Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
Giannuli: leggi elettorali su misura per questi gangster
Scritto il 02/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.Ad esempio la clausola di sbarramento al 5% del sistema tedesco, in teoria fu fatta per impedire l’eccessiva frammentazione del sistema politico, ma in realtà fu fatta per escludere dal Bundestag il Partito Comunista che aveva intorno al 3%. Allo stesso modo, la clausola N+2 del quoziente Imperiali fu fatta ufficialmente per favorire i piccoli partiti, facilitando l’acquisto di un quoziente necessario per accedere al riparto dei resti, ma, in realtà, determinava un meccanismo di calcolo favorevole ai partiti maggiori per cui la Dc ebbe sempre 20 o 30 seggi in più rispetto a quelli che le sarebbero spettati ed il Pci fra i 10 ed i 15. E potremmo fare mille altri esempi. Ma va detto che mai il proponente di una clausola truffaldina del genere avrebbe proclamato essere quello il suo fine, avrebbe sempre ammantato la sua proposta delle più nobili motivazioni, rispondendo indignato a chi denunciasse i motivi reali. Qui, invece, siamo alla perdita del più elementare senso del pudore: si dichiara apertamente di voler cambiare la legge elettorale perché con questa –appena approvata e mai sperimentata – vince il M5S.La governabilità qui non c’entra, anche perché, quando si è fatto questo aborto di legge elettorale, ci è stato spiegato che i suoi meccanismi erano pensati per fare in modo di sapere, già dalla sera delle elezioni, chi avrebbe governato nel quinquennio successivo. Qui il ragionamento apertis verbis è il seguente: “Noi quella legge la avevamo fatta perché assicurasse la nostra vittoria, ma visto che non è così e che a vincere sono gli altri, noi la cambiamo in modo che vinciamo noi”. Cioè, dei parlamentari che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, dicono apertamente che stanno usando (cioè : abusando) del loro potere per farsi una legge elettorale per proprio uso e consumo. Un atto di disonestà inaudita e per di più candidamente confessato. Poi, giusto per non farsi mancare nulla, il ministro dell’interno Alfano – con decenza parlando – propone, papale papale, di abolire il doppio turno, ripristinare le coalizioni e di far scendere al 35% (o anche meno) la soglia per il premio di maggioranza, cioè di ripristinare pari pari il Porcellum (salvo la fissazione di una quota nominale) dimenticando che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge elettorale proprio per l’eccessivo premio di maggioranza.Ma, si osserverà, qui abbiamo una soglia minima per accedere al premio, cosa che prima non c’era. Solo che, in un sistema politico diviso in tre poli è quasi matematico che uno dei tre superi di un poco il terzo dei voti. D’altra parte, fissare una soglia al 35% per un premio che dia il 54% dei seggi, significa dare un premio di ben il 19% e, se già è discutibile l’attuale 14% (che non ha pari in nessun altro sistema di maggioritario su lista), figuriamoci un premio del 19%. A questo punto, perché non il 25% o il 20% come soglia minima? Cioè mettiamo un numero a caso che, di fatto, garantisca che al primo turno, quello che ha un voto più degli altri fa “asso prende tutto”.Già, ma se poi ci accorgiamo che il M5S diventa partito di maggioranza relativa che si fa? Semplicissimo: cambiamo di nuovo la legge elettorale. Anzi do qualche suggerimento utile: stabilire che il premio viene dato al secondo e non al primo, oppure che c’è il “premio di minoranza” ma anche che i voti del Pd valgono il doppio degli altri. Perché no? Io mi chiedo con quale faccia il Presidente della Repubblica possa controfirmare una legge elettorale nata con questi presupposti e mi chiedo come potrebbe evitare la declaratoria di incostituzionalità la Consulta. Ricordo nuovamente lo stupore del mio amico danese Morten che, di fronte alla candida ammissione di Berlusconi di aver fatto “solo” tre leggi nel suo interesse, disse: “Ha detto proprio così? E non succede niente?!” Già: e non succede niente?!
(Aldo Giannuli, “Leggi elettorali, decenza e codice penale”, dal blog di Giannuli del 26 luglio 2016).
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Se una disposizione della Costituzione non stabilisse che i voti e le opinioni espresse nei dibattiti parlamentari godono dell’imperseguibilità penale, i tre quarti di questo Parlamento meriterebbero la detenzione quantomeno per “interessi privati in atti d’ufficio” o “abuso di potere” se non per attentato alla Costituzione. Mi spiego meglio. Le leggi elettorali dovrebbero essere fatte con fini di carattere sistemico, anche perché si immagina che debbano durare nel tempo e non essere cambiate ad ogni votazione: io sono per il sistema proporzionale perché privilegio il principio di rappresentanza rispetto a quello di governabilità, mentre un altro può essere per il maggioritario per considerazioni opposte ed è legittima tanto la mia posizione quanto l’altra, perché non sono pensate per avvantaggiare un partito piuttosto che un altro. Poi i bari ci sono sempre stati e c’è sempre stato qualcuno che ha introdotto questa o quella clausola per avvantaggiare o, all’opposto, danneggiare un particolare competitore.Ad esempio la clausola di sbarramento al 5% del sistema tedesco, in teoria fu fatta per impedire l’eccessiva frammentazione del sistema politico, ma in realtà fu fatta per escludere dal Bundestag il Partito Comunista che aveva intorno al 3%. Allo stesso modo, la clausola N+2 del quoziente Imperiali fu fatta ufficialmente per favorire i piccoli partiti, facilitando l’acquisto di un quoziente necessario per accedere al riparto dei resti, ma, in realtà, determinava un meccanismo di calcolo favorevole ai partiti maggiori per cui la Dc ebbe sempre 20 o 30 seggi in più rispetto a quelli che le sarebbero spettati ed il Pci fra i 10 ed i 15. E potremmo fare mille altri esempi. Ma va detto che mai il proponente di una clausola truffaldina del genere avrebbe proclamato essere quello il suo fine, avrebbe sempre ammantato la sua proposta delle più nobili motivazioni, rispondendo indignato a chi denunciasse i motivi reali. Qui, invece, siamo alla perdita del più elementare senso del pudore: si dichiara apertamente di voler cambiare la legge elettorale perché con questa –appena approvata e mai sperimentata – vince il M5S.La governabilità qui non c’entra, anche perché, quando si è fatto questo aborto di legge elettorale, ci è stato spiegato che i suoi meccanismi erano pensati per fare in modo di sapere, già dalla sera delle elezioni, chi avrebbe governato nel quinquennio successivo. Qui il ragionamento apertis verbis è il seguente: “Noi quella legge la avevamo fatta perché assicurasse la nostra vittoria, ma visto che non è così e che a vincere sono gli altri, noi la cambiamo in modo che vinciamo noi”. Cioè, dei parlamentari che hanno giurato fedeltà alla Costituzione, dicono apertamente che stanno usando (cioè : abusando) del loro potere per farsi una legge elettorale per proprio uso e consumo. Un atto di disonestà inaudita e per di più candidamente confessato. Poi, giusto per non farsi mancare nulla, il ministro dell’interno Alfano – con decenza parlando – propone, papale papale, di abolire il doppio turno, ripristinare le coalizioni e di far scendere al 35% (o anche meno) la soglia per il premio di maggioranza, cioè di ripristinare pari pari il Porcellum (salvo la fissazione di una quota nominale) dimenticando che la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella legge elettorale proprio per l’eccessivo premio di maggioranza.Ma, si osserverà, qui abbiamo una soglia minima per accedere al premio, cosa che prima non c’era. Solo che, in un sistema politico diviso in tre poli è quasi matematico che uno dei tre superi di un poco il terzo dei voti. D’altra parte, fissare una soglia al 35% per un premio che dia il 54% dei seggi, significa dare un premio di ben il 19% e, se già è discutibile l’attuale 14% (che non ha pari in nessun altro sistema di maggioritario su lista), figuriamoci un premio del 19%. A questo punto, perché non il 25% o il 20% come soglia minima? Cioè mettiamo un numero a caso che, di fatto, garantisca che al primo turno, quello che ha un voto più degli altri fa “asso prende tutto”.Già, ma se poi ci accorgiamo che il M5S diventa partito di maggioranza relativa che si fa? Semplicissimo: cambiamo di nuovo la legge elettorale. Anzi do qualche suggerimento utile: stabilire che il premio viene dato al secondo e non al primo, oppure che c’è il “premio di minoranza” ma anche che i voti del Pd valgono il doppio degli altri. Perché no? Io mi chiedo con quale faccia il Presidente della Repubblica possa controfirmare una legge elettorale nata con questi presupposti e mi chiedo come potrebbe evitare la declaratoria di incostituzionalità la Consulta. Ricordo nuovamente lo stupore del mio amico danese Morten che, di fronte alla candida ammissione di Berlusconi di aver fatto “solo” tre leggi nel suo interesse, disse: “Ha detto proprio così? E non succede niente?!” Già: e non succede niente?!
(Aldo Giannuli, “Leggi elettorali, decenza e codice penale”, dal blog di Giannuli del 26 luglio 2016).
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
3 AGO 2016 13:03
BRRR CHE GELO INTORNO AL MONTEPASCHI
– A BRUXELLES METTONO LE MANI AVANTI: UN’OPERAZIONE COMPLICATA. MA E' "UNA MINA VAGANTE" PER UN EUROCRATE, E I FONDI DANNO LO STESSO GIUDIZIO
– ATTO DI FEDE DEL GOVERNO: ATLANTE AVRA’ I FONDI NECESSARI, MA QUELLO PER MPS NON E’ STATO ANCORA COSTITUITO
Ferdinando Giugliano per “la Repubblica”
Non poteva esserci risveglio peggiore. Dopo il moderato ottimismo che aveva accompagnato la pubblicazione dei risultati degli stress test e l' approvazione del piano di salvataggio per il Monte dei Paschi di Siena, le autorità italiane ed europee si trovano a fronteggiare una pesantissima ondata di vendite sui titoli bancari italiani.
Il clima, per ora, resta fiducioso, in attesa di un ripensamento degli investitori sulle prospettive degli istituti di credito.
Tuttavia, soprattutto tra i corridoi della Commissione Europea, c' è consapevolezza che i prossimi passi e, in particolare, il salvataggio di Mps, sono tutto tranne che scontati.
«E' un operazione complicata », dice un funzionario. «Ogni protagonista dovrà eseguire perfettamente la sua parte. E' come guidare una macchina in cui volante, freno e cambio sono controllati da persone diverse».
Le ragioni della cautela sono basate per ora su tre considerazioni. Prima di tutto, i movimenti tellurici che hanno sconvolto le borse sono durati "soltanto" due giorni, un tempo troppo breve per concludere che i mercati non si fidino degli stress test o abbiano bocciato il salvataggio di Mps.
Queste vulnerabilità si inseriscono poi in un contesto di grande fragilità a livello europeo. Infine, la discesa delle quotazioni viene considerata una risposta razionale agli aumenti di capitale in vista non solo per il Monte dei Paschi di Siena, ma anche per UniCredit.
L' emissione di nuove azioni per un totale che alcuni analisti stimano in 12 miliardi (5 per Mps e 7 per UniCredit), fa naturalmente scendere il valore di quelle esistenti che verranno diluite. «Il settore è tirato giù da Unicredit e Monte dei Paschi - dice un funzionario italiano - . Le vendite sono naturali quando le banche fanno un aumento di capitale ».
Quest' ottimismo si scontra però con un' osservazione preoccupante: come già negli ultimi mesi di pesanti vendite gli investitori non sembrano differenziare più tra le banche italiane, che pure hanno ottenuto risultati molto diversi negli stress test. Da Unicredit a Ubi Banca a Banco Popolare, quasi tutti i principali istituti di credito italiani hanno perso ieri più del 5%. Intesa Sanpaolo, che ha dimostrato grande solidità davanti agli shock simulati dall' Eba, ha ceduto il 3,8%.
«Le banche di un Paese si muovono seguendo l' anello debole», dice dagli Stati Uniti l' analista per le banche europee di un grosso hedge fund. Ma a questa osservazione generale si aggiunge una preoccupazione legata più specificamente alla realtà italiana: l' idea che, al di là degli annunci di venerdì, il salvataggio di Mps sia ancora molto complesso.
«Si tratta di una mina vagante», dice un altro funzionario di Bruxelles. «E' un' operazione costruita in maniera intelligente, ma non è detto che riesca».
A preoccupare sono prima di tutto l' appetito degli investitori, che dovrebbero finanziare i 5 miliardi di aumento di capitale, e la robustezza del consorzio di garanzia guidato da Jp Morgan, che può sfilarsi in caso di mancato interesse del mercato. Ma anche l' operazione ancillare da compiere per svuotare il bilancio del Monte delle cosiddette "sofferenze" suscita timori.
Il percorso tracciato dal cda della banca senese prevede che le sofferenze di Mps vengano impacchettate tramite cosiddette "cartolarizzazioni" e poi divise in tranche, a seconda della loro pericolosità.
Le più sicure verranno coperte da garanzie statali chiamate Gacs, che le renderanno più semplici da collocare tra gli investitori istituzionali.
Una delle porzioni più rischiose, il cosiddetto "mezzanino", verrà rilevato dal fondo salva- banche Atlante. Al di là di calcoli indicativi presentati da Mps, non è ancora chiaro quanti soldi ci vorranno per coprire questa porzione, una decisione che dipenderà dai giudizi di un' agenzia di rating. Fino ad allora, non si può essere sicuri che l' operazione andrà in porto.
«Atlante avrà le risorse». rispondono seccamente dal governo. A questi dubbi operativi si aggiungono quelli politici legati al referendum. Gli aumenti di capitale di Mps e Unicredit arriveranno dopo la consultazione sulla riforma costituzionale.
In caso di voto contrario, si aprirà una fase di incertezza che difficilmente renderà le due operazioni appetibili. «I titoli bancari italiani andranno su e giù con i sondaggi sul referendum», prevede un altro fund manager americano. Ma fino al voto gli investitori preferiranno trattare le banche italiane con molta cautela.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
3 AGO 2016 13:03
BRRR CHE GELO INTORNO AL MONTEPASCHI
– A BRUXELLES METTONO LE MANI AVANTI: UN’OPERAZIONE COMPLICATA. MA E' "UNA MINA VAGANTE" PER UN EUROCRATE, E I FONDI DANNO LO STESSO GIUDIZIO
– ATTO DI FEDE DEL GOVERNO: ATLANTE AVRA’ I FONDI NECESSARI, MA QUELLO PER MPS NON E’ STATO ANCORA COSTITUITO
Ferdinando Giugliano per “la Repubblica”
Non poteva esserci risveglio peggiore. Dopo il moderato ottimismo che aveva accompagnato la pubblicazione dei risultati degli stress test e l' approvazione del piano di salvataggio per il Monte dei Paschi di Siena, le autorità italiane ed europee si trovano a fronteggiare una pesantissima ondata di vendite sui titoli bancari italiani.
Il clima, per ora, resta fiducioso, in attesa di un ripensamento degli investitori sulle prospettive degli istituti di credito.
Tuttavia, soprattutto tra i corridoi della Commissione Europea, c' è consapevolezza che i prossimi passi e, in particolare, il salvataggio di Mps, sono tutto tranne che scontati.
«E' un operazione complicata », dice un funzionario. «Ogni protagonista dovrà eseguire perfettamente la sua parte. E' come guidare una macchina in cui volante, freno e cambio sono controllati da persone diverse».
Le ragioni della cautela sono basate per ora su tre considerazioni. Prima di tutto, i movimenti tellurici che hanno sconvolto le borse sono durati "soltanto" due giorni, un tempo troppo breve per concludere che i mercati non si fidino degli stress test o abbiano bocciato il salvataggio di Mps.
Queste vulnerabilità si inseriscono poi in un contesto di grande fragilità a livello europeo. Infine, la discesa delle quotazioni viene considerata una risposta razionale agli aumenti di capitale in vista non solo per il Monte dei Paschi di Siena, ma anche per UniCredit.
L' emissione di nuove azioni per un totale che alcuni analisti stimano in 12 miliardi (5 per Mps e 7 per UniCredit), fa naturalmente scendere il valore di quelle esistenti che verranno diluite. «Il settore è tirato giù da Unicredit e Monte dei Paschi - dice un funzionario italiano - . Le vendite sono naturali quando le banche fanno un aumento di capitale ».
Quest' ottimismo si scontra però con un' osservazione preoccupante: come già negli ultimi mesi di pesanti vendite gli investitori non sembrano differenziare più tra le banche italiane, che pure hanno ottenuto risultati molto diversi negli stress test. Da Unicredit a Ubi Banca a Banco Popolare, quasi tutti i principali istituti di credito italiani hanno perso ieri più del 5%. Intesa Sanpaolo, che ha dimostrato grande solidità davanti agli shock simulati dall' Eba, ha ceduto il 3,8%.
«Le banche di un Paese si muovono seguendo l' anello debole», dice dagli Stati Uniti l' analista per le banche europee di un grosso hedge fund. Ma a questa osservazione generale si aggiunge una preoccupazione legata più specificamente alla realtà italiana: l' idea che, al di là degli annunci di venerdì, il salvataggio di Mps sia ancora molto complesso.
«Si tratta di una mina vagante», dice un altro funzionario di Bruxelles. «E' un' operazione costruita in maniera intelligente, ma non è detto che riesca».
A preoccupare sono prima di tutto l' appetito degli investitori, che dovrebbero finanziare i 5 miliardi di aumento di capitale, e la robustezza del consorzio di garanzia guidato da Jp Morgan, che può sfilarsi in caso di mancato interesse del mercato. Ma anche l' operazione ancillare da compiere per svuotare il bilancio del Monte delle cosiddette "sofferenze" suscita timori.
Il percorso tracciato dal cda della banca senese prevede che le sofferenze di Mps vengano impacchettate tramite cosiddette "cartolarizzazioni" e poi divise in tranche, a seconda della loro pericolosità.
Le più sicure verranno coperte da garanzie statali chiamate Gacs, che le renderanno più semplici da collocare tra gli investitori istituzionali.
Una delle porzioni più rischiose, il cosiddetto "mezzanino", verrà rilevato dal fondo salva- banche Atlante. Al di là di calcoli indicativi presentati da Mps, non è ancora chiaro quanti soldi ci vorranno per coprire questa porzione, una decisione che dipenderà dai giudizi di un' agenzia di rating. Fino ad allora, non si può essere sicuri che l' operazione andrà in porto.
«Atlante avrà le risorse». rispondono seccamente dal governo. A questi dubbi operativi si aggiungono quelli politici legati al referendum. Gli aumenti di capitale di Mps e Unicredit arriveranno dopo la consultazione sulla riforma costituzionale.
In caso di voto contrario, si aprirà una fase di incertezza che difficilmente renderà le due operazioni appetibili. «I titoli bancari italiani andranno su e giù con i sondaggi sul referendum», prevede un altro fund manager americano. Ma fino al voto gli investitori preferiranno trattare le banche italiane con molta cautela.
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il vizietto dei giornalisti sempre proni al "paron", con un immagine retrospettiva del bel tempo che fù, sminuisce la portata di un passaggio veramente difficile della storia d'Italia.
È crollo vero, fate presto
Non solo le banche: ormai tutta l'Italia è bersaglio di speculazione
Alessandro Sallusti - Mer, 03/08/2016 - 15:39
commenta
Era l'estate del 2011, e di fronte all'impennarsi dello spread, il Sole24Ore - quotidiano di Confindustria - titolò a tutta pagina: «Fate presto», avallando così l'idea che l'Italia fosse sull'orlo del baratro per colpa del governo Berlusconi, che di lì a poco dovette dimettersi.
La storia ha poi dimostrato che le cose non stavano così, che l'attacco alla nostra economia era organizzato e diretto dall'estero per seminare il panico e costringere il governo alla resa. Oggi sta accadendo qualcosa di simile. Siamo sotto attacco, il sistema bancario - ma non solo quello - frana in Borsa giorno dopo giorno e il baratro si avvicina.
Ieri un altro tonfo, il secondo consecutivo, ma nessuno pare occuparsene, certamente non c'è nell'aria lo stesso urlo «Fate presto» che creò lo scompiglio cinque anni fa. Renzi è partito per il Brasile, la politica si accapiglia sulle nomine dei direttori dei tg Rai, gli editorialisti che allora rovesciarono veleno sul governo oggi se ne stanno al sole di Capalbio e della Sardegna. Neppure il Sole24Ore sembra mettere particolare fretta al grande manovratore. Eppure credetemi, non bisogna essere laureati alla Bocconi per capire che in questi giorni stiamo vivendo uno dei momenti più pericolosi della recente storia italiana. È vero, la maggior parte delle nostre banche non gode di grande salute, ma non è neppure in coma. Una, Intesa, è tra le più solide d'Europa. E allora perché questa slavina che si estende a tutte le nostre grandi aziende in modo così anomalo e ingiustificato? È l'incapacità politica di questo governo? L'inesperienza del premier? Le malefatte di banchieri spregiudicati (ieri è stato arrestato quello di Veneto Banca)? Non basta. C'è dell'altro. Siamo sotto attacco, i nostri depositi e risparmi sono a rischio. L'Italia rischia. Basta balle, Renzi torna a bordo, c...! E se non sai difenderci, almeno spiegaci.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il vizietto dei giornalisti sempre proni al "paron", con un immagine retrospettiva del bel tempo che fù, sminuisce la portata di un passaggio veramente difficile della storia d'Italia.
È crollo vero, fate presto
Non solo le banche: ormai tutta l'Italia è bersaglio di speculazione
Alessandro Sallusti - Mer, 03/08/2016 - 15:39
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Era l'estate del 2011, e di fronte all'impennarsi dello spread, il Sole24Ore - quotidiano di Confindustria - titolò a tutta pagina: «Fate presto», avallando così l'idea che l'Italia fosse sull'orlo del baratro per colpa del governo Berlusconi, che di lì a poco dovette dimettersi.
La storia ha poi dimostrato che le cose non stavano così, che l'attacco alla nostra economia era organizzato e diretto dall'estero per seminare il panico e costringere il governo alla resa. Oggi sta accadendo qualcosa di simile. Siamo sotto attacco, il sistema bancario - ma non solo quello - frana in Borsa giorno dopo giorno e il baratro si avvicina.
Ieri un altro tonfo, il secondo consecutivo, ma nessuno pare occuparsene, certamente non c'è nell'aria lo stesso urlo «Fate presto» che creò lo scompiglio cinque anni fa. Renzi è partito per il Brasile, la politica si accapiglia sulle nomine dei direttori dei tg Rai, gli editorialisti che allora rovesciarono veleno sul governo oggi se ne stanno al sole di Capalbio e della Sardegna. Neppure il Sole24Ore sembra mettere particolare fretta al grande manovratore. Eppure credetemi, non bisogna essere laureati alla Bocconi per capire che in questi giorni stiamo vivendo uno dei momenti più pericolosi della recente storia italiana. È vero, la maggior parte delle nostre banche non gode di grande salute, ma non è neppure in coma. Una, Intesa, è tra le più solide d'Europa. E allora perché questa slavina che si estende a tutte le nostre grandi aziende in modo così anomalo e ingiustificato? È l'incapacità politica di questo governo? L'inesperienza del premier? Le malefatte di banchieri spregiudicati (ieri è stato arrestato quello di Veneto Banca)? Non basta. C'è dell'altro. Siamo sotto attacco, i nostri depositi e risparmi sono a rischio. L'Italia rischia. Basta balle, Renzi torna a bordo, c...! E se non sai difenderci, almeno spiegaci.
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Crescita, studio Bce: “Corruzione e scarso rispetto delle leggi fanno ristagnare il pil. Nonostante le riforme”
Crescita, studio Bce: “Corruzione e scarso rispetto delle leggi fanno ristagnare il pil. Nonostante le riforme”
Politica
La bassa "qualità istituzionale", spiega l'Eurotower nel suo bollettino economico, ha un effetto diretto - negativo - sull'economia. E l'Italia è penultima nella classifica che la misura, subito prima della Grecia e lontana non solo dai Paesi più virtuosi ma anche dalla media dell'Eurozona. In un contesto del genere diventa inutile metter mano ai contratti di lavoro, cercare di aumentare la concorrenza e cambiare la Costituzione
di F. Q. | 3 agosto 2016
COMMENTI (428)
La qualità delle istituzioni conta più delle tanto invocate riforme. Parola degli analisti della Banca centrale europea. Che in uno studio pubblicato nel Bollettino economico che sarà diffuso giovedì mettono in fila i dati disponibili e arrivano a una conclusione chiara: le economie dei Paesi in cui sono più scarsi l’efficacia dell’azione di governo, la capacità di varare e mettere in pratica leggi per promuovere lo sviluppo economico, il rispetto del principio di legalità e il controllo sulla corruzione – tutti indicatori del livello di qualità istituzionale, in base alla metodologia messa a punto dalla Banca mondiale - tendono a ristagnare. E metter mano alle riforme non basta per rilanciare la crescita. Un’ulteriore prova, dunque, di quello che molte ricerche hanno già messo in evidenza: la corruzione è tra le cause della bassa crescita. Ma l’Eurotower aggiunge un tassello in più, chiarendo che in un contesto del genere Jobs Act, riforma costituzionale e interventi di liberalizzazione sono poco più che pannicelli caldi. E l’Italia si trova proprio in questa situazione: nella classifica che tiene conto di tutte le quattro dimensioni è penultima nell’Eurozona, subito prima della Grecia. Un risultato che, stando alle conclusioni del bollettino Bce, spiega perché nella Penisola la produttività del lavoro resti bassissima e il pil continui a progredire a ritmi da “zero virgola“.
qualità istituzioni
Cinghie di trasmissione bloccate - Lo studio esordisce sottolineando che “istituzioni e strutture economiche solide sono essenziali per la resilienza (la capacità di affrontare e superare le crisi, ndr) e la prosperità di lungo termine dell’area euro”. Appunto. Peccato che la qualità istituzionale italiana, come emerge dal grafico riportato nel bollettino, sia lontana anni luce non solo da quella dei virtuosi Paesi del Nord Europa e dai “migliori della classe” tra i 35 membri dell‘Ocse, ma anche dalla media dell’area euro. Un gap che, come è facile capire, blocca le cinghie di trasmissione che collegano le regole su mercato del lavoro e dei prodotti all’effettivo funzionamento dell’economia reale.
Senza istituzioni forti vincono le lobby – Dove la qualità delle istituzioni è bassa, infatti, le riforme normalmente prescritte da Commissione Ue e Fmi – da quelle che incrementano l’efficienza del mercato del lavoro a quelle mirate ad aumentare la concorrenza – sono poco più che pannicelli caldi. “I Paesi con qualità istituzionale sotto la media tendono anche ad avere mercati del lavoro e dei prodotti meno efficienti della media”, si legge in uno dei paragrafi dello studio. “Questa elevata correlazione può riflettere il fatto che in presenza di istituzioni solide le società e i regolatori hanno maggiori probabilità di imporsi sugli interessi particolari e di portare avanti riforme che portano benefici alla maggior parte dei cittadini“.
crescita e efficienza istituzioniRelazione positiva tra crescita del pil e qualità istituzionale - Il cuore dello studio è un grafico che mostra la correlazione tra qualità delle istituzioni e crescita del pil pro capite tra 1999 e 2014. L’Italia e la Grecia registrano le performance peggiori su entrambi i fronti, in un periodo ben più ampio rispetto a quello segnato dalla crisi finanziaria, il che rafforza la validità della conclusione. “Per i Paesi dell’Eurozona emerge una chiara relazione positiva”, commentano gli analisti, spiegando che “i risultati sembrano particolarmente rilevanti per i Paesi dove il debito pubblico iniziale è sopra una certa soglia”. Vedi, ancora una volta, l’Italia. Inoltre, i risultati “sono coerenti con la visione che la qualità delle istituzioni può essere più importante per la crescita di lungo termine nei Paesi in cui lo strumento del tasso di cambio non è più disponibile”. In tutta l’area euro, insomma: tutti ricordano gli anni delle svalutazioni competitive della lira per spingere l’export italiano. Un’arma su cui i governi non possono più contare dopo l’avvento dell’euro.
Perché la riforma costituzionale non basta per trainare la crescita - La lezione che emerge dal paper è chiara: prima di metter mano alle regole sui contratti di lavoro, pensare di liberalizzare i mercati e le professioni o modificare la Costituzione occorre rafforzare l’ossatura del sistema. Partendo dalla base: rispetto delle leggi e repressione dei reati, a partire dalla corruzione. In caso contrario è del tutto velleitario sostenere, come ha fatto la ministra Maria Elena Boschi, che la riforma costituzionale farà “aumentare il pil dello 0,6% nei prossimi dieci anni”.
Certo, punire i colletti bianchi, i politici e gli imprenditori che danno e prendono mazzette è complicato e richiede ben più di un decreto o un ddl. Non a caso in passato c’è stato chi ha preferito contestare la validità degli indicatori, sostenendo che il problema non è la corruzione italiana ma gli strumenti che la misurano. Che non “valorizzano” i progressi della Penisola.
PER DIAGRAMMI VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... e/2952825/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Crescita, studio Bce: “Corruzione e scarso rispetto delle leggi fanno ristagnare il pil. Nonostante le riforme”
Crescita, studio Bce: “Corruzione e scarso rispetto delle leggi fanno ristagnare il pil. Nonostante le riforme”
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La bassa "qualità istituzionale", spiega l'Eurotower nel suo bollettino economico, ha un effetto diretto - negativo - sull'economia. E l'Italia è penultima nella classifica che la misura, subito prima della Grecia e lontana non solo dai Paesi più virtuosi ma anche dalla media dell'Eurozona. In un contesto del genere diventa inutile metter mano ai contratti di lavoro, cercare di aumentare la concorrenza e cambiare la Costituzione
di F. Q. | 3 agosto 2016
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La qualità delle istituzioni conta più delle tanto invocate riforme. Parola degli analisti della Banca centrale europea. Che in uno studio pubblicato nel Bollettino economico che sarà diffuso giovedì mettono in fila i dati disponibili e arrivano a una conclusione chiara: le economie dei Paesi in cui sono più scarsi l’efficacia dell’azione di governo, la capacità di varare e mettere in pratica leggi per promuovere lo sviluppo economico, il rispetto del principio di legalità e il controllo sulla corruzione – tutti indicatori del livello di qualità istituzionale, in base alla metodologia messa a punto dalla Banca mondiale - tendono a ristagnare. E metter mano alle riforme non basta per rilanciare la crescita. Un’ulteriore prova, dunque, di quello che molte ricerche hanno già messo in evidenza: la corruzione è tra le cause della bassa crescita. Ma l’Eurotower aggiunge un tassello in più, chiarendo che in un contesto del genere Jobs Act, riforma costituzionale e interventi di liberalizzazione sono poco più che pannicelli caldi. E l’Italia si trova proprio in questa situazione: nella classifica che tiene conto di tutte le quattro dimensioni è penultima nell’Eurozona, subito prima della Grecia. Un risultato che, stando alle conclusioni del bollettino Bce, spiega perché nella Penisola la produttività del lavoro resti bassissima e il pil continui a progredire a ritmi da “zero virgola“.
qualità istituzioni
Cinghie di trasmissione bloccate - Lo studio esordisce sottolineando che “istituzioni e strutture economiche solide sono essenziali per la resilienza (la capacità di affrontare e superare le crisi, ndr) e la prosperità di lungo termine dell’area euro”. Appunto. Peccato che la qualità istituzionale italiana, come emerge dal grafico riportato nel bollettino, sia lontana anni luce non solo da quella dei virtuosi Paesi del Nord Europa e dai “migliori della classe” tra i 35 membri dell‘Ocse, ma anche dalla media dell’area euro. Un gap che, come è facile capire, blocca le cinghie di trasmissione che collegano le regole su mercato del lavoro e dei prodotti all’effettivo funzionamento dell’economia reale.
Senza istituzioni forti vincono le lobby – Dove la qualità delle istituzioni è bassa, infatti, le riforme normalmente prescritte da Commissione Ue e Fmi – da quelle che incrementano l’efficienza del mercato del lavoro a quelle mirate ad aumentare la concorrenza – sono poco più che pannicelli caldi. “I Paesi con qualità istituzionale sotto la media tendono anche ad avere mercati del lavoro e dei prodotti meno efficienti della media”, si legge in uno dei paragrafi dello studio. “Questa elevata correlazione può riflettere il fatto che in presenza di istituzioni solide le società e i regolatori hanno maggiori probabilità di imporsi sugli interessi particolari e di portare avanti riforme che portano benefici alla maggior parte dei cittadini“.
crescita e efficienza istituzioniRelazione positiva tra crescita del pil e qualità istituzionale - Il cuore dello studio è un grafico che mostra la correlazione tra qualità delle istituzioni e crescita del pil pro capite tra 1999 e 2014. L’Italia e la Grecia registrano le performance peggiori su entrambi i fronti, in un periodo ben più ampio rispetto a quello segnato dalla crisi finanziaria, il che rafforza la validità della conclusione. “Per i Paesi dell’Eurozona emerge una chiara relazione positiva”, commentano gli analisti, spiegando che “i risultati sembrano particolarmente rilevanti per i Paesi dove il debito pubblico iniziale è sopra una certa soglia”. Vedi, ancora una volta, l’Italia. Inoltre, i risultati “sono coerenti con la visione che la qualità delle istituzioni può essere più importante per la crescita di lungo termine nei Paesi in cui lo strumento del tasso di cambio non è più disponibile”. In tutta l’area euro, insomma: tutti ricordano gli anni delle svalutazioni competitive della lira per spingere l’export italiano. Un’arma su cui i governi non possono più contare dopo l’avvento dell’euro.
Perché la riforma costituzionale non basta per trainare la crescita - La lezione che emerge dal paper è chiara: prima di metter mano alle regole sui contratti di lavoro, pensare di liberalizzare i mercati e le professioni o modificare la Costituzione occorre rafforzare l’ossatura del sistema. Partendo dalla base: rispetto delle leggi e repressione dei reati, a partire dalla corruzione. In caso contrario è del tutto velleitario sostenere, come ha fatto la ministra Maria Elena Boschi, che la riforma costituzionale farà “aumentare il pil dello 0,6% nei prossimi dieci anni”.
Certo, punire i colletti bianchi, i politici e gli imprenditori che danno e prendono mazzette è complicato e richiede ben più di un decreto o un ddl. Non a caso in passato c’è stato chi ha preferito contestare la validità degli indicatori, sostenendo che il problema non è la corruzione italiana ma gli strumenti che la misurano. Che non “valorizzano” i progressi della Penisola.
PER DIAGRAMMI VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... e/2952825/
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 11:58
1. RENZI È OSSESSIONATO DAL PIANO DI SALVATAGGIO DEL MONTEPASCHI. SA BENE CHE L’OPERAZIONE NON STA IN PIEDI. MPS OGGI VALE UN MILIARDO E NE CHIEDE 5 DI AUMENTO DI CAPITALE. IN CASO DI FALLIMENTO, TORNA A GIOCARE A FLIPPER A RIGNANO: LE REAZIONI DEL MERCATO INTERNAZIONALE SAREBBERO TALI DA METTERE A RISCHIO IL SISTEMA CREDITIZIO
2. IN PIÙ C’È IL CASO UNICREDIT. IL MERCATO ITALICO NON PUÒ SOPPORTARE DUE AUMENTI DI CAPITALE: 5 MILIARDI PER MPS, 7 PER UNICREDIT. ED OVVIAMENTE LA PREFERITA E' UNICREDIT
3. PER TACITARE LE TENSIONI POLITICHE, RENZI SPERA CHE LA CONSULTA BOCCI L’ITALICUM
DAGONOTA
Matteo Renzi è ossessionato dal piano di salvataggio del Montepaschi. E con qualche buona ragione: in caso di fallimento dell’operazione, il suo trabiccolo governativo finirebbe in qualche garage di Rignano sull’Arno: le reazioni del mercato internazionali sarebbero tali da affondare il sistema creditizio italiano. Essì: oggi, la spada di Damocle sulla testa del ducetto toscano non è tanto il vituperato Referendum costituzionale bensì la bomba delle banche marce italiane.
Sembra che anche in terra brasiliana chieda continuamente notizie sull’andamento del titolo. Lo avrebbe fatto anche questa mattina. Alle 10 di stamattina è a meno 0,6 con un valore di 26 centesime per azione (un anno fa era 1,9). Un anno fa, dalla poltroncina bianca di “Porta a Porta” Renzi invitava a comprare azioni Mps: in 12 mesi i titoli si sono svalutati del 700 per cento!
Il premier, quindi, sa benissimo che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a doppio filo al successo dell’operazione messa in pieni da Jp Morgan e Medioanca. Più di un “no” al referendum. Berlusconi e Parisi, infatti, se il Ducetto di Rignano dovesse perdere la consultazione, non chiederebbero le dimissioni.
Ma se fallisse l’operazione Montepaschi, allora sì che sarebbero dolori… Sa bene di essersi esposto oltre ogni livello di guardia per un’operazione che non sta in piedi. Il Monte oggi vale un miliardo e ne chiede 5 di aumento di capitale.
In più c’è il caso Unicredit. Anche Jean-Pierre Mustier deve fare un aumento di capitale. E qui cade il cazzone: perché il mercato italiano non può sopportare due aumenti di capitale di tale portata: 5 miliardi per MPS, 7 per Unicredit. Ed ovviamente se qualcuno deve mettere denari in una banca, di certo preferisce metterli in Unicredit piuttosto che nel Montepaschi.
Così, per salvarsi le chiappe il premier sta muovendo tutte le leve a disposizione per convincere Mustier a far slittare l’aumento di Unicreditsuccessivamente a quello di Siena. Ma anche Unicredit ha fretta: ieri è tornata a cedere oltre il 2 per cento in Borsa. Identiche leve le sta attivando per convincere Generali, Poste Vita e le Casse previdenziali (che si sono chiamate fuori) a partecipare al Fondo Atlante 2. L’unico che ha risposto all’appello è stato Unipol: Carlo Cimbri ha deliberato di investire fino a 100 milioni di euro nel fondo Atlante 2.
Insomma, Renzi si sta sbilanciando oltre ogni limite concesso ad un presidente del Consiglio, pur di difendere l’operazione Montepaschi. Sa che c’è in gioco il suo futuro. Si è lasciato convincere da Jamie Dimon. Ma soprattutto dall’accoppiata Grilli-Costamagna. Il primo, ex ministro dell’economia (nonché direttore generale del Tesoro) ed ora responsabile per l’Italia della banca d’affari americana; il secondo, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che lui stesso ha volto in quel posto.
A questo punto non resta che aspettare settembre; con tutti i rischi che ne possono seguire. Alla ripresa dopo le vacanze sarebbe stato schedulato l’aumento di capitale di Montepaschi. L’idea di farlo slittare a dopo il referendum sarebbe stata accantonata dopo il -16 per cento di martedì. La data sarebbe stata giudicata troppo lontana dal mercato.
Nella testa di Matteuccio s’è fatta largo, nel frattempo, l’idea di tacitare le tensioni politiche attraverso una modifica dell’Italicum. Come diversivo alla vicenda bancaria. Tant’è che sembra stia facendo pressioni sulla Corte Costituzionale per bocciarlo; se non tutto, almeno in parte. Magari in quella che affida il premio di maggioranza ad un solo partito.
La Consulta si pronuncerà ad ottobre. Se passasse una modifica dell’Italicum imposto dai giudici costituzionali, lui avrebbe la scusa per modificarlo ed affidare il premio di maggioranza alla coalizione. In tal modo, farebbe contenta la minoranza interna, il “senza quid” Alfano; e pure Berlusconi, che potrebbe così ricompattare il centrodestra. Chi si incazzerà di sicuro saranno i pentastellati di Grillo che con l’Italicum by Renzi-Boschi si sentono già a Palazzo Chigi. La loro rivincita, di certo, si chiama Referendum dove andranno, come un sol uomno, a infilare il loro No nelle urne.
Le puntate sono tutte sul tavolo verde. Ma il vero rischio è l’aumento di capitale del Montepaschi. Tant’è che sembra che al ministero dell’Economia sia stata costituita una task force di esperti qualora, fallito l’aumento di capitale, si dovesse scatenare una corsa allo sportello” dei piccoli risparmiatori. I grandi se ne sono già andati.
A quel punto, il pallino tornerebbe nelle mani di Piercarlo Padoan, da sempre contrario alla soluzione individuata dal premier. E si aprirebbero le porte del “bail in”, magari salvaguardando gli obbligazionisti; circostanza non garantita da Grilli e Costamagna. E proprio dai corridoi di Via Venti Settembre arriva lo spiffero che dalle stanze di Quintino Sella avrebbero ben visto l’operazione prospettata da Passera e Tononi. Fallita sul nascere perché il presidente del Montepaschi si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento perché temeva di essere accusato di fare inciucio: lui restava all presidenza, Corradino sulla poltrona di amministratore delegato..
La ricostruzione della vicenda sarebbe stata fatta da Sergio Ermotti, amministratore delegato di Ubs, ad un gruppo di banchieri svizzeri. Ed Ubs era in cordata con Passera.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 11:58
1. RENZI È OSSESSIONATO DAL PIANO DI SALVATAGGIO DEL MONTEPASCHI. SA BENE CHE L’OPERAZIONE NON STA IN PIEDI. MPS OGGI VALE UN MILIARDO E NE CHIEDE 5 DI AUMENTO DI CAPITALE. IN CASO DI FALLIMENTO, TORNA A GIOCARE A FLIPPER A RIGNANO: LE REAZIONI DEL MERCATO INTERNAZIONALE SAREBBERO TALI DA METTERE A RISCHIO IL SISTEMA CREDITIZIO
2. IN PIÙ C’È IL CASO UNICREDIT. IL MERCATO ITALICO NON PUÒ SOPPORTARE DUE AUMENTI DI CAPITALE: 5 MILIARDI PER MPS, 7 PER UNICREDIT. ED OVVIAMENTE LA PREFERITA E' UNICREDIT
3. PER TACITARE LE TENSIONI POLITICHE, RENZI SPERA CHE LA CONSULTA BOCCI L’ITALICUM
DAGONOTA
Matteo Renzi è ossessionato dal piano di salvataggio del Montepaschi. E con qualche buona ragione: in caso di fallimento dell’operazione, il suo trabiccolo governativo finirebbe in qualche garage di Rignano sull’Arno: le reazioni del mercato internazionali sarebbero tali da affondare il sistema creditizio italiano. Essì: oggi, la spada di Damocle sulla testa del ducetto toscano non è tanto il vituperato Referendum costituzionale bensì la bomba delle banche marce italiane.
Sembra che anche in terra brasiliana chieda continuamente notizie sull’andamento del titolo. Lo avrebbe fatto anche questa mattina. Alle 10 di stamattina è a meno 0,6 con un valore di 26 centesime per azione (un anno fa era 1,9). Un anno fa, dalla poltroncina bianca di “Porta a Porta” Renzi invitava a comprare azioni Mps: in 12 mesi i titoli si sono svalutati del 700 per cento!
Il premier, quindi, sa benissimo che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a doppio filo al successo dell’operazione messa in pieni da Jp Morgan e Medioanca. Più di un “no” al referendum. Berlusconi e Parisi, infatti, se il Ducetto di Rignano dovesse perdere la consultazione, non chiederebbero le dimissioni.
Ma se fallisse l’operazione Montepaschi, allora sì che sarebbero dolori… Sa bene di essersi esposto oltre ogni livello di guardia per un’operazione che non sta in piedi. Il Monte oggi vale un miliardo e ne chiede 5 di aumento di capitale.
In più c’è il caso Unicredit. Anche Jean-Pierre Mustier deve fare un aumento di capitale. E qui cade il cazzone: perché il mercato italiano non può sopportare due aumenti di capitale di tale portata: 5 miliardi per MPS, 7 per Unicredit. Ed ovviamente se qualcuno deve mettere denari in una banca, di certo preferisce metterli in Unicredit piuttosto che nel Montepaschi.
Così, per salvarsi le chiappe il premier sta muovendo tutte le leve a disposizione per convincere Mustier a far slittare l’aumento di Unicreditsuccessivamente a quello di Siena. Ma anche Unicredit ha fretta: ieri è tornata a cedere oltre il 2 per cento in Borsa. Identiche leve le sta attivando per convincere Generali, Poste Vita e le Casse previdenziali (che si sono chiamate fuori) a partecipare al Fondo Atlante 2. L’unico che ha risposto all’appello è stato Unipol: Carlo Cimbri ha deliberato di investire fino a 100 milioni di euro nel fondo Atlante 2.
Insomma, Renzi si sta sbilanciando oltre ogni limite concesso ad un presidente del Consiglio, pur di difendere l’operazione Montepaschi. Sa che c’è in gioco il suo futuro. Si è lasciato convincere da Jamie Dimon. Ma soprattutto dall’accoppiata Grilli-Costamagna. Il primo, ex ministro dell’economia (nonché direttore generale del Tesoro) ed ora responsabile per l’Italia della banca d’affari americana; il secondo, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che lui stesso ha volto in quel posto.
A questo punto non resta che aspettare settembre; con tutti i rischi che ne possono seguire. Alla ripresa dopo le vacanze sarebbe stato schedulato l’aumento di capitale di Montepaschi. L’idea di farlo slittare a dopo il referendum sarebbe stata accantonata dopo il -16 per cento di martedì. La data sarebbe stata giudicata troppo lontana dal mercato.
Nella testa di Matteuccio s’è fatta largo, nel frattempo, l’idea di tacitare le tensioni politiche attraverso una modifica dell’Italicum. Come diversivo alla vicenda bancaria. Tant’è che sembra stia facendo pressioni sulla Corte Costituzionale per bocciarlo; se non tutto, almeno in parte. Magari in quella che affida il premio di maggioranza ad un solo partito.
La Consulta si pronuncerà ad ottobre. Se passasse una modifica dell’Italicum imposto dai giudici costituzionali, lui avrebbe la scusa per modificarlo ed affidare il premio di maggioranza alla coalizione. In tal modo, farebbe contenta la minoranza interna, il “senza quid” Alfano; e pure Berlusconi, che potrebbe così ricompattare il centrodestra. Chi si incazzerà di sicuro saranno i pentastellati di Grillo che con l’Italicum by Renzi-Boschi si sentono già a Palazzo Chigi. La loro rivincita, di certo, si chiama Referendum dove andranno, come un sol uomno, a infilare il loro No nelle urne.
Le puntate sono tutte sul tavolo verde. Ma il vero rischio è l’aumento di capitale del Montepaschi. Tant’è che sembra che al ministero dell’Economia sia stata costituita una task force di esperti qualora, fallito l’aumento di capitale, si dovesse scatenare una corsa allo sportello” dei piccoli risparmiatori. I grandi se ne sono già andati.
A quel punto, il pallino tornerebbe nelle mani di Piercarlo Padoan, da sempre contrario alla soluzione individuata dal premier. E si aprirebbero le porte del “bail in”, magari salvaguardando gli obbligazionisti; circostanza non garantita da Grilli e Costamagna. E proprio dai corridoi di Via Venti Settembre arriva lo spiffero che dalle stanze di Quintino Sella avrebbero ben visto l’operazione prospettata da Passera e Tononi. Fallita sul nascere perché il presidente del Montepaschi si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento perché temeva di essere accusato di fare inciucio: lui restava all presidenza, Corradino sulla poltrona di amministratore delegato..
La ricostruzione della vicenda sarebbe stata fatta da Sergio Ermotti, amministratore delegato di Ubs, ad un gruppo di banchieri svizzeri. Ed Ubs era in cordata con Passera.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
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4 AGO 2016 11:58
1. RENZI È OSSESSIONATO DAL PIANO DI SALVATAGGIO DEL MONTEPASCHI. SA BENE CHE L’OPERAZIONE NON STA IN PIEDI. MPS OGGI VALE UN MILIARDO E NE CHIEDE 5 DI AUMENTO DI CAPITALE. IN CASO DI FALLIMENTO, TORNA A GIOCARE A FLIPPER A RIGNANO: LE REAZIONI DEL MERCATO INTERNAZIONALE SAREBBERO TALI DA METTERE A RISCHIO IL SISTEMA CREDITIZIO
2. IN PIÙ C’È IL CASO UNICREDIT. IL MERCATO ITALICO NON PUÒ SOPPORTARE DUE AUMENTI DI CAPITALE: 5 MILIARDI PER MPS, 7 PER UNICREDIT. ED OVVIAMENTE LA PREFERITA E' UNICREDIT
3. PER TACITARE LE TENSIONI POLITICHE, RENZI SPERA CHE LA CONSULTA BOCCI L’ITALICUM
DAGONOTA
Matteo Renzi è ossessionato dal piano di salvataggio del Montepaschi. E con qualche buona ragione: in caso di fallimento dell’operazione, il suo trabiccolo governativo finirebbe in qualche garage di Rignano sull’Arno: le reazioni del mercato internazionali sarebbero tali da affondare il sistema creditizio italiano. Essì: oggi, la spada di Damocle sulla testa del ducetto toscano non è tanto il vituperato Referendum costituzionale bensì la bomba delle banche marce italiane.
Sembra che anche in terra brasiliana chieda continuamente notizie sull’andamento del titolo. Lo avrebbe fatto anche questa mattina. Alle 10 di stamattina è a meno 0,6 con un valore di 26 centesime per azione (un anno fa era 1,9). Un anno fa, dalla poltroncina bianca di “Porta a Porta” Renzi invitava a comprare azioni Mps: in 12 mesi i titoli si sono svalutati del 700 per cento!
Il premier, quindi, sa benissimo che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a doppio filo al successo dell’operazione messa in pieni da Jp Morgan e Medioanca. Più di un “no” al referendum. Berlusconi e Parisi, infatti, se il Ducetto di Rignano dovesse perdere la consultazione, non chiederebbero le dimissioni.
Ma se fallisse l’operazione Montepaschi, allora sì che sarebbero dolori… Sa bene di essersi esposto oltre ogni livello di guardia per un’operazione che non sta in piedi. Il Monte oggi vale un miliardo e ne chiede 5 di aumento di capitale.
In più c’è il caso Unicredit. Anche Jean-Pierre Mustier deve fare un aumento di capitale. E qui cade il cazzone: perché il mercato italiano non può sopportare due aumenti di capitale di tale portata: 5 miliardi per MPS, 7 per Unicredit. Ed ovviamente se qualcuno deve mettere denari in una banca, di certo preferisce metterli in Unicredit piuttosto che nel Montepaschi.
Così, per salvarsi le chiappe il premier sta muovendo tutte le leve a disposizione per convincere Mustier a far slittare l’aumento di Unicreditsuccessivamente a quello di Siena. Ma anche Unicredit ha fretta: ieri è tornata a cedere oltre il 2 per cento in Borsa. Identiche leve le sta attivando per convincere Generali, Poste Vita e le Casse previdenziali (che si sono chiamate fuori) a partecipare al Fondo Atlante 2. L’unico che ha risposto all’appello è stato Unipol: Carlo Cimbri ha deliberato di investire fino a 100 milioni di euro nel fondo Atlante 2.
Insomma, Renzi si sta sbilanciando oltre ogni limite concesso ad un presidente del Consiglio, pur di difendere l’operazione Montepaschi. Sa che c’è in gioco il suo futuro. Si è lasciato convincere da Jamie Dimon. Ma soprattutto dall’accoppiata Grilli-Costamagna. Il primo, ex ministro dell’economia (nonché direttore generale del Tesoro) ed ora responsabile per l’Italia della banca d’affari americana; il secondo, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che lui stesso ha volto in quel posto.
A questo punto non resta che aspettare settembre; con tutti i rischi che ne possono seguire. Alla ripresa dopo le vacanze sarebbe stato schedulato l’aumento di capitale di Montepaschi. L’idea di farlo slittare a dopo il referendum sarebbe stata accantonata dopo il -16 per cento di martedì. La data sarebbe stata giudicata troppo lontana dal mercato.
Nella testa di Matteuccio s’è fatta largo, nel frattempo, l’idea di tacitare le tensioni politiche attraverso una modifica dell’Italicum. Come diversivo alla vicenda bancaria. Tant’è che sembra stia facendo pressioni sulla Corte Costituzionale per bocciarlo; se non tutto, almeno in parte. Magari in quella che affida il premio di maggioranza ad un solo partito.
La Consulta si pronuncerà ad ottobre. Se passasse una modifica dell’Italicum imposto dai giudici costituzionali, lui avrebbe la scusa per modificarlo ed affidare il premio di maggioranza alla coalizione. In tal modo, farebbe contenta la minoranza interna, il “senza quid” Alfano; e pure Berlusconi, che potrebbe così ricompattare il centrodestra. Chi si incazzerà di sicuro saranno i pentastellati di Grillo che con l’Italicum by Renzi-Boschi si sentono già a Palazzo Chigi. La loro rivincita, di certo, si chiama Referendum dove andranno, come un sol uomno, a infilare il loro No nelle urne.
Le puntate sono tutte sul tavolo verde. Ma il vero rischio è l’aumento di capitale del Montepaschi. Tant’è che sembra che al ministero dell’Economia sia stata costituita una task force di esperti qualora, fallito l’aumento di capitale, si dovesse scatenare una corsa allo sportello” dei piccoli risparmiatori. I grandi se ne sono già andati.
A quel punto, il pallino tornerebbe nelle mani di Piercarlo Padoan, da sempre contrario alla soluzione individuata dal premier. E si aprirebbero le porte del “bail in”, magari salvaguardando gli obbligazionisti; circostanza non garantita da Grilli e Costamagna. E proprio dai corridoi di Via Venti Settembre arriva lo spiffero che dalle stanze di Quintino Sella avrebbero ben visto l’operazione prospettata da Passera e Tononi. Fallita sul nascere perché il presidente del Montepaschi si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento perché temeva di essere accusato di fare inciucio: lui restava all presidenza, Corradino sulla poltrona di amministratore delegato..
La ricostruzione della vicenda sarebbe stata fatta da Sergio Ermotti, amministratore delegato di Ubs, ad un gruppo di banchieri svizzeri. Ed Ubs era in cordata con Passera.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 11:58
1. RENZI È OSSESSIONATO DAL PIANO DI SALVATAGGIO DEL MONTEPASCHI. SA BENE CHE L’OPERAZIONE NON STA IN PIEDI. MPS OGGI VALE UN MILIARDO E NE CHIEDE 5 DI AUMENTO DI CAPITALE. IN CASO DI FALLIMENTO, TORNA A GIOCARE A FLIPPER A RIGNANO: LE REAZIONI DEL MERCATO INTERNAZIONALE SAREBBERO TALI DA METTERE A RISCHIO IL SISTEMA CREDITIZIO
2. IN PIÙ C’È IL CASO UNICREDIT. IL MERCATO ITALICO NON PUÒ SOPPORTARE DUE AUMENTI DI CAPITALE: 5 MILIARDI PER MPS, 7 PER UNICREDIT. ED OVVIAMENTE LA PREFERITA E' UNICREDIT
3. PER TACITARE LE TENSIONI POLITICHE, RENZI SPERA CHE LA CONSULTA BOCCI L’ITALICUM
DAGONOTA
Matteo Renzi è ossessionato dal piano di salvataggio del Montepaschi. E con qualche buona ragione: in caso di fallimento dell’operazione, il suo trabiccolo governativo finirebbe in qualche garage di Rignano sull’Arno: le reazioni del mercato internazionali sarebbero tali da affondare il sistema creditizio italiano. Essì: oggi, la spada di Damocle sulla testa del ducetto toscano non è tanto il vituperato Referendum costituzionale bensì la bomba delle banche marce italiane.
Sembra che anche in terra brasiliana chieda continuamente notizie sull’andamento del titolo. Lo avrebbe fatto anche questa mattina. Alle 10 di stamattina è a meno 0,6 con un valore di 26 centesime per azione (un anno fa era 1,9). Un anno fa, dalla poltroncina bianca di “Porta a Porta” Renzi invitava a comprare azioni Mps: in 12 mesi i titoli si sono svalutati del 700 per cento!
Il premier, quindi, sa benissimo che la sua permanenza a Palazzo Chigi è legata a doppio filo al successo dell’operazione messa in pieni da Jp Morgan e Medioanca. Più di un “no” al referendum. Berlusconi e Parisi, infatti, se il Ducetto di Rignano dovesse perdere la consultazione, non chiederebbero le dimissioni.
Ma se fallisse l’operazione Montepaschi, allora sì che sarebbero dolori… Sa bene di essersi esposto oltre ogni livello di guardia per un’operazione che non sta in piedi. Il Monte oggi vale un miliardo e ne chiede 5 di aumento di capitale.
In più c’è il caso Unicredit. Anche Jean-Pierre Mustier deve fare un aumento di capitale. E qui cade il cazzone: perché il mercato italiano non può sopportare due aumenti di capitale di tale portata: 5 miliardi per MPS, 7 per Unicredit. Ed ovviamente se qualcuno deve mettere denari in una banca, di certo preferisce metterli in Unicredit piuttosto che nel Montepaschi.
Così, per salvarsi le chiappe il premier sta muovendo tutte le leve a disposizione per convincere Mustier a far slittare l’aumento di Unicreditsuccessivamente a quello di Siena. Ma anche Unicredit ha fretta: ieri è tornata a cedere oltre il 2 per cento in Borsa. Identiche leve le sta attivando per convincere Generali, Poste Vita e le Casse previdenziali (che si sono chiamate fuori) a partecipare al Fondo Atlante 2. L’unico che ha risposto all’appello è stato Unipol: Carlo Cimbri ha deliberato di investire fino a 100 milioni di euro nel fondo Atlante 2.
Insomma, Renzi si sta sbilanciando oltre ogni limite concesso ad un presidente del Consiglio, pur di difendere l’operazione Montepaschi. Sa che c’è in gioco il suo futuro. Si è lasciato convincere da Jamie Dimon. Ma soprattutto dall’accoppiata Grilli-Costamagna. Il primo, ex ministro dell’economia (nonché direttore generale del Tesoro) ed ora responsabile per l’Italia della banca d’affari americana; il secondo, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che lui stesso ha volto in quel posto.
A questo punto non resta che aspettare settembre; con tutti i rischi che ne possono seguire. Alla ripresa dopo le vacanze sarebbe stato schedulato l’aumento di capitale di Montepaschi. L’idea di farlo slittare a dopo il referendum sarebbe stata accantonata dopo il -16 per cento di martedì. La data sarebbe stata giudicata troppo lontana dal mercato.
Nella testa di Matteuccio s’è fatta largo, nel frattempo, l’idea di tacitare le tensioni politiche attraverso una modifica dell’Italicum. Come diversivo alla vicenda bancaria. Tant’è che sembra stia facendo pressioni sulla Corte Costituzionale per bocciarlo; se non tutto, almeno in parte. Magari in quella che affida il premio di maggioranza ad un solo partito.
La Consulta si pronuncerà ad ottobre. Se passasse una modifica dell’Italicum imposto dai giudici costituzionali, lui avrebbe la scusa per modificarlo ed affidare il premio di maggioranza alla coalizione. In tal modo, farebbe contenta la minoranza interna, il “senza quid” Alfano; e pure Berlusconi, che potrebbe così ricompattare il centrodestra. Chi si incazzerà di sicuro saranno i pentastellati di Grillo che con l’Italicum by Renzi-Boschi si sentono già a Palazzo Chigi. La loro rivincita, di certo, si chiama Referendum dove andranno, come un sol uomno, a infilare il loro No nelle urne.
Le puntate sono tutte sul tavolo verde. Ma il vero rischio è l’aumento di capitale del Montepaschi. Tant’è che sembra che al ministero dell’Economia sia stata costituita una task force di esperti qualora, fallito l’aumento di capitale, si dovesse scatenare una corsa allo sportello” dei piccoli risparmiatori. I grandi se ne sono già andati.
A quel punto, il pallino tornerebbe nelle mani di Piercarlo Padoan, da sempre contrario alla soluzione individuata dal premier. E si aprirebbero le porte del “bail in”, magari salvaguardando gli obbligazionisti; circostanza non garantita da Grilli e Costamagna. E proprio dai corridoi di Via Venti Settembre arriva lo spiffero che dalle stanze di Quintino Sella avrebbero ben visto l’operazione prospettata da Passera e Tononi. Fallita sul nascere perché il presidente del Montepaschi si sarebbe tirato indietro all’ultimo momento perché temeva di essere accusato di fare inciucio: lui restava all presidenza, Corradino sulla poltrona di amministratore delegato..
La ricostruzione della vicenda sarebbe stata fatta da Sergio Ermotti, amministratore delegato di Ubs, ad un gruppo di banchieri svizzeri. Ed Ubs era in cordata con Passera.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 12:35
COME TI SPOLPO LA BANCA
– A VINCENZO CONSOLI SEQUESTRATI 45 MILIONI DI EURO
– IL SUO STIPENDIO? PIU’ DI 11 MILA EURO AL GIORNO, MENTRE VENETO BANCA PERDEVA 6 MILIARDI DI EURO. POI UNA LIQUIDAZIONE DA 3,5 MILIONI DI EURO. ED HA ANCORA UN PRESTITO DA 8,5 MILIONI
Attilio Barbieri per “Libero Quotidiano”
La carriera di Vincenzo Consoli a Veneto Banca inizia nel 1989 quando viene contattato dall' allora direttore generale della Popolare di Vicenza, Luciano Gentilini, che gli chiede di dare una mano a una piccola Popolare, quella di Asolo e Montebelluna, che voleva aprire un' agenzia a Torri di Quartesolo, un paesone della provincia Vicentina ben imbottito di quattrini.
Non trovano nessuno disposto a dirigerla. Il «ragioniere di Matera» accetta, così molla il Credito Italiano per scommettere sul proprio futuro. E il gioco gli va bene. Nel '97, nove anni dopo, diventa direttore generale e di lì a poco amministratore delegato dell' istituto divenuto nel frattempo Veneto Banca.
Un vero e proprio regno, il suo, destinato a concludersi soltanto 17 anni dopo, nel 2014, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie seguite alle ispezioni disposte a Montebelluna da Bankitalia e Banca centrale europea.
Negli ultimi quindici anni, vissuti da Consoli come monarca assoluto di una banca entrata nel frattempo nella top 10 nazionale, il banchiere di Matera ha accumulato una fortuna.
Così si spiega il maxisequestro da 45 milioni di euro disposto dalla procura di Roma nell' ordinanza di arresto con le accuse di aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e false comunicazioni ai mercati.
Gli anni d' oro sono gli ultimi, il 2010 in particolare. All' assemblea ordinaria che si svolse nel gigantesco auditorium di Montebelluna, il cda porta una proposta destinata a cambiare il corso degli eventi. Per l' istituto ma soprattutto per i 120mila risparmiatori che hanno perso tutti i loro soldi. Una montagna: sei miliardi di euro.
«Sulla base della simulazione effettuata», si legge nel documento fatto approvare dai soci, «è emerso che applicando un moltiplicatore medio del 6,23% alla raccolta totale, la valorizzazione dell' azione Veneto Banca Holding risulta pari a euro 41,17».
L' inizio della grande truffa, visto che al momento di sbarcare in Borsa (operazione comunque fallita) il titolo sarebbe entrato in quotazione a 10 centesimi.
Quello stesso anno Consoli percepisce la retribuzione monstre di 3,7 milioni di euro, arrivando di un nulla alle spalle di Corrado Passera, allora amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo, il banchiere più pagato d' Italia.
L' anno record, però, è il 2014. Mentre il numero uno della Popolare di Vicenza Gianni Zonin - pure lui alle prese con qualche problemino - arriva a percepire una remunerazione di 1,5 milioni di euro, al ragioniere di Matera tocca la bellezza di 4 milioni e 274mila euro.
Gli otto mesi lavorati da direttore generale gli fruttano 900mila euro, cui si sommano i 3,6 milioni di golden parachute per la rescissione anticipata del suo contratto da amministratore delegato. La Cisl di Treviso fece il calcolo che a Consoli toccarono quell' anno 11.232 euro al giorno.
E pure il 2015, l' anno del divorzio dalla banca, sulla carta non gli sarebbe andato male quanto a soldi visto che avrebbe dovuto intascare 3 milioni e 650mila euro, come si evince dalla relazione svolta dal cda ai soci che al capo terzo, squaderna le cifre con le quali «si è risolto consensualmente da parte dell' azienda e dell' ex direttore generale il rapporto di lavoro».
Ecco la contabilità dell' operazione: euro 189.000 a titolo di indennità sostitutiva di preavviso; euro 761.689 a titolo di penale per anticipata risoluzione; euro 1.800.000 a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza; euro 900.000 a titolo transattivo. In realtà di quest' ultimo pacco di denari Consoli ha intascato soltanto i 150mila euro per il mancato preavviso. Il resto è stato congelato dall' azienda ed è oggetto di contenzioso.
Facendo un salto indietro nel tempo, si scopre che nel 2012, come risulta dalla documentazione sottoposta ai soci e approvata dall' assemblea del Gruppo Veneto Banca il 27 aprile 2013, all' ad tocca una retribuzione fissa di 2.151.522, a cui si sarebbero aggiunti i premi di risultato. Sullo stesso ordine di grandezza si sarebbero chiuse anche le annualità 2011 e 2013.
Quindi, calcolatrice alla mano, dal 2010 e fino al 2014 il banchiere di Matera avrebbe percepito remunerazioni pari a 14,3 milioni di euro, mentre nei dieci anni precedenti la media, molto variabile in relazione a risultati e operazioni straordinarie, sarebbe attorno a 1,8 milioni l' anno. Il totale arriva ai 32 milioni abbondanti.
A questa cifra vanno aggiunti gli immobili che Consoli ha acquistato dal 2006 in poi. Nel 2009 aveva comperato un immobile di lusso nel centro storico di Vicenza. Valore 3 milioni di euro, finanziati con un mutuo concesso da Veneto Banca al tasso agevolato dell' 1,5%.
Operazione simile a quella realizzata tre anni prima per un importo di 2,5 milioni.Nel 2008 è stata la volta di una grande masseria in Puglia: altri 3 milioni di euro. Con gli immobili il totale sale a quasi 41 milioni di euro, molto vicino al valore posto sotto sequestro dalla procura di Roma.
Resta da capire cosa ne sarà dello stock di affidamenti concessi dall' istituto di Montebelluna al suo ex timoniere. In tutto 8,5 milioni di euro. C' è da augurarsi che Consoli riesca a onorare le rate alla scadenza, altrimenti finiranno per aumentare le sofferenze di Veneto Banca, giunte alla cifra record di 4,9 miliardi di euro.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 12:35
COME TI SPOLPO LA BANCA
– A VINCENZO CONSOLI SEQUESTRATI 45 MILIONI DI EURO
– IL SUO STIPENDIO? PIU’ DI 11 MILA EURO AL GIORNO, MENTRE VENETO BANCA PERDEVA 6 MILIARDI DI EURO. POI UNA LIQUIDAZIONE DA 3,5 MILIONI DI EURO. ED HA ANCORA UN PRESTITO DA 8,5 MILIONI
Attilio Barbieri per “Libero Quotidiano”
La carriera di Vincenzo Consoli a Veneto Banca inizia nel 1989 quando viene contattato dall' allora direttore generale della Popolare di Vicenza, Luciano Gentilini, che gli chiede di dare una mano a una piccola Popolare, quella di Asolo e Montebelluna, che voleva aprire un' agenzia a Torri di Quartesolo, un paesone della provincia Vicentina ben imbottito di quattrini.
Non trovano nessuno disposto a dirigerla. Il «ragioniere di Matera» accetta, così molla il Credito Italiano per scommettere sul proprio futuro. E il gioco gli va bene. Nel '97, nove anni dopo, diventa direttore generale e di lì a poco amministratore delegato dell' istituto divenuto nel frattempo Veneto Banca.
Un vero e proprio regno, il suo, destinato a concludersi soltanto 17 anni dopo, nel 2014, sotto i colpi delle inchieste giudiziarie seguite alle ispezioni disposte a Montebelluna da Bankitalia e Banca centrale europea.
Negli ultimi quindici anni, vissuti da Consoli come monarca assoluto di una banca entrata nel frattempo nella top 10 nazionale, il banchiere di Matera ha accumulato una fortuna.
Così si spiega il maxisequestro da 45 milioni di euro disposto dalla procura di Roma nell' ordinanza di arresto con le accuse di aggiotaggio, ostacolo alle autorità di vigilanza e false comunicazioni ai mercati.
Gli anni d' oro sono gli ultimi, il 2010 in particolare. All' assemblea ordinaria che si svolse nel gigantesco auditorium di Montebelluna, il cda porta una proposta destinata a cambiare il corso degli eventi. Per l' istituto ma soprattutto per i 120mila risparmiatori che hanno perso tutti i loro soldi. Una montagna: sei miliardi di euro.
«Sulla base della simulazione effettuata», si legge nel documento fatto approvare dai soci, «è emerso che applicando un moltiplicatore medio del 6,23% alla raccolta totale, la valorizzazione dell' azione Veneto Banca Holding risulta pari a euro 41,17».
L' inizio della grande truffa, visto che al momento di sbarcare in Borsa (operazione comunque fallita) il titolo sarebbe entrato in quotazione a 10 centesimi.
Quello stesso anno Consoli percepisce la retribuzione monstre di 3,7 milioni di euro, arrivando di un nulla alle spalle di Corrado Passera, allora amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo, il banchiere più pagato d' Italia.
L' anno record, però, è il 2014. Mentre il numero uno della Popolare di Vicenza Gianni Zonin - pure lui alle prese con qualche problemino - arriva a percepire una remunerazione di 1,5 milioni di euro, al ragioniere di Matera tocca la bellezza di 4 milioni e 274mila euro.
Gli otto mesi lavorati da direttore generale gli fruttano 900mila euro, cui si sommano i 3,6 milioni di golden parachute per la rescissione anticipata del suo contratto da amministratore delegato. La Cisl di Treviso fece il calcolo che a Consoli toccarono quell' anno 11.232 euro al giorno.
E pure il 2015, l' anno del divorzio dalla banca, sulla carta non gli sarebbe andato male quanto a soldi visto che avrebbe dovuto intascare 3 milioni e 650mila euro, come si evince dalla relazione svolta dal cda ai soci che al capo terzo, squaderna le cifre con le quali «si è risolto consensualmente da parte dell' azienda e dell' ex direttore generale il rapporto di lavoro».
Ecco la contabilità dell' operazione: euro 189.000 a titolo di indennità sostitutiva di preavviso; euro 761.689 a titolo di penale per anticipata risoluzione; euro 1.800.000 a titolo di corrispettivo per il patto di non concorrenza; euro 900.000 a titolo transattivo. In realtà di quest' ultimo pacco di denari Consoli ha intascato soltanto i 150mila euro per il mancato preavviso. Il resto è stato congelato dall' azienda ed è oggetto di contenzioso.
Facendo un salto indietro nel tempo, si scopre che nel 2012, come risulta dalla documentazione sottoposta ai soci e approvata dall' assemblea del Gruppo Veneto Banca il 27 aprile 2013, all' ad tocca una retribuzione fissa di 2.151.522, a cui si sarebbero aggiunti i premi di risultato. Sullo stesso ordine di grandezza si sarebbero chiuse anche le annualità 2011 e 2013.
Quindi, calcolatrice alla mano, dal 2010 e fino al 2014 il banchiere di Matera avrebbe percepito remunerazioni pari a 14,3 milioni di euro, mentre nei dieci anni precedenti la media, molto variabile in relazione a risultati e operazioni straordinarie, sarebbe attorno a 1,8 milioni l' anno. Il totale arriva ai 32 milioni abbondanti.
A questa cifra vanno aggiunti gli immobili che Consoli ha acquistato dal 2006 in poi. Nel 2009 aveva comperato un immobile di lusso nel centro storico di Vicenza. Valore 3 milioni di euro, finanziati con un mutuo concesso da Veneto Banca al tasso agevolato dell' 1,5%.
Operazione simile a quella realizzata tre anni prima per un importo di 2,5 milioni.Nel 2008 è stata la volta di una grande masseria in Puglia: altri 3 milioni di euro. Con gli immobili il totale sale a quasi 41 milioni di euro, molto vicino al valore posto sotto sequestro dalla procura di Roma.
Resta da capire cosa ne sarà dello stock di affidamenti concessi dall' istituto di Montebelluna al suo ex timoniere. In tutto 8,5 milioni di euro. C' è da augurarsi che Consoli riesca a onorare le rate alla scadenza, altrimenti finiranno per aumentare le sofferenze di Veneto Banca, giunte alla cifra record di 4,9 miliardi di euro.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 11:44
IL RICATTO DELLA BUNDESBANK: O DELEGATE PIU’ POTERE A BRUXELLES O FALLITE
– WEIDMANN AVVERTE: L’ITALIA NON PUO’ SPERARE ANCORA A LUNGO IN DRAGHI. NO AD UN INTERVENTO PUBBLICO PER LE BANCHE
– A RENZI: RIDUCI IL DEBITO ANCHE CON MISURE IMPOPOLARI. SENNO', MORTO UN PAPA SE NE FA SEMPRE UN ALTRO...
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Non importa che sia il presidente. All' ora di pranzo Jens Weidmann scende come tutti alla mensa della Bundesbank, mangia ai tavoli fra centinaia di dipendenti e poi separa da sé i rifiuti nel vassoio: carta di qua, organici di là.
Quindi sale al tredicesimo piano, apre una porta e mostra con emozione una grande sala la cui parete di vetro dà sulla campagna di Francoforte. Qui si riuniva il consiglio della banca centrale tedesca, un tempo; qui sono state decise alcune delle strette monetarie che misero brutalmente a nudo la fragilità dell' Italia indebitata e fiaccata dal malaffare del 1992, innescando l' ultimo grande crollo della lira.
Oggi quella sala è vuota: con l' avvento dell' euro, il gruppo dirigente della Bundesbank si è ristretto ed entra tutto in una stanza più piccola. Ormai la banca centrale tedesca esercita la sua influenza in Europa in modo diverso, anche attraverso l' uso della parola come in questa intervista a Die Zeit e al Corriere .
Le banche in Europa sono in difficoltà. I contribuenti ancora una volta dovranno salvarle?
«Non è la mia lettura degli stress test pubblicati venerdì. Hanno mostrato che negli anni scorsi le banche europee si sono rafforzate, nel complesso, anche se è chiaro che alcune devono compiere altri sforzi per migliorare la propria redditività. Questo vale non da ultimo per alcuni istituti tedeschi. Peraltro, una banca italiana ha subito fatto sapere come intende rafforzare il capitale e superare la propria crisi».
A suo avviso il piano per Monte dei Paschi, tutto basato sul mercato, è sostenibile?
«È sempre da accogliere con favore il fatto che si prenda una strada per cui si punta a raccogliere nuove risorse dal settore privato, non dallo Stato. E la qualità del bilancio dovrebbe migliorare anche deconsolidando i crediti problematici. Infatti i mercati inizialmente hanno risposto in modo molto positivo alla notizia».
Ma se il piano non andasse in porto, che penserebbe di un intervento pubblico?
«In Europa ci siamo dati nuove regole per le crisi bancarie. In linea di principio gli azionisti e i creditori devono sopportare le perdite, quando una banca va risanata. E ha anche senso: gli investitori hanno ottenuto dei profitti e per farlo hanno accettato dei rischi. Tenerli al riparo dal risanamento di una banca significa privatizzare i profitti e socializzare le perdite».
È quanto ha fatto il governo tedesco durante la crisi: ha salvato le banche senza colpire i creditori. Lei lavorava nell' ufficio della cancelliera Angela Merkel.
«Allora eravamo in una crisi finanziaria globale e non c' erano ancora le attuali regole europee. Queste norme sono una delle lezioni centrali tratte dalla crisi: dovrebbero contribuire a far sì che gli investitori e le banche valutino meglio i rischi che si assumono. All' epoca ne avevano presi troppi anche perché contavano che in caso di emergenza lo Stato sarebbe intervenuto».
Ma davvero intervenire nelle banche è una perdita per i contribuenti?
Negli Stati Uniti il governo lo ha fatto, quindi ha rivenduto le sue azioni guadagnandoci.
«Noi rafforziamo la tenuta del settore finanziario anche per questo, perché i suoi problemi non portino a una crisi economica. Poi, in che misura un salvataggio bancario alla fine costi o meno ai contribuenti, dipende da vari fattori: per esempio, se abbiamo a che fare con istituti sani ma danneggiati da un momento di crisi intensa sui mercati. Altra cosa è quando sono banche senza un modello di business sostenibile o da risanare».
Non pensa che imporre perdite ai creditori per Matteo Renzi diventerebbe un problema politico?
«Può essere. Ma dovremmo per questo derogare a regole piene di buon senso che ci siamo dati insieme? Il governo italiano può sostenere i singoli cittadini, se lo ritiene necessario. Anche se questi interventi vanno coperti finanziariamente in maniera solida».
Per l' Fmi Deutsche Bank rappresenta i rischi maggiori per la stabilità del sistema finanziario e la banca ha fallito gli stress test della Federal Reserve. Perché la vigilanza bancaria tedesca e europea - di cui la Bundesbank è parte - su questo tema tacciono?
«Non mi esprimo sui singoli istituti, però credo che l' Fmi sia stato mal interpretato: non ha esaminato la solidità delle singole banche, ma la loro rilevanza per il sistema finanziario internazionale. E viste le dimensioni e l' alto grado di interconnessione con altre società finanziarie, eventuali problemi di Deutsche Bank potrebbero scaricarsi sul sistema nel suo complesso. Deutsche Bank è in alto grado sistemica, questo è ciò che dichiara quel rapporto dell' Fmi».
In caso di dissesto di una grossa banca tedesca, la Bundesbank spingerebbe perché i creditori condividano il costo del salvataggio, anche a rischio di creare instabilità?
«Abbiamo concordato delle regole e la Bundesbank si impegna perché vangano rispettate. Un coinvolgimento credibile dei creditori è davvero necessario».
È possibile che i tassi scendano ancora, creando ancora più problemi alle banche. Molti prevedono, in reazione alla Brexit, che la Bce diventi ancora più accomodante.
«La mia impressione è che il referendum britannico non abbia cambiato in modo fondamentale le prospettive congiunturali nell' area euro. Ci dovrebbe essere una piccola frenata, ma in generale la progressione andrà avanti. È un po' presto per pronunciarsi sull' impatto futuro per la dinamica dei prezzi».
Ma la sua posizione qual è?
«I tassi sono già molto bassi, le condizioni finanziarie non presentano veri ostacoli agli investimenti. Ci aspettiamo un graduale miglioramento della congiuntura e un incremento dei tassi d' inflazione verso i nostri obiettivi. Ed è chiaro che con il tempo, l' efficacia di una politica monetaria ultraespansiva sta scemando, mentre aumentano i rischi e gli effetti collaterali».
La Bce compra titoli per circa 80 miliardi al mese, in gran parte pubblici. Tra un po' non ce ne saranno più molti di Berlino (e di Lisbona) che la Bce possa comprare con le regole attuali. Potreste continuare gli interventi, se volete, oltre marzo?
«Riguardo al programma di acquisti ci sono possibilità di adattamento. Però dobbiamo essere prudenti. Sapete bene che in generale ho delle riserve sugli acquisti di titoli di Stato. Per esempio le quote nazionali nella chiave di capitale hanno un senso, perché mirano fra l' altro ad assicurare l' unitarietà della politica monetaria. Rafforzare gli acquisti di titoli di Paesi con un debito più alto o una minore solidità ci allontanerebbe ancora di più dal nostro mandato».
La sua è una motivazione formale, no?
«Ma ha un fondamento economico. Se si concedono condizioni speciali a singoli Paesi o ci si concentra troppo su Paesi altamente indebitati, si cancellano sempre di più i confini fra la politica monetaria e la politica di bilancio. Questo può mettere in discussione l' indipendenza della Banca centrale, che è un fondamento di una politica monetaria orientata alla stabilità. Alla fine ciò potrebbe generare una pressione perché si tengano i tassi bassi più a lungo del necessario, se dei Paesi molto indebitati non sono in grado di sopportare un aumento degli interessi. Gli economisti in quel caso parlano di dominanza fiscale sulla politica monetaria».
Ci siamo già? L' Italia ha un debito pubblico oltre il 130% del Pil.
«I criteri di Maastricht ci dovrebbero proteggere da questi scenari e un debito oltre il 130% è più del doppio del livello compatibile. Per questo è importante non scalzare la disciplina di mercato. Alti livelli di debito vanno ridotti in fretta».
Se Renzi promettesse di fare tutte le riforme strutturali in cambio del permesso di avere un po' più di deficit, per non perdere il sostegno del Paese, che ne penserebbe?
«Riforme strutturali e finanza pubblica sana non sono in contrapposizione. L' Italia stessa ha messo in campo alcune importanti riforme che non hanno gravato sul bilancio. Per inciso, ogni governo può sostenere che sta facendo riforme importanti per il proprio Paese. Allo stesso tempo le misure di risanamento sono sempre impopolari e vengono messe nel dimenticatoio, ed è una delle ragioni di debiti così alti. Se sorgesse l' impressione che le norme si interpretano parametrandole alle chance elettorali dei partiti di governo, sarebbe fatale per la capacità della Ue di farsi accettare».
Dopo la Brexit in Italia ci sono state proposte di approfondire l' unione monetaria, in Germania si predilige una pausa. Da che parte sta?
«È un dibattito che ha poco a che fare con la Brexit, ma credo che siamo arrivati a un bivio. Possiamo stabilire un legame ancora più stretto fra noi, per esempio con un bilancio comune. Ma in questo caso dovremmo anche essere pronti a trasferire anche la sovranità a livello europeo. È una disponibilità che non vedo né in Germania, né in Italia».
L' alternativa?
«Un ritorno al principio di responsabilità di Maastricht, sia per gli investitori che per gli Stati. Ma funziona solo se in ultima istanza è possibile anche affrontare e superare l' insolvenza di uno Stato senza che questo porti al crollo del sistema finanziario. Per questo abbiamo bisogno di una più robusta separazione fra banche e Stati, e procedure ordinate in caso di problemi finanziari degli Stati».
Non sembra che i politici siano disposti a scegliere una delle due strade: né la condivisione di sovranità, né procedure d' insolvenza per gli Stati. Significa che il destino dell' euro è segnato?
«La formulerei così: i governi europei hanno preso una via di mezzo che ci fa guadagnare tempo. Ma prima o poi dobbiamo decidere una direzione, se vogliamo ancorare l' unione monetaria come unione di stabilità».
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
4 AGO 2016 11:44
IL RICATTO DELLA BUNDESBANK: O DELEGATE PIU’ POTERE A BRUXELLES O FALLITE
– WEIDMANN AVVERTE: L’ITALIA NON PUO’ SPERARE ANCORA A LUNGO IN DRAGHI. NO AD UN INTERVENTO PUBBLICO PER LE BANCHE
– A RENZI: RIDUCI IL DEBITO ANCHE CON MISURE IMPOPOLARI. SENNO', MORTO UN PAPA SE NE FA SEMPRE UN ALTRO...
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Non importa che sia il presidente. All' ora di pranzo Jens Weidmann scende come tutti alla mensa della Bundesbank, mangia ai tavoli fra centinaia di dipendenti e poi separa da sé i rifiuti nel vassoio: carta di qua, organici di là.
Quindi sale al tredicesimo piano, apre una porta e mostra con emozione una grande sala la cui parete di vetro dà sulla campagna di Francoforte. Qui si riuniva il consiglio della banca centrale tedesca, un tempo; qui sono state decise alcune delle strette monetarie che misero brutalmente a nudo la fragilità dell' Italia indebitata e fiaccata dal malaffare del 1992, innescando l' ultimo grande crollo della lira.
Oggi quella sala è vuota: con l' avvento dell' euro, il gruppo dirigente della Bundesbank si è ristretto ed entra tutto in una stanza più piccola. Ormai la banca centrale tedesca esercita la sua influenza in Europa in modo diverso, anche attraverso l' uso della parola come in questa intervista a Die Zeit e al Corriere .
Le banche in Europa sono in difficoltà. I contribuenti ancora una volta dovranno salvarle?
«Non è la mia lettura degli stress test pubblicati venerdì. Hanno mostrato che negli anni scorsi le banche europee si sono rafforzate, nel complesso, anche se è chiaro che alcune devono compiere altri sforzi per migliorare la propria redditività. Questo vale non da ultimo per alcuni istituti tedeschi. Peraltro, una banca italiana ha subito fatto sapere come intende rafforzare il capitale e superare la propria crisi».
A suo avviso il piano per Monte dei Paschi, tutto basato sul mercato, è sostenibile?
«È sempre da accogliere con favore il fatto che si prenda una strada per cui si punta a raccogliere nuove risorse dal settore privato, non dallo Stato. E la qualità del bilancio dovrebbe migliorare anche deconsolidando i crediti problematici. Infatti i mercati inizialmente hanno risposto in modo molto positivo alla notizia».
Ma se il piano non andasse in porto, che penserebbe di un intervento pubblico?
«In Europa ci siamo dati nuove regole per le crisi bancarie. In linea di principio gli azionisti e i creditori devono sopportare le perdite, quando una banca va risanata. E ha anche senso: gli investitori hanno ottenuto dei profitti e per farlo hanno accettato dei rischi. Tenerli al riparo dal risanamento di una banca significa privatizzare i profitti e socializzare le perdite».
È quanto ha fatto il governo tedesco durante la crisi: ha salvato le banche senza colpire i creditori. Lei lavorava nell' ufficio della cancelliera Angela Merkel.
«Allora eravamo in una crisi finanziaria globale e non c' erano ancora le attuali regole europee. Queste norme sono una delle lezioni centrali tratte dalla crisi: dovrebbero contribuire a far sì che gli investitori e le banche valutino meglio i rischi che si assumono. All' epoca ne avevano presi troppi anche perché contavano che in caso di emergenza lo Stato sarebbe intervenuto».
Ma davvero intervenire nelle banche è una perdita per i contribuenti?
Negli Stati Uniti il governo lo ha fatto, quindi ha rivenduto le sue azioni guadagnandoci.
«Noi rafforziamo la tenuta del settore finanziario anche per questo, perché i suoi problemi non portino a una crisi economica. Poi, in che misura un salvataggio bancario alla fine costi o meno ai contribuenti, dipende da vari fattori: per esempio, se abbiamo a che fare con istituti sani ma danneggiati da un momento di crisi intensa sui mercati. Altra cosa è quando sono banche senza un modello di business sostenibile o da risanare».
Non pensa che imporre perdite ai creditori per Matteo Renzi diventerebbe un problema politico?
«Può essere. Ma dovremmo per questo derogare a regole piene di buon senso che ci siamo dati insieme? Il governo italiano può sostenere i singoli cittadini, se lo ritiene necessario. Anche se questi interventi vanno coperti finanziariamente in maniera solida».
Per l' Fmi Deutsche Bank rappresenta i rischi maggiori per la stabilità del sistema finanziario e la banca ha fallito gli stress test della Federal Reserve. Perché la vigilanza bancaria tedesca e europea - di cui la Bundesbank è parte - su questo tema tacciono?
«Non mi esprimo sui singoli istituti, però credo che l' Fmi sia stato mal interpretato: non ha esaminato la solidità delle singole banche, ma la loro rilevanza per il sistema finanziario internazionale. E viste le dimensioni e l' alto grado di interconnessione con altre società finanziarie, eventuali problemi di Deutsche Bank potrebbero scaricarsi sul sistema nel suo complesso. Deutsche Bank è in alto grado sistemica, questo è ciò che dichiara quel rapporto dell' Fmi».
In caso di dissesto di una grossa banca tedesca, la Bundesbank spingerebbe perché i creditori condividano il costo del salvataggio, anche a rischio di creare instabilità?
«Abbiamo concordato delle regole e la Bundesbank si impegna perché vangano rispettate. Un coinvolgimento credibile dei creditori è davvero necessario».
È possibile che i tassi scendano ancora, creando ancora più problemi alle banche. Molti prevedono, in reazione alla Brexit, che la Bce diventi ancora più accomodante.
«La mia impressione è che il referendum britannico non abbia cambiato in modo fondamentale le prospettive congiunturali nell' area euro. Ci dovrebbe essere una piccola frenata, ma in generale la progressione andrà avanti. È un po' presto per pronunciarsi sull' impatto futuro per la dinamica dei prezzi».
Ma la sua posizione qual è?
«I tassi sono già molto bassi, le condizioni finanziarie non presentano veri ostacoli agli investimenti. Ci aspettiamo un graduale miglioramento della congiuntura e un incremento dei tassi d' inflazione verso i nostri obiettivi. Ed è chiaro che con il tempo, l' efficacia di una politica monetaria ultraespansiva sta scemando, mentre aumentano i rischi e gli effetti collaterali».
La Bce compra titoli per circa 80 miliardi al mese, in gran parte pubblici. Tra un po' non ce ne saranno più molti di Berlino (e di Lisbona) che la Bce possa comprare con le regole attuali. Potreste continuare gli interventi, se volete, oltre marzo?
«Riguardo al programma di acquisti ci sono possibilità di adattamento. Però dobbiamo essere prudenti. Sapete bene che in generale ho delle riserve sugli acquisti di titoli di Stato. Per esempio le quote nazionali nella chiave di capitale hanno un senso, perché mirano fra l' altro ad assicurare l' unitarietà della politica monetaria. Rafforzare gli acquisti di titoli di Paesi con un debito più alto o una minore solidità ci allontanerebbe ancora di più dal nostro mandato».
La sua è una motivazione formale, no?
«Ma ha un fondamento economico. Se si concedono condizioni speciali a singoli Paesi o ci si concentra troppo su Paesi altamente indebitati, si cancellano sempre di più i confini fra la politica monetaria e la politica di bilancio. Questo può mettere in discussione l' indipendenza della Banca centrale, che è un fondamento di una politica monetaria orientata alla stabilità. Alla fine ciò potrebbe generare una pressione perché si tengano i tassi bassi più a lungo del necessario, se dei Paesi molto indebitati non sono in grado di sopportare un aumento degli interessi. Gli economisti in quel caso parlano di dominanza fiscale sulla politica monetaria».
Ci siamo già? L' Italia ha un debito pubblico oltre il 130% del Pil.
«I criteri di Maastricht ci dovrebbero proteggere da questi scenari e un debito oltre il 130% è più del doppio del livello compatibile. Per questo è importante non scalzare la disciplina di mercato. Alti livelli di debito vanno ridotti in fretta».
Se Renzi promettesse di fare tutte le riforme strutturali in cambio del permesso di avere un po' più di deficit, per non perdere il sostegno del Paese, che ne penserebbe?
«Riforme strutturali e finanza pubblica sana non sono in contrapposizione. L' Italia stessa ha messo in campo alcune importanti riforme che non hanno gravato sul bilancio. Per inciso, ogni governo può sostenere che sta facendo riforme importanti per il proprio Paese. Allo stesso tempo le misure di risanamento sono sempre impopolari e vengono messe nel dimenticatoio, ed è una delle ragioni di debiti così alti. Se sorgesse l' impressione che le norme si interpretano parametrandole alle chance elettorali dei partiti di governo, sarebbe fatale per la capacità della Ue di farsi accettare».
Dopo la Brexit in Italia ci sono state proposte di approfondire l' unione monetaria, in Germania si predilige una pausa. Da che parte sta?
«È un dibattito che ha poco a che fare con la Brexit, ma credo che siamo arrivati a un bivio. Possiamo stabilire un legame ancora più stretto fra noi, per esempio con un bilancio comune. Ma in questo caso dovremmo anche essere pronti a trasferire anche la sovranità a livello europeo. È una disponibilità che non vedo né in Germania, né in Italia».
L' alternativa?
«Un ritorno al principio di responsabilità di Maastricht, sia per gli investitori che per gli Stati. Ma funziona solo se in ultima istanza è possibile anche affrontare e superare l' insolvenza di uno Stato senza che questo porti al crollo del sistema finanziario. Per questo abbiamo bisogno di una più robusta separazione fra banche e Stati, e procedure ordinate in caso di problemi finanziari degli Stati».
Non sembra che i politici siano disposti a scegliere una delle due strade: né la condivisione di sovranità, né procedure d' insolvenza per gli Stati. Significa che il destino dell' euro è segnato?
«La formulerei così: i governi europei hanno preso una via di mezzo che ci fa guadagnare tempo. Ma prima o poi dobbiamo decidere una direzione, se vogliamo ancorare l' unione monetaria come unione di stabilità».
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Senato, sì all’arresto di Caridi per ‘ndrangheta
Palazzo Madama dà il via libera con 154 sì e 110 no. Proteste del centrodestra dopo che il presidente
Grasso ha invertito l’ordine del giorno per dare priorità alla relazione della Giunta delle Immunità
Politica
L’Aula di Palazzo Madama ha detto sì all’arresto di Antonio Caridi, il senatore di Gal per il quale è stata emessa una richiesta di custodia cautelare da parte del tribunale di Reggio Calabria. Con 154 voti favorevoli, 110 contrari e 12 astenuti, dunque il Senato ha confermato la proposta avanzata dalla Giunta per le Immunità. La votazione è avvenuta con voto segreto, come richiesto dai senatori di Gal, nonostante il Pd avesse poi proposto il voto palese. Poche ore prima del voto, fonti parlamentari facevano notare come il gruppo Pd, quello del Movimento 5 Stelle, i senatori di Sinistra Italiana e gli ex M5S garantivano la presenza di 155 senatori: all’appello dunque manca soltanto un voto
Senato, Palazzo Madama dice sì all’arresto di Antonio Caridi: 154 favorevoli, 110 contrari e 12 astenuti
Politica
Via libera con lo scrutinio segreto - il Pd aveva chiesto il voto palese - alla richiesta di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria, dopo che il presidente Pietro Grasso aveva deciso di invertire l'ordine del giorno, dando priorità alla relazione della Giunta delle Immunità. Proteste di Gal e Forza Italia. Giovanardi: "Cose che possono capitare a chiunque". Il verdiniano Barani evoca il fascismo: "Le intacca la democrazia, io minacciato come Matteotti"
di F. Q. | 4 agosto 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... i/2954943/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Senato, sì all’arresto di Caridi per ‘ndrangheta
Palazzo Madama dà il via libera con 154 sì e 110 no. Proteste del centrodestra dopo che il presidente
Grasso ha invertito l’ordine del giorno per dare priorità alla relazione della Giunta delle Immunità
Politica
L’Aula di Palazzo Madama ha detto sì all’arresto di Antonio Caridi, il senatore di Gal per il quale è stata emessa una richiesta di custodia cautelare da parte del tribunale di Reggio Calabria. Con 154 voti favorevoli, 110 contrari e 12 astenuti, dunque il Senato ha confermato la proposta avanzata dalla Giunta per le Immunità. La votazione è avvenuta con voto segreto, come richiesto dai senatori di Gal, nonostante il Pd avesse poi proposto il voto palese. Poche ore prima del voto, fonti parlamentari facevano notare come il gruppo Pd, quello del Movimento 5 Stelle, i senatori di Sinistra Italiana e gli ex M5S garantivano la presenza di 155 senatori: all’appello dunque manca soltanto un voto
Senato, Palazzo Madama dice sì all’arresto di Antonio Caridi: 154 favorevoli, 110 contrari e 12 astenuti
Politica
Via libera con lo scrutinio segreto - il Pd aveva chiesto il voto palese - alla richiesta di custodia cautelare emessa dal gip di Reggio Calabria, dopo che il presidente Pietro Grasso aveva deciso di invertire l'ordine del giorno, dando priorità alla relazione della Giunta delle Immunità. Proteste di Gal e Forza Italia. Giovanardi: "Cose che possono capitare a chiunque". Il verdiniano Barani evoca il fascismo: "Le intacca la democrazia, io minacciato come Matteotti"
di F. Q. | 4 agosto 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... i/2954943/
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LA LUNGA NOTTE DEGLI ZOMBIE
4 AGO 2016 18:49
DIETROFRONT, TUTTI SOTTO LA POMPETTA (2)! ANCHE AZZOLLINI MOLLA ALFANO E TORNA DA BERLUSCONI
– GASPARRI E LA BERNINI ESULTANO – A QUANDO IL RITORNO ALL’OVILE DI MAURIZIO SACCONI?
– HA OTTIMI RAPPORTI CON PARISI E PESSIMI CON ANGELINO - ATTIVISMO DI LUPI - - -
1 - AZZOLLINI TORNA IN FI, C.DESTRA È ALTERNATIVO SINISTRA
(ANSA) - Dopo Renato Schifani anche Antonio Azzollini torna in FI. "Chi ritiene che sia fondamentale per la politica e per l'economia la ricostruzione di un c.destra forte e coeso non può che far riferimento a FI e a Berlusconi. Da tempo esprimevo rilevanti ragioni di dissenso da Ap, consapevole che il nostro elettorato chiede di essere rappresentato da uno schieramento palesemente alternativo alla sinistra. Tornare in FI è logica conseguenza, una scelta dettata dalla necessità di continuare a tener fede agli ideali in cui credo".
2 - GASPARRI, OK SCHIFANI-AZZOLLINI, ORA CENTRODESTRA UNITO
(ANSA) - "È molto positiva la decisione del sen. Schifani di aderire, insieme al senatore Azzollini, al gruppo di FI. Ma bisogna guardare oltre, alla ricomposizione del centrodestra che ovviamente deve partire dall'opposizione al governo Renzi e da una scelta alternativa alla sinistra. Chi preferisce la poltrona alla coerenza vada per la sua strada. Chi invece vuole riunire uno schieramento deve entrare in un grande cantiere e non deve avere paura di innovazione e cambiamenti. In questo senso dobbiamo intensificare la collaborazione con Mario Mauro e il suo gruppo di AP, e con Gaetano Quagliariello e il movimento Idea. Bisogna lavorare insieme, ora che Renzi affoga nella falsità delle sue promesse". Lo dichiara il senatore Maurizio Gasparri (FI).
3 - BERNINI, SCHIFANI-AZZOLLINI CONFERMANO CENTRALITÀ CAV
(ANSA) - "La decisione del senatore Schifani è la più bella e significativa dimostrazione del rilancio dell'azione politica dei moderati italiani messa in campo dal presidente Berlusconi. Con il suo ritorno, Forza Italia dimostra di essere ancora una volta il soggetto intorno al quale poter costruire l'unica credibile alternativa di governo a Renzi e al Pd". Lo dichiara la senatrice Anna Maria Bernini, vice presidente vicario di Forza Italia a Palazzo Madama. "Allo stesso modo - aggiunge Bernini - esprimo tutta la mia soddisfazione per l'analoga scelta compiuta dal senatore Antonio Azzollini, il cui contributo di qualità e competenza ai lavori parlamentari è un patrimonio importante su cui Forza Italia ritorna a contare".
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LA LUNGA NOTTE DEGLI ZOMBIE
4 AGO 2016 18:49
DIETROFRONT, TUTTI SOTTO LA POMPETTA (2)! ANCHE AZZOLLINI MOLLA ALFANO E TORNA DA BERLUSCONI
– GASPARRI E LA BERNINI ESULTANO – A QUANDO IL RITORNO ALL’OVILE DI MAURIZIO SACCONI?
– HA OTTIMI RAPPORTI CON PARISI E PESSIMI CON ANGELINO - ATTIVISMO DI LUPI - - -
1 - AZZOLLINI TORNA IN FI, C.DESTRA È ALTERNATIVO SINISTRA
(ANSA) - Dopo Renato Schifani anche Antonio Azzollini torna in FI. "Chi ritiene che sia fondamentale per la politica e per l'economia la ricostruzione di un c.destra forte e coeso non può che far riferimento a FI e a Berlusconi. Da tempo esprimevo rilevanti ragioni di dissenso da Ap, consapevole che il nostro elettorato chiede di essere rappresentato da uno schieramento palesemente alternativo alla sinistra. Tornare in FI è logica conseguenza, una scelta dettata dalla necessità di continuare a tener fede agli ideali in cui credo".
2 - GASPARRI, OK SCHIFANI-AZZOLLINI, ORA CENTRODESTRA UNITO
(ANSA) - "È molto positiva la decisione del sen. Schifani di aderire, insieme al senatore Azzollini, al gruppo di FI. Ma bisogna guardare oltre, alla ricomposizione del centrodestra che ovviamente deve partire dall'opposizione al governo Renzi e da una scelta alternativa alla sinistra. Chi preferisce la poltrona alla coerenza vada per la sua strada. Chi invece vuole riunire uno schieramento deve entrare in un grande cantiere e non deve avere paura di innovazione e cambiamenti. In questo senso dobbiamo intensificare la collaborazione con Mario Mauro e il suo gruppo di AP, e con Gaetano Quagliariello e il movimento Idea. Bisogna lavorare insieme, ora che Renzi affoga nella falsità delle sue promesse". Lo dichiara il senatore Maurizio Gasparri (FI).
3 - BERNINI, SCHIFANI-AZZOLLINI CONFERMANO CENTRALITÀ CAV
(ANSA) - "La decisione del senatore Schifani è la più bella e significativa dimostrazione del rilancio dell'azione politica dei moderati italiani messa in campo dal presidente Berlusconi. Con il suo ritorno, Forza Italia dimostra di essere ancora una volta il soggetto intorno al quale poter costruire l'unica credibile alternativa di governo a Renzi e al Pd". Lo dichiara la senatrice Anna Maria Bernini, vice presidente vicario di Forza Italia a Palazzo Madama. "Allo stesso modo - aggiunge Bernini - esprimo tutta la mia soddisfazione per l'analoga scelta compiuta dal senatore Antonio Azzollini, il cui contributo di qualità e competenza ai lavori parlamentari è un patrimonio importante su cui Forza Italia ritorna a contare".
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