La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
SAI CHE ROBA, TRE ORE AL GIORNO DI TREGUA.
Aleppo, Russia annuncia: “Tre ore di tregua al giorno per aiuti umanitari”
Mondo
L'Onu aveva chiesto uno stop di 48 ore per rimettere in funzione almeno la rete idrica e quella elettrica. Rischio epidemie soprattutto per i bambini
di F. Q. | 10 agosto 2016
COMMENTI (43)
L’Onu aveva chiesto 48 ore di stop per rimettere in funzione almeno la rete idrica e quella elettrica. Ma la popolazione di Aleppo dovrà accontentarsi di una tregua di sole tre ore al giorno per permettere l’ingresso di convogli umanitari. Una goccia nell’oceano per una popolazione stremata da cinque anni di guerra, dai bombardamenti, dalla carenza di cibo e medicinali; da un mese sotto assedio per l’offensiva delle forze fedeli ad Assad che vogliono strapparla ai ribelli e da quattro giorni privata anche di acqua corrente a causa dei combattimenti tra governativi e insorti.
L’annuncio di questa piccola concessione – riporta l’Ansa – arriva dallo Stato Maggiore russo. Le “finestre umanitarie”, ha precisato Serghei Rudskoi, capo delle operazioni militari di Mosca, verranno aperte dalle 10 alle 13 ora locale, e in queste ore “tutte le ostilità, compresi attacchi di artiglieria e aviazione, dovranno cessare”. Perché la situazione è drammatica. Secondo l’allarme lanciato oggi dai volontari siriani dell’ong bolognese Gvc, potrebbe portare a “conseguenze catastrofiche”, con epidemie che colpirebbero in particolare i bambini. Ma pur sempre un timido segnale, dopo che oggi il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva annunciato la partenza per la Russia di una delegazione di responsabili della diplomazia di Ankara, delle forze armate e dell’Intelligence per esplorare appunto le possibilità di una tregua. Un’iniziativa che giunge il giorno dopo un incontro a San Pietroburgo tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e quello russo Vladimir Putin, i due grandi nemici che da anni in Siria si fanno la guerra per interposta persona.
Al momento la popolazione può sperare solo in iniziative ancora isolate di soccorso. Come quella annunciata dall’Unicef, che ha aumentato la distribuzione con autobotti di acqua nella parte occidentale della città, sotto il controllo governativo. In collaborazione con la Croce rossa e la Mezzaluna rossa siriana l’Unicef sta ora portando quotidianamente acqua potabile a 325.000 persone. Ma nelle aree orientali, in mano agli insorti, si calcola che fino a 300.000 persone – più di un terzo dei quali bambini – si affidino all’acqua dai pozzi, che è potenzialmente contaminata da materiali fecali e pericolosa da bere. Quella della Siria è “una tempesta perfetta nella quale il popolo sta soffrendo”, afferma da Buenos Aires il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, parlando di una crisi dei rifugiati ormai “non più gestibile”.
Per il momento i combattimenti continuano, e non solo ad Aleppo. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), 14 civili sono rimasti uccisi e feriti in pesanti bombardamenti governativi sulla provincia nord-occidentale di Idlib, in mano agli insorti. Mentre proseguono furiosi, con conseguenze altrettanto drammatiche per i residenti non combattenti, gli scontri a Manbij, nel nord del Paese, una roccaforte dell’Isis. Il centro abitato è stato ormai conquistato per il 90 per cento dalla coalizione delle cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dai bombardamenti aerei della Coalizione internazionale a guida americana che in poco più di due mesi hanno provocato oltre 200 morti tra i civili, secondo l’Ondus.
Aleppo, Russia annuncia: “Tre ore di tregua al giorno per aiuti umanitari”
Mondo
L'Onu aveva chiesto uno stop di 48 ore per rimettere in funzione almeno la rete idrica e quella elettrica. Rischio epidemie soprattutto per i bambini
di F. Q. | 10 agosto 2016
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L’Onu aveva chiesto 48 ore di stop per rimettere in funzione almeno la rete idrica e quella elettrica. Ma la popolazione di Aleppo dovrà accontentarsi di una tregua di sole tre ore al giorno per permettere l’ingresso di convogli umanitari. Una goccia nell’oceano per una popolazione stremata da cinque anni di guerra, dai bombardamenti, dalla carenza di cibo e medicinali; da un mese sotto assedio per l’offensiva delle forze fedeli ad Assad che vogliono strapparla ai ribelli e da quattro giorni privata anche di acqua corrente a causa dei combattimenti tra governativi e insorti.
L’annuncio di questa piccola concessione – riporta l’Ansa – arriva dallo Stato Maggiore russo. Le “finestre umanitarie”, ha precisato Serghei Rudskoi, capo delle operazioni militari di Mosca, verranno aperte dalle 10 alle 13 ora locale, e in queste ore “tutte le ostilità, compresi attacchi di artiglieria e aviazione, dovranno cessare”. Perché la situazione è drammatica. Secondo l’allarme lanciato oggi dai volontari siriani dell’ong bolognese Gvc, potrebbe portare a “conseguenze catastrofiche”, con epidemie che colpirebbero in particolare i bambini. Ma pur sempre un timido segnale, dopo che oggi il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, aveva annunciato la partenza per la Russia di una delegazione di responsabili della diplomazia di Ankara, delle forze armate e dell’Intelligence per esplorare appunto le possibilità di una tregua. Un’iniziativa che giunge il giorno dopo un incontro a San Pietroburgo tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e quello russo Vladimir Putin, i due grandi nemici che da anni in Siria si fanno la guerra per interposta persona.
Al momento la popolazione può sperare solo in iniziative ancora isolate di soccorso. Come quella annunciata dall’Unicef, che ha aumentato la distribuzione con autobotti di acqua nella parte occidentale della città, sotto il controllo governativo. In collaborazione con la Croce rossa e la Mezzaluna rossa siriana l’Unicef sta ora portando quotidianamente acqua potabile a 325.000 persone. Ma nelle aree orientali, in mano agli insorti, si calcola che fino a 300.000 persone – più di un terzo dei quali bambini – si affidino all’acqua dai pozzi, che è potenzialmente contaminata da materiali fecali e pericolosa da bere. Quella della Siria è “una tempesta perfetta nella quale il popolo sta soffrendo”, afferma da Buenos Aires il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, parlando di una crisi dei rifugiati ormai “non più gestibile”.
Per il momento i combattimenti continuano, e non solo ad Aleppo. Secondo l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus), 14 civili sono rimasti uccisi e feriti in pesanti bombardamenti governativi sulla provincia nord-occidentale di Idlib, in mano agli insorti. Mentre proseguono furiosi, con conseguenze altrettanto drammatiche per i residenti non combattenti, gli scontri a Manbij, nel nord del Paese, una roccaforte dell’Isis. Il centro abitato è stato ormai conquistato per il 90 per cento dalla coalizione delle cosiddette Forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dai bombardamenti aerei della Coalizione internazionale a guida americana che in poco più di due mesi hanno provocato oltre 200 morti tra i civili, secondo l’Ondus.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti italiani
Gli agenti: 'Siamo pochi, non si può improvvisare'
La comunicazione arriva in piena stagione estiva. "Non siamo in grado di controllare migliaia di persone
bagagli e auto senza bloccare tutto". Le verifiche del Fatto.it a Savona, Genova, Olbia e Civitavecchia
Cronaca
“Controlli nei porti a un passeggero su due”. Il 10 agosto, in piena stagione estiva, il Governo ha portato a due (su tre) il livello di allerta nei porti italiani. Ma i controlli ai passeggeri finora sembrano quasi inesistenti. Come ha verificato lo stesso giorno Ilfattoquotidiano.it. Mentre i dirigenti dei porti e gli agenti di polizia aggiungono: “Non si può alzare l’allerta a Ferragosto. È troppo tardi. Non possiamo farci quasi niente. Il rischio era noto da mesi, da anni”
di Ferruccio Sansa e Pietro Barabino
^^^^^^^^
Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti. Gli agenti: “Siamo pochi e bloccheremmo tutto, non si può improvvisare”
Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti. Gli agenti: “Siamo pochi e bloccheremmo tutto, non si può improvvisare”
Cronaca
La comunicazione del governo sul livello di rischio arriva in piena stagione estiva. "Noi facciamo il possibile, ma se ti metti a controllare migliaia di persone, bagagli e auto senza adeguamenti strutturali, non passa nessuno". Le verifiche del Fatto.it ai porti di Savona, Genova, Olbia e Civitavecchia. E le impressioni dei turisti agli imbarchi. C'è attenzione sulle navi da e per zone a rischio, ma il problema sono i traghetti
di Ferruccio Sansa | 11 agosto 2016
COMMENTI (2)
“Controlli nei porti a un passeggero su due”. Il 10 agosto, in piena stagione estiva, il Governo ha portato a due (su tre) il livello di allerta nei porti italiani. Ma i controlli ai passeggeri finora sembrano quasi inesistenti. Come ha verificato lo stesso giorno Ilfattoquotidiano.it. Mentre i dirigenti dei porti e gli agenti di polizia aggiungono: “Non si può alzare l’allerta a Ferragosto. È troppo tardi. Non possiamo farci quasi niente. Il rischio era noto da mesi, da anni”.
Sono le 17 di giovedì quando sulle banchine del porto di Genova si contano migliaia di auto. Arrivano i traghetti dalla Sicilia, partono quelli per la Sardegna. Poi la Tunisia. Un groviglio, uno sciamare di passeggeri. Scusi, ma lei è stato controllato a Palermo e a Genova? “Io sono partito dalla Liguria un paio di settimane fa con l’auto al seguito, ma non mi hanno guardato niente. Né zaino, né auto, avrei potuto portare qualsiasi cosa”, racconta Giuseppina Martinoli, studentessa. Sorride guardando il barbone nero del suo fidanzato: “E dire che lui potrebbe sembrare arabo. Ma niente. Neanche al ritorno”. Non è un caso isolato. Nessuno dei viaggiatori intervistati racconta di avere subito controlli. Differenze rispetto agli anni passati? “Gli addetti del porto hanno verificato la corrispondenza del documento al nome sul biglietto”.
Non va meglio a Savona – come ha riferito anche il sito di informazione Ninin – dove forse ci sarebbe perfino qualche motivo di cautela in più: siamo a poche decine di chilometri dal confine con la Francia, da qui partono le navi per la Corsica con tanti passeggeri francesi a bordo: “Ci sono i soliti controlli ai varchi, molto leggeri. Ti guardano i documenti”, si lascia scappare un dipendente del porto che chiede di non essere citato. Verifiche al bagaglio, all’automobile? “Non ne abbiamo mai viste”. Difficoltà anche a Olbia: “Qui la polizia di frontiera conta meno di cinquanta uomini, ma vanno quasi tutti all’aeroporto. In porto – dove d’estate arrivano decine di traghetti al giorno da Napoli, Civitavecchia e tutto il nord del Tirreno – arriviamo ad avere tre persone. Ci sono turni che rischiano di essere scoperti”, racconta un agente. Promossa Civitavecchia: “Stavo partendo e mi hanno fermata. Una guardia giurata mi ha fatto un controllo a campione con il naso elettronico per verificare la presenza di esplosivo. Ho perso tempo, ma mi ha fatto piacere”, racconta Elisa Boncinelli, professoressa romana in partenza per Olbia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... e/2969852/
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti italiani
Gli agenti: 'Siamo pochi, non si può improvvisare'
La comunicazione arriva in piena stagione estiva. "Non siamo in grado di controllare migliaia di persone
bagagli e auto senza bloccare tutto". Le verifiche del Fatto.it a Savona, Genova, Olbia e Civitavecchia
Cronaca
“Controlli nei porti a un passeggero su due”. Il 10 agosto, in piena stagione estiva, il Governo ha portato a due (su tre) il livello di allerta nei porti italiani. Ma i controlli ai passeggeri finora sembrano quasi inesistenti. Come ha verificato lo stesso giorno Ilfattoquotidiano.it. Mentre i dirigenti dei porti e gli agenti di polizia aggiungono: “Non si può alzare l’allerta a Ferragosto. È troppo tardi. Non possiamo farci quasi niente. Il rischio era noto da mesi, da anni”
di Ferruccio Sansa e Pietro Barabino
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Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti. Gli agenti: “Siamo pochi e bloccheremmo tutto, non si può improvvisare”
Terrorismo, innalzata l’allerta nei porti. Gli agenti: “Siamo pochi e bloccheremmo tutto, non si può improvvisare”
Cronaca
La comunicazione del governo sul livello di rischio arriva in piena stagione estiva. "Noi facciamo il possibile, ma se ti metti a controllare migliaia di persone, bagagli e auto senza adeguamenti strutturali, non passa nessuno". Le verifiche del Fatto.it ai porti di Savona, Genova, Olbia e Civitavecchia. E le impressioni dei turisti agli imbarchi. C'è attenzione sulle navi da e per zone a rischio, ma il problema sono i traghetti
di Ferruccio Sansa | 11 agosto 2016
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“Controlli nei porti a un passeggero su due”. Il 10 agosto, in piena stagione estiva, il Governo ha portato a due (su tre) il livello di allerta nei porti italiani. Ma i controlli ai passeggeri finora sembrano quasi inesistenti. Come ha verificato lo stesso giorno Ilfattoquotidiano.it. Mentre i dirigenti dei porti e gli agenti di polizia aggiungono: “Non si può alzare l’allerta a Ferragosto. È troppo tardi. Non possiamo farci quasi niente. Il rischio era noto da mesi, da anni”.
Sono le 17 di giovedì quando sulle banchine del porto di Genova si contano migliaia di auto. Arrivano i traghetti dalla Sicilia, partono quelli per la Sardegna. Poi la Tunisia. Un groviglio, uno sciamare di passeggeri. Scusi, ma lei è stato controllato a Palermo e a Genova? “Io sono partito dalla Liguria un paio di settimane fa con l’auto al seguito, ma non mi hanno guardato niente. Né zaino, né auto, avrei potuto portare qualsiasi cosa”, racconta Giuseppina Martinoli, studentessa. Sorride guardando il barbone nero del suo fidanzato: “E dire che lui potrebbe sembrare arabo. Ma niente. Neanche al ritorno”. Non è un caso isolato. Nessuno dei viaggiatori intervistati racconta di avere subito controlli. Differenze rispetto agli anni passati? “Gli addetti del porto hanno verificato la corrispondenza del documento al nome sul biglietto”.
Non va meglio a Savona – come ha riferito anche il sito di informazione Ninin – dove forse ci sarebbe perfino qualche motivo di cautela in più: siamo a poche decine di chilometri dal confine con la Francia, da qui partono le navi per la Corsica con tanti passeggeri francesi a bordo: “Ci sono i soliti controlli ai varchi, molto leggeri. Ti guardano i documenti”, si lascia scappare un dipendente del porto che chiede di non essere citato. Verifiche al bagaglio, all’automobile? “Non ne abbiamo mai viste”. Difficoltà anche a Olbia: “Qui la polizia di frontiera conta meno di cinquanta uomini, ma vanno quasi tutti all’aeroporto. In porto – dove d’estate arrivano decine di traghetti al giorno da Napoli, Civitavecchia e tutto il nord del Tirreno – arriviamo ad avere tre persone. Ci sono turni che rischiano di essere scoperti”, racconta un agente. Promossa Civitavecchia: “Stavo partendo e mi hanno fermata. Una guardia giurata mi ha fatto un controllo a campione con il naso elettronico per verificare la presenza di esplosivo. Ho perso tempo, ma mi ha fatto piacere”, racconta Elisa Boncinelli, professoressa romana in partenza per Olbia.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/08 ... e/2969852/
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Thailandia, esplose due bombe nella località turistica di Hua Hin. “Uccisa una donna e almeno 20 feriti, anche stranieri”
Mondo
Il corrispondente della Bbc da Bangkok, Jonathan Head, ha scritto che gli ordigni sono deflagrati a distanza di 30 minuti l'uno dall'altro. La polizia ha riferito che erano nascosti in vasi di piante e sono stati attivati da telefoni cellulari. Nel Paese è attivo un movimento separatista armato che ha già fatto attentati di questo tipo
di F. Q. | 11 agosto 2016
COMMENTI (3)
Due bombe sono esplose nella località turistica di Hua Hin, in Thailandia, uccidendo una donna e ferendo un’altra ventina di persone, tra cui nove viaggiatori stranieri. Tre sarebbero in condizioni gravi. Il corrispondente della Bbc dall’Asia Jonathan Head ha scritto su Twitter che secondo la polizia locale le due bombe sono scoppiate a distanza di 30 minuti l’una dall’altra. Le forze dell’ordine hanno fatto sapere che gli ordigni erano nascosti in vasi di piante e sono stati attivati da telefoni cellulari. Nel Paese è attivo da 12 anni un movimento separatista armato e attentati di questo tipo sono già avvenuti, ma non in strutture turistiche.
Secondo Head una terza bomba è deflagrata nel pomeriggio in un’altra provincia del Paese, a Trang. La stampa locale riporta che un uomo è rimasto ucciso e cinque persone ferite nella zona del mercato, a 200 metri dalla sede della polizia provinciale e vicino al municipio e agli uffici del governo locale. In questo caso, però, secondo le forze dell’ordine la matrice non è terroristica: dietro l’esplosione ci sarebbero liti tra i venditori del mercato.
Segui
Jonathan Head @pakhead
Police in Hua Hin say 2 bombs killed 1 woman & injured 10 ppl, some seriously, some foreigners. Bombs 50m and 30 minutes apart.
19:33 - 11 Ago 2016
89 89 Retweet 16 16 Mi piace
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Thailandia, esplose due bombe nella località turistica di Hua Hin. “Uccisa una donna e almeno 20 feriti, anche stranieri”
Mondo
Il corrispondente della Bbc da Bangkok, Jonathan Head, ha scritto che gli ordigni sono deflagrati a distanza di 30 minuti l'uno dall'altro. La polizia ha riferito che erano nascosti in vasi di piante e sono stati attivati da telefoni cellulari. Nel Paese è attivo un movimento separatista armato che ha già fatto attentati di questo tipo
di F. Q. | 11 agosto 2016
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Due bombe sono esplose nella località turistica di Hua Hin, in Thailandia, uccidendo una donna e ferendo un’altra ventina di persone, tra cui nove viaggiatori stranieri. Tre sarebbero in condizioni gravi. Il corrispondente della Bbc dall’Asia Jonathan Head ha scritto su Twitter che secondo la polizia locale le due bombe sono scoppiate a distanza di 30 minuti l’una dall’altra. Le forze dell’ordine hanno fatto sapere che gli ordigni erano nascosti in vasi di piante e sono stati attivati da telefoni cellulari. Nel Paese è attivo da 12 anni un movimento separatista armato e attentati di questo tipo sono già avvenuti, ma non in strutture turistiche.
Secondo Head una terza bomba è deflagrata nel pomeriggio in un’altra provincia del Paese, a Trang. La stampa locale riporta che un uomo è rimasto ucciso e cinque persone ferite nella zona del mercato, a 200 metri dalla sede della polizia provinciale e vicino al municipio e agli uffici del governo locale. In questo caso, però, secondo le forze dell’ordine la matrice non è terroristica: dietro l’esplosione ci sarebbero liti tra i venditori del mercato.
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Jonathan Head @pakhead
Police in Hua Hin say 2 bombs killed 1 woman & injured 10 ppl, some seriously, some foreigners. Bombs 50m and 30 minutes apart.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Ho acquistato nel pomeriggio la quarta edizione di:
MASSONI
SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA.
Di Gioele Magaldi
Edito da chiare lettere.
Nella copertina di chiusura ci sono le fotografie di otto appartenenti alle UR-LODGES.
Mai smentito, ci sono le foto di George W. Bush, fondatore della Loggia HATOR PENTALPHA.
Ma anche quella di Abu Bakr Al –Baghdadi.
Manca la foto di Erdogan, appartenente anche lui alla stessa Loggia Massonica.
E qui si capisce che ci stanno prendendo per “i fondelli” ALLA GRANDE.
CONTINUA
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
Ho acquistato nel pomeriggio la quarta edizione di:
MASSONI
SOCIETA’ A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA.
Di Gioele Magaldi
Edito da chiare lettere.
Nella copertina di chiusura ci sono le fotografie di otto appartenenti alle UR-LODGES.
Mai smentito, ci sono le foto di George W. Bush, fondatore della Loggia HATOR PENTALPHA.
Ma anche quella di Abu Bakr Al –Baghdadi.
Manca la foto di Erdogan, appartenente anche lui alla stessa Loggia Massonica.
E qui si capisce che ci stanno prendendo per “i fondelli” ALLA GRANDE.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
LIBRE news
Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Scritto il 13/8/16 • nella Categoria: segnalazioni
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. (vizietto molto comune. ndt)
In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino.
Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte».
Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar».
E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria».
Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza».
E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva?
E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».
L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007.
Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico».
Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles».
Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”».
I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate.
«Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti.
Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».
Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”.
«E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni.
«I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze».
Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei.
Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi.
Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga?
Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
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Francesi, a chi giova il terrore? Chi lo copre, chi lo finanzia?
Scritto il 13/8/16 • nella Categoria: segnalazioni
Mentre diversi paesi in Europa occidentale sono vittime di attacchi terroristici rivendicati da “Daesh”, cioè l’Isis – scrive sul suo sito il movimento indipendentista francese Upr, Unione Popolare Repubblicana, molti politici trovano la scusa per aumentare a dismisura il loro potere, restringendo la libertà dei cittadini. (vizietto molto comune. ndt)
In particolare, il terrorismo è l’alibi perfetto per «limitare ulteriormente la libertà pubbliche (estensione dello stato di emergenza di François Hollande), insegnare ai giovani a “essere pronti a vivere con il terrorismo” (Manuel Valls), creare “campi di detenzione preventiva”, ossia campi di concentramento secondo il vocabolario degli anni ‘30 (Laurent Wauquiez)», e magari «armare i soldati di lanciarazzi», come propone Henri Guaino.
Non solo: si chiede anche di «stabilire lo stato d’assedio» (Frédéric Lefebvre) e «demolire lo Stato di diritto» (Jacques Bompard ed Eric Ciotti), accantonando la Costituzione della Quinta Repubblica (David Douillet) e considerando lo Stato di diritto come paccottiglia, mero ammasso di noiosi “argomenti giuridici” che devono essere superati, come dice Nicolas Sarkozy, ansioso di unirsi allo “scontro di civiltà” teorizzato dai “think-tank” americani.
«Naturalmente – aggiunge l’Upr, in un post ripreso da “Voci dall’Estero” – tutti gli attacchi sono crimini assoluti e devono essere puniti dai tribunali con la massima fermezza, allo stesso modo in cui tutte le reti del traffico di armi e dei finanziamenti occulti devono essere distrutte».
Nel contempo, però, la Francia dovrebbe «vietare immediatamente qualsiasi ingerenza straniera in alcuni suoi ambiti territoriali, come fanno apertamente gli Stati Uniti o il Qatar».
E deve «ritirare tutti i suoi soldati dai teatri di guerra dove si è resa corresponsabile della morte di migliaia di civili, come in Libia e in Siria».
Al di là di queste proposte di misure d’emergenza che l’Upr formula, il movimento sovranista francese chiede ai cittadini di «non indulgere in reazioni sconsiderate ed emotive, anche se gli attacchi sono sempre più odiosi, ma di mantenere la loro compostezza».
E soprattutto di farsi due domande essenziali: «Chi trae vantaggio da questi crimini, in definitiva?
E cosa ci insegna la storia dell’ondata di attentati verificatisi in Europa durante gli anni ’50?».
L’Upr cita lo studio scientifico dello storico Daniele Ganser, intitolato “Gli eserciti segreti della Nato – le reti Stay Behind, Gladio e il terrorismo in Europa Occidentale”, pubblicato in francese nel 2007.
Nel saggio, Ganser «dimostra che, tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e il 1990, esistevano nei paesi membri della Nato, oltre alle truppe regolari dell’Alleanza, eserciti segreti della Nato (noti anche come Stay-Behind o Gladio), che erano stati istituiti dalla Cia e dal Mi6 britannico».
Eserciti-ombra, «controllati e coordinati da un ufficio di sicurezza segreta all’interno del quartier generale della Nato a Bruxelles».
Eserciti-fantasma, guidati dalla Nato e dalla Cia, che «non hanno esitato a commettere attacchi terribilmente mortali per terrorizzare le popolazioni, nel contesto della “strategia della tensione”».
I francesi citano la spaventosa strage italiana della stazione di Bologna del 1980, coi depistaggi messi in atto: falsi colpevoli immediatamente dati in pasto alla stampa e rivendicazioni troppo velocemente annunciate.
«Nell’esempio italiano, era stata una parte dell’apparato statale, sostenuta dalla Nato e dalla Cia, a indirizzare la popolazione contro il “pericolo rosso”: i comunisti.
Non si tratta di “complottismo”, ma di una verità storica».
Oggi non parliamo più di “pericolo rosso”, ma di “minaccia islamica”.
«E la gente approfitta delle emozioni legittime causate dagli attacchi per minare le libertà civili, mantenere di popolazioni in uno stato d’ansia e impedire qualsiasi dibattito su centinaia di migliaia di morti civili commesse dalla Nato e dalle forze armate americane, francesi e inglesi in Medio Oriente», dove la pretesa “lotta contro il terrorismo” ha causato più di 1,3 milioni di morti civili in 10 anni.
«I francesi – continua l’Upr – devono riflettere sul fatto che i popoli dell’Iraq, della Libia, della Siria, non ci avevano fatto assolutamente niente fino a quando i paesi della Nato non hanno iniziano a bombardarli – con la scusa della rappresaglia per gli attentati dell’11 Settembre – ma molto più sostanzialmente per consentire alle grandi compagnie petrolifere e finanziarie occidentali di appropriarsi delle loro ricchezze».
Conclusione: «La storia deve pertanto invitarci a una grande cautela nei confronti dei drammatici eventi in atto in Francia e in molti altri paesi europei.
Prima di tirare conclusioni affrettate – insiste l’Unione Popolare Repubblicana – i francesi devono chiedersi chi ci sia dietro i terroristi.
Chi li finanzia? Chi li arma? Chi li manipola? Chi li condiziona e li droga?
Non sono forse solo “utili idioti” che servono interessi superiori che li scavalcano?».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
WAR GAMES
LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
13 AGO 2016 17:49
ECCO IL PREMIO PER AVER LIBERATO SIRTE DALL'ISIS: JIHADISTI SUI BARCONI PER L’ITALIA!
- IL COPASIR: ‘CON LA LIBIA IN PIENO CAOS, I CANI SCIOLTI ALLO SBANDO POTREBBERO TENTARE LA CARTA DEL VIAGGIO VERSO L’EUROPA’
- MINACCE A ROMA SUI MURI? ‘È IL SIMBOLO DELLA CRISTIANITÀ’
Da http://www.corriere.it
Con la liberazione di Sirte dall’Isis, «lo scenario è completamente cambiato e cresce oggettivamente il rischio che dei militanti possano fuggire in Europa anche via mare».
Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha pochi dubbi: se «a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile - spiega all’Agi - che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi», oggi si è «in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l’Europa.
Sono cani sciolti, gente allo sbando, che scappa - sottolinea Stucchi - poi si tratta di capire quali intenzioni ha chi dovesse davvero arrivare in questo modo: semplicemente far perdere le proprie tracce oppure voler continuare a “combattere” in nome della propria causa?».
Quanto alle minacce a Roma lette sui muri della città libica strappata all’Is come riportato oggi dal Corriere della Sera nel reportage dell’inviato a Sirte Lorenzo Cremonesi, per il presidente del Copasir «vanno lette nell’ottica della propaganda fatta da Daesh negli ultimi anni e negli ultimi mesi, soprattutto in Libia.
Nel mirino c’è l’Occidente in genere con tutti i simboli che il sedicente Califfato intende abbattere, e Roma come culla della cristianità è un bersaglio come qualsiasi altra città degli “infedeli”».
E la possibile presenza nel Milanese di jihadisti libici, tunisini e sudanesi, di cui parlerebbero i servizi di Tripoli? «La situazione è attentamente monitorata dalle nostre forze dell’ordine e dalla intelligence - conclude Stucchi - ci sono state delle inchieste e altre sono in corso ma in diversi casi potrebbe anche trattarsi di elementi solo di passaggio, che sono stati in certe zone e che adesso si trovano da tutt’altra parte».
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ECCO IL PREMIO PER AVER LIBERATO SIRTE DALL'ISIS: JIHADISTI SUI BARCONI PER L’ITALIA!
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- MINACCE A ROMA SUI MURI? ‘È IL SIMBOLO DELLA CRISTIANITÀ’
Da http://www.corriere.it
Con la liberazione di Sirte dall’Isis, «lo scenario è completamente cambiato e cresce oggettivamente il rischio che dei militanti possano fuggire in Europa anche via mare».
Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha pochi dubbi: se «a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile - spiega all’Agi - che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi», oggi si è «in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l’Europa.
Sono cani sciolti, gente allo sbando, che scappa - sottolinea Stucchi - poi si tratta di capire quali intenzioni ha chi dovesse davvero arrivare in questo modo: semplicemente far perdere le proprie tracce oppure voler continuare a “combattere” in nome della propria causa?».
Quanto alle minacce a Roma lette sui muri della città libica strappata all’Is come riportato oggi dal Corriere della Sera nel reportage dell’inviato a Sirte Lorenzo Cremonesi, per il presidente del Copasir «vanno lette nell’ottica della propaganda fatta da Daesh negli ultimi anni e negli ultimi mesi, soprattutto in Libia.
Nel mirino c’è l’Occidente in genere con tutti i simboli che il sedicente Califfato intende abbattere, e Roma come culla della cristianità è un bersaglio come qualsiasi altra città degli “infedeli”».
E la possibile presenza nel Milanese di jihadisti libici, tunisini e sudanesi, di cui parlerebbero i servizi di Tripoli? «La situazione è attentamente monitorata dalle nostre forze dell’ordine e dalla intelligence - conclude Stucchi - ci sono state delle inchieste e altre sono in corso ma in diversi casi potrebbe anche trattarsi di elementi solo di passaggio, che sono stati in certe zone e che adesso si trovano da tutt’altra parte».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Sostiene oggi 13 agosto 2016, “Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha pochi dubbi: se «a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile - spiega all’Agi - che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi», oggi si è «in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l’Europa.”
Ma Massimo Fini lo aveva anticipato il 4 agosto us.
Vedi:
Oggetto del messaggio: Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 04/08/2016, 17:56
A pagina 90 del presente 3D.
LIBIA, PREPARIAMOCI
AI NOSTRI BATACLAN
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Sostiene oggi 13 agosto 2016, “Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, ha pochi dubbi: se «a lungo è stato altamente improbabile, se non impossibile - spiega all’Agi - che Daesh facesse viaggiare suoi affiliati sui barconi, esponendo ai rischi oggettivamente alti della traversata uomini su cui aveva investito in tempo e soldi», oggi si è «in pieno caos, e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in mare verso l’Europa.”
Ma Massimo Fini lo aveva anticipato il 4 agosto us.
Vedi:
Oggetto del messaggio: Re: La Terza Guerra Mondiale
Inviato: 04/08/2016, 17:56
A pagina 90 del presente 3D.
LIBIA, PREPARIAMOCI
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
VIOLATA ANCHE LA "NEUTRALE" SVIZZERA
Svizzera, uomo armato di coltello ferisce sei persone su un treno e poi lo incendia
Mondo
Un 27enne di nazionalità elvetica ha versato del liquido infiammabile nel vagone nel quale si trovava e gli ha dato fuoco. Il giovane è stato arrestato: tra i feriti anche un bambino di 6 anni. Per la polizia il movente terroristico è "molto, molto improbabile"
di F. Q. | 13 agosto 2016
COMMENTI (59)
Ha ferito sei passeggeri di un treno armato di coltello, per poi incendiare l’intero vagone. È il gesto compiuto da un 27enne di nazionalità svizzera che ha appiccato il fuoco ad un convoglio nei pressi di Salez, nel canton San Gallo. I fatti sono avvenuti oggi, 13 agosto, intorno alle ore 14.20 sulla tratta ferroviaria tra St. Margrethen e Sargans.
Il giovane ha versato del liquido infiammabile nel vagone nel quale si trovava e gli ha dato fuoco. Prima aveva anche ferito alcune persone presenti sul treno: in sei sono state ricoverate in vari ospedali a causa delle ferite da taglio e le ustioni subite. Si tratta di un bambino di 6 anni, di tre donne di 17, 34 e 43 anni, e di due uomini di 17 e 50 anni. L’autore dell’attacco è stato fermato ed è stato a sua volta ricoverato. I soccorritori sono giunti in forze sul luogo con tre elicotteri, due medici e tre ambulanze. La linea ferroviaria è attualmente chiusa al traffico.
Sull’accaduto la procura sangallese ha avviato un’inchiesta penale. La polizia svizzera ancora non conosce la motivazione che ha spinto un 27enne svizzero ad attaccare i passeggeri di un treno, ma ritiene il terrorismo “molto, molto improbabile”, non escludendo motivazioni personali.
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Svizzera, uomo armato di coltello ferisce sei persone su un treno e poi lo incendia
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di F. Q. | 13 agosto 2016
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Ha ferito sei passeggeri di un treno armato di coltello, per poi incendiare l’intero vagone. È il gesto compiuto da un 27enne di nazionalità svizzera che ha appiccato il fuoco ad un convoglio nei pressi di Salez, nel canton San Gallo. I fatti sono avvenuti oggi, 13 agosto, intorno alle ore 14.20 sulla tratta ferroviaria tra St. Margrethen e Sargans.
Il giovane ha versato del liquido infiammabile nel vagone nel quale si trovava e gli ha dato fuoco. Prima aveva anche ferito alcune persone presenti sul treno: in sei sono state ricoverate in vari ospedali a causa delle ferite da taglio e le ustioni subite. Si tratta di un bambino di 6 anni, di tre donne di 17, 34 e 43 anni, e di due uomini di 17 e 50 anni. L’autore dell’attacco è stato fermato ed è stato a sua volta ricoverato. I soccorritori sono giunti in forze sul luogo con tre elicotteri, due medici e tre ambulanze. La linea ferroviaria è attualmente chiusa al traffico.
Sull’accaduto la procura sangallese ha avviato un’inchiesta penale. La polizia svizzera ancora non conosce la motivazione che ha spinto un 27enne svizzero ad attaccare i passeggeri di un treno, ma ritiene il terrorismo “molto, molto improbabile”, non escludendo motivazioni personali.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
LE CARTE DEGLI 007 DI TRIPOLI
Isis, caccia alla rete di Milano
«Rischio terroristi tra i profughi»
Il capo, Moez Ben Abdelkader Fezzani, espulso prima della condanna in Italia: era il punto di riferimento della «Casa dei tunisini», il covo dei combattenti di Al Qaeda diretti verso il Medio Oriente
di Cesare Giuzzi
È scappato lanciandosi dall’auto della polizia che correva in tangenziale a quasi cento all’ora. Ha spinto un agente della Digos e ha aperto lo sportello, rotolando sull’asfalto e sparendo come un gatto oltre il guardrail nei campi vicino all’aeroporto di Malpensa. Lo hanno ripreso a Varese dopo giorni di caccia incessante e caricato su un aereo diretto a Tunisi.
shadow carouselI quaderni dell’Isis a Sirte e la scritta: «Da qui prenderemo Roma»
I quaderni dell?Isis a Sirte e la scritta: «Da qui prenderemo Roma»
PrevNext
Era il 2012 e Moez Ben Abdelkader Fezzani, nome di battaglia Abu Nassim, era appena stato assolto in primo grado dall’accusa di essere un reclutatore di combattenti jihadisti per la Bosnia e l’Afghanistan. Il ministero dell’Interno lo aveva considerato un soggetto pericoloso per la sicurezza nazionale e di conseguenza aveva dato il via libera all’espulsione. Un anno più tardi, quando già Fezzani era in Siria con le truppe della costola di al Qaeda «al Nusra», i giudici della corte d’Assise d’appello di Milano hanno ribaltato il verdetto di primo grado e lo hanno condannato a sei anni. Fezzani, 47 anni, era il punto di riferimento della «Casa dei tunisini», il covo dei combattenti di Al Qaeda diretti verso il Medio Oriente. E quel covo era un piccolo appartamento popolare di proprietà dell’Aler, l’ente di edilizia pubblica, dove Fezzani era andato a vivere con l’amico e connazionale Sassi Lassaad. Fezzani aveva 20 anni, si spaccava la schiena nei cantieri di mezza Lombardia.
Il suo coinquilino Sassi Lassaad è morto nel dicembre del 2006 a Tunisi mentre guidava un commando all’assalto dei palazzi del governo. E oggi Moez Fezzani è considerato uno dei più carismatici capi dell’esercito del Califfato in Libia, alla guida della brigata scelta Al-Battar. E uno dei terroristi più ricercati dai servizi segreti di mezzo mondo dopo che il governo tunisino ha lanciato un appello per la sua cattura nel marzo scorso in seguito all’assalto del museo del Bardo. Per i servizi libici, come anticipato ieri dal Corriere, il nome di Fezzani sarebbe legato a un nucleo di «soldati» dell’Isis in terra milanese. Su questa ipotesi gli inquirenti dell’antiterrorismo italiano lavorano fin dall’adesione di Fezzani al Califfato. Il sospetto è che abbia riattivato la rete dei suoi uomini in Lombardia per reclutare foreign fighter. E che sia in contatto con la rete di «tunisini, libici e sudanesi» che agiscono nel Milanese per conto del Califfo, come segnalato dai servizi segreti di Sirte.
L’ascesa di Fezzani nel panorama terroristicomondiale è raccontata dalle indagini condotte alla fine degli anni Novanta dal pm Elio Ramondini e dal gip Guido Salvini. La Digos milanese, già dal 1997, stava monitorando alcune cellule islamiche che avevano reclutato mujaheddin per il conflitto afghano e la guerra dei Balcani. Arabi e slavi che frequentavano il centro islamico di viale Jenner e la moschea di via Quaranta. Erano gli anni in cui Osama Bin Laden stava preparando il suo attacco all’America e all’Occidente e Milano rappresentava lo snodo europeo verso il jihad. L’appartamento di Fezzani in via Paravia 84, nel cuore del quartiere multiculturale di San Siro e vicino all’alloggio di Game, l’attentatore della Perrucchetti, era stato soprannominato la «Casa dei tunisini» perché qui facevano tappa gli aspiranti mujaheddin in attesa di partire per i campi di addestramento. Lo confermerà al magistrato Stefano Dambruoso il tunisino salafita pentito Riadh Ben Belgacem Jelassi. E il ruolo di Fezzani, ormai noto con il nome di Abu Nassim, emergerà con chiarezza dall’inchiesta «Rakno Sadess». Le indagini successive lo legheranno anche al gruppo di Meliani che progettava attentati in Germania.
Abu Nassim in quegli anni ha già lasciato Milano. Lo ha fatto il 19 agosto del 1997 quando diventa irreperibile in via Paravia. Otto giorni dopo compare su un volo diretto a Peshawar in Pakistan dove viene arrestato perché ha un visto falso. Il carcere dura poco, Moez Fezzani si sposa e ha un figlio. Viene catturato dagli americani nel 2001 e la Cia lo rinchiude nel carcere di Bagram, in Afghanistan. Dopo molte polemiche, nel 2009 viene consegnato alle autorità italiane insieme a due ex reclusi di Guantanamo. Dal carcere di Rossano, in Calabria, scrive all’allora detenuto Claudio Latino, accusato di far parte delle nuove Br, per informarlo di aver promosso lo «svuotamento notturno delle vettovaglie» per protesta contro le condizioni di vita «inumane» dei reclusi musulmani. La sua detenzione termina nella primavera del 2012 con l’assoluzione in primo grado e l’espulsione. Il combattente Abu Nassim non si ferma. Lascia Tunisi e si unisce alle truppe di «al Nusra», l’esercito qaedista in Siria. Dopo il fallimento delle Primavere arabe, viene sedotto dal Califfo al-Baghdadi e combatte nella zona di Sabratha in Libia. È qui che il nome di Abu Nassim torna a riempire i report dell’intelligence. Il suo grado nell’esercito dell’Isis cresce insieme al suo carisma. «Sentirete ancora parlare di me», aveva detto ai poliziotti italiani che lo caricavano sull’aereo per Tunisi. In qualche modo ha mantenuto la promessa.
14 agosto 2016 | 01:32
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://milano.corriere.it/notizie/crona ... a70c.shtml
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È scappato lanciandosi dall’auto della polizia che correva in tangenziale a quasi cento all’ora. Ha spinto un agente della Digos e ha aperto lo sportello, rotolando sull’asfalto e sparendo come un gatto oltre il guardrail nei campi vicino all’aeroporto di Malpensa. Lo hanno ripreso a Varese dopo giorni di caccia incessante e caricato su un aereo diretto a Tunisi.
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Il suo coinquilino Sassi Lassaad è morto nel dicembre del 2006 a Tunisi mentre guidava un commando all’assalto dei palazzi del governo. E oggi Moez Fezzani è considerato uno dei più carismatici capi dell’esercito del Califfato in Libia, alla guida della brigata scelta Al-Battar. E uno dei terroristi più ricercati dai servizi segreti di mezzo mondo dopo che il governo tunisino ha lanciato un appello per la sua cattura nel marzo scorso in seguito all’assalto del museo del Bardo. Per i servizi libici, come anticipato ieri dal Corriere, il nome di Fezzani sarebbe legato a un nucleo di «soldati» dell’Isis in terra milanese. Su questa ipotesi gli inquirenti dell’antiterrorismo italiano lavorano fin dall’adesione di Fezzani al Califfato. Il sospetto è che abbia riattivato la rete dei suoi uomini in Lombardia per reclutare foreign fighter. E che sia in contatto con la rete di «tunisini, libici e sudanesi» che agiscono nel Milanese per conto del Califfo, come segnalato dai servizi segreti di Sirte.
L’ascesa di Fezzani nel panorama terroristicomondiale è raccontata dalle indagini condotte alla fine degli anni Novanta dal pm Elio Ramondini e dal gip Guido Salvini. La Digos milanese, già dal 1997, stava monitorando alcune cellule islamiche che avevano reclutato mujaheddin per il conflitto afghano e la guerra dei Balcani. Arabi e slavi che frequentavano il centro islamico di viale Jenner e la moschea di via Quaranta. Erano gli anni in cui Osama Bin Laden stava preparando il suo attacco all’America e all’Occidente e Milano rappresentava lo snodo europeo verso il jihad. L’appartamento di Fezzani in via Paravia 84, nel cuore del quartiere multiculturale di San Siro e vicino all’alloggio di Game, l’attentatore della Perrucchetti, era stato soprannominato la «Casa dei tunisini» perché qui facevano tappa gli aspiranti mujaheddin in attesa di partire per i campi di addestramento. Lo confermerà al magistrato Stefano Dambruoso il tunisino salafita pentito Riadh Ben Belgacem Jelassi. E il ruolo di Fezzani, ormai noto con il nome di Abu Nassim, emergerà con chiarezza dall’inchiesta «Rakno Sadess». Le indagini successive lo legheranno anche al gruppo di Meliani che progettava attentati in Germania.
Abu Nassim in quegli anni ha già lasciato Milano. Lo ha fatto il 19 agosto del 1997 quando diventa irreperibile in via Paravia. Otto giorni dopo compare su un volo diretto a Peshawar in Pakistan dove viene arrestato perché ha un visto falso. Il carcere dura poco, Moez Fezzani si sposa e ha un figlio. Viene catturato dagli americani nel 2001 e la Cia lo rinchiude nel carcere di Bagram, in Afghanistan. Dopo molte polemiche, nel 2009 viene consegnato alle autorità italiane insieme a due ex reclusi di Guantanamo. Dal carcere di Rossano, in Calabria, scrive all’allora detenuto Claudio Latino, accusato di far parte delle nuove Br, per informarlo di aver promosso lo «svuotamento notturno delle vettovaglie» per protesta contro le condizioni di vita «inumane» dei reclusi musulmani. La sua detenzione termina nella primavera del 2012 con l’assoluzione in primo grado e l’espulsione. Il combattente Abu Nassim non si ferma. Lascia Tunisi e si unisce alle truppe di «al Nusra», l’esercito qaedista in Siria. Dopo il fallimento delle Primavere arabe, viene sedotto dal Califfo al-Baghdadi e combatte nella zona di Sabratha in Libia. È qui che il nome di Abu Nassim torna a riempire i report dell’intelligence. Il suo grado nell’esercito dell’Isis cresce insieme al suo carisma. «Sentirete ancora parlare di me», aveva detto ai poliziotti italiani che lo caricavano sull’aereo per Tunisi. In qualche modo ha mantenuto la promessa.
14 agosto 2016 | 01:32
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Gallarate, Novara e Milano: il nostro triangolo del terrore
Nel Nord Italia esiste una radicata cellula jihadista. Due leader del califfato in Libia hanno vissuto qui
Fausto Biloslavo - Dom, 14/08/2016 - 10:26
commenta
Il triangolo del terrorismo islamico fra Gallarate, Milano e Novara e due capi jihadisti tunisini, il vecchio ed il giovane, che hanno messo le radici in Libia.
Un intreccio che sta venendo alla luce dai documenti scoperti nei palazzi di Sirte liberati dalle forze libiche, che cingono d'assedio gli ultimi quartieri in mano allo Stato islamico.
Oltre a collegamenti con l'attentato al museo il Bardo di Tunisi, dove sono stati uccisi 4 turisti italiani.
Ed il rapimento di quattro connazionali in Libia, che è costata la vita a due ostaggi, Salvatore Failla e Fausto Piano.
Fonti dei servizi segreti di Tripoli hanno rivelato ieri al Corriere della Sera, che grazie ai documenti rinvenuti a Sirte sono stati individuati «numerosi riferimenti al vostro Paese, soprattutto su elementi libici, tunisini e sudanesi che agiscono nel milanese».
Possibili cellule jihadiste in sonno o che garantiscono appoggio logistico.
Non è un caso: almeno due capi tunisini della guerra santa segnalati a Sabrata e a Sirte hanno vissuto a lungo a Milano e Novara.
Il più anziano, classe 1969, è Moez Ben Adelkader al Fezzani, nome di battaglia Abu Nasim.
Fino a pochi mesi fa stava a Sirte, dopo essere fuggito da Sabrata, sulla costa ovest della Tripolitania, in seguito al bombardamento americano sulla base jihadista delle bandiere nere tunisine.
Abu Nasim arriva a Milano dal 1989 per poi partire per la guerra santa in Afghanistan, dove viene catturato dagli americani e rinchiuso a Guantanamo.
Nel 2009 lo rispediscono in Italia, ma tre anni dopo è incredibilmente assolto dall'accusa di terrorismo.
Per il Tribunale di Milano Fezzani è «solo» un ideologo, non un combattente.
Il Viminale decreta la sua espulsione e lui sprezzante dice agli agenti: «Sentirete di nuovo parlare di me». Abu Nasim si ritrova, libero, nella Tunisia della primavera araba, dove partecipa alla fondazione del gruppo integralista «Ansar al sharia», che aderirà in gran parte al Califfato.
Ad un comizio di Ansar si fanno fotografare, davanti ad una bandiera nera, Sami Ben Khemais Essid e Mehdi Kammoun, i membri del cosiddetto «gruppo di Milano», la cellula del terrore che fra Gallarate ed il centro islamico di viale Jenner a Milano è stata sgominata nel 2001.
Pure loro dopo il carcere in Italia vengono espulsi ed in seguito liberati in Tunisia dalla primavera araba.
Questi sono i capi «anziani» dello jihadismo tunisino legati all'Italia, ma l'anello di collegamento con le nuove generazioni è fra Abu Nasim e Noureddine Chouchane, classe 1980.
Secondo il fratello è arrivato in Italia con documenti falsi nel 2003, dopo aver tentato di andare a combattere in Irak.
Quattro anni dopo ottiene un permesso di soggiorno ad Ancona e comincia a lavorare come muratore a Novara e dintorni, l'altro vertice del triangolo assieme a Gallarate e Milano.
Chouchane sarebbe stato in contatto con Giuliano del Nevo, il primo convertito italiano morto combattendo in Siria fra le fila jihadiste.
E secondo fonti tunisine «durante il periodo italiano era in contatto con Sharia 4 Belgio, il gruppo salafita che nel 2015 è stato designato come organizzazione terroristica».
Chouchane torna in Tunisia con la primavera araba e aderisce ad Ansar per poi andare a combattere in Siria, dove avrebbe incontrato il «vecchio» emiro Abu Nasim.
Il dato certo è che i due si trasferiscono fra il 2014 e 2015 nella nuova terra di conquista, la Libia.
E creano una base a Sabrata, dove vengono addestrati gli attentatori del museo il Bardo, che a Tunisi il 18 marzo dello scorso anno falciano 22 persone compresi quattro turisti italiani.
Non solo: I tunisini gestiscono a Sabrata il rapimento dei quattro tecnici italiani della ditta Bonatti del luglio 2015, non per tagliar loro la testa davanti ad un video, ma per soldi.
Il raid aereo Usa sulla loro base del 19 aprile fa precipitare la situazione.
Le bandiere nere sono prese a fuciliate dai miliziani locali e nel caos della battaglia due ostaggi vengono liberati.
Gli altri due rimangono uccisi con i loro carcerieri tunisini in uno scontro a fuoco nel deserto mentre sono in fuga.
Al Corriere l'intelligence libica rivela di aver arrestato a Sabrata la moglie di Fezzani: «Aveva in tasca oltre 500mila euro in contanti».
Forse parte del riscatto pagato per la liberazione degli ostaggi sopravvissuti.
Al Giornale risultava, però, che la moglie catturata fosse Rahma Chikhaoui, consorte di Chouchane.
Abu Nasim ed il suo giovane allievo sono riusciti a fuggire da Sabrata.
Pochi mesi fa il capo anziano è segnalato a Sirte.
Ed il 28 maggio viene ucciso vicino alla roccaforte dello Stato islamico il tunisino Khalid Aslhaib, una delle menti dell'attacco al Bardo.
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Nel Nord Italia esiste una radicata cellula jihadista. Due leader del califfato in Libia hanno vissuto qui
Fausto Biloslavo - Dom, 14/08/2016 - 10:26
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Il triangolo del terrorismo islamico fra Gallarate, Milano e Novara e due capi jihadisti tunisini, il vecchio ed il giovane, che hanno messo le radici in Libia.
Un intreccio che sta venendo alla luce dai documenti scoperti nei palazzi di Sirte liberati dalle forze libiche, che cingono d'assedio gli ultimi quartieri in mano allo Stato islamico.
Oltre a collegamenti con l'attentato al museo il Bardo di Tunisi, dove sono stati uccisi 4 turisti italiani.
Ed il rapimento di quattro connazionali in Libia, che è costata la vita a due ostaggi, Salvatore Failla e Fausto Piano.
Fonti dei servizi segreti di Tripoli hanno rivelato ieri al Corriere della Sera, che grazie ai documenti rinvenuti a Sirte sono stati individuati «numerosi riferimenti al vostro Paese, soprattutto su elementi libici, tunisini e sudanesi che agiscono nel milanese».
Possibili cellule jihadiste in sonno o che garantiscono appoggio logistico.
Non è un caso: almeno due capi tunisini della guerra santa segnalati a Sabrata e a Sirte hanno vissuto a lungo a Milano e Novara.
Il più anziano, classe 1969, è Moez Ben Adelkader al Fezzani, nome di battaglia Abu Nasim.
Fino a pochi mesi fa stava a Sirte, dopo essere fuggito da Sabrata, sulla costa ovest della Tripolitania, in seguito al bombardamento americano sulla base jihadista delle bandiere nere tunisine.
Abu Nasim arriva a Milano dal 1989 per poi partire per la guerra santa in Afghanistan, dove viene catturato dagli americani e rinchiuso a Guantanamo.
Nel 2009 lo rispediscono in Italia, ma tre anni dopo è incredibilmente assolto dall'accusa di terrorismo.
Per il Tribunale di Milano Fezzani è «solo» un ideologo, non un combattente.
Il Viminale decreta la sua espulsione e lui sprezzante dice agli agenti: «Sentirete di nuovo parlare di me». Abu Nasim si ritrova, libero, nella Tunisia della primavera araba, dove partecipa alla fondazione del gruppo integralista «Ansar al sharia», che aderirà in gran parte al Califfato.
Ad un comizio di Ansar si fanno fotografare, davanti ad una bandiera nera, Sami Ben Khemais Essid e Mehdi Kammoun, i membri del cosiddetto «gruppo di Milano», la cellula del terrore che fra Gallarate ed il centro islamico di viale Jenner a Milano è stata sgominata nel 2001.
Pure loro dopo il carcere in Italia vengono espulsi ed in seguito liberati in Tunisia dalla primavera araba.
Questi sono i capi «anziani» dello jihadismo tunisino legati all'Italia, ma l'anello di collegamento con le nuove generazioni è fra Abu Nasim e Noureddine Chouchane, classe 1980.
Secondo il fratello è arrivato in Italia con documenti falsi nel 2003, dopo aver tentato di andare a combattere in Irak.
Quattro anni dopo ottiene un permesso di soggiorno ad Ancona e comincia a lavorare come muratore a Novara e dintorni, l'altro vertice del triangolo assieme a Gallarate e Milano.
Chouchane sarebbe stato in contatto con Giuliano del Nevo, il primo convertito italiano morto combattendo in Siria fra le fila jihadiste.
E secondo fonti tunisine «durante il periodo italiano era in contatto con Sharia 4 Belgio, il gruppo salafita che nel 2015 è stato designato come organizzazione terroristica».
Chouchane torna in Tunisia con la primavera araba e aderisce ad Ansar per poi andare a combattere in Siria, dove avrebbe incontrato il «vecchio» emiro Abu Nasim.
Il dato certo è che i due si trasferiscono fra il 2014 e 2015 nella nuova terra di conquista, la Libia.
E creano una base a Sabrata, dove vengono addestrati gli attentatori del museo il Bardo, che a Tunisi il 18 marzo dello scorso anno falciano 22 persone compresi quattro turisti italiani.
Non solo: I tunisini gestiscono a Sabrata il rapimento dei quattro tecnici italiani della ditta Bonatti del luglio 2015, non per tagliar loro la testa davanti ad un video, ma per soldi.
Il raid aereo Usa sulla loro base del 19 aprile fa precipitare la situazione.
Le bandiere nere sono prese a fuciliate dai miliziani locali e nel caos della battaglia due ostaggi vengono liberati.
Gli altri due rimangono uccisi con i loro carcerieri tunisini in uno scontro a fuoco nel deserto mentre sono in fuga.
Al Corriere l'intelligence libica rivela di aver arrestato a Sabrata la moglie di Fezzani: «Aveva in tasca oltre 500mila euro in contanti».
Forse parte del riscatto pagato per la liberazione degli ostaggi sopravvissuti.
Al Giornale risultava, però, che la moglie catturata fosse Rahma Chikhaoui, consorte di Chouchane.
Abu Nasim ed il suo giovane allievo sono riusciti a fuggire da Sabrata.
Pochi mesi fa il capo anziano è segnalato a Sirte.
Ed il 28 maggio viene ucciso vicino alla roccaforte dello Stato islamico il tunisino Khalid Aslhaib, una delle menti dell'attacco al Bardo.
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