La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Turchia, golpe fallito. Arrestati 2.800 militari
Premier: “Li puniremo. Pena di morte? Forse”
Ieri parte dell’esercito ha provato a rovesciare il governo: ponti bloccati, scali chiusi, tv bloccata (leggi)
Poi gli scontri accesi nelle città con 265 morti e il rientro di Erdogan: “Cittadini, restate nelle strade”
turchia carro armato 990
Mondo
Scenari da guerra civile. Con i militari che tentano la presa del potere, il presidente che fugge ma resiste e il popolo che si schiera dalla sua parte. La notte più lunga della Turchia si è conclusa con il fallimento del golpe tentato da una fazione dell’esercito contro Tayyip Erdogan. E con il ritorno del presidente a Istanbul, l’arresto di 1.500 soldati, l’avertimento: “Pagheranno a caro prezzo questo tradimento, intanto restate nelle piazze”. Dopo ore di bombardamenti e combattimenti a Istanbul e nella capitale Ankara, con i carri armati schierati sui ponti del Bosforo i militari, che avevano sparato sulla folla, hanno fatto marcia indietro e questa mattina, mani alzate al cielo, si sono arresi
Premier: “Li puniremo. Pena di morte? Forse”
Ieri parte dell’esercito ha provato a rovesciare il governo: ponti bloccati, scali chiusi, tv bloccata (leggi)
Poi gli scontri accesi nelle città con 265 morti e il rientro di Erdogan: “Cittadini, restate nelle strade”
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Scenari da guerra civile. Con i militari che tentano la presa del potere, il presidente che fugge ma resiste e il popolo che si schiera dalla sua parte. La notte più lunga della Turchia si è conclusa con il fallimento del golpe tentato da una fazione dell’esercito contro Tayyip Erdogan. E con il ritorno del presidente a Istanbul, l’arresto di 1.500 soldati, l’avertimento: “Pagheranno a caro prezzo questo tradimento, intanto restate nelle piazze”. Dopo ore di bombardamenti e combattimenti a Istanbul e nella capitale Ankara, con i carri armati schierati sui ponti del Bosforo i militari, che avevano sparato sulla folla, hanno fatto marcia indietro e questa mattina, mani alzate al cielo, si sono arresi
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COSE TURCHE
16 LUG 2016 11:16
1. È POSSIBILE CHE IL CENTRO DI COMANDO E CONTROLLO DELLA NATO NON ABBIA VISTO GLI F16 TURCHI IN VOLO, DURANTE LA PRIMA FASE DEL GOLPE? PIUTTOSTO DIFFICILE SE SI CONSIDERA CHE QUEL CENTRO È DISLOCATO PROPRIO AD INCIRLIK, NELLA TURCHIA ORIENTALE (VIDEO)
2. E SOPRATTUTTO, NON È POSSIBILE CHE GLI F16 TURCHI NON ABBIANO "VISTO" L'AEREO PRIVATO DI ERDOGAN IN VOLO PER 5 ORE. L'AERONAUTICA TURCA HA, DAPPRIMA, SOSTENUTO L'INSURREZIONE; POI, HA CAMBIATO IDEA FINO AD ABBATTERE UN ELICOTTERO DEGLI INSORTI
3. COSA HA FATTO CAMBIARE IDEA AI PILOTI? MOLTO PROBABILMENTE GLI AMBASCIATORI PRESSO LA NATO HANNO RIPRESO LO SPAZIO CHE I MILITARI AVEVANO LORO SOTTRATTO, GIRANDO LA TESTA DALL'ALTRA PARTE. LA GIRAVOLTA DELL'AERONAUTICA TURCA HA PERMESSO AD ERDOGAN DI ATTERRARE E DI RIPRENDERE IL POTERE. E LA NATO STA A GUARDARE.
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Tentato golpe in Turchia, il video racconto
1. DAGOREPORT
Aspirina per Dagospia
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128819.htm
16 LUG 2016 11:16
1. È POSSIBILE CHE IL CENTRO DI COMANDO E CONTROLLO DELLA NATO NON ABBIA VISTO GLI F16 TURCHI IN VOLO, DURANTE LA PRIMA FASE DEL GOLPE? PIUTTOSTO DIFFICILE SE SI CONSIDERA CHE QUEL CENTRO È DISLOCATO PROPRIO AD INCIRLIK, NELLA TURCHIA ORIENTALE (VIDEO)
2. E SOPRATTUTTO, NON È POSSIBILE CHE GLI F16 TURCHI NON ABBIANO "VISTO" L'AEREO PRIVATO DI ERDOGAN IN VOLO PER 5 ORE. L'AERONAUTICA TURCA HA, DAPPRIMA, SOSTENUTO L'INSURREZIONE; POI, HA CAMBIATO IDEA FINO AD ABBATTERE UN ELICOTTERO DEGLI INSORTI
3. COSA HA FATTO CAMBIARE IDEA AI PILOTI? MOLTO PROBABILMENTE GLI AMBASCIATORI PRESSO LA NATO HANNO RIPRESO LO SPAZIO CHE I MILITARI AVEVANO LORO SOTTRATTO, GIRANDO LA TESTA DALL'ALTRA PARTE. LA GIRAVOLTA DELL'AERONAUTICA TURCA HA PERMESSO AD ERDOGAN DI ATTERRARE E DI RIPRENDERE IL POTERE. E LA NATO STA A GUARDARE.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COSE TURCHE
Colpo di Stato Turchia, corsa ai bancomat per ritirare contanti e code per fare scorte di pane, acqua e benzina
Mondo
Scene da guerra civile nella capitale dopo il golpe dei militari, che hanno dichiarato l'entrata in vigore della legge marziale e annunciato il coprifuoco
di F. Q. | 16 luglio 2016
COMMENTI (8)
Clima da guerra civile in Turchia dopo il colpo di Stato dell’esercito contro il presidente Erdogan nella notte tra il 15 e il 16 luglio. Centinaia di persone sono scese in strada per ritirare soldi dai bancomat dopo che i militari hanno dichiarato di aver preso il potere. A Istanbul ci sono cittadini in fila per comprare il pane e fare scorte di acqua e benzina nel timore che nei prossimi giorni la situazione degeneri ulteriormente e diventi impossibile procurarsi contanti e generi di prima necessità. Le forze armate hanno già dichiarato l’entrata in vigore della legge marziale e del coprifuoco.
Su Twitter vengono segnalate code nei mercati all’aperto dei principali distretti di Istanbul per acquistare anche uova e latte.
VIDEO
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2909380/
Colpo di Stato Turchia, corsa ai bancomat per ritirare contanti e code per fare scorte di pane, acqua e benzina
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Scene da guerra civile nella capitale dopo il golpe dei militari, che hanno dichiarato l'entrata in vigore della legge marziale e annunciato il coprifuoco
di F. Q. | 16 luglio 2016
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Clima da guerra civile in Turchia dopo il colpo di Stato dell’esercito contro il presidente Erdogan nella notte tra il 15 e il 16 luglio. Centinaia di persone sono scese in strada per ritirare soldi dai bancomat dopo che i militari hanno dichiarato di aver preso il potere. A Istanbul ci sono cittadini in fila per comprare il pane e fare scorte di acqua e benzina nel timore che nei prossimi giorni la situazione degeneri ulteriormente e diventi impossibile procurarsi contanti e generi di prima necessità. Le forze armate hanno già dichiarato l’entrata in vigore della legge marziale e del coprifuoco.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COSE TURCHE
Turchia, le ragioni del tentativo di golpe: il malessere dell’esercito per la debole guerra a Isis. Nel silenzio della Nato
Mondo
Erdogan ha costruito un’immagine del suo partito preoccupandosi di non essere assimilato ad un partito religioso, pur avendo una forte ispirazione islamista. E l'economia è decollata. Ecco perché si può dire che se oggi il tentativo del colpo di Stato è fallito, è la Turchia a essere cambiata
di Alessia Chiriatti | 16 luglio 2016
COMMENTI (54)
Un colpo di stato annunciato intorno alle 22 del 15 luglio, e dichiarato fallito in poco più di quattro ore. Per Recep Tayyip Erdogan è così giunta la resa dei conti con il laico esercito turco, definito dallo stesso presidente, in una conferenza stampa rilasciata nottetempo a Istanbul, come il nuovo nemico di Ankara. “Traditori” li chiama, in grado di organizzare un “attentato terroristico” al potere centrale detenuto dall’Akp, “democraticamente eletto dalla maggioranza del popolo”. Un ‘putsch’ fermato con la morte di un generale golpista e con gli arresti di 1.500 militari, arresisi sul Bosforo alla polizia turca, quando è di circa 200 morti e più di 1.100 feriti il bilancio provvisorio.
La paternità del golpe attribuita a ufficiale rimosso
Negli attimi di incertezza e di confusione che hanno caratterizzato la lunga notte turca, i contorni della vicenda si sono fatti più nitidi quando la paternità del colpo di stato è stata attribuita, almeno materialmente, ai militari turchi. Condannato dagli esponenti dei principali partiti all’opposizione, il golpe avrebbe però come regista Muharrem Kose, un ufficiale rimosso nel marzo scorso dallo staff dello Stato maggiore turco. Non dunque i vertici del corpo militare del paese, bensì gran parte delle sue retrovie, vicine alla fronda kemalista: un gruppo di militari, lasciato solo anche dalla Marina turca, che non è espressione del mezzo milione di forze armate turche che il paese ha a disposizione nella sua potenza di fuoco.
Malessere dell’esercito per guerra poco incisiva a Isis
Eppure la fotografia della situazione non offre un quadro del tutto chiaro: da una parte c’è Erdogan, il quale, sempre durante la conferenza stampa notturna, ha fatto appello ai turchi e agli stessi vertici militari, dichiarando di voler restare accanto al popolo. Dall’altro c’è un presidente per ore dichiarato ‘in fuga’ sul suo aereo nei cieli turchi ed europei, che non atterra nella capitale Ankara, ma a Istanbul. E c’è un “tradimento” messo in piedi dai militari, motivato in parte dal forte malessere dell’esercito turco per la gestione, poco incisiva e lineare da parte di Erdogan, della guerra contro l’Isis in Siria.
Convitato di pietra della vicenda è l’ex imam Fethullah Gulen, ‘in esilio’ dal 1999 in una fattoria di Saylorsburg nei boschi della Pennsylvania. Ex alleato di Erdogan, ora accusato di aver creato uno “stato parallelo” allo scopo di rovesciare il potere di Ankara e inviso all’Akp, è ora indicato come mente del nuovo golpe. Ben più di Erdogan, Gulen fa paura a tanti turchi che in queste ore attendono di comprendere le sorti governative della Repubblica.
I golpe riusciti e il ritorno alla democrazia
Se oggi il tentativo del colpo di Stato è fallito, allora si può dire che la Turchia non è più quella di una volta. Non è più lo stesso paese che ha assistito agli altri golpe militari avvenuti nei decenni della sua storia repubblicana: il primo, il 27 maggio 1960, per mano del generale Cemal Gursel; poi il 12 marzo 1971, sotto la guida del generale Faruk Gurler; quello del 12 settembre 1980, quando il generale Kenan Evren sciolse i partiti, sospese la Costituzione e si dichiarò presidente. Fino ad arrivare al golpe ‘post-moderno’ del 28 febbraio 1997, che non ha visto l’implicazione diretta dei militari, ma che invece fu il risultato di una crisi all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale presieduto da Erbakan. A cadenza decennale, queste onnipresenti eminenze grigie hanno seguito una traiettoria politica singolare, sventolando la bandiera del laicismo ispirato ai valori di Ataturk, padre dello Stato moderno turco. La società civile ha spesso accolto i golpe chiusa in un silenzio assenso, mentre il governo dei militari, mai rimasti al potere per più di tre anni consecutivi, hanno quasi sempre promosso il ritorno a un processo democratico.
Le riforme di Erdogan e l’orizzonte europeo
E la Turchia è cambiata anche perché in questi 13 anni di governo dell’Akp, Erdogan ha costruito un’immagine del suo partito lontana dagli stereotipi delle formazioni politiche che avevano fino ad allora governato la Turchia, preoccupandosi di non essere assimilato ad un partito religioso, pur avendo una forte ispirazione islamista. Allo stesso tempo si è imposto sulla scena politica turca facendo leva sull’orizzonte europeo e sul processo di riforme pro-Bruxelles in vista di un possibile ingresso nell’Ue. E ha riformato le forze armate del paese, riempiendone le fila di suoi alleati e allontanando ufficiali a lui poco graditi.
Il golpe del 15 luglio resta un fatto in parte del tutto imprevedibile: le strade e le piazze nel paese si risvegliano oggi disorientate, in un’atmosfera spettrale di caccia all’uomo. Eppure è la conferma che i rapporti di forza in Turchia sono in realtà cambiati da tempo. Prova ne è la ferma volontà di Erdogan, dopo le ultime elezioni che lo hanno visto vincitore, di modificare l’impianto istituzionale del paese e la Costituzione, rimpiazzando quella risalente al golpe militare dell’80. Un processo che dovrebbe poggiare su due pilastri: l’eliminazione dell’eredità militarista e laicista della Repubblica e l’introduzione di una nuova architettura governativa imperniata sul presidenzialismo. Una via naturalmente poco gradita all’establishment militare.
Il sostegno del popolo a Erdogan
Erdogan, accusato da più parti di voler islamizzare il paese, dal canto suo non dimentica la sua base elettorale, meno diffusa nelle grandi città di Istanbul e Ankara, ma forte nella zone centrali della Turchia, dove l’economia è decollata anche grazie a grandi investimenti nell’edilizia voluti proprio dall’Akp. È al popolo che il presidente si rivolge nei momenti di tensione e di caos di queste ore, nel pieno dello scontro tra secolaristi e gruppi filo-Akp. Fino al mattino, quando fa recitare alla folla che lo attende il motto “una Nazione, una Patria, uno Stato, una bandiera”. Per strada e nelle piazze si sono riversati migliaia di manifestanti, richiamati dai muezzin a restare in piazza anche nella notte, non certo per pregare, ma per manifestare a favore di Erdogan.
Il silenzio della Nato e l’ambiguità degli Usa
Un silenzio assordante arriva invece dell’orizzonte Nato: l’alleanza avrebbe potuto invocare l’art. 5 del suo Trattato, che richiama il mutuo soccorso di fronte ad un attacco armato contro una o più parti del Patto. La Turchia, con la base di Incirlik, è un tassello fondamentale nella lotta della Nato contro l’Isis. Eppure, durante le ore concitate del golpe, gli Stati Uniti in primis non si sono precipitati a difendere diplomaticamente il presidente Erdogan. Neppure dopo il lancio del suo messaggio su Facetime.
Cautamente Obama, così come Hilary Clinton e il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, hanno parlato di voler appoggiare la democrazia in Turchia, senza mai fare riferimento alla figura del presidente. La Russia si dice preoccupata per la sorte dei propri cittadini in Turchia, mentre da Berlino resta l’appoggio del governo eletto.
È inoltre possibile che il quadro strategico del Medi Oriente muti già nelle prossime ore. Il colpo di stato arriva infatti a pochi giorni della mossa distensiva tra Turchia e Israele, con la firma tra i due direttori generali del ministero degli Esteri israeliano, Dore Gold, e del suo omonimo turco, Feridor Sinirlioglu, per un’intesa che ha posto la parola fine al gelo tra i due Stati dopo l’episodio della Mavi Marmara. La Russia non resta di certo a guardare: lo Zar e il Sultano hanno ripreso i dialoghi dopo mesi di tensioni ai confini con al Siria. L’ambizione per i due paesi è quella di raggiungere un volume di scambi commerciali di cento miliardi di dollari entro il 2023.
Un occhio ancora più attento merita adesso la zona a sud-est del paese, dove è più forte la presenza dei curdi, da sempre anti-Akp. È lecito immaginare che le frizioni e gli scontri non faranno altro che aumentare. A Erdogan al momento non rimane che imporre la sua forza, e questa volta probabilmente con ancora più prepotenza: facile pensare che verranno passate al setaccio le fila dei servizi militari, per scovare lealisti e golpisti. Così come è facile immaginare, che il “Sultano” darà dimostrazione di tutta la sua potenza di fuoco politica, traghettando il paese verso lidi sempre più conservatori.
Turchia, le ragioni del tentativo di golpe: il malessere dell’esercito per la debole guerra a Isis. Nel silenzio della Nato
Mondo
Erdogan ha costruito un’immagine del suo partito preoccupandosi di non essere assimilato ad un partito religioso, pur avendo una forte ispirazione islamista. E l'economia è decollata. Ecco perché si può dire che se oggi il tentativo del colpo di Stato è fallito, è la Turchia a essere cambiata
di Alessia Chiriatti | 16 luglio 2016
COMMENTI (54)
Un colpo di stato annunciato intorno alle 22 del 15 luglio, e dichiarato fallito in poco più di quattro ore. Per Recep Tayyip Erdogan è così giunta la resa dei conti con il laico esercito turco, definito dallo stesso presidente, in una conferenza stampa rilasciata nottetempo a Istanbul, come il nuovo nemico di Ankara. “Traditori” li chiama, in grado di organizzare un “attentato terroristico” al potere centrale detenuto dall’Akp, “democraticamente eletto dalla maggioranza del popolo”. Un ‘putsch’ fermato con la morte di un generale golpista e con gli arresti di 1.500 militari, arresisi sul Bosforo alla polizia turca, quando è di circa 200 morti e più di 1.100 feriti il bilancio provvisorio.
La paternità del golpe attribuita a ufficiale rimosso
Negli attimi di incertezza e di confusione che hanno caratterizzato la lunga notte turca, i contorni della vicenda si sono fatti più nitidi quando la paternità del colpo di stato è stata attribuita, almeno materialmente, ai militari turchi. Condannato dagli esponenti dei principali partiti all’opposizione, il golpe avrebbe però come regista Muharrem Kose, un ufficiale rimosso nel marzo scorso dallo staff dello Stato maggiore turco. Non dunque i vertici del corpo militare del paese, bensì gran parte delle sue retrovie, vicine alla fronda kemalista: un gruppo di militari, lasciato solo anche dalla Marina turca, che non è espressione del mezzo milione di forze armate turche che il paese ha a disposizione nella sua potenza di fuoco.
Malessere dell’esercito per guerra poco incisiva a Isis
Eppure la fotografia della situazione non offre un quadro del tutto chiaro: da una parte c’è Erdogan, il quale, sempre durante la conferenza stampa notturna, ha fatto appello ai turchi e agli stessi vertici militari, dichiarando di voler restare accanto al popolo. Dall’altro c’è un presidente per ore dichiarato ‘in fuga’ sul suo aereo nei cieli turchi ed europei, che non atterra nella capitale Ankara, ma a Istanbul. E c’è un “tradimento” messo in piedi dai militari, motivato in parte dal forte malessere dell’esercito turco per la gestione, poco incisiva e lineare da parte di Erdogan, della guerra contro l’Isis in Siria.
Convitato di pietra della vicenda è l’ex imam Fethullah Gulen, ‘in esilio’ dal 1999 in una fattoria di Saylorsburg nei boschi della Pennsylvania. Ex alleato di Erdogan, ora accusato di aver creato uno “stato parallelo” allo scopo di rovesciare il potere di Ankara e inviso all’Akp, è ora indicato come mente del nuovo golpe. Ben più di Erdogan, Gulen fa paura a tanti turchi che in queste ore attendono di comprendere le sorti governative della Repubblica.
I golpe riusciti e il ritorno alla democrazia
Se oggi il tentativo del colpo di Stato è fallito, allora si può dire che la Turchia non è più quella di una volta. Non è più lo stesso paese che ha assistito agli altri golpe militari avvenuti nei decenni della sua storia repubblicana: il primo, il 27 maggio 1960, per mano del generale Cemal Gursel; poi il 12 marzo 1971, sotto la guida del generale Faruk Gurler; quello del 12 settembre 1980, quando il generale Kenan Evren sciolse i partiti, sospese la Costituzione e si dichiarò presidente. Fino ad arrivare al golpe ‘post-moderno’ del 28 febbraio 1997, che non ha visto l’implicazione diretta dei militari, ma che invece fu il risultato di una crisi all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale presieduto da Erbakan. A cadenza decennale, queste onnipresenti eminenze grigie hanno seguito una traiettoria politica singolare, sventolando la bandiera del laicismo ispirato ai valori di Ataturk, padre dello Stato moderno turco. La società civile ha spesso accolto i golpe chiusa in un silenzio assenso, mentre il governo dei militari, mai rimasti al potere per più di tre anni consecutivi, hanno quasi sempre promosso il ritorno a un processo democratico.
Le riforme di Erdogan e l’orizzonte europeo
E la Turchia è cambiata anche perché in questi 13 anni di governo dell’Akp, Erdogan ha costruito un’immagine del suo partito lontana dagli stereotipi delle formazioni politiche che avevano fino ad allora governato la Turchia, preoccupandosi di non essere assimilato ad un partito religioso, pur avendo una forte ispirazione islamista. Allo stesso tempo si è imposto sulla scena politica turca facendo leva sull’orizzonte europeo e sul processo di riforme pro-Bruxelles in vista di un possibile ingresso nell’Ue. E ha riformato le forze armate del paese, riempiendone le fila di suoi alleati e allontanando ufficiali a lui poco graditi.
Il golpe del 15 luglio resta un fatto in parte del tutto imprevedibile: le strade e le piazze nel paese si risvegliano oggi disorientate, in un’atmosfera spettrale di caccia all’uomo. Eppure è la conferma che i rapporti di forza in Turchia sono in realtà cambiati da tempo. Prova ne è la ferma volontà di Erdogan, dopo le ultime elezioni che lo hanno visto vincitore, di modificare l’impianto istituzionale del paese e la Costituzione, rimpiazzando quella risalente al golpe militare dell’80. Un processo che dovrebbe poggiare su due pilastri: l’eliminazione dell’eredità militarista e laicista della Repubblica e l’introduzione di una nuova architettura governativa imperniata sul presidenzialismo. Una via naturalmente poco gradita all’establishment militare.
Il sostegno del popolo a Erdogan
Erdogan, accusato da più parti di voler islamizzare il paese, dal canto suo non dimentica la sua base elettorale, meno diffusa nelle grandi città di Istanbul e Ankara, ma forte nella zone centrali della Turchia, dove l’economia è decollata anche grazie a grandi investimenti nell’edilizia voluti proprio dall’Akp. È al popolo che il presidente si rivolge nei momenti di tensione e di caos di queste ore, nel pieno dello scontro tra secolaristi e gruppi filo-Akp. Fino al mattino, quando fa recitare alla folla che lo attende il motto “una Nazione, una Patria, uno Stato, una bandiera”. Per strada e nelle piazze si sono riversati migliaia di manifestanti, richiamati dai muezzin a restare in piazza anche nella notte, non certo per pregare, ma per manifestare a favore di Erdogan.
Il silenzio della Nato e l’ambiguità degli Usa
Un silenzio assordante arriva invece dell’orizzonte Nato: l’alleanza avrebbe potuto invocare l’art. 5 del suo Trattato, che richiama il mutuo soccorso di fronte ad un attacco armato contro una o più parti del Patto. La Turchia, con la base di Incirlik, è un tassello fondamentale nella lotta della Nato contro l’Isis. Eppure, durante le ore concitate del golpe, gli Stati Uniti in primis non si sono precipitati a difendere diplomaticamente il presidente Erdogan. Neppure dopo il lancio del suo messaggio su Facetime.
Cautamente Obama, così come Hilary Clinton e il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, hanno parlato di voler appoggiare la democrazia in Turchia, senza mai fare riferimento alla figura del presidente. La Russia si dice preoccupata per la sorte dei propri cittadini in Turchia, mentre da Berlino resta l’appoggio del governo eletto.
È inoltre possibile che il quadro strategico del Medi Oriente muti già nelle prossime ore. Il colpo di stato arriva infatti a pochi giorni della mossa distensiva tra Turchia e Israele, con la firma tra i due direttori generali del ministero degli Esteri israeliano, Dore Gold, e del suo omonimo turco, Feridor Sinirlioglu, per un’intesa che ha posto la parola fine al gelo tra i due Stati dopo l’episodio della Mavi Marmara. La Russia non resta di certo a guardare: lo Zar e il Sultano hanno ripreso i dialoghi dopo mesi di tensioni ai confini con al Siria. L’ambizione per i due paesi è quella di raggiungere un volume di scambi commerciali di cento miliardi di dollari entro il 2023.
Un occhio ancora più attento merita adesso la zona a sud-est del paese, dove è più forte la presenza dei curdi, da sempre anti-Akp. È lecito immaginare che le frizioni e gli scontri non faranno altro che aumentare. A Erdogan al momento non rimane che imporre la sua forza, e questa volta probabilmente con ancora più prepotenza: facile pensare che verranno passate al setaccio le fila dei servizi militari, per scovare lealisti e golpisti. Così come è facile immaginare, che il “Sultano” darà dimostrazione di tutta la sua potenza di fuoco politica, traghettando il paese verso lidi sempre più conservatori.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Il tentativo di golpe in Turkia mette in evidenza oltre al malumore dei militari fedeli alla memoria del loro fondatore Ataturk anche la fragilità di tutto l'occidente che non ha saputo o voluto scegliere da che parte stare e tutto questo ha influito no poco su tutta questa situazione.
Il paradosso diversamente che nell'occidente sta nel vedere che e' solo l'esercito in mano a quei pochi ancora da sostituire a tenere fronte all'islamizzazione di una nazione come la Turkia che nella sua posizione strategica puo essere un problema più che un pregio per lo stesso occidente.
Il perché gli imman delle mosche si siano subito fatto portavoce con lo stesso Erdogan affinché la gente scendesse in piazza contro questo tentativo di golpe la dice lunga e ora Erdogan non perdera' tempo per fare le purghe in tutti gli apparati e a continuare con i suoi ricatti.
L'Europa ma anche tutto l'occidente non ha alcuna preparazione e capacita per affrontare tutti quei problemi che ora come gia in passato e ancora ancora una volta ci troveremo di fronte ed in primis l'Italia.
Non essere lungimiranti su questo problema dell'immigrazione vuol dire non essere capaci di gestire il futuro non solo di noi ma dello stesso medio oriente.
Erdogan non se l'e' fatta attendere la sua risposta su tutto questo additando come nemico turco chi ospita Gulen.
Ora staremo a vedere fin dove si spingera' Erdogan e come rispondera' l'Occidente europa in primis.
un salutone
Il paradosso diversamente che nell'occidente sta nel vedere che e' solo l'esercito in mano a quei pochi ancora da sostituire a tenere fronte all'islamizzazione di una nazione come la Turkia che nella sua posizione strategica puo essere un problema più che un pregio per lo stesso occidente.
Il perché gli imman delle mosche si siano subito fatto portavoce con lo stesso Erdogan affinché la gente scendesse in piazza contro questo tentativo di golpe la dice lunga e ora Erdogan non perdera' tempo per fare le purghe in tutti gli apparati e a continuare con i suoi ricatti.
L'Europa ma anche tutto l'occidente non ha alcuna preparazione e capacita per affrontare tutti quei problemi che ora come gia in passato e ancora ancora una volta ci troveremo di fronte ed in primis l'Italia.
Non essere lungimiranti su questo problema dell'immigrazione vuol dire non essere capaci di gestire il futuro non solo di noi ma dello stesso medio oriente.
Erdogan non se l'e' fatta attendere la sua risposta su tutto questo additando come nemico turco chi ospita Gulen.
Ora staremo a vedere fin dove si spingera' Erdogan e come rispondera' l'Occidente europa in primis.
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
IL MONDO IN FIAMME
17 luglio 2016 | di F. Q.
Armenia, tensioni nella capitale: gruppo armato contro la sede della polizia
Un morto, diversi feriti. Forse un tentativo di golpe. Un gruppo armato starebbe provando a prendere il controllo di alcuni edifici governativi a Erevan, in Armenia. Le notizie sono ancora molto confuse. Si parla di un morto e diversi feriti, della presa di alcuni ostaggi e del quartier generale della polizia assaltato. Forse con l’obiettivo del rilascio di un leader dei ribelli. Ma la Sicurezza nazionale smentisce che si tratti di un colpo di Stato. L’attacco sarebbe stato sferrato da sostenitori del leader del Movimento Nuova Armenia, Jirayr Sefilyan, che ne chiedono il rilascio. Sefilyan era stato arrestato a 20 giungo per detenzione di armi con l’accusa di voler mettere in piedi un’organizzazione criminale. Pochi giorni prima del fermo aveva annunciato l’intenzione di voler istituire un nuovo movimento di opposizione chiamato Comitato di Resistenza Nazionale. Gli uomini armati hanno preso in ostaggio durante l’assalto a una stazione di polizia il capo degli agenti Valery Osipyan. La zona vicino al commissariato è isolata, le strade sono tutte bloccate. Giornalisti locali riportano che i social network nel Paese sarebbero stati bloccati per evitare il diffondersi di notizie false
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/07/ ... ia/544356/
17 luglio 2016 | di F. Q.
Armenia, tensioni nella capitale: gruppo armato contro la sede della polizia
Un morto, diversi feriti. Forse un tentativo di golpe. Un gruppo armato starebbe provando a prendere il controllo di alcuni edifici governativi a Erevan, in Armenia. Le notizie sono ancora molto confuse. Si parla di un morto e diversi feriti, della presa di alcuni ostaggi e del quartier generale della polizia assaltato. Forse con l’obiettivo del rilascio di un leader dei ribelli. Ma la Sicurezza nazionale smentisce che si tratti di un colpo di Stato. L’attacco sarebbe stato sferrato da sostenitori del leader del Movimento Nuova Armenia, Jirayr Sefilyan, che ne chiedono il rilascio. Sefilyan era stato arrestato a 20 giungo per detenzione di armi con l’accusa di voler mettere in piedi un’organizzazione criminale. Pochi giorni prima del fermo aveva annunciato l’intenzione di voler istituire un nuovo movimento di opposizione chiamato Comitato di Resistenza Nazionale. Gli uomini armati hanno preso in ostaggio durante l’assalto a una stazione di polizia il capo degli agenti Valery Osipyan. La zona vicino al commissariato è isolata, le strade sono tutte bloccate. Giornalisti locali riportano che i social network nel Paese sarebbero stati bloccati per evitare il diffondersi di notizie false
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Re: La Terza Guerra Mondiale
CORRIERE. SI SENTE GIA' L'EFFETTO DI URBANETTO CAIRO???????
COSE TURCHE
17 LUG 2016 12:13
1. ‘’UN GOLPE DI QUATTRO ORE NON SI È MAI VISTO, NEPPURE NELLO STATO LIBERO DI BANANAS’’
2. L’EDITORIALISTA DEL ‘CORRIERE’ ANTONIO FERRARI: “UN GOLPE FASULLO, UNA SCENEGGIATA, UNA FARSA CON 200 MORTI MESS SU DA ERDOGAN CHE MAGARI SPERA DI AVERE I VOTI PER CAMBIARE LA COSTITUZIONE, E TRASFORMARE LA TURCHIA IN UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE’’
3. ‘’PENSATE POSSIBILE CHE ERDOGAN LANCI UN APPELLO AL POPOLO INVITANDOLO A SCENDERE NELLE STRADE, MENTRE VOLA A BERLINO PER INGINOCCHIARSI DAVANTI AD ANGELA MERKEL SUPPLICANDO ASILO POLITICO? MA PER FAVORE, SOLO A PENSARCI VIEN DA RIDERE”
LEGGI:
Antonio Ferrari per Corriere della Sera
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128839.htm
COSE TURCHE
17 LUG 2016 12:13
1. ‘’UN GOLPE DI QUATTRO ORE NON SI È MAI VISTO, NEPPURE NELLO STATO LIBERO DI BANANAS’’
2. L’EDITORIALISTA DEL ‘CORRIERE’ ANTONIO FERRARI: “UN GOLPE FASULLO, UNA SCENEGGIATA, UNA FARSA CON 200 MORTI MESS SU DA ERDOGAN CHE MAGARI SPERA DI AVERE I VOTI PER CAMBIARE LA COSTITUZIONE, E TRASFORMARE LA TURCHIA IN UNA REPUBBLICA PRESIDENZIALE’’
3. ‘’PENSATE POSSIBILE CHE ERDOGAN LANCI UN APPELLO AL POPOLO INVITANDOLO A SCENDERE NELLE STRADE, MENTRE VOLA A BERLINO PER INGINOCCHIARSI DAVANTI AD ANGELA MERKEL SUPPLICANDO ASILO POLITICO? MA PER FAVORE, SOLO A PENSARCI VIEN DA RIDERE”
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Antonio Ferrari per Corriere della Sera
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 128839.htm
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Re: La Terza Guerra Mondiale
QUESTA E' L'EPOCA DEI GRAN CACCIABALLE.
CACCIABALLE DI TUTTO IL MONDO..........UNITEVI!!!!!!
Turchia, ordine d’arresto per 2.745 magistrati
Purghe e più potere: Erdogan sfrutta il golpe
Il ministro della giustizia di Ankara: “In manette 6mila persone e aumenteranno. Facciamo pulizia
Intanto Gulen dagli Stati Uniti accusa: “Akp si è organizzata il golpe da sola. È stata una sceneggiata”
Mondo
Il governo turco all’indomani del golpe fallito aggiorna le cifre degli arresti: “Non ci fermiamo” (leggi). “Dopo questo episodio arresti, destituzioni, lotta alle opposizioni e accentramento del potere nelle sue mani saranno giustificate da una situazione di emergenza”, commenta Matteo Colombo, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale
(di Gianni Rosini)
^^^^^^
Turchia, “già 6mila in manette”. Ordinato arresto anche per 2.745 giudici. Gulen: “Golpe forse messo in scena dall’Akp”
Mondo
In carcere i magistrati destituiti sabato. Intanto sale ancora la tensione con gli Usa, a cui Ankara ha chiesto l'estradizione di Fethullah Gulen. Il ministro del Lavoro ha ipotizzato apertamente, riferisce la Bbc, che il colpo di Stato fallito ci fosse Washington. Il segretario di Stato John Kerry: sospetti "totalmente falsi e danneggiano" i rapporti. Intanto il predicatore accusato da Erdogan di essere l'ispiratore insinua il sospetto della sceneggiata
di F. Q. | 17 luglio 2016
COMMENTI (81)
“Ci sono circa 6mila arresti, e ce ne saranno altri 6mila. Continuiamo a fare pulizia“. Parola del ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag. Poco dopo, il Consiglio supremo dei giudici e procuratori turchi (Hsyk) ha ordinato di mettere in manette i 2.745 magistrati che erano già stati rimossi dai loro incarichi perché ritenuti fedeli a Fethullah Gülen, l’imam e magnate in esilio negli Usa accusato di essere lo stratega del fallito golpe e di cui Ankara ha chiesto l’estradizione. Così, considerando i quasi 3mila arresti tra i militari golpisti, la prima parte dell’annuncio di Bozdag diventa realtà. Inserendosi perfettamente nel quadro che si sta delineando nel Paese dopo il fallito colpo di Stato di venerdì notte. Il presidente Recep Tayyip Erdogan è tornato più forte che mai e sta mettendo in atto quanto promesso ai sostenitori mentre riprendeva il controllo dei gangli del potere: “Gli autori pagheranno“.
“Faremo pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato del virus” dei sostenitori di Gulen, ha ribadito domenica partecipando, a Istanbul, ai funerali delle quasi 300 persone morte venerdì. La folla ha risposto intonando slogan come “Fethullah la pagherà” e “vogliamo la pena di morte”. Uno scenario che rende plausibile ipotizzare, come ha fatto dagli Stati Uniti Gülen, che l’operazione sia stata una messa in scena orchestrata dal partito di Erdogan, l’Akp, per rendere ancora più salda la presa del “Sultano“.
Tensione con gli Usa. Kerry: “Basta insinuazioni, sospetti falsi” - Intanto sale ancora la tensione fra Ankara e Washington dopo che la base aerea di Incirlik, aperta dalla scorsa estate alla coalizione anti-Isis, è stata lasciata senza corrente elettrica. Tra gli arrestati nelle retate anti-golpisti – altri 52 magistrati e giudici sono stati fermati domenica, stando all’agenzia statale Anadolu – c’è anche il generale Bekir Ercan Vanalla, che la guidava: il sospetto del governo, ufficialmente, è che la base sia stata utilizzata per rifornire un caccia ‘”dirottato” dai golpisti la notte di venerdì.
Il ministro del Lavoro turco ha ipotizzato apertamente, riferisce la Bbc, che dietro il colpo ci fossero gli Usa, mentre il segretario di Stato statunitense John Kerry ha negato tutto mettendo in guardia la Turchia da quelle che ha chiamato “pubbliche insinuazioni“. I sospetti sugli Usa – ha detto Kerry – “sono totalmente falsi e danneggiano” i rapporti. Bozdag da parte sua ha ribadito che “se gli Stati Uniti sosterranno” il predicatore in esilio Fethullah Gülen, negandone l’estradizione con l’accusa di aver organizzato il fallito golpe, “questo danneggerà la loro reputazione. Non penso che continueranno a proteggere una persona del genere”.
Il predicatore accusato da Erdogan: “Possibile che il golpe sia stato messo in scena” – Gülen, intervistato da New York Times e Financial Times, ha assicurato però di non avere nulla a che fare con il colpo di Stato, pur riconoscendo di non poter escludere il coinvolgimento di alcuni tra i suoi sostenitori. “Il mio messaggio ai turchi è di non vedere mai positivamente un intervento militare, perché attraverso operazioni del genere non si può ottenere la democrazia“, ha detto ai reporter. Poi il dubbio: “C’è la possibilità che il golpe sia stato messo in scena (dall’Akp di Erdogan, ndr)”, ha proseguito parlando con il Ft. “E potrebbe essere il pretesto per ulteriori accuse” contro gulenisti e militari.
CACCIABALLE DI TUTTO IL MONDO..........UNITEVI!!!!!!
Turchia, ordine d’arresto per 2.745 magistrati
Purghe e più potere: Erdogan sfrutta il golpe
Il ministro della giustizia di Ankara: “In manette 6mila persone e aumenteranno. Facciamo pulizia
Intanto Gulen dagli Stati Uniti accusa: “Akp si è organizzata il golpe da sola. È stata una sceneggiata”
Mondo
Il governo turco all’indomani del golpe fallito aggiorna le cifre degli arresti: “Non ci fermiamo” (leggi). “Dopo questo episodio arresti, destituzioni, lotta alle opposizioni e accentramento del potere nelle sue mani saranno giustificate da una situazione di emergenza”, commenta Matteo Colombo, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale
(di Gianni Rosini)
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Turchia, “già 6mila in manette”. Ordinato arresto anche per 2.745 giudici. Gulen: “Golpe forse messo in scena dall’Akp”
Mondo
In carcere i magistrati destituiti sabato. Intanto sale ancora la tensione con gli Usa, a cui Ankara ha chiesto l'estradizione di Fethullah Gulen. Il ministro del Lavoro ha ipotizzato apertamente, riferisce la Bbc, che il colpo di Stato fallito ci fosse Washington. Il segretario di Stato John Kerry: sospetti "totalmente falsi e danneggiano" i rapporti. Intanto il predicatore accusato da Erdogan di essere l'ispiratore insinua il sospetto della sceneggiata
di F. Q. | 17 luglio 2016
COMMENTI (81)
“Ci sono circa 6mila arresti, e ce ne saranno altri 6mila. Continuiamo a fare pulizia“. Parola del ministro della Giustizia turco, Bekir Bozdag. Poco dopo, il Consiglio supremo dei giudici e procuratori turchi (Hsyk) ha ordinato di mettere in manette i 2.745 magistrati che erano già stati rimossi dai loro incarichi perché ritenuti fedeli a Fethullah Gülen, l’imam e magnate in esilio negli Usa accusato di essere lo stratega del fallito golpe e di cui Ankara ha chiesto l’estradizione. Così, considerando i quasi 3mila arresti tra i militari golpisti, la prima parte dell’annuncio di Bozdag diventa realtà. Inserendosi perfettamente nel quadro che si sta delineando nel Paese dopo il fallito colpo di Stato di venerdì notte. Il presidente Recep Tayyip Erdogan è tornato più forte che mai e sta mettendo in atto quanto promesso ai sostenitori mentre riprendeva il controllo dei gangli del potere: “Gli autori pagheranno“.
“Faremo pulizia all’interno di tutte le istituzioni dello Stato del virus” dei sostenitori di Gulen, ha ribadito domenica partecipando, a Istanbul, ai funerali delle quasi 300 persone morte venerdì. La folla ha risposto intonando slogan come “Fethullah la pagherà” e “vogliamo la pena di morte”. Uno scenario che rende plausibile ipotizzare, come ha fatto dagli Stati Uniti Gülen, che l’operazione sia stata una messa in scena orchestrata dal partito di Erdogan, l’Akp, per rendere ancora più salda la presa del “Sultano“.
Tensione con gli Usa. Kerry: “Basta insinuazioni, sospetti falsi” - Intanto sale ancora la tensione fra Ankara e Washington dopo che la base aerea di Incirlik, aperta dalla scorsa estate alla coalizione anti-Isis, è stata lasciata senza corrente elettrica. Tra gli arrestati nelle retate anti-golpisti – altri 52 magistrati e giudici sono stati fermati domenica, stando all’agenzia statale Anadolu – c’è anche il generale Bekir Ercan Vanalla, che la guidava: il sospetto del governo, ufficialmente, è che la base sia stata utilizzata per rifornire un caccia ‘”dirottato” dai golpisti la notte di venerdì.
Il ministro del Lavoro turco ha ipotizzato apertamente, riferisce la Bbc, che dietro il colpo ci fossero gli Usa, mentre il segretario di Stato statunitense John Kerry ha negato tutto mettendo in guardia la Turchia da quelle che ha chiamato “pubbliche insinuazioni“. I sospetti sugli Usa – ha detto Kerry – “sono totalmente falsi e danneggiano” i rapporti. Bozdag da parte sua ha ribadito che “se gli Stati Uniti sosterranno” il predicatore in esilio Fethullah Gülen, negandone l’estradizione con l’accusa di aver organizzato il fallito golpe, “questo danneggerà la loro reputazione. Non penso che continueranno a proteggere una persona del genere”.
Il predicatore accusato da Erdogan: “Possibile che il golpe sia stato messo in scena” – Gülen, intervistato da New York Times e Financial Times, ha assicurato però di non avere nulla a che fare con il colpo di Stato, pur riconoscendo di non poter escludere il coinvolgimento di alcuni tra i suoi sostenitori. “Il mio messaggio ai turchi è di non vedere mai positivamente un intervento militare, perché attraverso operazioni del genere non si può ottenere la democrazia“, ha detto ai reporter. Poi il dubbio: “C’è la possibilità che il golpe sia stato messo in scena (dall’Akp di Erdogan, ndr)”, ha proseguito parlando con il Ft. “E potrebbe essere il pretesto per ulteriori accuse” contro gulenisti e militari.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Attentato Nizza, l’analista: “Isis ha vinto. Per uscirne dobbiamo combattere le ragioni di fondo del radicalismo”
Mondo
Per Gabriele Iacovino del Centro studi internazionali la strage sulla promenade evoca scenari mediorientali, suggerendo paragoni tra il contesto francese e quello israelo-palestinese. Alla guerra condotta in Europa manca ancora un chiaro movente politico, ma "per l'Isis è comunque una vittoria, perché è diventato nell'immaginario collettivo il paradigma del terrore"
di Giusy Baioni | 17 luglio 2016
COMMENTI (1)
“Le modalità di questo attentato possono ricordare la cosiddetta intifada dei coltelli, quando in Israele si verificarono diversi attacchi all’arma bianca o assalti di singoli che, al volante di un’auto o anche di una ruspa o di un trattore, si lanciavano sulla folla”. Gabriele Iacovino, responsabile analisti per il Ce.S.I., il Centro studi internazionali, accosta la strage del 14 luglio a Nizza a scenari mediorientali. Ma solo per le modalità. “Agisce così chi non ha altri mezzi a disposizione. In Cisgiordania è impossibile procurarsi armi, anche al mercato nero, e così si agisce con ciò che si ha. A Nizza si è ricorsi a un tir per ottimizzare il risultato. Ma se l’intifada ha una motivazione sociopolitica, qui ancora molto resta da chiarire”.
Difficile dire finora, nonostante la rivendicazione dell’Isis, se si sia trattato di un lupo solitario radicalizzato online, oppure di una persona con legami con qualche gruppo jihadista, oppure ancora di un singolo squilibrato che ha voluto fare una strage per un malessere personale, ammantando la carneficina di retorica della “guerra santa”. Secondo Iacovino, “per l’Isis è comunque una vittoria. Anche se magari non c’entra nulla. È una vittoria perché hanno raggiunto l’apice del terrore e tutti, appena accade un fatto di sangue, subito pensiamo al terrorismo islamico”. Come era accaduto per l’aereo dell’Egypt Air inabissatosi per cause ancora sconosciute. “Per dieci giorni tutti abbiamo disquisito su una bomba o un attacco terroristico”, anche senza elementi che supportassero questa pista.
Daesh, insomma, ha già vinto. È entrata nella nostra vita quotidiana in modo subdolo ed è sempre più difficile difendersi. Prende di mira ristoranti, aeroporti, ora anche una festa nazionale. A prescindere se Mohamed Lahouaiej Bouhlel fosse o meno affiliato a Daesh, nell’immaginario collettivo il terrorismo di matrice islamica fa un tale utilizzo del terrore ed è una minaccia così diffusa che fermarla e prevenirla è sempre più difficile.
“Impensabile riuscire a controllare tutta la marea di persone che hanno uno squilibrio – chiosa Iacovino – pensiamo a quante forze servirebbero. Se per sorvegliare un singolo sospetto già radicalizzato servono almeno tre agenti che si diano il cambio, non si può immaginare un’attività di intelligence che riesca a coprire tutti coloro che possono aver letto qualcosa su un forum jihadista (tra i quali ci possiamo essere anche io e lei), tantomeno tutti coloro che esprimono un disagio sociale o personale”.
Fino a quando in Medio oriente ci sarà Daesh, non si risolverà la situazione. Anche se il sedicente Stato Islamico è in difficoltà, ora, non diminuisce la sua presa su certe fasce della popolazione e non cessa la sua opera di diffusione di idee radicalizzanti.
“Dall’altra parte, però, se lo combattiamo solo militarmente, una volta che Daesh sarà sconfitto ci troveremo a fronteggiare un altro gruppo con un altro nome e idee simili. Come è stato con Al Qaeda. Dobbiamo combattere le ragioni che stanno al fondo del radicalismo islamico, o non ne usciremo”. Nato dalla fusione fra Al Qaeda in Iraq e alcuni elementi bahatisti, Daesh si è esteso progressivamente, attecchendo dove c’è terreno fertile, dalla Tunisia a Parigi e Bruxelles: “Laddove c’è malcontento politico e sociale, oppure un problema identitario, laddove manchino leadership politiche in cui identificarsi, laddove non si abbia crescita e sviluppo, lì in particolare i giovani cadono nella trappola dialettica di questi gruppi, una minaccia diffusa che travalica i confini e si insinua ovunque, dal nord Africa alle banlieues”.
Nessuno può dirsi al sicuro, “ma l’Italia corre rischi inferiori, un po’ perché l’immigrazione è più giovane e non siamo ancora alle seconde e terze generazioni (tutti o quasi gli attentatori di questi anni avevano passaporto europeo), un po’ perché le nostre forze di sicurezza presidiano il territorio in modo capillare (ad esempio in altri paesi non esiste un corrispettivo della nostra arma dei carabinieri), un po’ anche perché siamo dotati di strumenti come il Casa, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo che gli altri paesi studiano come esempio”.
Mondo
Per Gabriele Iacovino del Centro studi internazionali la strage sulla promenade evoca scenari mediorientali, suggerendo paragoni tra il contesto francese e quello israelo-palestinese. Alla guerra condotta in Europa manca ancora un chiaro movente politico, ma "per l'Isis è comunque una vittoria, perché è diventato nell'immaginario collettivo il paradigma del terrore"
di Giusy Baioni | 17 luglio 2016
COMMENTI (1)
“Le modalità di questo attentato possono ricordare la cosiddetta intifada dei coltelli, quando in Israele si verificarono diversi attacchi all’arma bianca o assalti di singoli che, al volante di un’auto o anche di una ruspa o di un trattore, si lanciavano sulla folla”. Gabriele Iacovino, responsabile analisti per il Ce.S.I., il Centro studi internazionali, accosta la strage del 14 luglio a Nizza a scenari mediorientali. Ma solo per le modalità. “Agisce così chi non ha altri mezzi a disposizione. In Cisgiordania è impossibile procurarsi armi, anche al mercato nero, e così si agisce con ciò che si ha. A Nizza si è ricorsi a un tir per ottimizzare il risultato. Ma se l’intifada ha una motivazione sociopolitica, qui ancora molto resta da chiarire”.
Difficile dire finora, nonostante la rivendicazione dell’Isis, se si sia trattato di un lupo solitario radicalizzato online, oppure di una persona con legami con qualche gruppo jihadista, oppure ancora di un singolo squilibrato che ha voluto fare una strage per un malessere personale, ammantando la carneficina di retorica della “guerra santa”. Secondo Iacovino, “per l’Isis è comunque una vittoria. Anche se magari non c’entra nulla. È una vittoria perché hanno raggiunto l’apice del terrore e tutti, appena accade un fatto di sangue, subito pensiamo al terrorismo islamico”. Come era accaduto per l’aereo dell’Egypt Air inabissatosi per cause ancora sconosciute. “Per dieci giorni tutti abbiamo disquisito su una bomba o un attacco terroristico”, anche senza elementi che supportassero questa pista.
Daesh, insomma, ha già vinto. È entrata nella nostra vita quotidiana in modo subdolo ed è sempre più difficile difendersi. Prende di mira ristoranti, aeroporti, ora anche una festa nazionale. A prescindere se Mohamed Lahouaiej Bouhlel fosse o meno affiliato a Daesh, nell’immaginario collettivo il terrorismo di matrice islamica fa un tale utilizzo del terrore ed è una minaccia così diffusa che fermarla e prevenirla è sempre più difficile.
“Impensabile riuscire a controllare tutta la marea di persone che hanno uno squilibrio – chiosa Iacovino – pensiamo a quante forze servirebbero. Se per sorvegliare un singolo sospetto già radicalizzato servono almeno tre agenti che si diano il cambio, non si può immaginare un’attività di intelligence che riesca a coprire tutti coloro che possono aver letto qualcosa su un forum jihadista (tra i quali ci possiamo essere anche io e lei), tantomeno tutti coloro che esprimono un disagio sociale o personale”.
Fino a quando in Medio oriente ci sarà Daesh, non si risolverà la situazione. Anche se il sedicente Stato Islamico è in difficoltà, ora, non diminuisce la sua presa su certe fasce della popolazione e non cessa la sua opera di diffusione di idee radicalizzanti.
“Dall’altra parte, però, se lo combattiamo solo militarmente, una volta che Daesh sarà sconfitto ci troveremo a fronteggiare un altro gruppo con un altro nome e idee simili. Come è stato con Al Qaeda. Dobbiamo combattere le ragioni che stanno al fondo del radicalismo islamico, o non ne usciremo”. Nato dalla fusione fra Al Qaeda in Iraq e alcuni elementi bahatisti, Daesh si è esteso progressivamente, attecchendo dove c’è terreno fertile, dalla Tunisia a Parigi e Bruxelles: “Laddove c’è malcontento politico e sociale, oppure un problema identitario, laddove manchino leadership politiche in cui identificarsi, laddove non si abbia crescita e sviluppo, lì in particolare i giovani cadono nella trappola dialettica di questi gruppi, una minaccia diffusa che travalica i confini e si insinua ovunque, dal nord Africa alle banlieues”.
Nessuno può dirsi al sicuro, “ma l’Italia corre rischi inferiori, un po’ perché l’immigrazione è più giovane e non siamo ancora alle seconde e terze generazioni (tutti o quasi gli attentatori di questi anni avevano passaporto europeo), un po’ perché le nostre forze di sicurezza presidiano il territorio in modo capillare (ad esempio in altri paesi non esiste un corrispettivo della nostra arma dei carabinieri), un po’ anche perché siamo dotati di strumenti come il Casa, il Comitato di Analisi Strategica Antiterrorismo che gli altri paesi studiano come esempio”.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Terrorismo, perché l’Europa non è più una ‘fortezza’?
di Loretta Napoleoni
Colpita la Francia nel giorno in cui si commemora la presa della Bastiglia, il simbolo più terrificante dell’assolutismo despotico europeo, da parte del popolo parigino. Un anniversario che dovrebbe essere celebrato anche nel resto del mondo libero dal momento che è stata la rivoluzione francese a piantare il germe della democrazia popolare. La scelta del 14 luglio, quindi, non è casuale. Ma andiamo per gradi.
Mentre da mesi in Francia l’allarme terrorismo islamico è altissimo e l’antiterrorismo europeo non ha fatto che ribadire che era possibile un attacco durante i campionati di calcio, ecco che questo arriva pochi giorni dopo la loro chiusura, quando l’allerta terrorista era stata abbassata e tutti pensavano alle ferie ed allevacanze. Impensabile era anche la possibilità che l’attentato si concretizzasse con una nuova modalità, diversa dalle classiche bombe suicide: una carneficina notturna alla chiusura di una giornata di festa usando un camion, le solite arme d’assalto e qualche esplosivo. Prima di analizzare il simbolismo dell’attentato, l’ultimo di una lunga lista di “11 settembre europei”, soffermiamoci su quanto sia facile fare una strage oggi nel vecchio continente. Ne abbiamo subito conferma analizzando le modalità usate negli ultimi due anni dal terrorismo del fondamentalismo islamico, non importa se ispirate da Al Qaeda o dall’Isis.
Primo punto: è facile procurarsi le armi in Europa, in parte ciò è dovuto alla porosità dei confini dell’Unione europea e in parte alla rimozione di quelli interni. L’espansione ad oriente dell’Ue ha facilitato il contrabbando di esplosivi e armi provenienti dalle nazioni e regioni confinanti: Balcani, Caucaso, medio oriente. L’aumento del commercio, degli scambi, l’impennata del movimento delle persone all’interno dell’Unione e fuori rende icontrolli sempre più difficili. Come è facile trasportare balle di denaro da riciclare da un paese all’altro così è facile contrabbandare le armi.
Secondo punto: la varietà degli obiettivi. Fa male dirlo materroristi ben organizzati, che conoscono le abitudini dei propri concittadini hanno solo l’imbarazzo della scelta quando decidono di fare un attentato. E infatti, negli ultimi due anni le modalità sono cambiate spesso, non perché ci sia una strategia particolare, un burattinaio che da Raqqa decide cosa, dove e come colpire, ma perché è facile selezionare obiettivi e scegliere come attaccarli.
Terzo punto: il terrorismo del fondamentalismo islamico si è europeizzato, dal giungo del 2014, da quando l’Isis ha dichiarato la nascita del Califfato a oggi, è nato ed è cresciuto il network europeo composto principalmente da giovani musulmani della seconda generazione, cresciuti in Europa, aventi un passaporto color prugna con su scritto Unione Europea, con legami e contatti con la malavita locale ma anche ben integrati nella comunità islamica europea più radicale e intransigente. Non illudiamoci che costoro siano solo pedine, non cadiamo nell’errore di credere che le nuove modalità di attacco usate a Nizza siano copiate da quelle sperimentate nel medio oriente e da vecchi gruppi armati. Il fenomeno che abbiamo di fronte è nuovo ed è europeo e va riconosciuto e combattuto come tale.
Quarto punto: l’illusione che entro i confini europei siamo tutti al sicuro. Basta gettare un’occhiata alla mappa del mar Mediterraneo per rendersi conto che in due anni l’ondata di violenza del fondamentalismo islamico ci ha cacciato da gran parte di questo mare che nostrum non è davvero più. Le spiagge del Marocco, quelle della Tunisia, dell’Egitto, della Turchiasono vuote, anche alcune isole greche hanno riscosso un calo di presenze a causa dei migranti. Ormai si va in vacanza al mare inCroazia, Italia e Spagna non più in Francia, naturalmente. C’è rimasto solo un piccolo spicchio di mare. Il tutto in appena due anni!
La fortezza Europa diventa sempre più piccola. Che il fronte europeo abbia una sua propria identità, indipendente dal Califfato ce lo dimostra la scelta del 14 luglio, data fondamentale per l’Europa. Come l’abbattimento del confine tra l’Iraq e la Siria è stato scelto per marcare la nascita del Califfato, così la strage di Nizza sancisce l’esistenza della rete europea, di cui già negli ultimi attacchi a Bruxelles avevamo avuto sentore.
Anche la scelta della città, Nizza, caposaldo della destra francese dove Marine Le Penn è venerata come una santa, non è causale. Il jihadismo moderno, quello creato dall’Isis, ha volutamente propagandato una marcata matrice anti-imperialista che si contrappone all’occidente e ai suoi vassalli imperialisti. E’ questo elemento politico-rivoluzionario che rende la minaccia odierna infinitamente più seria di quella sferrata dai seguaci di al Zarqawi nei primi anni 2000, in altre parole gli attentatori diAtocha e della metro di Londra. Stiamo attenti, dunque, laguerra e il terrorismo del medio oriente ci stanno entrando in casa. E ciò avviene nonostante gli allarmi, i potenziamenti militari, i fiumi di denaro spesi per coordinare le informazioni degli uffici dell’anti-terrorismo nazionali e così via. Serve una strategia globale, una soluzione politica internazionale di lungo periodo perché in quello breve non c’è quasi nulla da fare.
di Loretta Napoleoni
Colpita la Francia nel giorno in cui si commemora la presa della Bastiglia, il simbolo più terrificante dell’assolutismo despotico europeo, da parte del popolo parigino. Un anniversario che dovrebbe essere celebrato anche nel resto del mondo libero dal momento che è stata la rivoluzione francese a piantare il germe della democrazia popolare. La scelta del 14 luglio, quindi, non è casuale. Ma andiamo per gradi.
Mentre da mesi in Francia l’allarme terrorismo islamico è altissimo e l’antiterrorismo europeo non ha fatto che ribadire che era possibile un attacco durante i campionati di calcio, ecco che questo arriva pochi giorni dopo la loro chiusura, quando l’allerta terrorista era stata abbassata e tutti pensavano alle ferie ed allevacanze. Impensabile era anche la possibilità che l’attentato si concretizzasse con una nuova modalità, diversa dalle classiche bombe suicide: una carneficina notturna alla chiusura di una giornata di festa usando un camion, le solite arme d’assalto e qualche esplosivo. Prima di analizzare il simbolismo dell’attentato, l’ultimo di una lunga lista di “11 settembre europei”, soffermiamoci su quanto sia facile fare una strage oggi nel vecchio continente. Ne abbiamo subito conferma analizzando le modalità usate negli ultimi due anni dal terrorismo del fondamentalismo islamico, non importa se ispirate da Al Qaeda o dall’Isis.
Primo punto: è facile procurarsi le armi in Europa, in parte ciò è dovuto alla porosità dei confini dell’Unione europea e in parte alla rimozione di quelli interni. L’espansione ad oriente dell’Ue ha facilitato il contrabbando di esplosivi e armi provenienti dalle nazioni e regioni confinanti: Balcani, Caucaso, medio oriente. L’aumento del commercio, degli scambi, l’impennata del movimento delle persone all’interno dell’Unione e fuori rende icontrolli sempre più difficili. Come è facile trasportare balle di denaro da riciclare da un paese all’altro così è facile contrabbandare le armi.
Secondo punto: la varietà degli obiettivi. Fa male dirlo materroristi ben organizzati, che conoscono le abitudini dei propri concittadini hanno solo l’imbarazzo della scelta quando decidono di fare un attentato. E infatti, negli ultimi due anni le modalità sono cambiate spesso, non perché ci sia una strategia particolare, un burattinaio che da Raqqa decide cosa, dove e come colpire, ma perché è facile selezionare obiettivi e scegliere come attaccarli.
Terzo punto: il terrorismo del fondamentalismo islamico si è europeizzato, dal giungo del 2014, da quando l’Isis ha dichiarato la nascita del Califfato a oggi, è nato ed è cresciuto il network europeo composto principalmente da giovani musulmani della seconda generazione, cresciuti in Europa, aventi un passaporto color prugna con su scritto Unione Europea, con legami e contatti con la malavita locale ma anche ben integrati nella comunità islamica europea più radicale e intransigente. Non illudiamoci che costoro siano solo pedine, non cadiamo nell’errore di credere che le nuove modalità di attacco usate a Nizza siano copiate da quelle sperimentate nel medio oriente e da vecchi gruppi armati. Il fenomeno che abbiamo di fronte è nuovo ed è europeo e va riconosciuto e combattuto come tale.
Quarto punto: l’illusione che entro i confini europei siamo tutti al sicuro. Basta gettare un’occhiata alla mappa del mar Mediterraneo per rendersi conto che in due anni l’ondata di violenza del fondamentalismo islamico ci ha cacciato da gran parte di questo mare che nostrum non è davvero più. Le spiagge del Marocco, quelle della Tunisia, dell’Egitto, della Turchiasono vuote, anche alcune isole greche hanno riscosso un calo di presenze a causa dei migranti. Ormai si va in vacanza al mare inCroazia, Italia e Spagna non più in Francia, naturalmente. C’è rimasto solo un piccolo spicchio di mare. Il tutto in appena due anni!
La fortezza Europa diventa sempre più piccola. Che il fronte europeo abbia una sua propria identità, indipendente dal Califfato ce lo dimostra la scelta del 14 luglio, data fondamentale per l’Europa. Come l’abbattimento del confine tra l’Iraq e la Siria è stato scelto per marcare la nascita del Califfato, così la strage di Nizza sancisce l’esistenza della rete europea, di cui già negli ultimi attacchi a Bruxelles avevamo avuto sentore.
Anche la scelta della città, Nizza, caposaldo della destra francese dove Marine Le Penn è venerata come una santa, non è causale. Il jihadismo moderno, quello creato dall’Isis, ha volutamente propagandato una marcata matrice anti-imperialista che si contrappone all’occidente e ai suoi vassalli imperialisti. E’ questo elemento politico-rivoluzionario che rende la minaccia odierna infinitamente più seria di quella sferrata dai seguaci di al Zarqawi nei primi anni 2000, in altre parole gli attentatori diAtocha e della metro di Londra. Stiamo attenti, dunque, laguerra e il terrorismo del medio oriente ci stanno entrando in casa. E ciò avviene nonostante gli allarmi, i potenziamenti militari, i fiumi di denaro spesi per coordinare le informazioni degli uffici dell’anti-terrorismo nazionali e così via. Serve una strategia globale, una soluzione politica internazionale di lungo periodo perché in quello breve non c’è quasi nulla da fare.
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