia”. Fino a 150 miliardi in caso di emergenza
Economia & Lobby
Mentre a Bruxelles andava in scena il botta e risposta tra Matteo Renzi e Angela Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in, il premier italiano aveva in realtà già ottenuto dalla Commissione europea il via libera all’Italia alla concessione di una garanzia pubblica a sostegno della liquidità delle banche. Il sistema di “supporto precauzionale” potrà essere attivato, in caso di necessità, solo fino a dicembre. L’ok è stato dato domenica, a due giorni dal venerdì nero di Piazza Affari post Brexit, sulla base delle regole che si applicano agli aiuti di Stato in caso di crisi straordinarie. La notizia è stata confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo
SE LO SAPEVANO PRIMA, PERCHE' HANNO DATO VITA A QUELLA SCENEGGIATA????
Banche italiane, aiuti di Stato in caso di crisi
Bruxelles ha autorizzato la garanzia pubblica
L’ok della Commissione già prima del confronto Renzi-Merkel di ieri (leggi). Deroga prevista dalle
norme sul bail per evitare “perturbazioni dell’economia”. Fino a 150 miliardi in caso di emergenza
Economia & Lobby
Mentre a Bruxelles andava in scena il botta e risposta tra Matteo Renzi e Angela Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in, il premier italiano aveva in realtà già ottenuto dalla Commissione europea il via libera all’Italia alla concessione di una garanzia pubblica a sostegno della liquidità delle banche. Il sistema di “supporto precauzionale” potrà essere attivato, in caso di necessità, solo fino a dicembre. L’ok è stato dato domenica, a due giorni dal venerdì nero di Piazza Affari post Brexit, sulla base delle regole che si applicano agli aiuti di Stato in caso di crisi straordinarie. La notizia è stata confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo
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Re: Diario della caduta di un regime.
Banche, la Commissione Ue ha autorizzato l’Italia a concedere garanzie pubbliche fino a 150 miliardi
Economia
Il via libera è arrivato già domenica, prima del botta e risposta tra il premier Renzi e la cancelliera Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in. Che di fatto restano in vigore: è la stessa direttiva infatti a prevedere deroghe che consentono gli aiuti di Stato per "evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria"
di F. Q. | 30 giugno 2016
COMMENTI
Mentre a Bruxelles andava in scena il botta e risposta tra Matteo Renzi e Angela Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in, il premier italiano aveva in realtà già ottenuto dalla Commissione europea il via libera all’Italia alla concessione di una garanzia pubblica a sostegno della liquidità delle banche. Il sistema di “supporto precauzionale” potrà essere attivato, in caso di necessità, solo fino a dicembre. L’ok è stato dato infatti domenica, a due giorni dal venerdì nero di Piazza Affari post Brexit, sulla base delle regole che si applicano agli aiuti di Stato in caso di “crisi straordinarie“. La notizia, anticipata dal Wall Street Journal, è stata confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo. Così si chiarisce perché martedì sera il presidente dell’esecutivo Ue, Jean Claude Juncker, abbia detto che la Commissione avrebbe “fatto di tutto” per evitare qualsiasi tipo di corsa agli sportelli“, pur chiarendo che “per il momento non c’è pericolo”.
Fonti finanziarie sentite dall’Ansa hanno commentato dicendo che l’opzione “rappresenta una rete di sicurezza utile riconosciuta subito anche in Borsa” e “diversi istituti potrebbero attivare lo schema che ha il vantaggio di non dover fornire, come si fa nelle operazioni presso la Bce, delle obbligazioni (collateral) in garanzia”. La garanzia statale può arrivare fino a un valore di 150 miliardi di euro, stando al quotidiano statunitense. Due i paletti: potrebbe essere attivata solo nel 2016 e solo per gli istituti solvibili. La notizia è stata poi confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo. L’Italia ha chiesto un’attivazione precauzionale dello schema, sebbene secondo la Commissione non ci si attenda che “si manifesti la necessità di utilizzarlo”.
Gettano acqua sul fuoco anche le “fonti di governo” sentite da Public Policy, secondo cui il nuovo strumento non sarà usato “necessariamente e a breve”, ma è “un dato politico importante” il fatto che Bruxelles abbia concesso il lasciapassare. Fonti del Tesoro hanno fatto spiegato che “davanti alle turbolenze dei mercati finanziari dei giorni scorsi, il governo ha ritenuto opportuno ipotizzare tutti gli scenari, anche i più improbabili, per essere pronto a intervenire a tutela dei risparmiatori”.
Gli appigli giuridici per la deroga - L’appiglio giuridico per consentire di mettere in campo soldi pubblici è l‘articolo 32 della direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie e il bail in, che consente garanzie pubbliche “a sostegno degli strumenti di liquidità forniti da banche centrali” e “sulle passività di nuova emissione” oppure “un’iniezione di fondi propri o l’acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscono un vantaggio all’ente” nei casi in cui sia necessario “evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria”.
Fin dalle premesse, del resto, la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche prevede che “per preservare la stabilità finanziaria, specialmente in caso di carenza sistemica di liquidità, le garanzie dello Stato sugli strumenti di liquidità forniti da banche centrali o le garanzie dello Stato sulle passività di nuova emissione per rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro non dovrebbero attivare il quadro di risoluzione quando sono soddisfatte determinate condizioni”. Questo a patto che “le misure di garanzia dello Stato ottengano l’approvazione ai sensi della disciplina degli aiuti di Stato e non facciano parte di un pacchetto d’aiuto più ampio, e che il ricorso alle misure di garanzia sia rigorosamente limitato nel tempo”. Come accadrà in questo caso, visto che la deroga vale per sei mesi.
Garanzia applicabile al nuovo fondo Atlante e all’acquisto di obbligazioni da parte dello Stato – La garanzia potrà applicarsi anche al “nuovo fondo Atlante” che, secondo l’Ansa, il fondo Quaestio sta valutando di lanciare tramite un’iniezione di soldi pubblici: 500 milioni dalla Sga, la vecchia bad bank del Banco di Napoli appena passata sotto il controllo del Tesoro, 600-700 milioni da Cassa depositi e prestiti, che già contribuisce al fondo Atlante “1”, quello che ha rilevato Veneto Banca e Popolare di Vicenza in sede di aumento di capitale. Il nuovo veicolo dovrebbe occuparsi solo di rilevare i crediti deteriorati che zavorrano i bilanci degli istituti e punta a una dotazione di 5 miliardi. Le altre opzioni, secondo Public Policy, sono una garanzia sulle emissioni di bond attraverso una sorta di fidejussione, la sottoscrizione di nuovi Tremonti bond – qualcuno li ha già battezzati “Padoan bond” – e l’acquisto di obbligazioni bancarie da parte di Cdp con garanzia statale per ricapitalizzare l’istituto.
di F. Q. | 30 giugno 2016
Economia
Il via libera è arrivato già domenica, prima del botta e risposta tra il premier Renzi e la cancelliera Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in. Che di fatto restano in vigore: è la stessa direttiva infatti a prevedere deroghe che consentono gli aiuti di Stato per "evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia e preservare la stabilità finanziaria"
di F. Q. | 30 giugno 2016
COMMENTI
Mentre a Bruxelles andava in scena il botta e risposta tra Matteo Renzi e Angela Merkel sulla possibilità di sospendere le norme sul bail in, il premier italiano aveva in realtà già ottenuto dalla Commissione europea il via libera all’Italia alla concessione di una garanzia pubblica a sostegno della liquidità delle banche. Il sistema di “supporto precauzionale” potrà essere attivato, in caso di necessità, solo fino a dicembre. L’ok è stato dato infatti domenica, a due giorni dal venerdì nero di Piazza Affari post Brexit, sulla base delle regole che si applicano agli aiuti di Stato in caso di “crisi straordinarie“. La notizia, anticipata dal Wall Street Journal, è stata confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo. Così si chiarisce perché martedì sera il presidente dell’esecutivo Ue, Jean Claude Juncker, abbia detto che la Commissione avrebbe “fatto di tutto” per evitare qualsiasi tipo di corsa agli sportelli“, pur chiarendo che “per il momento non c’è pericolo”.
Fonti finanziarie sentite dall’Ansa hanno commentato dicendo che l’opzione “rappresenta una rete di sicurezza utile riconosciuta subito anche in Borsa” e “diversi istituti potrebbero attivare lo schema che ha il vantaggio di non dover fornire, come si fa nelle operazioni presso la Bce, delle obbligazioni (collateral) in garanzia”. La garanzia statale può arrivare fino a un valore di 150 miliardi di euro, stando al quotidiano statunitense. Due i paletti: potrebbe essere attivata solo nel 2016 e solo per gli istituti solvibili. La notizia è stata poi confermata da una portavoce dell’esecutivo europeo. L’Italia ha chiesto un’attivazione precauzionale dello schema, sebbene secondo la Commissione non ci si attenda che “si manifesti la necessità di utilizzarlo”.
Gettano acqua sul fuoco anche le “fonti di governo” sentite da Public Policy, secondo cui il nuovo strumento non sarà usato “necessariamente e a breve”, ma è “un dato politico importante” il fatto che Bruxelles abbia concesso il lasciapassare. Fonti del Tesoro hanno fatto spiegato che “davanti alle turbolenze dei mercati finanziari dei giorni scorsi, il governo ha ritenuto opportuno ipotizzare tutti gli scenari, anche i più improbabili, per essere pronto a intervenire a tutela dei risparmiatori”.
Gli appigli giuridici per la deroga - L’appiglio giuridico per consentire di mettere in campo soldi pubblici è l‘articolo 32 della direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie e il bail in, che consente garanzie pubbliche “a sostegno degli strumenti di liquidità forniti da banche centrali” e “sulle passività di nuova emissione” oppure “un’iniezione di fondi propri o l’acquisto di strumenti di capitale a prezzi e condizioni che non conferiscono un vantaggio all’ente” nei casi in cui sia necessario “evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro e preservare la stabilità finanziaria”.
Fin dalle premesse, del resto, la direttiva sul risanamento e la risoluzione delle banche prevede che “per preservare la stabilità finanziaria, specialmente in caso di carenza sistemica di liquidità, le garanzie dello Stato sugli strumenti di liquidità forniti da banche centrali o le garanzie dello Stato sulle passività di nuova emissione per rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno Stato membro non dovrebbero attivare il quadro di risoluzione quando sono soddisfatte determinate condizioni”. Questo a patto che “le misure di garanzia dello Stato ottengano l’approvazione ai sensi della disciplina degli aiuti di Stato e non facciano parte di un pacchetto d’aiuto più ampio, e che il ricorso alle misure di garanzia sia rigorosamente limitato nel tempo”. Come accadrà in questo caso, visto che la deroga vale per sei mesi.
Garanzia applicabile al nuovo fondo Atlante e all’acquisto di obbligazioni da parte dello Stato – La garanzia potrà applicarsi anche al “nuovo fondo Atlante” che, secondo l’Ansa, il fondo Quaestio sta valutando di lanciare tramite un’iniezione di soldi pubblici: 500 milioni dalla Sga, la vecchia bad bank del Banco di Napoli appena passata sotto il controllo del Tesoro, 600-700 milioni da Cassa depositi e prestiti, che già contribuisce al fondo Atlante “1”, quello che ha rilevato Veneto Banca e Popolare di Vicenza in sede di aumento di capitale. Il nuovo veicolo dovrebbe occuparsi solo di rilevare i crediti deteriorati che zavorrano i bilanci degli istituti e punta a una dotazione di 5 miliardi. Le altre opzioni, secondo Public Policy, sono una garanzia sulle emissioni di bond attraverso una sorta di fidejussione, la sottoscrizione di nuovi Tremonti bond – qualcuno li ha già battezzati “Padoan bond” – e l’acquisto di obbligazioni bancarie da parte di Cdp con garanzia statale per ricapitalizzare l’istituto.
di F. Q. | 30 giugno 2016
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- Iscritto il: 06/04/2012, 20:00
Re: Diario della caduta di un regime.
Banche, all’Italia serve un’altra deroga dalla Ue
Financial Times: “Renzi faccia fallire le più deboli”
La garanzia pubblica per il finanziamento degli istituti non risolve il problema delle ricapitalizzazioni
Così continuano le trattative con Bruxelles. Ma per il quotidiano finanziario è meglio applicare il bail in
Economia & Lobby
La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scrive il Financial Times, a poche ore dalla notizia che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione di una garanzia pubblica per gli istituti in carenza di liquidità. Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia irrisolto il problema della capitalizzazione delle banche più deboli. Ancora più pressante in vista dei risultati dei nuovi stress test della Bce: timori per Mps, che ha perso in sei mesi il 68% del valore
Financial Times: “Renzi faccia fallire le più deboli”
La garanzia pubblica per il finanziamento degli istituti non risolve il problema delle ricapitalizzazioni
Così continuano le trattative con Bruxelles. Ma per il quotidiano finanziario è meglio applicare il bail in
Economia & Lobby
La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scrive il Financial Times, a poche ore dalla notizia che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione di una garanzia pubblica per gli istituti in carenza di liquidità. Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia irrisolto il problema della capitalizzazione delle banche più deboli. Ancora più pressante in vista dei risultati dei nuovi stress test della Bce: timori per Mps, che ha perso in sei mesi il 68% del valore
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
Banche, il governo chiede un’altra deroga alla Ue per entrare nel capitale. Financial Times: “Renzi faccia fallire le più deboli”
Lobby
La garanzia pubblica per il finanziamento degli istituti non risolve il problema delle ricapitalizzazioni. Ancora più pressante in vista dei risultati dei nuovi stress test della Bce: timori per Mps, che ha perso in sei mesi il 68% del valore. Per questo continuano le trattative tra Palazzo Chigi e Bruxelles. Ma secondo il quotidiano finanziario è meglio applicare il bail in compensando gli obbligazionisti retail
di F. Q. | 1 luglio 2016
COMMENTI
La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scriveva giovedì sera il Financial Times, a poche ore dalla notizia – in apparenza una vittoria per il governo – che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione, in caso di necessità, di una garanzia pubblica per facilitare il rifinanziamento degli istituti in caso di carenza di liquidità. Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia totalmente irrisolto il problema di fondo: la capitalizzazione delle banche più deboli.
Secondo il quotidiano finanziario della City, il premier dovrebbe a questo punto, nonostante le “comprensibili preoccupazioni per i piccoli investitori”, “stringere i denti e andare avanti con le risoluzioni (la procedura prevista dalla direttiva sul bail in, ndr) che sono necessarie, prendendo iniziative per proteggere i vulnerabili”. Ad esempio “compensando i piccoli obbligazionisti delle perdite legate al bail in”. E in questo modo “bilanciare le esigenze del sistema finanziario senza distruggere la popolarità del suo partito prima di un referendum cruciale” Quanto ai partner europei, “dovrebbero mostrare un po’ di comprensione” in quanto “le conseguenze di una mancanza di azione potrebbero essere molto sgradevoli”.
Che lo schema di sostegno alla liquidità autorizzato da Bruxelles alla luce del rischio di “gravi perturbazioni dell’economia” causate dalla Brexit non abbia nulla a che fare con la possibilità di ricapitalizzare le banche con soldi pubblici è stato evidente fin da subito, visto che la garanzia potrà essere concessa solo alle banche solventi e solo, appunto, in sede di rifinanziamento attraverso l’emissione di obbligazioni. Venerdì lo ha confermato ufficialmente Ricardo Cardoso, portavoce della Commissione europea per la Concorrenza, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. “Non c’è alcun legame” tra il meccanismo “che fondamentalmente permette alle banche di chiedere garanzie statali a fronte di bisogni di liquidità e un’eventuale ricapitalizzazione delle banche, che riguarda il capitale. Sono due argomenti completamente separati“, ha chiuso.
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche. Il perché è piuttosto chiaro se si guarda alle quotazioni di alcuni degli istituti in maggiore difficoltà. Basti pensare che il Monte dei Paschi di Siena, che un anno fa ha mandato in porto un aumento di capitale da 3 miliardi, ne vale oggi poco più di 1,1. Negli ultimi sei mesi il titolo ha perso il 68% del suo valore: oggi è scambiato a 0,38 euro. La quota del Tesoro, azionista con il 4%, vale poco più di 40 milioni contro i 240 del luglio 2015. Il timore è che quando, tra esattamente un mese, l’1 agosto, la Bce renderà noti i risultati dei nuovi stress test su 53 istituti
Banche, il governo chiede un’altra deroga alla Ue per entrare nel capitale. Financial Times: “Renzi faccia fallire le più deboli”
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La garanzia pubblica per il finanziamento degli istituti non risolve il problema delle ricapitalizzazioni. Ancora più pressante in vista dei risultati dei nuovi stress test della Bce: timori per Mps, che ha perso in sei mesi il 68% del valore. Per questo continuano le trattative tra Palazzo Chigi e Bruxelles. Ma secondo il quotidiano finanziario è meglio applicare il bail in compensando gli obbligazionisti retail
di F. Q. | 1 luglio 2016
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La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scriveva giovedì sera il Financial Times, a poche ore dalla notizia – in apparenza una vittoria per il governo – che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione, in caso di necessità, di una garanzia pubblica per facilitare il rifinanziamento degli istituti in caso di carenza di liquidità. Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia totalmente irrisolto il problema di fondo: la capitalizzazione delle banche più deboli.
Secondo il quotidiano finanziario della City, il premier dovrebbe a questo punto, nonostante le “comprensibili preoccupazioni per i piccoli investitori”, “stringere i denti e andare avanti con le risoluzioni (la procedura prevista dalla direttiva sul bail in, ndr) che sono necessarie, prendendo iniziative per proteggere i vulnerabili”. Ad esempio “compensando i piccoli obbligazionisti delle perdite legate al bail in”. E in questo modo “bilanciare le esigenze del sistema finanziario senza distruggere la popolarità del suo partito prima di un referendum cruciale” Quanto ai partner europei, “dovrebbero mostrare un po’ di comprensione” in quanto “le conseguenze di una mancanza di azione potrebbero essere molto sgradevoli”.
Che lo schema di sostegno alla liquidità autorizzato da Bruxelles alla luce del rischio di “gravi perturbazioni dell’economia” causate dalla Brexit non abbia nulla a che fare con la possibilità di ricapitalizzare le banche con soldi pubblici è stato evidente fin da subito, visto che la garanzia potrà essere concessa solo alle banche solventi e solo, appunto, in sede di rifinanziamento attraverso l’emissione di obbligazioni. Venerdì lo ha confermato ufficialmente Ricardo Cardoso, portavoce della Commissione europea per la Concorrenza, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. “Non c’è alcun legame” tra il meccanismo “che fondamentalmente permette alle banche di chiedere garanzie statali a fronte di bisogni di liquidità e un’eventuale ricapitalizzazione delle banche, che riguarda il capitale. Sono due argomenti completamente separati“, ha chiuso.
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche. Il perché è piuttosto chiaro se si guarda alle quotazioni di alcuni degli istituti in maggiore difficoltà. Basti pensare che il Monte dei Paschi di Siena, che un anno fa ha mandato in porto un aumento di capitale da 3 miliardi, ne vale oggi poco più di 1,1. Negli ultimi sei mesi il titolo ha perso il 68% del suo valore: oggi è scambiato a 0,38 euro. La quota del Tesoro, azionista con il 4%, vale poco più di 40 milioni contro i 240 del luglio 2015. Il timore è che quando, tra esattamente un mese, l’1 agosto, la Bce renderà noti i risultati dei nuovi stress test su 53 istituti
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
1 LUG 2016 18:21
CHE STRESS, MI GIRA LA TEST
- ALTRO CHE VITTORIA DI RENZI: LA TRATTATIVA CON LA UE SULLE BANCHE CONTINUA, L’OBIETTIVO DEL CAZZONE E’ OTTENERE L’OK ALLA CAPITALIZZAZIONE STATALE DELLE PIU’ DEBOLI
- ISTITUTI COME MPS POTREBBERO USCIRE A PEZZI DALLO STRESS TEST DEL 1 AGOSTO -
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche…
Da “Ilfattoquotidiano.it”
La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scriveva giovedì sera il Financial Times, a poche ore dalla notizia – in apparenza una vittoria per il governo – che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione, in caso di necessità, di una garanzia pubblica per facilitare il rifinanziamento degli istituti in caso di carenza di liquidità.
Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia totalmente irrisolto il problema di fondo: la capitalizzazione delle banche più deboli.
Secondo il quotidiano finanziario della City, il premier dovrebbe a questo punto, nonostante le “comprensibili preoccupazioni per i piccoli investitori”, “stringere i denti e andare avanti con le risoluzioni (la procedura prevista dalla direttiva sul bail in, ndr) che sono necessarie, prendendo iniziative per proteggere i vulnerabili”.
Ad esempio “compensando i piccoli obbligazionisti delle perdite legate al bail in”. E in questo modo “bilanciare le esigenze del sistema finanziario senza distruggere la popolarità del suo partito prima di un referendum cruciale” Quanto ai partner europei, “dovrebbero mostrare un po’ di comprensione” in quanto “le conseguenze di una mancanza di azione potrebbero essere molto sgradevoli”.
Che lo schema di sostegno alla liquidità autorizzato da Bruxelles alla luce del rischio di “gravi perturbazioni dell’economia” causate dalla Brexit non abbia nulla a che fare con la possibilità di ricapitalizzare le banche con soldi pubblici è stato evidente fin da subito, visto che la garanzia potrà essere concessa solo alle banche solventi e solo, appunto, in sede di rifinanziamento attraverso l’emissione di obbligazioni.
Venerdì lo ha confermato ufficialmente Ricardo Cardoso, portavoce della Commissione europea per la Concorrenza, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. “Non c’è alcun legame” tra il meccanismo “che fondamentalmente permette alle banche di chiedere garanzie statali a fronte di bisogni di liquidità e un’eventuale ricapitalizzazione delle banche, che riguarda il capitale. Sono due argomenti completamente separati“, ha chiuso.
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche. Il perché è piuttosto chiaro se si guarda alle quotazioni di alcuni degli istituti in maggiore difficoltà.
Basti pensare che il Monte dei Paschi di Siena, che un anno fa ha mandato in porto un aumento di capitale da 3 miliardi, ne vale oggi poco più di 1,1. Negli ultimi sei mesi il titolo ha perso il 68% del suo valore: oggi è scambiato a 0,38 euro. La quota del Tesoro, azionista con il 4%, vale poco più di 40 milioni contro i 240 del luglio 2015.
Il timore è che quando, tra esattamente un mese, l’1 agosto, la Bce renderà noti i risultati dei nuovi stress test su 53 istituti europei tra cui Mps, Unicredit, Intesa, Ubi e Banco Popolare, per l’istituto senese arrivi un’altra bocciatura sul fronte dei requisiti di capitale. Quanto al gruppo di Piazza Gae Aulenti, che giovedì ha designato Jean-Pierre Mustier come nuovo amministratore delegato, da inizio anno ha accumulato perdite del 70%. Il valore delle azioni ha sfondato al ribasso quota 2 euro, un minimo storico. E l’istituto ha bisogno di un aumento di capitale da almeno 5 miliardi.
E’ in questo quadro che si inserisce la richiesta di un’altra deroga da poter attivare per entrare all’occorrenza nel capitale delle banche in crisi. In linea teorica, il Trattato Ue prevede che i governi possano decidere all’unanimità di considerare l’aiuto di Stato compatibile con la legislazione europea “quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione”.
Ad oggi la Commissione non ha però riconosciuto queste circostanze eccezionali. L’alternativa è quella ventilata dal Financial Times: procedere con il bail in delle banche troppo deboli. “Forzare le istituzioni solvibili a salvare le altre espandendo il fondo Atlante non rafforzerà il sistema”, è il verdetto del quotidiano
1 LUG 2016 18:21
CHE STRESS, MI GIRA LA TEST
- ALTRO CHE VITTORIA DI RENZI: LA TRATTATIVA CON LA UE SULLE BANCHE CONTINUA, L’OBIETTIVO DEL CAZZONE E’ OTTENERE L’OK ALLA CAPITALIZZAZIONE STATALE DELLE PIU’ DEBOLI
- ISTITUTI COME MPS POTREBBERO USCIRE A PEZZI DALLO STRESS TEST DEL 1 AGOSTO -
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche…
Da “Ilfattoquotidiano.it”
La trattativa è tutt’altro che finita. Matteo Renzi “ha bisogno di un piano per le banche che funzioni”. Il tempo stringe e il premier ”non ha il lusso di varie opzioni né quello di poter procrastinare”. Così scriveva giovedì sera il Financial Times, a poche ore dalla notizia – in apparenza una vittoria per il governo – che la Commissione Ue ha dato il via libera alla concessione, in caso di necessità, di una garanzia pubblica per facilitare il rifinanziamento degli istituti in caso di carenza di liquidità.
Un’apertura che in realtà da un lato conferma che il sistema creditizio italiano è in grave difficoltà, dall’altro lascia totalmente irrisolto il problema di fondo: la capitalizzazione delle banche più deboli.
Secondo il quotidiano finanziario della City, il premier dovrebbe a questo punto, nonostante le “comprensibili preoccupazioni per i piccoli investitori”, “stringere i denti e andare avanti con le risoluzioni (la procedura prevista dalla direttiva sul bail in, ndr) che sono necessarie, prendendo iniziative per proteggere i vulnerabili”.
Ad esempio “compensando i piccoli obbligazionisti delle perdite legate al bail in”. E in questo modo “bilanciare le esigenze del sistema finanziario senza distruggere la popolarità del suo partito prima di un referendum cruciale” Quanto ai partner europei, “dovrebbero mostrare un po’ di comprensione” in quanto “le conseguenze di una mancanza di azione potrebbero essere molto sgradevoli”.
Che lo schema di sostegno alla liquidità autorizzato da Bruxelles alla luce del rischio di “gravi perturbazioni dell’economia” causate dalla Brexit non abbia nulla a che fare con la possibilità di ricapitalizzare le banche con soldi pubblici è stato evidente fin da subito, visto che la garanzia potrà essere concessa solo alle banche solventi e solo, appunto, in sede di rifinanziamento attraverso l’emissione di obbligazioni.
Venerdì lo ha confermato ufficialmente Ricardo Cardoso, portavoce della Commissione europea per la Concorrenza, durante il briefing con la stampa a Bruxelles. “Non c’è alcun legame” tra il meccanismo “che fondamentalmente permette alle banche di chiedere garanzie statali a fronte di bisogni di liquidità e un’eventuale ricapitalizzazione delle banche, che riguarda il capitale. Sono due argomenti completamente separati“, ha chiuso.
Il governo, stando a indiscrezioni, sta dunque continuando a trattare per provare a ottenere quel che la Ue continua a non voler concedere. Cioè la possibilità per lo Stato di entrare in prima persona nella ricapitalizzazione delle banche. Il perché è piuttosto chiaro se si guarda alle quotazioni di alcuni degli istituti in maggiore difficoltà.
Basti pensare che il Monte dei Paschi di Siena, che un anno fa ha mandato in porto un aumento di capitale da 3 miliardi, ne vale oggi poco più di 1,1. Negli ultimi sei mesi il titolo ha perso il 68% del suo valore: oggi è scambiato a 0,38 euro. La quota del Tesoro, azionista con il 4%, vale poco più di 40 milioni contro i 240 del luglio 2015.
Il timore è che quando, tra esattamente un mese, l’1 agosto, la Bce renderà noti i risultati dei nuovi stress test su 53 istituti europei tra cui Mps, Unicredit, Intesa, Ubi e Banco Popolare, per l’istituto senese arrivi un’altra bocciatura sul fronte dei requisiti di capitale. Quanto al gruppo di Piazza Gae Aulenti, che giovedì ha designato Jean-Pierre Mustier come nuovo amministratore delegato, da inizio anno ha accumulato perdite del 70%. Il valore delle azioni ha sfondato al ribasso quota 2 euro, un minimo storico. E l’istituto ha bisogno di un aumento di capitale da almeno 5 miliardi.
E’ in questo quadro che si inserisce la richiesta di un’altra deroga da poter attivare per entrare all’occorrenza nel capitale delle banche in crisi. In linea teorica, il Trattato Ue prevede che i governi possano decidere all’unanimità di considerare l’aiuto di Stato compatibile con la legislazione europea “quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione”.
Ad oggi la Commissione non ha però riconosciuto queste circostanze eccezionali. L’alternativa è quella ventilata dal Financial Times: procedere con il bail in delle banche troppo deboli. “Forzare le istituzioni solvibili a salvare le altre espandendo il fondo Atlante non rafforzerà il sistema”, è il verdetto del quotidiano
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