Diario della caduta di un regime.

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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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9 LUG 2016 19:12
'GOOD BANK'? UN PESSIMO AFFARE!

- LE QUATTRO BANCHE FALLITE E 'SALVATE' (ETRURIA, MARCHE, FERRARA, CHIETI) SONO STATE DOTATE DI 1,8 MILIARDI DI PATRIMONIO DAL FONDO DI EMERGENZA CREATO DAGLI ALTRI ISTITUTI. ORA VALGONO MENO DELLA METÀ

- TOCCHERÀ RIMPOLPARLE DI NUOVO, MENTRE VANNO IN VENDITA NEL PIENO DELLA TEMPESTA

La cattiva notizia, in compenso, è che le trattative finali per la loro vendita - obbligatoria entro il 30 settembre, come promesso sette mesi fa alla Commissione Ue per avere l' ok al decreto salvabanche - avranno per cornice una turbolenza che non promette bene per i prezzi...




Andrea Greco per ''la Repubblica''



La buona notizia è che la cura tampone applicata alle quattro banche salvate a novembre funziona: i conti unificati del primo trimestre evidenziano una perdita di 49 milioni, dai 153 milioni di rosso a dicembre (e contro stime di perdita per un centinaio a marzo). Anche nei dati di giugno, che saranno pubblicati il prossimo mese, evidenzierebbero dinamiche positive sulla raccolta e sul margine di interesse.

La cattiva notizia, in compenso, è che le trattative finali per la loro vendita - obbligatoria entro il 30 settembre, come promesso sette mesi fa alla Commissione Ue per avere l' ok al decreto salvabanche - avranno per cornice una turbolenza che non promette bene per i prezzi. E alla fine il Fondo di risoluzione composto dagli operatori creditizi in Italia, potrebbe aver bisogno di un rabbocco che tra i 500 milioni (ipotesi ottimista) e il miliardo (pessimista).

Le "good bank" sono sopravvissute alla liquidazione di tronconi delle dissestate Banca Marche, Etruria, Cariferrara e Carichieti ma vanno vendute, e così la "bad bank" denominata Rev che ha inglobato 8,5 miliardi di euro di loro insolvenze svalutandole dell' 82%. Entro fine luglio la gestione che fa capo al presidente Roberto Nicastro riceverà le offerte di acquisto vincolanti per le quattro banche (sulla Rev c' è stato da poco un cambio ai vertici e il processo è più indietro, del resto non ci sono scadenze procedutali). Secondo le ultime voci sarebbero rimasti in corsa una decina di fondi specializzati nel ristrutture banche e crediti: alcuni interessati a singoli marchi, altri a tutto il pacchetto.


Hanno arruolato e pagano dei consulenti per l' operazione, segno che l' interesse è concreto; quel che non torna ancora è il prezzo. Le quattro banche furono valorizzate, al salvataggio, 1,8 miliardi complessivi, con un' iniezione di liquidità del Fondo di risoluzione che costituì il loro patrimonio netto iniziale. Ma quel patrimonio in primavera è stato svalutato a 1,4 miliardi per «oneri di ristrutturazione».

Il deprezzamento del settore bancario italiano - oltre un terzo del valore di Borsa da gennaio - mina la generosità dei fondi, tra l' altro tutti operatori piuttosto aggressivi, com' è il caso dell' americano Apollo. Negli ambienti bancari si dice che le loro proposte per tutte le quattro good bank vadano da un minimo di 300 milioni a un massimo di mezzo miliardo, poco di più. Il tempo, tra l' altro, stringe: e non è mai amico di chi deve vendere per forza.

L' obiettivo del Fondo di risoluzione sarebbe di riavere dalla vendita di tutti i cespiti (le quattro banche e Rev) gli 1,65 miliardi che restano da pagare a Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi, le tre che a novembre fecero un prestito a 18 mesi al Fondo, impegnato in un' operazione da complessivi 4 miliardi. Tra l' altro 400 milioni di quel prestito erano assistiti da una garanzia pubblica della Cdp (che fosse quello il "deficit" previsto?). A oggi sembra che con i proventi delle vendite si andrà più vicini alla metà di quel debito: per il resto servirà una nuova chiamata fondi tra le banche, in base alla quota di mercato.
camillobenso
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POLLAME TOSCANO



Sulla prima pagina del cartaceo del Fatto di oggi, campeggia in bella vista questa notiziola:

DI FRETTA
Per accelerare i lavori, nel 2014 hanno tagliato i controlli sulla legalità.

Così il governo ha spalancato le porte dell’Expo alla mafia

Due anni fa i lavori erano
troppo indietro: il ministero
e il prefetto Tronca
stabiliscono che nel settore
degli “allestimenti” non
c’è il rischio di infiltrazione
mafiosa. E Cosa Nostra
ne approfitta subito

FRANCO E MILOSA

E’ la scoperta dell’acqua calda.

Lo sapevano tutti, o quasi, che il modus operandi nello Stivalone da anni, molti anni, era questo.

Mafia o non Mafia.

Se vuoi imporre la tua legge, con gli annessi e connessi, si opera così.

Ritardi l’avanzamento dell’opera che può avere rilevanza nazionale fino al punto che le autorità centrali per non fare figuracce internazionali, come nel caso dell’Expò, passano sopra a tutto quanto pur di vedere terminata l’opera.

A maggior ragione se sulla poltrona di Palazzo Chigi, si è seduto un vanesio come Mussoloni-Bomba, in cerca di successi personali.

L’importante è fare bella figura e sbandierare ai quattro venti il successo. Come è regolarmente avvenuto.

Chi se ne frega in che modo e maniera.

Mussoloni-Bomba cercherà di inventarsi una balla giustificatrice e via col tango.

Tanto i tricolori si bevono di tutto e di più.

Per il momento però Mussoloni-Bomba tace.

Anche perché dall’altra parte ci sta un mastino come la Bocassini, che morde le chiappe a tutti, sempre più intenzionata a non fare sconti a nissciuno.

Sia che si chiamino don Raffaele Cantone dell’Anticorruzione, nominato ad hoc da Mussoloni-Bomba, che il presidente racconta balle della Regione Lombardia, don Roberto Maroni.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UNA CLASSE POLITICA ULTRA SCADENTE E ORMAI ALLA FRUTTA




•GOVERNO, GUERINI (PD): “NCD NON VUOLE CERCARE STRADE ALTERNATIVE. DIMISSIONI ALFANO? NO, STA LAVORANDO BENE”


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2891090/
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ORLANDINO SETTEBELLEZZE, UNA VOLTA DIVENTATO 'O MINISTRO DI RENZI SI E' AMMUFFITO



Reggio Calabria, tribunale senza acqua né luce
“Tutte le udienze rinviate a data da destinarsi”

Un black out ha bloccato anche le pompe idriche. E il presidente manda tutti a casa. La paralisi in piena
carenza di organico e in attesa del nuovo edificio: costato 80 milioni e mai finito, nonostante le promesse
cedir-pp
Giustizia & Impunità
Da ieri sera un blackout ha paralizzato il Cedir. I tecnici sono al lavoro, ma nel frattempo il presidente del Tribunale non ha potuto fare altro che mandare tutti a casa. Il blocco si somma ai guai endemici della giustizia calabrese. Da un lato la mancanza cronica di magistrati (solo nel distretto di Reggio 21 posti vacanti), dall’altro la promessa di completare il nuovo tribunale. Costato 80 milioni, è fermo dopo il fallimento della società che aveva vinto l’appalto nel 2004. Nel 2014 Renzi promise di sbloccare i fondi per finire l’opera. Ma da allora il cantiere non è mai ripartito

di Lucio Musolino

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... i/2897254/
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Re: Diario della caduta di un regime.

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SEDUTI SOPRA UNA BOMBA


LA COLPA E' UNA BRUTTA BESTIA CHE NESSUNO VUOLE.

L'ESTREMA DESTRA E LA DESTRA SONO SPECIALIZZATE NEL RIBALTARE LA FRITTATA ED ATTRIBUIRE LE COLPE AGLI ALTRI.

IN QUESTI GIORNI I SUOI QUOTIDIANI SONO MOLTO ATTIVI.

E COME NEL PASSATO QUESTO COMPORTAMENTO NON PORTA A NULLA DI BUONO.





Paolo Diop: "Vi spiego perché la sinistra ha "ucciso" Emmanuel"

Paolo Diop è originario del Senegal e iscritto a CasaPound. Sulla morte del nigeriano a Fermo accusa: "È la sinistra ad aver alimentato l'odio"
Giuseppe De Lorenzo - Lun, 11/07/2016 - 15:28
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Paolo Diop ha imparato a convivere con i pregiudizi, con chi gli dice da tempo che "un uomo di colore non può essere di destra".

Così lui, che odia la definizione "di colore" e preferisce essere chiamato "negro", tira dritto. È convinto che essere contrari all'immigrazione non sia razzista. Anzi. Ovviamente, da "negro" si è fatto un'idea anche sulla morte di Emmanuel, il nigeriano ucciso a Fermo. Una disgrazia provocata dall'accoglienza indiscriminata della sinistra.
Ventinove anni, tutti passati in Italia ad eccezione dei primi mesi, quando ha lasciato il Senegal. Paolo è italiano e si sente italiano. Iscritto a CasaPound, si definisce la "prova vivente" che il movimento non è razzista.
Dopo la morte di Emmanuel, Paolo ha scritto un duro post su Facebook contro chi ha cavalcato mediaticamente la tragedia. "È stata la sinistra - scriveva - con questo sporco razzismo al contrario, a soffiare sulla fiamma dell'odio e dell'intolleranza. Sono loro ad aver seminato il seme del razzismo dove prima non c'era". Quando lo raggiungiamo al telefono è in pausa pranzo.
Paolo, sinceramente: l'omicidio di Fermo è un assassinio razzista?
"Se Mancini ha pronunciato quelle parole ("scimmia", NdR), sono da condannare. Ma prima di esprimere un giudizio bisogna sapere esattamente come sono andate le cose. Bisogna capire se il nigeriano ha aggredito per primo oppure no. Comunque, se io cammino per strada e ricevo un insulto razziale, volto le spalle e continuo per la mia strada. Non ho bisogno di mettermi a dare calci e pugni".
Le autorità sono andate al funerale di Emmanuel...
"Non capisco come la Boldrini sia potuta andare ai funerali di un rifugiato politico, che merita rispetto, e poi non vada alle esequie delle vittime di Dacca. Loro erano italiani che rappresentavano il nostro Paese all'estero come imprenditori. Questa è ipocrsia. Come può lo Stato abbandonare i propri concittadini?"
Italiani discriminati?
"Certo. Quando si mette da parte il popolo italiano in favore degli immigrati, si fa discriminazione. Non si possono mettere gli stranieri davanti a chi è nato su questa terra. L'immigrato fa comodo alle cooperative e alla Chiesa. L'accoglienza è solo un business".
Paolo, però devi ammetterlo: alcuni italiani sono razzisti.
"No, quello italiano è un popolo che viene condotto al razzismo. È esausto e non ce la fa più".
E i partiti politici di destra, di cui fai parte, sono razzisti?
"No. Casapound è un movimento identitario, non razzista. Diciamo chiaramente che ogni popolo ha la sua sovranità e identità: gli italiani sono italiani e gli africani sono africani. È una cosa normale. Gl immigrati dovrebbero tornare al loro Paese per renderlo un posto migliore".
È giusto dare lo status di rifugiato alla moglie della vittima?
"Se è davvero fuggita da Boko Haram, allora sì. Ma se è solo per pietà e pena, per quello che è successo, allora no. Sarebbe una discriminazione verso gli altri richiedenti asilo. Non dobbiamo cedere ai pietismi: qui bisgona solo punire chi ha commesso il reato, non bisogna dar premi alla moglie".
Sulla morte di Emmanuel hai attaccato la sinistra, dicendo che "in nome dell'accoglienza" hanno "diffuso il razzismo". Che vuol dire?
"Con le politiche migratorie che portano gli italiani ad essere in seconda posizione nelle politiche sociali dello Stato, la sinistra non fa che alimentare le tensioni sociali che sfociano in questi fatti. Gli italiani sono stanchi di essere vittime a casa loro".
Mi stai dicendo che Emmanuel non è vittima del razzismo, come dice la Boldrini, ma è vittima della sinistra e dei buonisti?
"Esatto. Sono loro ad averlo "ucciso", tra virgolette, con questa politica migratoria che alimenta la guerra tra poveri. Che alimenta l'odio. È la sinistra italiana ad aver creato il razzismo".
camillobenso
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Repubblica 13.7.16
Italicum, il Pd tratta ma il patto è già rotto
Dem assediati dai partiti che vogliono essere consultati nessuno però punta a un’intesa prima del referendum
Rosato: “Forza Italia rinvia tutto all’autunno e Sel pubblicamente non dice una parola” “
Lite premier-D’Alema
Il premier: Dicono che io non sia di sinistra. D’Alema ha venduto Telecom facendo un regalo ai capitani coraggiosi
L’ex segretario: Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie su banca Etruria e dell’insider trading, argomenti che conosce bene
di Goffredo De Marchis


ROMA. È in salita la strada della modifica dell’Italicum. Come Renzi si aspettava. Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini e i capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda sono sono stati assediati dalle richieste di essere consultati da parte delle forze politiche. Nessuno vuole essere escluso. Ma più per vedere quali carte ha in mano il Partito democratico, meno per arrivare davvero a un’ipotesi condivisa. Con i sondaggi sul referendum, che vedono in vantaggio ma di poco la vittoria del Sì e le difficoltà del governo Renzi dopo la sconfitta alle comunali, le opposizioni sono restie a fare un piacere al premier.
Se si apre una discussione vera sulla legge elettorale, il Paese arriva infatti meno diviso all’appuntamento referendario di ottobre o novembre. Dunque, i Sì possono risalire. «Io osservo che Sel non dice una parola pubblicamente, Forza Italia rinvia all’autunno e i 5 stelle ci attaccano. Il loro obiettivo è farci perdere il referendum, non distribuire regali», osserva Rosato. Ma il Pd ha il problema dei centristi e del loro sostegno al governo. «Ad Alfano il messaggio è arrivato, sanno che c’è un dibattito serio per cambiare la legge dopo novembre. Ma la battaglia del referendum, prima, interessa anche a loro».
Questione di indirizzi, all’interno del Pd Dario Frandeschini continua a pensare che l’impegno a modificare l’Italicum va preso prima del voto referendario. «Non scrivendo un testo, tantomeno presentandolo in Parlamento. Ma un annuncio e un impegno formale servono», ripete ai suoi fedelissimi il ministro della Cultura. Un impegno di Renzi, ovviamente, che presidente del Consiglio e segretario del partito.
Anche ieri Guerini ha lavorato sul tema, ascoltando le voci dei colleghi a Montecitorio. Fra gli altri, ha avuto un lungo colloquio con Matteo Orfini per capire l’orientamento definitivo dei giovani turchi. Ma il vicesegretario vede pochi spazi. Lo confermano anche le parole di Renzi. «Come la politica parla di se stessa è allucinante. Sembra di vivere in una cappa di vetro. Il referendum, lo spacchettamento, il premio al partito o la coalizione... Tutte cose che interessano solo il futuro dei politici, che sono interessati al loro posto, alla loro seggiola, tutte problematiche che riguardano i parlamentati che pensano a come devono tornare alla prossima legislatura... Ma alla gente interessano i posti di lavoro», ha detto il premier a Rtl102.5 ieri mattina. L’immagine pubblica deve essere quella di chi prende le distanze dai giochi di Palazzo, ma allo stesso si capisce che il segretario crede fino a un certo punto al mandato esplorativo dei suoi emissari e che comunque sarà il Parlamento a scegliere la via. Senza chiudere alcuna porta. Un nemico però la nuova versione renziana se lo porta dietro fin dall’inizio. «Dicono che io non sia di sinistra. Ecco, c’è stato qualche governo di sinistra che ha privatizzato la Telecom facendo un regalo ai capitani coraggiosi. E poi c’è un governo che fa la banda larga pubblica, mettendo i soldi a disposizione di chi ha bisogno», allude il premier. Che poi puntualizza: «Ogni riferimento al governo guidato da D’Alema è puramente casuale». La risposta dell’ex premier è altrettanto velenosa: «Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie su Banca Etruria e dell’insider trading, questo è un argomento che forse conosce bene». E conferma la sua battaglia per il No al referendum.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Corriere 13.7.16
Firme in arrivo ma l’attacco a palazzo Chigi si intensifica
di Massimo Franco


S petta al ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, elencare da Bruxelles le virtù del referendum istituzionale e del Sì alle riforme del governo. L’elemento interessante, tuttavia, va oltre il mantra un po’ stucchevole secondo il quale «o si vota sì e si cambia, o si vota no e si resta così come siamo, e ci vorranno anni per riprovarci». Colpisce piuttosto l’insistenza con la quale vengono escluse elezioni anticipate in caso di vittoria. È un segnale che sembra rivolgere ai parlamentari, più che all’opinione pubblica. Rientra in una strategia tesa a placare il timore che il governo voglia usare un’eventuale affermazione del Sì per andare alle urne immediatamente.
Si tratta di un’offensiva che Palazzo Chigi ha inaugurato da giorni; e che sembra la conseguenza dello schiaffo elettorale alle Amministrative di un mese fa. Gli avversari, in verità, la definiscono «strategia del gambero». Accusano Matteo Renzi di avvicinarsi alla consultazione a passi indietro. Rinvio del referendum di un mese, almeno per adesso. Niente più minacce di andarsene a casa se perde. E niente plebiscito sul governo ma soltanto valutazioni nel merito delle riforme. Il linguaggio è cambiato, i toni si sono ammorbiditi. Ma veleni e diffidenze ristagnano, inesorabili.
Anche nel giorno del lutto nazionale per la tragedia ferroviaria in Puglia, spiccano gli scambi violenti tra il premier e gli oppositori interni che lo vedono indebolito. Renzi si può consolare con le cinquantamila firme referendarie raccolte nella sua Toscana; e con l’annuncio, fatto dal vicesegretario Lorenzo Guerini, che entro domani verranno presentate alla Corte di Cassazione le cinquecentomila per le quali il Pd si è dannato: esito incerto fino a qualche giorno fa. Intorno, però, i segnali rimangono grigi: sul fronte europeo e dell’economia, e sui rapporti tra i dem.
Massimo D’Alema annuncia che voterà no perché a suo avviso le riforme «sono scritte in maniera incomprensibile: un volumetto confuso dove non si capisce niente e si indebolisce il sistema delle garanzie». Ma la parte più corrosiva è quella sulle privatizzazioni e le banche. Il premier ha adombrato un intervento discutibile su Telecom quando D’Alema era a Palazzo Chigi. La replica piccata è arrivata subito: «Renzi potrebbe parlarci delle fughe di notizie sulla banca Etruria e dell’ insider trading . Questo è un argomento che forse conosce bene». Ma sono in molti a bersagliare il governo. E aumentano.
Non è scontato che raccoglieranno i frutti, perché la partita è aperta. Le manovre contro Palazzo Chigi, tuttavia, sono evidenti. Il Movimento 5 Stelle, gaffe internazionali e beghe interne a parte, si atteggia a erede del potere della sinistra. Attacca Renzi sulla politica in tema di banche. Ironizza sulla chiusura di Equitalia promessa dal premier. E Beppe Grillo piomba a Roma come il padre nobile che va in Campidoglio dalla sindaca Virginia Raggi e arringa i parlamentari. Quanto ai giornalisti, attacca: «Non capite il M5S. E io non capisco il vostro linguaggio». Ottimo alibi per non rispondere a molte domande .
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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La notizia di testa sul cartaceo del Fatto Quotidiano di oggi, ci dice che in questo Paese non c'è più niente da fare.

Ancora 205 milioni pubblici all’Expo di Milano. Ufficialmente per pagare
concerti e smontare gli stand, in realtà per coprire il buco della gestione Sala.


L'articolo 1 della Costituzione reale, Mussoloni lo ha già cambiato.

L'italia non è più fondata sul lavoro(che non c'è) ma sulle BUFALE.

Soprattutto quelle di Mussoloni.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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TUTTO CONTINUA NELLA COMPLETA INDIFFERENZA


Record di povertà assoluta: 4,6 milioni di italiani
Il 7,6% della popolazione residente sotto la soglia

L’Istat rileva gli indici relativi al 2015. In aumento al Nord, colpite soprattutto le famiglie numerose
spesa supermercato-pp
Società
Quattro milioni e 598mila persone nel 2015 sono risultate in condizioni di povertà assoluta. Secondo l’analisi dell’Istat è il numero più alto dal 2005 e riguarda un milione e 582mila famiglie. L’incidenza si è mantenuta stabile negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è cresciuta se misurata in termini di persone: questo perché riguarda i nuclei più numerosi. In aumento al nord, in particolare per gli stranieri, la povertà colpisce chi vive in città, gli anziani e i bassi redditi


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Istat, povertà assoluta per 4 milioni e 598mila persone: è record dal 2005. Fenomeno in aumento al Nord
Società
L'Istat rivela gli indici relativi al 2015: il 7,6 per cento della popolazione sotto la soglia. L’incidenza si è mantenuta stabile negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è cresciuta se misurata in termini di persone
di F. Q. | 14 luglio 2016
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Quattro milioni e 598mila italiani in condizioni di povertà assoluta: il 7,6 per cento della popolazione residente in Italia nel 2015 è risultata sotto la soglia. Secondo l’analisi dell’Istat è il numero più alto dal 2005 e riguarda un milione e 582mila famiglie. L’incidenza si è mantenuta stabile negli ultimi tre anni per le famiglie, mentre è cresciuta se misurata in termini di persone: questo perché riguarda i nuclei più numerosi. In aumento al nord soprattutto per l’ampliarsi del fenomeno tra quelli di soli stranieri. Diminuisce invece all’aumentare dell’età della persona di riferimento (il valore minimo, 4,0%, tra le famiglie con persona di riferimento ultrasessantaquattrenne) e del suo titolo di studio.

Le più colpite? Le famiglie con 4 componenti e tra quelle di soli stranieri - L’incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile sui livelli stimati negli ultimi tre anni per le famiglie, con variazioni annuali statisticamente non significative (6,1% delle famiglie residenti nel 2015, 5,7% nel 2014, 6,3% nel 2013); cresce invece se misurata in termini di persone (7,6% della popolazione residente nel 2015, 6,8% nel 2014 e 7,3% nel 2013). Questo andamento nel corso dell’ultimo anno si deve principalmente all’aumento della condizione di povertà assoluta tra le famiglie con 4 componenti (da 6,7 del 2014 a 9,5%), soprattutto coppie con 2 figli (da 5,9 a 8,6%) e tra le famiglie di soli stranieri (da 23,4 a 28,3%), in media più numerose.


Effetto stranieri: peggiora la condizione di chi vive al Nord - L’incidenza della povertà assoluta aumenta al Nord sia in termini di famiglie (da 4,2 del 2014 a 5,0%) sia di persone (da 5,7 a 6,7%) soprattutto per l’ampliarsi del fenomeno tra le famiglie di soli stranieri (da 24,0 a 32,1%). Segnali di peggioramento si registrano anche tra le famiglie che risiedono nei comuni centro di area metropolitana (l’incidenza aumenta da 5,3 del 2014 a 7,2%) e tra quelle con persona di riferimento tra i 45 e i 54 anni di età (da 6,0 a 7,5%).

Aumenta la povertà per le famiglie dove chi lavora fa l’operaio - L’incidenza di povertà assoluta diminuisce all’aumentare dell’età della persona di riferimento (il valore minimo, 4,0%, tra le famiglie con persona di riferimento ultrasessantaquattrenne) e del suo titolo di studio (se è almeno diplomata l’incidenza è poco più di un terzo di quella rilevata per chi ha al massimo la licenza elementare). Si amplia l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata (da 5,2 del 2014 a 6,1%), in particolare se operaio (da 9,7 a 11,7%). Rimane contenuta tra le famiglie con persona di riferimento dirigente, quadro e impiegato (1,9%) e ritirata dal lavoro (3,8%).

Aumenta la povertà relativa in termini di persone - Anche la povertà relativa risulta stabile nel 2015 in termini di famiglie (2 milioni 678 mila, pari al 10,4% delle famiglie residenti dal 10,3% del 2014) mentre aumenta in termini di persone (8 milioni 307 mila, pari al 13,7% delle persone residenti dal 12,9% del 2014). Nel 2015 la povertà relativa è più diffusa tra le famiglie numerose, in particolare tra quelle con 4 componenti (da 14,9 del 2014 a 16,6%,) o 5 e più (da 28,0 a 31,1%). L’incidenza di povertà relativa aumenta tra le famiglie con persona di riferimento operaio (18,1% da 15,5% del 2014) o di età compresa fra i 45 e i 54 anni (11,9% da 10,2% del 2014). Peggiorano anche le condizioni delle famiglie con membri aggregati (23,4% del 2015 da 19,2% del 2014) e di quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (29,0% da 23,9% del 2014), soprattutto nel Mezzogiorno (38,2% da 29,5% del 2014) dove risultano relativamente povere quasi quattro famiglie su dieci.

Che cosa intende l’Istat per povertà relativa - E’ calcolata sulla base di una soglia convenzionale che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è risultata nel 2015 pari a 1.050,95 euro (+0,9% rispetto al valore della soglia nel 2014, pari a 1.041,91 euro). Le famiglie composte da due persone che hanno una spesa mensile pari o inferiore a tale valore vengono classificate come povere.

Che cosa intende l’Istat per povertà assoluta - Più articolato il calcolo di coloro che si possono definire ‘poveri assoluti’. La metodologia di stima è una misura basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale. A partire dall’ipotesi che i bisogni primari e i beni e servizi che li soddisfano sono omogenei su tutto il territorio nazionale, si è tenuto conto del fatto che i costi sono variabili nelle diverse zone. Per questo le differenze possono essere forti. Ad esempio, per un adulto (di 18-59 anni) che vive solo, la soglia di povertà assoluta è pari a 819,13 euro mensili se risiede in un’area metropolitana del Nord, a 734,74 euro se vive in un piccolo comune settentrionale, a 552,39 euro se risiede in un piccolo comune del Mezzogiorno.

La classificazione delle famiglie in povere e non povere, ottenuta attraverso la linea convenzionale di povertà, può essere poi maggiormente articolata utilizzando soglie aggiuntive, come quelle che corrispondono all’80%, al 90%, al 110% e al 120% di quella standard. Nel 2015 le famiglie “sicuramente” povere (che hanno livelli di spesa mensile equivalente inferiori alla linea standard di oltre il 20%) sono il 5,2%, quota che sale all’11,3% nel Mezzogiorno. È “appena” povero (ovvero ha una spesa inferiore alla linea di non oltre il 20%) il 5,2% delle famiglie residenti (9,1% nel Mezzogiorno); tra queste, più della metà (2,9%, 4,8% nel Mezzogiorno) presenta livelli di spesa per consumi molto prossimi alla linea di povertà (inferiori di non oltre il 10%). È invece “quasi povero” il 7,2% delle famiglie (spesa superiore alla linea di non oltre il 20%) mentre il 3,2% ha valori di spesa superiori alla linea di povertà di non oltre il 10%, quote che salgono rispettivamente a 12% e 5,3% nel Mezzogiorno. Le famiglie “sicuramente” non povere, infine, sono l’82,4% del totale, con valori pari al 90,3% nel Nord, all’87,3% nel Centro e al 67,6% nel Mezzogiorno.

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Re: Diario della caduta di un regime.

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L'Italia stringe sempre più la cinghia E al governo ora mancano 5 miliardi

L'Istat: "La deflazione è cresciuta dello 0,4%". E il deficit schizza


Pier Francesco Borgia - Gio, 14/07/2016 - 10:08
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Roma L'Italia si conferma in deflazione a giugno.


Il mese scorso l'indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, registra un aumento dello 0,1% su base mensile e una diminuzione su anno pari a -0,4%, contro il -0,3% di maggio. Lo riferisce l'Istat, confermando la stima preliminare. L'inflazione acquisita per il 2016 è del -0,2% a giugno, in lieve ripresa dal -0,3% del mese precedente. Un aumento della deflazione significa, in soldoni, diminuzione dei consumi. Anche se, come spiegano all'Istat, la flessione su base annua dell'indice generale si verifica in un quadro di «sostanziale stabilità degli andamenti tendenziali dei prezzi». La persistenza delle dinamiche deflazionistiche è in gran parte riconducibile all'ampio calo dei prezzi dei beni energetici (-7,5% su anno), sebbene meno intenso di quello registrato a maggio. Al netto dell'energia l'inflazione annua a maggio sarebbe comunque pari a un pallido +0,4%. Nel complesso si tratta comunque di un dato critico, questo, che fa il paio con l'altro dato pubblicato dall'Istat lunedì scorso sulla produzione industriale. A maggio le nostre industrie hanno prodotto lo 0,6% in meno sia rispetto ad aprile, che rispetto a maggio 2015. Proprio quest'ultimo dato è quello più preoccupante, perché rispetto all'anno passato, nel 2016 mai si era registrato un calo.

Meno produzione, meno consumi, quindi meno Iva raccolta. E deflazione in crescita. Con questi elementi difficilmente potrà essere rispettato il target immaginato dal governo che prevede per l'anno in corso un Pil (con segno positivo) dell'1,4. Il Fondo monetario internazionale ha già modificato al ribasso le stime e previsto una crescita del Pil che sfiora il punto di percentuale. La deflazione e il calo dei consumi portano come naturale conseguenza un diverso rapporto deficit/Pil che il governo ha stimato intorno all'1,6 per cento (come si ricava dal Documento di economia e finanza). Il deficit, in buona sostanza sarà più alto e quindi per rispettare quel rapporto il governo dovrà ammortizzarlo trovando altre risorse economiche. Quanti soldi servano è meno facile da determinare. Si oscilla tra i 4 e 5 miliardi di euro. La nuova manovra economica, che il governo deve mettere a punto entro il 12 ottobre, dovrà quindi trovare queste risorse aggiuntive. I modi sono sempre gli stessi: o tagliare i servizi o aumentare le entrate tributarie. Renato Brunetta (Forza Italia) si dichiara pessimista e vede già nella stesura del Documento di economia e finanza dell'aprile scorso il vizio d'origine. «Nel Def di aprile, - spiega il capogruppo azzurro- i numeri sono tutti sballati. In quella occasione tutti gli outlook sul nostro Paese dicevano che sarebbe arrivata a stento all'1%. I conti sono tutti da rifare e il rispetto dei parametri europei è ormai operazione impossibile».
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