Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
MOVIMENTO 5 STELLE E STRISCE
Quando 5 anni fa "La Repubblica", che non era ancora il quotidiano di regime renziano, riportò che BeppeMao si era recato ripetutamente all'Ambasciata Usa a Roma ed anche all'Ambasciata della Gran Bretagna, sempre a Roma, era lecito chiedersi:
"MA CHE CI FA UN COMICO SEMPRE ASSIDUO NELLE AMBASCIATE ANGLOSASSONI????????????"
PER LAVORO???????
MA AVEVA FONDATO APPENA IL MOVIMENTO 5 STELLE E STRISCE, CHE CI ANDAVA A FARE??????
Quando 5 anni fa "La Repubblica", che non era ancora il quotidiano di regime renziano, riportò che BeppeMao si era recato ripetutamente all'Ambasciata Usa a Roma ed anche all'Ambasciata della Gran Bretagna, sempre a Roma, era lecito chiedersi:
"MA CHE CI FA UN COMICO SEMPRE ASSIDUO NELLE AMBASCIATE ANGLOSASSONI????????????"
PER LAVORO???????
MA AVEVA FONDATO APPENA IL MOVIMENTO 5 STELLE E STRISCE, CHE CI ANDAVA A FARE??????
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Re: Diario della caduta di un regime.
LUGLIO STRABOLLENTE
LA DEMOCRAZIA CRISTIANA ERA CADUTA PER MOLTO MENO.
In seconda pagina Il Fatto titola:
Nuova Cricca, si indaga
sulla carriera di Alfano jr.
Blitz della Gdf. 24 arresti per tangenti. Il gip:" Nella rete altissime cariche
istituzionali". Nelle carte anche il fratello del ministro, dirigente delle poste.
(Maurizio Lupi si era dimesso per il regalo dell'orologio al figlio- Alfano e Renzi faranno finta di niente????)
- Il Giornale scrive:
Ombre sul fratello di Alfano. "Così ho fatto assumere il fratello alle Poste"
L'inchiesta bomba sulla corruzione si allarga a macchia d'olio. Corriere e Repubblica tirano in ballo Alfano. Spuntano le intercettazioni per assumere il fratello: "Angelino è una persona perbene, un amico. Se gli posso dare una mano..."
Sergio Rame - Mar, 05/07/2016 - 09:04
commenta
Lo scandalo sulle tangenti e sul riciclaggio negli appalti pubblici si allarga a macchia d'olio.
Tangenti e riciclaggio negli appalti pubblici
Nelle carte il riferimento alle "altissime cariche"
E rischia di colpire in pieno pure il governo Renzi. Perché tra i nomi che spuntano fuori dalle intercettazioni c'è anche quello di Angelino Alfano. A riportarle sono il Corriere della Sera e Repubblica che, carte alla mano, parlano dell'assunzione del fratello del ministro dell'Interno alle Poste. Un'assuzione che, ovviamente, avrebbe avuto pressioni non da poco.
Le ombre sul fratello di Alfano
Ventiquattro ordinanze di custodia cautelare (12 in carcere e 12 ai domiciliari), 5 misure interdittive, sequestro di più di 1,2 milioni di euro tra immobili, conti correnti e quote societarie. E' il bilancio dell'operazione "Labirinto", che ha permesso al Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza della capitale di scoprire un vorticoso giro di tangenti e di mettere sotto inchiesta oltre 50 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, corruzione e riciclaggio, truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. Tra gli indagati figurano anche un parlamentare di Ap (Ncd-Udc), Antonio Marotta, e l'ex sottosegretario all'Istruzione nel governo Berlusconi, Giuseppe Pizza. È quest'ultimo a raccontare dei favori favori fatti ad Alfano e dell'assuzione del fratello del ministro in una società delle Poste. Il 9 gennaio 2015, come ricostruisce il Corriere della Sera, Pizza viene intercettato mentre si sta lamentando con Tedesco delle pressioni del fratello del ministro: "Angelino lo considero una persona perbene, un amico. Se gli posso dare una mano...". "Una scheggia che non, hai detto bene tu l’altra volta... - interviene Tedesco - non è gestibile". E Pizza conferma: "Cioè ma Angelino che è intelligente ha capito... Tu devi sapere che lui va dicendo ... Lui come massimo poteva avere 170mila euro, io gli ho fatto avere 160mila... Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino 'io ho tolto 10mila euro d’accordo con Lino (Pizza ndr) per evitare'... 'No, no ha fatto benissimo' e lui adesso va dicendo che la colpa è mia che l’ho fottuto che non gli ho fatto dare i 170 mila euro. Cioè gliel’ho pure spiegato poi ti facciamo recuperare...". "Ma non lo dice come è entrato lì il “sistema” per gestire gli appalti", chiosa proprio Tedesco.
Il "sistema" per gesdtire gli appalti
Secondo gli investigatori Marotta avrebbe svolto funzioni di raccordo tra l'attività di Raffaele Pizza - fratello di Giuseppe e uomo d'affari - e alcuni soggetti pubblici. Giuseppe Pizza, segretario della Democrazia Cristiana e proprietario dello storico simbolo dello scudo crociato, è accusato invece di riciclaggio. Tra gli appalti oggetto di accertamento quello per il call center Inps-Inail, appalto regolare secondo gli investigatori che invece hanno ravvisato condotte illecite, nella gestione dello stesso, dell'appaltatore e del subappaltatore. A gestire le aziende che devono ottenere gli appalti è Stefano Orsini. Tocca a lui creare i "fondi neri" con le false fatturazioni. I rapporti con i politici e con le "altissime cariche istituzionali" spettano, invece, a Raffaele Pizza che, secondo gli inquirenti, "è capace di favorire la nomina, ai vertici degli enti e delle società pubbliche, di persone a lui vicine, così acquisendo ragioni di credito nei confronti di queste che, dovendo successivamente essergli riconoscenti, risulteranno permeabili ai suoi metodi di illecita interferenza nelle decisioni concernenti il conferimento di appalti pubblici e attività connesse". Elargendo "mazzette" milionarie e regalando "capi di abbigliamento griffati Armani, buoni carburante, pranzi in vari ristoranti della Capitale", la loro sfera d'influenza arriva fino alle Poste, all’Inps, ai ministeri e persino all'Agenzia delle Entrate.
LA DEMOCRAZIA CRISTIANA ERA CADUTA PER MOLTO MENO.
In seconda pagina Il Fatto titola:
Nuova Cricca, si indaga
sulla carriera di Alfano jr.
Blitz della Gdf. 24 arresti per tangenti. Il gip:" Nella rete altissime cariche
istituzionali". Nelle carte anche il fratello del ministro, dirigente delle poste.
(Maurizio Lupi si era dimesso per il regalo dell'orologio al figlio- Alfano e Renzi faranno finta di niente????)
- Il Giornale scrive:
Ombre sul fratello di Alfano. "Così ho fatto assumere il fratello alle Poste"
L'inchiesta bomba sulla corruzione si allarga a macchia d'olio. Corriere e Repubblica tirano in ballo Alfano. Spuntano le intercettazioni per assumere il fratello: "Angelino è una persona perbene, un amico. Se gli posso dare una mano..."
Sergio Rame - Mar, 05/07/2016 - 09:04
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Lo scandalo sulle tangenti e sul riciclaggio negli appalti pubblici si allarga a macchia d'olio.
Tangenti e riciclaggio negli appalti pubblici
Nelle carte il riferimento alle "altissime cariche"
E rischia di colpire in pieno pure il governo Renzi. Perché tra i nomi che spuntano fuori dalle intercettazioni c'è anche quello di Angelino Alfano. A riportarle sono il Corriere della Sera e Repubblica che, carte alla mano, parlano dell'assunzione del fratello del ministro dell'Interno alle Poste. Un'assuzione che, ovviamente, avrebbe avuto pressioni non da poco.
Le ombre sul fratello di Alfano
Ventiquattro ordinanze di custodia cautelare (12 in carcere e 12 ai domiciliari), 5 misure interdittive, sequestro di più di 1,2 milioni di euro tra immobili, conti correnti e quote societarie. E' il bilancio dell'operazione "Labirinto", che ha permesso al Nucleo speciale polizia valutaria della Guardia di finanza della capitale di scoprire un vorticoso giro di tangenti e di mettere sotto inchiesta oltre 50 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale, corruzione e riciclaggio, truffa ai danni dello Stato e appropriazione indebita. Tra gli indagati figurano anche un parlamentare di Ap (Ncd-Udc), Antonio Marotta, e l'ex sottosegretario all'Istruzione nel governo Berlusconi, Giuseppe Pizza. È quest'ultimo a raccontare dei favori favori fatti ad Alfano e dell'assuzione del fratello del ministro in una società delle Poste. Il 9 gennaio 2015, come ricostruisce il Corriere della Sera, Pizza viene intercettato mentre si sta lamentando con Tedesco delle pressioni del fratello del ministro: "Angelino lo considero una persona perbene, un amico. Se gli posso dare una mano...". "Una scheggia che non, hai detto bene tu l’altra volta... - interviene Tedesco - non è gestibile". E Pizza conferma: "Cioè ma Angelino che è intelligente ha capito... Tu devi sapere che lui va dicendo ... Lui come massimo poteva avere 170mila euro, io gli ho fatto avere 160mila... Tant’è che Sarmi stesso gliel’ha detto ad Angelino 'io ho tolto 10mila euro d’accordo con Lino (Pizza ndr) per evitare'... 'No, no ha fatto benissimo' e lui adesso va dicendo che la colpa è mia che l’ho fottuto che non gli ho fatto dare i 170 mila euro. Cioè gliel’ho pure spiegato poi ti facciamo recuperare...". "Ma non lo dice come è entrato lì il “sistema” per gestire gli appalti", chiosa proprio Tedesco.
Il "sistema" per gesdtire gli appalti
Secondo gli investigatori Marotta avrebbe svolto funzioni di raccordo tra l'attività di Raffaele Pizza - fratello di Giuseppe e uomo d'affari - e alcuni soggetti pubblici. Giuseppe Pizza, segretario della Democrazia Cristiana e proprietario dello storico simbolo dello scudo crociato, è accusato invece di riciclaggio. Tra gli appalti oggetto di accertamento quello per il call center Inps-Inail, appalto regolare secondo gli investigatori che invece hanno ravvisato condotte illecite, nella gestione dello stesso, dell'appaltatore e del subappaltatore. A gestire le aziende che devono ottenere gli appalti è Stefano Orsini. Tocca a lui creare i "fondi neri" con le false fatturazioni. I rapporti con i politici e con le "altissime cariche istituzionali" spettano, invece, a Raffaele Pizza che, secondo gli inquirenti, "è capace di favorire la nomina, ai vertici degli enti e delle società pubbliche, di persone a lui vicine, così acquisendo ragioni di credito nei confronti di queste che, dovendo successivamente essergli riconoscenti, risulteranno permeabili ai suoi metodi di illecita interferenza nelle decisioni concernenti il conferimento di appalti pubblici e attività connesse". Elargendo "mazzette" milionarie e regalando "capi di abbigliamento griffati Armani, buoni carburante, pranzi in vari ristoranti della Capitale", la loro sfera d'influenza arriva fino alle Poste, all’Inps, ai ministeri e persino all'Agenzia delle Entrate.
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Re: Diario della caduta di un regime.
5 LUG 2016 11:40
ISTAT: S'AFFLOSCIA LA FIDUCIA DI CONSUMATORI E FAMIGLIE IN RENZI E PADOAN - BREXIT E BANCHE NON C'ENTRANO NULLA: I CAPOCCIONI NON HANNO FATTO IN TEMPO A FOTOGRAFARNE GLI EFFETTI - LE AGENZIE DI RATING PREVEDONO UN CALO DELLO 0,8% DEL PIL EUROPEO
Insomma, Renzi e Padoan hanno perso il tocco magico: consumatori e famiglie hanno tolto loro la fiducia. E pensare che c'è qualcuno che vede il ministro dell'Economia in pole position per Palazzo Chigi se Matteuccio dovesse perdere il referendum di ottobre... -
Leggi:
Aspirina per Dagospia
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 128076.htm
ISTAT: S'AFFLOSCIA LA FIDUCIA DI CONSUMATORI E FAMIGLIE IN RENZI E PADOAN - BREXIT E BANCHE NON C'ENTRANO NULLA: I CAPOCCIONI NON HANNO FATTO IN TEMPO A FOTOGRAFARNE GLI EFFETTI - LE AGENZIE DI RATING PREVEDONO UN CALO DELLO 0,8% DEL PIL EUROPEO
Insomma, Renzi e Padoan hanno perso il tocco magico: consumatori e famiglie hanno tolto loro la fiducia. E pensare che c'è qualcuno che vede il ministro dell'Economia in pole position per Palazzo Chigi se Matteuccio dovesse perdere il referendum di ottobre... -
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Aspirina per Dagospia
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Re: Diario della caduta di un regime.
ALLACCIATE LE CINTURE DI SICUREZZA
Il punto di vista di Federico Fubini del Corriere della Sera:
5 LUG 2016 10:52
1. MPS SOSPESA IN BORSA, L'ITALIA DELLE BANCHE APPESA A UN FILO, RENZI SOSPESO TRA UN INTERVENTO PUBBLICO "ALLA PORTOGHESE" (CHE GENERA SFIDUCIA SUL MERCATO). E IL MODELLO GRECO CHE INNESTA LA CORSA AGLI SPORTELLI - SE RENZI STA FERMO, SALTA SIENA
2. TUTTI ALLA RICERCA DI UNA CLAUSOLA CHE PERMETTA AL GOVERNO DI VERSARE CAPITALE NELLA BANCA. ALLE DISASTROSE CONDIZIONI ATTUALI, NESSUN PRIVATO È DISPOSTO A FARLO
3. UN INTERVENTO DELLO STATO SU MPS ESPONE AL RISCHIO DI DIFFONDERE IL PANICO ANCHE FRA I CLIENTI DI ALTRE BANCHE, DI SPINGERLI A CHIUDERE I LORO CONTI, E GENERARE TALMENTE TANTI TIMORI SUI LORO TITOLI CHE PER GLI ISTITUTI DIVENTEREBBE COSTOSISSIMO FINANZIARSI
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
«La palla è nel campo dell' Italia», si dice da Bruxelles. L' unico problema è che è un pesantissimo pallone medicinale, uno di quelli che è quasi impossibile ributtare indietro senza slogarsi un polso o rompersi una caviglia.
È per questo che il gioco per adesso è interrotto: i negoziati tecnici fra Roma e Bruxelles sul Monte dei Paschi di Siena sono fermi dalla fine della settimana scorsa. Potrà riavviarli solo una decisione al più alto livello politico della Commissione europea e dei governi coinvolti.
Non solo di quello di Matteo Renzi, perché anche da Berlino, dall' Aia, da Parigi e da Madrid la saga sulle banche italiane viene seguita ormai con attenzione pari solo a una diffidenza più o meno sincera - più o meno opportunistica - verso le richieste avanzate da Roma.
L' offerta lanciata nel campo dell' Italia dalla Commissione Ue per rafforzare il Monte dei Paschi ricalca quanto accaduto l' anno scorso con le banche greche. L' obiettivo è trovare una clausola che permetta alle autorità di versare capitale nella banca - alle condizioni attuali, nessun privato è disposto a farlo - senza innescare le norme europee che impongono di falcidiare i depositanti e alcuni obbligazionisti in caso di aiuto di Stato.
Colpirli nelle banche di Atene, avrebbe significato distruggere quanto resta della liquidità delle imprese in un' economia ormai in ginocchio. Farlo su Mps espone invece al rischio di diffondere il panico anche fra i clienti di altre banche, di spingerli a chiudere i loro conti, e generare talmente tanti timori sui loro titoli che per gli istituti diventerebbe costosissimo finanziarsi.
L' idea della Commissione Ue è in una clausola dell' articolo 32 della direttiva sulle banche in vigore da gennaio: permettere una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza staccare la spina a un' azienda, quando questa fallisce uno stress test - una prova da sforzo in un ipotetico scenario di crisi - dell' Autorità bancaria europea (Eba).
Quest' agenzia sta ultimando i suoi esami e il suo scenario di crisi immaginario per l' Italia nei prossimi tre anni appare improbabile, ma non irrealistico: caduta del Pil dello 0,4% quest' anno, dell' 1,1% il prossimo e crescita zero nel 2018; crollo di Borsa del 28% quest' anno e del 25% il prossimo; aumento dell' 1% dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.
Se questo quadro diventasse realtà, Mps andrebbe incontro a una seria carenza di patrimonio: quanto basta perché l' Eba il prossimo 29 luglio lo segnali alla vigilanza della Banca centrale europea e quest' ultima chieda a Siena di trovare in tempi rapidi precisamente il capitale che oggi il mercato è molto riluttante a offrire a quasi qualunque banca medio-piccola.
Si può dubitare del metodo dell' Eba, ma ormai la clessidra è rovesciata. La sabbia scorre contro il Monte dei Paschi. Non a caso la stessa Bce ha già anticipato le sue richieste con una lettera recente a Siena.
La banca toscana non sarebbe a questo punto, se esattamente due anni fa le autorità italiane le avessero impedito di rimborsare troppo presto 3,12 miliardi di prestiti del Tesoro (con l' effetto collaterale di allentare i vincoli sui compensi a certi manager esecutivi). Ma quello ormai è latte versato. Ora conta la proposta di Bruxelles che l' Italia, per adesso, respinge.
L' idea sarebbe di concedere appunto una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza colpire i depositi, né le obbligazioni ordinarie esistenti che oggi varrebbero 10 miliardi a scadenza. Quanto alle obbligazioni subordinate per circa 6 miliardi di valore teorico, questi titoli più redditizi ma più esposti verrebbero convertiti in azioni; quindi il valore del capitale di tutti i soci vecchi e nuovi della banca ne risulterebbe enormemente diluito.
La Commissione indica però un modo per salvaguardare decine di migliaia di famiglie che posseggono quei titoli subordinati: il governo può ricomprare le obbligazioni dai privati stessi a prezzi elevati, oppure può compensarli ex post perché i risparmiatori avrebbero subito una vendita «abusiva» di quella carta. In caso di ricapitalizzazione pubblica, le perdite sarebbero dunque tutte concentrate sui cosiddetti investitori istituzionali: assicurazioni, banche o fondi esposti sui titoli subordinati di Montepaschi per circa due miliardi di euro.
L' Italia ha risposto di no. C' è una logica in questo rifiuto, perché esiste un precedente che scoraggia: a metà dicembre scorso, di fronte a un dilemma simile su Novo Banco, il governo di Lisbona aveva scelto di salvaguardare le famiglie in modo da evitare un panico finanziario; furono colpiti solo i grandi investitori istituzionali.
Il risultato si è rivelato disastroso, perché questi ultimi hanno concluso che il Portogallo non era più un Paese affidabile e da allora lo disertano. Il costo del debito pubblico di Lisbona è esploso per carenza di compratori. Fra dicembre e febbraio i rendimenti dei titoli di Stato portoghesi a dieci anni sono quasi raddoppiati (dal 2,2% al 4%) malgrado gli acquisti massicci della Bce; ancora oggi quel rendimento è appena sotto al 3%, contro l' 1,2% dell' Italia, e Lisbona è di nuovo a un passo dalla richiesta di un ulteriore salvataggio europeo.
Distorsioni del genere mostrano quante falle abbiano le regole europee oggi al cuore dell' unione bancaria. Quelle norme in vigore dal gennaio, in caso di aiuti di Stato, impongono perdite a risparmiatori e investitori che sono in una banca da molti anni prima. Intanto le stesse norme consentono sussidi continui e senza penalità, purché esistano da anni come i circa 500 miliardi di garanzie pubbliche sul sistema bancario tedesco.
L' unione bancaria centralizza la vigilanza e il potere di imporre la ricapitalizzazione di una banca (contro la minaccia di liquidarla), ma non prevede fondi comuni europei e lega le mani ai governi.
Roma chiede ora che a queste norme si applichino le deroghe previste in caso di instabilità. Per ora però Spagna e Francia, non solo Germania e Olanda, mostrano scarsa simpatia.
Pesa la sfiducia per una politica economica generale dell' Italia giudicata da molti priva di strategia e di credibilità. Pesa anche il sospetto che qualcuno in Europa voglia stabilire un precedente mandando Montepaschi in «risoluzione», ossia in liquidazione ordinata. E magari l' Italia al fondo salvataggi europeo, per gestire una volta per tutte la questione bancaria sotto il controllo della Troika.
Il punto di vista di Federico Fubini del Corriere della Sera:
5 LUG 2016 10:52
1. MPS SOSPESA IN BORSA, L'ITALIA DELLE BANCHE APPESA A UN FILO, RENZI SOSPESO TRA UN INTERVENTO PUBBLICO "ALLA PORTOGHESE" (CHE GENERA SFIDUCIA SUL MERCATO). E IL MODELLO GRECO CHE INNESTA LA CORSA AGLI SPORTELLI - SE RENZI STA FERMO, SALTA SIENA
2. TUTTI ALLA RICERCA DI UNA CLAUSOLA CHE PERMETTA AL GOVERNO DI VERSARE CAPITALE NELLA BANCA. ALLE DISASTROSE CONDIZIONI ATTUALI, NESSUN PRIVATO È DISPOSTO A FARLO
3. UN INTERVENTO DELLO STATO SU MPS ESPONE AL RISCHIO DI DIFFONDERE IL PANICO ANCHE FRA I CLIENTI DI ALTRE BANCHE, DI SPINGERLI A CHIUDERE I LORO CONTI, E GENERARE TALMENTE TANTI TIMORI SUI LORO TITOLI CHE PER GLI ISTITUTI DIVENTEREBBE COSTOSISSIMO FINANZIARSI
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
«La palla è nel campo dell' Italia», si dice da Bruxelles. L' unico problema è che è un pesantissimo pallone medicinale, uno di quelli che è quasi impossibile ributtare indietro senza slogarsi un polso o rompersi una caviglia.
È per questo che il gioco per adesso è interrotto: i negoziati tecnici fra Roma e Bruxelles sul Monte dei Paschi di Siena sono fermi dalla fine della settimana scorsa. Potrà riavviarli solo una decisione al più alto livello politico della Commissione europea e dei governi coinvolti.
Non solo di quello di Matteo Renzi, perché anche da Berlino, dall' Aia, da Parigi e da Madrid la saga sulle banche italiane viene seguita ormai con attenzione pari solo a una diffidenza più o meno sincera - più o meno opportunistica - verso le richieste avanzate da Roma.
L' offerta lanciata nel campo dell' Italia dalla Commissione Ue per rafforzare il Monte dei Paschi ricalca quanto accaduto l' anno scorso con le banche greche. L' obiettivo è trovare una clausola che permetta alle autorità di versare capitale nella banca - alle condizioni attuali, nessun privato è disposto a farlo - senza innescare le norme europee che impongono di falcidiare i depositanti e alcuni obbligazionisti in caso di aiuto di Stato.
Colpirli nelle banche di Atene, avrebbe significato distruggere quanto resta della liquidità delle imprese in un' economia ormai in ginocchio. Farlo su Mps espone invece al rischio di diffondere il panico anche fra i clienti di altre banche, di spingerli a chiudere i loro conti, e generare talmente tanti timori sui loro titoli che per gli istituti diventerebbe costosissimo finanziarsi.
L' idea della Commissione Ue è in una clausola dell' articolo 32 della direttiva sulle banche in vigore da gennaio: permettere una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza staccare la spina a un' azienda, quando questa fallisce uno stress test - una prova da sforzo in un ipotetico scenario di crisi - dell' Autorità bancaria europea (Eba).
Quest' agenzia sta ultimando i suoi esami e il suo scenario di crisi immaginario per l' Italia nei prossimi tre anni appare improbabile, ma non irrealistico: caduta del Pil dello 0,4% quest' anno, dell' 1,1% il prossimo e crescita zero nel 2018; crollo di Borsa del 28% quest' anno e del 25% il prossimo; aumento dell' 1% dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.
Se questo quadro diventasse realtà, Mps andrebbe incontro a una seria carenza di patrimonio: quanto basta perché l' Eba il prossimo 29 luglio lo segnali alla vigilanza della Banca centrale europea e quest' ultima chieda a Siena di trovare in tempi rapidi precisamente il capitale che oggi il mercato è molto riluttante a offrire a quasi qualunque banca medio-piccola.
Si può dubitare del metodo dell' Eba, ma ormai la clessidra è rovesciata. La sabbia scorre contro il Monte dei Paschi. Non a caso la stessa Bce ha già anticipato le sue richieste con una lettera recente a Siena.
La banca toscana non sarebbe a questo punto, se esattamente due anni fa le autorità italiane le avessero impedito di rimborsare troppo presto 3,12 miliardi di prestiti del Tesoro (con l' effetto collaterale di allentare i vincoli sui compensi a certi manager esecutivi). Ma quello ormai è latte versato. Ora conta la proposta di Bruxelles che l' Italia, per adesso, respinge.
L' idea sarebbe di concedere appunto una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza colpire i depositi, né le obbligazioni ordinarie esistenti che oggi varrebbero 10 miliardi a scadenza. Quanto alle obbligazioni subordinate per circa 6 miliardi di valore teorico, questi titoli più redditizi ma più esposti verrebbero convertiti in azioni; quindi il valore del capitale di tutti i soci vecchi e nuovi della banca ne risulterebbe enormemente diluito.
La Commissione indica però un modo per salvaguardare decine di migliaia di famiglie che posseggono quei titoli subordinati: il governo può ricomprare le obbligazioni dai privati stessi a prezzi elevati, oppure può compensarli ex post perché i risparmiatori avrebbero subito una vendita «abusiva» di quella carta. In caso di ricapitalizzazione pubblica, le perdite sarebbero dunque tutte concentrate sui cosiddetti investitori istituzionali: assicurazioni, banche o fondi esposti sui titoli subordinati di Montepaschi per circa due miliardi di euro.
L' Italia ha risposto di no. C' è una logica in questo rifiuto, perché esiste un precedente che scoraggia: a metà dicembre scorso, di fronte a un dilemma simile su Novo Banco, il governo di Lisbona aveva scelto di salvaguardare le famiglie in modo da evitare un panico finanziario; furono colpiti solo i grandi investitori istituzionali.
Il risultato si è rivelato disastroso, perché questi ultimi hanno concluso che il Portogallo non era più un Paese affidabile e da allora lo disertano. Il costo del debito pubblico di Lisbona è esploso per carenza di compratori. Fra dicembre e febbraio i rendimenti dei titoli di Stato portoghesi a dieci anni sono quasi raddoppiati (dal 2,2% al 4%) malgrado gli acquisti massicci della Bce; ancora oggi quel rendimento è appena sotto al 3%, contro l' 1,2% dell' Italia, e Lisbona è di nuovo a un passo dalla richiesta di un ulteriore salvataggio europeo.
Distorsioni del genere mostrano quante falle abbiano le regole europee oggi al cuore dell' unione bancaria. Quelle norme in vigore dal gennaio, in caso di aiuti di Stato, impongono perdite a risparmiatori e investitori che sono in una banca da molti anni prima. Intanto le stesse norme consentono sussidi continui e senza penalità, purché esistano da anni come i circa 500 miliardi di garanzie pubbliche sul sistema bancario tedesco.
L' unione bancaria centralizza la vigilanza e il potere di imporre la ricapitalizzazione di una banca (contro la minaccia di liquidarla), ma non prevede fondi comuni europei e lega le mani ai governi.
Roma chiede ora che a queste norme si applichino le deroghe previste in caso di instabilità. Per ora però Spagna e Francia, non solo Germania e Olanda, mostrano scarsa simpatia.
Pesa la sfiducia per una politica economica generale dell' Italia giudicata da molti priva di strategia e di credibilità. Pesa anche il sospetto che qualcuno in Europa voglia stabilire un precedente mandando Montepaschi in «risoluzione», ossia in liquidazione ordinata. E magari l' Italia al fondo salvataggi europeo, per gestire una volta per tutte la questione bancaria sotto il controllo della Troika.
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Re: Diario della caduta di un regime.
ALLACCIATE LE CINTURE DI SICUREZZA
Il punto di vista di Federico Fubini del Corriere della Sera:
5 LUG 2016 10:52
1. MPS SOSPESA IN BORSA, L'ITALIA DELLE BANCHE APPESA A UN FILO, RENZI SOSPESO TRA UN INTERVENTO PUBBLICO "ALLA PORTOGHESE" (CHE GENERA SFIDUCIA SUL MERCATO). E IL MODELLO GRECO CHE INNESTA LA CORSA AGLI SPORTELLI - SE RENZI STA FERMO, SALTA SIENA
2. TUTTI ALLA RICERCA DI UNA CLAUSOLA CHE PERMETTA AL GOVERNO DI VERSARE CAPITALE NELLA BANCA. ALLE DISASTROSE CONDIZIONI ATTUALI, NESSUN PRIVATO È DISPOSTO A FARLO
3. UN INTERVENTO DELLO STATO SU MPS ESPONE AL RISCHIO DI DIFFONDERE IL PANICO ANCHE FRA I CLIENTI DI ALTRE BANCHE, DI SPINGERLI A CHIUDERE I LORO CONTI, E GENERARE TALMENTE TANTI TIMORI SUI LORO TITOLI CHE PER GLI ISTITUTI DIVENTEREBBE COSTOSISSIMO FINANZIARSI
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
«La palla è nel campo dell' Italia», si dice da Bruxelles. L' unico problema è che è un pesantissimo pallone medicinale, uno di quelli che è quasi impossibile ributtare indietro senza slogarsi un polso o rompersi una caviglia.
È per questo che il gioco per adesso è interrotto: i negoziati tecnici fra Roma e Bruxelles sul Monte dei Paschi di Siena sono fermi dalla fine della settimana scorsa. Potrà riavviarli solo una decisione al più alto livello politico della Commissione europea e dei governi coinvolti.
Non solo di quello di Matteo Renzi, perché anche da Berlino, dall' Aia, da Parigi e da Madrid la saga sulle banche italiane viene seguita ormai con attenzione pari solo a una diffidenza più o meno sincera - più o meno opportunistica - verso le richieste avanzate da Roma.
L' offerta lanciata nel campo dell' Italia dalla Commissione Ue per rafforzare il Monte dei Paschi ricalca quanto accaduto l' anno scorso con le banche greche. L' obiettivo è trovare una clausola che permetta alle autorità di versare capitale nella banca - alle condizioni attuali, nessun privato è disposto a farlo - senza innescare le norme europee che impongono di falcidiare i depositanti e alcuni obbligazionisti in caso di aiuto di Stato.
Colpirli nelle banche di Atene, avrebbe significato distruggere quanto resta della liquidità delle imprese in un' economia ormai in ginocchio. Farlo su Mps espone invece al rischio di diffondere il panico anche fra i clienti di altre banche, di spingerli a chiudere i loro conti, e generare talmente tanti timori sui loro titoli che per gli istituti diventerebbe costosissimo finanziarsi.
L' idea della Commissione Ue è in una clausola dell' articolo 32 della direttiva sulle banche in vigore da gennaio: permettere una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza staccare la spina a un' azienda, quando questa fallisce uno stress test - una prova da sforzo in un ipotetico scenario di crisi - dell' Autorità bancaria europea (Eba).
Quest' agenzia sta ultimando i suoi esami e il suo scenario di crisi immaginario per l' Italia nei prossimi tre anni appare improbabile, ma non irrealistico: caduta del Pil dello 0,4% quest' anno, dell' 1,1% il prossimo e crescita zero nel 2018; crollo di Borsa del 28% quest' anno e del 25% il prossimo; aumento dell' 1% dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.
Se questo quadro diventasse realtà, Mps andrebbe incontro a una seria carenza di patrimonio: quanto basta perché l' Eba il prossimo 29 luglio lo segnali alla vigilanza della Banca centrale europea e quest' ultima chieda a Siena di trovare in tempi rapidi precisamente il capitale che oggi il mercato è molto riluttante a offrire a quasi qualunque banca medio-piccola.
Si può dubitare del metodo dell' Eba, ma ormai la clessidra è rovesciata. La sabbia scorre contro il Monte dei Paschi. Non a caso la stessa Bce ha già anticipato le sue richieste con una lettera recente a Siena.
La banca toscana non sarebbe a questo punto, se esattamente due anni fa le autorità italiane le avessero impedito di rimborsare troppo presto 3,12 miliardi di prestiti del Tesoro (con l' effetto collaterale di allentare i vincoli sui compensi a certi manager esecutivi). Ma quello ormai è latte versato. Ora conta la proposta di Bruxelles che l' Italia, per adesso, respinge.
L' idea sarebbe di concedere appunto una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza colpire i depositi, né le obbligazioni ordinarie esistenti che oggi varrebbero 10 miliardi a scadenza. Quanto alle obbligazioni subordinate per circa 6 miliardi di valore teorico, questi titoli più redditizi ma più esposti verrebbero convertiti in azioni; quindi il valore del capitale di tutti i soci vecchi e nuovi della banca ne risulterebbe enormemente diluito.
La Commissione indica però un modo per salvaguardare decine di migliaia di famiglie che posseggono quei titoli subordinati: il governo può ricomprare le obbligazioni dai privati stessi a prezzi elevati, oppure può compensarli ex post perché i risparmiatori avrebbero subito una vendita «abusiva» di quella carta. In caso di ricapitalizzazione pubblica, le perdite sarebbero dunque tutte concentrate sui cosiddetti investitori istituzionali: assicurazioni, banche o fondi esposti sui titoli subordinati di Montepaschi per circa due miliardi di euro.
L' Italia ha risposto di no. C' è una logica in questo rifiuto, perché esiste un precedente che scoraggia: a metà dicembre scorso, di fronte a un dilemma simile su Novo Banco, il governo di Lisbona aveva scelto di salvaguardare le famiglie in modo da evitare un panico finanziario; furono colpiti solo i grandi investitori istituzionali.
Il risultato si è rivelato disastroso, perché questi ultimi hanno concluso che il Portogallo non era più un Paese affidabile e da allora lo disertano. Il costo del debito pubblico di Lisbona è esploso per carenza di compratori. Fra dicembre e febbraio i rendimenti dei titoli di Stato portoghesi a dieci anni sono quasi raddoppiati (dal 2,2% al 4%) malgrado gli acquisti massicci della Bce; ancora oggi quel rendimento è appena sotto al 3%, contro l' 1,2% dell' Italia, e Lisbona è di nuovo a un passo dalla richiesta di un ulteriore salvataggio europeo.
Distorsioni del genere mostrano quante falle abbiano le regole europee oggi al cuore dell' unione bancaria. Quelle norme in vigore dal gennaio, in caso di aiuti di Stato, impongono perdite a risparmiatori e investitori che sono in una banca da molti anni prima. Intanto le stesse norme consentono sussidi continui e senza penalità, purché esistano da anni come i circa 500 miliardi di garanzie pubbliche sul sistema bancario tedesco.
L' unione bancaria centralizza la vigilanza e il potere di imporre la ricapitalizzazione di una banca (contro la minaccia di liquidarla), ma non prevede fondi comuni europei e lega le mani ai governi.
Roma chiede ora che a queste norme si applichino le deroghe previste in caso di instabilità. Per ora però Spagna e Francia, non solo Germania e Olanda, mostrano scarsa simpatia.
Pesa la sfiducia per una politica economica generale dell' Italia giudicata da molti priva di strategia e di credibilità. Pesa anche il sospetto che qualcuno in Europa voglia stabilire un precedente mandando Montepaschi in «risoluzione», ossia in liquidazione ordinata. E magari l' Italia al fondo salvataggi europeo, per gestire una volta per tutte la questione bancaria sotto il controllo della Troika.
Il punto di vista di Federico Fubini del Corriere della Sera:
5 LUG 2016 10:52
1. MPS SOSPESA IN BORSA, L'ITALIA DELLE BANCHE APPESA A UN FILO, RENZI SOSPESO TRA UN INTERVENTO PUBBLICO "ALLA PORTOGHESE" (CHE GENERA SFIDUCIA SUL MERCATO). E IL MODELLO GRECO CHE INNESTA LA CORSA AGLI SPORTELLI - SE RENZI STA FERMO, SALTA SIENA
2. TUTTI ALLA RICERCA DI UNA CLAUSOLA CHE PERMETTA AL GOVERNO DI VERSARE CAPITALE NELLA BANCA. ALLE DISASTROSE CONDIZIONI ATTUALI, NESSUN PRIVATO È DISPOSTO A FARLO
3. UN INTERVENTO DELLO STATO SU MPS ESPONE AL RISCHIO DI DIFFONDERE IL PANICO ANCHE FRA I CLIENTI DI ALTRE BANCHE, DI SPINGERLI A CHIUDERE I LORO CONTI, E GENERARE TALMENTE TANTI TIMORI SUI LORO TITOLI CHE PER GLI ISTITUTI DIVENTEREBBE COSTOSISSIMO FINANZIARSI
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
«La palla è nel campo dell' Italia», si dice da Bruxelles. L' unico problema è che è un pesantissimo pallone medicinale, uno di quelli che è quasi impossibile ributtare indietro senza slogarsi un polso o rompersi una caviglia.
È per questo che il gioco per adesso è interrotto: i negoziati tecnici fra Roma e Bruxelles sul Monte dei Paschi di Siena sono fermi dalla fine della settimana scorsa. Potrà riavviarli solo una decisione al più alto livello politico della Commissione europea e dei governi coinvolti.
Non solo di quello di Matteo Renzi, perché anche da Berlino, dall' Aia, da Parigi e da Madrid la saga sulle banche italiane viene seguita ormai con attenzione pari solo a una diffidenza più o meno sincera - più o meno opportunistica - verso le richieste avanzate da Roma.
L' offerta lanciata nel campo dell' Italia dalla Commissione Ue per rafforzare il Monte dei Paschi ricalca quanto accaduto l' anno scorso con le banche greche. L' obiettivo è trovare una clausola che permetta alle autorità di versare capitale nella banca - alle condizioni attuali, nessun privato è disposto a farlo - senza innescare le norme europee che impongono di falcidiare i depositanti e alcuni obbligazionisti in caso di aiuto di Stato.
Colpirli nelle banche di Atene, avrebbe significato distruggere quanto resta della liquidità delle imprese in un' economia ormai in ginocchio. Farlo su Mps espone invece al rischio di diffondere il panico anche fra i clienti di altre banche, di spingerli a chiudere i loro conti, e generare talmente tanti timori sui loro titoli che per gli istituti diventerebbe costosissimo finanziarsi.
L' idea della Commissione Ue è in una clausola dell' articolo 32 della direttiva sulle banche in vigore da gennaio: permettere una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza staccare la spina a un' azienda, quando questa fallisce uno stress test - una prova da sforzo in un ipotetico scenario di crisi - dell' Autorità bancaria europea (Eba).
Quest' agenzia sta ultimando i suoi esami e il suo scenario di crisi immaginario per l' Italia nei prossimi tre anni appare improbabile, ma non irrealistico: caduta del Pil dello 0,4% quest' anno, dell' 1,1% il prossimo e crescita zero nel 2018; crollo di Borsa del 28% quest' anno e del 25% il prossimo; aumento dell' 1% dei rendimenti dei titoli di Stato decennali.
Se questo quadro diventasse realtà, Mps andrebbe incontro a una seria carenza di patrimonio: quanto basta perché l' Eba il prossimo 29 luglio lo segnali alla vigilanza della Banca centrale europea e quest' ultima chieda a Siena di trovare in tempi rapidi precisamente il capitale che oggi il mercato è molto riluttante a offrire a quasi qualunque banca medio-piccola.
Si può dubitare del metodo dell' Eba, ma ormai la clessidra è rovesciata. La sabbia scorre contro il Monte dei Paschi. Non a caso la stessa Bce ha già anticipato le sue richieste con una lettera recente a Siena.
La banca toscana non sarebbe a questo punto, se esattamente due anni fa le autorità italiane le avessero impedito di rimborsare troppo presto 3,12 miliardi di prestiti del Tesoro (con l' effetto collaterale di allentare i vincoli sui compensi a certi manager esecutivi). Ma quello ormai è latte versato. Ora conta la proposta di Bruxelles che l' Italia, per adesso, respinge.
L' idea sarebbe di concedere appunto una ricapitalizzazione pubblica «preliminare» senza colpire i depositi, né le obbligazioni ordinarie esistenti che oggi varrebbero 10 miliardi a scadenza. Quanto alle obbligazioni subordinate per circa 6 miliardi di valore teorico, questi titoli più redditizi ma più esposti verrebbero convertiti in azioni; quindi il valore del capitale di tutti i soci vecchi e nuovi della banca ne risulterebbe enormemente diluito.
La Commissione indica però un modo per salvaguardare decine di migliaia di famiglie che posseggono quei titoli subordinati: il governo può ricomprare le obbligazioni dai privati stessi a prezzi elevati, oppure può compensarli ex post perché i risparmiatori avrebbero subito una vendita «abusiva» di quella carta. In caso di ricapitalizzazione pubblica, le perdite sarebbero dunque tutte concentrate sui cosiddetti investitori istituzionali: assicurazioni, banche o fondi esposti sui titoli subordinati di Montepaschi per circa due miliardi di euro.
L' Italia ha risposto di no. C' è una logica in questo rifiuto, perché esiste un precedente che scoraggia: a metà dicembre scorso, di fronte a un dilemma simile su Novo Banco, il governo di Lisbona aveva scelto di salvaguardare le famiglie in modo da evitare un panico finanziario; furono colpiti solo i grandi investitori istituzionali.
Il risultato si è rivelato disastroso, perché questi ultimi hanno concluso che il Portogallo non era più un Paese affidabile e da allora lo disertano. Il costo del debito pubblico di Lisbona è esploso per carenza di compratori. Fra dicembre e febbraio i rendimenti dei titoli di Stato portoghesi a dieci anni sono quasi raddoppiati (dal 2,2% al 4%) malgrado gli acquisti massicci della Bce; ancora oggi quel rendimento è appena sotto al 3%, contro l' 1,2% dell' Italia, e Lisbona è di nuovo a un passo dalla richiesta di un ulteriore salvataggio europeo.
Distorsioni del genere mostrano quante falle abbiano le regole europee oggi al cuore dell' unione bancaria. Quelle norme in vigore dal gennaio, in caso di aiuti di Stato, impongono perdite a risparmiatori e investitori che sono in una banca da molti anni prima. Intanto le stesse norme consentono sussidi continui e senza penalità, purché esistano da anni come i circa 500 miliardi di garanzie pubbliche sul sistema bancario tedesco.
L' unione bancaria centralizza la vigilanza e il potere di imporre la ricapitalizzazione di una banca (contro la minaccia di liquidarla), ma non prevede fondi comuni europei e lega le mani ai governi.
Roma chiede ora che a queste norme si applichino le deroghe previste in caso di instabilità. Per ora però Spagna e Francia, non solo Germania e Olanda, mostrano scarsa simpatia.
Pesa la sfiducia per una politica economica generale dell' Italia giudicata da molti priva di strategia e di credibilità. Pesa anche il sospetto che qualcuno in Europa voglia stabilire un precedente mandando Montepaschi in «risoluzione», ossia in liquidazione ordinata. E magari l' Italia al fondo salvataggi europeo, per gestire una volta per tutte la questione bancaria sotto il controllo della Troika.
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Re: Diario della caduta di un regime.
Vengono al pettine gli errori di gestione delle banche nostrane negli ultimi 30 anni, fidi facili agli amici degli amici politici, super retribuzioni ai manager, pressioni commerciali smodate per vendere "monnezza" e soprattutto le frasi del 2008/2009 dove qualcuno diceva che le nostre banche erano solide e non c'era bisogno di aiuti di Stato quando si potevano fare. Ora è tardi...
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Re: Diario della caduta di un regime.
Maucat ha scritto:Vengono al pettine gli errori di gestione delle banche nostrane negli ultimi 30 anni, fidi facili agli amici degli amici politici, super retribuzioni ai manager, pressioni commerciali smodate per vendere "monnezza" e soprattutto le frasi del 2008/2009 dove qualcuno diceva che le nostre banche erano solide e non c'era bisogno di aiuti di Stato quando si potevano fare. Ora è tardi...
LA REALTA' E' QUESTA.
ENRICO LETTA NELLA SUA INTERVISTA DI DAMILANO SULL'ESPRESSO DICHIARA CHE IN ITALIA E IN EUROPA NON ESISTONO PIU' LE CLASSI DIRIGENTI.
MA IN VERITA' HANNO CESSATO DI ESISTERE GIA' PRIMA DI 30 ANNI FA'.
LA SPARIZIONE DI ALDO MORO ED ENRICO BERLINGUER, DAVANO IL VIA LIBERA AGLI SQUALI PREDATORI DELLO STATO E DELL'ITALIA REPUBBLICANA.
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Re: Diario della caduta di un regime.
6 LUG 2016 10:48
LE GAFFE DI RENZI SU MPS: CHI GLI HA DATO RETTA HA PERSO META’ DELL’INVESTIMENTO
- DRAGHI PROVA A METTERE UNA PEZZA: LA BCE NON CHIEDERA’ AUMENTI DI CAPITALE ALLE BANCHE ITALIANE
Errori, gaffe, impreparazione. Così nasce l' allarme banche. Il sistema italiano è diventato un caso europeo per la pessima comunicazione del governo e le troppe parole. Tutto ha inizio con il decreto che salva Banca Etruria, del papà della Boschi...
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 128146.htm
PUR DEPURATO DELLA PROPAGANDA, IL CONTENUTO CI STA'.
Marcello Zacché per “il Giornale”
Quando, il 20 gennaio scorso, il titolo Monte dei Paschi valeva 0,51 euro, il presidente del consiglio Matteo Renzi, dichiarò: «A questi prezzi Mps è un affare». Ieri le azioni senesi hanno chiuso a 0,26. Chi quindi ha fiutato l' affare allora e ci ha investito, per dire, mille euro, oggi ne ha solo 510, smenandoci il 49 per cento.
Ma questa non è che una delle tante inopportune dichiarazioni che abbiamo sentito dal governo in questi ultimi sette mesi sulle banche.
Una serie di prese di posizione e di mosse un po' goffe che, una dopo l'altra, ci hanno portato dove siamo ora: le nostre banche sono diventate il problema numero uno in Europa.
Prima pagina fissa sul Financial Times, primo piano su tutte le pagine finanziarie. Sono, al momento, quello che era la Grecia un anno fa o lo spread nel 2011. Con una differenza però: dentro alle banche (e intorno a loro, come nel caso dei circa 25 miliardi di obbligazioni subordinate vendute al pubblico) ci sono i nostri risparmi.
Come è possibile essere arrivati a questo punto? Non erano le banche italiane, mentre fallivano quelle islandesi, venivano salvate spagnole e portoghesi, aiutate francesi e tedesche, le più sane di tutti? Senza alcun rischio?
Tutto ha inizio domenica 22 novembre, sette mesi fa, quando il governo, con un decreto, e dunque con un atto politico, mette in «risoluzione» le banche di Etruria, Chieti, Marche e Ferrara.
L' indomani 10.600 clienti di queste stesse banche che erano anche obbligazionisti subordinati hanno visto azzerato il loro capitale, per 330 milioni.
Gli italiani lo hanno scoperto quasi per caso, il giorno dopo: il governo ha deciso senza né preparare l' opinione pubblica, né rendersi conto del boomerang che aveva lanciato, visto che ai vertici dell' Etruria sedeva il padre dell' effettivo numero due di questo esecutivo, il ministro Maria Elena Boschi.
Ma questo è nulla in confronto alla conseguenza finanziaria successiva: il salvataggio delle 4 banche implicava la determinazione di un prezzo per i crediti in sofferenza: erano stati valutati circa il 20% del loro valore di bilancio.
E a questo multiplo tutti gli analisti e investitori si sono affrettati a calcolare il deficit di capitale delle altre banche italiane. Risultato: la Borsa di Milano, nei primi 40 giorni del 2016, è crollata del 30%.
A metterci una pezza ci ha provato il presidente della Bce, Mario Draghi - l' unico al mondo che può aiutare le nostre banche con la politica monetaria espansiva di Francoforte - che più volte ha buttato acqua sul fuoco. «Alle banche italiane - ha detto nel mezzo del caos del gennaio scorso - la Bce non farà richieste di nuovi capitali».
Eppure, pochi giorni dopo, il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan interveniva a gamba tesa dichiarando che «la crisi delle banche italiane è colpa della vigilanza della Bce».
Si arriva in questo modo ai nostri giorni, quando approfittando degli sconquassi finanziari della Brexit, il premier prova un blitz per forzare la mano sia a Bruxelles sia Berlino e ottenere deroghe alla legge bancaria europea che permettano aiuti di Stato piuttosto che una moratoria sulle regole del bail in.
Ma improvvidamente Renzi ne parla anche in pubblico il che, ammesso che la manovra potesse riuscire, rende vano ogni tentativo di cambiare le carte in tavola. Conseguenza: la banca più debole del sistema, Mps, precipita in Borsa ai minimi storici.
Ultimo caso quello di ieri, quando Palazzo Chigi ha dovuto smentire un attacco di Renzi a Draghi, accusato quando era direttore generale del Tesoro nel governo Ciampi di non aver mosso un dito per risanare le Popolari. Riformate invece da Renzi lo scorso anno.
Una ennesima polemica di cui non si sentiva la mancanza.
LE GAFFE DI RENZI SU MPS: CHI GLI HA DATO RETTA HA PERSO META’ DELL’INVESTIMENTO
- DRAGHI PROVA A METTERE UNA PEZZA: LA BCE NON CHIEDERA’ AUMENTI DI CAPITALE ALLE BANCHE ITALIANE
Errori, gaffe, impreparazione. Così nasce l' allarme banche. Il sistema italiano è diventato un caso europeo per la pessima comunicazione del governo e le troppe parole. Tutto ha inizio con il decreto che salva Banca Etruria, del papà della Boschi...
http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 128146.htm
PUR DEPURATO DELLA PROPAGANDA, IL CONTENUTO CI STA'.
Marcello Zacché per “il Giornale”
Quando, il 20 gennaio scorso, il titolo Monte dei Paschi valeva 0,51 euro, il presidente del consiglio Matteo Renzi, dichiarò: «A questi prezzi Mps è un affare». Ieri le azioni senesi hanno chiuso a 0,26. Chi quindi ha fiutato l' affare allora e ci ha investito, per dire, mille euro, oggi ne ha solo 510, smenandoci il 49 per cento.
Ma questa non è che una delle tante inopportune dichiarazioni che abbiamo sentito dal governo in questi ultimi sette mesi sulle banche.
Una serie di prese di posizione e di mosse un po' goffe che, una dopo l'altra, ci hanno portato dove siamo ora: le nostre banche sono diventate il problema numero uno in Europa.
Prima pagina fissa sul Financial Times, primo piano su tutte le pagine finanziarie. Sono, al momento, quello che era la Grecia un anno fa o lo spread nel 2011. Con una differenza però: dentro alle banche (e intorno a loro, come nel caso dei circa 25 miliardi di obbligazioni subordinate vendute al pubblico) ci sono i nostri risparmi.
Come è possibile essere arrivati a questo punto? Non erano le banche italiane, mentre fallivano quelle islandesi, venivano salvate spagnole e portoghesi, aiutate francesi e tedesche, le più sane di tutti? Senza alcun rischio?
Tutto ha inizio domenica 22 novembre, sette mesi fa, quando il governo, con un decreto, e dunque con un atto politico, mette in «risoluzione» le banche di Etruria, Chieti, Marche e Ferrara.
L' indomani 10.600 clienti di queste stesse banche che erano anche obbligazionisti subordinati hanno visto azzerato il loro capitale, per 330 milioni.
Gli italiani lo hanno scoperto quasi per caso, il giorno dopo: il governo ha deciso senza né preparare l' opinione pubblica, né rendersi conto del boomerang che aveva lanciato, visto che ai vertici dell' Etruria sedeva il padre dell' effettivo numero due di questo esecutivo, il ministro Maria Elena Boschi.
Ma questo è nulla in confronto alla conseguenza finanziaria successiva: il salvataggio delle 4 banche implicava la determinazione di un prezzo per i crediti in sofferenza: erano stati valutati circa il 20% del loro valore di bilancio.
E a questo multiplo tutti gli analisti e investitori si sono affrettati a calcolare il deficit di capitale delle altre banche italiane. Risultato: la Borsa di Milano, nei primi 40 giorni del 2016, è crollata del 30%.
A metterci una pezza ci ha provato il presidente della Bce, Mario Draghi - l' unico al mondo che può aiutare le nostre banche con la politica monetaria espansiva di Francoforte - che più volte ha buttato acqua sul fuoco. «Alle banche italiane - ha detto nel mezzo del caos del gennaio scorso - la Bce non farà richieste di nuovi capitali».
Eppure, pochi giorni dopo, il ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan interveniva a gamba tesa dichiarando che «la crisi delle banche italiane è colpa della vigilanza della Bce».
Si arriva in questo modo ai nostri giorni, quando approfittando degli sconquassi finanziari della Brexit, il premier prova un blitz per forzare la mano sia a Bruxelles sia Berlino e ottenere deroghe alla legge bancaria europea che permettano aiuti di Stato piuttosto che una moratoria sulle regole del bail in.
Ma improvvidamente Renzi ne parla anche in pubblico il che, ammesso che la manovra potesse riuscire, rende vano ogni tentativo di cambiare le carte in tavola. Conseguenza: la banca più debole del sistema, Mps, precipita in Borsa ai minimi storici.
Ultimo caso quello di ieri, quando Palazzo Chigi ha dovuto smentire un attacco di Renzi a Draghi, accusato quando era direttore generale del Tesoro nel governo Ciampi di non aver mosso un dito per risanare le Popolari. Riformate invece da Renzi lo scorso anno.
Una ennesima polemica di cui non si sentiva la mancanza.
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Re: Diario della caduta di un regime.
DAL BALLO DEL QUA QUA, AL BALLO DELLA CADREGA.
I tricolori vengono sempre dopo nelle intenzioni dei pseudo politici italianski.
6 LUG 2016 10:02
GUERRE DEMOCRATICHE
- LETTA CANDIDATO PREMIER, SPERANZA SEGRETARIO PD: IL PIANO DELLA MINORANZA PIDDINA PER DARE SCACCO MATTO A RENZI DOPO IL REFERENDUM
- MATTEUCCIO GIOCA LA CARTA NAPOLITANO CHE VIENE ATTACCATO DA SALVINI: A OTTOBRE PRENDERA’ UNA CAPOCCIATA" - - -
Il congresso, annunciato dallo stesso Renzi, dovrebbe tenersi in anticipo alla fine dell’anno - Bersani attacca a tutto campo: “Renzi proietta un film lontano dalla realtà. Vedo troppi fenomeni, come De Luca che prende in giro la Raggi. Verdini? Ha 6 inchieste addosso, c'è gente che si è dimessa per molto meno”..
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Enrico Letta candidato premier, Roberto Speranza segretario del Pd. Concentrati sull’accusa a Renzi di «vivere in un talent», è sfuggita ai più, durante la direzione dem, l’altra parola inglese usata da Gianni Cuperlo: ticket.
«Al prossimo congresso — ha detto l’ex presidente del Pd — non sosterrò un capo ma un ticket composto da una guida solida per Palazzo Chigi e una personalità diversa per il partito».
Il congresso, annunciato dallo stesso Renzi, dovrebbe tenersi in anticipo alla fine dell’anno.
In mezzo c’è l’appuntamento con il referendum destinato comunque a scompaginare i calcoli della vigilia.
Ma la minoranza del Pd si attrezza a sfidare il presidente del Consiglio.
E per la carica di premier ha individuato il suo predecessore.
«Su questa formula siamo perfettamente in sintonia con Cuperlo», conferma il bersaniano Miguel Gotor.
«La mia simpatia e la mia stima per Letta sono note. Ma i nomi verranno più avanti».
Cuperlo afferma di aver parlato solo di «un principio generale che prende atto di un fallimento.
Il modello alternativo può essere quello della divisione dei compiti, come fu per Craxi e Martelli.
Lascio ad altri invece le congetture sulle modifiche allo statuto ».
Il piano appare definito nei dettagli, frutto di incontri, sondaggi e riunioni.
Secondo Matteo Orfini si gioca ormai a carte scoperte.
«Quell’idea appartiene anche a D’Alema», sostiene il presidente del Pd che del capo della Fondazione Italianieuropei è stato strettisimo collaboratore.
Il nome di Letta può essere evocativo da molti punti di vista:
un diverso modello di governo (“il cacciavite” contro il “bulldozer” renziano), una personalità che continua a coltivare i rapporti con le Cancellerie estere, un leader riconosciuto anche fuori dai confini italiani come dimostra la recente nomina alla guida dell’Istituto Delors.
Bisogna dunque spuntare a Renzi l’arma usata in Italia e all’estero del “dopo di me il diluvio”.
Non esiste alcuna catastrofe di sistema se cade il governo dell’attuale segretario del Pd, se viene a mancare la sua figura sullo scenario internazionale.
E se il referendum finisce con la sconfitta del Sì.
Perché il Partito democratico ha altre carte da giocare, nel solco europeista e riformista.
La principale è quella dell’ex premier Letta.
Roberto Speranza, nella strategia della minoranza, sarebbe un segretario in piena simbiosi con il candidato premier.
Niente diarchie o vecchi duelli interni.
Ma il punto centrale è Letta perché tocca a lui simboleggiare l’argine al disastro, di cui parlano i renziani.
E ora, sulla modifica alla legge elettorale, si intravedono le prime crepe nel fronte dei fedelissimi del premier.
Per l’obiettivo finale serve infatti un logoramento lento, ma non troppo, visto che al referenduma mancano quattro mesi scarsi al massimo, se la data sarà quella del 30 ottobre.
Pier Luigi Bersani semina ancora dubbi sul Sì della sua parte.
«La riforma è un passo avanti, ma se il partito diventa un comitato del Sì creiamo un precedente pericoloso», dice l’ex segretario a
In Onda su La7.
«Chi vota No è ancora del Pd?», si chiede. Non sono le premesse migliori per coinvolgere la minoranza nella campagna renziana.
Del resto, Bersani attacca a tutto campo.
Spiega che Renzi proietta un «film lontano dalla realtà, a partire dal lavoro che non c’è», «l’Italia si sente ancora dentro la crisi », «la risposta del segretario alla sconfitta delle comunali è solo o con me o contro di me».
Niente viene risparmiato alla classe dirigente renziana: «Vedo troppi fenomeni, come De Luca che prende in giro la Raggi.
C’è un eccesso di conformismo intorno a Renzi Verdini? Ha sei inchieste addosso, conosco gente che si è dimessa per molto meno».
Un alleato che non viene meno è invece il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano.
L’altro ieri, in direzione, Renzi ha fatto trasmettere un filmato con il discorso dell’allora capo dello Stato al Parlamento.
Uno schiaffo ai ritardatari delle riforme.
E ora Napolitano lo ripaga: «Auspico con tutte le mie forze e la mia convinzione — scandisce a un convegno — che la stragrande maggioranza dei cittadini non faccia finire nel nulla gli sforzi messi in atto in questi due anni in Parlamento».
Intervento non nuovo, difesa delle riforme non sorprendente, endorsement per il Sì chiaro e limpido, ma non inaspettato.
Eppure scatena la viollenza verbale di Matteo Salvini: «Spero che Napolitano prenda una bella capocciata ad ottobre. Dopo si ritiri e la smetta di rompere le palle agli italiani».
I tricolori vengono sempre dopo nelle intenzioni dei pseudo politici italianski.
6 LUG 2016 10:02
GUERRE DEMOCRATICHE
- LETTA CANDIDATO PREMIER, SPERANZA SEGRETARIO PD: IL PIANO DELLA MINORANZA PIDDINA PER DARE SCACCO MATTO A RENZI DOPO IL REFERENDUM
- MATTEUCCIO GIOCA LA CARTA NAPOLITANO CHE VIENE ATTACCATO DA SALVINI: A OTTOBRE PRENDERA’ UNA CAPOCCIATA" - - -
Il congresso, annunciato dallo stesso Renzi, dovrebbe tenersi in anticipo alla fine dell’anno - Bersani attacca a tutto campo: “Renzi proietta un film lontano dalla realtà. Vedo troppi fenomeni, come De Luca che prende in giro la Raggi. Verdini? Ha 6 inchieste addosso, c'è gente che si è dimessa per molto meno”..
Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Enrico Letta candidato premier, Roberto Speranza segretario del Pd. Concentrati sull’accusa a Renzi di «vivere in un talent», è sfuggita ai più, durante la direzione dem, l’altra parola inglese usata da Gianni Cuperlo: ticket.
«Al prossimo congresso — ha detto l’ex presidente del Pd — non sosterrò un capo ma un ticket composto da una guida solida per Palazzo Chigi e una personalità diversa per il partito».
Il congresso, annunciato dallo stesso Renzi, dovrebbe tenersi in anticipo alla fine dell’anno.
In mezzo c’è l’appuntamento con il referendum destinato comunque a scompaginare i calcoli della vigilia.
Ma la minoranza del Pd si attrezza a sfidare il presidente del Consiglio.
E per la carica di premier ha individuato il suo predecessore.
«Su questa formula siamo perfettamente in sintonia con Cuperlo», conferma il bersaniano Miguel Gotor.
«La mia simpatia e la mia stima per Letta sono note. Ma i nomi verranno più avanti».
Cuperlo afferma di aver parlato solo di «un principio generale che prende atto di un fallimento.
Il modello alternativo può essere quello della divisione dei compiti, come fu per Craxi e Martelli.
Lascio ad altri invece le congetture sulle modifiche allo statuto ».
Il piano appare definito nei dettagli, frutto di incontri, sondaggi e riunioni.
Secondo Matteo Orfini si gioca ormai a carte scoperte.
«Quell’idea appartiene anche a D’Alema», sostiene il presidente del Pd che del capo della Fondazione Italianieuropei è stato strettisimo collaboratore.
Il nome di Letta può essere evocativo da molti punti di vista:
un diverso modello di governo (“il cacciavite” contro il “bulldozer” renziano), una personalità che continua a coltivare i rapporti con le Cancellerie estere, un leader riconosciuto anche fuori dai confini italiani come dimostra la recente nomina alla guida dell’Istituto Delors.
Bisogna dunque spuntare a Renzi l’arma usata in Italia e all’estero del “dopo di me il diluvio”.
Non esiste alcuna catastrofe di sistema se cade il governo dell’attuale segretario del Pd, se viene a mancare la sua figura sullo scenario internazionale.
E se il referendum finisce con la sconfitta del Sì.
Perché il Partito democratico ha altre carte da giocare, nel solco europeista e riformista.
La principale è quella dell’ex premier Letta.
Roberto Speranza, nella strategia della minoranza, sarebbe un segretario in piena simbiosi con il candidato premier.
Niente diarchie o vecchi duelli interni.
Ma il punto centrale è Letta perché tocca a lui simboleggiare l’argine al disastro, di cui parlano i renziani.
E ora, sulla modifica alla legge elettorale, si intravedono le prime crepe nel fronte dei fedelissimi del premier.
Per l’obiettivo finale serve infatti un logoramento lento, ma non troppo, visto che al referenduma mancano quattro mesi scarsi al massimo, se la data sarà quella del 30 ottobre.
Pier Luigi Bersani semina ancora dubbi sul Sì della sua parte.
«La riforma è un passo avanti, ma se il partito diventa un comitato del Sì creiamo un precedente pericoloso», dice l’ex segretario a
In Onda su La7.
«Chi vota No è ancora del Pd?», si chiede. Non sono le premesse migliori per coinvolgere la minoranza nella campagna renziana.
Del resto, Bersani attacca a tutto campo.
Spiega che Renzi proietta un «film lontano dalla realtà, a partire dal lavoro che non c’è», «l’Italia si sente ancora dentro la crisi », «la risposta del segretario alla sconfitta delle comunali è solo o con me o contro di me».
Niente viene risparmiato alla classe dirigente renziana: «Vedo troppi fenomeni, come De Luca che prende in giro la Raggi.
C’è un eccesso di conformismo intorno a Renzi Verdini? Ha sei inchieste addosso, conosco gente che si è dimessa per molto meno».
Un alleato che non viene meno è invece il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano.
L’altro ieri, in direzione, Renzi ha fatto trasmettere un filmato con il discorso dell’allora capo dello Stato al Parlamento.
Uno schiaffo ai ritardatari delle riforme.
E ora Napolitano lo ripaga: «Auspico con tutte le mie forze e la mia convinzione — scandisce a un convegno — che la stragrande maggioranza dei cittadini non faccia finire nel nulla gli sforzi messi in atto in questi due anni in Parlamento».
Intervento non nuovo, difesa delle riforme non sorprendente, endorsement per il Sì chiaro e limpido, ma non inaspettato.
Eppure scatena la viollenza verbale di Matteo Salvini: «Spero che Napolitano prenda una bella capocciata ad ottobre. Dopo si ritiri e la smetta di rompere le palle agli italiani».
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Re: Diario della caduta di un regime.
'A Pizza - Aurelio Fierro
https://www.youtube.com/watch?v=rj7ilG9KzK4
Audio esclusivo: Marotta e Pizza dividono i soldi
“50, 100…ecco i tuoi 5mila. Bisogna nasconderli”
Il progetto della cricca per tutte le procure: “Il nostro software per controllare i pm” (di A. Massari)
PADRE E FRATELLO CITATI NELLE CARTE, ALFANO SPARA SULLE INTERCETTAZIONI: “BARBARIE ILLEGALE”
FattoTv
Si sente il rumore dei soldi nell’intercettazione dell’inchiesta sulla corruzione a Roma, che pubblichiamo in esclusiva. I magistrati hanno fatto ricorso alla banca dati dei rumori per certificare un particolare fruscìo. È il 3 marzo dello scorso anno e Raffaele Pizza detto Lino e il deputato Antonio Marotta detto Nino contano soldi. Marotta: “Questi sono venti”. Pizza ripete: “Questi sono venti”. Il senatore: “Esatto”. Pizza: “Cinque sono i tuoi” (articolo di Fabrizio d’Esposito). Nell’audio si sente persno la suddivisione in banconote da cento e da cinquanta euro. Con una battuta: “Questa me la fatturi…” (elaborazione di Gisella Ruccia)
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... li/541171/
6 luglio 2016 | di Antonio Massari e Valeria acelliCorruzione, l’intercettazione Marotta-Pizza con la spartizione dei soldi: “50, 100…e stì 5mila euro professò. Bisogna nasconderli”
Il rumore dei soldi nell’intercettazione che ilfattoquotidiano.it è in grado di farvi sentire relativa all’ultima inchiesta sulla corruzione condotta dalla procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone e dal Nucleo centrale valutario della Guardia di Finanza. A un certo punto i magistrati hanno fatto ricorso alla banca dati dei rumori per certificare un particolare fruscìo. È il 3 marzo dello scorso anno e Raffaele Pizza detto Lino e il deputato Antonio Marotta detto Nino contano soldi. Marotta: “Questi sono venti”. Pizza ripete: “Questi sono venti”. Il senatore: “Esatto”. Pizza: “Cinque sono i tuoi” (leggi l’articolo di Fabrizio d’Esposito). Segue finanche la suddivisione in banconote da cento e da cinquanta euro. Ventimila euro, in tutto, consegnati da un imprenditore preoccupato, Luigi Esposito. Più di due mesi dopo, il 21 maggio, la cifra è di 42 mila euro e i due si applicano con zelo. Marotta: “Sì, li ha fatti in pezzi grossi stavolta”. Pizza: “Sono cinque, cinque, due, tre, tre… quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci… e sono sei, poi uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e dieci e sono sette”. Ancora Pizza, descritto come “un uomo avido e con insaziabili appetiti economici”: “Me li tengo nel portafoglio che mi servono” (Video di Gisella Ruccia)
https://www.youtube.com/watch?v=rj7ilG9KzK4
Audio esclusivo: Marotta e Pizza dividono i soldi
“50, 100…ecco i tuoi 5mila. Bisogna nasconderli”
Il progetto della cricca per tutte le procure: “Il nostro software per controllare i pm” (di A. Massari)
PADRE E FRATELLO CITATI NELLE CARTE, ALFANO SPARA SULLE INTERCETTAZIONI: “BARBARIE ILLEGALE”
FattoTv
Si sente il rumore dei soldi nell’intercettazione dell’inchiesta sulla corruzione a Roma, che pubblichiamo in esclusiva. I magistrati hanno fatto ricorso alla banca dati dei rumori per certificare un particolare fruscìo. È il 3 marzo dello scorso anno e Raffaele Pizza detto Lino e il deputato Antonio Marotta detto Nino contano soldi. Marotta: “Questi sono venti”. Pizza ripete: “Questi sono venti”. Il senatore: “Esatto”. Pizza: “Cinque sono i tuoi” (articolo di Fabrizio d’Esposito). Nell’audio si sente persno la suddivisione in banconote da cento e da cinquanta euro. Con una battuta: “Questa me la fatturi…” (elaborazione di Gisella Ruccia)
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... li/541171/
6 luglio 2016 | di Antonio Massari e Valeria acelliCorruzione, l’intercettazione Marotta-Pizza con la spartizione dei soldi: “50, 100…e stì 5mila euro professò. Bisogna nasconderli”
Il rumore dei soldi nell’intercettazione che ilfattoquotidiano.it è in grado di farvi sentire relativa all’ultima inchiesta sulla corruzione condotta dalla procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone e dal Nucleo centrale valutario della Guardia di Finanza. A un certo punto i magistrati hanno fatto ricorso alla banca dati dei rumori per certificare un particolare fruscìo. È il 3 marzo dello scorso anno e Raffaele Pizza detto Lino e il deputato Antonio Marotta detto Nino contano soldi. Marotta: “Questi sono venti”. Pizza ripete: “Questi sono venti”. Il senatore: “Esatto”. Pizza: “Cinque sono i tuoi” (leggi l’articolo di Fabrizio d’Esposito). Segue finanche la suddivisione in banconote da cento e da cinquanta euro. Ventimila euro, in tutto, consegnati da un imprenditore preoccupato, Luigi Esposito. Più di due mesi dopo, il 21 maggio, la cifra è di 42 mila euro e i due si applicano con zelo. Marotta: “Sì, li ha fatti in pezzi grossi stavolta”. Pizza: “Sono cinque, cinque, due, tre, tre… quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci… e sono sei, poi uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e dieci e sono sette”. Ancora Pizza, descritto come “un uomo avido e con insaziabili appetiti economici”: “Me li tengo nel portafoglio che mi servono” (Video di Gisella Ruccia)
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