La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
15 AGO 2016 08:46
PSICOSI TERRORISMO
- ‘STANNO SPARANDO ALL’AEROPORTO JFK’: UNA TELEFONATA AL 911 FA EVACUARE IL PIÙ GRANDE AEROPORTO DI NEW YORK ALLE 21.30 ORA LOCALE (3.30 ITALIANE)
- MIGLIAIA DI PERSONE SI RIVERSANO PER LA STRADA IN MODO SCOMPOSTO (LÌ SÌ CHE ERA UN RISCHIO) MENTRE LA POLIZIA VERIFICA: FALSO ALLARME
Da http://www.repubblica.it
Paura all'aeroporto newyorkese John F. Kennedy. L'allarme è scattato intorno alle 21.30 ora locale (le 3.30 italiane), quando delle telefonate al 911, il numero delle emergenze, hanno segnalato che erano stati esplosi colpi d'arma da fuoco vicino all'area partenze. Le forze di sicurezza sono intervenute immediatamente e il terminal 8 è stato evacuato per precauzione.
Poco dopo, in seguito a un'altra segnalazione, è stato chiuso anche il terminal 1 ed è stata bloccata la Van Wyck Expressway, arteria che porta allo scalo internazionale. Un paio d'ore più tardi la polizia aeroportuale ha fatto sapere su Twitter che dai controlli e dalle indagini non era emersa alcuna prova del fatto che qualcuno avesse effettivamente sparato. E ha aggiunto che il terminal era stato sgomberato per "un eccesso di cautela". "Non sono state trovate armi, né proiettili o bossoli, né altro", ha detto il portavoce Joe Pentangelo. Né tantomeno ci sono stati feriti.
Falso allarme, dunque. Ma centinaia di passeggeri hanno vissuto una bruttissima avventura, momenti di terrore e scene di panico. Per non parlare dei disagi e dei ritardi nelle partenze e negli arrivi.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
15 AGO 2016 08:46
PSICOSI TERRORISMO
- ‘STANNO SPARANDO ALL’AEROPORTO JFK’: UNA TELEFONATA AL 911 FA EVACUARE IL PIÙ GRANDE AEROPORTO DI NEW YORK ALLE 21.30 ORA LOCALE (3.30 ITALIANE)
- MIGLIAIA DI PERSONE SI RIVERSANO PER LA STRADA IN MODO SCOMPOSTO (LÌ SÌ CHE ERA UN RISCHIO) MENTRE LA POLIZIA VERIFICA: FALSO ALLARME
Da http://www.repubblica.it
Paura all'aeroporto newyorkese John F. Kennedy. L'allarme è scattato intorno alle 21.30 ora locale (le 3.30 italiane), quando delle telefonate al 911, il numero delle emergenze, hanno segnalato che erano stati esplosi colpi d'arma da fuoco vicino all'area partenze. Le forze di sicurezza sono intervenute immediatamente e il terminal 8 è stato evacuato per precauzione.
Poco dopo, in seguito a un'altra segnalazione, è stato chiuso anche il terminal 1 ed è stata bloccata la Van Wyck Expressway, arteria che porta allo scalo internazionale. Un paio d'ore più tardi la polizia aeroportuale ha fatto sapere su Twitter che dai controlli e dalle indagini non era emersa alcuna prova del fatto che qualcuno avesse effettivamente sparato. E ha aggiunto che il terminal era stato sgomberato per "un eccesso di cautela". "Non sono state trovate armi, né proiettili o bossoli, né altro", ha detto il portavoce Joe Pentangelo. Né tantomeno ci sono stati feriti.
Falso allarme, dunque. Ma centinaia di passeggeri hanno vissuto una bruttissima avventura, momenti di terrore e scene di panico. Per non parlare dei disagi e dei ritardi nelle partenze e negli arrivi.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
MONDO
Crimea, ancora tensioni tra Russia e Ucraina. Siamo di fronte a una nuova guerra fredda?
Mondo
di Loretta Napoleoni | 14 agosto 2016
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Loretta Napoleoni
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Si riaccende la tensione tra l’Ucraina e la Russia e leggendo le notizie si ha l’impressione di vivere un déjà vu della guerra fredda, quando Mosca e Washington fabbricavano notizie per giustificare i loro screzi militari che si svolgevano lungo il confine della loro sfera d’influenza.
Oggi, la frontiera tra l’Ucraina e la Crimea, rappresenta una delle linee di demarcazione della nuova guerra fredda.
Come durante quella che tutti conosciamo, la tensione si riaccende sulla scia di un casus belli: la morte di un soldato russo durante uno scontro a fuoco lungo il confine tra la Crimea e l’Ucraina.
“Vorremmo mettere in guardia sia Kiev che i suoi sostenitori internazionali che il danno subito dalla parte russa, la morte di un militare russo, non resterà senza conseguenze” ha subito messo in guardia il ministero degli Esteri russo descrivendo l’incidente come un’azione di sabotaggio.
A sostegno di questa tesi la tv di Stato russa ha trasmesso la confessione di un uomo, Yevhen Panov, che faceva parte di un gruppo di sabotatori, al soldo del ministero della difesa ucraino, inviato in Crimea per compiere atti di sabotaggio.
L’uomo ha aggiunto che nel suo gruppo c’erano anche ufficiali dei servizi segreti militari dell’Ucraina.
Il governo di Kiev ha risposto per le rime, negando qualsiasi responsabilità, accusando Mosca di mentire e di essere pronta a invadere l’Ucraina.
L’inviato dell’Ucraina alle Nazioni Unite, infatti, ha dichiarato che circa 40.000 soldati russi sono stati ammassati lungo il confine tra la Crimea e l’Ucraina.
Difficile stabilire cosa succede in queste zone, ma una cosa e’ certa, tutte le parti coinvolte mentono, come mentivano i loro “antenati della guerra fredda”.
Il battibecco ha comunque intensificato ulteriormente i timori che un nuovo capitolo stia per aprirsi nel conflitto a fuoco tra i due paesi.
Per chi non lo ricorda questo iniziò con l’annessione russa della Crimea nel marzo 2014.
Da allora, Francia e Germania hanno cercato di mediare tra le parti, ma i risultati sono stati più che deludenti.
Gli analisti concordano che i russi hanno perso qualsiasi speranza, se mai ne hanno avuta qualcuna, che i rapporti con l’Ucraina si possano stabilizzare lungo le linee dell’accordo Minsk II.
Nel 2015, Minsk II – opera della diplomazia franco-tedesca – ottenne il cessate il fuoco con la condizione di trovare una soluzione politica, soluzione che non venne mai raggiunta.
L’ambasciatore dell’Ucraina ha detto la verità quando ha parlato di una mobilitazione di truppe in Ucraina.
In risposta all’uccisione del soldato russo, Mosca ha infatti annunciato una serie di esercitazioni in Crimea per la prossima settimana il cui scopo è simulare la risposta a un attacco con armi di distruzione di massa.
Truppe di difesa addestrate per attacchi radioattivi, biologici o chimici saranno impiegate nelle manovre, che coinvolgeranno l’utilizzo di sistemi a razzo Solntsepyok a Volgograd, così come una cortina di fumo artificiale per bloccare qualsiasi tipo di sorveglianza.
Insomma si tratta di esercitazioni serie.
Ma sbagliano coloro che credono che Mosca non aveva un piano ben preciso prima dell’incidente di Agosto.
Già un mese fa, era stata annunciata la consegna di nuovi missili di difesa aerea alle forze di stanza in Crimea.
Si tratta degli S-400 Triumph.
Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax i missili sono stati progettati per colpire bersagli aerei a una distanza massima di 400 km (249 miglia) e missili balistici a una distanza di fino a 60 km, volando a una velocità fino a 4,8 chilometri al secondo.
Ufficialmente, i missili sono state installati in Crimea per proteggere la base aerea russa ad Hmeimim in Siria dopo che lo scorso novembre la Turchia aveva abbattuto un bombardiere russo.
Ma de facto servono a mettere sotto scacco l’Ucraina.
La domanda da porsi a questo punto è quella tipica degli anni della guerra fredda: qual è lo scopo vero di tutto ciò? L’Ucraina, lo sappiamo bene, vuole il coinvolgimento europeo per far fronte alle minacce russe.
Ma Mosca, cosa ha in mente? Un possibile obiettivo potrebbe essere l’attacco alla città portuale di Mariupol.
Kerch è separata dalla terraferma russa da un uno stretto che collega il Mar di Asov con il Mar Nero.
Nel 2014, la Russia aveva annunciato l’intenzione di costruire un ponte di terra che collegasse Kerch alla terraferma, ma ciò non è mai accaduto, e così tutti i collegamenti, inclusa la spedizione di forniture, attrezzature militari, dipende dai traghetti che fanno la spola tra la Crimea e la Russia.
Un attacco a Mariupol per poi prendere il controllo di tutta la frontiera terrestre con il mare di Asov consentirebbe alla Russia di evitare i traghettamenti.
In più da questa postazione le forze russe potrebbero continuare verso ovest a Odessa e poi in Transinistra, un’enclave nella Moldavia orientale, con una forte popolazione russa.
Un piano strategico che coronerebbe Putin agli occhi della popolazione russa come il nuovo paladino del loro nazionalismo un anno e mezzo prima delle elezioni.
E questo diventerebbe un nuovo tassello nel mosaico del culto della personalità del leader russo, un’immagine identica, secondo molti analisti, a quelle dei condottieri politici della superpotenza sovietica durante gli anni della guerra fredda.
Crimea, ancora tensioni tra Russia e Ucraina. Siamo di fronte a una nuova guerra fredda?
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di Loretta Napoleoni | 14 agosto 2016
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Si riaccende la tensione tra l’Ucraina e la Russia e leggendo le notizie si ha l’impressione di vivere un déjà vu della guerra fredda, quando Mosca e Washington fabbricavano notizie per giustificare i loro screzi militari che si svolgevano lungo il confine della loro sfera d’influenza.
Oggi, la frontiera tra l’Ucraina e la Crimea, rappresenta una delle linee di demarcazione della nuova guerra fredda.
Come durante quella che tutti conosciamo, la tensione si riaccende sulla scia di un casus belli: la morte di un soldato russo durante uno scontro a fuoco lungo il confine tra la Crimea e l’Ucraina.
“Vorremmo mettere in guardia sia Kiev che i suoi sostenitori internazionali che il danno subito dalla parte russa, la morte di un militare russo, non resterà senza conseguenze” ha subito messo in guardia il ministero degli Esteri russo descrivendo l’incidente come un’azione di sabotaggio.
A sostegno di questa tesi la tv di Stato russa ha trasmesso la confessione di un uomo, Yevhen Panov, che faceva parte di un gruppo di sabotatori, al soldo del ministero della difesa ucraino, inviato in Crimea per compiere atti di sabotaggio.
L’uomo ha aggiunto che nel suo gruppo c’erano anche ufficiali dei servizi segreti militari dell’Ucraina.
Il governo di Kiev ha risposto per le rime, negando qualsiasi responsabilità, accusando Mosca di mentire e di essere pronta a invadere l’Ucraina.
L’inviato dell’Ucraina alle Nazioni Unite, infatti, ha dichiarato che circa 40.000 soldati russi sono stati ammassati lungo il confine tra la Crimea e l’Ucraina.
Difficile stabilire cosa succede in queste zone, ma una cosa e’ certa, tutte le parti coinvolte mentono, come mentivano i loro “antenati della guerra fredda”.
Il battibecco ha comunque intensificato ulteriormente i timori che un nuovo capitolo stia per aprirsi nel conflitto a fuoco tra i due paesi.
Per chi non lo ricorda questo iniziò con l’annessione russa della Crimea nel marzo 2014.
Da allora, Francia e Germania hanno cercato di mediare tra le parti, ma i risultati sono stati più che deludenti.
Gli analisti concordano che i russi hanno perso qualsiasi speranza, se mai ne hanno avuta qualcuna, che i rapporti con l’Ucraina si possano stabilizzare lungo le linee dell’accordo Minsk II.
Nel 2015, Minsk II – opera della diplomazia franco-tedesca – ottenne il cessate il fuoco con la condizione di trovare una soluzione politica, soluzione che non venne mai raggiunta.
L’ambasciatore dell’Ucraina ha detto la verità quando ha parlato di una mobilitazione di truppe in Ucraina.
In risposta all’uccisione del soldato russo, Mosca ha infatti annunciato una serie di esercitazioni in Crimea per la prossima settimana il cui scopo è simulare la risposta a un attacco con armi di distruzione di massa.
Truppe di difesa addestrate per attacchi radioattivi, biologici o chimici saranno impiegate nelle manovre, che coinvolgeranno l’utilizzo di sistemi a razzo Solntsepyok a Volgograd, così come una cortina di fumo artificiale per bloccare qualsiasi tipo di sorveglianza.
Insomma si tratta di esercitazioni serie.
Ma sbagliano coloro che credono che Mosca non aveva un piano ben preciso prima dell’incidente di Agosto.
Già un mese fa, era stata annunciata la consegna di nuovi missili di difesa aerea alle forze di stanza in Crimea.
Si tratta degli S-400 Triumph.
Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax i missili sono stati progettati per colpire bersagli aerei a una distanza massima di 400 km (249 miglia) e missili balistici a una distanza di fino a 60 km, volando a una velocità fino a 4,8 chilometri al secondo.
Ufficialmente, i missili sono state installati in Crimea per proteggere la base aerea russa ad Hmeimim in Siria dopo che lo scorso novembre la Turchia aveva abbattuto un bombardiere russo.
Ma de facto servono a mettere sotto scacco l’Ucraina.
La domanda da porsi a questo punto è quella tipica degli anni della guerra fredda: qual è lo scopo vero di tutto ciò? L’Ucraina, lo sappiamo bene, vuole il coinvolgimento europeo per far fronte alle minacce russe.
Ma Mosca, cosa ha in mente? Un possibile obiettivo potrebbe essere l’attacco alla città portuale di Mariupol.
Kerch è separata dalla terraferma russa da un uno stretto che collega il Mar di Asov con il Mar Nero.
Nel 2014, la Russia aveva annunciato l’intenzione di costruire un ponte di terra che collegasse Kerch alla terraferma, ma ciò non è mai accaduto, e così tutti i collegamenti, inclusa la spedizione di forniture, attrezzature militari, dipende dai traghetti che fanno la spola tra la Crimea e la Russia.
Un attacco a Mariupol per poi prendere il controllo di tutta la frontiera terrestre con il mare di Asov consentirebbe alla Russia di evitare i traghettamenti.
In più da questa postazione le forze russe potrebbero continuare verso ovest a Odessa e poi in Transinistra, un’enclave nella Moldavia orientale, con una forte popolazione russa.
Un piano strategico che coronerebbe Putin agli occhi della popolazione russa come il nuovo paladino del loro nazionalismo un anno e mezzo prima delle elezioni.
E questo diventerebbe un nuovo tassello nel mosaico del culto della personalità del leader russo, un’immagine identica, secondo molti analisti, a quelle dei condottieri politici della superpotenza sovietica durante gli anni della guerra fredda.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
La cattiveria
Il Pentagono: “Nella guerra
in Libia l’Italia avrà
un ruolo decisivo”.
Prendersi i profughi
http://WWW.SPINOZA.IT
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
WAR GAMES
LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
L'Isis alla conquista dell'Italia. E gli 007 brancolano nel buio
A Sirte trovati documenti su jihadisti attivi da noi. E il Copasir: "Cresce il rischio di terroristi sui barconi"
Luca Fazzo - Dom, 14/08/2016 - 08:14
commenta
Sono passati quattro anni dalla clamorosa sentenza della Corte di assise di Milano che lo assolse con formula piena dall'accusa di terrorismo internazionale, e l'ombra di Moez Fezzani torna a incombere su un Italia sempre più alle prese con l'emergenza islamica.
Perché ormai ci sono due certezze: che quella sentenza fu un colossale errore giudiziario, e che Fezzani è stato - e probabilmente continua ad essere - la figura chiave della penetrazione jhadista nel nostro Paese, soprattutto in Lombarda e nel resto del Nord.
Tanto che il suo nome riappare ora, nelle carte e negli scenari che i covi dell'Isis conquistati in Libia dalla coalizione lealista stanno rivelando agli 007 operanti nel caos della ex Jamaihria gheddafiana.
È intorno alla figura di Fezzani e dei suoi diretti collaboratori che passa la rete di integralisti islamici che sta insinuandosi sotto traccia a Milano e nei territori circostanti.
Una rete alimentata anche dai finti profughi che sbarcano nel nostro paese sui barconi: ad ammetterlo è finalmente il Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza sull'intelligence, che dopo avere negato a lungo - anche a dispetto di vistosi dati di fatto - l'infiltrazione jihadista degli sbarchi è costretto a rassegnarsi all'evidenza.
«Oggi si è in pieno caos - dice il presidente del Copasir Giacomo Stucchi - e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in Europa.
Sono cani sciolti, gente allo sbando, poi si tratta di capire se voglia solo far perdere le proprie tracce o continuare a combattere».
Le cautele del Copasir sono quasi grottesche, visto quanto è già emerso chiaramente sui rapporti tra scafisti e organizzazioni terroriste, per esempio nelle indagini sulla strage del al museo del Bardo a Tunisi.
Ma che anche il comitato parlamentare debba ammettere la realtà è significativo.
E ancora di più lo è il fatto che le ammissioni arrivino in contemporanea con le notizie che arrivano da Sirte sui ritrovamenti nei covi jihadisti espugnati dalla coalizione.
Secondo quanto riportato ieri dal Corriere della Sera, i servizi segreti libici avrebbero rinvenuto nei covi abbandonati dalle forze del Califfato notevoli quantità di documenti da cui emerge l'invio di «decine se non centinaia» di militanti verso l'Europa, mimetizzati a bordo dei gommoni della speranza.
E nelle stesse carte si troverebbero i nomi di militanti jihadisti di provenienze disparate (si parla di libici, tunisini e sudanesi) attivi nel milanese.
Le fonti dell'intelligence libica citate dal quotidiano sostengono di essere pronte a condividere con i servizi segreti e le forze di polizia italiana il materiale sequestrato.
Va detto che ieri in Italia sia 007 che investigatori antiterrorismo cadono letteralmente dalle nuvole, nel senso che dell'esistenza di questa documentazione nessuno pare essere a conoscenza, e c'è chi mette persino in dubbio la verosimiglianza della notizia.
Oltretutto in Libia è operativa da mesi una nutrita unità dei servizi italiani, e sarebbe singolare che un simile ritrovamento non le fosse stato comunicato.
Ma c'è un passaggio ulteriore che rafforza la attendibilità di quanto sta emergendo in queste ore a Sirte.
Ed è l'invito dei servizi segreti locali a riaccendere i riflettori sulla figura e sul ruolo di Moez Fezzani, noto anche come Abu Nasim, l'estremista che venne assolto nel 2012 dalla Corte d'assise di Milano. Fezzani, che a Milano aveva vissuto a lungo, era tornato in Italia direttamente dal carcere americano di Guantanamo.
Venne assolto, scarcerato, espulso.
Intanto ieri espulso un altro imam, quello di Andria:
«Si tratta di un tunisino di 49 anni arrestato dal Ros dei Carabinieri perché sospettato del reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale», ha detto il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Secondo la Dda di Bari, Hosni Hachemi Ben Hassen, tra il 2008 e il 2010, avrebbe guidato un gruppo che progettava attacchi in Italia.
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L'Isis alla conquista dell'Italia. E gli 007 brancolano nel buio
A Sirte trovati documenti su jihadisti attivi da noi. E il Copasir: "Cresce il rischio di terroristi sui barconi"
Luca Fazzo - Dom, 14/08/2016 - 08:14
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Sono passati quattro anni dalla clamorosa sentenza della Corte di assise di Milano che lo assolse con formula piena dall'accusa di terrorismo internazionale, e l'ombra di Moez Fezzani torna a incombere su un Italia sempre più alle prese con l'emergenza islamica.
Perché ormai ci sono due certezze: che quella sentenza fu un colossale errore giudiziario, e che Fezzani è stato - e probabilmente continua ad essere - la figura chiave della penetrazione jhadista nel nostro Paese, soprattutto in Lombarda e nel resto del Nord.
Tanto che il suo nome riappare ora, nelle carte e negli scenari che i covi dell'Isis conquistati in Libia dalla coalizione lealista stanno rivelando agli 007 operanti nel caos della ex Jamaihria gheddafiana.
È intorno alla figura di Fezzani e dei suoi diretti collaboratori che passa la rete di integralisti islamici che sta insinuandosi sotto traccia a Milano e nei territori circostanti.
Una rete alimentata anche dai finti profughi che sbarcano nel nostro paese sui barconi: ad ammetterlo è finalmente il Copasir, il comitato parlamentare di vigilanza sull'intelligence, che dopo avere negato a lungo - anche a dispetto di vistosi dati di fatto - l'infiltrazione jihadista degli sbarchi è costretto a rassegnarsi all'evidenza.
«Oggi si è in pieno caos - dice il presidente del Copasir Giacomo Stucchi - e nella fuga dalla Libia quelli che non sono diretti verso sud potrebbero anche decidere di tentare la carta del viaggio in Europa.
Sono cani sciolti, gente allo sbando, poi si tratta di capire se voglia solo far perdere le proprie tracce o continuare a combattere».
Le cautele del Copasir sono quasi grottesche, visto quanto è già emerso chiaramente sui rapporti tra scafisti e organizzazioni terroriste, per esempio nelle indagini sulla strage del al museo del Bardo a Tunisi.
Ma che anche il comitato parlamentare debba ammettere la realtà è significativo.
E ancora di più lo è il fatto che le ammissioni arrivino in contemporanea con le notizie che arrivano da Sirte sui ritrovamenti nei covi jihadisti espugnati dalla coalizione.
Secondo quanto riportato ieri dal Corriere della Sera, i servizi segreti libici avrebbero rinvenuto nei covi abbandonati dalle forze del Califfato notevoli quantità di documenti da cui emerge l'invio di «decine se non centinaia» di militanti verso l'Europa, mimetizzati a bordo dei gommoni della speranza.
E nelle stesse carte si troverebbero i nomi di militanti jihadisti di provenienze disparate (si parla di libici, tunisini e sudanesi) attivi nel milanese.
Le fonti dell'intelligence libica citate dal quotidiano sostengono di essere pronte a condividere con i servizi segreti e le forze di polizia italiana il materiale sequestrato.
Va detto che ieri in Italia sia 007 che investigatori antiterrorismo cadono letteralmente dalle nuvole, nel senso che dell'esistenza di questa documentazione nessuno pare essere a conoscenza, e c'è chi mette persino in dubbio la verosimiglianza della notizia.
Oltretutto in Libia è operativa da mesi una nutrita unità dei servizi italiani, e sarebbe singolare che un simile ritrovamento non le fosse stato comunicato.
Ma c'è un passaggio ulteriore che rafforza la attendibilità di quanto sta emergendo in queste ore a Sirte.
Ed è l'invito dei servizi segreti locali a riaccendere i riflettori sulla figura e sul ruolo di Moez Fezzani, noto anche come Abu Nasim, l'estremista che venne assolto nel 2012 dalla Corte d'assise di Milano. Fezzani, che a Milano aveva vissuto a lungo, era tornato in Italia direttamente dal carcere americano di Guantanamo.
Venne assolto, scarcerato, espulso.
Intanto ieri espulso un altro imam, quello di Andria:
«Si tratta di un tunisino di 49 anni arrestato dal Ros dei Carabinieri perché sospettato del reato di associazione con finalità di terrorismo internazionale», ha detto il ministro dell'Interno Angelino Alfano. Secondo la Dda di Bari, Hosni Hachemi Ben Hassen, tra il 2008 e il 2010, avrebbe guidato un gruppo che progettava attacchi in Italia.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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RITRATTO
Marco Minniti, il ministro in segreto
Ecco quanto conta il sottosegretario
Responsabile ai servizi, gode della piena fiducia di Matteo Renzi. E su alcune questioni "pesa" più dei titolari di Interno, Esteri e Difesa
DI MARCO DAMILANO
21 aprile 2015
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Nel 1984 lei era già nei servizi segreti?», gli ha chiesto un mese fa l’avvocato di Totò Riina durante la testimonianza nel processo sulla strage del treno 904. Lui all’epoca faceva l’assistente universitario, teneva un seminario su Abelardo e Eloisa. E politicamente era un comunista: se fosse stato una spia i compagni lo avrebbero individuato come infiltrato e espulso.
Nessuno avrebbe potuto prevedere, trent’anni fa, che il responsabile politico dell’intelligence, l’uomo degli affari riservati e delle missioni segrete, sarebbe diventato il ragazzo di Reggio Calabria con la tessera del Partito comunista. Marco Minniti, 59 anni a giugno, festeggia questa settimana ventitré mesi a Palazzo Chigi da sottosegretario con delega ai servizi segreti, nella stanza di via dell’Impresa adornata da statue di Pulcinella e da modellini di aeroplani. È l’unico esponente del Pd sopravvissuto sulla propria poltrona al passaggio di governo da Enrico Letta a quello dell’ex sindaco di Firenze.
Da quell’inattesa riconferma è cominciata la silenziosa ascesa che oggi fa di Minniti uno degli uomini più potenti del governo Renzi. Non è un semplice sottosegretario, per il premier vale più di un ministro. Una figura che ricorda quella, mai vista in Italia, del Consigliere per la sicurezza nazionale che affianca il presidente Usa alla Casa Bianca, nomina fiduciaria, non sottoposta all’approvazione del Senato americano. Un agente speciale, con licenza di sconfinare in altri ministeri. Al Viminale, alla Difesa, alla Farnesina. Back diplomacy, la chiamano gli esperti. È toccato a Minniti volare in Egitto il 19 febbraio come emissario di Renzi per consegnare una lettera personale del premier al presidente Al Sisi sulla Libia.
È lui che monitora l’infernale scacchiere libico. È stato evocato un suo ruolo nella trattativa con le autorità indiane sui due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. E c’è chi ha visto la sua mano dietro le ultime nomine: il comandante dell’arma dei carabinieri Tullio Del Sette, il capo di Stato maggiore generale Claudio Graziano, il prefetto di Roma Franco Gabrielli, ex capo del Sisde. E il suo peso è destinato ad aumentare nei prossimi diciotto mesi. «Allacciate le cinture», smorza la tensione con i collaboratori il sottosegretario pensando al trittico Expo di Milano, esposizione della Sindone a Torino e Giubileo a Roma che richiamerà milioni di persone in Italia, potenziale vetrina per il terrorismo jihadista.
Eppure Minniti, inizialmente, non faceva parte del cerchio magico renziano. Fino all’elezione di Renzi alla segreteria del Pd, nel 2013, i due non si erano mai incontrati. Ai servizi segreti sembrava destinato il fedelissimo sottosegretario Luca Lotti, molto attratto dalla materia. La conferma è stata una sorpresa. Ancor più inaspettato il feeling nato tra due personaggi distanti anni luce.
Comunicativo Renzi, riservatissimo Minniti, non ha un profilo facebook e neppure twitter, e per di più con numerosi vizi d’origine: l’età (quasi venti anni più del premier), la militanza nel Pci e la lunga amicizia con Massimo D’Alema. Era uno dei Lothar negli anni Novanta, lo staff dalemiano di pochi capelli, con l’ex premier il sodalizio si spezzò nel 2010 quando D’Alema fu nominato presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi, incarico che sembrava spettare a Minniti, passato intanto con Walter Veltroni.
In comune con Renzi c’è l’adolescenza negli scout, con l’ex direttore della Dia Arturo De Felice, il questore di Catania Marcello Cardona e l’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq dieci anni fa dai soldati Usa durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Ragazzi cresciuti nella Reggio Calabria dei primi anni Settanta, la rivolta di destra, il boia chi molla, il coprifuoco e le barricate tra un quartiere e l’altro, le scuole chiuse per mesi.
Nella famiglia Minniti i militari sono di casa (il papà è generale e così i suoi fratelli) anche Marco vorrebbe arruolarsi in aviazione, invece si iscrive alla facoltà di Lettere e al Pci, la rottura di una tradizione familiare che si ricomporrà molti anni dopo. Nel 1999 Minniti è a Palazzo Chigi come sottosegretario di D’Alema che ha deciso l’intervento in Kosovo, squilla il telefono. «Domenico», si sente chiamare, è il suo primo nome ma tutti lo hanno sempre chiamato Marco, «sono fiero di te». È il fratello del padre, generale anche lui, con cui non parlava da molti anni.
In questo filo biografico c’è l’intelligence guidata da Minniti. «Con lui, uno di sinistra, siamo entrati in serie A, come la diplomazia, le forze armate, le prefetture», riconoscono nell’ambiente. Ogni martedì c’è la riunione con il capo del Dis Giampiero Massolo, il generale Arturo Esposito (Aisi), Alberto Manenti (Aise). La cabina di regia che sorveglia la sicurezza nazionale su due fronti. Quello esterno, perché i confini non esistono più, la partita si gioca fuori e l’Italia è al centro del Mediterraneo, una delle aree più esplosive del mondo, di fronte alla Libia che è il crocevia delle tre grandi emergenze internazionali, il terrorismo, l’immigrazione, il controllo delle fonti energetiche. E il fronte interno: la prevenzione di possibili attentati è affidata alla tecnologia ma soprattutto all’intelligenza, alla collaborazione con le comunità islamiche, ascoltare e captare ogni segnale, perché anche il terrorista più isolato alla vigilia di un’azione cambia le sue abitudini.
Minniti, una vita trascorsa nel partito di Botteghe Oscure di cui ha conosciuto ogni sottoscala fino ad arrivare alla guida dell’organizzazione, sa bene che il primo nemico da battere è la rivalità tra i corpi dello Stato. C’è il comitato di analisi strategica anti-terrorismo (C.a.s.a.) che spinge gli apparati di sicurezza a scambiarsi informazioni. E c’è la rottamazione dei vecchi servizi e delle loro abitudini. La declassificazione degli atti coperti da segreto è stato il primo passo. Il secondo è l’assunzione di trenta giovani selezionati dalle università su settemila curriculum arrivati dopo una presentazione dell’intelligence nelle facoltà. Un investimento sul futuro cui Minniti tiene tantissimo.
Nelle ultime settimane il suo nome è comparso nei comunicati ufficiali di Palazzo Chigi, affiancato nei vertici con Renzi ai ministri Angelino Alfano, Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni: la conferma di un rango ministeriale, chissà quanto gradito dai colleghi. È spuntato anche nell’inchiesta napoletana a proposito di un finanziamento di 20mila euro della coop Cpl Concordia destinato alla fondazione Icsa che Minniti aprì nel 2009 con Francesco Cossiga. Dal 2013 il sottosegretario ha lasciato ogni incarico, oggi la fondazione è presieduta dal generale Leonardo Tricarico. Un pensatoio molto trasversale: nel consiglio direttivo figurano magistrati, ambasciatori, generali, ammiragli e giornalisti (Paolo Del Debbio).
Una rete che ha accompagnato la trasformazione del compagno Marco nell’agente Minniti che quando parla degli 007 si illumina e usa la parola noi: «Siamo un reparto di super-elite. Qui vengono i migliori». «Il mondo è assetato di sicurezza», lo hanno sentito ragionare. E ogni volta che ritorna da un viaggio all’estero ripete che nella stragrande maggioranza dei paesi che visita il capo dei servizi è il numero due del governo. Ma nessuno la scambi per una notazione personale.
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MARCO MINNITI SERVIZI SEGRETI SOTTOSEGRETARIO
© Riproduzione riservata 21 aprile 2015
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CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
WAR GAMES
LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
RITRATTO
Marco Minniti, il ministro in segreto
Ecco quanto conta il sottosegretario
Responsabile ai servizi, gode della piena fiducia di Matteo Renzi. E su alcune questioni "pesa" più dei titolari di Interno, Esteri e Difesa
DI MARCO DAMILANO
21 aprile 2015
Nel 1984 lei era già nei servizi segreti?», gli ha chiesto un mese fa l’avvocato di Totò Riina durante la testimonianza nel processo sulla strage del treno 904. Lui all’epoca faceva l’assistente universitario, teneva un seminario su Abelardo e Eloisa. E politicamente era un comunista: se fosse stato una spia i compagni lo avrebbero individuato come infiltrato e espulso.
Nessuno avrebbe potuto prevedere, trent’anni fa, che il responsabile politico dell’intelligence, l’uomo degli affari riservati e delle missioni segrete, sarebbe diventato il ragazzo di Reggio Calabria con la tessera del Partito comunista. Marco Minniti, 59 anni a giugno, festeggia questa settimana ventitré mesi a Palazzo Chigi da sottosegretario con delega ai servizi segreti, nella stanza di via dell’Impresa adornata da statue di Pulcinella e da modellini di aeroplani. È l’unico esponente del Pd sopravvissuto sulla propria poltrona al passaggio di governo da Enrico Letta a quello dell’ex sindaco di Firenze.
Da quell’inattesa riconferma è cominciata la silenziosa ascesa che oggi fa di Minniti uno degli uomini più potenti del governo Renzi. Non è un semplice sottosegretario, per il premier vale più di un ministro. Una figura che ricorda quella, mai vista in Italia, del Consigliere per la sicurezza nazionale che affianca il presidente Usa alla Casa Bianca, nomina fiduciaria, non sottoposta all’approvazione del Senato americano. Un agente speciale, con licenza di sconfinare in altri ministeri. Al Viminale, alla Difesa, alla Farnesina. Back diplomacy, la chiamano gli esperti. È toccato a Minniti volare in Egitto il 19 febbraio come emissario di Renzi per consegnare una lettera personale del premier al presidente Al Sisi sulla Libia.
È lui che monitora l’infernale scacchiere libico. È stato evocato un suo ruolo nella trattativa con le autorità indiane sui due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. E c’è chi ha visto la sua mano dietro le ultime nomine: il comandante dell’arma dei carabinieri Tullio Del Sette, il capo di Stato maggiore generale Claudio Graziano, il prefetto di Roma Franco Gabrielli, ex capo del Sisde. E il suo peso è destinato ad aumentare nei prossimi diciotto mesi. «Allacciate le cinture», smorza la tensione con i collaboratori il sottosegretario pensando al trittico Expo di Milano, esposizione della Sindone a Torino e Giubileo a Roma che richiamerà milioni di persone in Italia, potenziale vetrina per il terrorismo jihadista.
Eppure Minniti, inizialmente, non faceva parte del cerchio magico renziano. Fino all’elezione di Renzi alla segreteria del Pd, nel 2013, i due non si erano mai incontrati. Ai servizi segreti sembrava destinato il fedelissimo sottosegretario Luca Lotti, molto attratto dalla materia. La conferma è stata una sorpresa. Ancor più inaspettato il feeling nato tra due personaggi distanti anni luce.
Comunicativo Renzi, riservatissimo Minniti, non ha un profilo facebook e neppure twitter, e per di più con numerosi vizi d’origine: l’età (quasi venti anni più del premier), la militanza nel Pci e la lunga amicizia con Massimo D’Alema. Era uno dei Lothar negli anni Novanta, lo staff dalemiano di pochi capelli, con l’ex premier il sodalizio si spezzò nel 2010 quando D’Alema fu nominato presidente del Copasir, il comitato parlamentare di controllo dei servizi, incarico che sembrava spettare a Minniti, passato intanto con Walter Veltroni.
In comune con Renzi c’è l’adolescenza negli scout, con l’ex direttore della Dia Arturo De Felice, il questore di Catania Marcello Cardona e l’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq dieci anni fa dai soldati Usa durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Ragazzi cresciuti nella Reggio Calabria dei primi anni Settanta, la rivolta di destra, il boia chi molla, il coprifuoco e le barricate tra un quartiere e l’altro, le scuole chiuse per mesi.
Nella famiglia Minniti i militari sono di casa (il papà è generale e così i suoi fratelli) anche Marco vorrebbe arruolarsi in aviazione, invece si iscrive alla facoltà di Lettere e al Pci, la rottura di una tradizione familiare che si ricomporrà molti anni dopo. Nel 1999 Minniti è a Palazzo Chigi come sottosegretario di D’Alema che ha deciso l’intervento in Kosovo, squilla il telefono. «Domenico», si sente chiamare, è il suo primo nome ma tutti lo hanno sempre chiamato Marco, «sono fiero di te». È il fratello del padre, generale anche lui, con cui non parlava da molti anni.
In questo filo biografico c’è l’intelligence guidata da Minniti. «Con lui, uno di sinistra, siamo entrati in serie A, come la diplomazia, le forze armate, le prefetture», riconoscono nell’ambiente. Ogni martedì c’è la riunione con il capo del Dis Giampiero Massolo, il generale Arturo Esposito (Aisi), Alberto Manenti (Aise). La cabina di regia che sorveglia la sicurezza nazionale su due fronti. Quello esterno, perché i confini non esistono più, la partita si gioca fuori e l’Italia è al centro del Mediterraneo, una delle aree più esplosive del mondo, di fronte alla Libia che è il crocevia delle tre grandi emergenze internazionali, il terrorismo, l’immigrazione, il controllo delle fonti energetiche. E il fronte interno: la prevenzione di possibili attentati è affidata alla tecnologia ma soprattutto all’intelligenza, alla collaborazione con le comunità islamiche, ascoltare e captare ogni segnale, perché anche il terrorista più isolato alla vigilia di un’azione cambia le sue abitudini.
Minniti, una vita trascorsa nel partito di Botteghe Oscure di cui ha conosciuto ogni sottoscala fino ad arrivare alla guida dell’organizzazione, sa bene che il primo nemico da battere è la rivalità tra i corpi dello Stato. C’è il comitato di analisi strategica anti-terrorismo (C.a.s.a.) che spinge gli apparati di sicurezza a scambiarsi informazioni. E c’è la rottamazione dei vecchi servizi e delle loro abitudini. La declassificazione degli atti coperti da segreto è stato il primo passo. Il secondo è l’assunzione di trenta giovani selezionati dalle università su settemila curriculum arrivati dopo una presentazione dell’intelligence nelle facoltà. Un investimento sul futuro cui Minniti tiene tantissimo.
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Una rete che ha accompagnato la trasformazione del compagno Marco nell’agente Minniti che quando parla degli 007 si illumina e usa la parola noi: «Siamo un reparto di super-elite. Qui vengono i migliori». «Il mondo è assetato di sicurezza», lo hanno sentito ragionare. E ogni volta che ritorna da un viaggio all’estero ripete che nella stragrande maggioranza dei paesi che visita il capo dei servizi è il numero due del governo. Ma nessuno la scambi per una notazione personale.
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'Ndrangheta: Procuratore, le cosche governano la Calabria
Convegno alla Camera. De Raho, 'A Gioia Tauro entrano almeno 10 tonnellate di cocaina l'anno'
Pm: 'a Gioia Tauro entrano almeno 10 tonnellate di cocaina l'anno' © ANSA FOTO
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De Raho, 'A Gioia Tauro entrano almeno 10 tonnellate di cocaina l'anno'
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"La Calabria continua ad essere governata dalla 'ndrangheta": a dirlo è stato il procuratore capo di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, al convegno "Uscire dal cono d'ombra". "In Calabria la 'ndrangheta controlla passo passo tutto quello che avviene. Nel porto di Gioia Tauro, prima porta di accesso in Italia per la cocaina, sequestriamo 1 tonnellata di cocaina all'anno, il che vuol dire che ne entrano almeno 10 tonnellate. La cocaina si trasforma in denaro che entra nell'economia apparentemente legale ma che in realtà è drogata, inquinata", ha spiegato il procuratore. "Oggi la 'ndrangheta è formata da commercialisti, avvocati, imprenditori, persone che vestono in giacca e cravatta - ha aggiunto - ma ultimamente le cose stanno cambiando, stanno arrivando le denunce, nel 2015 ci sono stati 13 collaboratori, un fatto straordinario. "La 'ndrangheta vive sulla confusione, sul silenzio e con il silenzio è diventata forte", ha concluso.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
Procuratore di Reggio Calabria: "Legami tra Isis e 'Ndrangheta"
Lo sostiene il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho
Reggio Calabria, 24 febbraio 2015 - C`è qualche elemento concreto alla base della preoccupazione espressa dal procuratore di Reggio Calabria sul rischio di saldature di interessi fra la `ndrangheta e il terrorismo di matrice islamica. "La polizia postale ha iniziato un controllo a largo raggio e ha individuato persone che indirettamente sono legate a gruppi a loro volta riconducibili al mondo del terrorismo - ha detto Federico Cafiero De Raho a Voci del Mattino, Radio1 - Sono persone che comunque condividono quelle logiche, si collegano a siti sui quali si propaganda il terrorismo e appartengono a etnie nelle quali sta facendo proseliti l'Isis. Personalmente ho maturato una certa esperienza sul rischio di intrecci fra criminalità organizzata e terrorismo quando mi occupai del legame fra il clan dei casalesi e un gruppo di pachistani legati a una cellula terroristica. Ora, La `ndrangheta ha bisogno di armi e droga e i terroristi, per operare sul territorio, hanno bisogno di basi logistiche sicure e segrete, quindi necessitano di persone e luoghi in grado di fornire coperture e ospitalità. E questa caratteristica - ha aggiunto il procuratore di Reggio Calabria - di certo non fa difetto alla `ndrangheta, che ha un controllo capillare del territorio ed è una organizzazione che travalica i confini nazionali, ha rapporti con soggetti in estremo e medio oriente, come dimostra la sua leadership nel mercato dell'eroina, tanto da diventare fornitrice di Cosa Nostra a New York. Tutti questi elementi inducono a pensare che se l'Isis cercasse punti di appoggio solidi in Italia potrebbe trovarli qui, in Calabria. Non dobbiamo farci trovare impreparati".
"D`altra parte, la Calabria è un punto di approdo per i migranti dalla Libia - ha osservato Cafiero De Raho parlando a Voci del Mattino - 13 mila sono sbarcati nel distretto di Reggio Calabria e in questa moltitudine si possono confondere anche soggetti appartenenti a gruppi terroristici. Per questo motivo va alzato il livello di attenzione. E' ovvio che nelle situazioni di grande emergenza che si creano negli sbarchi si pensi innanzitutto all'aspetto umano, alla salvaguardia della salute delle persone ma di concerto con il prefetto abbiamo predisposto un protocollo attraverso il quale si vuole garantire una identificazione dei migranti che arrivano, in modo da avere per ognuno di loro una scheda con foto e impronte digitali. Non possiamo avere la certezza che l`identità che dichiarano corrisponda a quella reale, e questo sarà eventualmente oggetto di indagini successive - ha concluso il procuratore Cafiero De Raho - ma intanto è molto importante sapere che quella persona, con quei tratti somatici, quelle impronte, è entrata nel territorio italiano, a una data ora di un dato giorno".
RIPRODUZIONE RISERVATA
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"D`altra parte, la Calabria è un punto di approdo per i migranti dalla Libia - ha osservato Cafiero De Raho parlando a Voci del Mattino - 13 mila sono sbarcati nel distretto di Reggio Calabria e in questa moltitudine si possono confondere anche soggetti appartenenti a gruppi terroristici. Per questo motivo va alzato il livello di attenzione. E' ovvio che nelle situazioni di grande emergenza che si creano negli sbarchi si pensi innanzitutto all'aspetto umano, alla salvaguardia della salute delle persone ma di concerto con il prefetto abbiamo predisposto un protocollo attraverso il quale si vuole garantire una identificazione dei migranti che arrivano, in modo da avere per ognuno di loro una scheda con foto e impronte digitali. Non possiamo avere la certezza che l`identità che dichiarano corrisponda a quella reale, e questo sarà eventualmente oggetto di indagini successive - ha concluso il procuratore Cafiero De Raho - ma intanto è molto importante sapere che quella persona, con quei tratti somatici, quelle impronte, è entrata nel territorio italiano, a una data ora di un dato giorno".
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
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20 febbraio 2015 | di Lucio Musolino
Calabria, De Raho: “Qui i terroristi possono avere basi logistiche grazie alla ‘ndrangheta”
“Frange terroristiche possono avere basi logistiche in Calabria grazie alla ‘ndrangheta“.
L’allarme è stato lanciato stamattina dal procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho a margine dell’incontro organizzato all’Università “Mediterranea” dai servizi segreti. “La provincia ionica è l’accesso del flusso di migranti. – ha aggiunto il magistrato – Il lavoro dell’intelligence in una situazione di sovrapposizione criminale è particolarmente importante. Anzi è lo strumento necessario per poter contrastare efficacemente la criminalità sia mafiosa che terroristica. La ‘ndrangheta può fornire ospitalità ai terroristi in aziende agricole in cambio di droga”. All’incontro sul lavoro dei servizi segreti ha partecipato anche il sottosegretario Marco Minniti che, di ritorno dall’Egitto, si è soffermato sull’emergenza della Libia: “Il conflitto con l’Isis è un conflitto tra democrazia e terrorismo. Non è un conflitto di religione, di civiltà. Bisogna evitare la sindrome della paura. Abbiamo a che fare con un nemico raffinatissimo che fa della propaganda un elemento fondamentale del suo agire”
di Lucio Musolino
VIDEO:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2015/02/ ... ta/342236/
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Calabria, De Raho: “Qui i terroristi possono avere basi logistiche grazie alla ‘ndrangheta”
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L’allarme è stato lanciato stamattina dal procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho a margine dell’incontro organizzato all’Università “Mediterranea” dai servizi segreti. “La provincia ionica è l’accesso del flusso di migranti. – ha aggiunto il magistrato – Il lavoro dell’intelligence in una situazione di sovrapposizione criminale è particolarmente importante. Anzi è lo strumento necessario per poter contrastare efficacemente la criminalità sia mafiosa che terroristica. La ‘ndrangheta può fornire ospitalità ai terroristi in aziende agricole in cambio di droga”. All’incontro sul lavoro dei servizi segreti ha partecipato anche il sottosegretario Marco Minniti che, di ritorno dall’Egitto, si è soffermato sull’emergenza della Libia: “Il conflitto con l’Isis è un conflitto tra democrazia e terrorismo. Non è un conflitto di religione, di civiltà. Bisogna evitare la sindrome della paura. Abbiamo a che fare con un nemico raffinatissimo che fa della propaganda un elemento fondamentale del suo agire”
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
16 AGO 2016 10:35
GUERRE IGNORATE
- IN YEMEN LA COALIZIONE GUIDATA DALL'ARABIA SAUDITA BOMBARDA UN OSPEDALE DI MEDICI SENZA FRONTIERE: ALMENO 11 MORTI E 20 FERITI, DOPO DUE GIORNI DAGLI ATTACCHI CHE HANNO UCCISO 10 BAMBINI IN UNA SCUOLA
- LA ZONA È CONTROLLATA DAI RIBELLI SCIITI HOUTHI, CHE I SUNNITI GUIDATI DA RIAD VOGLIONO SPAZZARE VIA
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Da http://www.repubblica.it
Un ospedale è stato nuovamente colpito in Yemen dalla coalizione sunnita guidata dall'Arabia Saudita. Stavolta ad essere bombardata è una struttura di Medici Senza Frontiere in cui si contano almeno 11 morti e 20 feriti. L'ospedale si trova ad Abs, nella provincia nord orientale di Hajja, a 130 km dalla capitale Sanaa. Le vittime sono pazienti o personale locali e un ingegnere che lavorava per Msf.
Il raid è avvenuto alle 15,45 locali (le 14,45 in Italia) 48 ore dopo gli attacchi che hanno ucciso 10 bambini in una scuola, nel paese devastato da una guerra dimenticata. Come il raid di sabato, anche questa incursione è avvenuta nel nord del paese, nelle zone controllate dai ribelli sciti Houthi, alleati con i soldati rimasti fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, che dal 2014 contende il potere all'attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, insediato in via provvisoria ad Aden nel sud del paese.
E' stata la stessa organizzazione umanitaria, che lavora ad Abs dal 2015, a dare notizia del bombardamento sul suo account twitter. E ha aggiunto: "Il numero di morti e feriti non è ancora ufficialemente noto" e "squadre di medici che si occupano dei feriti".
Gli abitanti di Abs, testimoni del raid contro l'ospedale, hanno raccontato che la coalizione saudita negli ultimi giorni aveva preso di mira alcune postazioni dei ribelli nella loro città, causando numerosi feriti, molti dei quali ricoverati nella struttura bombardata.
Abs si trova ai margini della città di Harad, vicino al confine con l'Arabia Saudita, aree da cui i ribelli yemeniti spesso attaccano regioni saudite vicino al confine, teatro di aspri combattimenti da entrambi i fronti. La coalizione saudita aveva negato di aver bombardato la scuola dei bambini, ammettendo però di aver preso di mira un campo dove i ribelli addestrano i loro bambini-soldato. Oggi, tuttavia, e dopo un richiamo del capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, la coalizione araba ha annunciato l'apertura di un'indagine sui bombardamenti, che sarà "indipendente e in linea con gli standard internazionali".
La coalizione e l'Arabia Saudita sono regolarmente accusati di "errori" contro i civili, anche contro i bambini. Lo scorso 4 agosto hanno anche ammesso "carenze" del diritto umanitario in due diversi attacchi nel 2015: uno contro un complesso residenziale nella città portuale di Mokha (65 morti, secondo Human Rights Watch) e l'altro contro un altro ospedale gestito da Msf nel nord.
Originari del nord dello Yemen, gli Houthi erano insorti contro il potere di Hadi nel 2014, conquistando vaste aree del paese, inclusa la capitale Sanaa. Nel marzo del 2015, l'Arabia Saudita sunnita, che accusa gli Houthi di legami con i rivali sciti iraniani, ha preso la testa di una coalizione militare araba per fermare l'avanzata dei ribelli con bombardamenti aerei e combattimenti a terra . Da allora la guerra ha causato più di 6.400 morti e 30mila, la gran parte civili. E a gennaio un altro ospedale di Msf era stato centrato da colpi di cannone nella provincia di Saada causando 4 morti.
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16 AGO 2016 10:35
GUERRE IGNORATE
- IN YEMEN LA COALIZIONE GUIDATA DALL'ARABIA SAUDITA BOMBARDA UN OSPEDALE DI MEDICI SENZA FRONTIERE: ALMENO 11 MORTI E 20 FERITI, DOPO DUE GIORNI DAGLI ATTACCHI CHE HANNO UCCISO 10 BAMBINI IN UNA SCUOLA
- LA ZONA È CONTROLLATA DAI RIBELLI SCIITI HOUTHI, CHE I SUNNITI GUIDATI DA RIAD VOGLIONO SPAZZARE VIA
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Un ospedale è stato nuovamente colpito in Yemen dalla coalizione sunnita guidata dall'Arabia Saudita. Stavolta ad essere bombardata è una struttura di Medici Senza Frontiere in cui si contano almeno 11 morti e 20 feriti. L'ospedale si trova ad Abs, nella provincia nord orientale di Hajja, a 130 km dalla capitale Sanaa. Le vittime sono pazienti o personale locali e un ingegnere che lavorava per Msf.
Il raid è avvenuto alle 15,45 locali (le 14,45 in Italia) 48 ore dopo gli attacchi che hanno ucciso 10 bambini in una scuola, nel paese devastato da una guerra dimenticata. Come il raid di sabato, anche questa incursione è avvenuta nel nord del paese, nelle zone controllate dai ribelli sciti Houthi, alleati con i soldati rimasti fedeli all'ex presidente Ali Abdullah Saleh, che dal 2014 contende il potere all'attuale presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, insediato in via provvisoria ad Aden nel sud del paese.
E' stata la stessa organizzazione umanitaria, che lavora ad Abs dal 2015, a dare notizia del bombardamento sul suo account twitter. E ha aggiunto: "Il numero di morti e feriti non è ancora ufficialemente noto" e "squadre di medici che si occupano dei feriti".
Gli abitanti di Abs, testimoni del raid contro l'ospedale, hanno raccontato che la coalizione saudita negli ultimi giorni aveva preso di mira alcune postazioni dei ribelli nella loro città, causando numerosi feriti, molti dei quali ricoverati nella struttura bombardata.
Abs si trova ai margini della città di Harad, vicino al confine con l'Arabia Saudita, aree da cui i ribelli yemeniti spesso attaccano regioni saudite vicino al confine, teatro di aspri combattimenti da entrambi i fronti. La coalizione saudita aveva negato di aver bombardato la scuola dei bambini, ammettendo però di aver preso di mira un campo dove i ribelli addestrano i loro bambini-soldato. Oggi, tuttavia, e dopo un richiamo del capo delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, la coalizione araba ha annunciato l'apertura di un'indagine sui bombardamenti, che sarà "indipendente e in linea con gli standard internazionali".
La coalizione e l'Arabia Saudita sono regolarmente accusati di "errori" contro i civili, anche contro i bambini. Lo scorso 4 agosto hanno anche ammesso "carenze" del diritto umanitario in due diversi attacchi nel 2015: uno contro un complesso residenziale nella città portuale di Mokha (65 morti, secondo Human Rights Watch) e l'altro contro un altro ospedale gestito da Msf nel nord.
Originari del nord dello Yemen, gli Houthi erano insorti contro il potere di Hadi nel 2014, conquistando vaste aree del paese, inclusa la capitale Sanaa. Nel marzo del 2015, l'Arabia Saudita sunnita, che accusa gli Houthi di legami con i rivali sciti iraniani, ha preso la testa di una coalizione militare araba per fermare l'avanzata dei ribelli con bombardamenti aerei e combattimenti a terra . Da allora la guerra ha causato più di 6.400 morti e 30mila, la gran parte civili. E a gennaio un altro ospedale di Msf era stato centrato da colpi di cannone nella provincia di Saada causando 4 morti.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
WAR GAMES
LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
QUESTA VOLTA POSSIAMO DIRLA NEL MENEGHINO DI SILVIO:
GHE SEM
CHE TRADOTTO IN ITALIANO SIGNIFICA:
CI SIAMO
LA NOTIZIA E' PASSATA ANCHE NEI TG DELLA SERA.
MA ERA UN ORDINE GIA' IMPARTITO L'ALTRA SETTIMANA, QUANDO ERANO INIZIATI I BOMBARDAMENTI USA SU SIRTE.
Isis sguinzaglia lupi solitari: "Colpite". Tra gli obiettivi l'Italia
Anche il nostro Paese tra quelli minacciati dalla propaganda. "Attaccate i miscredenti"
Lucio Di Marzo - Mar, 16/08/2016 - 20:45
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È un nuovo appello ai lupi solitari quello che la propaganda vicina alla galassia islamista del sedicente Stato islamico (Isis) diffonde in un messaggio intitolato "Come on rise" e distribuito da al-Thabaat.
Una chiamata alle armi per quanti siano seguaci dell'Isis in Europa e negli Stati Uniti, perché colpiscano nei Paesi europei. Tanti gli Stati citati, dalla Danimarca alla Francia, dalla Spagna al Belgio. Ma nell'elenco trova posto anche l'Italia.
I jihadisti chiedono ai lupi solitari di attaccare i "miscredenti", termine con cui l'organizzazione definisce chiunque non segua la propria versione oltranzista e letteralista dell'Islam, cristiano o non.
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA
WAR GAMES
LA GUERRA SI SPOSTA SUL TERRITORIO ITALIANO
QUESTA VOLTA POSSIAMO DIRLA NEL MENEGHINO DI SILVIO:
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CHE TRADOTTO IN ITALIANO SIGNIFICA:
CI SIAMO
LA NOTIZIA E' PASSATA ANCHE NEI TG DELLA SERA.
MA ERA UN ORDINE GIA' IMPARTITO L'ALTRA SETTIMANA, QUANDO ERANO INIZIATI I BOMBARDAMENTI USA SU SIRTE.
Isis sguinzaglia lupi solitari: "Colpite". Tra gli obiettivi l'Italia
Anche il nostro Paese tra quelli minacciati dalla propaganda. "Attaccate i miscredenti"
Lucio Di Marzo - Mar, 16/08/2016 - 20:45
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È un nuovo appello ai lupi solitari quello che la propaganda vicina alla galassia islamista del sedicente Stato islamico (Isis) diffonde in un messaggio intitolato "Come on rise" e distribuito da al-Thabaat.
Una chiamata alle armi per quanti siano seguaci dell'Isis in Europa e negli Stati Uniti, perché colpiscano nei Paesi europei. Tanti gli Stati citati, dalla Danimarca alla Francia, dalla Spagna al Belgio. Ma nell'elenco trova posto anche l'Italia.
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