La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il Fatto Quotidiano in prima pagina del cartaceo pubblica così:
OPERAZIONE IN LIBIA Due giorni fa un drone Usa è decollato dalla nostra base.
Sigonella, primi raid anti-Isis
Ora anche l'Italia è in guerra
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Il Fatto Quotidiano in prima pagina del cartaceo pubblica così:
OPERAZIONE IN LIBIA Due giorni fa un drone Usa è decollato dalla nostra base.
Sigonella, primi raid anti-Isis
Ora anche l'Italia è in guerra
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Isis: colpiremo Israele e conquisteremo Roma
Nuovo video dell'isis in cui i jihadisti minacciano di colpire gli ebrei e Israele, per poi conquistare Roma. Il filmato è stato diffuso da Wilayat Sayna, branca dello Stato islamico nel Sinai.
Raffaello Binelli - Mer, 03/08/2016 - 16:06
commenta
Tornano a farsi sentire i tagliagole dell'Isis.
Ancora una volta con un farneticante video di minacce. Stavolta contro Israele e l'Italia. A farla, come riferisce il Jerusalem Post, è il gruppo terrorista Wilayat Sayna, provincia del sedicente Stato islamico in Sinai.
Nel video, della durata di 35 minuti, la voce di un jihadista annuncia che "questo è solo l'inizio, i nostri incontri (del gruppo, ndr) si terranno a Roma e a Gerusalemme. Ebrei, aspettaci, sarete puniti severamente e pagherete prossimamente un caro prezzo".
Intitolato "Fiamma del deserto", il video mostra alcune scene di violenza contro obiettivi egiziani con richiami storici e all'attualità. La voce di sottofondo evoca attacchi passati nel Sinai, come esempi di futuri attacchi contro gli occidentali. "Questo è solo l'inizio, e il nostro incontro sarà a Roma e Beit al-Maqdis (Gerusalemme)", dice la voce del filmato. "Oh ebrei, aspettateci. La punizione sarà grave e presto pagherete un alto prezzo", minaccia il jihadista. Il video si conclude con le immagini di militanti che uccidono due militari egiziani, che l' Isis ha rivendicato di aver sequestrato ad Arish.
Roma, rafforzate misure di sicurezza
Il piano antiterrorismo della questura di Roma pone la massima attenzione attorno ad una serie di obiettivi sensibili, a cominciare dal Colosseo e dalla Basilica di San Pietro.
Con una nuova ordinanza il questore Nicolò D'Angelo, tenuto conto del periodo estivo che ha modificato il modo di vivere della città di Roma, ha riadattato i sistemi di prevenzione e sicurezza. L'area del Colosseo è stata sottoposta a un regime di massima sicurezza con varchi controllati da contingenti delle forze dell'ordine.
L'area di massima sicurezza di San Pietro è stata estesa anche ai Bastioni di Michelangelo interessati ad un massiccio afflusso ai Musei Vaticani. Estesa la vigilanza anche ad altri obiettivi religiosi in varie zone, anche periferiche della Capitale, mentre sono in atto contatti con i direttori dei maggiori centri commerciali per individuare, durante sopralluoghi notturni, modalità operative di collaborazione e gestione di possibili scenari di crisi.
Cristiani sotto tiro: sostieni il reportage (clicca qui)
In Africa e nel Medio Oriente, ma anche nelle nostre città e ovunque i cristiani sono un bersaglio. Vogliamo continuare a raccontare con "Gli occhi della guerra" le drammatiche storie dei cristiani sotto attacco nel mondo. Per farlo abbiamo bisogno del vostro sostegno.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Isis: colpiremo Israele e conquisteremo Roma
Nuovo video dell'isis in cui i jihadisti minacciano di colpire gli ebrei e Israele, per poi conquistare Roma. Il filmato è stato diffuso da Wilayat Sayna, branca dello Stato islamico nel Sinai.
Raffaello Binelli - Mer, 03/08/2016 - 16:06
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Tornano a farsi sentire i tagliagole dell'Isis.
Ancora una volta con un farneticante video di minacce. Stavolta contro Israele e l'Italia. A farla, come riferisce il Jerusalem Post, è il gruppo terrorista Wilayat Sayna, provincia del sedicente Stato islamico in Sinai.
Nel video, della durata di 35 minuti, la voce di un jihadista annuncia che "questo è solo l'inizio, i nostri incontri (del gruppo, ndr) si terranno a Roma e a Gerusalemme. Ebrei, aspettaci, sarete puniti severamente e pagherete prossimamente un caro prezzo".
Intitolato "Fiamma del deserto", il video mostra alcune scene di violenza contro obiettivi egiziani con richiami storici e all'attualità. La voce di sottofondo evoca attacchi passati nel Sinai, come esempi di futuri attacchi contro gli occidentali. "Questo è solo l'inizio, e il nostro incontro sarà a Roma e Beit al-Maqdis (Gerusalemme)", dice la voce del filmato. "Oh ebrei, aspettateci. La punizione sarà grave e presto pagherete un alto prezzo", minaccia il jihadista. Il video si conclude con le immagini di militanti che uccidono due militari egiziani, che l' Isis ha rivendicato di aver sequestrato ad Arish.
Roma, rafforzate misure di sicurezza
Il piano antiterrorismo della questura di Roma pone la massima attenzione attorno ad una serie di obiettivi sensibili, a cominciare dal Colosseo e dalla Basilica di San Pietro.
Con una nuova ordinanza il questore Nicolò D'Angelo, tenuto conto del periodo estivo che ha modificato il modo di vivere della città di Roma, ha riadattato i sistemi di prevenzione e sicurezza. L'area del Colosseo è stata sottoposta a un regime di massima sicurezza con varchi controllati da contingenti delle forze dell'ordine.
L'area di massima sicurezza di San Pietro è stata estesa anche ai Bastioni di Michelangelo interessati ad un massiccio afflusso ai Musei Vaticani. Estesa la vigilanza anche ad altri obiettivi religiosi in varie zone, anche periferiche della Capitale, mentre sono in atto contatti con i direttori dei maggiori centri commerciali per individuare, durante sopralluoghi notturni, modalità operative di collaborazione e gestione di possibili scenari di crisi.
Cristiani sotto tiro: sostieni il reportage (clicca qui)
In Africa e nel Medio Oriente, ma anche nelle nostre città e ovunque i cristiani sono un bersaglio. Vogliamo continuare a raccontare con "Gli occhi della guerra" le drammatiche storie dei cristiani sotto attacco nel mondo. Per farlo abbiamo bisogno del vostro sostegno.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
VIDEO:
http://video.espresso.repubblica.it/tut ... =HEF_RULLO
3 AGOSTO 2016
Aleppo, "Qui i bambini muoiono di fame": giornalista scoppia in lacrime in diretta tv
Milad Fadel è un giornalista siriano di Al Jazeera.
Nel descrivere la sofferenza del suo popolo, in particolare la profonda crisi umanitaria che minaccia Aleppo est - sotto assedio da quasi un mese, con le forze di Bashar al-Assad che impediscono l'arrivo degli aiuti umanitari - non è riuscito a trattenere le lacrime: "Si dice e si ripete che bisogna riportare ciò che accade in Siria con oggettività, ma difronte a questo disatro umanitario non possiamo far altro che sostenere questi neonati e bambini che vivono sotto assedio, che non hanno più nulla da mangiare.
Non si può non stare dalla parte di queste 300mila persone che cercano delle semplici cure mediche e corridoi umanitari.
Non possiamo fare altro che sperare di non rivedere ciò che abbiamo visto a Madaya e a Ghouta.
Dei bambini affamati che muoiono di fame"
(a cura di Valentina Ruggiu)
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
VIDEO:
http://video.espresso.repubblica.it/tut ... =HEF_RULLO
3 AGOSTO 2016
Aleppo, "Qui i bambini muoiono di fame": giornalista scoppia in lacrime in diretta tv
Milad Fadel è un giornalista siriano di Al Jazeera.
Nel descrivere la sofferenza del suo popolo, in particolare la profonda crisi umanitaria che minaccia Aleppo est - sotto assedio da quasi un mese, con le forze di Bashar al-Assad che impediscono l'arrivo degli aiuti umanitari - non è riuscito a trattenere le lacrime: "Si dice e si ripete che bisogna riportare ciò che accade in Siria con oggettività, ma difronte a questo disatro umanitario non possiamo far altro che sostenere questi neonati e bambini che vivono sotto assedio, che non hanno più nulla da mangiare.
Non si può non stare dalla parte di queste 300mila persone che cercano delle semplici cure mediche e corridoi umanitari.
Non possiamo fare altro che sperare di non rivedere ciò che abbiamo visto a Madaya e a Ghouta.
Dei bambini affamati che muoiono di fame"
(a cura di Valentina Ruggiu)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LE STORIE
Libia: “Noi, sfollati da Sirte per sfuggire a frustate e torture dei miliziani dell'Isis”
Due terzi della popolazione è scappata dopo l'occupazione da parte del gruppo Stato Islamico. Ibrahim: “Per sette volte sono stato costretto ad assistere a esecuzioni pubbliche. Uccidono innocenti accusandoli di stregoneria, di blasfemia, o di essere spie”
DI FRANCESCA MANNOCCHI
02 agosto 2016
Libia, sfollati da Sirte occupata dai miliziani dell'Isis
Gli sfollati dalla città di Sirte sarebbero ormai più di 90 mila, secondo i dati annunciati la scorsa settimana da Unsmil (United Nations Support Mission in Libya)
Di questi, 35 mila sono fuggiti dalla città negli ultimi due mesi, cioè da quando è iniziata l’offensiva militare Al Bunyar al Marsous per liberare Sirte dall’Isis. Il numero degli sfollati da Sirte a oggi ammonterebbe a circa due terzi dell’intera popolazione della città, la maggior parte di loro si trovano ora tra Misurata, Beni Walid, Tarhouna.
Solo a Misurata, città duecento chilometri a ovest di Sirte, nelle ultime settimane sono arrivate più di diecimila persone e il comitato locale di crisi sottolinea che tra loro ci sono almeno 3 mila bambini di età inferiore ai tre anni. Da quando Sirte è stata occupata dai miliziani dell’Isis, nell’inverno dello scorso anno, Misurata ha accolto più di 1700 famiglie e allestito un magazzino, alla periferia della città, per distribuire cibo e medicinali di base agli sfollati.
L’insicurezza per l’escalation del conflitto in corso e l’alta inflazione stanno rendendo però difficile anche l’accoglienza e l’accesso ai servizi di base forniti dal governo, come l’energia elettrica, l’acqua e la riparazione delle infrastrutture. “Da quando sono qui a Misurata e non ho più lavoro, devo scontrarmi ogni giorno con l’aumento del mercato nero. Il dinaro libico non vale più niente, è carta straccia. Per noi sfollati non c’è vero sostegno. Ci sentiamo abbandonati.” A parlare è Amir, che a Sirte faceva l’avvocato. Oggi vive a Misurata con la moglie e le figlie piccole.
“Avevo una posizione rispettabile e invidiata in città. Quando siamo scappati non ho fatto in tempo a prendere nulla. Sono fuggito con quel che avevamo addosso e qualche soldo in tasca che mi garantisse di poter pagare l’affitto per un po’. Ma gli affitti a Misurata sono insostenibili per noi e trovare un lavoro è impossibile. Né la municipalità, né il governo di unità nazionale si stanno attrezzando per garantire una vita dignitosa a noi libici, in fuga dagli assassini”.
Amir non ha il volto rassegnato, anzi è combattivo. Vuole raccontare ciò che ha visto perché, dice, “quello che è successo a Sirte, può accadere ovunque. Io lavoravo nel tribunale e quando la città è stata occupata un nigeriano, verosimilmente di Boko Haram, ha preso la direzione del tribunale. Facevamo rispettare la legge, poi in pochi mesi gli assassini hanno istituito il tribunale islamico dei reati gravi: lì giudicavano quelli che consideravano traditori della fede, li imprigionavano e li picchiavano, imponendo loro di giurare fedeltà allo Stato Islamico. Ho sentito racconti di torture e sevizie verso i cittadini considerati spie, frustavano tutti i ragazzi che pensavano potessero dare informazioni alle brigate di Misurata. I racconti erano così spaventosi che nessuno, in città, si opponeva alla loro legge per paura di punizioni severe.” Amir, che spera di tornare presto a Sirte, oggi vive degli aiuti privati della comunità di Misurata.
Nel retro di un negozio di tappeti in via Tripoli, a Misurata, i cittadini raccolgono beni di prima necessità per donarli agli sfollati, ci sono scarpe, vestiti, materassi, quaderni e giochi per i bambini e anche dei cesti di cibo da donare ai giovani sposi che non possono permettersi il pranzo di matrimonio. Fatima è in fila con sua figlia. Aisha ha 13 anni ed è una dei suoi cinque figli. Fino a pochi mesi fa vivevano a Sirte. “Mio marito è cieco e ha un problema al cuore”, racconta Fatima. Quando eravamo a Sirte vivevamo insieme alla sua famiglia, dividevamo il cibo e le spese e finché ho potuto lavorare il mio stipendio bastava a garantire ai bambini ciò di cui avevano bisogno. Poi sono arrivati gli uomini dell’Isis. Ed è iniziata la fine della nostra vita. Si sono impossessati di tutti gli aspetti del nostro quotidiano, compresa l’istruzione. Per questo ho vietato ai miei bambini di andare a scuola, li tenevo a casa, avevo paura che facessero loro il lavaggio del cervello, che corrompessero il loro animo. Piano piano sono cominciate a diminuire le scorte di cibo e di medicine e a quel punto io e mio marito abbiamo cominciato a pensare alla fuga. Da una parte sentivamo che era necessario, dall’altra avevamo paura di essere fermati a un check point e rapiti, come sapevamo che stava accadendo a moltissimi cittadini. Abbiamo chiesto aiuto ai parenti di mio marito, loro hanno raccolto un po’ di soldi e ce li hanno donati per aiutarci a scappare con i bambini. Così una notte ci siamo fatti coraggio e siamo venuti via insieme a un’altra famiglia di vicini di casa”.
Alla fine del 2014 gli uomini dell’Isis hanno cominciato a insediarsi nella città di Sirte, la città natale di Gheddafi e teatro della sua morte. Nell’estate del 2015 Sirte è diventata la terza capitale di fatto del sedicente Stato Islamico dopo Raqqa e Mosul. L’Isis a Sirte ha imposto una rigida interpretazione della sharia (vestiario degli uomini, delle donne, l’istruzione nelle scuole statali) pretendendo inoltre tasse a tutti i negozi, confiscando case e beni, giustiziando persone: sarebbero 49 le esecuzioni pubbliche avvenute in città.
“Volevano reclutare i nostri ragazzi – dice ancora Fatima, mostrando la fotografia del suo figlio più grande Ali, 15 anni – sapevamo che c’erano loro informatori dappertutto che controllavano che i ragazzi andassero ai sermoni e alle loro lezioni. Ma non potevo accettare che mio figlio fosse corrotto dalla loro ideologia, e allo stesso tempo avevo paura che lo uccidessero, per punirlo. Anche per questo siamo scappati. Ma da quando siamo qui a Misurata, ci sentiamo profondamente soli. Io faccio tre lavori per pagare l’affitto della casa che abbiamo trovato, ma se pago l’affitto resta poco e niente per comprare da mangiare. Ho dovuto chiedere ad Aisha di cominciare a lavorare insieme a me, io non voglio che lei faccia lavori troppo umili. Io pulisco le case e chiedo a lei di cucinare”.
Aisha è uno dei quasi 300 mila bambini in età scolare che al momento non hanno accesso all’istruzione in Libia. Nel Paese molte scuole hanno chiuso e in alcune città sono diventate rifugio per gli sfollati. A Sirte, dopo l’occupazione dello Stato Islamico, una scuola è stata trasformata in prigione. “Controllavano tutto: il porto, la base aerea, la stazione radio, hanno interrotto tutte le comunicazioni con l’esterno, chiuso le banche. Hanno tassato il mio negozio, la mia famiglia era ridotta alla fame”.
Ibrahim parla a bassa voce, il suo animo ha ancora i segni della paura. Accetta di incontrarmi in un hotel di Misurata, dopo numerose telefonate, non voleva mostrare il suo volto perché suo fratello è stato rapito dall’Isis ed è ancora in città, ora sotto bombardamento.
“Ho resistito fino alla fine. Non volevo andare via da Sirte senza mio fratello, ma quando sono iniziati i bombardamenti ho preso mia madre e siamo scappati. Loro reclutavano i giovani, mio fratello non voleva combattere. Loro l’hanno prelevato in casa, di notte. E’ successa la stessa cosa a molti altri giovani. Li costringevano ad addestrarsi, noi siamo certi che intorno Sirte ci siano diversi campi di addestramento e vedevamo arrivare armi in continuazione. Armi e decine, centinaia di ragazzi. Il gruppo più numeroso era composto da tunisini, poi le reclute arrivavano da Yemen, Ciad, Nigeria, ma i capi non erano libici, erano siriani e iraqeni. Portavano soldi in diverse valute, c’erano soldi libici ma anche euro e tanti dollari. Con cui pagavano i miliziani”.
L’Isis ha ucciso pubblicamente decine di persone, costringendo i cittadini ad assistere. Molti sono stati decapitati o impiccati su una impalcatura sulla rotonda di Zafran, zona che oggi è stata liberata dalle milizie di Misurata dove è stato allestito un ospedale da campo. “Per sette volte sono stato costretto ad assistere a esecuzioni pubbliche – continua Ibrahim – loro passavano in strada con gli altoparlanti minacciando ritorsioni per chi non fosse sceso in piazza. Uccidevano innocenti accusandoli di stregoneria, di blasfemia, accusandoli di essere spie”.
“C’era una prigione in una scuola materna, nel quartiere Ribat, e un’altra nell’ex sede della banca centrale, eravamo tutti terrorizzati dalla loro polizia islamica, terrorizzati di finire nelle loro liste. I giudici erano quasi tutti nigeriani e tutti i cittadini avevano paura di essere imprigionati. Per questo abbiamo resistito. Un mio conoscente è stato condannato a essere frustato pubblicamente perché un soldato della polizia islamica sosteneva di averlo visto fumare in pubblico”.
Ibrahim ha il volto segnato dalla paura di questi mesi. A Sirte aveva un negozio. Gli uomini dell’Isis prima l’hanno tassato, poi hanno cominciato a vietargli di vendere delle cose che consideravano vietate come i profumi e i deodoranti. Alla fine Ibrahim ha chiuso il negozio. “Molti mi chiedono perché non sono scappato via prima. Io rispondo: perché Sirte è casa mia. Perché volevo indietro mio fratello. Perché speravo che qualcuno ci salvasse. Ora sono qui e ogni mattina prego di trovare un lavoro per sfamare mia madre. E prego per i civili rimasti a Sirte. Perché temo che siano usati come scudi umani”.
Tag
LIBIA SIRTE MISURATA ISIS
© Riproduzione riservata 02 agosto 2016
Sirte, la giornalista al fronte con i soldati anti-Califfo: I colpi dell'Is sulla nostra auto
LIBIA
Sirte, la giornalista al fronte con i soldati anti-Califfo: "I colpi dell'Is sulla nostra auto"
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REPORTAGE
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DI FRANCESCA MANNOCCHI
02 agosto 2016
Libia, sfollati da Sirte occupata dai miliziani dell'Isis
Gli sfollati dalla città di Sirte sarebbero ormai più di 90 mila, secondo i dati annunciati la scorsa settimana da Unsmil (United Nations Support Mission in Libya)
Di questi, 35 mila sono fuggiti dalla città negli ultimi due mesi, cioè da quando è iniziata l’offensiva militare Al Bunyar al Marsous per liberare Sirte dall’Isis. Il numero degli sfollati da Sirte a oggi ammonterebbe a circa due terzi dell’intera popolazione della città, la maggior parte di loro si trovano ora tra Misurata, Beni Walid, Tarhouna.
Solo a Misurata, città duecento chilometri a ovest di Sirte, nelle ultime settimane sono arrivate più di diecimila persone e il comitato locale di crisi sottolinea che tra loro ci sono almeno 3 mila bambini di età inferiore ai tre anni. Da quando Sirte è stata occupata dai miliziani dell’Isis, nell’inverno dello scorso anno, Misurata ha accolto più di 1700 famiglie e allestito un magazzino, alla periferia della città, per distribuire cibo e medicinali di base agli sfollati.
L’insicurezza per l’escalation del conflitto in corso e l’alta inflazione stanno rendendo però difficile anche l’accoglienza e l’accesso ai servizi di base forniti dal governo, come l’energia elettrica, l’acqua e la riparazione delle infrastrutture. “Da quando sono qui a Misurata e non ho più lavoro, devo scontrarmi ogni giorno con l’aumento del mercato nero. Il dinaro libico non vale più niente, è carta straccia. Per noi sfollati non c’è vero sostegno. Ci sentiamo abbandonati.” A parlare è Amir, che a Sirte faceva l’avvocato. Oggi vive a Misurata con la moglie e le figlie piccole.
“Avevo una posizione rispettabile e invidiata in città. Quando siamo scappati non ho fatto in tempo a prendere nulla. Sono fuggito con quel che avevamo addosso e qualche soldo in tasca che mi garantisse di poter pagare l’affitto per un po’. Ma gli affitti a Misurata sono insostenibili per noi e trovare un lavoro è impossibile. Né la municipalità, né il governo di unità nazionale si stanno attrezzando per garantire una vita dignitosa a noi libici, in fuga dagli assassini”.
Amir non ha il volto rassegnato, anzi è combattivo. Vuole raccontare ciò che ha visto perché, dice, “quello che è successo a Sirte, può accadere ovunque. Io lavoravo nel tribunale e quando la città è stata occupata un nigeriano, verosimilmente di Boko Haram, ha preso la direzione del tribunale. Facevamo rispettare la legge, poi in pochi mesi gli assassini hanno istituito il tribunale islamico dei reati gravi: lì giudicavano quelli che consideravano traditori della fede, li imprigionavano e li picchiavano, imponendo loro di giurare fedeltà allo Stato Islamico. Ho sentito racconti di torture e sevizie verso i cittadini considerati spie, frustavano tutti i ragazzi che pensavano potessero dare informazioni alle brigate di Misurata. I racconti erano così spaventosi che nessuno, in città, si opponeva alla loro legge per paura di punizioni severe.” Amir, che spera di tornare presto a Sirte, oggi vive degli aiuti privati della comunità di Misurata.
Nel retro di un negozio di tappeti in via Tripoli, a Misurata, i cittadini raccolgono beni di prima necessità per donarli agli sfollati, ci sono scarpe, vestiti, materassi, quaderni e giochi per i bambini e anche dei cesti di cibo da donare ai giovani sposi che non possono permettersi il pranzo di matrimonio. Fatima è in fila con sua figlia. Aisha ha 13 anni ed è una dei suoi cinque figli. Fino a pochi mesi fa vivevano a Sirte. “Mio marito è cieco e ha un problema al cuore”, racconta Fatima. Quando eravamo a Sirte vivevamo insieme alla sua famiglia, dividevamo il cibo e le spese e finché ho potuto lavorare il mio stipendio bastava a garantire ai bambini ciò di cui avevano bisogno. Poi sono arrivati gli uomini dell’Isis. Ed è iniziata la fine della nostra vita. Si sono impossessati di tutti gli aspetti del nostro quotidiano, compresa l’istruzione. Per questo ho vietato ai miei bambini di andare a scuola, li tenevo a casa, avevo paura che facessero loro il lavaggio del cervello, che corrompessero il loro animo. Piano piano sono cominciate a diminuire le scorte di cibo e di medicine e a quel punto io e mio marito abbiamo cominciato a pensare alla fuga. Da una parte sentivamo che era necessario, dall’altra avevamo paura di essere fermati a un check point e rapiti, come sapevamo che stava accadendo a moltissimi cittadini. Abbiamo chiesto aiuto ai parenti di mio marito, loro hanno raccolto un po’ di soldi e ce li hanno donati per aiutarci a scappare con i bambini. Così una notte ci siamo fatti coraggio e siamo venuti via insieme a un’altra famiglia di vicini di casa”.
Alla fine del 2014 gli uomini dell’Isis hanno cominciato a insediarsi nella città di Sirte, la città natale di Gheddafi e teatro della sua morte. Nell’estate del 2015 Sirte è diventata la terza capitale di fatto del sedicente Stato Islamico dopo Raqqa e Mosul. L’Isis a Sirte ha imposto una rigida interpretazione della sharia (vestiario degli uomini, delle donne, l’istruzione nelle scuole statali) pretendendo inoltre tasse a tutti i negozi, confiscando case e beni, giustiziando persone: sarebbero 49 le esecuzioni pubbliche avvenute in città.
“Volevano reclutare i nostri ragazzi – dice ancora Fatima, mostrando la fotografia del suo figlio più grande Ali, 15 anni – sapevamo che c’erano loro informatori dappertutto che controllavano che i ragazzi andassero ai sermoni e alle loro lezioni. Ma non potevo accettare che mio figlio fosse corrotto dalla loro ideologia, e allo stesso tempo avevo paura che lo uccidessero, per punirlo. Anche per questo siamo scappati. Ma da quando siamo qui a Misurata, ci sentiamo profondamente soli. Io faccio tre lavori per pagare l’affitto della casa che abbiamo trovato, ma se pago l’affitto resta poco e niente per comprare da mangiare. Ho dovuto chiedere ad Aisha di cominciare a lavorare insieme a me, io non voglio che lei faccia lavori troppo umili. Io pulisco le case e chiedo a lei di cucinare”.
Aisha è uno dei quasi 300 mila bambini in età scolare che al momento non hanno accesso all’istruzione in Libia. Nel Paese molte scuole hanno chiuso e in alcune città sono diventate rifugio per gli sfollati. A Sirte, dopo l’occupazione dello Stato Islamico, una scuola è stata trasformata in prigione. “Controllavano tutto: il porto, la base aerea, la stazione radio, hanno interrotto tutte le comunicazioni con l’esterno, chiuso le banche. Hanno tassato il mio negozio, la mia famiglia era ridotta alla fame”.
Ibrahim parla a bassa voce, il suo animo ha ancora i segni della paura. Accetta di incontrarmi in un hotel di Misurata, dopo numerose telefonate, non voleva mostrare il suo volto perché suo fratello è stato rapito dall’Isis ed è ancora in città, ora sotto bombardamento.
“Ho resistito fino alla fine. Non volevo andare via da Sirte senza mio fratello, ma quando sono iniziati i bombardamenti ho preso mia madre e siamo scappati. Loro reclutavano i giovani, mio fratello non voleva combattere. Loro l’hanno prelevato in casa, di notte. E’ successa la stessa cosa a molti altri giovani. Li costringevano ad addestrarsi, noi siamo certi che intorno Sirte ci siano diversi campi di addestramento e vedevamo arrivare armi in continuazione. Armi e decine, centinaia di ragazzi. Il gruppo più numeroso era composto da tunisini, poi le reclute arrivavano da Yemen, Ciad, Nigeria, ma i capi non erano libici, erano siriani e iraqeni. Portavano soldi in diverse valute, c’erano soldi libici ma anche euro e tanti dollari. Con cui pagavano i miliziani”.
L’Isis ha ucciso pubblicamente decine di persone, costringendo i cittadini ad assistere. Molti sono stati decapitati o impiccati su una impalcatura sulla rotonda di Zafran, zona che oggi è stata liberata dalle milizie di Misurata dove è stato allestito un ospedale da campo. “Per sette volte sono stato costretto ad assistere a esecuzioni pubbliche – continua Ibrahim – loro passavano in strada con gli altoparlanti minacciando ritorsioni per chi non fosse sceso in piazza. Uccidevano innocenti accusandoli di stregoneria, di blasfemia, accusandoli di essere spie”.
“C’era una prigione in una scuola materna, nel quartiere Ribat, e un’altra nell’ex sede della banca centrale, eravamo tutti terrorizzati dalla loro polizia islamica, terrorizzati di finire nelle loro liste. I giudici erano quasi tutti nigeriani e tutti i cittadini avevano paura di essere imprigionati. Per questo abbiamo resistito. Un mio conoscente è stato condannato a essere frustato pubblicamente perché un soldato della polizia islamica sosteneva di averlo visto fumare in pubblico”.
Ibrahim ha il volto segnato dalla paura di questi mesi. A Sirte aveva un negozio. Gli uomini dell’Isis prima l’hanno tassato, poi hanno cominciato a vietargli di vendere delle cose che consideravano vietate come i profumi e i deodoranti. Alla fine Ibrahim ha chiuso il negozio. “Molti mi chiedono perché non sono scappato via prima. Io rispondo: perché Sirte è casa mia. Perché volevo indietro mio fratello. Perché speravo che qualcuno ci salvasse. Ora sono qui e ogni mattina prego di trovare un lavoro per sfamare mia madre. E prego per i civili rimasti a Sirte. Perché temo che siano usati come scudi umani”.
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Sirte, la giornalista al fronte con i soldati anti-Califfo: I colpi dell'Is sulla nostra auto
LIBIA
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La rete Isis pronta a colpire in Europa
AGO 3, 2016
PUNTI DI VISTA
ALESSANDRA BENIGNETTI
Gli attentati che hanno sconvolto l’Europa negli ultimi mesi non sarebbero opera di “lupi solitari” improvvisati o di singoli “squilibrati”, come sono stati definiti gli attentatori di Nizza, Ansbach, Monaco o Rouen. Si tratterebbe, invece, di una rete del sedicente Stato Islamico, organizzata, diffusa e radicata all’estero e pronta a colpire in tutto il mondo, e soprattutto in Europa.
A rivelarlo è il New York Times, attraverso un’inchiesta basata sulla testimonianza di un jihadista “pentito”, ex membro delle “forze speciali” dell’Isis, Harry Sarfo, intervistato dal quotidiano statunitense in un carcere di massima sicurezza a Brema, in Germania, dove sta scontando una condanna a tre anni per terrorismo, e su diversi dossier delle intelligence europee.
Secondo il racconto del jihadista tedesco, lo Stato Islamico dispone di un servizio segreto, chiamato Emni, che si occupa di rispedire in Europa e in altri Paesi i foreign fighter che arrivano in Siria per creare una rete di jihadisti capillare e diffusa, pronta a mettere a segno attentati in tutto il mondo. Al vertice della piramide che dirige la strategia “esterna” del Califfato c’è il portavoce del sedicente Stato Islamico, il trentanovenne leader dell’Isis, Abu Mohammed al Adnani. Secondo il jihadista tedesco, quindi, gli ultimi attacchi avvenuti in Europa avrebbero una connessione diretta con il gruppo terroristico che, secondo la testimonianza fornita dall’uomo alle autorità tedesche lo scorso aprile, e confermata nell’intervista al New York Times, disporrebbe ormai di una rete di cellule e individui “dormienti”, pronti ad essere “attivati da remoto”, al comando degli uomini dei servizi segreti dell’Isis. Si tratta, afferma l’uomo, molto spesso, di neo convertiti, senza precedenti penali e che non hanno legami con gruppi radicali. Questi soggetti aiuterebbero a stabilire legami tra gli aspiranti attentatori e gli “operativi” dell’Isis, che forniscono loro informazioni su tutto, “dal costruire una cintura esplosiva, a come rivendicare l’attentato”.
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Per approfondire: Quei campi di Isis in Kosovo
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L’Emni, il servizio segreto dell’Isis, risulta essere quindi, secondo le fonti di intelligence acquisite dal New York Times, un “ingranaggio cruciale” nella macchina terrorista. È un’organizzazione strutturata su vari livelli. Dal vertice, ai “soldati semplici”, passando per i “tenenti” dell’organizzazione, lasciati liberi di organizzare l’azione di vere e proprie cellule all’estero, con massima autonomia decisionale e operazionale. L’Emni dispone di uomini pronti ad entrare in azione in tutto il mondo, in Austria, Germania, Spagna, Libano, Tunisia, Bangladesh, Indonesia e Malesia. Il gruppo, che è diviso per dipartimenti associati alle diverse aree geografiche, scrive il quotidiano statunitense, “ha inviato centinaia di operativi nell’Ue e in Turchia”. Il suo compito principale, da due anni a questa parte, è, infatti, proprio quello di esportare il terrorismo all’estero per mettere in atto la strategia del terrore inaugurata con gli attentati del 13 novembre a Parigi. Tutti gli attentati messi in atto sul suolo europeo da quel momento, potrebbero essere, infatti, stati pensati, organizzati e ordinati dall’Emni, secondo quanto si può dedurre dalle dichiarazioni fatte da Harry Sarfo alle autorità tedesche.
Quando Sarfo è arrivato in Siria per arruolarsi nelle file dei jihadisti, due uomini dell’Emni, con il passamontagna, hanno spiegato a lui e ad un altro jihadista tedesco che l’Isis non aveva bisogno di combattenti in Siria, ma che tornassero, piuttosto, in Germania. Nel Paese infatti, secondo i jihadisti, c’erano pochi “volontari”. Gli aspiranti jihadisti già presenti nel Paese, raccontano infatti all’uomo i due, si sono tirati indietro per paura. Sarfo racconta poi che quando il suo amico gli domanda, invece, della situazione in Francia, i due sono scoppiati a ridere fino alle lacrime. “Non preoccuparti per la Francia”, avevano risposto. Era l’aprile del 2015, scrive il New York Times, quando si svolse la conversazione. Alcuni mesi prima dell’attentato del 13 novembre a Parigi.
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Per approfondire: Kamikaze dell’Isis in Europa e nel Caucaso
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L’uomo ha confessato, quindi, che i servizi dell’Isis avevano bisogno, al tempo, di volontari soprattutto per la Germania e la Gran Bretagna. E che il loro obiettivo rimaneva quello di condurre attacchi coordinati in diversi Paesi europei. Per questo, buona parte dei foreign fighter che negli ultimi due anni sono arrivati in Siria ed in Iraq, secondo il quotidiano, hanno ricevuto un breve addestramento, e sono stati rispediti all’estero. Molti degli aspiranti jihadisti europei, come Safro, per non destare sospetti, hanno prenotato un biglietto di andata e ritorno per la Turchia, e una stanza in un resort sulle spiagge turche. Al contrario però, si sarebbero recati in Siria per ricevere l’addestramento lampo dell’Emni, per poi fare ritorno in Europa. Gli investigatori, hanno quindi concluso, si legge nell’inchiesta del quotidiano, che l’Emni sarebbe dietro l’addestramento dell’uomo che sparò su una spiaggia a Sousse in Tunisia, e dietro la cellula che ha colpito all’Holey Artisan Bakery di Dacca in Bangladesh. Oltre che a centinaia di altre “cellule dormienti” pronte a colpire “a comando” in Europa.
http://www.occhidellaguerra.it/isis-ecc ... in-europa/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
La rete Isis pronta a colpire in Europa
AGO 3, 2016
PUNTI DI VISTA
ALESSANDRA BENIGNETTI
Gli attentati che hanno sconvolto l’Europa negli ultimi mesi non sarebbero opera di “lupi solitari” improvvisati o di singoli “squilibrati”, come sono stati definiti gli attentatori di Nizza, Ansbach, Monaco o Rouen. Si tratterebbe, invece, di una rete del sedicente Stato Islamico, organizzata, diffusa e radicata all’estero e pronta a colpire in tutto il mondo, e soprattutto in Europa.
A rivelarlo è il New York Times, attraverso un’inchiesta basata sulla testimonianza di un jihadista “pentito”, ex membro delle “forze speciali” dell’Isis, Harry Sarfo, intervistato dal quotidiano statunitense in un carcere di massima sicurezza a Brema, in Germania, dove sta scontando una condanna a tre anni per terrorismo, e su diversi dossier delle intelligence europee.
Secondo il racconto del jihadista tedesco, lo Stato Islamico dispone di un servizio segreto, chiamato Emni, che si occupa di rispedire in Europa e in altri Paesi i foreign fighter che arrivano in Siria per creare una rete di jihadisti capillare e diffusa, pronta a mettere a segno attentati in tutto il mondo. Al vertice della piramide che dirige la strategia “esterna” del Califfato c’è il portavoce del sedicente Stato Islamico, il trentanovenne leader dell’Isis, Abu Mohammed al Adnani. Secondo il jihadista tedesco, quindi, gli ultimi attacchi avvenuti in Europa avrebbero una connessione diretta con il gruppo terroristico che, secondo la testimonianza fornita dall’uomo alle autorità tedesche lo scorso aprile, e confermata nell’intervista al New York Times, disporrebbe ormai di una rete di cellule e individui “dormienti”, pronti ad essere “attivati da remoto”, al comando degli uomini dei servizi segreti dell’Isis. Si tratta, afferma l’uomo, molto spesso, di neo convertiti, senza precedenti penali e che non hanno legami con gruppi radicali. Questi soggetti aiuterebbero a stabilire legami tra gli aspiranti attentatori e gli “operativi” dell’Isis, che forniscono loro informazioni su tutto, “dal costruire una cintura esplosiva, a come rivendicare l’attentato”.
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Per approfondire: Quei campi di Isis in Kosovo
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L’Emni, il servizio segreto dell’Isis, risulta essere quindi, secondo le fonti di intelligence acquisite dal New York Times, un “ingranaggio cruciale” nella macchina terrorista. È un’organizzazione strutturata su vari livelli. Dal vertice, ai “soldati semplici”, passando per i “tenenti” dell’organizzazione, lasciati liberi di organizzare l’azione di vere e proprie cellule all’estero, con massima autonomia decisionale e operazionale. L’Emni dispone di uomini pronti ad entrare in azione in tutto il mondo, in Austria, Germania, Spagna, Libano, Tunisia, Bangladesh, Indonesia e Malesia. Il gruppo, che è diviso per dipartimenti associati alle diverse aree geografiche, scrive il quotidiano statunitense, “ha inviato centinaia di operativi nell’Ue e in Turchia”. Il suo compito principale, da due anni a questa parte, è, infatti, proprio quello di esportare il terrorismo all’estero per mettere in atto la strategia del terrore inaugurata con gli attentati del 13 novembre a Parigi. Tutti gli attentati messi in atto sul suolo europeo da quel momento, potrebbero essere, infatti, stati pensati, organizzati e ordinati dall’Emni, secondo quanto si può dedurre dalle dichiarazioni fatte da Harry Sarfo alle autorità tedesche.
Quando Sarfo è arrivato in Siria per arruolarsi nelle file dei jihadisti, due uomini dell’Emni, con il passamontagna, hanno spiegato a lui e ad un altro jihadista tedesco che l’Isis non aveva bisogno di combattenti in Siria, ma che tornassero, piuttosto, in Germania. Nel Paese infatti, secondo i jihadisti, c’erano pochi “volontari”. Gli aspiranti jihadisti già presenti nel Paese, raccontano infatti all’uomo i due, si sono tirati indietro per paura. Sarfo racconta poi che quando il suo amico gli domanda, invece, della situazione in Francia, i due sono scoppiati a ridere fino alle lacrime. “Non preoccuparti per la Francia”, avevano risposto. Era l’aprile del 2015, scrive il New York Times, quando si svolse la conversazione. Alcuni mesi prima dell’attentato del 13 novembre a Parigi.
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Per approfondire: Kamikaze dell’Isis in Europa e nel Caucaso
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L’uomo ha confessato, quindi, che i servizi dell’Isis avevano bisogno, al tempo, di volontari soprattutto per la Germania e la Gran Bretagna. E che il loro obiettivo rimaneva quello di condurre attacchi coordinati in diversi Paesi europei. Per questo, buona parte dei foreign fighter che negli ultimi due anni sono arrivati in Siria ed in Iraq, secondo il quotidiano, hanno ricevuto un breve addestramento, e sono stati rispediti all’estero. Molti degli aspiranti jihadisti europei, come Safro, per non destare sospetti, hanno prenotato un biglietto di andata e ritorno per la Turchia, e una stanza in un resort sulle spiagge turche. Al contrario però, si sarebbero recati in Siria per ricevere l’addestramento lampo dell’Emni, per poi fare ritorno in Europa. Gli investigatori, hanno quindi concluso, si legge nell’inchiesta del quotidiano, che l’Emni sarebbe dietro l’addestramento dell’uomo che sparò su una spiaggia a Sousse in Tunisia, e dietro la cellula che ha colpito all’Holey Artisan Bakery di Dacca in Bangladesh. Oltre che a centinaia di altre “cellule dormienti” pronte a colpire “a comando” in Europa.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Dal cartaceo di oggi del Fatto Quotidiano:
LIBIA, PREPARIAMOCI
AI NOSTRI BATACLAN
» MASSIMO FINI
Ineffabili americani. Prima
costituiscono in Libia un
governo fantoccio, quello di
Al-Sarraj, che fino a poco
tempo fa era così ben visto
dalla popolazione libica che era
costretto a starsene, con i suoi
ministri, su un barcone imboscato
nel porto di Tripoli. Adesso
che questo governo ha ottenuto
l’appoggio della fazione di
Misurata, ma non quello del governo
antagonista di Tobruk e
tantomeno delle altre mille milizie
che agiscono in Libia, gli
Stati Uniti gli han fatto chiedere
il loro soccorso. Qualcosa che
somiglia molto alla richiesta di
“aiuto” dei Paesi fratelli quando
l’URSS invadeva l’Ungheria e la
Cecoslovacchia che erano insorte
contro i governi filosovietici.
GLI AMERICANI hanno tenuto a
precisare che i loro raid su Sirte e
altrove saranno “di precisione”.
Speriamo che non abbiano
gli stessi effetti
dei “missili chirurgici”
e delle “bombe intelligenti”
usati nella
prima guerra del Golfo
del 1990. Sotto le luminarie
dei traccianti
e dei fuochi d’artificio
che ci faceva vedere la
Tv italiana con Fabrizio
Del Noce piazzato
sulla terrazza del più
grande albergo di
Bagdad, cioè un albergo
del nemico che
controllava ancora la
sua capitale (altra
stranezza delle guerre
moderne) sono
morti 167.000 civili,
fra cui 48.000 donne e 32.195
bambini (dati al di sopra di ogni
sospetto perché forniti, sia pur
fortuitamente, da una funzionaria
del Pentagono).
Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare
che il suo governo “re -
spinge qualsiasi intervento straniero
senza la sua autorizzazione”.
Il fantoccio di Tripoli sa benissimo
che una guerra aperta e
dichiarata alla Libia compatterebbe
tutti i libici di qualsiasi fazione
perché esiste pure là, anche
se a noi può sembrar strano,
un sentimento e un orgoglio nazionali.
E questo andrebbe a tutto
vantaggio dell’Isis che è il
gruppo più forte, meglio armato,
più determinato che in breve
tempo ingloberebbe anche le altre
milizie. Ma ciò che dice
al-Sarraj è una barzelletta a cui è
difficile credere sia perché ciò
che nega è già avvenuto, sia perché
è alle dirette dipendenze del
governo americano a cui è legata
la sua sopravvivenza, e gli USA
faranno quello che vorranno, sia
perché sul terreno sono già presenti
truppe speciali americane,
inglesi e francesi.
INEFFABILI AMERICANI. P ri ma ,
nel 2011 attaccano, insieme ai
francesi, la Libia, Stato sovrano
rappresentato all’ONU, e contro
la volontà dell’ONU, disarcionando
il dittatore Gheddafi con
cui avevano fornicato fino al
giorno prima, provocando la disarticolazione
di quel Paese dove
mille milizie sono adesso in
guerra fra loro. Poi, per cercare
di rimediare al disastro che hanno
causato, la ribombardano nel
2016. A quell’attacco partecipò
anche l’Italia che era l’ultima ad
avervi una qualche
convenienza dato che
aveva consistenti interessi
economici in
Libia e il presidente
Berlusconi ottimi
rapporti con il leader
libico che solo pochi
mesi prima aveva accolto
anche troppo
sontuosamente a Roma.
E infatti Berlusconi
era contrario a
quella guerra e quindi
è doppia la sua responsabilità
nell’aver
seguito francesi e americani
in quell’av -
ventura.
Non c’è niente da
fare, passano gli anni
passano i decenni ma noi non
riusciamo a liberarci della pelosa
tutela dell’ “amico amerikano”.
Nel 1999 partecipammo all’a ggressione
alla Serbia (gli aerei americani
partivano da Aviano),
guerra anche questa a cui l’ONU
s’era dichiarata contraria. E anche
con la Serbia noi avevamo solidi
rapporti di amicizia che risalivano
addirittura ai primi del
900 quando a Belgrado si pubblicava
un quotidiano intitolato
Piemonte (i serbi infatti vedevano
nell’Italia che si era da poco
unita un esempio per conquistare
la propria indipendenza sotto
le forme di una monarchia costituzionale).
Il nostro coinvolgimento
nella guerra alla Serbia in
quanto membri della Nato non era
per nulla obbligato, tant’è che
la piccola Grecia, che fa parte anc
h’essa della Nato, si rifiutò di
parteciparvi.
Adesso saremo costretti a fornire
la nostra base di Sigonella
dove sono presenti una dozzina
di droni e di caccia americani.
Bel colpo. Finora il governo
Renzi, seguendo la linea di Angela
Merkel, si era tenuto prudentemente
ai margini del casino
mediorientale e per questo
l’Isis non aveva colpito né noi né
i tedeschi (gli attentati terroristici
in Germania sono stati fatti da
psicopatici sulle cui azioni poi
l’Isis ha messo il cappello). Adesso
dovremo attenderci anche in
Italia attacchi dell’Isis che più
viene colpita in Medio Oriente e
più, logicamente, porta la guerra
in Europa. Vedremo come reagiranno
le mamme italiane quando
avremo anche noi i nostri Bataclan.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Dal cartaceo di oggi del Fatto Quotidiano:
LIBIA, PREPARIAMOCI
AI NOSTRI BATACLAN
» MASSIMO FINI
Ineffabili americani. Prima
costituiscono in Libia un
governo fantoccio, quello di
Al-Sarraj, che fino a poco
tempo fa era così ben visto
dalla popolazione libica che era
costretto a starsene, con i suoi
ministri, su un barcone imboscato
nel porto di Tripoli. Adesso
che questo governo ha ottenuto
l’appoggio della fazione di
Misurata, ma non quello del governo
antagonista di Tobruk e
tantomeno delle altre mille milizie
che agiscono in Libia, gli
Stati Uniti gli han fatto chiedere
il loro soccorso. Qualcosa che
somiglia molto alla richiesta di
“aiuto” dei Paesi fratelli quando
l’URSS invadeva l’Ungheria e la
Cecoslovacchia che erano insorte
contro i governi filosovietici.
GLI AMERICANI hanno tenuto a
precisare che i loro raid su Sirte e
altrove saranno “di precisione”.
Speriamo che non abbiano
gli stessi effetti
dei “missili chirurgici”
e delle “bombe intelligenti”
usati nella
prima guerra del Golfo
del 1990. Sotto le luminarie
dei traccianti
e dei fuochi d’artificio
che ci faceva vedere la
Tv italiana con Fabrizio
Del Noce piazzato
sulla terrazza del più
grande albergo di
Bagdad, cioè un albergo
del nemico che
controllava ancora la
sua capitale (altra
stranezza delle guerre
moderne) sono
morti 167.000 civili,
fra cui 48.000 donne e 32.195
bambini (dati al di sopra di ogni
sospetto perché forniti, sia pur
fortuitamente, da una funzionaria
del Pentagono).
Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare
che il suo governo “re -
spinge qualsiasi intervento straniero
senza la sua autorizzazione”.
Il fantoccio di Tripoli sa benissimo
che una guerra aperta e
dichiarata alla Libia compatterebbe
tutti i libici di qualsiasi fazione
perché esiste pure là, anche
se a noi può sembrar strano,
un sentimento e un orgoglio nazionali.
E questo andrebbe a tutto
vantaggio dell’Isis che è il
gruppo più forte, meglio armato,
più determinato che in breve
tempo ingloberebbe anche le altre
milizie. Ma ciò che dice
al-Sarraj è una barzelletta a cui è
difficile credere sia perché ciò
che nega è già avvenuto, sia perché
è alle dirette dipendenze del
governo americano a cui è legata
la sua sopravvivenza, e gli USA
faranno quello che vorranno, sia
perché sul terreno sono già presenti
truppe speciali americane,
inglesi e francesi.
INEFFABILI AMERICANI. P ri ma ,
nel 2011 attaccano, insieme ai
francesi, la Libia, Stato sovrano
rappresentato all’ONU, e contro
la volontà dell’ONU, disarcionando
il dittatore Gheddafi con
cui avevano fornicato fino al
giorno prima, provocando la disarticolazione
di quel Paese dove
mille milizie sono adesso in
guerra fra loro. Poi, per cercare
di rimediare al disastro che hanno
causato, la ribombardano nel
2016. A quell’attacco partecipò
anche l’Italia che era l’ultima ad
avervi una qualche
convenienza dato che
aveva consistenti interessi
economici in
Libia e il presidente
Berlusconi ottimi
rapporti con il leader
libico che solo pochi
mesi prima aveva accolto
anche troppo
sontuosamente a Roma.
E infatti Berlusconi
era contrario a
quella guerra e quindi
è doppia la sua responsabilità
nell’aver
seguito francesi e americani
in quell’av -
ventura.
Non c’è niente da
fare, passano gli anni
passano i decenni ma noi non
riusciamo a liberarci della pelosa
tutela dell’ “amico amerikano”.
Nel 1999 partecipammo all’a ggressione
alla Serbia (gli aerei americani
partivano da Aviano),
guerra anche questa a cui l’ONU
s’era dichiarata contraria. E anche
con la Serbia noi avevamo solidi
rapporti di amicizia che risalivano
addirittura ai primi del
900 quando a Belgrado si pubblicava
un quotidiano intitolato
Piemonte (i serbi infatti vedevano
nell’Italia che si era da poco
unita un esempio per conquistare
la propria indipendenza sotto
le forme di una monarchia costituzionale).
Il nostro coinvolgimento
nella guerra alla Serbia in
quanto membri della Nato non era
per nulla obbligato, tant’è che
la piccola Grecia, che fa parte anc
h’essa della Nato, si rifiutò di
parteciparvi.
Adesso saremo costretti a fornire
la nostra base di Sigonella
dove sono presenti una dozzina
di droni e di caccia americani.
Bel colpo. Finora il governo
Renzi, seguendo la linea di Angela
Merkel, si era tenuto prudentemente
ai margini del casino
mediorientale e per questo
l’Isis non aveva colpito né noi né
i tedeschi (gli attentati terroristici
in Germania sono stati fatti da
psicopatici sulle cui azioni poi
l’Isis ha messo il cappello). Adesso
dovremo attenderci anche in
Italia attacchi dell’Isis che più
viene colpita in Medio Oriente e
più, logicamente, porta la guerra
in Europa. Vedremo come reagiranno
le mamme italiane quando
avremo anche noi i nostri Bataclan.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
La rubrica di Furio Colombo di oggi, A DOMANDA RISPONDO, ci permette di riflettere sui falsi cattolici nostrani e la loro forte voglia di guerra.
Un po’, la memoria, un po’ quella tendenza fascisteggiante, chi scrive sui giornali di destra tende sempre a dimenticare.
Qualcuno ricorda l’assassinio
del Vescovo Romero?
CARO COLOMBO, a parte il buon senso del Papa, stiamo
ascoltando le più violente e indignate esortazioni a
combattere (e se possibile a ucciderli tutti) contro i
barbari islamici che sono arrivati al punto di uccidere
un prete in chiesa. Per una settimana abbiamo descritto
quel delitto come se un simile gesto crudele e tragico
non fosse mai avvenuto prima e fosse tipicamente dei
folli seguaci di Allah. Possibile che la memoria sia andata
perduta per così tanta gente, anche colta, riflessiva
e autorevole?
ROBERTO
IL LETTORE fa riferimento a un evento che non può
essere stato dimenticato, ma che certamente non faceva
comodo ricordare in questi giorni: l’assassinio di
Mons. Romero, Vescovo del Salvador e leader disarmato
di coloro che resistevano a una dittatura brutale.
Romero è stato ucciso in chiesa, davanti ai suoi
fedeli, da uno “squadrone della morte” (tutti fascisti,
tutti battezzati) mentre, nel corso della messa, stava
per iniziare la sua omelia, che era sempre in difesa dei
poveri e contro un governo di persecutori e assassini.
Romero era la chiesa che non cede all’ingiustizia (ma
era solo e unico prelato a denunciare i delitti in Salvador
e in tutta quell’area di America latina) e sa che
arriverà l’assassino. Poiché l’assassino (un gruppo di
sicari del governo) era cattolico, e probabilmente parte
di altre folle e di altri riti cattolici, l’uccisione di Romero,
così straordinariamente esemplare, non è stata
ricordata da alcun difensore del buon Dio cristiano
contro il cattivo Dio islamico, in decine e decine di articoli
trasmissioni e appassionate tavole rotonde. E
nessuno mai ha voluto ricordare, in questi giorni, che i
cristiani, quanto a uccidere in chiesa e davanti alla
chiesa, se la sono sempre cavata benissimo tra loro.
Qualcuno ha ricordato che le stragi naziste, avvenute
il più delle volte davanti alle chiese di piccoli centri
come Marzabotto, hanno sempre incluso i parroci o
ucciso direttamente in chiesa, se le vittime cercavano
rifugio confidando nel luogo sacro? Questi, e tanti altri
eventi non più lontani del secolo scorso, non rendono
meno orrendo il delitto della chiesetta francese. Ma
prendere quel delitto come simbolo incontrovertibile
della guerra di religioni, vuol dire far finta di non sapere
che cosa è tragicamente accaduto nelle nostre
chiese e nei nostri villaggi per mano di cristiani altrettanto
assassini. Falsificare il passato e fingere un
doloroso stupore per un simile delitto vuol dire insegnare
in malafede o alla cieca, persino da cattedre illustri
e da grandi giornali.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42
lettere@ ilfattoquotidiano. it
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
La rubrica di Furio Colombo di oggi, A DOMANDA RISPONDO, ci permette di riflettere sui falsi cattolici nostrani e la loro forte voglia di guerra.
Un po’, la memoria, un po’ quella tendenza fascisteggiante, chi scrive sui giornali di destra tende sempre a dimenticare.
Qualcuno ricorda l’assassinio
del Vescovo Romero?
CARO COLOMBO, a parte il buon senso del Papa, stiamo
ascoltando le più violente e indignate esortazioni a
combattere (e se possibile a ucciderli tutti) contro i
barbari islamici che sono arrivati al punto di uccidere
un prete in chiesa. Per una settimana abbiamo descritto
quel delitto come se un simile gesto crudele e tragico
non fosse mai avvenuto prima e fosse tipicamente dei
folli seguaci di Allah. Possibile che la memoria sia andata
perduta per così tanta gente, anche colta, riflessiva
e autorevole?
ROBERTO
IL LETTORE fa riferimento a un evento che non può
essere stato dimenticato, ma che certamente non faceva
comodo ricordare in questi giorni: l’assassinio di
Mons. Romero, Vescovo del Salvador e leader disarmato
di coloro che resistevano a una dittatura brutale.
Romero è stato ucciso in chiesa, davanti ai suoi
fedeli, da uno “squadrone della morte” (tutti fascisti,
tutti battezzati) mentre, nel corso della messa, stava
per iniziare la sua omelia, che era sempre in difesa dei
poveri e contro un governo di persecutori e assassini.
Romero era la chiesa che non cede all’ingiustizia (ma
era solo e unico prelato a denunciare i delitti in Salvador
e in tutta quell’area di America latina) e sa che
arriverà l’assassino. Poiché l’assassino (un gruppo di
sicari del governo) era cattolico, e probabilmente parte
di altre folle e di altri riti cattolici, l’uccisione di Romero,
così straordinariamente esemplare, non è stata
ricordata da alcun difensore del buon Dio cristiano
contro il cattivo Dio islamico, in decine e decine di articoli
trasmissioni e appassionate tavole rotonde. E
nessuno mai ha voluto ricordare, in questi giorni, che i
cristiani, quanto a uccidere in chiesa e davanti alla
chiesa, se la sono sempre cavata benissimo tra loro.
Qualcuno ha ricordato che le stragi naziste, avvenute
il più delle volte davanti alle chiese di piccoli centri
come Marzabotto, hanno sempre incluso i parroci o
ucciso direttamente in chiesa, se le vittime cercavano
rifugio confidando nel luogo sacro? Questi, e tanti altri
eventi non più lontani del secolo scorso, non rendono
meno orrendo il delitto della chiesetta francese. Ma
prendere quel delitto come simbolo incontrovertibile
della guerra di religioni, vuol dire far finta di non sapere
che cosa è tragicamente accaduto nelle nostre
chiese e nei nostri villaggi per mano di cristiani altrettanto
assassini. Falsificare il passato e fingere un
doloroso stupore per un simile delitto vuol dire insegnare
in malafede o alla cieca, persino da cattedre illustri
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Salvini sulla Boldrini: "È una tarata mentale"
Matteo Salvini torna ad attaccare la presidente della Camera Laura Boldrini: "Sei tarata mentale se pensi che bisogna sostituire gli italiani che non fanno figli. Domandati perché non li fanno"
Raffaello Binelli - Gio, 04/08/2016 - 10:11
commenta
Nuovo duro affondo di Matteo Salvini contro la presidente della Camera, Laura Boldrini.
Ieri sera ad Arcore, prima del faccia a faccia con Berlusconi, il leader della Lega si è sfogato in questo modo: "Non nascono più bambini e poi arrivano fenomeni come la Boldrini che dice: 'Siccome gli italiani non fanno più figli, per pagare le vostre pensioni c'è bisogno di fare entrare in Italia 300mila immigrati all'anno'. Sei tarata mentale - ha aggiunto - se pensi che bisogna sostituire gli italiani che non fanno figli. Domandati perché non li fanno".
Salvini ha aggiunto che "togliere donne e bambini in fuga dalla guerra è un dovere sacrosanto, ma se domani mattina vado in stazione centrale a Milano o in altre città della Brianza, di donne e bambini ne vedo pochi. Vedo un sacco di 20enni belli robusti con il cappellino, le cuffiette e le Nike ai piedi".
Sempre sullo steso tono la polemica che Salvini aveva innescato il giorno prima, con un post su Facebook: "Un siriano arrestato, 3 imam indagati, un pakistano espulso. Ma quante belle persone stiamo ospitando in Italia... ne rimangono da espellere altri 500.000 e siamo tranquilli".
Qualche giorno fa il leader del Carroccio era finito al centro delle polemiche perché, durante un comizio a Soncino (Cremona), aveva accolto l'apparizione di una bambola gonfiabile sul palco con questa frase: "Ecco la sosia della Boldrini". Immediate erano scattate le condanne nei confronti di Salvini e la solidarietà alla presidente della Camera.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Salvini sulla Boldrini: "È una tarata mentale"
Matteo Salvini torna ad attaccare la presidente della Camera Laura Boldrini: "Sei tarata mentale se pensi che bisogna sostituire gli italiani che non fanno figli. Domandati perché non li fanno"
Raffaello Binelli - Gio, 04/08/2016 - 10:11
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Nuovo duro affondo di Matteo Salvini contro la presidente della Camera, Laura Boldrini.
Ieri sera ad Arcore, prima del faccia a faccia con Berlusconi, il leader della Lega si è sfogato in questo modo: "Non nascono più bambini e poi arrivano fenomeni come la Boldrini che dice: 'Siccome gli italiani non fanno più figli, per pagare le vostre pensioni c'è bisogno di fare entrare in Italia 300mila immigrati all'anno'. Sei tarata mentale - ha aggiunto - se pensi che bisogna sostituire gli italiani che non fanno figli. Domandati perché non li fanno".
Salvini ha aggiunto che "togliere donne e bambini in fuga dalla guerra è un dovere sacrosanto, ma se domani mattina vado in stazione centrale a Milano o in altre città della Brianza, di donne e bambini ne vedo pochi. Vedo un sacco di 20enni belli robusti con il cappellino, le cuffiette e le Nike ai piedi".
Sempre sullo steso tono la polemica che Salvini aveva innescato il giorno prima, con un post su Facebook: "Un siriano arrestato, 3 imam indagati, un pakistano espulso. Ma quante belle persone stiamo ospitando in Italia... ne rimangono da espellere altri 500.000 e siamo tranquilli".
Qualche giorno fa il leader del Carroccio era finito al centro delle polemiche perché, durante un comizio a Soncino (Cremona), aveva accolto l'apparizione di una bambola gonfiabile sul palco con questa frase: "Ecco la sosia della Boldrini". Immediate erano scattate le condanne nei confronti di Salvini e la solidarietà alla presidente della Camera.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Salvini & soci ci permettono di capire come fa l’Isis a irretire i merli “mussulmani”.
I nostri falsi cattolici sono la parte speculare dei falsi islamici.
Fino ad ora si sono limitati a richiedere la guerra, ma prossimamente le cose potrebbero cambiare.
Fino adesso poteva reggere l’idea che l’accordo tra Isis e ‘ndrangheta basato sullo scambio di protezione in Calabria in cambio di armi e droga, risparmiasse l’Italia da attentati, per ragioni evidenti.
Questo secondo la denuncia del maggio del 2015 da parte del procuratore capo di Reggio Calabria, Cafiero De Raho.
Ma adesso le cose stanno cambiando.
Dal punto di vista strettamente militare, l’Isis per allentare la pressione dei bombardamenti americani, oltre la presenza in Libia di forze speciali, inglesi, francesi, ed anche italiane come riportava il Fatto Quotidiano la scorsa settimana, deve impegnare il fronte europeo alla caccia delle cellule dell’Isis, a cui è pervenuto l’ordine di abbattere le croci.
In pratica di attaccare i cristiani.
Molto probabilmente l’obiettivo dell’Isis in Libia è quello di impossessarsi delle fonti di petrolio che gli permettono il sostegno economico per continuare la guerra.
Gli Occidentali, a partire dagli Usa, sono interessati alla stessa fonte energetica.
Ma mentre 75 anni fa, si moriva per Mussolini, oggi i soldati italiani potrebbero morire per l’ENI.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Salvini & soci ci permettono di capire come fa l’Isis a irretire i merli “mussulmani”.
I nostri falsi cattolici sono la parte speculare dei falsi islamici.
Fino ad ora si sono limitati a richiedere la guerra, ma prossimamente le cose potrebbero cambiare.
Fino adesso poteva reggere l’idea che l’accordo tra Isis e ‘ndrangheta basato sullo scambio di protezione in Calabria in cambio di armi e droga, risparmiasse l’Italia da attentati, per ragioni evidenti.
Questo secondo la denuncia del maggio del 2015 da parte del procuratore capo di Reggio Calabria, Cafiero De Raho.
Ma adesso le cose stanno cambiando.
Dal punto di vista strettamente militare, l’Isis per allentare la pressione dei bombardamenti americani, oltre la presenza in Libia di forze speciali, inglesi, francesi, ed anche italiane come riportava il Fatto Quotidiano la scorsa settimana, deve impegnare il fronte europeo alla caccia delle cellule dell’Isis, a cui è pervenuto l’ordine di abbattere le croci.
In pratica di attaccare i cristiani.
Molto probabilmente l’obiettivo dell’Isis in Libia è quello di impossessarsi delle fonti di petrolio che gli permettono il sostegno economico per continuare la guerra.
Gli Occidentali, a partire dagli Usa, sono interessati alla stessa fonte energetica.
Ma mentre 75 anni fa, si moriva per Mussolini, oggi i soldati italiani potrebbero morire per l’ENI.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Libia, le bombe non bastano:
attacchiamo lo Stato islamico
Isis si sarebbe potuto battere due anni fa. Ma nessuno lo ha voluto fare. Le bombe in Libia come quelle in Iraq e Siria
di Fulvio Scaglione
52 minuti fa
Se la guerra all’Isis è una barzelletta
AGO 4, 2016
FULVIO SCAGLIONE
D’accordo che siamo d’estate ma le barzellette sull’Isis non fanno più ridere. L’ultima è questa: c’è un servizio segreto dell’Isis che gira per l’Europa arruolando tutti i mattocchi che trova per trasformarli in lupi solitari. Quello di Nizza, che entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici. Quello di Monaco di Baviera, che curava le crisi depressive con i videogame ammazza-tutti. Quello di Londra, che ha ammazzato una donna subito dopo essere uscito dall’ospedale dove cercavano invano di rimettergli in sesto il cervello.
Il meno che si può dire è che questo “servizio segreto” dell’Isis funziona assai meglio dei nostri sistemi di welfare: li trova tutti, i disadattati, li convince, li organizza, li indirizza verso il bersaglio. E senza farsi notare, mai. Perché, com’è noto, nei Paesi europei non ci sono polizie né servizi segreti, e tantomeno agenti infiltrati nelle comunità islamiche più a rischio di radicalizzazione. Nessuno, nelle nostre intelligence, sa chi siano i predicatori più fanatici né chi incontrino. Nessuno spia le comunicazioni né il web, anche se solo poco tempo fa abbiamo scoperto che i servizi americani origliavano il cellulare di Hollande e della Merkel.
Questa è la barzelletta dei ciecamente atlantisti. La grande congiura serve a spiegare perché siamo arrivati a questo punto, cosa che non era affatto obbligatoria. E si collega perfettamente all’altra grande storiella, quella che raccontano i biecamente atlantisti. I quali ora ci dicono che, proprio per sventare la grande congiura in Europa della Spectre islamista, bisogna colpire l’Isis a casa sua, a Raqqa, nelle roccaforti che ancora resistono in Siria e in Iraq. Bravi, sette più.
Sono anni che personaggi di tutto il Medio Oriente lo ripetono, anni che i cristiani della regione lo invocano. E non è mai successo niente. Due anni e un pezzo di finta guerra con finti bombardamenti. Una coalizione di 70 Paesi guidata da Usa e Arabia Saudita che non sa più che scusa trovare per non colpire colonne di miliziani che attraversano il deserto. Mentre a suo tempo fu possibile far fuori la Jugoslavia di Slobodan Milosevic e l’Iraq di Saddam Hussein in poche settimane, pestando duro sulle città e persino sui treni, senza farsi tanti problemi per le vittime civili. Mentre ogni sforzo, dall’addestramento di mercenari alla pressione politica internazionale, è stato diretto per indebolire l’unico argine che l’Isis, nella sua vocazione al massacro, abbia trovato sulla propria strada: l’esercito di Assad e l’alleanza Russia-Iran-Hezbollah.
Onestamente sale il sangue agli occhi quando a scrivere certe cose sono personaggi illustri che hanno grande dimestichezza con la Nato. L’unica cosa che abbia fatto la Nato, nella crisi gestita dall’Isis ma organizzata e finanziata dai Paesi del Golfo Persico con la benevolenza degli Usa e della Turchia, è stata correre a proteggereRecep Erdogan quand’è venuto alle mani con la Russia. E il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, specificò che si trattava di proteggere il confine della Turchia con la Siria, proprio quello attraverso cui in questi anni sono filtrati in Siria e in Iraq, ad ammazzare migliaia di persone per conto dell’Isis e dei suoi burattinai, quasi 60 mila foreign fighters. Per non parlare di tutti gli altri traffici. In altre parole, la Nato correva a proteggere uno dei principali canali di arruolamento e rifornimento del terrorismo islamico.
E adesso ci dicono che bisogna colpire Raqqa, colpire il cuore dell’Isis. A fare i complottisti verrebbe da pensare che i nuovi equilibrii strategici generati dal vero-finto golpe in Turchia (per esempio, il riavvicinamento tra Ankara e Mosca) abbiano convinto qualcuno che è ora di darsi una mossa, prima che certi legami si rinsaldino e magari Trump diventi presidente.
Ma stiamo alla realtà. E la realtà è che, imperterriti, replichiamo le stesse commedie, vendendole alla gente come “lotta all’Isis”, “guerra al terrore”. Per anni la gente del Medio Oriente ci ha chiesto di smetterla con i bombardamenti scenografici e di cominciare a combattere davvero gli stragisti islamici. Perché, ci spiegava la gente di là, che conosce bene i luoghi e i problemi, non c’è altro modo per risolvere il problema. Abbiamo fatto finta di niente. E adesso che succede? Altro bombardamenti scenografici sulla Libia, mentre i generali (per esempio, Marco Bertolini, ex comandante delle missioni italiane all’estero) avvertono che “i raid aerei da soli non possono essere sufficienti. Occorre poi una ricaduta sul terreno, occorrono truppe che facciano la guerra sul serio”.
Il buon vecchio Marx, riprendendo Hegel, diceva che i grandi eventi della storia si presentano sempre due volte, “la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Ma qui siamo ben oltre la seconda volta ed è più che venuto il momento di chiedersi: stiamo davvero cercando di eliminare il terrorismo islamico? Oppure quanto avviene in Europa, tra attentati, lupi solitari e mattocchi in cerca di un palcoscenico, è il prezzo che alcuni sono disposti a (farci) pagare nell’illusione di sfruttare l’islamismo per governare certe parti del mondo?
http://www.occhidellaguerra.it/se-la-gu ... rzelletta/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Libia, le bombe non bastano:
attacchiamo lo Stato islamico
Isis si sarebbe potuto battere due anni fa. Ma nessuno lo ha voluto fare. Le bombe in Libia come quelle in Iraq e Siria
di Fulvio Scaglione
52 minuti fa
Se la guerra all’Isis è una barzelletta
AGO 4, 2016
FULVIO SCAGLIONE
D’accordo che siamo d’estate ma le barzellette sull’Isis non fanno più ridere. L’ultima è questa: c’è un servizio segreto dell’Isis che gira per l’Europa arruolando tutti i mattocchi che trova per trasformarli in lupi solitari. Quello di Nizza, che entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici. Quello di Monaco di Baviera, che curava le crisi depressive con i videogame ammazza-tutti. Quello di Londra, che ha ammazzato una donna subito dopo essere uscito dall’ospedale dove cercavano invano di rimettergli in sesto il cervello.
Il meno che si può dire è che questo “servizio segreto” dell’Isis funziona assai meglio dei nostri sistemi di welfare: li trova tutti, i disadattati, li convince, li organizza, li indirizza verso il bersaglio. E senza farsi notare, mai. Perché, com’è noto, nei Paesi europei non ci sono polizie né servizi segreti, e tantomeno agenti infiltrati nelle comunità islamiche più a rischio di radicalizzazione. Nessuno, nelle nostre intelligence, sa chi siano i predicatori più fanatici né chi incontrino. Nessuno spia le comunicazioni né il web, anche se solo poco tempo fa abbiamo scoperto che i servizi americani origliavano il cellulare di Hollande e della Merkel.
Questa è la barzelletta dei ciecamente atlantisti. La grande congiura serve a spiegare perché siamo arrivati a questo punto, cosa che non era affatto obbligatoria. E si collega perfettamente all’altra grande storiella, quella che raccontano i biecamente atlantisti. I quali ora ci dicono che, proprio per sventare la grande congiura in Europa della Spectre islamista, bisogna colpire l’Isis a casa sua, a Raqqa, nelle roccaforti che ancora resistono in Siria e in Iraq. Bravi, sette più.
Sono anni che personaggi di tutto il Medio Oriente lo ripetono, anni che i cristiani della regione lo invocano. E non è mai successo niente. Due anni e un pezzo di finta guerra con finti bombardamenti. Una coalizione di 70 Paesi guidata da Usa e Arabia Saudita che non sa più che scusa trovare per non colpire colonne di miliziani che attraversano il deserto. Mentre a suo tempo fu possibile far fuori la Jugoslavia di Slobodan Milosevic e l’Iraq di Saddam Hussein in poche settimane, pestando duro sulle città e persino sui treni, senza farsi tanti problemi per le vittime civili. Mentre ogni sforzo, dall’addestramento di mercenari alla pressione politica internazionale, è stato diretto per indebolire l’unico argine che l’Isis, nella sua vocazione al massacro, abbia trovato sulla propria strada: l’esercito di Assad e l’alleanza Russia-Iran-Hezbollah.
Onestamente sale il sangue agli occhi quando a scrivere certe cose sono personaggi illustri che hanno grande dimestichezza con la Nato. L’unica cosa che abbia fatto la Nato, nella crisi gestita dall’Isis ma organizzata e finanziata dai Paesi del Golfo Persico con la benevolenza degli Usa e della Turchia, è stata correre a proteggereRecep Erdogan quand’è venuto alle mani con la Russia. E il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, specificò che si trattava di proteggere il confine della Turchia con la Siria, proprio quello attraverso cui in questi anni sono filtrati in Siria e in Iraq, ad ammazzare migliaia di persone per conto dell’Isis e dei suoi burattinai, quasi 60 mila foreign fighters. Per non parlare di tutti gli altri traffici. In altre parole, la Nato correva a proteggere uno dei principali canali di arruolamento e rifornimento del terrorismo islamico.
E adesso ci dicono che bisogna colpire Raqqa, colpire il cuore dell’Isis. A fare i complottisti verrebbe da pensare che i nuovi equilibrii strategici generati dal vero-finto golpe in Turchia (per esempio, il riavvicinamento tra Ankara e Mosca) abbiano convinto qualcuno che è ora di darsi una mossa, prima che certi legami si rinsaldino e magari Trump diventi presidente.
Ma stiamo alla realtà. E la realtà è che, imperterriti, replichiamo le stesse commedie, vendendole alla gente come “lotta all’Isis”, “guerra al terrore”. Per anni la gente del Medio Oriente ci ha chiesto di smetterla con i bombardamenti scenografici e di cominciare a combattere davvero gli stragisti islamici. Perché, ci spiegava la gente di là, che conosce bene i luoghi e i problemi, non c’è altro modo per risolvere il problema. Abbiamo fatto finta di niente. E adesso che succede? Altro bombardamenti scenografici sulla Libia, mentre i generali (per esempio, Marco Bertolini, ex comandante delle missioni italiane all’estero) avvertono che “i raid aerei da soli non possono essere sufficienti. Occorre poi una ricaduta sul terreno, occorrono truppe che facciano la guerra sul serio”.
Il buon vecchio Marx, riprendendo Hegel, diceva che i grandi eventi della storia si presentano sempre due volte, “la prima come tragedia, la seconda come farsa”. Ma qui siamo ben oltre la seconda volta ed è più che venuto il momento di chiedersi: stiamo davvero cercando di eliminare il terrorismo islamico? Oppure quanto avviene in Europa, tra attentati, lupi solitari e mattocchi in cerca di un palcoscenico, è il prezzo che alcuni sono disposti a (farci) pagare nell’illusione di sfruttare l’islamismo per governare certe parti del mondo?
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