La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COME FAR SOLDI IN TEMPO DI GUERRA.
L'EQUIVALENTE DELLA VECCHIA BORSA NERA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
IL CASO
Così Change.org vende le nostre email
'L'Espresso' ha ottenuto il prezzario dell'azienda (da 1.50 euro a 85 centesimi) e contattato alcuni clienti. Tra risposte imbarazzate e rare ammissioni, abbiamo indagato sul business dell' "Amazon delle petizioni online". Che maneggia dati estremamente sensibili come le opinioni politiche e in Germania è oggetto di un'inchiesta del Garante della privacy
DI STEFANIA MAURIZI
18 luglio 2016
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
L'EQUIVALENTE DELLA VECCHIA BORSA NERA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
IL CASO
Così Change.org vende le nostre email
'L'Espresso' ha ottenuto il prezzario dell'azienda (da 1.50 euro a 85 centesimi) e contattato alcuni clienti. Tra risposte imbarazzate e rare ammissioni, abbiamo indagato sul business dell' "Amazon delle petizioni online". Che maneggia dati estremamente sensibili come le opinioni politiche e in Germania è oggetto di un'inchiesta del Garante della privacy
DI STEFANIA MAURIZI
18 luglio 2016
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Siamo pronti a morire per Erdogan? Ce lo chiede la Nato
Scritto il 20/5/16 • nella Categoria: idee Condividi
So che il titolo di questo post apparirà ad alcuni paradossale ma in realtà non lo è. La Turchia è membro della Nato e l’articolo 5 del Patto Atlantico prevede solidarietà e assistenza militare tra i suoi membri, secondo questi termini: “Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area Nord Atlantica”.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’articolo 5 pareva di fatto in disuso, venendo a mancare un nemico del calibro dell’Unione Sovietica, ma i recenti avvenimenti nel Vicino Oriente e, soprattutto, la follia di Erdogan lo rende di nuovo, se non attuale, perlomeno plausibile.
Qualche mese fa la Turchia si è spinta a un passo dalla guerra con la Russia, scongiurata solo dal sangue freddo di Putin, mentre negli ultimi tempi l’ambiguo attivismo di Ankara in Siria fa aumentare le possibilità di una nuova escalation militare nella regione.
Non è assurdo ipotizzare che la Turchia entri in guerra e, presentandosi (naturalmente) quale vittima, invochi la solidarietà atlantica.
Dunque i soldati italiani, così come quelli francesi o spagnoli, potrebbero essere chiamati a morire per Erdogan.
Ne deduco due riflessioni, anzi due domande.
La prima: è accettabile che la Nato abbia tra i suoi membri un leader come Erdogan, che promuove l’islamizzazione della Turchia, ha sostenuto l’Isis e sta trasformando il suo paese in una dittatura? La mia risposta potete facilmente intuirla.
La seconda riguarda la natura stessa della Nato.
Di solito a interrogarsi sulla necessità del Patto Atlantico sono pensatori o partiti di sinistra, ma da qualche tempo anche alcuni osservatori liberali davvero indipendenti, avanzano più di un dubbio.
In tal senso mi ha colpito la riflessione di Michele Moor, che nella Confederazione elvetica ha i gradi di colonnello ed è ex presidente della Società Svizzera degli Ufficiali.
Un conservatore, insomma; il quale in un articolo pubblicato qualche giorno fa sul “Corriere del Ticino” affermava: «A 67 anni dalla sua fondazione (4 aprile 1949), il patto militare che aveva l’obiettivo di arrestare l’avanzata del comunismo sovietico e di garantire la difesa dei paesi aderenti, ha progressivamente mutato la propria strategia, rendendola sempre più aggressiva e offensiva.
Non è un caso che gli Stati Uniti detengano la sovranità assoluta dell’organizzazione – le più alte cariche militari della Nato sono sempre riservate a ufficiali statunitensi – e che i cosiddetti paesi alleati offrano supinamente le proprie basi territoriali, nel Mediterraneo e nell’Est europeo, agli interessi strategici della superpotenza».
E ancora: «Nello scacchiere geopolitico del Sud, la guerra contro l’Isis è diventata lo specchietto per le allodole, destinato a garantire agli Usa l’espansione nell’Egeo e sulla Libia, territorio nel quale si è pensato di avviare un’operazione militare, ufficialmente guidata dall’Italia.
Questa avanzata potrebbe coinvolgere prima o poi anche i paesi dell’asse asiatico, in primis la Cina, per evitare che diventino partner economici della Russia.
Dietro l’intenzione, più volte dichiarata, di voler difendere l’Europa dalle aggressioni della Russia, si cela in realtà la volontà di espansionismo interventista che ha provocato la crisi in Ucraina».
Parole durissime che vanno dritto al punto.
La Nato ha cambiato pelle e da quando intervenne in Kosovo da associazione prettamente difensiva è diventata anche offensiva – vedi Afghanistan e Libia – assecondando i disegni strategici di Washington.
Da qui la seconda domanda: la Nato ha ancora senso? Questa Nato è davvero nell’interesse degli europei?
(Marcello Foa, “Italiani, siete disposti a morire per Erdogan? Ve lo chiede la Nato”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 1° maggio 2016).
Scritto il 20/5/16 • nella Categoria: idee Condividi
So che il titolo di questo post apparirà ad alcuni paradossale ma in realtà non lo è. La Turchia è membro della Nato e l’articolo 5 del Patto Atlantico prevede solidarietà e assistenza militare tra i suoi membri, secondo questi termini: “Le parti concordano che un attacco armato contro una o più di esse, in Europa o in America settentrionale, deve essere considerato come un attacco contro tutte e di conseguenza concordano che, se tale attacco armato avviene, ognuna di esse, in esercizio del diritto di autodifesa individuale o collettiva, riconosciuto dall’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate prendendo immediatamente, individualmente o in concerto con le altre parti, tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della forza armata, per ripristinare e mantenere la sicurezza dell’area Nord Atlantica”.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, l’articolo 5 pareva di fatto in disuso, venendo a mancare un nemico del calibro dell’Unione Sovietica, ma i recenti avvenimenti nel Vicino Oriente e, soprattutto, la follia di Erdogan lo rende di nuovo, se non attuale, perlomeno plausibile.
Qualche mese fa la Turchia si è spinta a un passo dalla guerra con la Russia, scongiurata solo dal sangue freddo di Putin, mentre negli ultimi tempi l’ambiguo attivismo di Ankara in Siria fa aumentare le possibilità di una nuova escalation militare nella regione.
Non è assurdo ipotizzare che la Turchia entri in guerra e, presentandosi (naturalmente) quale vittima, invochi la solidarietà atlantica.
Dunque i soldati italiani, così come quelli francesi o spagnoli, potrebbero essere chiamati a morire per Erdogan.
Ne deduco due riflessioni, anzi due domande.
La prima: è accettabile che la Nato abbia tra i suoi membri un leader come Erdogan, che promuove l’islamizzazione della Turchia, ha sostenuto l’Isis e sta trasformando il suo paese in una dittatura? La mia risposta potete facilmente intuirla.
La seconda riguarda la natura stessa della Nato.
Di solito a interrogarsi sulla necessità del Patto Atlantico sono pensatori o partiti di sinistra, ma da qualche tempo anche alcuni osservatori liberali davvero indipendenti, avanzano più di un dubbio.
In tal senso mi ha colpito la riflessione di Michele Moor, che nella Confederazione elvetica ha i gradi di colonnello ed è ex presidente della Società Svizzera degli Ufficiali.
Un conservatore, insomma; il quale in un articolo pubblicato qualche giorno fa sul “Corriere del Ticino” affermava: «A 67 anni dalla sua fondazione (4 aprile 1949), il patto militare che aveva l’obiettivo di arrestare l’avanzata del comunismo sovietico e di garantire la difesa dei paesi aderenti, ha progressivamente mutato la propria strategia, rendendola sempre più aggressiva e offensiva.
Non è un caso che gli Stati Uniti detengano la sovranità assoluta dell’organizzazione – le più alte cariche militari della Nato sono sempre riservate a ufficiali statunitensi – e che i cosiddetti paesi alleati offrano supinamente le proprie basi territoriali, nel Mediterraneo e nell’Est europeo, agli interessi strategici della superpotenza».
E ancora: «Nello scacchiere geopolitico del Sud, la guerra contro l’Isis è diventata lo specchietto per le allodole, destinato a garantire agli Usa l’espansione nell’Egeo e sulla Libia, territorio nel quale si è pensato di avviare un’operazione militare, ufficialmente guidata dall’Italia.
Questa avanzata potrebbe coinvolgere prima o poi anche i paesi dell’asse asiatico, in primis la Cina, per evitare che diventino partner economici della Russia.
Dietro l’intenzione, più volte dichiarata, di voler difendere l’Europa dalle aggressioni della Russia, si cela in realtà la volontà di espansionismo interventista che ha provocato la crisi in Ucraina».
Parole durissime che vanno dritto al punto.
La Nato ha cambiato pelle e da quando intervenne in Kosovo da associazione prettamente difensiva è diventata anche offensiva – vedi Afghanistan e Libia – assecondando i disegni strategici di Washington.
Da qui la seconda domanda: la Nato ha ancora senso? Questa Nato è davvero nell’interesse degli europei?
(Marcello Foa, “Italiani, siete disposti a morire per Erdogan? Ve lo chiede la Nato”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 1° maggio 2016).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Terza Guerra Mondiale?
La partecipazione dell'Italia
trangolino.gif (131 byte) Articolo 5 della Nato e posizione dell'Italia
L'articolo 5 e l'eventuale impegno Nato, e quindi italiano, a fianco degli Usa nella reazione all'attacco terroristico di martedi' 11 settembre: argomento 'caldo' nel dibattito di queste ore, mentre gia' alcuni parlamenti dei paesi dell'Alleanza hanno dato il loro 'via libera' all'assistenza nell'operazione 'Giustizia Infinita'. L'articolo 5 dell'Alleanza atlantica afferma che un "attacco armato" contro uno o piu' alleati della Nato si considera come un attacco contro ogni componente della Nato e quindi ognuno di essi puo', secondo il diritto all'autodifesa sancito dall'articolo 51 della carta dell'Onu, decidere le azioni che ritiene necessarie a "ristabilire e mantenere la sicurezza", compreso "l'uso delle forze armate".
Ad esso ora si accompagna anche l'articolo 24 del "Nuovo concetto strategico" della Nato (adottato a Washington nel 1999). Secondo l'articolo 24 si possono considerare rischi per la sicurezza anche "atti di terrorismo, sabotaggio e crimine organizzato, e la interruzione del flusso di risorse vitali". L'alleanza, spiega anche il sito internet della Nato, ha accertato che gli Usa sono stati attaccati e che se si decidera' che e' stato un attacco dall'esterno, allora si potra' far ricadere l'attacco agli Usa sotto la 'copertura' dell'articolo 5. Se si decidera' che potra' essere applicato per la prima volta nella storia questo speciale articolo, ogni alleato decidera' che assistenza portare.
Si e' quindi decisa una solidarieta' politica, fanno notare a Bruxelles fonti Nato, e una volta accertato che l'attacco e' giunto dall'esterno, ogni paese decidera' di partecipare alla reazione americana con le modalita' che riterra' opportune. Ora, fanno notare alcune fonti a Bruxelles, si aprono tre vie: a) gli Stati Uniti possono decidere di intervenire da soli, informando poi le Nazioni Unite di aver agito in base all'articolo 51 del trattato Onu che prevede il diritto all'autodifesa; b) gli Stati Uniti e alcuni alleati Nato possono dar vita a una coalizione di intervento (willing coalition) come successe per l'Italia in Albania; anche in questo caso si deve informare l'Onu; c) gli Stati Uniti decidono di chiedere un'azione comune Nato, di avviare cioe' una strategia di reazione sotto le bandiere Nato. Si devono quindi presentare al Consiglio Atlantico e in quella sede si deve raggiungere un consenso, unanime, sulla decisione di una reazione comune.
A questa reazione ogni Paese liberamente decide che tipo di apporto dare. Nel caso si scegliesse la terza strada, cioe' un intervento Nato, ogni Paese dovra' decidere con che mezzi intervenire. La spiegazione dell'articolo 5 data dalla Nato, infatti, afferma che ogni alleato decidera' che tipo di assistenza vorra' dare e che "l'assistenza non e' necessariamente militare e dipende dalle risorse materiali di ogni Paese". A questo punto, terminata la 'giurisdizione' Nato, entra in campo la legislazione dei singoli Stati. Per quanto riguarda l'Italia, si devono tenere in considerazione gli articoli 11, 77, 78, 87 della Costituzione L'articolo 11 della Carta recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
L'articolo 78 recita: "le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari". E l'articolo 87: il Presidente della Repubblica "ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere". Infine viene chiamato in causa anche l'articolo 77: "Quando in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni". A questo punto, essendo la prima volta che si chiama in causa l'articolo 5 del trattato Nato e non essendoci quindi una prassi cui fare riferimento, ci sono due letture della Costituzione. Per alcuni, soprattutto per il centrodestra, il caso di un eventuale attacco sotto l'egida della Nato, infatti, non si puo' considerare 'guerra' e comunque essa sarebbe stata gia' dichiarata da un organismo superiore e vincolante cioe' la Nato.
Non si dovrebbe quindi ricorrere agli articoli 78 e 87. Si verificherebbe, invece, la condizione dell'articolo 11, cioe' una limitazione della sovranita' nazionale per creare condizioni di pace e giustizia fra le nazioni. Sarebbe poi utilizzato l'articolo 77, che tratta di decretazione d'urgenza da parte del governo, per decidere l'invio di aiuti, militari e non, all'azione Nato. Alcuni ritengono a quel punto comunque politicamente opportuno un passaggio parlamentare, soprattutto se l'appoggio che l'Italia dara' alla reazione Nato non sara' solo logistico.
Ma solo dopo che gli Usa avranno deciso che tipo di strada scegliere tra le tre che sono loro aperte. Per altri, invece, e soprattutto per il centrosinistra, anche un attacco sotto l'egida della Nato, anche se gia' stabilito dall'articolo 5, si deve considerare 'guerra' e richiede quindi un passaggio parlamentare. A riprova si richiamano i precedenti dell'azione di peace-keeping in Somalia, della guerra nel Golfo e dell'intervento in Kosovo. In ogni occasione il Parlamento fu chiamato a un dibattito e ad un voto sull'invio di aiuti italiani. In questo caso, poi, la decisione di un attacco ancora non e' stata presa nemmeno dalla Nato e quindi ci sarebbero i tempi per la convocazione delle Camere. Ad alle Presidenze delle Camere non sono comunque giunte richieste di dibattito da parte di alcun gruppo.
(da rainews)
http://www.storiaxxisecolo.it/attaccoag ... erraa1.htm
La partecipazione dell'Italia
trangolino.gif (131 byte) Articolo 5 della Nato e posizione dell'Italia
L'articolo 5 e l'eventuale impegno Nato, e quindi italiano, a fianco degli Usa nella reazione all'attacco terroristico di martedi' 11 settembre: argomento 'caldo' nel dibattito di queste ore, mentre gia' alcuni parlamenti dei paesi dell'Alleanza hanno dato il loro 'via libera' all'assistenza nell'operazione 'Giustizia Infinita'. L'articolo 5 dell'Alleanza atlantica afferma che un "attacco armato" contro uno o piu' alleati della Nato si considera come un attacco contro ogni componente della Nato e quindi ognuno di essi puo', secondo il diritto all'autodifesa sancito dall'articolo 51 della carta dell'Onu, decidere le azioni che ritiene necessarie a "ristabilire e mantenere la sicurezza", compreso "l'uso delle forze armate".
Ad esso ora si accompagna anche l'articolo 24 del "Nuovo concetto strategico" della Nato (adottato a Washington nel 1999). Secondo l'articolo 24 si possono considerare rischi per la sicurezza anche "atti di terrorismo, sabotaggio e crimine organizzato, e la interruzione del flusso di risorse vitali". L'alleanza, spiega anche il sito internet della Nato, ha accertato che gli Usa sono stati attaccati e che se si decidera' che e' stato un attacco dall'esterno, allora si potra' far ricadere l'attacco agli Usa sotto la 'copertura' dell'articolo 5. Se si decidera' che potra' essere applicato per la prima volta nella storia questo speciale articolo, ogni alleato decidera' che assistenza portare.
Si e' quindi decisa una solidarieta' politica, fanno notare a Bruxelles fonti Nato, e una volta accertato che l'attacco e' giunto dall'esterno, ogni paese decidera' di partecipare alla reazione americana con le modalita' che riterra' opportune. Ora, fanno notare alcune fonti a Bruxelles, si aprono tre vie: a) gli Stati Uniti possono decidere di intervenire da soli, informando poi le Nazioni Unite di aver agito in base all'articolo 51 del trattato Onu che prevede il diritto all'autodifesa; b) gli Stati Uniti e alcuni alleati Nato possono dar vita a una coalizione di intervento (willing coalition) come successe per l'Italia in Albania; anche in questo caso si deve informare l'Onu; c) gli Stati Uniti decidono di chiedere un'azione comune Nato, di avviare cioe' una strategia di reazione sotto le bandiere Nato. Si devono quindi presentare al Consiglio Atlantico e in quella sede si deve raggiungere un consenso, unanime, sulla decisione di una reazione comune.
A questa reazione ogni Paese liberamente decide che tipo di apporto dare. Nel caso si scegliesse la terza strada, cioe' un intervento Nato, ogni Paese dovra' decidere con che mezzi intervenire. La spiegazione dell'articolo 5 data dalla Nato, infatti, afferma che ogni alleato decidera' che tipo di assistenza vorra' dare e che "l'assistenza non e' necessariamente militare e dipende dalle risorse materiali di ogni Paese". A questo punto, terminata la 'giurisdizione' Nato, entra in campo la legislazione dei singoli Stati. Per quanto riguarda l'Italia, si devono tenere in considerazione gli articoli 11, 77, 78, 87 della Costituzione L'articolo 11 della Carta recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla liberta' degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parita' con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranita' necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
L'articolo 78 recita: "le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari". E l'articolo 87: il Presidente della Repubblica "ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere". Infine viene chiamato in causa anche l'articolo 77: "Quando in casi straordinari di necessita' e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilita', provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni". A questo punto, essendo la prima volta che si chiama in causa l'articolo 5 del trattato Nato e non essendoci quindi una prassi cui fare riferimento, ci sono due letture della Costituzione. Per alcuni, soprattutto per il centrodestra, il caso di un eventuale attacco sotto l'egida della Nato, infatti, non si puo' considerare 'guerra' e comunque essa sarebbe stata gia' dichiarata da un organismo superiore e vincolante cioe' la Nato.
Non si dovrebbe quindi ricorrere agli articoli 78 e 87. Si verificherebbe, invece, la condizione dell'articolo 11, cioe' una limitazione della sovranita' nazionale per creare condizioni di pace e giustizia fra le nazioni. Sarebbe poi utilizzato l'articolo 77, che tratta di decretazione d'urgenza da parte del governo, per decidere l'invio di aiuti, militari e non, all'azione Nato. Alcuni ritengono a quel punto comunque politicamente opportuno un passaggio parlamentare, soprattutto se l'appoggio che l'Italia dara' alla reazione Nato non sara' solo logistico.
Ma solo dopo che gli Usa avranno deciso che tipo di strada scegliere tra le tre che sono loro aperte. Per altri, invece, e soprattutto per il centrosinistra, anche un attacco sotto l'egida della Nato, anche se gia' stabilito dall'articolo 5, si deve considerare 'guerra' e richiede quindi un passaggio parlamentare. A riprova si richiamano i precedenti dell'azione di peace-keeping in Somalia, della guerra nel Golfo e dell'intervento in Kosovo. In ogni occasione il Parlamento fu chiamato a un dibattito e ad un voto sull'invio di aiuti italiani. In questo caso, poi, la decisione di un attacco ancora non e' stata presa nemmeno dalla Nato e quindi ci sarebbero i tempi per la convocazione delle Camere. Ad alle Presidenze delle Camere non sono comunque giunte richieste di dibattito da parte di alcun gruppo.
(da rainews)
http://www.storiaxxisecolo.it/attaccoag ... erraa1.htm
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Re: La Terza Guerra Mondiale
PERCHE’ ABBIAMO GIA’ PERSO LA LOTTA AL TERRORISMO
Dalla prima pagina de Il fatto Quotidiano di stamani:
TURCHIA Il regime annuncia: “La ripulitura durerà giorni”
Autogolpe di Erdogan:
in galera pure i giudici
18 LUG 2016 16:46
RENZI COL CAPPELLO IN MANO
– ALL’OPPOSIZIONE CHIEDE “PRUDENZA ED EQUILIBRIO” NELLA COMUNICAZIONE SUL TERRORISMO: TEME STRUMENTALIZZAZIONI, COME IN FRANCIA. A QUANDO IL TAPPO IN BOCCA?
- BRUNETTA: OK, MA VOGLIAMO METTERE NASO ANCHE SULLA MANOVRA
Nella riunione con i capigruppo, Matteo dà il via libera ad una commissione indipendente sulla radicalizzazione dell’Islam in Italia. Per Minniti (Servizi segreti) quello di Ankara è stato un vero golpe. Presenti Forza Italia e M5S. Assente la Lega
Da http://www.ilsole24ore.com
Servono «prudenza ed equilibrio». È l’invito che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rivolto ai presidenti dei gruppi di maggioranza e opposizione, nel corso del vertice sul terrorismo di questa mattina a Palazzo Chigi.
Secondo quanto riferiscono alcuni dei presenti, il premier avrebbe chiesto di mantenere e comunicare agli italiani di fronte alla minaccia un atteggiamento di grande attenzione ma anche di equilibrio, senza cioè allarmismi.
Sì a una Commissione indipendente
Tra le varie azioni è stata comunicata l’intenzione dell’esecutivo di istituire una Commissione indipendente, formata cioè da esperti e tecnici, per studiare la «radicalizzazione» del credo nell’ambito delle comunità islamiche.
Dal canto suo il Movimento 5 Stelle ha tenuto ferma la richiesta di un dibattito parlamentare sul punto.
Un’opportunità su cui, come spiega la capogruppo alla Camera Castelli al termine della riunione, tutti si sono mostrati «d’accordo».
Per il governo, oltre a Renzi, erano presenti i ministri di Interno e Difesa più il sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi di sicurezza.
«Ad Ankara è stato golpe vero»
A giudizio del governo italiano il tentativo andato in scena venerdì sera in Turchia è stato «un vero colpo di Stato».
Stando all’informativa fatta non avrebbero dunque dubbi il responsabile del Viminale Alfano e il sottosegretario Minniti.
Ma ora «se la Turchia va avanti con il progetto di reintrodurre la pena di morte nel Paese dopo il tentato golpe di due giorni fa, ha chiuso con l’Unione europea».
Zanda e Rosato (Pd): impegno Governo-Camere su sicurezza
«È stata una riunione molto importante e dal chiaro valore politico che ha avuto come oggetto l’impegno del governo e del Parlamento sulla grande questione della sicurezza nazionale».
Così i capigruppo dem al Senato e alla Camera Luigi Zanda ed Ettore Rosato.
«Davanti al terrorismo internazionale e fondamentalista servono la massima unità del Paese e la massima coesione delle forze politiche democratiche.
Maggioranza e opposizione possono discutere e dividersi su tutto.
Ma di fronte alla minaccia terroristica e alla violenza degli estremismi non si possono abbandonare a strumentalizzazioni e polemiche che finirebbero per indebolire la posizione dell'Italia e minare ogni strategia di difesa dei cittadini e di lotta al terrorismo».
Brunetta (Fi): sì a coesione ma sia reciproca
Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, afferma di aver partecipato «con grande senso di responsabilità» alla riunione dei capigruppo di maggioranza e opposizione convocata a Palazzo Chigi.
Il premier ha chiesto a tutte le forze politiche coesione in un momento particolare per il nostro Paese e per l’Europa intera.
«Bene, ma questa coesione sia reciproca, il positivo sentimento di collaborazione sia anche e soprattutto da parte del governo nei confronti delle opposizioni e del Parlamento.
Serve dialogo e coesione.
Ma servono non solo in merito ai temi che interessano la sicurezza nazionale ed europea, ma anche su quelli che, strettamente correlati a quest’ultima, influiscono sulla vita quotidiana dei nostri concittadini: i provvedimenti di carattere economico, quelli sulle banche e sulla crisi del sistema degli istituti di credito italiani, quelli che devono una volta per tutte regolamentare la immigrazione».
Dalla prima pagina de Il fatto Quotidiano di stamani:
TURCHIA Il regime annuncia: “La ripulitura durerà giorni”
Autogolpe di Erdogan:
in galera pure i giudici
18 LUG 2016 16:46
RENZI COL CAPPELLO IN MANO
– ALL’OPPOSIZIONE CHIEDE “PRUDENZA ED EQUILIBRIO” NELLA COMUNICAZIONE SUL TERRORISMO: TEME STRUMENTALIZZAZIONI, COME IN FRANCIA. A QUANDO IL TAPPO IN BOCCA?
- BRUNETTA: OK, MA VOGLIAMO METTERE NASO ANCHE SULLA MANOVRA
Nella riunione con i capigruppo, Matteo dà il via libera ad una commissione indipendente sulla radicalizzazione dell’Islam in Italia. Per Minniti (Servizi segreti) quello di Ankara è stato un vero golpe. Presenti Forza Italia e M5S. Assente la Lega
Da http://www.ilsole24ore.com
Servono «prudenza ed equilibrio». È l’invito che il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha rivolto ai presidenti dei gruppi di maggioranza e opposizione, nel corso del vertice sul terrorismo di questa mattina a Palazzo Chigi.
Secondo quanto riferiscono alcuni dei presenti, il premier avrebbe chiesto di mantenere e comunicare agli italiani di fronte alla minaccia un atteggiamento di grande attenzione ma anche di equilibrio, senza cioè allarmismi.
Sì a una Commissione indipendente
Tra le varie azioni è stata comunicata l’intenzione dell’esecutivo di istituire una Commissione indipendente, formata cioè da esperti e tecnici, per studiare la «radicalizzazione» del credo nell’ambito delle comunità islamiche.
Dal canto suo il Movimento 5 Stelle ha tenuto ferma la richiesta di un dibattito parlamentare sul punto.
Un’opportunità su cui, come spiega la capogruppo alla Camera Castelli al termine della riunione, tutti si sono mostrati «d’accordo».
Per il governo, oltre a Renzi, erano presenti i ministri di Interno e Difesa più il sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi di sicurezza.
«Ad Ankara è stato golpe vero»
A giudizio del governo italiano il tentativo andato in scena venerdì sera in Turchia è stato «un vero colpo di Stato».
Stando all’informativa fatta non avrebbero dunque dubbi il responsabile del Viminale Alfano e il sottosegretario Minniti.
Ma ora «se la Turchia va avanti con il progetto di reintrodurre la pena di morte nel Paese dopo il tentato golpe di due giorni fa, ha chiuso con l’Unione europea».
Zanda e Rosato (Pd): impegno Governo-Camere su sicurezza
«È stata una riunione molto importante e dal chiaro valore politico che ha avuto come oggetto l’impegno del governo e del Parlamento sulla grande questione della sicurezza nazionale».
Così i capigruppo dem al Senato e alla Camera Luigi Zanda ed Ettore Rosato.
«Davanti al terrorismo internazionale e fondamentalista servono la massima unità del Paese e la massima coesione delle forze politiche democratiche.
Maggioranza e opposizione possono discutere e dividersi su tutto.
Ma di fronte alla minaccia terroristica e alla violenza degli estremismi non si possono abbandonare a strumentalizzazioni e polemiche che finirebbero per indebolire la posizione dell'Italia e minare ogni strategia di difesa dei cittadini e di lotta al terrorismo».
Brunetta (Fi): sì a coesione ma sia reciproca
Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, afferma di aver partecipato «con grande senso di responsabilità» alla riunione dei capigruppo di maggioranza e opposizione convocata a Palazzo Chigi.
Il premier ha chiesto a tutte le forze politiche coesione in un momento particolare per il nostro Paese e per l’Europa intera.
«Bene, ma questa coesione sia reciproca, il positivo sentimento di collaborazione sia anche e soprattutto da parte del governo nei confronti delle opposizioni e del Parlamento.
Serve dialogo e coesione.
Ma servono non solo in merito ai temi che interessano la sicurezza nazionale ed europea, ma anche su quelli che, strettamente correlati a quest’ultima, influiscono sulla vita quotidiana dei nostri concittadini: i provvedimenti di carattere economico, quelli sulle banche e sulla crisi del sistema degli istituti di credito italiani, quelli che devono una volta per tutte regolamentare la immigrazione».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Turchia, inizia il massacro dei curdi?
LUG 18, 2016 69 COMMENTI IN EVIDENZA,PUNTI DI VISTA MAURO INDELICATO
Il ‘day after’ ad Istanbul è un vero e proprio incubo; quando nella metropoli turca inizia a fare capolino il sole, illuminando quelle strade poche ore prima teatro di uno dei più clamorosi tentativi di colpi di Stato del medio oriente, la rabbia dei fedeli ad Erdogan diventa feroce ed assume contorni di cruenta resa dei conti.
Per approfondire: Turchia, perché il golpe è fallito
Se durante la notte del golpe, una volta che è apparsa chiara la ripresa effettiva del controllo della situazione da parte del governo, le immagini mostrano poliziotti che scortano i soldati nelle caserme senza alcuno spargimento di sangue, quando Istanbul si risveglia ed ascolta ‘l’arringa’ di Erdogan fatta in aeroporto il quadro cambia drammaticamente; inizia prima una caccia al golpista, che si trasforma poi in una ricerca spietata di tutti coloro che per qualche motivo vengono sospettati di non essere allineati con il governo.
È soprattutto la folla, arrabbiata per il tentato colpo di mano delle ore precedenti ed aizzata dal fulgore del presidente, ad attuare drammatiche vendette; la principale città turca assume nel breve volgere di pochi minuti un aspetto quasi surreale: le sue strade sono quasi deserte per via dei timori della gran parte dei cittadini che ancora qualcosa possa accadere, ma nei punti dove l’esercito nella serata di venerdì ha posto quei blocchi che hanno fatto capire al mondo che la Turchia è prossima ad un tentativo di golpe, si trasformano in zone dominate da decine di sostenitori di Erdogan che rendono interminabile il sabato di Istanbul.
Prima la brutalità contro i militari in divisa accusati di essere golpisti, poi la caccia si estende ad altri nemici; al mattino, si registrano numerosi episodi di linciaggio contro membri dell’esercito, nonostante questi camminano con le mani alzate in segno di resa e c’è anche chi invano prova a spiegare di non essere al corrente delle manovre golpiste, un tentativo in extremis di salvarsi la vita oppure un elemento reale ed utile a chiarire alcune dinamiche dell’episodio di venerdì. Al grido di ‘Allah Akbar’ altri militari vengono presi a cinghiate, uno anche decapitato vicino il ponte sul Bosforo; un vero e proprio massacro occorso nel cuore di una metropoli moderna ferita e lacerata dalle lotte interne. In mezzo a questo caos, si registra anche un piccolo ma significativo episodio immortalato da un video che fa il giro della rete, in cui un poliziotto salva da sicuro linciaggio un giovane soldato fatto uscire con la forza da un carro armato, segno che a causare l’atroce vendetta non sono gli apparati di Polizia nonostante la loro vicinanza alle posizioni del Presidente e del governo manifestata poco dopo l’inizio del golpe.
Per approfondire: Turchia, cinquant’anni di golpe
Ma il sabato di sangue di Istanbul non si ferma, come detto, alle punizioni inflitte ai militari golpisti; si registrano in particolare, episodi di violenza settaria che rischiano per tutta la giornata successiva al fallito colpo di Stato di far sprofondare definitivamente la situazione. Molti sostenitori di Erdogan, si accaniscono contro i quartieri curdi di Istanbul; negozi dati alle fiamme, barricate create da cassonetti della spazzatura divelti, aggressioni nei confronti di alcuni passanti ed in generale una violenza indiscriminata che prende di mira quelle ‘sacche’ curde presenti da più di un secolo nella città più rappresentativa della Turchia.
Un assalto che potrebbe suonare come una vera e propria intimidazione; nella foga successiva alla definitiva messa in sicurezza del governo, tutti quegli attori sospettati non solo di aver preso fisicamente parte al golpe (come per l’appunto i militari) ma anche di poter in qualche modo approfittare della temporanea precarietà di Erdogan, vengono raggiunti dalla reazione dei seguaci del presidente turco che scatenano su di loro la rabbia ed aspirano a renderli inoffensivi in vista delle ‘purghe’ attuate dall’esecutivo subito dopo la fine del colpo di Stato.
Nella Istanbul che ha difeso Erdogan e che ha scatenato la vendetta sui golpisti, c’è anche spazio per un deciso radicamento specialmente nei quartieri curdi dell’HDP, il principale partito curdo vera sorpresa nelle ultime due elezioni presente in parlamento con 59 deputati, il quale con il tempo si è trasformato in una forza politica capace di attrarre numerosi movimento anti Erdogan, molti dei quali presenti nel 2013 all’interno della rivolta dei giovani di piazza Taksim, ossia quella che ancora oggi rappresenta la più grande protesta contro il governo dal 2002, anno della presa del potere dell’attuale nuovo “Sultano”. Ecco quindi il perché delle violenze proprio contro i curdi e contro i quartieri curdi; il sospetto di molti sostenitori dell’apparato governativo è che in qualche modo anche la popolazione curda possa giocare un ruolo nel golpe o possa comunque fomentare eventuali nuove proteste nel periodo immediatamente successivo alla ripresa del controllo da parte di Erdogan. C’è da dire comunque, che l’HDP ha preso da subito le distanze dal colpo di Stato, pur tuttavia esso rimane un partito di opposizione rappresentante di una fetta di società che ora gli apparati di governo vorrebbero definitivamente sradicare.
Per approfondire: Turchia, un golpe di rafforzamento
Il sabato infinito di Istanbul lascia per strada numerose vittime, circa i due terzi delle 260 ufficialmente contate da venerdì sera ad oggi, ma secondo molti i morti potrebbero essere di più; in città si è vissuta per diverse ore l’aria pesante e tetra caratteristica della caccia alle streghe, trasformatasi in vera e propria barbarie sommaria che ha coinvolto numerosi innocenti. La Turchia post golpe, si risveglia ancora più radicalizzata e polarizzata, con la violenza che scorre lungo gli assi principali della sua metropoli più importante; il ruolo dei curdi in questa situazione, è tutto da vedere: nel clima di resa dei conti generale, in molti temono una loro maggiore discriminazione ad Istanbul e nelle grandi città in cui hanno dei quartieri, mentre nella regione del Kurdistan turco quella guerra civile aizzata proprio da Erdogan potrebbe riprendere in maniera molto più feroce di prima.
C’è anche un altro aspetto da dover valutare per inquadrare il ruolo dei curdi nella faccenda più intricata della Turchia degli ultimi anni; secondo diverse fonti, ad attuare il piano del colpo di stato, sarebbero stati anche militari che negli ultimi mesi hanno condotto proprio le operazioni nel Kurdistan. La circostanza è da confermare, ma di certo una notizia del genere nel ‘sabato della vendetta’ di Istanbul ha aggiunto benzina sul fuoco ed ha alimentato un clima di forti sospetti verso i curdi e verso il loro operato nel contesto delle ultime ore.
La situazione adesso pare tornata alla normalità, anche se ad Istanbul parlare di normalità in queste ore appare vera e proprio impresa; il sabato di sangue è passato, ma la paura resta specialmente in quei quartieri dove il partito di Erdogan non ha attecchito e dove la maggioranza è di etnia curda. Lo spauracchio della violenza, nella Turchia che si è svegliata dal colpo di Stato, appare sempre più presente ed inquietante.
LUG 18, 2016 69 COMMENTI IN EVIDENZA,PUNTI DI VISTA MAURO INDELICATO
Il ‘day after’ ad Istanbul è un vero e proprio incubo; quando nella metropoli turca inizia a fare capolino il sole, illuminando quelle strade poche ore prima teatro di uno dei più clamorosi tentativi di colpi di Stato del medio oriente, la rabbia dei fedeli ad Erdogan diventa feroce ed assume contorni di cruenta resa dei conti.
Per approfondire: Turchia, perché il golpe è fallito
Se durante la notte del golpe, una volta che è apparsa chiara la ripresa effettiva del controllo della situazione da parte del governo, le immagini mostrano poliziotti che scortano i soldati nelle caserme senza alcuno spargimento di sangue, quando Istanbul si risveglia ed ascolta ‘l’arringa’ di Erdogan fatta in aeroporto il quadro cambia drammaticamente; inizia prima una caccia al golpista, che si trasforma poi in una ricerca spietata di tutti coloro che per qualche motivo vengono sospettati di non essere allineati con il governo.
È soprattutto la folla, arrabbiata per il tentato colpo di mano delle ore precedenti ed aizzata dal fulgore del presidente, ad attuare drammatiche vendette; la principale città turca assume nel breve volgere di pochi minuti un aspetto quasi surreale: le sue strade sono quasi deserte per via dei timori della gran parte dei cittadini che ancora qualcosa possa accadere, ma nei punti dove l’esercito nella serata di venerdì ha posto quei blocchi che hanno fatto capire al mondo che la Turchia è prossima ad un tentativo di golpe, si trasformano in zone dominate da decine di sostenitori di Erdogan che rendono interminabile il sabato di Istanbul.
Prima la brutalità contro i militari in divisa accusati di essere golpisti, poi la caccia si estende ad altri nemici; al mattino, si registrano numerosi episodi di linciaggio contro membri dell’esercito, nonostante questi camminano con le mani alzate in segno di resa e c’è anche chi invano prova a spiegare di non essere al corrente delle manovre golpiste, un tentativo in extremis di salvarsi la vita oppure un elemento reale ed utile a chiarire alcune dinamiche dell’episodio di venerdì. Al grido di ‘Allah Akbar’ altri militari vengono presi a cinghiate, uno anche decapitato vicino il ponte sul Bosforo; un vero e proprio massacro occorso nel cuore di una metropoli moderna ferita e lacerata dalle lotte interne. In mezzo a questo caos, si registra anche un piccolo ma significativo episodio immortalato da un video che fa il giro della rete, in cui un poliziotto salva da sicuro linciaggio un giovane soldato fatto uscire con la forza da un carro armato, segno che a causare l’atroce vendetta non sono gli apparati di Polizia nonostante la loro vicinanza alle posizioni del Presidente e del governo manifestata poco dopo l’inizio del golpe.
Per approfondire: Turchia, cinquant’anni di golpe
Ma il sabato di sangue di Istanbul non si ferma, come detto, alle punizioni inflitte ai militari golpisti; si registrano in particolare, episodi di violenza settaria che rischiano per tutta la giornata successiva al fallito colpo di Stato di far sprofondare definitivamente la situazione. Molti sostenitori di Erdogan, si accaniscono contro i quartieri curdi di Istanbul; negozi dati alle fiamme, barricate create da cassonetti della spazzatura divelti, aggressioni nei confronti di alcuni passanti ed in generale una violenza indiscriminata che prende di mira quelle ‘sacche’ curde presenti da più di un secolo nella città più rappresentativa della Turchia.
Un assalto che potrebbe suonare come una vera e propria intimidazione; nella foga successiva alla definitiva messa in sicurezza del governo, tutti quegli attori sospettati non solo di aver preso fisicamente parte al golpe (come per l’appunto i militari) ma anche di poter in qualche modo approfittare della temporanea precarietà di Erdogan, vengono raggiunti dalla reazione dei seguaci del presidente turco che scatenano su di loro la rabbia ed aspirano a renderli inoffensivi in vista delle ‘purghe’ attuate dall’esecutivo subito dopo la fine del colpo di Stato.
Nella Istanbul che ha difeso Erdogan e che ha scatenato la vendetta sui golpisti, c’è anche spazio per un deciso radicamento specialmente nei quartieri curdi dell’HDP, il principale partito curdo vera sorpresa nelle ultime due elezioni presente in parlamento con 59 deputati, il quale con il tempo si è trasformato in una forza politica capace di attrarre numerosi movimento anti Erdogan, molti dei quali presenti nel 2013 all’interno della rivolta dei giovani di piazza Taksim, ossia quella che ancora oggi rappresenta la più grande protesta contro il governo dal 2002, anno della presa del potere dell’attuale nuovo “Sultano”. Ecco quindi il perché delle violenze proprio contro i curdi e contro i quartieri curdi; il sospetto di molti sostenitori dell’apparato governativo è che in qualche modo anche la popolazione curda possa giocare un ruolo nel golpe o possa comunque fomentare eventuali nuove proteste nel periodo immediatamente successivo alla ripresa del controllo da parte di Erdogan. C’è da dire comunque, che l’HDP ha preso da subito le distanze dal colpo di Stato, pur tuttavia esso rimane un partito di opposizione rappresentante di una fetta di società che ora gli apparati di governo vorrebbero definitivamente sradicare.
Per approfondire: Turchia, un golpe di rafforzamento
Il sabato infinito di Istanbul lascia per strada numerose vittime, circa i due terzi delle 260 ufficialmente contate da venerdì sera ad oggi, ma secondo molti i morti potrebbero essere di più; in città si è vissuta per diverse ore l’aria pesante e tetra caratteristica della caccia alle streghe, trasformatasi in vera e propria barbarie sommaria che ha coinvolto numerosi innocenti. La Turchia post golpe, si risveglia ancora più radicalizzata e polarizzata, con la violenza che scorre lungo gli assi principali della sua metropoli più importante; il ruolo dei curdi in questa situazione, è tutto da vedere: nel clima di resa dei conti generale, in molti temono una loro maggiore discriminazione ad Istanbul e nelle grandi città in cui hanno dei quartieri, mentre nella regione del Kurdistan turco quella guerra civile aizzata proprio da Erdogan potrebbe riprendere in maniera molto più feroce di prima.
C’è anche un altro aspetto da dover valutare per inquadrare il ruolo dei curdi nella faccenda più intricata della Turchia degli ultimi anni; secondo diverse fonti, ad attuare il piano del colpo di stato, sarebbero stati anche militari che negli ultimi mesi hanno condotto proprio le operazioni nel Kurdistan. La circostanza è da confermare, ma di certo una notizia del genere nel ‘sabato della vendetta’ di Istanbul ha aggiunto benzina sul fuoco ed ha alimentato un clima di forti sospetti verso i curdi e verso il loro operato nel contesto delle ultime ore.
La situazione adesso pare tornata alla normalità, anche se ad Istanbul parlare di normalità in queste ore appare vera e proprio impresa; il sabato di sangue è passato, ma la paura resta specialmente in quei quartieri dove il partito di Erdogan non ha attecchito e dove la maggioranza è di etnia curda. Lo spauracchio della violenza, nella Turchia che si è svegliata dal colpo di Stato, appare sempre più presente ed inquietante.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COSE TURCHE
POST-GOLPE
Turchia, le "purghe" di Erdogan: arresti, divieti di ferie e di espatrio per gli statali
Sono 12.000 finora le persone finite in manette dopo il fallito golpe. Tra loro 8.000 militari. Il sospetto che le liste, che riguardano anche giudici e dipendenti pubblici, fossero pronte da mesi. Il paese rischia di rimanere isolato
DI RITA RAPISARDI
18 luglio 2016
Turchia, repressione e "purghe" dopo il fallito golpe
Liste pronte, chiuse in un cassetto da aprire quando sarebbe stato il momento. E’ il rischio sempre più reale dietro ai numerosi arresti del dopo golpe in Turchia . A muovere i sospetti è Johannes Hahn, commissario europeo responsabile della politica di adesione per i nuovi membri, tra cui anche il paese di Recep Tayyip Erdogan. “Le liste circolavano subito dopo venerdì, questo indica che sono state preparate per essere utilizzate al momento opportuno”, ha detto Hahn alla riunione dei ministri degli Esteri europei.
Accuse che arrivano proprio dal cuore dell’Unione e che potrebbero minare per sempre i negoziati turchi che ormai proseguono da oltre dieci anni. Nei giorni successivi al tentativo di colpo di Stato le agitazioni non si sono fermate. Valanghe di arresti e fermi hanno interessato migliaia di persone, 12.000 finora. Le prime a essere prese di mira sono state le file dell’esercito, con le manette per 7.899 militari e 614 poliziotti, che dopo le grandi libertà concesse per contrastare i curdi nel sud-est del Paese sono ora al muro.
Nelle liste delle epurazioni ci sono anche rappresentanti degli organi statali, non direttamente collegati alla sicurezza. Per i dipendenti pubblici, è stata pensata una stretta apposita. Non è più possibile infatti, secondo quanto riporta la tv turca Ntv, espatriare senza previa autorizzazione, un provvedimento che riguarda quasi il 5 per cento della popolazione turca. Inoltre sono state annullate le ferie e tutti i dipendenti invitati a tornare dalle vacanze fino a nuovo ordine.
Tra questi sono stati già sospesi 30 prefetti su 81 e sollevati dai loro incarichi 8.777 dipendenti del ministero dell’Interno e 1.500 dal ministero delle Finanze. Molti si chiedono però come quest’ultimi possano essere legati al fallito golpe. Ma le “purghe” non si sono fermate qui. Ci sono anche 2.745 giudici, tra cui anche due membri della Corte Costituzionale, sospesi dalle loro mansioni già nella giornata di sabato.
Dopo il golpe l'Europa non è rimasta a guardare e, con le parole del commissario, ha fatto sapere di aver fatto domanda proprio sui numerosi arresti in campo giudiziario: “Abbiamo già chiesto un riscontro su quanto sta avvenendo, per assicurarci che vengano rispettate le norme internazionali, per ora però la nostra richiesta non è stata soddisfatta” ha aggiunto Hahn. Unione Europea e Stati Uniti, che in un primo momento si erano dette sollevate per il fallimento del golpe, ora domandano che si "rispetti la democrazia, le libertà fondamentali e lo stato di diritto".
In Turchia si sono verificati "episodi rivoltanti di giustizia arbitraria e di vendetta", ha detto Steffen Seibert portavoce di Angela Merkel. "Abbiamo visto nelle prime ore dopo il fallimento del golpe - ha spiegato Seibert - scene raccapriccianti di arbitrio e di vendetta contro i soldati in mezzo alla strada. Un simile fatto è inaccettabile".
Altro argomento che sta creando tensioni con il paese di Erdogan è la pena di morte, abolita in Turchia nel 2004 proprio per dar via ai negoziati di adesione alla Ue. La cancelleria tedesca alle parole del premier turco, Binali Yildirim, che aveva parlato di una possibile revisione della Costituzione, è stata dura: “Reintrodurla vorrebbe dire addio per sempre all’Unione Europea”.
L’unico campo che sembra per ora salvarsi è l’accordo sui migranti stilato a marzo che ha portato gli sbarchi sulle coste greche da 7.000 persone a 30 al giorno. Sempre dalla cancelleria della Merkel fanno sapere che il sostegno finanziario per i rifugiati, i sei miliardi di euro promessi alla Turchia, non sarà toccato.
Tensione anche con Washington per la disputa sull’estradizione di Fethullah Gulen, l’imam ex alleato di Erdogan e primo indiziato del tentato rovesciamento del governo, nonostante abbia negato le accuse e condannato il golpe. “Le pubbliche insinuazioni”, come le ha chiamate il segretario di Stato Usa John Kerry, non aiutano i rapporti fra i due paesi, anche perché “non è arrivata né la richiesta di estradizione, né la prova del coinvolgimento”. Ma la Turchia non ha paura e fa sapere per bocca del ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, che “il mancato ritorno di Gulen danneggerà la reputazione degli Stati Uniti”.
Il paese sembra allontanarsi anche dalla Nato. Dopo il blocco e il taglio dell’energia elettrica alla base aerea di Incirlik, usata dall’organizzazione militare, oggi sono arrivate le perquisizioni. Il comandante Bekir Ercan Van era stato arrestato insieme ai dieci soldati, accusati di aver rifornito gli F16 che hanno eseguito i raid su Ankara.
E intanto arriva la minaccia di WikiLeaks che dal suo account Twitter ha annunciato: "Preparatevi a uno scontro perché pubblicheremo oltre 100.000 documenti sulla struttura del potere politico in Turchia". Se in casa la situazione per Erdogan sembra positiva, con il popolo turco che lo sostiene totalmente, la Mezzaluna appare nel suo momento più delicato, con il rischio di una deriva autoritaria che potrebbe di fatto isolarla .
http://espresso.repubblica.it/internazi ... =HEF_RULLO
POST-GOLPE
Turchia, le "purghe" di Erdogan: arresti, divieti di ferie e di espatrio per gli statali
Sono 12.000 finora le persone finite in manette dopo il fallito golpe. Tra loro 8.000 militari. Il sospetto che le liste, che riguardano anche giudici e dipendenti pubblici, fossero pronte da mesi. Il paese rischia di rimanere isolato
DI RITA RAPISARDI
18 luglio 2016
Turchia, repressione e "purghe" dopo il fallito golpe
Liste pronte, chiuse in un cassetto da aprire quando sarebbe stato il momento. E’ il rischio sempre più reale dietro ai numerosi arresti del dopo golpe in Turchia . A muovere i sospetti è Johannes Hahn, commissario europeo responsabile della politica di adesione per i nuovi membri, tra cui anche il paese di Recep Tayyip Erdogan. “Le liste circolavano subito dopo venerdì, questo indica che sono state preparate per essere utilizzate al momento opportuno”, ha detto Hahn alla riunione dei ministri degli Esteri europei.
Accuse che arrivano proprio dal cuore dell’Unione e che potrebbero minare per sempre i negoziati turchi che ormai proseguono da oltre dieci anni. Nei giorni successivi al tentativo di colpo di Stato le agitazioni non si sono fermate. Valanghe di arresti e fermi hanno interessato migliaia di persone, 12.000 finora. Le prime a essere prese di mira sono state le file dell’esercito, con le manette per 7.899 militari e 614 poliziotti, che dopo le grandi libertà concesse per contrastare i curdi nel sud-est del Paese sono ora al muro.
Nelle liste delle epurazioni ci sono anche rappresentanti degli organi statali, non direttamente collegati alla sicurezza. Per i dipendenti pubblici, è stata pensata una stretta apposita. Non è più possibile infatti, secondo quanto riporta la tv turca Ntv, espatriare senza previa autorizzazione, un provvedimento che riguarda quasi il 5 per cento della popolazione turca. Inoltre sono state annullate le ferie e tutti i dipendenti invitati a tornare dalle vacanze fino a nuovo ordine.
Tra questi sono stati già sospesi 30 prefetti su 81 e sollevati dai loro incarichi 8.777 dipendenti del ministero dell’Interno e 1.500 dal ministero delle Finanze. Molti si chiedono però come quest’ultimi possano essere legati al fallito golpe. Ma le “purghe” non si sono fermate qui. Ci sono anche 2.745 giudici, tra cui anche due membri della Corte Costituzionale, sospesi dalle loro mansioni già nella giornata di sabato.
Dopo il golpe l'Europa non è rimasta a guardare e, con le parole del commissario, ha fatto sapere di aver fatto domanda proprio sui numerosi arresti in campo giudiziario: “Abbiamo già chiesto un riscontro su quanto sta avvenendo, per assicurarci che vengano rispettate le norme internazionali, per ora però la nostra richiesta non è stata soddisfatta” ha aggiunto Hahn. Unione Europea e Stati Uniti, che in un primo momento si erano dette sollevate per il fallimento del golpe, ora domandano che si "rispetti la democrazia, le libertà fondamentali e lo stato di diritto".
In Turchia si sono verificati "episodi rivoltanti di giustizia arbitraria e di vendetta", ha detto Steffen Seibert portavoce di Angela Merkel. "Abbiamo visto nelle prime ore dopo il fallimento del golpe - ha spiegato Seibert - scene raccapriccianti di arbitrio e di vendetta contro i soldati in mezzo alla strada. Un simile fatto è inaccettabile".
Altro argomento che sta creando tensioni con il paese di Erdogan è la pena di morte, abolita in Turchia nel 2004 proprio per dar via ai negoziati di adesione alla Ue. La cancelleria tedesca alle parole del premier turco, Binali Yildirim, che aveva parlato di una possibile revisione della Costituzione, è stata dura: “Reintrodurla vorrebbe dire addio per sempre all’Unione Europea”.
L’unico campo che sembra per ora salvarsi è l’accordo sui migranti stilato a marzo che ha portato gli sbarchi sulle coste greche da 7.000 persone a 30 al giorno. Sempre dalla cancelleria della Merkel fanno sapere che il sostegno finanziario per i rifugiati, i sei miliardi di euro promessi alla Turchia, non sarà toccato.
Tensione anche con Washington per la disputa sull’estradizione di Fethullah Gulen, l’imam ex alleato di Erdogan e primo indiziato del tentato rovesciamento del governo, nonostante abbia negato le accuse e condannato il golpe. “Le pubbliche insinuazioni”, come le ha chiamate il segretario di Stato Usa John Kerry, non aiutano i rapporti fra i due paesi, anche perché “non è arrivata né la richiesta di estradizione, né la prova del coinvolgimento”. Ma la Turchia non ha paura e fa sapere per bocca del ministro della Giustizia, Bekir Bozdag, che “il mancato ritorno di Gulen danneggerà la reputazione degli Stati Uniti”.
Il paese sembra allontanarsi anche dalla Nato. Dopo il blocco e il taglio dell’energia elettrica alla base aerea di Incirlik, usata dall’organizzazione militare, oggi sono arrivate le perquisizioni. Il comandante Bekir Ercan Van era stato arrestato insieme ai dieci soldati, accusati di aver rifornito gli F16 che hanno eseguito i raid su Ankara.
E intanto arriva la minaccia di WikiLeaks che dal suo account Twitter ha annunciato: "Preparatevi a uno scontro perché pubblicheremo oltre 100.000 documenti sulla struttura del potere politico in Turchia". Se in casa la situazione per Erdogan sembra positiva, con il popolo turco che lo sostiene totalmente, la Mezzaluna appare nel suo momento più delicato, con il rischio di una deriva autoritaria che potrebbe di fatto isolarla .
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Re: La Terza Guerra Mondiale
ANKE LA CERMANIA DEL KAISER MERKEL SOTTO ATTAKKEN.
Germania, uomo ferisce 20 persone con ascia
Un uomo con un'ascia ha ferito in Germania almeno 21 persone su un treno tra Wurzburg-Heidingsfeld e Ochsenfurt, prima di essere ucciso dalla polizia
Chiara Sarra - Lun, 18/07/2016 - 23:13
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Paura in Germania su un treno che viaggiava sulla linea ferroviaria tra Wurzburg-Heidingsfeld e Ochsenfurt, al centro del Paese.
Un uomo avrebbe infatti aggredito i passeggeri ferendo almeno 21 persone.
L'aggressore, che sarebbe stato armato di un'ascia, è stato fermato dalla polizia, che ha sparato e l'ha ucciso.
Bloccata le rete ferroviaria tra le due città: le ferrovie tedesche hanno annunciato la presenza di un bus sostitutivo tra Ochsenfurt e la stazione principale di Würzburg.
Germania, uomo ferisce 20 persone con ascia
Un uomo con un'ascia ha ferito in Germania almeno 21 persone su un treno tra Wurzburg-Heidingsfeld e Ochsenfurt, prima di essere ucciso dalla polizia
Chiara Sarra - Lun, 18/07/2016 - 23:13
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Paura in Germania su un treno che viaggiava sulla linea ferroviaria tra Wurzburg-Heidingsfeld e Ochsenfurt, al centro del Paese.
Un uomo avrebbe infatti aggredito i passeggeri ferendo almeno 21 persone.
L'aggressore, che sarebbe stato armato di un'ascia, è stato fermato dalla polizia, che ha sparato e l'ha ucciso.
Bloccata le rete ferroviaria tra le due città: le ferrovie tedesche hanno annunciato la presenza di un bus sostitutivo tra Ochsenfurt e la stazione principale di Würzburg.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Attentato Nizza, leader delle comunità islamiche: “Basta parole. Unico anticorpo sono i pieni diritti, come la cittadinanza”
Mondo
Davide Picardo, coordinatore dei musulmani in Lombardua, ha nonni e cugini nella città della Costa Azzurra. Di fronte ai primi titoli sulla strage ha sentito il terrore correre sul filo del telefono. Impotenza, paura, sfiducia. Questo prova l'Islam moderato che non riesce a emergere e farsi sentire, finendo accomunato agli assassini fanatici. "Non è più sufficiente condannare. Noi stiamo facendo la nostra parte, l'Italia deve aiutarci su diritti e spazi di culto. Solo così avremo tutti qualcosa di comune e irrinunciabile da difendere"
di Thomas Mackinson | 19 luglio 2016
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Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza. E al primo titolo sulla “strage col camion” si è attaccato al telefono, in preda all’ansia e al bisogno di sapere che i parenti erano in salvo. Su cosa fare non ha risposte pronte. Il comunicato di condanna, certo. Ma non basta più. Una grande manifestazione in Italia, in Europa? Non basta neppure quello. E allora? “C’è qualcosa che sta sfuggendo a tutti. L’unica certezza è che la semplificazione non aiuta a sradicare il rischio terrorismo. E che le comunità islamiche pacifiche che sono la stragrande maggioranza e chi governa i processi democratici nei paesi occidentali devono fare un tratto di strada insieme. Perché il mancato riconoscimento di diritti civili per una comunità integrata e pacifica è carburante per i camion del terrore”.
Non basta più la condanna. Questo pensano molti italiani. E non solo.
E io sono d’accordo. Sono quasi in imbarazzo a scrivere l’ennesimo comunicato che ribadisce l’ovvia distanza tra noi e gli stragisti che colpiscono gli inermi usando la religione come arma. La nostra reazione è ancora un interrogativo, ma certo replicare lo schema attentato-condanna-presa di distanza lascia ormai il tempo che trova. Noi siamo oltre questo, il 99% dei musulmani non concepisce neppure azioni di questo tipo.
Potreste fare una grande manifestazione nazionale che lasci un segno.
Sono anche scettico sulle dimostrazioni di piazza. Non sono risolutive di nulla e anche se porto in Duomo 500mila musulmani non saranno mai abbastanza, salterà sempre su il Salvini di turno che accusa la comunità di essere collusa ai terroristi.
Ma scusi, chissenefrega di Salvini no? Non è più importante mandare un messaggio al mondo e sgomberare il campo dall’equivoco che alimenta accuse di continuità con i terroristi?
Ma devono scendere tutti in piazza, italiani atei, musulmani. Perché non si scende in piazza quando c’è un disastro ferroviario o quando ci tolgono dei diritti?
L’indomani dell’incidente ferroviario nel barese, in verità, i ferrovieri hanno scioperato per chiedere sicurezza… Anche a Palermo ci sono volute le stragi perché la gente si mobilitasse, ma è successo!
Non sono accomodante, ma devo essere onesto intellettualmente. Sarebbe facile nel mio ruolo inneggiare alla grande manifestazione, ne farei cento così. Ma non credo siano una soluzione.
E allora andiamo al cuore del problema.
Intanto bisogna capire cosa c’è davvero dietro questo attentato. Ai nostri occhi può sembrare indifferente ma il fattore scatenante è fondamentale. A volte è l’integralismo religioso inquadrabile in un conflitto globale, a volte è il disagio delle periferie, altre è pura criminalità. La semplificazione che ricomprende tutto sotto l’ombrello del “terrorismo islamico” è falsa e soprattutto pericolosa. La logica del “noi” e del “voi” crea più problemi di quanti ne risolva. Si arriverà al punto in cui le libertà di tutti verranno compresse. E sono le libertà di tutti noi. Per questo dividerci è la cosa peggiore.
In attesa di capire, cosa succede nella comunità?
Prevale un disorientamento generale, mi ci metto dentro anch’io. Posso testimoniare però che il dolore e la rabbia è la stessa. Ho 10mila contatti Facebook di persone di fede musulmana e tutti esprimono sgomento. Però questo non basta. Perché il problema di fondo, a mio avviso, è proprio nella correlazione che qualcuno traccia tra la pratica della religione islamica e l’azione violenta. La conseguenza è che l’unico musulmano buono, che non rappresenta un pericolo, che non è una quinta colonna, che è integrato totalmente nella società non è musulmano. Ma è una gigantesca mistificazione perché il 99,9 degli islamici delle nostre comunità vive e lavora pacificamente e mai si sognerebbe di immaginare azioni violente.
Quale soluzione immagina, se la immagina?
Islamici e non devono stare uniti, marciare insieme. Dobbiamo fare un’alleanza in cui tutti siamo dalla stessa parte. Dire “voi cosa fate” non ci porta avanti di un millimetro. C’è però un pezzo di strada da fare. Noi lo facciamo tutti i giorni. Lo fanno gli imam, i presidenti di associazione che collaborano, convivono, segnalano. Tengono le porte aperte. Lavorano nel sociale, per la convivenza. Lo fanno poi le seconde generazioni, sulle cui spalle ricade questo peso e questo impegno. Se i giovani musulmani che vivono e lavorano in Italia non si fanno saltare in aria significa che sono stati educati bene, che nessuno gli ha inculcato l’odio. Che quando vanno in moschea non sentono messaggi di intolleranza e illegalità. Ma anche i non islamici, in Italia, devono fare qualcosa.
Ovvero?
Mi chiede perché non andiamo in piazza. Beh, la nostra è comunità che non conta nulla. Non ha neppure il diritto di voto, non ha luoghi di culto. Sono 40 anni che c’è una presenza di musulmani in Italia ed è passata da poche migliaia a due milioni di persone. E nel frattempo non è stata modificata nessuna norma, il diritto sancito per Costituzione non viene applicato. Certo che se contasse qualcosa politicamente la comunità islamica avrebbe dei diritti da difendere e li farebbe valere, anche quando serve a tutti, ma non conta perché non vota. E siccome non vota non ha diritti.
Più diritti in cambio di una dissociazione effettiva e permanente dagli integralisti?
Certo, solo una vera cittadinanza rafforzerebbe gli anticorpi. Ma come si fa a pretendere che questo avvenga spontaneamente, senza un processo riformatore delle regole di convivenza civile che riconosca il valore della comunità pacifica? Chiaro che non ha voce. E’ una comunità fatta di persone umili che non hanno permesso di soggiorno, fanno gli operai. Noi non abbiamo professori universitari, giornalisti, direttori di banca. E’ una comunità che non conta. Ma non si può imputare a una comunità politicamente debole la responsabilità di risolvere un problema.
Potrebbe però fare un passo avanti. Perché così pochi musulmani svolgono un ruolo attivo nella comunità politica?
Solo il 10% dei musulmani sono italiani o di passaporto italiano. Il 90% sono esclusi dalla possibilità di partecipazione alla vita politica di questo Paese dove per avere la cittadinanza devi aspettare 20 anni e a volte non bastano. Perfino per chi è nato qui. Pensi alle polemiche sulla consigliera Sumaya Abdel Qader, prima persona musulmana eletta nel consiglio comunale di Milano.
Appunto, se non fosse la sola ma fossero cento forse non sarebbe stata oggetto di attacchi strumentali.
E se le dicessi che il marito di quella consigliera è venuto in Italia che aveva un mese e a 38 anni è un dentista, ha sempre vissuto solo in Italia e non ha mai avuto la cittadinanza? E’ un esempio, ma figurati l’egiziano che è arrivato 10 anni fa. Sono processi che richiedono tempo.
Il tempo è ormai poco, gli attacchi sono all’ordine del giorno. Il mondo è quasi in guerra.
Per questo sono quasi disarmato, impotente. So solo che questo frapporre ostacoli, pregiudizi e sospetti non fa altro che ostacolare la partecipazione alla vita democratica e civile in questo Paese. Noi vogliano essere il primo anticorpo alla violenza ma non siamo nelle condizioni se non rafforziamo la comunità stessa nelle sue organizzazioni pacifiche e democratiche. Se la lasciamo nel limbo di una semilegalità che fatica ad concedere perfino luoghi di culto non sarà mai in grado di agire da vero anticorpo. L’ombra del sospetto rafforza il buio. La nostra è una comunità che sente il peso della discriminazione, il muro della diffidenza. E’ questo che vorrei dire. Aiutiamoci tutti.
Mondo
Davide Picardo, coordinatore dei musulmani in Lombardua, ha nonni e cugini nella città della Costa Azzurra. Di fronte ai primi titoli sulla strage ha sentito il terrore correre sul filo del telefono. Impotenza, paura, sfiducia. Questo prova l'Islam moderato che non riesce a emergere e farsi sentire, finendo accomunato agli assassini fanatici. "Non è più sufficiente condannare. Noi stiamo facendo la nostra parte, l'Italia deve aiutarci su diritti e spazi di culto. Solo così avremo tutti qualcosa di comune e irrinunciabile da difendere"
di Thomas Mackinson | 19 luglio 2016
COMMENTI (0)
Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza. E al primo titolo sulla “strage col camion” si è attaccato al telefono, in preda all’ansia e al bisogno di sapere che i parenti erano in salvo. Su cosa fare non ha risposte pronte. Il comunicato di condanna, certo. Ma non basta più. Una grande manifestazione in Italia, in Europa? Non basta neppure quello. E allora? “C’è qualcosa che sta sfuggendo a tutti. L’unica certezza è che la semplificazione non aiuta a sradicare il rischio terrorismo. E che le comunità islamiche pacifiche che sono la stragrande maggioranza e chi governa i processi democratici nei paesi occidentali devono fare un tratto di strada insieme. Perché il mancato riconoscimento di diritti civili per una comunità integrata e pacifica è carburante per i camion del terrore”.
Non basta più la condanna. Questo pensano molti italiani. E non solo.
E io sono d’accordo. Sono quasi in imbarazzo a scrivere l’ennesimo comunicato che ribadisce l’ovvia distanza tra noi e gli stragisti che colpiscono gli inermi usando la religione come arma. La nostra reazione è ancora un interrogativo, ma certo replicare lo schema attentato-condanna-presa di distanza lascia ormai il tempo che trova. Noi siamo oltre questo, il 99% dei musulmani non concepisce neppure azioni di questo tipo.
Potreste fare una grande manifestazione nazionale che lasci un segno.
Sono anche scettico sulle dimostrazioni di piazza. Non sono risolutive di nulla e anche se porto in Duomo 500mila musulmani non saranno mai abbastanza, salterà sempre su il Salvini di turno che accusa la comunità di essere collusa ai terroristi.
Ma scusi, chissenefrega di Salvini no? Non è più importante mandare un messaggio al mondo e sgomberare il campo dall’equivoco che alimenta accuse di continuità con i terroristi?
Ma devono scendere tutti in piazza, italiani atei, musulmani. Perché non si scende in piazza quando c’è un disastro ferroviario o quando ci tolgono dei diritti?
L’indomani dell’incidente ferroviario nel barese, in verità, i ferrovieri hanno scioperato per chiedere sicurezza… Anche a Palermo ci sono volute le stragi perché la gente si mobilitasse, ma è successo!
Non sono accomodante, ma devo essere onesto intellettualmente. Sarebbe facile nel mio ruolo inneggiare alla grande manifestazione, ne farei cento così. Ma non credo siano una soluzione.
E allora andiamo al cuore del problema.
Intanto bisogna capire cosa c’è davvero dietro questo attentato. Ai nostri occhi può sembrare indifferente ma il fattore scatenante è fondamentale. A volte è l’integralismo religioso inquadrabile in un conflitto globale, a volte è il disagio delle periferie, altre è pura criminalità. La semplificazione che ricomprende tutto sotto l’ombrello del “terrorismo islamico” è falsa e soprattutto pericolosa. La logica del “noi” e del “voi” crea più problemi di quanti ne risolva. Si arriverà al punto in cui le libertà di tutti verranno compresse. E sono le libertà di tutti noi. Per questo dividerci è la cosa peggiore.
In attesa di capire, cosa succede nella comunità?
Prevale un disorientamento generale, mi ci metto dentro anch’io. Posso testimoniare però che il dolore e la rabbia è la stessa. Ho 10mila contatti Facebook di persone di fede musulmana e tutti esprimono sgomento. Però questo non basta. Perché il problema di fondo, a mio avviso, è proprio nella correlazione che qualcuno traccia tra la pratica della religione islamica e l’azione violenta. La conseguenza è che l’unico musulmano buono, che non rappresenta un pericolo, che non è una quinta colonna, che è integrato totalmente nella società non è musulmano. Ma è una gigantesca mistificazione perché il 99,9 degli islamici delle nostre comunità vive e lavora pacificamente e mai si sognerebbe di immaginare azioni violente.
Quale soluzione immagina, se la immagina?
Islamici e non devono stare uniti, marciare insieme. Dobbiamo fare un’alleanza in cui tutti siamo dalla stessa parte. Dire “voi cosa fate” non ci porta avanti di un millimetro. C’è però un pezzo di strada da fare. Noi lo facciamo tutti i giorni. Lo fanno gli imam, i presidenti di associazione che collaborano, convivono, segnalano. Tengono le porte aperte. Lavorano nel sociale, per la convivenza. Lo fanno poi le seconde generazioni, sulle cui spalle ricade questo peso e questo impegno. Se i giovani musulmani che vivono e lavorano in Italia non si fanno saltare in aria significa che sono stati educati bene, che nessuno gli ha inculcato l’odio. Che quando vanno in moschea non sentono messaggi di intolleranza e illegalità. Ma anche i non islamici, in Italia, devono fare qualcosa.
Ovvero?
Mi chiede perché non andiamo in piazza. Beh, la nostra è comunità che non conta nulla. Non ha neppure il diritto di voto, non ha luoghi di culto. Sono 40 anni che c’è una presenza di musulmani in Italia ed è passata da poche migliaia a due milioni di persone. E nel frattempo non è stata modificata nessuna norma, il diritto sancito per Costituzione non viene applicato. Certo che se contasse qualcosa politicamente la comunità islamica avrebbe dei diritti da difendere e li farebbe valere, anche quando serve a tutti, ma non conta perché non vota. E siccome non vota non ha diritti.
Più diritti in cambio di una dissociazione effettiva e permanente dagli integralisti?
Certo, solo una vera cittadinanza rafforzerebbe gli anticorpi. Ma come si fa a pretendere che questo avvenga spontaneamente, senza un processo riformatore delle regole di convivenza civile che riconosca il valore della comunità pacifica? Chiaro che non ha voce. E’ una comunità fatta di persone umili che non hanno permesso di soggiorno, fanno gli operai. Noi non abbiamo professori universitari, giornalisti, direttori di banca. E’ una comunità che non conta. Ma non si può imputare a una comunità politicamente debole la responsabilità di risolvere un problema.
Potrebbe però fare un passo avanti. Perché così pochi musulmani svolgono un ruolo attivo nella comunità politica?
Solo il 10% dei musulmani sono italiani o di passaporto italiano. Il 90% sono esclusi dalla possibilità di partecipazione alla vita politica di questo Paese dove per avere la cittadinanza devi aspettare 20 anni e a volte non bastano. Perfino per chi è nato qui. Pensi alle polemiche sulla consigliera Sumaya Abdel Qader, prima persona musulmana eletta nel consiglio comunale di Milano.
Appunto, se non fosse la sola ma fossero cento forse non sarebbe stata oggetto di attacchi strumentali.
E se le dicessi che il marito di quella consigliera è venuto in Italia che aveva un mese e a 38 anni è un dentista, ha sempre vissuto solo in Italia e non ha mai avuto la cittadinanza? E’ un esempio, ma figurati l’egiziano che è arrivato 10 anni fa. Sono processi che richiedono tempo.
Il tempo è ormai poco, gli attacchi sono all’ordine del giorno. Il mondo è quasi in guerra.
Per questo sono quasi disarmato, impotente. So solo che questo frapporre ostacoli, pregiudizi e sospetti non fa altro che ostacolare la partecipazione alla vita democratica e civile in questo Paese. Noi vogliano essere il primo anticorpo alla violenza ma non siamo nelle condizioni se non rafforziamo la comunità stessa nelle sue organizzazioni pacifiche e democratiche. Se la lasciamo nel limbo di una semilegalità che fatica ad concedere perfino luoghi di culto non sarà mai in grado di agire da vero anticorpo. L’ombra del sospetto rafforza il buio. La nostra è una comunità che sente il peso della discriminazione, il muro della diffidenza. E’ questo che vorrei dire. Aiutiamoci tutti.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Attentato Nizza, leader delle comunità islamiche: “Basta parole. Unico anticorpo sono i pieni diritti, come la cittadinanza”
Mondo
Davide Picardo, coordinatore dei musulmani in Lombardua, ha nonni e cugini nella città della Costa Azzurra. Di fronte ai primi titoli sulla strage ha sentito il terrore correre sul filo del telefono. Impotenza, paura, sfiducia. Questo prova l'Islam moderato che non riesce a emergere e farsi sentire, finendo accomunato agli assassini fanatici. "Non è più sufficiente condannare. Noi stiamo facendo la nostra parte, l'Italia deve aiutarci su diritti e spazi di culto. Solo così avremo tutti qualcosa di comune e irrinunciabile da difendere"
di Thomas Mackinson | 19 luglio 2016
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Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza. E al primo titolo sulla “strage col camion” si è attaccato al telefono, in preda all’ansia e al bisogno di sapere che i parenti erano in salvo. Su cosa fare non ha risposte pronte. Il comunicato di condanna, certo. Ma non basta più. Una grande manifestazione in Italia, in Europa? Non basta neppure quello. E allora? “C’è qualcosa che sta sfuggendo a tutti. L’unica certezza è che la semplificazione non aiuta a sradicare il rischio terrorismo. E che le comunità islamiche pacifiche che sono la stragrande maggioranza e chi governa i processi democratici nei paesi occidentali devono fare un tratto di strada insieme. Perché il mancato riconoscimento di diritti civili per una comunità integrata e pacifica è carburante per i camion del terrore”.
Non basta più la condanna. Questo pensano molti italiani. E non solo.
E io sono d’accordo. Sono quasi in imbarazzo a scrivere l’ennesimo comunicato che ribadisce l’ovvia distanza tra noi e gli stragisti che colpiscono gli inermi usando la religione come arma. La nostra reazione è ancora un interrogativo, ma certo replicare lo schema attentato-condanna-presa di distanza lascia ormai il tempo che trova. Noi siamo oltre questo, il 99% dei musulmani non concepisce neppure azioni di questo tipo.
Potreste fare una grande manifestazione nazionale che lasci un segno.
Sono anche scettico sulle dimostrazioni di piazza. Non sono risolutive di nulla e anche se porto in Duomo 500mila musulmani non saranno mai abbastanza, salterà sempre su il Salvini di turno che accusa la comunità di essere collusa ai terroristi.
Ma scusi, chissenefrega di Salvini no? Non è più importante mandare un messaggio al mondo e sgomberare il campo dall’equivoco che alimenta accuse di continuità con i terroristi?
Ma devono scendere tutti in piazza, italiani atei, musulmani. Perché non si scende in piazza quando c’è un disastro ferroviario o quando ci tolgono dei diritti?
L’indomani dell’incidente ferroviario nel barese, in verità, i ferrovieri hanno scioperato per chiedere sicurezza… Anche a Palermo ci sono volute le stragi perché la gente si mobilitasse, ma è successo!
Non sono accomodante, ma devo essere onesto intellettualmente. Sarebbe facile nel mio ruolo inneggiare alla grande manifestazione, ne farei cento così. Ma non credo siano una soluzione.
E allora andiamo al cuore del problema.
Intanto bisogna capire cosa c’è davvero dietro questo attentato. Ai nostri occhi può sembrare indifferente ma il fattore scatenante è fondamentale. A volte è l’integralismo religioso inquadrabile in un conflitto globale, a volte è il disagio delle periferie, altre è pura criminalità. La semplificazione che ricomprende tutto sotto l’ombrello del “terrorismo islamico” è falsa e soprattutto pericolosa. La logica del “noi” e del “voi” crea più problemi di quanti ne risolva. Si arriverà al punto in cui le libertà di tutti verranno compresse. E sono le libertà di tutti noi. Per questo dividerci è la cosa peggiore.
In attesa di capire, cosa succede nella comunità?
Prevale un disorientamento generale, mi ci metto dentro anch’io. Posso testimoniare però che il dolore e la rabbia è la stessa. Ho 10mila contatti Facebook di persone di fede musulmana e tutti esprimono sgomento. Però questo non basta. Perché il problema di fondo, a mio avviso, è proprio nella correlazione che qualcuno traccia tra la pratica della religione islamica e l’azione violenta. La conseguenza è che l’unico musulmano buono, che non rappresenta un pericolo, che non è una quinta colonna, che è integrato totalmente nella società non è musulmano. Ma è una gigantesca mistificazione perché il 99,9 degli islamici delle nostre comunità vive e lavora pacificamente e mai si sognerebbe di immaginare azioni violente.
Quale soluzione immagina, se la immagina?
Islamici e non devono stare uniti, marciare insieme. Dobbiamo fare un’alleanza in cui tutti siamo dalla stessa parte. Dire “voi cosa fate” non ci porta avanti di un millimetro. C’è però un pezzo di strada da fare. Noi lo facciamo tutti i giorni. Lo fanno gli imam, i presidenti di associazione che collaborano, convivono, segnalano. Tengono le porte aperte. Lavorano nel sociale, per la convivenza. Lo fanno poi le seconde generazioni, sulle cui spalle ricade questo peso e questo impegno. Se i giovani musulmani che vivono e lavorano in Italia non si fanno saltare in aria significa che sono stati educati bene, che nessuno gli ha inculcato l’odio. Che quando vanno in moschea non sentono messaggi di intolleranza e illegalità. Ma anche i non islamici, in Italia, devono fare qualcosa.
Ovvero?
Mi chiede perché non andiamo in piazza. Beh, la nostra è comunità che non conta nulla. Non ha neppure il diritto di voto, non ha luoghi di culto. Sono 40 anni che c’è una presenza di musulmani in Italia ed è passata da poche migliaia a due milioni di persone. E nel frattempo non è stata modificata nessuna norma, il diritto sancito per Costituzione non viene applicato. Certo che se contasse qualcosa politicamente la comunità islamica avrebbe dei diritti da difendere e li farebbe valere, anche quando serve a tutti, ma non conta perché non vota. E siccome non vota non ha diritti.
Più diritti in cambio di una dissociazione effettiva e permanente dagli integralisti?
Certo, solo una vera cittadinanza rafforzerebbe gli anticorpi. Ma come si fa a pretendere che questo avvenga spontaneamente, senza un processo riformatore delle regole di convivenza civile che riconosca il valore della comunità pacifica? Chiaro che non ha voce. E’ una comunità fatta di persone umili che non hanno permesso di soggiorno, fanno gli operai. Noi non abbiamo professori universitari, giornalisti, direttori di banca. E’ una comunità che non conta. Ma non si può imputare a una comunità politicamente debole la responsabilità di risolvere un problema.
Potrebbe però fare un passo avanti. Perché così pochi musulmani svolgono un ruolo attivo nella comunità politica?
Solo il 10% dei musulmani sono italiani o di passaporto italiano. Il 90% sono esclusi dalla possibilità di partecipazione alla vita politica di questo Paese dove per avere la cittadinanza devi aspettare 20 anni e a volte non bastano. Perfino per chi è nato qui. Pensi alle polemiche sulla consigliera Sumaya Abdel Qader, prima persona musulmana eletta nel consiglio comunale di Milano.
Appunto, se non fosse la sola ma fossero cento forse non sarebbe stata oggetto di attacchi strumentali.
E se le dicessi che il marito di quella consigliera è venuto in Italia che aveva un mese e a 38 anni è un dentista, ha sempre vissuto solo in Italia e non ha mai avuto la cittadinanza? E’ un esempio, ma figurati l’egiziano che è arrivato 10 anni fa. Sono processi che richiedono tempo.
Il tempo è ormai poco, gli attacchi sono all’ordine del giorno. Il mondo è quasi in guerra.
Per questo sono quasi disarmato, impotente. So solo che questo frapporre ostacoli, pregiudizi e sospetti non fa altro che ostacolare la partecipazione alla vita democratica e civile in questo Paese. Noi vogliano essere il primo anticorpo alla violenza ma non siamo nelle condizioni se non rafforziamo la comunità stessa nelle sue organizzazioni pacifiche e democratiche. Se la lasciamo nel limbo di una semilegalità che fatica ad concedere perfino luoghi di culto non sarà mai in grado di agire da vero anticorpo. L’ombra del sospetto rafforza il buio. La nostra è una comunità che sente il peso della discriminazione, il muro della diffidenza. E’ questo che vorrei dire. Aiutiamoci tutti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... a/2908537/
Mondo
Davide Picardo, coordinatore dei musulmani in Lombardua, ha nonni e cugini nella città della Costa Azzurra. Di fronte ai primi titoli sulla strage ha sentito il terrore correre sul filo del telefono. Impotenza, paura, sfiducia. Questo prova l'Islam moderato che non riesce a emergere e farsi sentire, finendo accomunato agli assassini fanatici. "Non è più sufficiente condannare. Noi stiamo facendo la nostra parte, l'Italia deve aiutarci su diritti e spazi di culto. Solo così avremo tutti qualcosa di comune e irrinunciabile da difendere"
di Thomas Mackinson | 19 luglio 2016
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Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza. E al primo titolo sulla “strage col camion” si è attaccato al telefono, in preda all’ansia e al bisogno di sapere che i parenti erano in salvo. Su cosa fare non ha risposte pronte. Il comunicato di condanna, certo. Ma non basta più. Una grande manifestazione in Italia, in Europa? Non basta neppure quello. E allora? “C’è qualcosa che sta sfuggendo a tutti. L’unica certezza è che la semplificazione non aiuta a sradicare il rischio terrorismo. E che le comunità islamiche pacifiche che sono la stragrande maggioranza e chi governa i processi democratici nei paesi occidentali devono fare un tratto di strada insieme. Perché il mancato riconoscimento di diritti civili per una comunità integrata e pacifica è carburante per i camion del terrore”.
Non basta più la condanna. Questo pensano molti italiani. E non solo.
E io sono d’accordo. Sono quasi in imbarazzo a scrivere l’ennesimo comunicato che ribadisce l’ovvia distanza tra noi e gli stragisti che colpiscono gli inermi usando la religione come arma. La nostra reazione è ancora un interrogativo, ma certo replicare lo schema attentato-condanna-presa di distanza lascia ormai il tempo che trova. Noi siamo oltre questo, il 99% dei musulmani non concepisce neppure azioni di questo tipo.
Potreste fare una grande manifestazione nazionale che lasci un segno.
Sono anche scettico sulle dimostrazioni di piazza. Non sono risolutive di nulla e anche se porto in Duomo 500mila musulmani non saranno mai abbastanza, salterà sempre su il Salvini di turno che accusa la comunità di essere collusa ai terroristi.
Ma scusi, chissenefrega di Salvini no? Non è più importante mandare un messaggio al mondo e sgomberare il campo dall’equivoco che alimenta accuse di continuità con i terroristi?
Ma devono scendere tutti in piazza, italiani atei, musulmani. Perché non si scende in piazza quando c’è un disastro ferroviario o quando ci tolgono dei diritti?
L’indomani dell’incidente ferroviario nel barese, in verità, i ferrovieri hanno scioperato per chiedere sicurezza… Anche a Palermo ci sono volute le stragi perché la gente si mobilitasse, ma è successo!
Non sono accomodante, ma devo essere onesto intellettualmente. Sarebbe facile nel mio ruolo inneggiare alla grande manifestazione, ne farei cento così. Ma non credo siano una soluzione.
E allora andiamo al cuore del problema.
Intanto bisogna capire cosa c’è davvero dietro questo attentato. Ai nostri occhi può sembrare indifferente ma il fattore scatenante è fondamentale. A volte è l’integralismo religioso inquadrabile in un conflitto globale, a volte è il disagio delle periferie, altre è pura criminalità. La semplificazione che ricomprende tutto sotto l’ombrello del “terrorismo islamico” è falsa e soprattutto pericolosa. La logica del “noi” e del “voi” crea più problemi di quanti ne risolva. Si arriverà al punto in cui le libertà di tutti verranno compresse. E sono le libertà di tutti noi. Per questo dividerci è la cosa peggiore.
In attesa di capire, cosa succede nella comunità?
Prevale un disorientamento generale, mi ci metto dentro anch’io. Posso testimoniare però che il dolore e la rabbia è la stessa. Ho 10mila contatti Facebook di persone di fede musulmana e tutti esprimono sgomento. Però questo non basta. Perché il problema di fondo, a mio avviso, è proprio nella correlazione che qualcuno traccia tra la pratica della religione islamica e l’azione violenta. La conseguenza è che l’unico musulmano buono, che non rappresenta un pericolo, che non è una quinta colonna, che è integrato totalmente nella società non è musulmano. Ma è una gigantesca mistificazione perché il 99,9 degli islamici delle nostre comunità vive e lavora pacificamente e mai si sognerebbe di immaginare azioni violente.
Quale soluzione immagina, se la immagina?
Islamici e non devono stare uniti, marciare insieme. Dobbiamo fare un’alleanza in cui tutti siamo dalla stessa parte. Dire “voi cosa fate” non ci porta avanti di un millimetro. C’è però un pezzo di strada da fare. Noi lo facciamo tutti i giorni. Lo fanno gli imam, i presidenti di associazione che collaborano, convivono, segnalano. Tengono le porte aperte. Lavorano nel sociale, per la convivenza. Lo fanno poi le seconde generazioni, sulle cui spalle ricade questo peso e questo impegno. Se i giovani musulmani che vivono e lavorano in Italia non si fanno saltare in aria significa che sono stati educati bene, che nessuno gli ha inculcato l’odio. Che quando vanno in moschea non sentono messaggi di intolleranza e illegalità. Ma anche i non islamici, in Italia, devono fare qualcosa.
Ovvero?
Mi chiede perché non andiamo in piazza. Beh, la nostra è comunità che non conta nulla. Non ha neppure il diritto di voto, non ha luoghi di culto. Sono 40 anni che c’è una presenza di musulmani in Italia ed è passata da poche migliaia a due milioni di persone. E nel frattempo non è stata modificata nessuna norma, il diritto sancito per Costituzione non viene applicato. Certo che se contasse qualcosa politicamente la comunità islamica avrebbe dei diritti da difendere e li farebbe valere, anche quando serve a tutti, ma non conta perché non vota. E siccome non vota non ha diritti.
Più diritti in cambio di una dissociazione effettiva e permanente dagli integralisti?
Certo, solo una vera cittadinanza rafforzerebbe gli anticorpi. Ma come si fa a pretendere che questo avvenga spontaneamente, senza un processo riformatore delle regole di convivenza civile che riconosca il valore della comunità pacifica? Chiaro che non ha voce. E’ una comunità fatta di persone umili che non hanno permesso di soggiorno, fanno gli operai. Noi non abbiamo professori universitari, giornalisti, direttori di banca. E’ una comunità che non conta. Ma non si può imputare a una comunità politicamente debole la responsabilità di risolvere un problema.
Potrebbe però fare un passo avanti. Perché così pochi musulmani svolgono un ruolo attivo nella comunità politica?
Solo il 10% dei musulmani sono italiani o di passaporto italiano. Il 90% sono esclusi dalla possibilità di partecipazione alla vita politica di questo Paese dove per avere la cittadinanza devi aspettare 20 anni e a volte non bastano. Perfino per chi è nato qui. Pensi alle polemiche sulla consigliera Sumaya Abdel Qader, prima persona musulmana eletta nel consiglio comunale di Milano.
Appunto, se non fosse la sola ma fossero cento forse non sarebbe stata oggetto di attacchi strumentali.
E se le dicessi che il marito di quella consigliera è venuto in Italia che aveva un mese e a 38 anni è un dentista, ha sempre vissuto solo in Italia e non ha mai avuto la cittadinanza? E’ un esempio, ma figurati l’egiziano che è arrivato 10 anni fa. Sono processi che richiedono tempo.
Il tempo è ormai poco, gli attacchi sono all’ordine del giorno. Il mondo è quasi in guerra.
Per questo sono quasi disarmato, impotente. So solo che questo frapporre ostacoli, pregiudizi e sospetti non fa altro che ostacolare la partecipazione alla vita democratica e civile in questo Paese. Noi vogliano essere il primo anticorpo alla violenza ma non siamo nelle condizioni se non rafforziamo la comunità stessa nelle sue organizzazioni pacifiche e democratiche. Se la lasciamo nel limbo di una semilegalità che fatica ad concedere perfino luoghi di culto non sarà mai in grado di agire da vero anticorpo. L’ombra del sospetto rafforza il buio. La nostra è una comunità che sente il peso della discriminazione, il muro della diffidenza. E’ questo che vorrei dire. Aiutiamoci tutti.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... a/2908537/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
SOCIOLOGIA SPICCIOLA DEI GIORNI DI GUERRA
Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza.
Thomas Mackinson
Già, cosa deve succedere ancora?????
A spanne, se tutto và bene, la Terza Guerra Mondiale. E FORSE NON BASTA.
L’umanità è questa, senza memoria, con i cristiani con la credenza di andare in Paradiso, mentre i mussulmani (maschi, perché alle femmine non tocca nulla), credono di ricevere in premio 72 vergini, come indica il Corano.
Le 72 vergini
From WikiIslam, the online resource on Islam
Questo articolo dice ciò che il Corano, gli hadith e i teologi musulmani dicono sulle 72 vergini, e smentisce i vari luoghi comuni.
Paradiso sensuale[edit]
Nell'islam, il concetto di 72 vergini (houri) si riferisce ad un aspetto del Jannah (Paradiso). Questo concetto si trova nel testo del Corano che descrive un paradiso sensuale dove gli uomini credenti sono premiati avendo in sposa[1] le vergini con dei seni "cresciuti", "gonfi" o "a forma di pera".[2][3] Al contrario, le donne avranno un solo uomo, e "saranno soddisfatte con lui".[4]
Dei teologi musulmani molto famosi, per esempio Gibril Haddad, hanno commentato la natura erotica del paradiso coranico, affermando che alcuni uomini potrebbero aver bisogno dei ghusl (abluzioni richieste dopo un incontro sessuale) solo per aver sentito certi versi.[5]
I teologi musulmani ortodossi come al-Ghazali (morto nel 1111 d.C.) e al-Ash'ari (morto nel 935 d.C) hanno tutti discusso i piaceri sensuali che si trovano in paradiso, collegandoli all'hadith che descrive il paradiso come un mercato di schiavi dove non ci sarà nessun "compra e vendi, ma... se qualche uomo vorrà far sesso con una donna, lo farà e basta."[6][7]
È citato da Ibn Kathir, nel suo Commento del Corano, il Tafsir ibn Kathir,[8] e sono descritti graficamente dal commentatore del Corano ed eclettico, al-Suyuti (morto nel 1505), che, confermando un hadith hasan[9] from Ibn Majah,[10] scrisse che le perenni vergini avranno tutte "delle vagine appetenti", e che "i peni degli eletti non si ammosceranno mai. L' erezione è eterna".[11]
Il piacere sensuale tra i credenti e le vergini in paradiso è confermato anche da due collezioni di hadith Sahih, chiamate Sahih Bukhari[12] e Sahih Muslim, dove leggiamo che saranno delle vergini talmente belle, pure e trasparenti che "il midollo delle ossa delle loro gambe sarà visibile attraverso le ossa e la carne",[13] e che "i credenti le visiteranno e godranno di loro".[14]
Discutendo con un amico, poco prima di mezzogiorno, circa il malessere profondo che attraversa la società italiana ed anche quella del resto del mondo, a sostegno della tesi che il nostro non è un popolo, ma solo un’accozzaglia di individui, mi ha raccontato dell’esperienza fatta da suo zio in un campo di concentramento di Norimberga.
Il giovane ufficiale tedesco, poco più che ventenne, comandato alla sorveglianza dei prigionieri, voltava la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere, quando gli italiani si arrabattavo alla ricerca di una buccia di patata.
Erano spinti dalla necessità di sopravvivere.
Ma a massacrarli, erano i repubblichini, italiani pure loro.
Se anche in una condizione così estrema per tutti, gli “italiani brava gente” si comportavano così 73 anni fa, come si può pretendere che si possa convivere con chi ha culture e religioni diverse, oggi??????
Cosa deve accadere ancora. Che cosa, perché la comunità islamica abbia un sussulto decisivo. Perché manifesti concretamente la propria avversione incondizionata al terrorismo. E’ la prima domanda per il coordinatore delle comunità islamiche milanesi Davide Piccardo che ha nonni e cugini proprio a Nizza.
Thomas Mackinson
Già, cosa deve succedere ancora?????
A spanne, se tutto và bene, la Terza Guerra Mondiale. E FORSE NON BASTA.
L’umanità è questa, senza memoria, con i cristiani con la credenza di andare in Paradiso, mentre i mussulmani (maschi, perché alle femmine non tocca nulla), credono di ricevere in premio 72 vergini, come indica il Corano.
Le 72 vergini
From WikiIslam, the online resource on Islam
Questo articolo dice ciò che il Corano, gli hadith e i teologi musulmani dicono sulle 72 vergini, e smentisce i vari luoghi comuni.
Paradiso sensuale[edit]
Nell'islam, il concetto di 72 vergini (houri) si riferisce ad un aspetto del Jannah (Paradiso). Questo concetto si trova nel testo del Corano che descrive un paradiso sensuale dove gli uomini credenti sono premiati avendo in sposa[1] le vergini con dei seni "cresciuti", "gonfi" o "a forma di pera".[2][3] Al contrario, le donne avranno un solo uomo, e "saranno soddisfatte con lui".[4]
Dei teologi musulmani molto famosi, per esempio Gibril Haddad, hanno commentato la natura erotica del paradiso coranico, affermando che alcuni uomini potrebbero aver bisogno dei ghusl (abluzioni richieste dopo un incontro sessuale) solo per aver sentito certi versi.[5]
I teologi musulmani ortodossi come al-Ghazali (morto nel 1111 d.C.) e al-Ash'ari (morto nel 935 d.C) hanno tutti discusso i piaceri sensuali che si trovano in paradiso, collegandoli all'hadith che descrive il paradiso come un mercato di schiavi dove non ci sarà nessun "compra e vendi, ma... se qualche uomo vorrà far sesso con una donna, lo farà e basta."[6][7]
È citato da Ibn Kathir, nel suo Commento del Corano, il Tafsir ibn Kathir,[8] e sono descritti graficamente dal commentatore del Corano ed eclettico, al-Suyuti (morto nel 1505), che, confermando un hadith hasan[9] from Ibn Majah,[10] scrisse che le perenni vergini avranno tutte "delle vagine appetenti", e che "i peni degli eletti non si ammosceranno mai. L' erezione è eterna".[11]
Il piacere sensuale tra i credenti e le vergini in paradiso è confermato anche da due collezioni di hadith Sahih, chiamate Sahih Bukhari[12] e Sahih Muslim, dove leggiamo che saranno delle vergini talmente belle, pure e trasparenti che "il midollo delle ossa delle loro gambe sarà visibile attraverso le ossa e la carne",[13] e che "i credenti le visiteranno e godranno di loro".[14]
Discutendo con un amico, poco prima di mezzogiorno, circa il malessere profondo che attraversa la società italiana ed anche quella del resto del mondo, a sostegno della tesi che il nostro non è un popolo, ma solo un’accozzaglia di individui, mi ha raccontato dell’esperienza fatta da suo zio in un campo di concentramento di Norimberga.
Il giovane ufficiale tedesco, poco più che ventenne, comandato alla sorveglianza dei prigionieri, voltava la testa dall’altra parte, facendo finta di non vedere, quando gli italiani si arrabattavo alla ricerca di una buccia di patata.
Erano spinti dalla necessità di sopravvivere.
Ma a massacrarli, erano i repubblichini, italiani pure loro.
Se anche in una condizione così estrema per tutti, gli “italiani brava gente” si comportavano così 73 anni fa, come si può pretendere che si possa convivere con chi ha culture e religioni diverse, oggi??????
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