referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
9 LUG 2016 12:10
CHI ROMPE IL CASSON A RENZI
- D'ALEMA RECLUTA EMILIANO, TOCCI NON MOLLA, CASSON SI MUOVE IN VENETO. E IL GRUPPO DEI PIDDINI CHE FARANNO CAMPAGNA CONTRO IL REFERENDUM S'INGROSSA: A LIVELLO LOCALE I BERSANIANI E GLI ESPONENTI DELLA MINORANZA LAVORANO SENZA SOSTA PER PUGNALARE IL PREMIER
Nell' assemblea dei bersaniani romani, giovedì sera, su un' ottantina di dirigenti locali e militanti, la metà erano per il No. Luigi Zanda, capogruppo al Senato, ha avvertito: «Sarebbe un atto grave da parte di chi è nel Pd votare No». Ma a D'Alema frega poco: avanti con la campagna per il no...
Giovanna Casadio per ''la Repubblica''
Ore 13, pranzo light in un hotel di Bari lunedì prossimo.
Massimo D' Alema comincia da lì la sua campagna per il No al referendum costituzionale invitando giuristi e docenti e il presidente dell' assemblea regionale pugliese, Mario Loizzo.
Loizzo è uno dei tanti dirigenti dem locali che della riforma della Carta non ne vogliono sapere.
Ha il dente avvelenato:«È pessima, è una vendetta contro le Regioni», denuncia.
L' ex premier D' Alema, impegnato nella campagna per il No, punta a fare proseliti dentro il Pd, dove Renzi non ammette distrazioni e chiede una mobilitazione pancia a terra per il Sì.
E perciò D' Alema tira per la giacca Michele Emiliano, così da arruolarlo nelle file del No.
Il governatore della Puglia tentenna.
Fa sapere: «Sto studiando, però questa riforma è pessima».
In privato ha confidato che non è ancora sulla posizione del No, ma poco ci manca.
Però niente a che spartire con D' Alema, con cui la convergenza è occasionale e solo nel merito della materia costituzionale.
Al ministro Delrio che invece lo invita a schierarsi con il Sì, Emiliano non risponde neppure.
Smottamenti. Dissensi. Crescono nel Pd sulla riforma che abolisce il Senato così com' è e cambia l' architettura istituzionale.
Soprattutto nella base della sinistra dem il dissenso dilaga.
Nell' assemblea dei bersaniani romani, giovedì sera, su un' ottantina di dirigenti locali e militanti, la metà erano per il No.
Conteggio tenuto da Riccardo Agostini, consigliere regionale del Lazio che si è schierato da tempo: «Sono molto critico e ho dichiarato che sono per bocciare questa riforma costituzionale ».
Come pubblicamente per il No ha preso posizione l' ex portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia: «La riforma della Costituzione non può scadere a puro strumento di marketing elettorale ».
I ribelli sono convinti che le loro truppe s' ingrosseranno.
In Veneto Marino Chiozzotto, storico segretario della sezione del Pci del Lido di Venezia, ora dirigente del Pd locale, ricostruisce: «Il dissenso è molto ampio, sono in tanti dei nostri che voteranno per il No anche se per ora mostrano cautela».
Non facile, del resto. La minoranza del Pd nell' ultima direzione del partito ha cercato di forzare la mano al segretario-premier chiedendo piena cittadinanza e niente scomuniche per i democratici sostenitori del No al referendum.
Mozione respinta con perdite. Il documento è stato bocciato a stragrande maggioranza, il vice segretario Lorenzo Guerini ha accusato i promotori di una improponibile ambiguità.
E Luigi Zanda, capogruppo al Senato, qualche giorno dopo ha avvertito: «Sarebbe un atto grave da parte di chi è nel Pd votare No».
Richiamo che Felice Casson, senatore veneto, ex magistrato, non ascolta. Lui, per dire, da due mesi va in giro a fare campagna per il No.
«Non solo in Italia ma anche all'estero - racconta -.
Sono stato nelle università di Ginevra e di Zurigo .
Dappertutto spiego che questa riforma costituzionale è un pasticcio».
Casson dovrebbe fare una conferenza stampa con Walter Tocci, altro senatore dem dissidente, che aveva preparato un intervento nella direzione del Pd dove, tra l' altro, spiegava perché voterà No al referendum.
Non ha potuto parlare perché si era fatto troppo tardi ma ha chiesto che la sua posizione restasse agli atti.
CHI ROMPE IL CASSON A RENZI
- D'ALEMA RECLUTA EMILIANO, TOCCI NON MOLLA, CASSON SI MUOVE IN VENETO. E IL GRUPPO DEI PIDDINI CHE FARANNO CAMPAGNA CONTRO IL REFERENDUM S'INGROSSA: A LIVELLO LOCALE I BERSANIANI E GLI ESPONENTI DELLA MINORANZA LAVORANO SENZA SOSTA PER PUGNALARE IL PREMIER
Nell' assemblea dei bersaniani romani, giovedì sera, su un' ottantina di dirigenti locali e militanti, la metà erano per il No. Luigi Zanda, capogruppo al Senato, ha avvertito: «Sarebbe un atto grave da parte di chi è nel Pd votare No». Ma a D'Alema frega poco: avanti con la campagna per il no...
Giovanna Casadio per ''la Repubblica''
Ore 13, pranzo light in un hotel di Bari lunedì prossimo.
Massimo D' Alema comincia da lì la sua campagna per il No al referendum costituzionale invitando giuristi e docenti e il presidente dell' assemblea regionale pugliese, Mario Loizzo.
Loizzo è uno dei tanti dirigenti dem locali che della riforma della Carta non ne vogliono sapere.
Ha il dente avvelenato:«È pessima, è una vendetta contro le Regioni», denuncia.
L' ex premier D' Alema, impegnato nella campagna per il No, punta a fare proseliti dentro il Pd, dove Renzi non ammette distrazioni e chiede una mobilitazione pancia a terra per il Sì.
E perciò D' Alema tira per la giacca Michele Emiliano, così da arruolarlo nelle file del No.
Il governatore della Puglia tentenna.
Fa sapere: «Sto studiando, però questa riforma è pessima».
In privato ha confidato che non è ancora sulla posizione del No, ma poco ci manca.
Però niente a che spartire con D' Alema, con cui la convergenza è occasionale e solo nel merito della materia costituzionale.
Al ministro Delrio che invece lo invita a schierarsi con il Sì, Emiliano non risponde neppure.
Smottamenti. Dissensi. Crescono nel Pd sulla riforma che abolisce il Senato così com' è e cambia l' architettura istituzionale.
Soprattutto nella base della sinistra dem il dissenso dilaga.
Nell' assemblea dei bersaniani romani, giovedì sera, su un' ottantina di dirigenti locali e militanti, la metà erano per il No.
Conteggio tenuto da Riccardo Agostini, consigliere regionale del Lazio che si è schierato da tempo: «Sono molto critico e ho dichiarato che sono per bocciare questa riforma costituzionale ».
Come pubblicamente per il No ha preso posizione l' ex portavoce di Bersani, Stefano Di Traglia: «La riforma della Costituzione non può scadere a puro strumento di marketing elettorale ».
I ribelli sono convinti che le loro truppe s' ingrosseranno.
In Veneto Marino Chiozzotto, storico segretario della sezione del Pci del Lido di Venezia, ora dirigente del Pd locale, ricostruisce: «Il dissenso è molto ampio, sono in tanti dei nostri che voteranno per il No anche se per ora mostrano cautela».
Non facile, del resto. La minoranza del Pd nell' ultima direzione del partito ha cercato di forzare la mano al segretario-premier chiedendo piena cittadinanza e niente scomuniche per i democratici sostenitori del No al referendum.
Mozione respinta con perdite. Il documento è stato bocciato a stragrande maggioranza, il vice segretario Lorenzo Guerini ha accusato i promotori di una improponibile ambiguità.
E Luigi Zanda, capogruppo al Senato, qualche giorno dopo ha avvertito: «Sarebbe un atto grave da parte di chi è nel Pd votare No».
Richiamo che Felice Casson, senatore veneto, ex magistrato, non ascolta. Lui, per dire, da due mesi va in giro a fare campagna per il No.
«Non solo in Italia ma anche all'estero - racconta -.
Sono stato nelle università di Ginevra e di Zurigo .
Dappertutto spiego che questa riforma costituzionale è un pasticcio».
Casson dovrebbe fare una conferenza stampa con Walter Tocci, altro senatore dem dissidente, che aveva preparato un intervento nella direzione del Pd dove, tra l' altro, spiegava perché voterà No al referendum.
Non ha potuto parlare perché si era fatto troppo tardi ma ha chiesto che la sua posizione restasse agli atti.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
SE ANCHE GLI SPONSOR LO ABBANDONANO............
Referendum, De Benedetti: “O cambia Italicum o voto no. M5s? Non si sa cosa vogliono”
Politica
L'editore de L'Espresso intervistato dal Corriere della Sera dice di non essere contrario alle modifiche alla Costituzione, ma no al combinato disposto con la legge elettorale. Renzi replica: "Spunti interessanti, ma altri su cui non sono d'accordo". I grillini replicano alle accuse: "Noi sappiamo quello che vogliamo. Lui appartiene a un sistema fallito"
di F. Q. | 9 luglio 2016
COMMENTI (109)
“Se l’Italicum non cambia, al referendum sulle riforme costituzionali voterò no. I 5 stelle un pericolo? Sono la concretizzazione democratica della rivolta alle élite. Ma non si sa quello che vogliono”. A parlare è il presidente del gruppo editoriale L’Espresso Carlo De Benedetti che in una lunga intervista al Corriere della Sera non si è tirato indietro dall’esprimere perplessità su legge elettorale, modifica alla Costituzione e governo Renzi. Le sue parole hanno provocato la risposta dello stesso presidente del Consiglio: “Spunti interessanti e altri altrettanto interessanti su cui non sono d’accordo”. E sull’Italicum ha ribadito: “Non essendo su questo non vedo come si possa continuare a collegarlo al referendum costituzionale. Però non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento. A me pare di non vedere una maggioranza per modificarlo”.
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Ma non solo Renzi ha risposto a De Benedetti. Luigi Di Maio, membro del direttorio e tra i probabili futuri candidati premier del Movimento, ha scritto un articolo sul blog di Beppe Grillo dal titolo “Ecco che cosa vogliono i 5 stelle”. L’editore de L’Espresso in particolare ha detto di non sapere dove i grillini intendono trovare i soldi per finanziare il reddito di cittadinanza. “Noi abbiamo trovato i 17 miliardi (cioè il 2% della spesa pubblica) che servono a restituire dignità e garantire 780 euro al mese a 10 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Noi sappiamo esattamente quello che vogliamo e come vogliamo farlo”. La senatrice M5s Nunzia Catalfo ha poi aggiunto: “Le nostre coperture alla proposta di legge in merito sono state ritenute ammissibili dal Senato”. Di Maio ha fatto poi una lista degli obiettivi M5s: tra questi “eliminare la corruzione”, “abbassare le tasse alle imprese”, “una banca pubblica per finanziare le idee degli imprenditori”, “pensioni dignitose per gli anziani”, “abolizione di Equitalia“, “democrazia diretta”. E poi ha concluso: “De Benedetti di cosa ha paura? Teme per le sue aziende? La loro sorte la deciderà il mercato. De Benedetti (come lui stesso ha ammesso), insieme a Renzi e il Pd appartengono a un sistema che ha fallito. E stiamo pagando e continueremo a pagare per anni i danni che hanno combinato. Il loro tempo è passato”.
L’editore de l’Espresso ha parlato della situazione politica italiana in generale e in merito al referendum di ottobre non ha nascosto i suoi dubbi. “Spero di non essere costretto a votare no. La riforma ha molti aspetti positivi. Ma se l’Italicum non cambia, esprimerò la mia contrarietà. Per questo mi auguro che intervenga la Consulta. O che lo cambi prima Renzi”. In particolare, ha aggiunto: “Non sono tra chi considera la Costituzione intoccabile. Io il 1946 me lo ricordo. Ero rientrato nell’agosto del ’45 da due anni di campo profughi in Svizzera. La prima preoccupazione era che non potesse tornare il fascismo. La nostra Costituzione, con due Camere che fanno lo stesso lavoro come in nessun altro Paese, è anche figlia della paura dell’errore. Oggi le condizioni sono del tutto mutate”. Quindi sì alle modifiche, ma no al combinato disposto con la legge elettorale: “Il combinato disposto della proposta di modifica costituzionale, e di una legge elettorale pensata per un sistema bipolare in un sistema tripolare, consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale. È un pericolo che l’Italia non può correre”. Per De Benedetti “uno non può fare una legge elettorale in base alla situazione esistente; ma non può non tenerne conto. Altrimenti Renzi rischia di diventare il Fassino d’Italia. Al ballottaggio i secondi e i terzi arrivati si alleano contro il primo. Non è politica; è aritmetica“. Proprio a questo passaggio dell’intervista, Renzi ha replicato: “Il rischio che possano vincere altre forze politiche in presenza del ballottaggio sta dentro il gioco democratico, anche con una legge diversa puoi non vincere e la sinistra ha una certa expertise in questo”.
De Benedetti ha poi affrontato i tema dell’ascesa del Movimento 5 stelle: “Contestano quello che c’è ma non si sa esattamente cosa vogliano. Ora si preparano a diventare classe di governo: Grillo dice che non è contro l’Europa ma contro ‘questa Europa': cosa significa, come la vorrebbe cambiare? La Raggi annuncia che vuole Roma pulita; bene, lo voglio anch’io; ma come? Di Maio vuole il reddito di cittadinanza; bene, ma chi lo paga?”. Per De Benedetti il rischio siamo di fronte al populismo: “È come se lampadine di colore differente si accendessero tutte insieme in varie parti dell’Occidente, a segnalare il rischio del populismo. In Italia Grillo, in Austria e in Ungheria il paranazismo. In Inghilterra il populismo si è chiamato Brexit, negli Usa si chiama Trump, in Francia Marine Le Pen. Sono movimenti diversissimi tra loro, ma indice di uno stesso disagio”.
Infine su Renzi, De Benedetti ha detto che il suo giudizio resta positivo, ma “è un formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il lavoro, le banche non vanno bene“. Il premier dovrebbe “ribellarsi alle regole europee su due punti. Primo: nazionalizzare le banche che non ce la fanno da sole”. E poi “sul vincolo del 3% per investire sul sapere. Collegare alla banda larga tutte le scuole sarebbe il vero modo di cambiare verso”.
Referendum, De Benedetti: “O cambia Italicum o voto no. M5s? Non si sa cosa vogliono”
Politica
L'editore de L'Espresso intervistato dal Corriere della Sera dice di non essere contrario alle modifiche alla Costituzione, ma no al combinato disposto con la legge elettorale. Renzi replica: "Spunti interessanti, ma altri su cui non sono d'accordo". I grillini replicano alle accuse: "Noi sappiamo quello che vogliamo. Lui appartiene a un sistema fallito"
di F. Q. | 9 luglio 2016
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“Se l’Italicum non cambia, al referendum sulle riforme costituzionali voterò no. I 5 stelle un pericolo? Sono la concretizzazione democratica della rivolta alle élite. Ma non si sa quello che vogliono”. A parlare è il presidente del gruppo editoriale L’Espresso Carlo De Benedetti che in una lunga intervista al Corriere della Sera non si è tirato indietro dall’esprimere perplessità su legge elettorale, modifica alla Costituzione e governo Renzi. Le sue parole hanno provocato la risposta dello stesso presidente del Consiglio: “Spunti interessanti e altri altrettanto interessanti su cui non sono d’accordo”. E sull’Italicum ha ribadito: “Non essendo su questo non vedo come si possa continuare a collegarlo al referendum costituzionale. Però non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento. A me pare di non vedere una maggioranza per modificarlo”.
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Ma non solo Renzi ha risposto a De Benedetti. Luigi Di Maio, membro del direttorio e tra i probabili futuri candidati premier del Movimento, ha scritto un articolo sul blog di Beppe Grillo dal titolo “Ecco che cosa vogliono i 5 stelle”. L’editore de L’Espresso in particolare ha detto di non sapere dove i grillini intendono trovare i soldi per finanziare il reddito di cittadinanza. “Noi abbiamo trovato i 17 miliardi (cioè il 2% della spesa pubblica) che servono a restituire dignità e garantire 780 euro al mese a 10 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà. Noi sappiamo esattamente quello che vogliamo e come vogliamo farlo”. La senatrice M5s Nunzia Catalfo ha poi aggiunto: “Le nostre coperture alla proposta di legge in merito sono state ritenute ammissibili dal Senato”. Di Maio ha fatto poi una lista degli obiettivi M5s: tra questi “eliminare la corruzione”, “abbassare le tasse alle imprese”, “una banca pubblica per finanziare le idee degli imprenditori”, “pensioni dignitose per gli anziani”, “abolizione di Equitalia“, “democrazia diretta”. E poi ha concluso: “De Benedetti di cosa ha paura? Teme per le sue aziende? La loro sorte la deciderà il mercato. De Benedetti (come lui stesso ha ammesso), insieme a Renzi e il Pd appartengono a un sistema che ha fallito. E stiamo pagando e continueremo a pagare per anni i danni che hanno combinato. Il loro tempo è passato”.
L’editore de l’Espresso ha parlato della situazione politica italiana in generale e in merito al referendum di ottobre non ha nascosto i suoi dubbi. “Spero di non essere costretto a votare no. La riforma ha molti aspetti positivi. Ma se l’Italicum non cambia, esprimerò la mia contrarietà. Per questo mi auguro che intervenga la Consulta. O che lo cambi prima Renzi”. In particolare, ha aggiunto: “Non sono tra chi considera la Costituzione intoccabile. Io il 1946 me lo ricordo. Ero rientrato nell’agosto del ’45 da due anni di campo profughi in Svizzera. La prima preoccupazione era che non potesse tornare il fascismo. La nostra Costituzione, con due Camere che fanno lo stesso lavoro come in nessun altro Paese, è anche figlia della paura dell’errore. Oggi le condizioni sono del tutto mutate”. Quindi sì alle modifiche, ma no al combinato disposto con la legge elettorale: “Il combinato disposto della proposta di modifica costituzionale, e di una legge elettorale pensata per un sistema bipolare in un sistema tripolare, consente a una minoranza anche modesta di prendersi tutto, dalla Camera al Quirinale. È un pericolo che l’Italia non può correre”. Per De Benedetti “uno non può fare una legge elettorale in base alla situazione esistente; ma non può non tenerne conto. Altrimenti Renzi rischia di diventare il Fassino d’Italia. Al ballottaggio i secondi e i terzi arrivati si alleano contro il primo. Non è politica; è aritmetica“. Proprio a questo passaggio dell’intervista, Renzi ha replicato: “Il rischio che possano vincere altre forze politiche in presenza del ballottaggio sta dentro il gioco democratico, anche con una legge diversa puoi non vincere e la sinistra ha una certa expertise in questo”.
De Benedetti ha poi affrontato i tema dell’ascesa del Movimento 5 stelle: “Contestano quello che c’è ma non si sa esattamente cosa vogliano. Ora si preparano a diventare classe di governo: Grillo dice che non è contro l’Europa ma contro ‘questa Europa': cosa significa, come la vorrebbe cambiare? La Raggi annuncia che vuole Roma pulita; bene, lo voglio anch’io; ma come? Di Maio vuole il reddito di cittadinanza; bene, ma chi lo paga?”. Per De Benedetti il rischio siamo di fronte al populismo: “È come se lampadine di colore differente si accendessero tutte insieme in varie parti dell’Occidente, a segnalare il rischio del populismo. In Italia Grillo, in Austria e in Ungheria il paranazismo. In Inghilterra il populismo si è chiamato Brexit, negli Usa si chiama Trump, in Francia Marine Le Pen. Sono movimenti diversissimi tra loro, ma indice di uno stesso disagio”.
Infine su Renzi, De Benedetti ha detto che il suo giudizio resta positivo, ma “è un formidabile storyteller di cose che vanno bene. Oggi l’economia, il lavoro, le banche non vanno bene“. Il premier dovrebbe “ribellarsi alle regole europee su due punti. Primo: nazionalizzare le banche che non ce la fanno da sole”. E poi “sul vincolo del 3% per investire sul sapere. Collegare alla banda larga tutte le scuole sarebbe il vero modo di cambiare verso”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
GLI EFFETTI DEL REFERENDUM VISTI DA DESTRA
Luigi Bisignani, l'uomo che sussurrava ai potenti.
(per saperne di più-
Luigi Bisignani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Bisignani)
10 LUG 2016 14:06
- BISI E RISI
- CADUTA MASSONI IN VISTA DEI REFERENDUM: RESUSCITATO IL FILOSOFO MARCELLO PERA, PER RIUNIRE I MODERATI - RENZI, IN STATO CONFUSIONALE MINACCIA DI FARSI UN PARTITO DA SOLO
- PD CAOS: FRANCESCHINI COME UNO SCAFISTA CHE RACCOGLIE NAUFRAGHI, ZINGARETTI CHE NON DECIDE MAI NULLA E SPERANZA TELEGUIDATO COME UN GRILLINO
Matteo è inquieto e sempre più guardingo. Due obiettivi a breve: evitare crisi di governo al buio lanciando una ciambella di salvataggio ad Alfano e tentare in ogni modo, magari con l'aiuto di Napolitano, di pasticciare con la Consulta perché permetta, con una sentenza sull'Italicum, di rinviare il referendum...
VEDI:
Luigi Bisignani per Il Tempo
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128396.htm
Luigi Bisignani, l'uomo che sussurrava ai potenti.
(per saperne di più-
Luigi Bisignani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
https://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Bisignani)
10 LUG 2016 14:06
- BISI E RISI
- CADUTA MASSONI IN VISTA DEI REFERENDUM: RESUSCITATO IL FILOSOFO MARCELLO PERA, PER RIUNIRE I MODERATI - RENZI, IN STATO CONFUSIONALE MINACCIA DI FARSI UN PARTITO DA SOLO
- PD CAOS: FRANCESCHINI COME UNO SCAFISTA CHE RACCOGLIE NAUFRAGHI, ZINGARETTI CHE NON DECIDE MAI NULLA E SPERANZA TELEGUIDATO COME UN GRILLINO
Matteo è inquieto e sempre più guardingo. Due obiettivi a breve: evitare crisi di governo al buio lanciando una ciambella di salvataggio ad Alfano e tentare in ogni modo, magari con l'aiuto di Napolitano, di pasticciare con la Consulta perché permetta, con una sentenza sull'Italicum, di rinviare il referendum...
VEDI:
Luigi Bisignani per Il Tempo
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128396.htm
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IMPAZZIMENTO GENERALE PUR DI MANTENERE LA CADREGA
Italicum e Referendum, i cedimenti di Renzi
Intanto Verdini cerca B. per un nuovo Nazareno
Il premier abbassa i toni e si mostra possibilista verso modifiche alla legge elettorale. Fi protesta: “Dice
tutto e il suo contrario”. E Ala cerca l’ex Cavaliere: sul tavolo un accordo per le riforme economiche
Politica
Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme contro chi non segue la linea alle aperture mascherate. Il Renzi del dopo amministrative fa piccoli passi indietro. “Fa marcia indietro nel silenzio generale”, attacca Brunetta. “E’ in preda al panico”, rincara Loredana De Petris (Si). Di certo negli ultimi giorni anche Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenza verso Alfano. Intanto dietro le quinte si muove ancora Denis Verdini. Secondo Corriere della Sera e Il Giornale, il pontiere di Ala ha cercato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Un nuovo patto del Nazareno, dedicato ai temi economici
Riforme e Italicum, i cedimenti mascherati di Renzi. E intanto Verdini chiama Berlusconi
Politica
Il presidente del Consiglio dopo la botta della amministrative ha abbassato i toni e si è detto disponibile a piccoli passi indietro mascherati. Brunetta: "Dice tutto e il contrario di tutto". Secondo il Corriere della Sera il leader di Ala è tornato a cercare l'ex Cavaliere per un nuovo patto del Nazareno su economia
di F. Q. | 10 luglio 2016
COMMENTI (0)
Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme da usare contro chi non segue la linea del governo, da le riforme non si toccano per nessun motivo al mondo, alle aperture per evitare le sconfitte su tutti i fronti. Il Matteo Renzi del dopo batosta delle elezioni amministrative fa piccoli passi indietro: il vento è cambiato e l’ottimismo sfacciato degli inizi non basta più. “Dice tutto e il contrario di tutto. Fa marcia indietro nel silenzio generale”, ha attacco il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta. “E’ in preda al panico”, ha rilanciato Loredana De Petris (SI). Da quando ha perso Roma, ma soprattutto Torino, il segretario Pd ha infatti scelto di abbassare i toni, personalizzare meno la campagna referendaria e cercare nuove sponde dentro e fuori il partito. Negli ultimi giorni addirittura Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio nel governo e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenze verso il ministro Angelino Alfano. Dietro le quinte si muove ancora lui, Denis Verdini. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il pontiere e senatore di Ala che sostiene dall’esterno il governo, ha chiamato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Farlo tornare a sedere al tavolo delle riforme per un nuovo Patto del Nazareno che, questa volta, come osserva il Giornale, avrà al centro i temi economici che stanno più a cuore agli italiani e che possono essere più efficaci da rivendicare in campagna elettorale.
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Arturo Scotto @Arturo_Scotto
#Italicum questo sconosciuto. Ora fanno a gara nel #Governo a chi vuole cambiarlo. Peccato che imposero la fiducia disprezzando #Parlamento
1:55 PM - 10 Jul 2016
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La politica della pre pausa estiva si muove come sempre in ordine sparso, tra retroscena smentiti e mal di pancia più difficili a nascondere. L’Italicum è uno dei nodi cruciali da risolvere. Sono tanti, e anche dentro il Partito democratico (secondo il Corriere 113 deputati su 181), che chiedono di modificare la legge elettorale con il “premio alla coalizione” e non alla lista. “Ci metterebbe tutti d’accordo”, ha commentato il viceministro di Scelta Civica Enrico Zanetti al Corriere. Nelle scorse ore è intervenuto addirittura l’editore de l’Espresso Carlo De Benedetti: ha dichiarato che se non cambierà l’Italicum voterà “no” alla riforma della Costituzione. Renzi in proposito ha un ritornello che ripete ogni volta e che anche ieri ha usato per replicare alle critiche: “Il referendum non è sul modello di legge elettorale”. E quindi non vede perché dovrebbe intervenire di nuovo. Ma c’è un “ma” che torna sempre più spesso: “Sulla legge elettorale non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento. A me pare di non vedere una maggioranza per un’altra legge elettorale”. Insomma, che i parlamentari prendano l’iniziativa: tra chi teme che il sistema ballottaggio favorisca il Movimento 5 stelle e chi invece si dice preoccupato del combinato disposto con l’abolizione del Senato, in tanti chiedono di intervenire. La lista è lunga, soprattutto tra i dem: c’è la minoranza (da Cuperlo a Speranza), ma anche i pasdaran (con le aperture dei capigruppo Zanda e Rosato per una modifica a patto che sia dopo l’appuntamento di ottobre).
L’altro cedimento di Renzi riguarda il tema che per lui resta più importante: il referendum per le riforme. Fino a qualche settimana fa il presidente del Consiglio andava in giro a rivendicare che in caso di “no” se ne sarebbe andato. Ora, pur restando convinto che l’esito della consultazione sarà decisivo anche per la vita del governo, usa tutt’altro linguaggio. Non può essere più uno scontro “o viva Renzi o abbasso Renzi”: la botta delle amministrative qualcosa ha insegnato ed è che il Pd non naviga in buone acque. Per questo l’ipotesi dei Radicali di spacchettare il referendum in vari sottoquesiti potrebbe da una parte rallentare i tempi e dall’altra evitare lo scontro diretto e quindi far tirare il fiato al governo dando un risultato “a macchia di leopardo”. E’ contraria Forza Italia, sono contrari i parlamentari del Movimento 5 stelle. Renzi dice di preferire un’unica scheda, ma si rimette anche qui alla Cassazione che deciderà anche in base alle richieste: servono le firme del comitati promotori e il limite è solo il 14 luglio prossimo.
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Intanto non mancano i problemi dentro la maggioranza. Solo la settimana scorsa alcuni critici del Nuovo centrodestra hanno minacciato di abbandonare il governo. Ci ha provato Roberto Formigoni ad annunciare che “serve un nuovo patto di fine legislatura” e per un attimo il voto di fiducia in programma per martedì 12 luglio è sembrato un pericolo. Il rischio è rientrato neanche il tempo di una telefonata. Quello che resta è un grande scollamento del centrodestra. Renato Schifani è stato visto entrare a casa di Berlusconi, da poco dimesso dall’ospedale. Un segno distensivo e un messaggio: c’è qualcuno che vuole tornare in Forza Italia, a patto che Forza Italia diventi qualcosa di nuovo. Al tavolo per discutere del futuro c’è naturalmente il presidente della Liguria Giovanni Toti, a cui l’ex Cavaliere vuole affidare un ruolo “operativo”. Tutto sotto le continue chiamate di Denis Verdini: il pontiere delle Riforme, il leader di Ala che sostiene da fuori (anche se da molto vicino) il governo, ha in testa di far tornare Berlusconi nei giochi politici di primo piano. E quindi non solo più dall’opposizione. I verdiniani intanto hanno smentito qualsiasi tipo di maldipancia e assicurato di essere compatti, “come sempre” al fianco del governo. Ma l’estate dei retroscena è appena iniziata.
Italicum e Referendum, i cedimenti di Renzi
Intanto Verdini cerca B. per un nuovo Nazareno
Il premier abbassa i toni e si mostra possibilista verso modifiche alla legge elettorale. Fi protesta: “Dice
tutto e il suo contrario”. E Ala cerca l’ex Cavaliere: sul tavolo un accordo per le riforme economiche
Politica
Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme contro chi non segue la linea alle aperture mascherate. Il Renzi del dopo amministrative fa piccoli passi indietro. “Fa marcia indietro nel silenzio generale”, attacca Brunetta. “E’ in preda al panico”, rincara Loredana De Petris (Si). Di certo negli ultimi giorni anche Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenza verso Alfano. Intanto dietro le quinte si muove ancora Denis Verdini. Secondo Corriere della Sera e Il Giornale, il pontiere di Ala ha cercato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Un nuovo patto del Nazareno, dedicato ai temi economici
Riforme e Italicum, i cedimenti mascherati di Renzi. E intanto Verdini chiama Berlusconi
Politica
Il presidente del Consiglio dopo la botta della amministrative ha abbassato i toni e si è detto disponibile a piccoli passi indietro mascherati. Brunetta: "Dice tutto e il contrario di tutto". Secondo il Corriere della Sera il leader di Ala è tornato a cercare l'ex Cavaliere per un nuovo patto del Nazareno su economia
di F. Q. | 10 luglio 2016
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Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme da usare contro chi non segue la linea del governo, da le riforme non si toccano per nessun motivo al mondo, alle aperture per evitare le sconfitte su tutti i fronti. Il Matteo Renzi del dopo batosta delle elezioni amministrative fa piccoli passi indietro: il vento è cambiato e l’ottimismo sfacciato degli inizi non basta più. “Dice tutto e il contrario di tutto. Fa marcia indietro nel silenzio generale”, ha attacco il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta. “E’ in preda al panico”, ha rilanciato Loredana De Petris (SI). Da quando ha perso Roma, ma soprattutto Torino, il segretario Pd ha infatti scelto di abbassare i toni, personalizzare meno la campagna referendaria e cercare nuove sponde dentro e fuori il partito. Negli ultimi giorni addirittura Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio nel governo e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenze verso il ministro Angelino Alfano. Dietro le quinte si muove ancora lui, Denis Verdini. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il pontiere e senatore di Ala che sostiene dall’esterno il governo, ha chiamato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Farlo tornare a sedere al tavolo delle riforme per un nuovo Patto del Nazareno che, questa volta, come osserva il Giornale, avrà al centro i temi economici che stanno più a cuore agli italiani e che possono essere più efficaci da rivendicare in campagna elettorale.
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Arturo Scotto @Arturo_Scotto
#Italicum questo sconosciuto. Ora fanno a gara nel #Governo a chi vuole cambiarlo. Peccato che imposero la fiducia disprezzando #Parlamento
1:55 PM - 10 Jul 2016
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La politica della pre pausa estiva si muove come sempre in ordine sparso, tra retroscena smentiti e mal di pancia più difficili a nascondere. L’Italicum è uno dei nodi cruciali da risolvere. Sono tanti, e anche dentro il Partito democratico (secondo il Corriere 113 deputati su 181), che chiedono di modificare la legge elettorale con il “premio alla coalizione” e non alla lista. “Ci metterebbe tutti d’accordo”, ha commentato il viceministro di Scelta Civica Enrico Zanetti al Corriere. Nelle scorse ore è intervenuto addirittura l’editore de l’Espresso Carlo De Benedetti: ha dichiarato che se non cambierà l’Italicum voterà “no” alla riforma della Costituzione. Renzi in proposito ha un ritornello che ripete ogni volta e che anche ieri ha usato per replicare alle critiche: “Il referendum non è sul modello di legge elettorale”. E quindi non vede perché dovrebbe intervenire di nuovo. Ma c’è un “ma” che torna sempre più spesso: “Sulla legge elettorale non apro più bocca, è un tema nella disponibilità del Parlamento. A me pare di non vedere una maggioranza per un’altra legge elettorale”. Insomma, che i parlamentari prendano l’iniziativa: tra chi teme che il sistema ballottaggio favorisca il Movimento 5 stelle e chi invece si dice preoccupato del combinato disposto con l’abolizione del Senato, in tanti chiedono di intervenire. La lista è lunga, soprattutto tra i dem: c’è la minoranza (da Cuperlo a Speranza), ma anche i pasdaran (con le aperture dei capigruppo Zanda e Rosato per una modifica a patto che sia dopo l’appuntamento di ottobre).
L’altro cedimento di Renzi riguarda il tema che per lui resta più importante: il referendum per le riforme. Fino a qualche settimana fa il presidente del Consiglio andava in giro a rivendicare che in caso di “no” se ne sarebbe andato. Ora, pur restando convinto che l’esito della consultazione sarà decisivo anche per la vita del governo, usa tutt’altro linguaggio. Non può essere più uno scontro “o viva Renzi o abbasso Renzi”: la botta delle amministrative qualcosa ha insegnato ed è che il Pd non naviga in buone acque. Per questo l’ipotesi dei Radicali di spacchettare il referendum in vari sottoquesiti potrebbe da una parte rallentare i tempi e dall’altra evitare lo scontro diretto e quindi far tirare il fiato al governo dando un risultato “a macchia di leopardo”. E’ contraria Forza Italia, sono contrari i parlamentari del Movimento 5 stelle. Renzi dice di preferire un’unica scheda, ma si rimette anche qui alla Cassazione che deciderà anche in base alle richieste: servono le firme del comitati promotori e il limite è solo il 14 luglio prossimo.
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Intanto non mancano i problemi dentro la maggioranza. Solo la settimana scorsa alcuni critici del Nuovo centrodestra hanno minacciato di abbandonare il governo. Ci ha provato Roberto Formigoni ad annunciare che “serve un nuovo patto di fine legislatura” e per un attimo il voto di fiducia in programma per martedì 12 luglio è sembrato un pericolo. Il rischio è rientrato neanche il tempo di una telefonata. Quello che resta è un grande scollamento del centrodestra. Renato Schifani è stato visto entrare a casa di Berlusconi, da poco dimesso dall’ospedale. Un segno distensivo e un messaggio: c’è qualcuno che vuole tornare in Forza Italia, a patto che Forza Italia diventi qualcosa di nuovo. Al tavolo per discutere del futuro c’è naturalmente il presidente della Liguria Giovanni Toti, a cui l’ex Cavaliere vuole affidare un ruolo “operativo”. Tutto sotto le continue chiamate di Denis Verdini: il pontiere delle Riforme, il leader di Ala che sostiene da fuori (anche se da molto vicino) il governo, ha in testa di far tornare Berlusconi nei giochi politici di primo piano. E quindi non solo più dall’opposizione. I verdiniani intanto hanno smentito qualsiasi tipo di maldipancia e assicurato di essere compatti, “come sempre” al fianco del governo. Ma l’estate dei retroscena è appena iniziata.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IMPAZZIMENTO GENERALE PUR DI MANTENERE LA CADREGA
Italicum e Referendum, i cedimenti di Renzi
Intanto Verdini cerca B. per un nuovo Nazareno
Il premier abbassa i toni e si mostra possibilista verso modifiche alla legge elettorale. Fi protesta: “Dice
tutto e il suo contrario”. E Ala cerca l’ex Cavaliere: sul tavolo un accordo per le riforme economiche
Politica
Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme contro chi non segue la linea alle aperture mascherate. Il Renzi del dopo amministrative fa piccoli passi indietro. “Fa marcia indietro nel silenzio generale”, attacca Brunetta. “E’ in preda al panico”, rincara Loredana De Petris (Si). Di certo negli ultimi giorni anche Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenza verso Alfano. Intanto dietro le quinte si muove ancora Denis Verdini. Secondo Corriere della Sera e Il Giornale, il pontiere di Ala ha cercato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Un nuovo patto del Nazareno, dedicato ai temi economici
Riforme e Italicum, i cedimenti mascherati di Renzi. E intanto Verdini chiama Berlusconi
Politica
Il presidente del Consiglio dopo la botta della amministrative ha abbassato i toni e si è detto disponibile a piccoli passi indietro mascherati. Brunetta: "Dice tutto e il contrario di tutto". Secondo il Corriere della Sera il leader di Ala è tornato a cercare l'ex Cavaliere per un nuovo patto del Nazareno su economia
di F. Q. | 10 luglio 2016
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Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme da usare contro chi non segue la linea del governo, da le riforme non si toccano per nessun motivo al mondo, alle aperture per evitare le sconfitte su tutti i fronti. Il Matteo Renzi del dopo batosta delle elezioni amministrative fa piccoli passi indietro: il vento è cambiato e l’ottimismo sfacciato degli inizi non basta più. “Dice tutto e il contrario di tutto. Fa marcia indietro nel silenzio generale”, ha attacco il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta. “E’ in preda al panico”, ha rilanciato Loredana De Petris (SI). Da quando ha perso Roma, ma soprattutto Torino, il segretario Pd ha infatti scelto di abbassare i toni, personalizzare meno la campagna referendaria e cercare nuove sponde dentro e fuori il partito. Negli ultimi giorni addirittura Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio nel governo e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenze verso il ministro Angelino Alfano. Dietro le quinte si muove ancora lui, Denis Verdini. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il pontiere e senatore di Ala che sostiene dall’esterno il governo, ha chiamato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Farlo tornare a sedere al tavolo delle riforme per un nuovo Patto del Nazareno che, questa volta, come osserva il Giornale, avrà al centro i temi economici che stanno più a cuore agli italiani e che possono essere più efficaci da rivendicare in campagna elettorale.
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L’altro cedimento di Renzi riguarda il tema che per lui resta più importante: il referendum per le riforme. Fino a qualche settimana fa il presidente del Consiglio andava in giro a rivendicare che in caso di “no” se ne sarebbe andato. Ora, pur restando convinto che l’esito della consultazione sarà decisivo anche per la vita del governo, usa tutt’altro linguaggio. Non può essere più uno scontro “o viva Renzi o abbasso Renzi”: la botta delle amministrative qualcosa ha insegnato ed è che il Pd non naviga in buone acque. Per questo l’ipotesi dei Radicali di spacchettare il referendum in vari sottoquesiti potrebbe da una parte rallentare i tempi e dall’altra evitare lo scontro diretto e quindi far tirare il fiato al governo dando un risultato “a macchia di leopardo”. E’ contraria Forza Italia, sono contrari i parlamentari del Movimento 5 stelle. Renzi dice di preferire un’unica scheda, ma si rimette anche qui alla Cassazione che deciderà anche in base alle richieste: servono le firme del comitati promotori e il limite è solo il 14 luglio prossimo.
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Intanto non mancano i problemi dentro la maggioranza. Solo la settimana scorsa alcuni critici del Nuovo centrodestra hanno minacciato di abbandonare il governo. Ci ha provato Roberto Formigoni ad annunciare che “serve un nuovo patto di fine legislatura” e per un attimo il voto di fiducia in programma per martedì 12 luglio è sembrato un pericolo. Il rischio è rientrato neanche il tempo di una telefonata. Quello che resta è un grande scollamento del centrodestra. Renato Schifani è stato visto entrare a casa di Berlusconi, da poco dimesso dall’ospedale. Un segno distensivo e un messaggio: c’è qualcuno che vuole tornare in Forza Italia, a patto che Forza Italia diventi qualcosa di nuovo. Al tavolo per discutere del futuro c’è naturalmente il presidente della Liguria Giovanni Toti, a cui l’ex Cavaliere vuole affidare un ruolo “operativo”. Tutto sotto le continue chiamate di Denis Verdini: il pontiere delle Riforme, il leader di Ala che sostiene da fuori (anche se da molto vicino) il governo, ha in testa di far tornare Berlusconi nei giochi politici di primo piano. E quindi non solo più dall’opposizione. I verdiniani intanto hanno smentito qualsiasi tipo di maldipancia e assicurato di essere compatti, “come sempre” al fianco del governo. Ma l’estate dei retroscena è appena iniziata.
Italicum e Referendum, i cedimenti di Renzi
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Il premier abbassa i toni e si mostra possibilista verso modifiche alla legge elettorale. Fi protesta: “Dice
tutto e il suo contrario”. E Ala cerca l’ex Cavaliere: sul tavolo un accordo per le riforme economiche
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Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme contro chi non segue la linea alle aperture mascherate. Il Renzi del dopo amministrative fa piccoli passi indietro. “Fa marcia indietro nel silenzio generale”, attacca Brunetta. “E’ in preda al panico”, rincara Loredana De Petris (Si). Di certo negli ultimi giorni anche Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenza verso Alfano. Intanto dietro le quinte si muove ancora Denis Verdini. Secondo Corriere della Sera e Il Giornale, il pontiere di Ala ha cercato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Un nuovo patto del Nazareno, dedicato ai temi economici
Riforme e Italicum, i cedimenti mascherati di Renzi. E intanto Verdini chiama Berlusconi
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Il presidente del Consiglio dopo la botta della amministrative ha abbassato i toni e si è detto disponibile a piccoli passi indietro mascherati. Brunetta: "Dice tutto e il contrario di tutto". Secondo il Corriere della Sera il leader di Ala è tornato a cercare l'ex Cavaliere per un nuovo patto del Nazareno su economia
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Le modifiche all’Italicum? “Decide il Parlamento”. Lo spacchettamento del referendum? “Valuterà la Cassazione”. Dal lanciafiamme da usare contro chi non segue la linea del governo, da le riforme non si toccano per nessun motivo al mondo, alle aperture per evitare le sconfitte su tutti i fronti. Il Matteo Renzi del dopo batosta delle elezioni amministrative fa piccoli passi indietro: il vento è cambiato e l’ottimismo sfacciato degli inizi non basta più. “Dice tutto e il contrario di tutto. Fa marcia indietro nel silenzio generale”, ha attacco il capogruppo Fi alla Camera Renato Brunetta. “E’ in preda al panico”, ha rilanciato Loredana De Petris (SI). Da quando ha perso Roma, ma soprattutto Torino, il segretario Pd ha infatti scelto di abbassare i toni, personalizzare meno la campagna referendaria e cercare nuove sponde dentro e fuori il partito. Negli ultimi giorni addirittura Ncd ha alzato la testa per chiedere più spazio nel governo e alcuni critici hanno cominciato a mostrare insofferenze verso il ministro Angelino Alfano. Dietro le quinte si muove ancora lui, Denis Verdini. Secondo quanto scrive il Corriere della Sera, il pontiere e senatore di Ala che sostiene dall’esterno il governo, ha chiamato più volte Silvio Berlusconi. Obiettivo? Farlo tornare a sedere al tavolo delle riforme per un nuovo Patto del Nazareno che, questa volta, come osserva il Giornale, avrà al centro i temi economici che stanno più a cuore agli italiani e che possono essere più efficaci da rivendicare in campagna elettorale.
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L’altro cedimento di Renzi riguarda il tema che per lui resta più importante: il referendum per le riforme. Fino a qualche settimana fa il presidente del Consiglio andava in giro a rivendicare che in caso di “no” se ne sarebbe andato. Ora, pur restando convinto che l’esito della consultazione sarà decisivo anche per la vita del governo, usa tutt’altro linguaggio. Non può essere più uno scontro “o viva Renzi o abbasso Renzi”: la botta delle amministrative qualcosa ha insegnato ed è che il Pd non naviga in buone acque. Per questo l’ipotesi dei Radicali di spacchettare il referendum in vari sottoquesiti potrebbe da una parte rallentare i tempi e dall’altra evitare lo scontro diretto e quindi far tirare il fiato al governo dando un risultato “a macchia di leopardo”. E’ contraria Forza Italia, sono contrari i parlamentari del Movimento 5 stelle. Renzi dice di preferire un’unica scheda, ma si rimette anche qui alla Cassazione che deciderà anche in base alle richieste: servono le firme del comitati promotori e il limite è solo il 14 luglio prossimo.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
iospero ha scritto:referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Un bel pasticcio.
Che farà Mattarella ? Renzi dovrebbe andarsene e poi ..
Nuove elezioni con una nuova legge elettorale maggioritaria solo per il parlamento e la LEGGE ELETTORALE ( la legge n. 270 del 2005) per il Senato.
Risultato : ci troveremo nuovamente in una situazione ingovernabile per cui si dovrebbe perpetuare l'emergenza dell'inciucio PD e centrodestra , visto che il M5S non fa coalizioni.
Secondo Voi ci sarebbero altre soluzioni ?
Quasi quasi al M5S converrebbe votare Sì al referendum, per poi, dopo aver vinto le elezioni, modificare nuovamente la pessima costituzione appena riformata da Renzi.Verdini-Boschi.
Caro iospero, molto probabilmente non occorrerà aspettare ottobre per sapere cosa succede se vincono i NO.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
11 LUG 2016 11:21
RENZI ADDIO: CDB CAMBIA MUSICA E ''REPUBBLICA'' SI ADEGUA
- MAZZATA DI DIAMANTI SUL REFERENDUM
- I "SI" SOVRASTANO I "NO" DI 7 PUNTI: QUATTRO MESI FA ERANO 26
- TUTTA COLPA DEL PREMIER CAZZONE PER AVER PERSONALIZZATO IL VOTO
Se perdo al referendum me ne vado, ha detto Renzi. Ed ora tutti a votare contro, con la speranza che mantenga la parola. Al Corriere Debenedetti aveva rivelato: se non cambia l'Italicum voto "no". Matteuccio rischia di "spacchettarsi" da solo..
VEDI FOTO
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128428.htm
Ilvo Diamanti per “la Repubblica”
IL referendum sulla riforma costituzionale, che si svolgerà (probabilmente) nel prossimo autunno, ha cambiato e sta, progressivamente, cambiando di significato. Di contenuto. In origine, mirava a dare legittimazione sociale alla riforma costituzionale che si propone di superare il bicameralismo paritario. Un sistema istituzionale che ha, da sempre, complicato il processo decisionale del Parlamento. Limitando l' efficacia della nostra democrazia rappresentativa.
La riforma ha goduto, all' inizio, di un largo consenso popolare. Così Matteo Renzi l' ha utilizzata per altri fini, oltre a quello originale e originario. In primo luogo: per caratterizzare l' azione del suo governo.
Un governo "riformatore". In secondo luogo, per rafforzarne il sostegno, attirando settori di elettorato estranei e lontani. Non solo al PD, ma alla politica. Il ridimensionamento dei poteri del Senato e del numero di senatori, infatti, piace a molti italiani. Non solo per ragioni di "rendimento istituzionale". Ma, ancor più, per ragioni "antipolitiche". Perché tagliare una Camera e un buon numero di senatori, risparmiare sui "costi" dei "politici": intercetta la diffidenza diffusa verso il "Palazzo".
Annunciando l' intenzione di dimettersi, nel caso la riforma non venisse approvata, Renzi ha ulteriormente ri-definito il significato della consultazione. L' ha trasformata in un referendum (secondo Gianfranco Pasquino: un plebiscito) sul proprio governo e su se stesso.
In questo modo il premier ha inteso non solo esercitare pressione sugli elettori. Ma "rimediare" al deficit di legittimazione che lo angustia. In quanto governa con una maggioranza variabile, in un Parlamento nel quale non è stato eletto. In questo modo, però, come ho già scritto, Renzi ha politicizzato un referendum antipolitico. E ne ha eroso, in parte contraddetto, le ragioni che gli garantivano consenso.
Si spiega così l' involuzione degli orientamenti nei confronti del referendum rilevata da Demos, nel corso degli ultimi mesi.
Lo scorso febbraio, infatti, si esprimeva a favore della riforma una maggioranza molto ampia: 50%. Mentre i contrari erano la metà, 24%. Poco meno di quanti non rispondevano, perché indecisi, oppure perché la materia risultava loro poco comprensibile. Oggi, però, la prospettiva appare molto più incerta.
Il sostegno alla riforma, infatti, è sceso al 37%: 13 punti meno di 4 mesi fa. Mentre l' opposizione è, parallelamente, salita al 30%. Insieme, è cresciuta anche la componente di quanti non si esprimono: 33%. La distanza, a favore del Sì, dunque, è calata sensibilmente: da 26 a 7 punti. Ma tra coloro che si dicono certi di votare si è ridotta a 3 soli punti. Praticamente: nulla.
Le ragioni di questo cambiamento non si possono spiegare attraverso la "conversione" degli elettori favorita dalla comprensione dei temi posti dal referendum. La crescita dell' incertezza segnala, piuttosto, il peso assunto dall' incomprensione. Assai maggiori appaiono, invece, a mio avviso, le ragioni "politiche".
Sottolineate, anzitutto, dalla distribuzione delle opinioni in base alla scelta di voto. Che riflette, in larga misura, i rapporti fra maggioranza e opposizione. In Parlamento e fra gli elettori. Il massimo livello di consenso alla riforma costituzionale si osserva, infatti, fra gli elettori del PD e dei partiti di Centro.
In entrambi i casi, oltre il 60%. Più limitato risulta, invece, il sostegno alla riforma fra gli elettori di FI (42%). Comunque, superiore, seppur di poco, alla quota dei No (35%). All' inizio del percorso parlamentare, d' altronde, Berlusconi aveva dato il proprio appoggio alla riforma.
Ritirato, successivamente, dopo il mancato coinvolgimento del partito nella scelta del nuovo presidente della Repubblica L' opposizione più decisa e irriducibile viene, invece, dal M5s, dalla Lega e dalla Sinistra. Nella cui base il peso dei No al referendum supera largamente quello dei favorevoli.
La riduzione del consenso alla riforma, dunque, riflette, la riduzione del consenso ai partiti della maggioranza. Ma evoca, al tempo stesso, la "radicalizzazione" delle posizioni verso il premier. Che, oggi, divide anche il PD. Infatti, la quota di favorevoli alla riforma proposta alla consultazione referendaria oggi supera il 50%, fra chi esprime fiducia nel premier. Il doppio di quel che emerge fra chi lo guarda con diffidenza.
La politicizzazione del dibattito referendario ha, dunque, modificato l' atteggiamento degli elettori. Ben al di là delle critiche di merito, che hanno indotto, fino a poco tempo addietro, alcuni autorevoli opinionisti e intellettuali a dichiarare il loro sostegno al referendum, pur aggiungendo che "la riforma fa schifo". Oppure, al contrario, a schierarsi per il No, perché è una "finta riforma". Che non neutralizza il Senato, ma lo rende un corpo informe e opaco.
Così, l' opposizione a Renzi e al referendum si incrociano e si rafforzano reciprocamente.
Tanto più dopo le elezioni amministrative.
Che hanno avuto un esito non molto positivo per il premier e per il governo. Circa 8 elettori su 10 (Atlante Politico di Demos, giugno 2016) pensano, infatti, che il PD di Renzi esca indebolito dal voto delle città.
Lo stesso Renzi, d' altra parte, ha contribuito a confondere la scena, perché, in vista delle elezioni, ha spostato l' attenzione sul referendum. Rendendo, così, difficile ai candidati del PD e del Centrosinistra fare campagna sui temi locali. Così, ora, l' esito deludente del voto amministrativo condiziona le aspettative nei confronti del referendum. Il cui contenuto, presso gli elettori, appare complementare, se non subalterno, rispetto alla vera posta in palio. Il giudizio politico sul premier e sul governo.
Dopo aver puntato in modo intransigente sul referendum per auto-legittimarsi, oggi il premier cerca, dunque, di "sopravvivere" al referendum stesso. Il cui esito appare sempre più incerto. E problematico. Così Renzi, da un lato, pensa ad allontanare la data del voto.
Dall' altro, contrariamente al passato, appare disponibile a "spacchettare" i quesiti del referendum, per isolare i temi più critici.
Ma, in questo caso, Renzi, premier e segretario del PDR, che ambisce al ruolo di Riformatore di una nuova Repubblica, rischia di "spacchettare se stesso".
RENZI ADDIO: CDB CAMBIA MUSICA E ''REPUBBLICA'' SI ADEGUA
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Se perdo al referendum me ne vado, ha detto Renzi. Ed ora tutti a votare contro, con la speranza che mantenga la parola. Al Corriere Debenedetti aveva rivelato: se non cambia l'Italicum voto "no". Matteuccio rischia di "spacchettarsi" da solo..
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Ilvo Diamanti per “la Repubblica”
IL referendum sulla riforma costituzionale, che si svolgerà (probabilmente) nel prossimo autunno, ha cambiato e sta, progressivamente, cambiando di significato. Di contenuto. In origine, mirava a dare legittimazione sociale alla riforma costituzionale che si propone di superare il bicameralismo paritario. Un sistema istituzionale che ha, da sempre, complicato il processo decisionale del Parlamento. Limitando l' efficacia della nostra democrazia rappresentativa.
La riforma ha goduto, all' inizio, di un largo consenso popolare. Così Matteo Renzi l' ha utilizzata per altri fini, oltre a quello originale e originario. In primo luogo: per caratterizzare l' azione del suo governo.
Un governo "riformatore". In secondo luogo, per rafforzarne il sostegno, attirando settori di elettorato estranei e lontani. Non solo al PD, ma alla politica. Il ridimensionamento dei poteri del Senato e del numero di senatori, infatti, piace a molti italiani. Non solo per ragioni di "rendimento istituzionale". Ma, ancor più, per ragioni "antipolitiche". Perché tagliare una Camera e un buon numero di senatori, risparmiare sui "costi" dei "politici": intercetta la diffidenza diffusa verso il "Palazzo".
Annunciando l' intenzione di dimettersi, nel caso la riforma non venisse approvata, Renzi ha ulteriormente ri-definito il significato della consultazione. L' ha trasformata in un referendum (secondo Gianfranco Pasquino: un plebiscito) sul proprio governo e su se stesso.
In questo modo il premier ha inteso non solo esercitare pressione sugli elettori. Ma "rimediare" al deficit di legittimazione che lo angustia. In quanto governa con una maggioranza variabile, in un Parlamento nel quale non è stato eletto. In questo modo, però, come ho già scritto, Renzi ha politicizzato un referendum antipolitico. E ne ha eroso, in parte contraddetto, le ragioni che gli garantivano consenso.
Si spiega così l' involuzione degli orientamenti nei confronti del referendum rilevata da Demos, nel corso degli ultimi mesi.
Lo scorso febbraio, infatti, si esprimeva a favore della riforma una maggioranza molto ampia: 50%. Mentre i contrari erano la metà, 24%. Poco meno di quanti non rispondevano, perché indecisi, oppure perché la materia risultava loro poco comprensibile. Oggi, però, la prospettiva appare molto più incerta.
Il sostegno alla riforma, infatti, è sceso al 37%: 13 punti meno di 4 mesi fa. Mentre l' opposizione è, parallelamente, salita al 30%. Insieme, è cresciuta anche la componente di quanti non si esprimono: 33%. La distanza, a favore del Sì, dunque, è calata sensibilmente: da 26 a 7 punti. Ma tra coloro che si dicono certi di votare si è ridotta a 3 soli punti. Praticamente: nulla.
Le ragioni di questo cambiamento non si possono spiegare attraverso la "conversione" degli elettori favorita dalla comprensione dei temi posti dal referendum. La crescita dell' incertezza segnala, piuttosto, il peso assunto dall' incomprensione. Assai maggiori appaiono, invece, a mio avviso, le ragioni "politiche".
Sottolineate, anzitutto, dalla distribuzione delle opinioni in base alla scelta di voto. Che riflette, in larga misura, i rapporti fra maggioranza e opposizione. In Parlamento e fra gli elettori. Il massimo livello di consenso alla riforma costituzionale si osserva, infatti, fra gli elettori del PD e dei partiti di Centro.
In entrambi i casi, oltre il 60%. Più limitato risulta, invece, il sostegno alla riforma fra gli elettori di FI (42%). Comunque, superiore, seppur di poco, alla quota dei No (35%). All' inizio del percorso parlamentare, d' altronde, Berlusconi aveva dato il proprio appoggio alla riforma.
Ritirato, successivamente, dopo il mancato coinvolgimento del partito nella scelta del nuovo presidente della Repubblica L' opposizione più decisa e irriducibile viene, invece, dal M5s, dalla Lega e dalla Sinistra. Nella cui base il peso dei No al referendum supera largamente quello dei favorevoli.
La riduzione del consenso alla riforma, dunque, riflette, la riduzione del consenso ai partiti della maggioranza. Ma evoca, al tempo stesso, la "radicalizzazione" delle posizioni verso il premier. Che, oggi, divide anche il PD. Infatti, la quota di favorevoli alla riforma proposta alla consultazione referendaria oggi supera il 50%, fra chi esprime fiducia nel premier. Il doppio di quel che emerge fra chi lo guarda con diffidenza.
La politicizzazione del dibattito referendario ha, dunque, modificato l' atteggiamento degli elettori. Ben al di là delle critiche di merito, che hanno indotto, fino a poco tempo addietro, alcuni autorevoli opinionisti e intellettuali a dichiarare il loro sostegno al referendum, pur aggiungendo che "la riforma fa schifo". Oppure, al contrario, a schierarsi per il No, perché è una "finta riforma". Che non neutralizza il Senato, ma lo rende un corpo informe e opaco.
Così, l' opposizione a Renzi e al referendum si incrociano e si rafforzano reciprocamente.
Tanto più dopo le elezioni amministrative.
Che hanno avuto un esito non molto positivo per il premier e per il governo. Circa 8 elettori su 10 (Atlante Politico di Demos, giugno 2016) pensano, infatti, che il PD di Renzi esca indebolito dal voto delle città.
Lo stesso Renzi, d' altra parte, ha contribuito a confondere la scena, perché, in vista delle elezioni, ha spostato l' attenzione sul referendum. Rendendo, così, difficile ai candidati del PD e del Centrosinistra fare campagna sui temi locali. Così, ora, l' esito deludente del voto amministrativo condiziona le aspettative nei confronti del referendum. Il cui contenuto, presso gli elettori, appare complementare, se non subalterno, rispetto alla vera posta in palio. Il giudizio politico sul premier e sul governo.
Dopo aver puntato in modo intransigente sul referendum per auto-legittimarsi, oggi il premier cerca, dunque, di "sopravvivere" al referendum stesso. Il cui esito appare sempre più incerto. E problematico. Così Renzi, da un lato, pensa ad allontanare la data del voto.
Dall' altro, contrariamente al passato, appare disponibile a "spacchettare" i quesiti del referendum, per isolare i temi più critici.
Ma, in questo caso, Renzi, premier e segretario del PDR, che ambisce al ruolo di Riformatore di una nuova Repubblica, rischia di "spacchettare se stesso".
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
LA DE-GENERAZIONE PERDUTA.
OH BOSCHINA IMBOSCATA, MAI SENTITO PARLARE DI PIERO CALAMANDREI???????
ALLE SCEMENZE NON C'E' MAI FINE
1 luglio 2016 | di Manolo Lanaro
Referendum costituzionale, Boschi: “Con il sì saremo tutti padri e madri costituenti”
“Non abbiamo mai chiesto un voto pro o contro il governo. Questa non sarà la mia riforma e neppure quella del parlamento, ma sarà la riforma di tutti i cittadini”. Inizia così l’opera di spersonalizzazione del referendum costituzionale del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, intervenendo a un convegno organizzato dalla Cisl. La Boschi poi dice: “Il referendum è una bella tappa ciclistica di montagna di quelle difficili che, mi auguro, sia affrontata in modo pacato come questa mattina. Mi auguro che ci si alzi sui pedali per affrontare insieme le prossime tappe. Se sarà vinta – aggiunge – consentirà a tutti i cittadini di essere padri e madri costituenti”. Poi il ministro per evitare le domande, va a salutare la segretaria generale Cisl Annamaria Furlan e lascia la sala da un’uscita secondaria
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... to/542879/
OH BOSCHINA IMBOSCATA, MAI SENTITO PARLARE DI PIERO CALAMANDREI???????
ALLE SCEMENZE NON C'E' MAI FINE
1 luglio 2016 | di Manolo Lanaro
Referendum costituzionale, Boschi: “Con il sì saremo tutti padri e madri costituenti”
“Non abbiamo mai chiesto un voto pro o contro il governo. Questa non sarà la mia riforma e neppure quella del parlamento, ma sarà la riforma di tutti i cittadini”. Inizia così l’opera di spersonalizzazione del referendum costituzionale del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, intervenendo a un convegno organizzato dalla Cisl. La Boschi poi dice: “Il referendum è una bella tappa ciclistica di montagna di quelle difficili che, mi auguro, sia affrontata in modo pacato come questa mattina. Mi auguro che ci si alzi sui pedali per affrontare insieme le prossime tappe. Se sarà vinta – aggiunge – consentirà a tutti i cittadini di essere padri e madri costituenti”. Poi il ministro per evitare le domande, va a salutare la segretaria generale Cisl Annamaria Furlan e lascia la sala da un’uscita secondaria
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... to/542879/
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
I PADRINI E LA MADRINA COSTITUENTI
» POLITICA lunedì 11/07/2016
Caserta, la ministra promuove la riforma costituzionale davanti a presenze imbarazzanti
Referendum Riforme, a Caserta la Boschi parla e gli indagati per camorra la applaudono
di Vincenzo Iurillo | 11 luglio 2016
| Commenti (546)
È la dimostrazione che il Pd è un partito plurale e pluralista. Fa stare uno vicino all’altro commissari antimafia e indagati di camorra. Sotto lo sguardo compiaciuto di Maria Elena Boschi, l’altro ieri sera a Caserta per l’avvio della campagna referendaria per il sì. Tra il pubblico, ad ascoltarla ed applaudirla, c’erano infatti sia il capogruppo dem in commissione parlamentare antimafia Franco Mirabelli, commissario dei democratici casertani, sia due politici, un sindaco e un ex sindaco del comprensorio, indagati per concorso esterno in associazione camorristica. Confusi e mischiati tra centinaia di persone stipate nella sala dell’Hotel Royal, grazie alle foto postate sui social e ai racconti dei presenti, apprendiamo che ad ascoltare la ministra c’erano il sindaco Pd di Casapesenna Marcello De Rosa e l’ex sindaco Pd di Marcianise Filippo Fecondo. Il primo è riconoscibile nella foto, in piedi e con la camicia azzurra aperta, alle spalle del neosindaco di Marcianise, Velardi.
De Rosa e Fecondo sono indagati in due distinte inchieste della Dda di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Secondo le indagini seguite dal pm Catello Maresca, De Rosa nel 2014 ha vinto le elezioni anche grazie al sostegno dell’ex sindaco Fortunato Zagaria, anche lui indagato per concorso esterno in associazione camorristica e imputato in un processo per minacce ai danni dell’ex primo cittadino Giovanni Zara. Un sostegno emerso da alcune trascrizioni di intercettazioni tra Zagaria (solo omonimo del boss Michele Zagaria) e De Rosa nel maggio e giugno 2014, in coincidenza con le amministrative. Per Fecondo invece le accuse affondano in anni più lontani, tra il 2001 e il 2006, quando per gli inquirenti fu eletto sindaco con l’appoggio elettorale del clan Belforte.
Lo affermano tre pentiti, Michele Frongillo, Bruno Buttone e Claudio Buttone, in verbali depositati in alcuni dibattimenti. Alla ricerca di riscontri, a maggio il pm Luigi Landolfi ha inviato i carabinieri negli uffici elettorali della città visitata un mese fa da Renzi, per acquisire i risultati di quelle vecchie elezioni “divisi sezione per sezione”. Pare che il clan dei Casalesi fosse particolarmente forte in alcune zone della città ed è in quelle sezioni che la Procura vuole veder chiaro. Le due inchieste sono ancora in fase embrionale, e più volte i due hanno reclamato la loro estraneità alle accuse. Al sindaco di Casapesenna peraltro è stata assegnata una scorta per minacce da ambienti criminali.
Sulle loro vicende il Pd locale ha assunto una posizione prudente, a metà tra la fiducia nella magistratura e lo stop alla strumentalizzazione dei casi. Una posizione che ha fatto infuriare la senatrice dem Rosaria Capacchione, la giornalista che vive sotto scorta per le minacce dei clan e ha annunciato di non volersi ricandidare, in polemica con la morbidezza del renzismo sul rischio infiltrazioni camorristiche nel Pd dopo il caso Graziano, il consigliere regionale casertano ed ex consulente dei governi Letta e Renzi, intercettato con un imprenditore del clan Zagaria a dialogare di scambi di favori e voti. Capacchione era assente all’appuntamento con la Boschi. E Mirabelli l’ha fatto notare, con una piccola vena polemica. Possibile che, da commissario del Pd casertano, non abbia notato le due presenze imbarazzanti?
di Vincenzo Iurillo | 11 luglio 2016
» POLITICA lunedì 11/07/2016
Caserta, la ministra promuove la riforma costituzionale davanti a presenze imbarazzanti
Referendum Riforme, a Caserta la Boschi parla e gli indagati per camorra la applaudono
di Vincenzo Iurillo | 11 luglio 2016
| Commenti (546)
È la dimostrazione che il Pd è un partito plurale e pluralista. Fa stare uno vicino all’altro commissari antimafia e indagati di camorra. Sotto lo sguardo compiaciuto di Maria Elena Boschi, l’altro ieri sera a Caserta per l’avvio della campagna referendaria per il sì. Tra il pubblico, ad ascoltarla ed applaudirla, c’erano infatti sia il capogruppo dem in commissione parlamentare antimafia Franco Mirabelli, commissario dei democratici casertani, sia due politici, un sindaco e un ex sindaco del comprensorio, indagati per concorso esterno in associazione camorristica. Confusi e mischiati tra centinaia di persone stipate nella sala dell’Hotel Royal, grazie alle foto postate sui social e ai racconti dei presenti, apprendiamo che ad ascoltare la ministra c’erano il sindaco Pd di Casapesenna Marcello De Rosa e l’ex sindaco Pd di Marcianise Filippo Fecondo. Il primo è riconoscibile nella foto, in piedi e con la camicia azzurra aperta, alle spalle del neosindaco di Marcianise, Velardi.
De Rosa e Fecondo sono indagati in due distinte inchieste della Dda di Napoli coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Secondo le indagini seguite dal pm Catello Maresca, De Rosa nel 2014 ha vinto le elezioni anche grazie al sostegno dell’ex sindaco Fortunato Zagaria, anche lui indagato per concorso esterno in associazione camorristica e imputato in un processo per minacce ai danni dell’ex primo cittadino Giovanni Zara. Un sostegno emerso da alcune trascrizioni di intercettazioni tra Zagaria (solo omonimo del boss Michele Zagaria) e De Rosa nel maggio e giugno 2014, in coincidenza con le amministrative. Per Fecondo invece le accuse affondano in anni più lontani, tra il 2001 e il 2006, quando per gli inquirenti fu eletto sindaco con l’appoggio elettorale del clan Belforte.
Lo affermano tre pentiti, Michele Frongillo, Bruno Buttone e Claudio Buttone, in verbali depositati in alcuni dibattimenti. Alla ricerca di riscontri, a maggio il pm Luigi Landolfi ha inviato i carabinieri negli uffici elettorali della città visitata un mese fa da Renzi, per acquisire i risultati di quelle vecchie elezioni “divisi sezione per sezione”. Pare che il clan dei Casalesi fosse particolarmente forte in alcune zone della città ed è in quelle sezioni che la Procura vuole veder chiaro. Le due inchieste sono ancora in fase embrionale, e più volte i due hanno reclamato la loro estraneità alle accuse. Al sindaco di Casapesenna peraltro è stata assegnata una scorta per minacce da ambienti criminali.
Sulle loro vicende il Pd locale ha assunto una posizione prudente, a metà tra la fiducia nella magistratura e lo stop alla strumentalizzazione dei casi. Una posizione che ha fatto infuriare la senatrice dem Rosaria Capacchione, la giornalista che vive sotto scorta per le minacce dei clan e ha annunciato di non volersi ricandidare, in polemica con la morbidezza del renzismo sul rischio infiltrazioni camorristiche nel Pd dopo il caso Graziano, il consigliere regionale casertano ed ex consulente dei governi Letta e Renzi, intercettato con un imprenditore del clan Zagaria a dialogare di scambi di favori e voti. Capacchione era assente all’appuntamento con la Boschi. E Mirabelli l’ha fatto notare, con una piccola vena polemica. Possibile che, da commissario del Pd casertano, non abbia notato le due presenze imbarazzanti?
di Vincenzo Iurillo | 11 luglio 2016
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