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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Matteo Salvini, comizio con bambola gonfiabile: “E’ sosia della Boldrini”. Poi: “Non mi scuso, è razzista con italiani”
Diritti
Lo show grottesco del segretario a una festa della Lega diventa un caso. La presidente della Camera commenta: "La lotta politica si fa con gli argomenti, non con le offese". Critiche da Pd, Sel, Area Popolare. Ma il leader del Carroccio rilancia: "Troppe tasse e troppi migranti, è una politica indegna". Il sindaco di Cascina Susanna Ceccardi: "Non ha offeso le donne, ma la Boldrini"
di F. Q. | 25 luglio 2016
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Una bambola gonfiabile sul palco. Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini che la presenta come la “sosia della Boldrini”. La folla che esulta. La festa della Lega Nord a Soncino, provincia di Cremona, diventa un caso. Il leader del Carroccio viene ricoperto dalle critiche di quasi tutti i partiti, non solo di maggioranza: Pd, Sel, Area Popolare. Ma Salvini non si muove di un millimetro: “Non mi scuso, è lei che è razzista con gli italiani”. In precedenza la presidente della Camera si era limitata a un breve commento su facebook: “Le donne non sono bambole e la lotta politica si fa con gli argomenti, per chi ne ha, non con le offese. Lascio a voi ogni commento”.

La scena della festa leghista è immortalata da un video pubblicato dal quotidiano La Provincia, dove si vede Salvini che ad un certo punta indica una bambola gonfiabile presente sul palco: “E qui – dice – abbiamo una sosia della Boldrini”. Il pubblico esplode in una sonora risata, e comincia ad intonare cori d’incoraggiamento nei confronti del leader del Carroccio: “Un capitano, c’è solo un capitano”. Poco prima, invece, Salvini era rimasto a torso nudo mentre tentava d’indossare la maglietta della Lega nord locale. “Le donne mi dicono che sono più magro rispetto a quando vado in televisione: ma se me lo dicono gli uomini mi preoccupo”. Non è la prima volta che il leader del Carroccio ha lanciato offese all’indirizzo dell’ex portavoce dell’Unhcr. Pomo della discordia, come sempre, è il tema dell’immigrazione: “In Italia non c’è spazio per tutti la Boldrini deve essere ricoverata”, diceva il segretario leghista nel giugno 2015.

Pd e Sinistra Italiana si muovono in difesa della presidente della Camera e all’attacco di Salvini: “Una squallida esibizione di sessismo – dice il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi – La frase di Matteo Salvini non è giustificabile in alcun modo. Non offende solo la presidente Laura Boldrini, cui va la mia solidarietà, ma anche tutte le donne e gli uomini del nostro paese”. Salvini, aggiunge attraverso Twitter il ministro per la Pubblica amministrazione Marianna Madia, “ha meno cervello di una bambola gonfiabile”. Uno “squallore senza limiti” lo definisce il leader di Sel Nichi Vendola.

Salvini ha meno cervello di una bambola gonfiabile. Solidarietà a @lauraboldrini

— Marianna Madia (@mariannamadia) 25 luglio 2016

Non so se #Salvini mi fa più pena o schifo. C’è un limite a tutto. Questo è veramente troppo #rispetto #donne

— Alessia Morani (@AlessiaMorani) 25 luglio 2016

E tutto questo potrebbe avere subito un effetto sulla coalizione di centrodestra che proprio negli ultimi giorni sembrava poter avere qualche speranza di ricostituzione con la possibile leadership di Stefano Parisi. “L’onorevole Salvini – dice Fabrizio Cicchitto, Nuovo Centrodestra – è al di là del bene e del male con il suo attacco alla presidente Boldrini in cui evoca le bambole gonfiabili”. “Proprio oggi – aggiunge – l’onorevole Salvini ha tassativamente escluso qualunque possibile alleanza con l’onorevole Alfano e il sottoscritto, gliene siamo molto grati e ricambiamo il giudizio”.

Ma Salvini non solo non chiede scusa, ma rilancia: “In un’Italia che chiede il 70 per cento di tasse a chi produce, dove sbarcano 1.500 clandestini al giorno, il problema è Salvini e una bambola? La Boldrini è indegna come politico e come presidente della Camera, e se si dimette domani fa solo un piacere al Paese. Io non distinguo gli esseri umani né i politici fra uomini e donne, distinguo le persone per bene e le persone per male. Persone che fanno il loro lavoro e persone che non lo fanno. La Boldrini è donna, potrebbe essere uomo, potrebbe essere Superman o l’Uomo Ragno, non è in grado di gestire la Camera e come politico non rappresenta gli italiani”. Se è così, si attende un altro comizio con un bambolo gonfiabile maschio.

A difendere Salvini è il sindaco leghista di Cascina, in provincia di Pisa, eroina della Lega alle ultime Comunali perché vincente in una terra “rossa”. Secondo Susanna Ceccardi, dunque, “Salvini non ha mica offeso le donne, ha offeso la Boldrini. E io, come donna, non mi sono offesa perché non mi sento rappresentata da lei”. “Se qualcuno offende Renzi – dice la Ceccardi all’Ansa – non credo che gli uomini si sentano offesi come tali. Matteo tra l’altro non è assolutamente sessista e lo dimostra il suo lungo operato. A cominciare dal fatto di come ha promosso e sostenuto la mia candidatura a sindaco o quella, a Bologna, di Lucia Bergonzoni“.

*Video da La Provincia di Cremona

di F. Q. | 25 luglio 2016


VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/07 ... e/2931186/
camillobenso
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA




Il post precedente della “Bambola gonfiabile” di Salvini, è la prova provata che stiamo vivendo una fase drammatica e difficilissima, senza via di scampo.

E’ la prova che l’Italia in mano ai quarantenni, mega bamboccioni cretini ed imbecilli, non può che andare a sbattere senza via di scampo.

Un mese fa, una sera sotto i portici ho incontrato l’ex sindaco con cui scambio pareri quando ci si incontra, anche perché è un coetaneo.

Alla fine ha concluso sostenendo: “Noi, oramai la nostra parte l’abbiamo fatta, adesso tocca ai giovani”.

Questa frase me la sento ripetere in continuazione dai settantatreenni in avanti.

Come dire; “Ma perché perdi tempo dietro alla politica, adesso tocca ai giovani”

Tocca ai giovani una mazza. Non hanno capito che razza di giovani abbiamo allevato.

E la responsabilità, o come si dice comunemente, la colpa, è della mia generazione che non è stata in grado di allevare dei figli che non fossero obbligatoriamente mega bamboccioni, cretini e imbecilli.

Questa è la generazione dei Matteo. Matteo Salvini, Matteo Renzi detto il Bomba, Matteo Orfini.

Delle autentiche nullità dal punto di vista politico.

Ma si potrebbero chiamare Matteo anche Orlando, la Madia, o la Boschi. La Morani, la Ascani o la Serracchiani.

La loro nullità politica emerge ogni volta che aprono bocca.

E Angelino che è anche lui della generazione dei “Matteo” dove lo vogliamo mettere??????????

Per risolvere la crisi di otto anni fa, avrebbero fatto fatica i De Gasperi e gli Einaudi.

Figuriamoci questi quattro bamboccioni spelacchiati, ignoranti, incapaci, prepotenti e presuntuosi, che vedono solo la poltrona e non una Nazione che sta andando a Ramengo.

Non che i D’Alema o i Bersani siano meglio.

Ma adesso il pallino lo hanno in mano questi quarantenni incapaci.

Quindi, aspettiamoci di tutto.

La Repubblica democratica è iniziata con i padri fondatori e si conclude con i nipoti degeneri.

Un grande vecchio, Giovanni Sartori, lo aveva scritto subito sulle pagine del Corriere, appena appresa la lista del nuovo governo nel febbraio del 2014.

“QUESTO E’ UN GOVERNO DI INCAPACI GUIDATO DA UN’INCAPACE”


Non ci voleva molto a capirlo. Era solo una questione di esperienza.

Ma i merli tricolori hanno voluto provare. Hanno voluto sbatterci la testa.

Dopo due anni e mezzo del governo del Bomba, piano piano se ne stanno rendendo conto delle parole del vecchio Sartori.

Solo che adesso è troppo tardi e dovremo andare a sbattere contro il muro a tutta velocità.

A meno che qualcuno non abbia in tasca una soluzione magica per non andare a sbattere.

UNA SOLUZIONE CHE IO NON RIESCO A VEDERE.
Maucat
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da Maucat »

La generazione degli Ufo Robot, dei videogiochi, della musica da sballo in discoteca, dell'apparenza, degli smartphone dipendenti, dei senza ideologie (e ideali), dei cacciatori di Pokemon...
Cosa poteva venir fuori da costoro?
Vanno rottamati loro e non i "vecchietti" che forse sono l'unica risorsa rimasta a questo nostro Paese...
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LIBRE news

C’è qualcosa peggio di Renzi? Ma certo: è la sinistra Pd

Scritto il 26/7/16 • nella Categoria: idee Condividi


Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani…


C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime.



Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo.



E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa.

Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale.

D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.


Che poi il referendum si faccia davvero il 6 novembre non sarei così sicuro, soprattutto per il rischio che si sovrapponga la crisi delle banche e magari l’ipotesi spacchettamento torna utile non per essere attuata, ma per fare manfrina fra Cassazione e Corte Costituzionale e guadagnare due o tre mesi di tempo, poi chi vivrà vedrà.


In questo quadro fosco di drammi internazionali e di scenari interni assai preoccupanti, la sinistra Pd trova il modo di farci ridere, nostro malgrado, con una proposta elettorale semplicemente indecente.


La riforma, presentata da quel raro talento di Speranza, prevede l’elezione dei deputati in 475 collegi uninominali a turno unico e 12 eletti all’estero con sistema proporzionale.

Gli altri 143 seggi vengono così assegnati: 90 alla prima lista o coalizione, fino a un totale massimo di 350 deputati; 30 alla seconda lista o coalizione; 23 divisi tra chi supera il 2% e ha meno di 20 eletti.


Cioè: eliminiamo il doppio turno perché se no vince Grillo, facciamo i collegi uninominali perché abbiamo più possibilità di battere Grillo, e ci accaparriamo così la maggioranza dei seggi.

Poi, come se non bastasse, ci aggiungiamo altri 90 seggi, ma solo sino ad un massimo di 350, badate bene: ben 4 in meno del premio previsto dall’Italicum, 30 li diamo alla seconda lista (sperando che sia la destra e non il M5s) e 23 li distribuiamo come mancia fra quelli che, avendo superato la clausola di sbarramento del 2%, abbiano avuto meno di 20 seggi così una lista che magari ha avuto il 18% ma solo 15 seggi uninominali, piò anche arrivare ad averne 23-24 (una mancia non si nega a nessuno).


E se non ci sono liste con più del 2% e meno di 20 seggi?

In quel caso i 23 seggi li ridistribuiamo fra le due prime liste, ma se poi la prima lista ha già 350 seggi, li diamo alla seconda, tanto non cambia molto.

Cioè un metodo maggioritario con correzione maggioritaria e clausola di sbarramento.


L’Italicum è molto meno disrappresentativo: in fondo, quello che avanza da quel che va al vincitore, lo distribuisce proporzionalmente fra tutti quelli che superano la soglia di sbarramento.


Naturalmente, questo superbo metodo elettorale che non ha eguali nel mondo (da nessuna parte si somma il maggioritario uninominale, il premio di maggioranza e la clausola di sbarramento, ma con la mancia finale) avrebbe il dono di far superare tutti i dubbi sulla riforma costituzionale e la “sinistra Pd” potrebbe lietamente aiutare Renzi a vincere!


E ci vogliono imbrogliare?

A Lecce dicono: “Io e te, ad un altro, sì. Tu a me no”.

Poi la ciliegina sulla torta: Speranza dice che l’uninominale aiuterebbe a colmare il divario fra eletti ed elettori perché si restituirebbe agli elettori la possibilità di scegliere il rappresentante: come dire che, al ristorante ti presento una lista con un solo piatto e ti dico: “scegli!”.

Ma Speranza è cretino o pensa che siano cretini tutti gli altri? Secondo me fa il doppio gioco…

Neanche a dirlo il sistema è anche tecnicamente fatto in modo sbagliato, per cui può produrre risultati assolutamente controintuitivi.

Ad esempio, assegnare la maggioranza al secondo e non al primo: se una lista, prevalendo di un solo voto per collegio, si accaparra 316 seggi ha già la maggioranza e, anche se il suo concorrente ottiene più voti nazionali, con tutto il premio dei 90 seggi, perde.


Oppure può benissimo darsi che per la distribuzione del voto, nessuno abbia la maggioranza assoluta perché la lista A ottiene 200 seggi uninominali, più i 90 del premio (= 290) la lista B altri 200 (+ 30= 230) e gli altri 75 seggi uninominali vadano alla lista C ed ai minori che si prendono anche i 23 seggi di mancia.

Risultato: nessuno ha la maggioranza per governare e, per di più abbiamo realizzato il sistema più disrappresentativo del mondo.

Un capolavoro di ineguagliata grandezza!

Questi della sinistra Pd (che non si capisce a nome di chi parlino e chi rappresentino) sono degli stalinisti andati a male per overdose di opportunismo e se sono “sinistri” lo sono nel senso di “loschi”.

Il giorni in cui Renzi li sterminerà sino all’ultimo con ferocia turca, io applaudirò freneticamente.

Anche alla disonestà intellettuale occorre mettere un limite, soprattutto quando viene da persone intellettualmente ipodotate.

(Aldo Giannuli, estratti da “C’è qualcosa di peggio di Renzi? Sì, la sinistra Pd”, dal blog di Giannuli del 21 luglio 2016).
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA



E CHI LO METTE A POSTO QUESTO PAESE??????????


L'INCHIESTA
Dalla Banda della Magliana alla Cassazione, l'avvocato usuraio dai mille misteri
Un gruppo di cravattari è stato arrestato dalla Dia di Roma. A capo dell'organizzazione un ex maresciallo diventato legale di un boss della 'ndrangheta. E sullo sfondo volti noti della malavita romana e presunte pressioni per aggiustare una sentenza
DI GIOVANNI TIZIAN
26 luglio 2016


Cravattari con amicizie di peso nella criminalità organizzata. Legati ai reduci della vecchia banda della Magliana e a un boss della 'ndrangheta. Un gruppo assortito di diverse estrazioni. Con a capo un ex maresciallo dei carabinieri poi diventato avvocato. E proprio quest'ultimo, Benedetto Stranieri, è il link con il clan calabro-emiliano Grande Aracri.

Una liason tra l'avvocato e la 'ndrina decisamente pericolosa. Sullo sfondo, infatti, persino il tentativo di condizionare l'esito di un processo in Cassazione per favorire un fedelissimo del padrino Nicolino Grande Aracri, detto “Manuzza”. Il variegato sistema criminale è finito sotto accusa nell'indagine “Old Cunning” della Direzione investigativa antimafia di Roma coordinata dalla procura capitolina. Sedici in tutto gli arresti disposti dal gip del tribunale nei confronti di una «associazione criminale dedita stabilmente e in forma organizzata alla commissione nel territorio capitolino di delitti di usura e riciclaggio».

“Old Cunning” ha preso il via nel 2012: il primo a finire nella rete di intercettazioni è Antonio D'Angeli. Apparentemente un tranquillo pensionato, in realtà un terminale dei soldi che poi venivano prestati. Per questo, come fanno notare gli investigatori, aveva grosse disponibilità di denaro. Da qui sono partiti gli agenti della Dia. E hanno individuato un gruppo organizzato in stretti rapporti con personaggi noti negli ambienti del milieu romano.

Nelle carte dell'inchiesta vengono infatti citati nomi noti della banda della Magliana. C'è Manlio Vitale “Er Gnappa”, c'è Giuseppe De Tomaso “Sergione er Ciccione”, c'è il “Presidente” Oberdan, deceduto nel 2012. E non mancano i riferimenti a vecchie indagini in cui spuntavano contatti con i Nicoletti e persino alcuni esponenti dei Casamonica. Insomma, un pezzo del sottobosco criminale capitolino che, in fondo, non è mai andato in pensione. Proprio questi legami avevano forte presa sulle vittime. C'era la fila per chiedere soldi in prestito. A Stranieri & Co si rivolge chiunque. Il politico locale, Antonio Aumenta de La Destra, riceve, per esempio, 7.500 euro, «con un tasso mensile che poteva arrivare anche al 10 per cento» si legge nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice.

VEDI ANCHE:
Mafia Capitale
Padrini, terroristi, servizi segreti e massoni: così dalla Magliana è nata mafia Capitale

Quarant'anni fa i capi di 'ndrangheta e banda della Magliana si riunivano al Fungo. Lo stesso luogo dove è cresciuto Massimo Carminati. E che ritorna nell'inchiesta su Mafia Capitale. Che sembra sempre più l'evoluzione criminale della vecchia banda di Romanzo Criminale.


Tra le vittime del gruppo di cravattari è finito anche Giorgio Heller, presidente di Roma Capitale Investments Foundation (fondazione creata durante la giunta Alemanno i cui membri fondatori sono Atac, Poste Italiane, Agenzia Spaziale Italiana, Associazione Italia-Cina, Bunkersec Corp, Esri Italia, Etika Solar, Partecipazioni SpA, Skyset, Spoleto Credito e Servizi, Valore Impresa). Le intercettazione, molte del 2013, rivelano i contatti con gli usurai legati alla banda e alla 'ndrangheta.

«I prestiti ricevuti ammontano complessivamente ad euro
5.700,00 (1.500,00 + 2.000,00 + 2.200,00), con applicazione del tasso mensile d'interesse dell 10 per cento (120 annuo)» riportano i detective antimafia. «Giorgio il tuo comportamento non mi piace, voglio vedere se mi cerchi o ti devo venire a cercare», è la minaccia che Roberto Castroni (anche lui finito in carcere) rivolge a Heller. E poi, rivolgendosi a qualcuno che era con lui, dice esplicitamente: «lui mi deve dare i soldi». In un'altra telefonata è il presidente della Fondazione a lamentarsi delle pressioni: «Poi chi se ne frega!! Mica posso andare tutti i giorni a cercare soldi per la gente».

Negli atti dell'inchiesta ci sono poi contatti diretti tra l'avvocato Stranieri e Heller. L'ex maresciallo chiedeva aiuto per sbrigare una pratica di un amico bloccata da Invitalia. Tra gli indagati anche due gestori di altrettanti bar che avevano il compito di riciclare i proventi dell'usura attraverso la riscossione di titoli di credito degli usurati che venivano immediatamente sostituiti con denaro liquido.

C'è, infine, un filone rimasto sotto traccia che lega le indagini sulla 'ndrangheta emiliana e, questa, sugli amici della vecchia banda. Riguarda le presunte pressioni su un giudice di Cassazione per ottenere una sentenza favorevole al clan Grande Aracri. Numerosi gli indizi di un contatto presso il Palazzaccio. Benedetto Stranieri e sua sorella Lucia, pure lei avvocato, si muovono in tal senso. Nelle intercettazioni emerge tutta la loro sicurezza, certi di poter risolvere la questione. In effetti, la sentenza incriminata verrà annullata. Persino Lucia, persona di solito molto riservata al telefono, si è lasciata scappare una frase che per gli investigatori è significativa: «Glielo puoi anticipare che va tutto bene, io ho fatto quello che dovevo fare, l'ho fatto bene per l'ennesima volta digli ai signori».

Il riferimento è all'opera di pressione sulla corte, avevano ipotizzato inquirenti e investigatori. Le indagini successive, però, non hanno permesso di individuare il togato o il cancelliere che avrebbe favorito gli amici degli Stranieri. L'unica cosa certa, spiegano le fonti sentite da “l'Espresso”, è il canale attraverso il quale si è sviluppato questo presunto dialogo: Lucia Stranieri e l'avvocato presso cui lavora, Vito Villani.
Questa pista investigativa era finita nell'inchiesta sui Grande Aracri coordinata dalle procure di Bologna e Catanzaro. Già in quell'indagine spuntavano personaggi molto influenti. Come la faccendiera Grazia Veloce con un passato di assistente per i potenti democristiani della Capitale, e solidi rapporti con ambienti massonici e vaticani.

Il filone Cassazione, dunque, resta al momento ancora avvolto nel mistero. Con due sole certezze: Benedetto Stranieri che in un dialogo intercettato racconta di un incontro con alcuni magistrati vicino alla stazione Termini; la sentenza annullata con rinvio proprio come richiesto dal padrino Grande Aracri.
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CRONACA DI GIORNI DI GUERRA





26 LUG 2016 17:03
MONTEPASCHI, STRESS TEST

- SOLO 48 ORE PER EVITARE IL PANICO MA SONO DIVISI SU TUTTO

- PADOAN VUOLE UN DECRETO, RENZI NO: TEME IL COSTO POLITICO DI FAR PAGARE GLI OBBLIGAZIONISTI

- E SOSPETTA CHE PIERCARLO VOGLIA SFILARGLI LA POLTRONA A PALAZZO CHIGI PROPRIO A CAUSA DI MPS




Dagonota


E' da un mese, dall'indomani del referendum sulla Brexit, che il Monte Paschi è il "malato d'Europa" del sistema bancario. La Costituzione dice che il governo deve "tutelare il risparmio".

Padoan vuole un decreto. Renzi si oppone: teme che paghino gli obbligazionisti; e dopo il caso Etruria ci vuole andare con i piedi di piombo. Anche perchè le obbligazioni subordinate sottoscritte dai risparmiatori delle 4 banche fallite ammontavano a 300 milioni, quelle di Mps sono almeno dieci volte tanto.

A questo si aggiungano i sospetti di Matteo sulle intenzioni di Piercarlo di sfrattarlo da Palazzo Chigi. Magari sfruttando proprio il caso Mps. E l'incomunicabilità è completa.

Incomunicabilità che sembra il leit motive dei rapporti fra sistema bancario e governo. Quando nel Resto dell'Europa e del Mondo sono state avviate le ristrutturazioni ed i sostegni pubblici alle banche, in Italia sia la Banca d'Italia sia la Consob dicevano che il "sistema era solido". Tant'è che nessun istituto s'è fatto avanti, a tranne Mps.

Eppure, qualche scricchiolìo doveva pur esserci; visto quel che è successo a Popolare di Vicenza, per non parlare delle 4 banche fallite. E dov'erano Bankitalia e Consob?

Il risultato è che il Fondo Atlante (che ora succhia 500 milioni pure dalle pensioni dei professionisti) rischia di diventare un Atlantide, destinato a sprofondare...

Alle dieci di sera di venerdì (Wall Street chiusa) saranno resi noti gli stress test. A quel punto, restano solo 48 ore per trovare una soluzione su Mps. Molto tempo servirà perchè qualcuno possa fare autocritica...
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
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MONTE DEI PACCHI DI SIENA, VISTO DAL CORRIERE


Federico Fubini per il “Corriere della Sera”


Mai un' operazione finanziaria aveva unito tanta incertezza e complessità tecnica in Italia, con tante contraddizioni nelle richieste delle istituzioni europee. Il cantiere del risanamento del Monte dei Paschi di Siena sta entrando nella stretta finale con un evidente ritardo nella definizione di qualche dettaglio essenziali, e con un approccio dei regolatori in Europa dal quale emerge soprattutto una cronica assenza di leadership .

I contenuti tecnici non sono il problema più piccolo, fra quelli ancora da risolvere. In questi giorni un primo aspetto del confronto in Italia sul futuro di Mps riguarda il piano di cessione di circa dieci miliardi netti di crediti, tutti a rischio più o meno grave di default .

L' acquirente delle parti più rischiose oggi in vendita è il fondo Atlante, creato su iniziativa del governo ma interamente finanziato da privati. Fissare il prezzo di quelle vendite è ovviamente vitale per Mps: più i prezzi saranno alti, minore sarà la perdita e dunque la successiva esigenza di capitale per la banca di Siena.

Anche il prezzo di vendita dei crediti difficili di qualità migliore, permessa grazie all' intervento di JpMorgan in vista di una cessione successiva sotto forma di pacchetti di titoli, dipende dai parametri della transazione di Atlante.

Quell' operazione andrà chiusa prima di venerdì, ma si sta rivelando piena di ostacoli e non solo perché Mps chiede un prezzo più alto mentre Atlante spinge in direzione opposta. In condizioni normali, questi pacchetti di crediti in vendita vengono valutati grazie ai loro rating , ossia ai giudizi di solidità dei debitori sottostanti.

A maggior ragione le agenzie di rating hanno un ruolo essenziale nel valutare gli impieghi problematici di Mps che JpMorgan intende mettere poi sul mercato. È per questo che di solito anche un' operazione molto più piccola di quella in corso su Montepaschi richiede un esame lungo mesi su ciascun credito, per capirne il vero valore e fissare un prezzo accettabile sia al compratore che al venditore.

Nel caso di Monte dei Paschi, niente di tutto questo è possibile. Non lo è perché la banca ha aspettato l' ultimo momento prima di avviare le cessioni.


Adesso per Atlante spendere 1,7 miliardi di euro comprando debiti in parziale default senza disporre di un giudizio di solidità, significa accettare un salto nel buio. In una normale dinamica di mercato, questa carenza di informazioni deprimerebbe i prezzi della transazione. Questa però non è una situazione normale: un prezzo troppo basso per quei crediti rischia di aprire nuove perdite per Mps e portare la Banca centrale europea a imporre una ricapitalizzazione insostenibilmente forte per la banca.


Dunque fra Siena, Atlante e JpMorgan si negozia al buio, con l' obiettivo di chiudere nei prossimi due giorni senza conoscere bene le conseguenze di un accordo.

Quell' intesa è destinata ad atterrare sul tavolo del Consiglio unico di sorveglianza della Bce, se possibile già giovedì o venerdì. Non tutti in quell' organismo, separato e autonomo dalla politica monetaria guidata da Mario Draghi, potranno vantare di aver seguito fin qui un approccio lineare.

Sulla base di un ipotetico scenario di recessione futura contenuto in uno «stress test», la Bce sta per imporre a Montepaschi di rafforzare in fretta il proprio patrimonio dopo aver già imposto alla banca 8 miliardi di aumenti di capitale e aver convalidato i suoi livelli di robustezza ben due volte: nell'«esame approfondito» (Aqr) del 2014 e nella revisione (Srep) del 2015. Ora il cambio di rotta improvviso.


Nel frattempo però la Commissione Ue impone vincoli sull' intervento pubblico che scoraggiano gli investitori privati e rendono molto più difficile proprio la ricapitalizzazione di Mps chiesta da Francoforte.

Così ciascun organismo Ue segue una propria logica interna anche se è incompatibile con quella delle alte burocrazie dell' Unione: attraverso le istituzioni, un altro sintomo del vuoto di leadership che oggi paralizza l' Europa.
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA CALDA ESTATE DEL 2016
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Canone Rai in bolletta, Federconsumatori: “È arrivato anche a chi non ha la tv”
Numeri & News
Secondo l'associazione, le segnalazioni sono "numerosissime". In caso di errore, si può pagare solo la quota energia. Se l'utente ha già fatto il versamento, potrà chiedere il rimborso della quota non dovuta, anche se la procedura deve essere ancora fissata con un decreto che uscirà ai primi di agosto
di F. Q. | 27 luglio 2016
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Il canone Rai in bolletta è arrivato anche a chi non ha la tv. La denuncia arriva dalla Federconsumatori, secondo cui sono “numerosissime” le segnalazioni degli utenti che, pur avendo presentato la dichiarazione di non detenzione dell’apparecchio televisivo nei termini previsti, si sono visti recapitare una bolletta che comprende anche 70 euro di canone. Altro errore estremamente diffuso, secondo l’associazione, è l’addebito di 70 euro anche a coloro che hanno presentato la dichiarazione di non detenzione nel periodo compreso tra il 16 maggio e il 30 giugno, a cui dovrebbero essere invece addebitati solo 51,03 euro.

L’associazione comunica in una nota che è possibile pagare la sola quota energia, secondo le modalità stabilite dal gestore. Se, invece, il pagamento è stato già effettuato, si può chiedere il rimborso del canone non dovuto, seguendo una procedura che deve essere ancora definita. A questo proposito Federconsumatori ricorda che si attende un provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate, che dovrebbe essere emanato entro il 4 agosto.

“E’ evidente che la macchina burocratico amministrativa si sta muovendo all’insegna della lentezza e dell’inefficienza”, afferma il presidente, Rosario Trefiletti. “Le problematiche che si stanno verificando -aggiunge- erano perfettamente prevedibili e questo rende ancora più inaccettabile una situazione i cui costi si ripercuotono sui cittadini”.

di F. Q. | 27 luglio 2016
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
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E' PER QUANTO ESPRESSO NEL POST PRECEDENTE CHE :
RENZI TEME LA REAZIONE POPOLARE: STANNO ARRIVANDO LE BOLLETTE ELETTRICHE CON IL CANONE



27 LUG 2016 11:15
TAGLIE-RAI? CERTO CHE NO! ALFANO ATTACCA CAMPO DALL’ORTO PER IL SUPERSTIPENDIO DA 650MILA EURO L’ANNO: “NON È POSSIBILE CHE IL DG DELLA TV PUBBLICA GUADAGNI SEI VOLTE PIÙ DEL PREMIER”. RENZI TEME LA REAZIONE POPOLARE: STANNO ARRIVANDO LE BOLLETTE ELETTRICHE CON IL CANONE



MA IL CONSIGLIO DI STATO NON AVEVA BOCCIATO IL DECRETO????


Canone Rai in bolletta, Consiglio di Stato boccia il decreto: "Ci sono ...
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14 apr 2016 - Nel provvedimento del ministero dello Sviluppo "manca la definizione di apparecchio tv", c'è un problema di privacy, non è prevista una ...
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »

LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA




Dal cartaceo del Fatto Quotidiano:

CHI L’HA VISTO? Dai bonus per i diciottenni alle banche, i ministri sono fermi

Il governo non c’è più
Attività paralizzata, la linea è: “Se ne riparla dopo il voto d'autunno”

1.I Consigli dei ministri ormai
durano soltanto mezz’ora
e si occupano di “comunicazione”

2.Caos alle Camere: succede
persino che il Tesoro dica sì
a emendamenti senza copertura
3. La trattativa su bail-in e credito
con l’Ue gestita da un dirigente
del Tesoro. L’esecutivo è in stallo
4.Perfino la nomina dei direttori
dei tg Rai è stata congelata, in
attesa dei risultati nelle urne a ottobre



PALOMBI E MELETTI A PAG. 6 - 7


QUESTI FANTASMI
Stallo “Se ne parla dopo il
referendum ”, è il ritornello con
cui ministeri grandi e piccoli
rinviano ogni decisione: dalle
banche agli enti locali, dalle tv
alle infrastrutture, alle nomine

Ormai è un ritornello:
“Se ne parla dopo il
r ef er en du m” è la
frase più gettonata
in tutti i ministeri, grandi e
piccoli, con o senza portafoglio.
“Sono mesi che dicasteri
anche importanti tipo Sviluppo
non producono leggi -
ammette un funzionario - I
più fortunati, come Marianna
Madia, hanno una delega
da applicare”. In Parlamento
è anche peggio: da giugno - da
quando Renzi non è più ufficialmente
Mister 41% - i
numeri ballano e il caos regna.
Così quanti temono che
il Paese resti senza governo –
se il premier perderà il referendum
– possono stare
tranquilli: l’Italia è già senza
governo. Come si sa da Gadda
in poi, la causa di un fatto
- anzi di un fattaccio come la
sparizione di un governo -
non è mai una sola. Una predominante,
però, c’è sempre:
alla mediocrità tecnica soggettiva
e alle difficoltà oggettive,
che ci sono sempre state,
ora si aggiunge un clima da
notte dei lunghi coltelli che -
latente in passato - è esploso
nelle ultime settimane. Il cosiddetto
Giglio Magico,
chiuso nel bunker, guarda
con sospetto chiunque si
muova. Il risultato è che nessuno
si muove più. È così che
l’Italia affronta uno dei suoi
momenti più duri. Ecco qualche
appunto sparso.
Caos alle Camere:
maggioranza a rischio
Il Consiglio dei ministri, ridotto
a mini-sedute da mezz'ora
incentrate sulla “c omu
nic azio ne”, è ormai un
organo inutile: i ministeri
tentano allora di infilare almeno
qualche emendamento
urgente dentro i testi che
sono già in Parlamento. Il
caos aumenta col passare
delle settimane: solo le imminenti
vacanze hanno finora
salvato l’esecutivo da incidenti
gravi.
Nell’esame del decreto
Enti Locali è accaduto un
fatto inedito. Prima di essere
approvato dalla Camera con
l’ennesima fiducia, il testo era
dovuto tornare in tutta
fretta in commissione. Colpa
di una letteraccia del Ragioniere
generale dello Stato
che definiva alcuni emendamenti
“non bollinabili”, cioè
senza copertura: bizzarro
che quelle proposte fossero
state approvate col “S ì” d el
Tesoro, di cui la Ragioneria è
un dipartimento. Tra gli altri,
ne ha fatto le spese la Provincia
di Pesaro, destinataria
di una mini-sanatoria per le
spese affrontate durante l’emergenza
neve del 2012 e
che ora – rimasta scoperta –
rischia il default: presidente,
a ll ’epoca, era il sindaco di
Pesaro, Matteo Ricci, vicepresidente
del Pd. Straordinaria,
poi, è la saga del disegno
di legge Concorrenza:
arrivato in Parlamento
ne ll ’aprile 2015, bivacca in
commissione Industria del
Senato da ottobre, bloccato
dalle pressioni delle lobby
(almeno di quelle che non
sono state accontentate) e
dalle timide resistenze degli

Mr. 41%
Da giugnoRenzi
non lo è più e i numeri
in Senato ora ballano

eletti. È una tela di Penelope,
i cui fili disegnano discrete
schifezze tipo la fine accelerata
del mercato elettrico “a
maggior tutela”: un bel favore
a Enel & C.
Rinvii, sparizioni
e altri fenomeni
È in corso una sorta di lupara
bianca delle norme in itinere:
cose che uno pensa siano
state approvate e invece si
scopre che no. Anche qui, un
paio di esempi. Manca ancora
il decreto attuativo per il
bonus da 500 euro in spese
culturali destinato ai 18enni:
votato a dicembre, era stato
annunciato a maggio, è di
questi giorni la notizia che
forse se ne parla a ottobre.
Sparito dai radar - e dalla bellezza
di 15 mesi - pure il decreto
attuativo sulle nuove
norme di onorabilità degli
amministratori delle banche.
E ancora: l’ultima legge
di Stabilità prevedeva la
messa a gara della concessione
di 22mila tra agenzie di
scommesse e corner per un
incasso di mezzo miliardo.
Le regole della gara andavano
chiarite entro maggio:
non ci sono ancora e in una
recente riunione il sottosegretario
Pier Paolo Baretta è
ricorso all’ormai classico “se
ne parla dopo il referendum”.
A questo proposito, si
dice che la gestione dell’area
Dogane e Monopoli - che si
occupa di giochi - sia condizionata
dai dissapori tra il dg
Giuseppe Peleggi e il vice Alessandro
Aronica: Padoan e
soci non hanno il tempo, o la
forza, per risolvere la grana.
Il kamasutra europeo
gestito dal dirigente
Alessandro Rivera. Chi era
costui? È l’uomo che tratta
per conto dell’Italia la vicenda
banche a Bruxelles. Non il
ministro Pier Carlo Padoan,
non i suoi vice, né i sottosegretari:
Rivera, che di lavoro
fa il capo della direzione Sistema
bancario del Tesoro. È
lui l’interlocutore che ha intrecciato
con la Commissione
Ue l’inutile kamasutra in
materia di banche che in due
anni, dopo montagne di trattative,
ha partorito un paio di
topolini. Risultato: il sistema
del credito è sull’orlo del baratro.
In principio fu la bocciatura
del salvataggio Tercas
(la Cassa di Teramo), che
arrivò contestualmente al
“sa lvata ggio ” delle quattro
banchette (tra cui Etruria)
che ora saranno rivendute
con perdite milionarie distribuite
tra i 200 e dispari istituti
italiani. Menzione a
parte per la lunga trattativa
che ha prodotto le garanzie
pubbliche sulle sofferenze,
dette “Gacs ”, che dovevano
risolvere il problema pur
non avendo speranza di farlo:
varate per decreto a febbraio,
legge da aprile, manca
ancora il decreto attuativo
(forse questa settimana, si
dice). Notevole anche la vicenda
dello schema d’emergenza
per 150 miliardi di liquidità
autorizzato recentemente
dall’Ue e che nessuno
s’era mai sognato di chiedere.
I risparmiatori tosati di Etruria
& C. invece hanno avuto
ben due decreti rimborsi:
l’ultimo gli garantisce
l’80% se posseggono alcuni
requisiti, ma - se vogliono ricorrere
ai famosi arbitrati Anac
per riavere tutto - scoprono
che il Tesoro non ha
scritto le regole. Ora siamo
alla prova Mps e all’ennesimo
decreto banche: ne serviranno
altri. Un lavoraccio.
L’esiliato Delrio, che
non si fida di nessuno
Graziano Delrio fu esiliato
da Palazzo Chigi al ministero
delle Infrastrutture e Trasporti
con la scusa che c’era
da mettere mano alle macerie
morali e materiali lasciate
dal duo Ercole Incalza-
Maurizio Lupi. L’unica
cosa seria che ha fatto è un
decreto che ha modificato la
famigerata Struttura tecnica
di missione, oggi affidata a
Ennio Cascetta, ex assessore
bassoliniano. Arrivato a Porta
Pia, Delrio aveva annunciato
per l’estate 2015 una totale
perestroika del ministero:
colossale giro di poltrone
in nome della glasnost (nulla
deve essere nascosto al popolo).
Non se n’è fatto nulla:
il nostro si dichiara vittima
dei ritardi della riforma della
P.A. Nel frattempo le posizioni
chiave del dicastero -
dai capi dipartimento in giù -
non sono state toccate, ma il
ministro non si fida di nessuno:
sempre più spesso i dossier
vengono congelati in attesa
di decisioni che non arrivano.
Palazzo Chigi, peraltro,
funziona ormai come un
contro-ministero. Anche
qui, due esempi. Il Codice
degli appalti è stato scritto
nella sede del governo e non
al ministero: ora si scopre
che è pieno di errori e che è
riuscito a far uscire dalla grazia
di dio, contemporaneamente,
sindacati e Confindustria.
Altra spia della distanza
tra Delrio e Renzi è la
vicenda della Pedemontana
Veneta raccontata dal Fatto:
una bomba da 20 miliardi.
Giovedì scorso il governatore
Zaia e il commissario Vernizzi
hanno incontrato Delrio
a Roma e lui gli ha promesso
una successiva riunione
tecnica per capire come
procedere: nelle stesse ore,
però, il sottosegretario
De Vincenti aveva organizzato
la riunione tecnica a palazzo
Chigi senza invitare
Zaia e Vernizzi.
L’inabissato Calenda,
odiato dai renzianissimi
Per qualche settimana è stato
l’unico non appartenente
al Giglio Magico che Renzi
tenesse in considerazione.
La sua eccessiva autonomia
lo ha portato in rotta di collisione
con Maria Elena Boschi
e Luca Lotti e da allora -
all’ingrosso dalla sua sparata
contro Giuseppe Vegas - il
nostro s’è inabissato e sta capendo
come, e se, muoversi.
I dissapori nascono dalla
scelta di Carlo Calenda di sostituire
come capo di gabinetto
Vito Cozzoli, potentissimo
ai tempi di Federica
Guidi, nonostante l’esplicita
richiesta di tenerlo arrivata
dalla ministra: Calenda s’è
preso Giovanni Orsini, vicesegretario
generale del Senato,
peraltro bersaniano,
come altri dirigenti nominati
da Calenda. Non solo, il ministro
ha pure nominato
all’Ice il suo amico Michele
Scannavini invece del renziano
Marco Simoni: brutto
segnale quando da rinnovare
ci sono parecchie poltrone.
Infatti subito dopo, alla Sogin,
la controllata per la dismissione
delle centrali nucleari,
Calenda ha benedetto
la nomina dell’ad Luca Desiata
e del presidente Marco
Ricotti, due tecnici dell’atomo
totalmente privi di quarti
di nobiltà fiorentina. Sulle
telecomunicazioni, invece,
delega del Mise, è stallo: la
concessione Rai è scaduta a
maggio; della riforma dei diritti
sportivi, annunciata
mesi fa, non si parla più; la liberazione
della “banda 700”
(per dare a Internet le frequenze
ora usate dalle tv) è
stata chiesta una proroga al
2022. Per dire quanto è profondo
il caos: persino le cose
su cui di solito non si transige
- tipo nominarsi dei direttori
amici ai Tg Rai –sono ferme.
Fino a quando? Facile: fino a
dopo il referendum.
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