referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
NON MI INTERESSA STRAVINCERE. MA SOLO VINCERE E BLOCCARE UNA RIFORMA CAZZONA SCRITTA CON I PIEDI IN UN INFIMA STALLA.
Referendum, vola il fronte del "no". E adesso Renzi annaspa
Il fronte del "no" è sempre più avanti. E solo la metà degli elettori è sicura che andrà a votare
Sergio Rame - Dom, 14/08/2016 - 13:31
commenta
Niente di buono sotto l'ombrellone. I sondaggi che arrivano sulla scrivania di Palazzo Chigi sono nefasti e preannunciano tempesta.
Un uragano sta, infatti, per abbattersi su Matteo Renzi e sul governo. Il fronte del "no" al referendum sulle riforme costituzionali macina consensi e, di giorno in giorno, allarga la forbice sul "sì".
L'appeal per il "no" al referendum costituzionale, che dovrebbe tenersi il prossimo autunno, conquista la maggior parte degli italiani.
A votare "sì" per confermare la legge che porta il nome del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi sono sempre meno.
Come dimostra l'ultimo sondaggio di ScenariPolitici Winpoll, pubblicato oggi in esclusiva dall'Huffington Post, "il 53% degli intervistati è infatti deciso ad andare a votare contro la riforma voluta dal governo presieduto da Matteo Renzi.
Mentre il 47% sceglierà di promuovere la nuova Costituzione".
Ma a preoccupare maggiormente Renzi dovrebbe essere il dato che riguarda l'affluenza: "Solo il 49% degli italiani è sicuro di recarsi alle urne - si legge sul sito online diretto da Lucia Annunziata - il 26% si dice ancora indeciso.
Mentre il 25% è certo di non votare".
Referendum, vola il fronte del "no". E adesso Renzi annaspa
Il fronte del "no" è sempre più avanti. E solo la metà degli elettori è sicura che andrà a votare
Sergio Rame - Dom, 14/08/2016 - 13:31
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Niente di buono sotto l'ombrellone. I sondaggi che arrivano sulla scrivania di Palazzo Chigi sono nefasti e preannunciano tempesta.
Un uragano sta, infatti, per abbattersi su Matteo Renzi e sul governo. Il fronte del "no" al referendum sulle riforme costituzionali macina consensi e, di giorno in giorno, allarga la forbice sul "sì".
L'appeal per il "no" al referendum costituzionale, che dovrebbe tenersi il prossimo autunno, conquista la maggior parte degli italiani.
A votare "sì" per confermare la legge che porta il nome del ministro per le Riforme Maria Elena Boschi sono sempre meno.
Come dimostra l'ultimo sondaggio di ScenariPolitici Winpoll, pubblicato oggi in esclusiva dall'Huffington Post, "il 53% degli intervistati è infatti deciso ad andare a votare contro la riforma voluta dal governo presieduto da Matteo Renzi.
Mentre il 47% sceglierà di promuovere la nuova Costituzione".
Ma a preoccupare maggiormente Renzi dovrebbe essere il dato che riguarda l'affluenza: "Solo il 49% degli italiani è sicuro di recarsi alle urne - si legge sul sito online diretto da Lucia Annunziata - il 26% si dice ancora indeciso.
Mentre il 25% è certo di non votare".
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
IlFattoQuotidiano.it /
Referendum Costituzionale
Referendum costituzionale, Anpi diserta la Festa dell’Unità di Bologna: “Vietato parlare del no ai nostri banchetti”
A meno di dieci giorni dall'apertura scoppia una nuova polemica tra partigiani e Pd. Reduci e associati invitati, ma con divieto di fare banchetti. "Ci hanno chiesto di partecipare a dibattiti che nulla hanno a che fare con il referendum". La decisione definitiva tra il 21 e il 22 agosto
di Giulia Zaccariello | 17 agosto 2016
COMMENTI (547)
Dopo settimane di schermaglie, attacchi e tentativi di corteggiamento andati a vuoto, è sul terreno della Festa dell’Unità di Bologna che si consuma l’ultimo strappo tra il Pd e l’Anpi.
Con la rottura di una tradizione consolidata, mai messa in discussione: la presenza dei partigiani tra gli stand della festa provinciale.
Come ogni anno, infatti, l’associazione ha ricevuto l’invito per la partecipazione alla manifestazione democratica.
Questa volta però con delle regole ben precise: niente banchetti e volantini per il “no” al referendum sulla riforma costituzionale voluta da Renzi.
“Ma se non possiamo esprimerci, la nostra presenza è inutile, diserteremo l’iniziativa” è la risposta di Anna Cocchi, presidente dell’Anpi bolognese.
Un rifiuto che rischia di logorare i rapporti già tesi tra Anpi e Pd, dopo le parole della ministra Boschi sui “partigiani veri” e i paragoni con Casapound, e, più recentemente, la polemica sull’esclusione dell’Anpi dalle celebrazioni dell’11 agosto, anniversario della liberazione di Firenze dall’occupazione nazifascista.
Di sicuro le premesse per uno scontro sulla Festa c’erano tutte.
Per mesi, infatti, l’Anpi bolognese ha ribadito la volontà di seguire la linea nazionale, senza tentennamenti, e quindi di portare avanti la battaglia per il no anche sotto il cielo della festa Pd.
Costi quel che costi.
Dall’altra parte, il Pd ha comunque deciso di mandare l’invito, mettendo però dei paletti.
“Ci hanno detto che non possiamo fare campagna nel nostro banchetto, e nemmeno distribuire volantini e materiale per il no – spiega Cocchi – ma così la nostra presenza è inutile. Non credo che parteciperemo.
Del resto non siamo stati chiamati nemmeno alle altre feste in giro per il territorio”.
La decisione definitiva sarà presa tra il 21 e il 22 agosto, quando Cocchi convocherà la presidenza. “Insieme all’invito, ci hanno chiesto di partecipare anche a eventuali dibattiti.
Tutti incontri su temi che, seppur di grande importanza, non hanno nulla a che fare con il referendum.
Mentre la difesa della Costituzione è proprio quello che ci sta a cuore in questa fase”.
All’apertura della festa bolognese, una delle più importanti, mancano meno di dieci giorni.
E il Pd locale spera ancora di trovare un punto di incontro, una formula per permettere all’Anpi di parlare, senza che questo crei troppo imbarazzo al partito.
Niente guerra con i partigiani è la linea scelta dai democratici.
“Se ci inviteranno a un dibattito, valuteremo la proposta – avverte Cocchi – Ma non ci può essere un tira e molla. Dobbiamo essere alla pari”.
Da quando l’Anpi ha deciso di opporsi alla riforma, la frattura con il Pd si è fatta sempre più profonda.
Il caso di Bologna arriva a pochi giorni di distanza dalle polemiche nella vicina Firenze.
Qui l’associazione partigiani ha diffuso un comunicato di fuoco, andando all’attacco del sindaco renziano Dario Nardella, reo di non aver invitato nessun partigiano al ricordo della Liberazione della città.
“Una scelta grave e incomprensibile”, ma “ci auguriamo sia solo uno sfortunato episodio”.
E se si va più in là con il calendario si ritorna alla bufera scatenata dalle dichiarazioni della madrina della riforma, Maria Elena Boschi, che in un’intervista con Lucia Annunziata distingueva tra “partigiani venuti nelle generazioni successive” e “partigiani veri” che voteranno sì.
Insomma, la contrapposizione sul referendum rischia di segnare un punto di non ritorno.
“Fino adesso i rapporti con il Pd – assicura Cocchi – sono stati ottimi.
E lavorerò per mantenerli tali. Allo stesso tempo è chiaro che la nostra posizione sul referendum non fa piacere al Pd, e questo rende tutto più difficile.
Ma dobbiamo essere liberi di esprimerci.
Questa è la prima condizione e quella più importante”.
Referendum Costituzionale
Referendum costituzionale, Anpi diserta la Festa dell’Unità di Bologna: “Vietato parlare del no ai nostri banchetti”
A meno di dieci giorni dall'apertura scoppia una nuova polemica tra partigiani e Pd. Reduci e associati invitati, ma con divieto di fare banchetti. "Ci hanno chiesto di partecipare a dibattiti che nulla hanno a che fare con il referendum". La decisione definitiva tra il 21 e il 22 agosto
di Giulia Zaccariello | 17 agosto 2016
COMMENTI (547)
Dopo settimane di schermaglie, attacchi e tentativi di corteggiamento andati a vuoto, è sul terreno della Festa dell’Unità di Bologna che si consuma l’ultimo strappo tra il Pd e l’Anpi.
Con la rottura di una tradizione consolidata, mai messa in discussione: la presenza dei partigiani tra gli stand della festa provinciale.
Come ogni anno, infatti, l’associazione ha ricevuto l’invito per la partecipazione alla manifestazione democratica.
Questa volta però con delle regole ben precise: niente banchetti e volantini per il “no” al referendum sulla riforma costituzionale voluta da Renzi.
“Ma se non possiamo esprimerci, la nostra presenza è inutile, diserteremo l’iniziativa” è la risposta di Anna Cocchi, presidente dell’Anpi bolognese.
Un rifiuto che rischia di logorare i rapporti già tesi tra Anpi e Pd, dopo le parole della ministra Boschi sui “partigiani veri” e i paragoni con Casapound, e, più recentemente, la polemica sull’esclusione dell’Anpi dalle celebrazioni dell’11 agosto, anniversario della liberazione di Firenze dall’occupazione nazifascista.
Di sicuro le premesse per uno scontro sulla Festa c’erano tutte.
Per mesi, infatti, l’Anpi bolognese ha ribadito la volontà di seguire la linea nazionale, senza tentennamenti, e quindi di portare avanti la battaglia per il no anche sotto il cielo della festa Pd.
Costi quel che costi.
Dall’altra parte, il Pd ha comunque deciso di mandare l’invito, mettendo però dei paletti.
“Ci hanno detto che non possiamo fare campagna nel nostro banchetto, e nemmeno distribuire volantini e materiale per il no – spiega Cocchi – ma così la nostra presenza è inutile. Non credo che parteciperemo.
Del resto non siamo stati chiamati nemmeno alle altre feste in giro per il territorio”.
La decisione definitiva sarà presa tra il 21 e il 22 agosto, quando Cocchi convocherà la presidenza. “Insieme all’invito, ci hanno chiesto di partecipare anche a eventuali dibattiti.
Tutti incontri su temi che, seppur di grande importanza, non hanno nulla a che fare con il referendum.
Mentre la difesa della Costituzione è proprio quello che ci sta a cuore in questa fase”.
All’apertura della festa bolognese, una delle più importanti, mancano meno di dieci giorni.
E il Pd locale spera ancora di trovare un punto di incontro, una formula per permettere all’Anpi di parlare, senza che questo crei troppo imbarazzo al partito.
Niente guerra con i partigiani è la linea scelta dai democratici.
“Se ci inviteranno a un dibattito, valuteremo la proposta – avverte Cocchi – Ma non ci può essere un tira e molla. Dobbiamo essere alla pari”.
Da quando l’Anpi ha deciso di opporsi alla riforma, la frattura con il Pd si è fatta sempre più profonda.
Il caso di Bologna arriva a pochi giorni di distanza dalle polemiche nella vicina Firenze.
Qui l’associazione partigiani ha diffuso un comunicato di fuoco, andando all’attacco del sindaco renziano Dario Nardella, reo di non aver invitato nessun partigiano al ricordo della Liberazione della città.
“Una scelta grave e incomprensibile”, ma “ci auguriamo sia solo uno sfortunato episodio”.
E se si va più in là con il calendario si ritorna alla bufera scatenata dalle dichiarazioni della madrina della riforma, Maria Elena Boschi, che in un’intervista con Lucia Annunziata distingueva tra “partigiani venuti nelle generazioni successive” e “partigiani veri” che voteranno sì.
Insomma, la contrapposizione sul referendum rischia di segnare un punto di non ritorno.
“Fino adesso i rapporti con il Pd – assicura Cocchi – sono stati ottimi.
E lavorerò per mantenerli tali. Allo stesso tempo è chiaro che la nostra posizione sul referendum non fa piacere al Pd, e questo rende tutto più difficile.
Ma dobbiamo essere liberi di esprimerci.
Questa è la prima condizione e quella più importante”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
L'EDITORIALE
RAI, QUANDO
ARRIVA
IL MONITO
DEL COLLE?
» ANTONIO PADELLARO
Siamo convinti, anzi
certi che al Quirinale
non è rimasto inascoltato
l’appello del primo agosto
di Gustavo Zagrebelsky e
Alessandro Pace contro la
vergognosa discriminazione
del No da parte del servizio
pubblico radiotelevisivo.
Ne siamo convinti per
l’autorevolezza dei firmatari:
il presidente emerito della
Consulta e un altro grande
costituzionalista. Per
l’ampia rappresentatività
dei 400 comitati territoriali
che fanno riferimento al No.
Perché, in vista del decisivo
referendum di novembre
sulla riforma costituzionale
Boschi, il diritto all’in formazione
di tutti i cittadini
“pone”, come dice l’appello,
“una grande questione di democrazia
e di rispetto dei diritti
costituzionali”. Perché
la Rai non è proprietà né del
governo né della maggioranza,
ma è un servizio pubblico
finanziato dalla collettività
attraverso il canone.
Perché da mesi la Rai offre,
leggiamo ancora, “una rappresentazione
distorta dei
soggetti in causa e la quasi
totalità del tempo è stata dedicata
ai sostenitori del Sì,
su tutti il governo”. Perché
infine, ma soprattutto, il
presidente della Repubblica
come supremo garante dei
diritti costituzionali farà
valere la sua autorità “super
partes” per garantire la parità
delle posizioni. Anche se
il tempo stringe è comprensibile
che, a causa anche della
pausa ferragostana, l’i ntervento
“super partes” del
Quirinale non abbia ancora
potuto esplicarsi nelle forme
dovute. O forse non ne abbiamo
avuto notizia. Lo
scriviamo alla luce dell’a ndazzo
dell’i nf o rm a zi on e
Rai tutt’ora a completa disposizione
del Sì, con punte
ulteriori di arroganza. Come
dimostra lo spot tutto
giocato sulla derisione del
No, che annuncia la nuova
trasmissione di Raitre, “P olitics”
(che non a caso sostituisce
l’epurata “Ballaro”).
Siamo sicuri perciò che
quanto prima il presidente
Mattarella farà sentire, nelle
forme dovute, la sua voce
in difesa dei diritti minacciati.
Al di là del valore fondamentale
della posta in
gioco la parola del Quirinale
sarà un monito finalmente
concreto diretto soprattutto
a coloro che fanno delle pubbliche
istituzioni uso privato.
Attendiamo con fiducia.
Dalla prima pagina de il Fatto Quotidiano, di oggi 17 Agosto 2016
RAI, QUANDO
ARRIVA
IL MONITO
DEL COLLE?
» ANTONIO PADELLARO
Siamo convinti, anzi
certi che al Quirinale
non è rimasto inascoltato
l’appello del primo agosto
di Gustavo Zagrebelsky e
Alessandro Pace contro la
vergognosa discriminazione
del No da parte del servizio
pubblico radiotelevisivo.
Ne siamo convinti per
l’autorevolezza dei firmatari:
il presidente emerito della
Consulta e un altro grande
costituzionalista. Per
l’ampia rappresentatività
dei 400 comitati territoriali
che fanno riferimento al No.
Perché, in vista del decisivo
referendum di novembre
sulla riforma costituzionale
Boschi, il diritto all’in formazione
di tutti i cittadini
“pone”, come dice l’appello,
“una grande questione di democrazia
e di rispetto dei diritti
costituzionali”. Perché
la Rai non è proprietà né del
governo né della maggioranza,
ma è un servizio pubblico
finanziato dalla collettività
attraverso il canone.
Perché da mesi la Rai offre,
leggiamo ancora, “una rappresentazione
distorta dei
soggetti in causa e la quasi
totalità del tempo è stata dedicata
ai sostenitori del Sì,
su tutti il governo”. Perché
infine, ma soprattutto, il
presidente della Repubblica
come supremo garante dei
diritti costituzionali farà
valere la sua autorità “super
partes” per garantire la parità
delle posizioni. Anche se
il tempo stringe è comprensibile
che, a causa anche della
pausa ferragostana, l’i ntervento
“super partes” del
Quirinale non abbia ancora
potuto esplicarsi nelle forme
dovute. O forse non ne abbiamo
avuto notizia. Lo
scriviamo alla luce dell’a ndazzo
dell’i nf o rm a zi on e
Rai tutt’ora a completa disposizione
del Sì, con punte
ulteriori di arroganza. Come
dimostra lo spot tutto
giocato sulla derisione del
No, che annuncia la nuova
trasmissione di Raitre, “P olitics”
(che non a caso sostituisce
l’epurata “Ballaro”).
Siamo sicuri perciò che
quanto prima il presidente
Mattarella farà sentire, nelle
forme dovute, la sua voce
in difesa dei diritti minacciati.
Al di là del valore fondamentale
della posta in
gioco la parola del Quirinale
sarà un monito finalmente
concreto diretto soprattutto
a coloro che fanno delle pubbliche
istituzioni uso privato.
Attendiamo con fiducia.
Dalla prima pagina de il Fatto Quotidiano, di oggi 17 Agosto 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
TITOLO II
Art. 68
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale,
è il garante dell'indipendenza e dell'integrità della nazione
vigila sul rispetto della Costituzione
assicura il rispetto dei trattati e dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia ad organizzazioni internazionali e sovranazionali
Egregio Sig. Presidente della Repubblica italiana, non ancora Emerito.
Non spetta di certo ad un semplice cittadino come il sottoscritto, rammentarLe le funzioni che la Costituzione italiana, tuttora vigente, Le assegna il ruolo di garante dell'indipendenza e dell'integrità della nazione oltre alla funzione di vigilare sul pieno rispetto della Costituzione.
Sono passati 17 giorni dall’appello rivoltoLe dai costituzionalisti Zagrebelsky e Pace.
A cui è seguito un sonoro silenzio del Garante della Costituzione.
Oggi è Antonio Padellaro, del Fatto Quotidiano, a risollevare il problema dell’abuso della RAI, in materia di comunicazione sulla materia che si andrà a deliberare.
Questo è un tema che ha la priorità assoluta anche se il Capo dello Stato fosse in vacanza.
Mi auguro di sentirLa a breve nel richiamare l’Ente televisivo ed il governo al rispetto della procedura, ancora per poco repubblicana.
Per il momento sia L’Ente televisivo che il governo si stanno comportando come se fossimo all’interno di un regime fascista del Terzo millennio.
Il Suo eventuale perdurante silenzio potrebbe essere interpretato come un avallo al nuovo Regime fascista.
Felice di essere smentito, attendo che Prenda posizioni contro chi sta lavorando per il felice esito della Legge ACERBO 2.0.
Con deferenza
A.H.
Art. 68
Il Presidente della Repubblica è il Capo dello Stato e rappresenta l'unità nazionale,
è il garante dell'indipendenza e dell'integrità della nazione
vigila sul rispetto della Costituzione
assicura il rispetto dei trattati e dei vincoli derivanti dall'appartenenza dell'Italia ad organizzazioni internazionali e sovranazionali
Egregio Sig. Presidente della Repubblica italiana, non ancora Emerito.
Non spetta di certo ad un semplice cittadino come il sottoscritto, rammentarLe le funzioni che la Costituzione italiana, tuttora vigente, Le assegna il ruolo di garante dell'indipendenza e dell'integrità della nazione oltre alla funzione di vigilare sul pieno rispetto della Costituzione.
Sono passati 17 giorni dall’appello rivoltoLe dai costituzionalisti Zagrebelsky e Pace.
A cui è seguito un sonoro silenzio del Garante della Costituzione.
Oggi è Antonio Padellaro, del Fatto Quotidiano, a risollevare il problema dell’abuso della RAI, in materia di comunicazione sulla materia che si andrà a deliberare.
Questo è un tema che ha la priorità assoluta anche se il Capo dello Stato fosse in vacanza.
Mi auguro di sentirLa a breve nel richiamare l’Ente televisivo ed il governo al rispetto della procedura, ancora per poco repubblicana.
Per il momento sia L’Ente televisivo che il governo si stanno comportando come se fossimo all’interno di un regime fascista del Terzo millennio.
Il Suo eventuale perdurante silenzio potrebbe essere interpretato come un avallo al nuovo Regime fascista.
Felice di essere smentito, attendo che Prenda posizioni contro chi sta lavorando per il felice esito della Legge ACERBO 2.0.
Con deferenza
A.H.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
Referendum, Menapace: “Vietato parlare del No? L’Anpi non è a disposizione di Renzi. Finito il tempo del pensiero unico”
Politica
"Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero a disposizione. E' stato così in passato, ma oggi non è più così", avverte Lidia Menapace, classe 1924, "partigiana combattente con il grado di sottotenente", come lei stessa ricorda. Perché il tempo in cui il Pc "era una chiesa" cui "le persone obbedivano anche quando non erano d'accordo" è finito
di Marco Pasciuti | 17 agosto 2016
COMMENTI (751)
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero a disposizione.
E’ stato così in passato, ma oggi non è più così“.
Perché il tempo in cui il Pc “era quasi una chiesa” cui “le persone obbedivano anche quando non erano d’accordo” è finito, avverte Lidia Menapace, classe 1924, “partigiana combattente con il grado di sottotenente”, specificava orgogliosa a Giovanni Floris che a maggio la intervistava a Di Martedì sul distinguo tra i partigiani “veri” che votano sì al referendum sulle riforme costituzionali e tutti gli altri coniato da Maria Elena Boschi.
Un altro scontro con il Pd, che ha invitato l’Anpi alla festa dell’Unità di Bologna, ma ha messo una regola: niente banchetti e volantini per il “no” al referendum sulla riforma costituzionale.
“Che stupidaggine.
E’ come dire a qualcuno ‘Ti invito a pranzo, però l’importante è che non mangi‘.
E’ una questione impostata male fin dall’inizio perché nell’Anpi è passata a stragrandissima maggioranza, il 97% dei delegati al congresso, la posizione di votare no al referendum.
Anche se a quelli di noi che hanno un’opinione contraria, nessuno vieta di votare ‘Si’.
Ora, questa cosa ha creato dissapori perché l’associazione è sempre stata molto sensibile alle richieste provenienti dall’ex Partito Comunista e da ciò che da quest’ultimo è venuto fuori in seguito.
Ora però provare a cancellare il fatto che la stragrande maggioranza dell’Anpi non ne vuol sapere di sconciare la Costituzione, no, non è una cosa ben fatta”.
“Siete voi che venite a casa nostra”, ha risposto il Pd.
La sinistra, questa sinistra, non è più la casa dei partigiani?
“Guardi, una volta il partito, il Pc dico, era quasi una chiesa, si aderiva alle sue posizioni con un atteggiamento quasi fideistico, le persone si turavano il naso e obbedivano anche quando non erano d’accordo.
Ma è un tipo di cultura politica che appartiene al passato.
Non dico che sia da buttare via, ma oggi non è più utilizzabile.
Non è possibile pretendere sempre l’unanimità.
Io ho fatto la Resistenza, ho lottato in Val d’Ossola dove c’era una Repubblica che era unitaria ma in cui si confrontavano anche a furia di urla diverse anime e non c’era un pensiero uniforme o unanime“.
Come avviene nell’Anpi, dove c’è chi voterà ‘Sì’ al referendum. L’inizio di una spaccatura?
“Quelli che votano sì sono certamente favorevoli a Renzi, ma questo non vuol dire che l’associazione si spaccherà.
Quelli di noi che hanno partecipato attivamente alla Resistenza sono vicini alla scomparsa.
Ma il passaggio del testimone è già avvenuto a Torino, due congressi fa, quando l’Anpi si è aperta ai giovani e ha visto aumentare i tesseramenti.
Quindi non è vero che il passaggio da una generazione a un’altra debba essere traumatico e comportare necessariamente una rottamazione, come la chiama Renzi“.
Qual è allora il motivo di queste continue incomprensioni tra l’Anpi il Pd?
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero spontaneamente a disposizione.
E’ stato così in passato, ma oggi non è più così. E’ una delle ultime conseguenze di quella cosa grande e importante – peccato che sia finita male – che era il Pc con tutte le sue organizzazioni di massa. Però è una cosa datata, finita“.
A maggio la Boschi con la distinzione tra partigiani “veri” che votano ‘Sì’ al referendum e tutti gli altri e il paragone con Casapound, ora il comune di Firenze che non invita l’Anci alla Festa della Liberazione e le condizioni poste dal Pd a Bologna. C’è una strategia?
“Nessun gesto politico è innocente, qualche finalità se la pone sempre.
Ma arrivare a pensare a una strumentalizzazione mi sembra eccessivo.
Noto, invece, una certa insofferenza verso il dissenso“.
La posta in gioco al referendum è molto alta, troppo alta per dare spazio al dissenso.
“Renzi ha rischiato troppo, nessuno glielo ha chiesto di mettersi in prima linea come ha fatto.
Ha sbagliato i calcoli.
Se la sinistra esiste ancora, cosa di cui parecchi dubitano, di certo non sta nel Pd.
E’ la grande questione politica ancora aperta e, siccome è di grande importanza, sarebbe bene affrontarla con prudenza, evitando atteggiamenti del tipo ‘Chi non vota come diciamo noi non è partigiano’, come fa la Boschi.
Che farebbe meglio a restare in silenzio”.
L’atteggiamento del presidente del Consiglio è simile a quello di molti dei suoi predecessori: “Dopo di me, il diluvio”.
“Guardi, non sono del Pd, ho un giudizio non buono di Renzi.
Anzi, dico una vera carognata: mi fa pensare a Fanfani, ma non nel senso che è democristiano.
Fanfani era aretino, Renzi è fiorentino e dare dell’aretino a un fiorentino è un’offesa che non può essere lavata neanche con il sangue.
Non posso pensare che il destino dell’Italia sia legato alle sorti del governo Renzi, perché questo è un ricatto e non un discorso politico”.
Politica
"Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero a disposizione. E' stato così in passato, ma oggi non è più così", avverte Lidia Menapace, classe 1924, "partigiana combattente con il grado di sottotenente", come lei stessa ricorda. Perché il tempo in cui il Pc "era una chiesa" cui "le persone obbedivano anche quando non erano d'accordo" è finito
di Marco Pasciuti | 17 agosto 2016
COMMENTI (751)
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero a disposizione.
E’ stato così in passato, ma oggi non è più così“.
Perché il tempo in cui il Pc “era quasi una chiesa” cui “le persone obbedivano anche quando non erano d’accordo” è finito, avverte Lidia Menapace, classe 1924, “partigiana combattente con il grado di sottotenente”, specificava orgogliosa a Giovanni Floris che a maggio la intervistava a Di Martedì sul distinguo tra i partigiani “veri” che votano sì al referendum sulle riforme costituzionali e tutti gli altri coniato da Maria Elena Boschi.
Un altro scontro con il Pd, che ha invitato l’Anpi alla festa dell’Unità di Bologna, ma ha messo una regola: niente banchetti e volantini per il “no” al referendum sulla riforma costituzionale.
“Che stupidaggine.
E’ come dire a qualcuno ‘Ti invito a pranzo, però l’importante è che non mangi‘.
E’ una questione impostata male fin dall’inizio perché nell’Anpi è passata a stragrandissima maggioranza, il 97% dei delegati al congresso, la posizione di votare no al referendum.
Anche se a quelli di noi che hanno un’opinione contraria, nessuno vieta di votare ‘Si’.
Ora, questa cosa ha creato dissapori perché l’associazione è sempre stata molto sensibile alle richieste provenienti dall’ex Partito Comunista e da ciò che da quest’ultimo è venuto fuori in seguito.
Ora però provare a cancellare il fatto che la stragrande maggioranza dell’Anpi non ne vuol sapere di sconciare la Costituzione, no, non è una cosa ben fatta”.
“Siete voi che venite a casa nostra”, ha risposto il Pd.
La sinistra, questa sinistra, non è più la casa dei partigiani?
“Guardi, una volta il partito, il Pc dico, era quasi una chiesa, si aderiva alle sue posizioni con un atteggiamento quasi fideistico, le persone si turavano il naso e obbedivano anche quando non erano d’accordo.
Ma è un tipo di cultura politica che appartiene al passato.
Non dico che sia da buttare via, ma oggi non è più utilizzabile.
Non è possibile pretendere sempre l’unanimità.
Io ho fatto la Resistenza, ho lottato in Val d’Ossola dove c’era una Repubblica che era unitaria ma in cui si confrontavano anche a furia di urla diverse anime e non c’era un pensiero uniforme o unanime“.
Come avviene nell’Anpi, dove c’è chi voterà ‘Sì’ al referendum. L’inizio di una spaccatura?
“Quelli che votano sì sono certamente favorevoli a Renzi, ma questo non vuol dire che l’associazione si spaccherà.
Quelli di noi che hanno partecipato attivamente alla Resistenza sono vicini alla scomparsa.
Ma il passaggio del testimone è già avvenuto a Torino, due congressi fa, quando l’Anpi si è aperta ai giovani e ha visto aumentare i tesseramenti.
Quindi non è vero che il passaggio da una generazione a un’altra debba essere traumatico e comportare necessariamente una rottamazione, come la chiama Renzi“.
Qual è allora il motivo di queste continue incomprensioni tra l’Anpi il Pd?
“Il Pd è abituato a pensare che le vecchie organizzazioni legate al Partito Comunista fossero spontaneamente a disposizione.
E’ stato così in passato, ma oggi non è più così. E’ una delle ultime conseguenze di quella cosa grande e importante – peccato che sia finita male – che era il Pc con tutte le sue organizzazioni di massa. Però è una cosa datata, finita“.
A maggio la Boschi con la distinzione tra partigiani “veri” che votano ‘Sì’ al referendum e tutti gli altri e il paragone con Casapound, ora il comune di Firenze che non invita l’Anci alla Festa della Liberazione e le condizioni poste dal Pd a Bologna. C’è una strategia?
“Nessun gesto politico è innocente, qualche finalità se la pone sempre.
Ma arrivare a pensare a una strumentalizzazione mi sembra eccessivo.
Noto, invece, una certa insofferenza verso il dissenso“.
La posta in gioco al referendum è molto alta, troppo alta per dare spazio al dissenso.
“Renzi ha rischiato troppo, nessuno glielo ha chiesto di mettersi in prima linea come ha fatto.
Ha sbagliato i calcoli.
Se la sinistra esiste ancora, cosa di cui parecchi dubitano, di certo non sta nel Pd.
E’ la grande questione politica ancora aperta e, siccome è di grande importanza, sarebbe bene affrontarla con prudenza, evitando atteggiamenti del tipo ‘Chi non vota come diciamo noi non è partigiano’, come fa la Boschi.
Che farebbe meglio a restare in silenzio”.
L’atteggiamento del presidente del Consiglio è simile a quello di molti dei suoi predecessori: “Dopo di me, il diluvio”.
“Guardi, non sono del Pd, ho un giudizio non buono di Renzi.
Anzi, dico una vera carognata: mi fa pensare a Fanfani, ma non nel senso che è democristiano.
Fanfani era aretino, Renzi è fiorentino e dare dell’aretino a un fiorentino è un’offesa che non può essere lavata neanche con il sangue.
Non posso pensare che il destino dell’Italia sia legato alle sorti del governo Renzi, perché questo è un ricatto e non un discorso politico”.
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
NO PASSARSAN
LIBRE news
Soros con Renzi: Sì al referendum, cioè al diktat della Bce
Scritto il 18/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale.
In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo.
Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione.
E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare.
Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale.
Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere, iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino Craxi.
Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di governabilità e decisionismo.
Allora si lanciò il progetto di una “grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere di decidere del governo e del suo capo.
Craxi accompagnò questo suo disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla scala mobile.
Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed economico del decisionismo rivendicato.
Nel mondo della globalizzazione dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di una grande impresa che al governo democratico della società.
Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico.
Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti.
Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi.
Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste.
Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.
Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata.
La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente.
Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta?
Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere.
La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi.
Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro?
E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?
Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque.
E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione?
E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11?
Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima.
La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico.
Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole.
La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi.
Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale.
Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro.
Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.
Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale.
Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato.
L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza.
Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi?
No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro.
Una Costituzione classista?
No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.
Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica.
Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni.
Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza.
La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa.
Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando.
Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera.
Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare.
Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.
Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini.
Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali.
I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119.
I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere.
Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo.
In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe.
Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo.
Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.
La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente.
Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale.
Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa.
Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante.
È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale.
Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea.
Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese.
E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale.
Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali.
Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.
Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi.
Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca.
Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista.
Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.
(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).
LIBRE news
Soros con Renzi: Sì al referendum, cioè al diktat della Bce
Scritto il 18/8/16 • nella Categoria: idee Condividi
Pochi giorni fa George Soros sul “Corriere della Sera” dispensava buoni consigli a Renzi su come vincere il referendum costituzionale.
In questo modo il più famoso di quei moderni pirati che sono gli speculatori finanziari internazionali confermava ciò che in molti sappiamo.
Che la finanza e le banche, quell’1% di super-ricchi che oggi ha in mano il potere, abbiano diretto interesse nella vittoria della controriforma della nostra Costituzione.
E che per vincere questi signori siano disposti a fare carte false e anche per questo, dopo mesi di campagna per il Sì a reti unificate, ancora non sappiamo quando si andrà a votare.
Il pronunciamento di Soros, che segue quello di Confindustria, top manager di multinazionali, banchieri italiani ed europei, ci porta direttamente alla dimensione sociale dello scontro sulla controriforma costituzionale.
Cioè al fatto che, contrariamente a quanto affermato dai suoi estensori, la controriforma di Renzi abbia proprio il fine ultimo di affossare la prima parte della Costituzione del 1948.
La legge Boschi sistematizza processi di riduzione dei poteri e dei diritti popolari e del lavoro, di centralizzazione del potere, iniziati negli anni ‘80 del secolo scorso con i governi di Bettino Craxi.
Non a caso è in quegli anni che si comincia a parlare di governabilità e decisionismo.
Allora si lanciò il progetto di una “grande riforma” che superasse il sistema costituzionale uscito dalla sconfitta del fascismo e rafforzasse il potere di decidere del governo e del suo capo.
Craxi accompagnò questo suo disegno con il taglio per decreto legge del salario determinato dalla scala mobile.
Questo per chiarire quale fosse il segno sociale ed economico del decisionismo rivendicato.
Nel mondo della globalizzazione dei mercati e della speculazione finanziaria dominante sarebbe stato necessario un nuovo tipo di governo, più simile all’amministrazione di una grande impresa che al governo democratico della società.
Contemporaneamente allo smantellamento di quei lacci e lacciuoli, per usare la definizione di Guido Carli, che limitavano mercato e potere d’impresa, negli anni ‘80 si diede il via alla piena affermazione del potere della finanza sul bilancio pubblico.
Nel 1982 venne decisa la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, per cui da quel momento l’amministrazione pubblica per i suoi bisogni avrebbe dovuto indebitarsi con le banche e la finanza internazionale a prezzi di mercato, invece che ricorrere alla Banca d’Italia come nei decenni di crescita precedenti.
Insomma negli anni 80 si misero in campo tutte le basi delle politiche liberiste contro il lavoro e i diritti sociali, poi sviluppatesi nei trenta anni successivi.
Ora Renzi riprende e porta a conclusione tutti i progetti di riforma autoritaria della democrazia nati oltre trenta anni fa, contemporaneamente ed assieme all’affermazione delle politiche economiche e sociali liberiste.
Il suo quindi non è un cambiamento, ma il compimento sul piano istituzionale delle politiche che da trenta anni colpiscono il lavoro.
Roberto Benigni e altri sostengono però che la legge Boschi possa essere accettata proprio perché inerisce alla organizzazione del potere e non ai suoi fini, che resterebbero ancora quelli definiti nella prima parte, che non viene toccata.
La Costituzione più bella del mondo resterà, dicono costoro, sarà solo più efficiente.
Ma come si può sostenere che la completa riscrittura di 47 articoli della Costituzione in una volta sola lasci inalterata la nostra Carta?
Se in una automobile conservo un po’ della carrozzeria esterna e cambio motore e parti meccaniche io ho un’altra vettura e anche la carrozzeria ne risentirà, sempre che non si vada a sbattere.
La prima parte della Costituzione, cioè i principi sul lavoro, sulla salute, sul rapporto pubblico privato, sull’ambiente, da tempo viene devastata dalle normali leggi dei governi.
Forse che acquistare un operaio come un pacchetto di sigarette dal tabaccaio, con i voucher, ha qualcosa a che vedere con il concetto costituzionale di lavoro?
E la distruzione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e tutte le forme di precarietà previste per legge, non espellono forse i diritti costituzionali dai luoghi di lavoro?
Di Vittorio chiedeva di far entrare la Costituzione nelle fabbriche per realizzarla davvero, oggi la si estromette dal rapporto di lavoro ridotto a merce, per poi renderla vuota e inutile ovunque.
E lo Sblocca Italia, la Buona Scuola, i tagli alla sanità che costringono milioni di poveri a non curarsi, quelli alle pensioni, le privatizzazioni non devastano ogni principio della prima parte della Costituzione?
E la guerra in violazione plateale dell’articolo 11?
Da tempo la politica quotidiana dei governi vìola i principi della prima parte della Carta, la controriforma della sua seconda parte istituzionalizza e rende permanente il pratico smantellamento della prima.
La nostra non è una Costituzione liberale che stabilisca semplicemente le regole del gioco per l’accesso al potere politico.
Quello era lo Statuto Albertino, che permise venti anni di dittatura fascista nel rispetto delle sue regole.
La nostra è una Costituzione democratica a forte caratterizzazione sociale, è una costituzione sociale.Voglio ricordare quello che secondo me è l’articolo che meglio caratterizza il senso e lo scopo della nostra Carta, l’articolo 3. All’inizio quell’articolo afferma semplicemente il principio dell’eguaglianza formale: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, fin qui siamo nel solco delle costituzioni liberali e borghesi.
Ma poi nel secondo comma cambia tutto, leggiamolo: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.
Ecco, qui la nostra Costituzione afferma che senza eguaglianza sociale non c’è davvero neppure quella formale.
Marchionne che guadagna 50 milioni di euro all’anno ed un operaio Fiat che ne prende 25000 non sono eguali. L’uno ha infinitamente più potere dell’altro.
Per questo il diritto del lavoro non è eguale a quello commerciale, perché la compravendita della prestazione di lavoro non avviene tra contraenti con pari forza contrattuale.
Il diritto del lavoro parte dal presupposto che i rapporti di forza tra impresa e lavoratore vadano riequilibrati a favore di quest’ultimo; ed è proprio per questo che le riforme liberiste degli ultimi trenta anni smantellano il diritto del lavoro e lo sostituiscono con il diritto commerciale.
Secondo la controriforma liberista il lavoro va trattato come qualsiasi altra merce e non deve essere sostenuto da leggi e tutele speciali, altrimenti verrebbero violate le sacre leggi del mercato.
L’articolo 3 riconosce la disparità sociale delle classi come limite assoluto della democrazia e affida alla Repubblica il compito di “rimuovere”, apprezziamo bene la forza di questa parola, gli ostacoli economici all’eguaglianza.
Chi sono i soggetti a cui la Repubblica deve offrire la sua tutela particolare, i cittadini svantaggiati genericamente intesi?
No,sono proprio i lavoratori perché evidentemente per la nostra Costituzione il grado di libertà reale del paese si misura innanzitutto con quello del lavoro.
Una Costituzione classista?
No, democratica nel senso ampio assunto da questa parola dopo la sconfitta del fascismo.
Si noti bene poi che il compito di rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza non è affidato al governo o al suo capo, ma alla Repubblica.
Cioè al governo, al Parlamento, alla magistratura, agli enti locali, a tutte le istituzioni politiche che compongono la Repubblica, comprese le organizzazioni che la Costituzione riconosce come fondamentali, sindacati, partiti, libere associazioni.
Tutto questo è la Repubblica, che si dà il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la reale eguaglianza.
La repubblica prefigurata ed organizzata dalla controriforma di Renzi è invece tutta un’altra cosa.
Prima di tutto nella Costituzione renziana c’è un uomo solo al comando.
Il Parlamento è composto di nominati, direttamente il Senato, indirettamente ma egualmente la Camera.
Che viene eletta con una legge elettorale che concede il potere assoluto alla migliore minoranza, che potrà decidere quello che vuole, o meglio quello che vuole il suo capo, contro la maggioranza del paese che non l’ha scelta per governare.
Un colpo di Stato permanente, frutto del golpe bianco che ha prodotto la stessa legge di riforma.
Non dimentichiamo infatti che un Parlamento dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con una maggioranza che rappresenta poco più del 20% del paese reale, ha smontato un Costituzione votata nel 1947 da oltre il 90% di una Assemblea eletta dal 90% dei cittadini.
Il potere autoritario che scaturisce dai 47 nuovi articoli della Costituzione renziana distrugge l’autonomia di tutte le istituzioni della Repubblica, dal parlamento, alla magistratura, agli enti locali.
I sindaci diventano impiegati del governo, visti i vincoli nazionali ed europei cui sono sottoposti secondo il nuovo articolo 119.
I sindacati, anche per le complicità di Cgil, Cisl e Uil, vengono anch’essi soggiogati al sistema di potere.
Che a sua volta deve obbedire a vincoli e ordini superiori, quelli dettati dal vincolo europeo.
In sintesi, la controriforma della Costituzione è un tavolo a tre gambe.
Quella centrale, su cui siamo chiamati ad esprimerci con il referendum, organizza il sistema di potere attorno al capo.
Un’altra gamba è l’Italicum, la legge elettorale truffa che determina chi sarà il capo.
La terza gamba è il nuovo articolo 81, che impone anche al capo un vincolo superiore: quello del Fiscal Compact europeo, il pareggio di bilancio obbligatorio costituzionalmente.
Una repubblica autoritaria a sovranità limitata, questo è ciò che sta sul tavolo della controriforma costituzionale.
Altro che rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e la partecipazione dei lavoratori, la nuova repubblica si dà un altro mandato, quello di rimuovere gli ostacoli alla libertà d’impresa.
Nel nome del mercato e della austerità europea, il capo supremo deve fare sì che la repubblica sia sempre più appetibile per gli investimenti della finanza e delle multinazionali, che devono essere attirati come dice la propaganda liberista dominante.
È la repubblica del Ttip, il trattato internazionale che vorrebbe concedere il diritto alla extraterritorialità giudiziaria alle multinazionali, prima di tutto sui diritti del lavoro e sulla tutela della salute e dell’ambiente.Le fonti ispiratrici di questa Costituzione di mercato sono chiaramente rintracciabili nei centri del potere finanziario europeo e multinazionale.
Basta rileggersi la lettera del 5 agosto 2011, indirizzata al governo italiano da Draghi e Trichet, cioè dalla Banca Centrale Europea.
Quel testo definiva un preciso programma di governo e di riforma costituzionale, realizzati poi in gran parte dagli esecutivi che si sono succeduti da allora alla guida del paese.
E poi bisogna ricordare il documento del 28 maggio 2013 stilato dalla Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale.
Quella banca allora scrisse in un suo documento che le riforme liberiste nei paesi europei periferici, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali.
Quelle Costituzioni, ricordava sempre la banca, figlie della sconfitta del fascismo e della parte rilevante avuta in essa dalle forze di sinistra socialiste e comuniste.
Per questa ragione storica le Costituzioni antifasciste tutelano troppo il lavoro, danno troppo potere alle opposizioni così come alle regioni e ai comuni, garantiscono i sindacati e in definitiva danno potere di veto a chiunque scenda in piazza per difendere i propri interessi.
Le riforme liberiste della economia e della società non avrebbero mai potuto dispiegarsi con tutta la loro efficacia senza cambiare quelle costituzioni, concludeva infine la banca.
Non può esservi dubbio che la legge Boschi corrisponda meticolosamente agli indirizzi di riforma costituzionale rivendicati dalla Banca Morgan e che la sua messa in opera cancellerebbe la sostanza della Costituzione antifascista.
Bisogna votare No alla controriforma, affinché l’Italia sia ancora una repubblica democratica fondata sul lavoro e non sulle banche.
(Giorgio Cremaschi, “Il referendum costituzionale è popolo contro banche”, da “Micromega” del 31 luglio 2016).
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
I SIGNORI DELLA TRUFFA
“Con le riforme la democrazia sarà più veloce”
Ma in Parlamento nasce una legge ogni 5 giorni
Renzi e Boschi dicono che con il sì l’iter legislativo sarà più rapido e con meno ostacoli per la maggioranza
Ma dal 2013 a oggi le Camere hanno dato l’ok a 241 leggi. E 196 (l’81%) erano di iniziativa governativa
renzi-senato-pp
Referendum Costituzionale
“Una democrazia più veloce”. Renzi lo ripete spesso quando magnifica la sua riforma costituzionale. Ma i numeri smentiscono che oggi il processo legislativo impedisca decisioni veloci. Durante la legislatura 2008-2013 sono state approvate in tutto 391 leggi, una ogni 4 giorni e mezzo. Nella legislatura attuale, iniziata nel 2013, il Parlamento ha approvato 241 leggi, cioè più o meno una ogni cinque giorni: di queste, 196 di iniziativa governativa, vale a dire oltre l’81%. Ma non solo: le due più importanti leggi uscite dalle Camere – unioni civili e omicidio stradale – sono state entrambe riscritte dal governo e approvate col voto di fiducia di Marco Palombi
“Con le riforme la democrazia sarà più veloce”
Ma in Parlamento nasce una legge ogni 5 giorni
Renzi e Boschi dicono che con il sì l’iter legislativo sarà più rapido e con meno ostacoli per la maggioranza
Ma dal 2013 a oggi le Camere hanno dato l’ok a 241 leggi. E 196 (l’81%) erano di iniziativa governativa
renzi-senato-pp
Referendum Costituzionale
“Una democrazia più veloce”. Renzi lo ripete spesso quando magnifica la sua riforma costituzionale. Ma i numeri smentiscono che oggi il processo legislativo impedisca decisioni veloci. Durante la legislatura 2008-2013 sono state approvate in tutto 391 leggi, una ogni 4 giorni e mezzo. Nella legislatura attuale, iniziata nel 2013, il Parlamento ha approvato 241 leggi, cioè più o meno una ogni cinque giorni: di queste, 196 di iniziativa governativa, vale a dire oltre l’81%. Ma non solo: le due più importanti leggi uscite dalle Camere – unioni civili e omicidio stradale – sono state entrambe riscritte dal governo e approvate col voto di fiducia di Marco Palombi
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
I SIGNORI DELLA TRUFFA........E I MERLI TRICOLORI
Riforme costituzionali, il Parlamento? Già abolito: il governo fa l’81% delle leggi
di Marco Palombi | 17 agosto 2016
| Commenti (199)
“Una democrazia più veloce”. Matteo Renzi lo ripete spesso quando magnifica la sua riforma costituzionale. Ma che vuol dire? Angelino Alfano, che è comunicativamente meno scaltro, la mette così: “Leggi più veloci”. In un articolo per l’Unità del 16 marzo, Maria Elena Boschi scriveva quanto segue: “Già nell’Assemblea Costituente, Calamandrei intervenne ricordando come il vero rischio della democrazia è quello di governi che non sono in grado di decidere. Abbiamo bisogno di capacità decisionali e di procedimenti legislativi più rapidi e non di un sistema immaginato e pensato a quei tempi, in cui forse si credeva si dovesse decidere raramente”. Bisogna decidere e farlo in fretta. Sembra un argomento di buon senso, ma non lo è. I motivi sono (almeno) due: non risulta che la fretta sia mai stata buona alleata della politica (ricordate gli esodati?) e non è affatto vero che si producano poche leggi e in tempi biblici. La verità è che da tempo, e mai come in questa legislatura, il Parlamento s’è assunto un ruolo servile rispetto al governo, lasciandosi sottrarre l’intera funzione legislativa. Se a questo si aggiunge che spesso il governo legifera su espresso ricatto (il “Tina”, There is no alternative, non c’è alternativa) delle istituzioni europee o dei famosi “mercati” si capisce quanto siamo lontani da “la sovranità appartiene al popolo” dell’articolo 1 della Costituzione.
Le statistiche ufficiali contro i luoghi comuni
I numeri, in ogni caso, smentiscono che ci si trovi di fronte a un processo legislativo che impedisce decisioni veloci. Quelli della XVI legislatura (2008-2013) dicono che sono state approvate in tutto 391 leggi: divise per i 1.780 giorni della sua durata, significa una legge ogni 4 giorni e mezzo contando pure i sabati e le domeniche. Di quei 391 testi divenuti legge, peraltro, ben 298 sono di iniziativa governativa e solo 91 frutto di volontà primaria del Parlamento (due dalle Regioni): il tempo medio per approvare un ddl del governo tra il 2008 e il 2013 è stato di 116 giorni, dato che ovviamente scende a meno della metà per i molti decreti legge (che vanno approvati o respinti in due mesi). Le proposte dei parlamentari, invece, ci hanno messo in media 442 giorni per vedere la luce.
E veniamo all’oggi, cioè alla XVII legislatura, iniziata il 15 marzo del 2013. La situazione, se possibile, è ancora peggiorata quanto al rapporto di forza tra governo e Parlamento. Nei 1.240 giorni fino alle ferie di agosto 2016, il Parlamento ha approvato 241 leggi, cioè più o meno una ogni cinque giorni: di queste 196 sono di iniziativa governativa (115 disegni di legge, 68 decreti, 12 leggi di bilancio, un ddl costituzionale), vale a dire oltre l’81%. Venti di queste leggi contenevano deleghe al governo, cioè la rinuncia del Parlamento a legiferare direttamente. Il tempo di approvazione medio è stato di 168 giorni, che scendono a 43 giorni per i 68 decreti e a 52 giorni per le 12 leggi di bilancio. Nello stesso periodo le proposte di iniziativa parlamentare approvate definitivamente sono state la miseria di 43 e con un tempo medio per il via libera di 497 giorni.
Non c’è solo la forza dei numeri, anche la qualità dell’iniziativa legislativa lasciata agli eletti del popolo non è di prim’ordine: le due più importanti leggi uscite dalle Camere sono le “unioni civili” e il cosiddetto “omicidio stradale”, entrambe riscritte dal governo e approvate col voto di fiducia. Il resto è magari sacrosanto, ma di scarso rilievo, soprattutto perché il Parlamento non è sostanzialmente autorizzato a proporre leggi di spesa: dall’istituzione della commissione d’inchiesta sull’omicidio Moro alla “distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”; dalle “disposizioni in materia di agricoltura sociale” al gioiello della corona, cioè l’ennesima delega al governo (“riforma del sistema dei confidi”).
I risultati di Matteo: Camere dimenticate
Il governo Renzi non fa eccezione, anzi giganteggia: 109 le leggi di sua iniziativa già approvate, con 43 decreti e 13 deleghe di enorme impatto (dal Jobs Act alla riforma Madia, da quella della Rai alla Buona Scuola, eccetera). Nei circa 900 giorni dal giuramento, l’esecutivo in carica ha fatto approvare al Parlamento una legge ogni 8 giorni e per ben 56 volte (l’ultima il 2 agosto) questo è avvenuto col voto di fiducia, un record difficilmente battibile, dovuto più alla volontà di silenziare difficoltà politiche nel rapporto con le Camere che alla fretta.
È appena il caso di notare che questo strapotere sul Parlamento e l’effettiva profondità delle riforme approvate dal governo Renzi sulla scia della famosa lettera “programmatica” della Bce dell’estate 2011 (precarizzazione del lavoro, flessibilità anche nella Pubblica amministrazione, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni) non paiono aver aiutato granché a migliorare le performance del sistema Paese. Non c’è architettura istituzionale o potenza elettorale che possano impedire a soluzioni sbagliate di rivelarsi dannose.
di Marco Palombi | 17 agosto 2016
Riforme costituzionali, il Parlamento? Già abolito: il governo fa l’81% delle leggi
di Marco Palombi | 17 agosto 2016
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“Una democrazia più veloce”. Matteo Renzi lo ripete spesso quando magnifica la sua riforma costituzionale. Ma che vuol dire? Angelino Alfano, che è comunicativamente meno scaltro, la mette così: “Leggi più veloci”. In un articolo per l’Unità del 16 marzo, Maria Elena Boschi scriveva quanto segue: “Già nell’Assemblea Costituente, Calamandrei intervenne ricordando come il vero rischio della democrazia è quello di governi che non sono in grado di decidere. Abbiamo bisogno di capacità decisionali e di procedimenti legislativi più rapidi e non di un sistema immaginato e pensato a quei tempi, in cui forse si credeva si dovesse decidere raramente”. Bisogna decidere e farlo in fretta. Sembra un argomento di buon senso, ma non lo è. I motivi sono (almeno) due: non risulta che la fretta sia mai stata buona alleata della politica (ricordate gli esodati?) e non è affatto vero che si producano poche leggi e in tempi biblici. La verità è che da tempo, e mai come in questa legislatura, il Parlamento s’è assunto un ruolo servile rispetto al governo, lasciandosi sottrarre l’intera funzione legislativa. Se a questo si aggiunge che spesso il governo legifera su espresso ricatto (il “Tina”, There is no alternative, non c’è alternativa) delle istituzioni europee o dei famosi “mercati” si capisce quanto siamo lontani da “la sovranità appartiene al popolo” dell’articolo 1 della Costituzione.
Le statistiche ufficiali contro i luoghi comuni
I numeri, in ogni caso, smentiscono che ci si trovi di fronte a un processo legislativo che impedisce decisioni veloci. Quelli della XVI legislatura (2008-2013) dicono che sono state approvate in tutto 391 leggi: divise per i 1.780 giorni della sua durata, significa una legge ogni 4 giorni e mezzo contando pure i sabati e le domeniche. Di quei 391 testi divenuti legge, peraltro, ben 298 sono di iniziativa governativa e solo 91 frutto di volontà primaria del Parlamento (due dalle Regioni): il tempo medio per approvare un ddl del governo tra il 2008 e il 2013 è stato di 116 giorni, dato che ovviamente scende a meno della metà per i molti decreti legge (che vanno approvati o respinti in due mesi). Le proposte dei parlamentari, invece, ci hanno messo in media 442 giorni per vedere la luce.
E veniamo all’oggi, cioè alla XVII legislatura, iniziata il 15 marzo del 2013. La situazione, se possibile, è ancora peggiorata quanto al rapporto di forza tra governo e Parlamento. Nei 1.240 giorni fino alle ferie di agosto 2016, il Parlamento ha approvato 241 leggi, cioè più o meno una ogni cinque giorni: di queste 196 sono di iniziativa governativa (115 disegni di legge, 68 decreti, 12 leggi di bilancio, un ddl costituzionale), vale a dire oltre l’81%. Venti di queste leggi contenevano deleghe al governo, cioè la rinuncia del Parlamento a legiferare direttamente. Il tempo di approvazione medio è stato di 168 giorni, che scendono a 43 giorni per i 68 decreti e a 52 giorni per le 12 leggi di bilancio. Nello stesso periodo le proposte di iniziativa parlamentare approvate definitivamente sono state la miseria di 43 e con un tempo medio per il via libera di 497 giorni.
Non c’è solo la forza dei numeri, anche la qualità dell’iniziativa legislativa lasciata agli eletti del popolo non è di prim’ordine: le due più importanti leggi uscite dalle Camere sono le “unioni civili” e il cosiddetto “omicidio stradale”, entrambe riscritte dal governo e approvate col voto di fiducia. Il resto è magari sacrosanto, ma di scarso rilievo, soprattutto perché il Parlamento non è sostanzialmente autorizzato a proporre leggi di spesa: dall’istituzione della commissione d’inchiesta sull’omicidio Moro alla “distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi”; dalle “disposizioni in materia di agricoltura sociale” al gioiello della corona, cioè l’ennesima delega al governo (“riforma del sistema dei confidi”).
I risultati di Matteo: Camere dimenticate
Il governo Renzi non fa eccezione, anzi giganteggia: 109 le leggi di sua iniziativa già approvate, con 43 decreti e 13 deleghe di enorme impatto (dal Jobs Act alla riforma Madia, da quella della Rai alla Buona Scuola, eccetera). Nei circa 900 giorni dal giuramento, l’esecutivo in carica ha fatto approvare al Parlamento una legge ogni 8 giorni e per ben 56 volte (l’ultima il 2 agosto) questo è avvenuto col voto di fiducia, un record difficilmente battibile, dovuto più alla volontà di silenziare difficoltà politiche nel rapporto con le Camere che alla fretta.
È appena il caso di notare che questo strapotere sul Parlamento e l’effettiva profondità delle riforme approvate dal governo Renzi sulla scia della famosa lettera “programmatica” della Bce dell’estate 2011 (precarizzazione del lavoro, flessibilità anche nella Pubblica amministrazione, tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni) non paiono aver aiutato granché a migliorare le performance del sistema Paese. Non c’è architettura istituzionale o potenza elettorale che possano impedire a soluzioni sbagliate di rivelarsi dannose.
di Marco Palombi | 17 agosto 2016
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
SPECCHIO, …SPECCHIO DELLE MIE BRAME, MA QUANTI SONO I MERLI DI QUESTO REAME(ITALIA)???????
Estratto da un’articolo di http://www.milanofinanza.it/ del 18 agosto 2016:
“Secondo il Times, in particolare, "Renzi spera che rilanciare la spesa possa contribuire a conquistare il favore dell'elettorato prima del referendum di novembre con cui ha messo in gioco il suo futuro" politico”
ERGO, ANCHE IL TIMES HA COMPRESO CHE LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON VALE ASSOLUTAMENTE UN FICO SECCO.
LE BUFALE CHE RACCONTANO LA BOSCHI E MUSSOLONI, SONO SOLO UNA TRUFFA MADORNALE NEI CONFRONTI DEGLI ITALIANI ABITUATI A BERSI DI TUTTO O DI PIU’, OLTRE AI SOLITI APPROFITTATORI CHE SPERANO DI RICAVARE QUALCOSA DAL NUOVO REGIME FASCISTA, COME IMPRENDITORI, CONFINDUSTRIA, E OGGI ANCHE COMUNIONE E LIBERAZIONE CHE APPOGGIA IL SI.
MUSSOLONI SPERA DI AVERE A DISPOSIZIONE SOLDI PER COMPRARE ULTERIORMENTE GLI ITALIANI AL REFERENDUM.
LUI, POLITICAMENTE, SA FARE SOLO QUESTO, COMPRARE I MERLI CHE CREDONO AGLI ASINI CHE VOLANO.
QUESTO CI PORTA AD UN DETTO DEL VECCHIO GIULIO (ANDREOTTI).
“A PENSAR MALE SI FA PECCATO, MA SPESSO CI SI AZZECCA”
I PROCEDIMENTI GIUDIZIARI NEI CONFRONTI DEI RISPETTIVI PADRI SONO FERMI. ADDORMENTATI.
ADDIRITURA A GENOVA, TIZIANO RENZI :
Genova, archiviate le accuse contro il padre di Renzi nell'inchiesta per ...
http://www.lastampa.it › Cronache
1.
29 lug 2016 - Sono felice per i miei amici e soprattutto per i miei nipoti che non hanno mai ... Genova, la procura chiede l'archiviazione per il padre di Renzi.
Bancarotta Chil Post, pm Genova chiede archiviazione per Tiziano ...
http://www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità
1.
2.
21 mar 2015 - La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva ... del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non
A SOROS E COMBRICCOLA, BOSCHI E RENZI ERANO DUE PERSONAGGI ADATTI PER ESSERE RICATTATI, E PROCEDERE ALLA SOTTOMISSIONE DELL’ITALIA AL GLOBALISMO VOLUTO DAI NEO LIBERISTI.
E NOI DOVREMMO VOTARE SI PER COMPIACERE A SOROS E COMBRICCOLA DI IENE AFFAMATE DI DENARO E POTERE?????
MA SIAMO DIVENTATI MATTI????????
Estratto da un’articolo di http://www.milanofinanza.it/ del 18 agosto 2016:
“Secondo il Times, in particolare, "Renzi spera che rilanciare la spesa possa contribuire a conquistare il favore dell'elettorato prima del referendum di novembre con cui ha messo in gioco il suo futuro" politico”
ERGO, ANCHE IL TIMES HA COMPRESO CHE LA RIFORMA COSTITUZIONALE NON VALE ASSOLUTAMENTE UN FICO SECCO.
LE BUFALE CHE RACCONTANO LA BOSCHI E MUSSOLONI, SONO SOLO UNA TRUFFA MADORNALE NEI CONFRONTI DEGLI ITALIANI ABITUATI A BERSI DI TUTTO O DI PIU’, OLTRE AI SOLITI APPROFITTATORI CHE SPERANO DI RICAVARE QUALCOSA DAL NUOVO REGIME FASCISTA, COME IMPRENDITORI, CONFINDUSTRIA, E OGGI ANCHE COMUNIONE E LIBERAZIONE CHE APPOGGIA IL SI.
MUSSOLONI SPERA DI AVERE A DISPOSIZIONE SOLDI PER COMPRARE ULTERIORMENTE GLI ITALIANI AL REFERENDUM.
LUI, POLITICAMENTE, SA FARE SOLO QUESTO, COMPRARE I MERLI CHE CREDONO AGLI ASINI CHE VOLANO.
QUESTO CI PORTA AD UN DETTO DEL VECCHIO GIULIO (ANDREOTTI).
“A PENSAR MALE SI FA PECCATO, MA SPESSO CI SI AZZECCA”
I PROCEDIMENTI GIUDIZIARI NEI CONFRONTI DEI RISPETTIVI PADRI SONO FERMI. ADDORMENTATI.
ADDIRITURA A GENOVA, TIZIANO RENZI :
Genova, archiviate le accuse contro il padre di Renzi nell'inchiesta per ...
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1.
29 lug 2016 - Sono felice per i miei amici e soprattutto per i miei nipoti che non hanno mai ... Genova, la procura chiede l'archiviazione per il padre di Renzi.
Bancarotta Chil Post, pm Genova chiede archiviazione per Tiziano ...
http://www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità
1.
2.
21 mar 2015 - La procura di Genova ha chiuso le indagini per la vicenda che vedeva ... del tribunale di Genova Roberta Bossi si legge che Renzi padre “non
A SOROS E COMBRICCOLA, BOSCHI E RENZI ERANO DUE PERSONAGGI ADATTI PER ESSERE RICATTATI, E PROCEDERE ALLA SOTTOMISSIONE DELL’ITALIA AL GLOBALISMO VOLUTO DAI NEO LIBERISTI.
E NOI DOVREMMO VOTARE SI PER COMPIACERE A SOROS E COMBRICCOLA DI IENE AFFAMATE DI DENARO E POTERE?????
MA SIAMO DIVENTATI MATTI????????
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Re: referendum costituzionale 2016 -SE VINCE IL NO
SCRIVE WANDA MARRA, OGGI SUL FATTO QUOTIDIANO:
Matteo Renzi nei Tg
italiani a giugno
ha parlato più di
tutta l’o pp o si zi one
messa insieme: 11 ore e 6
minuti, contro le 10 ore e
mezzo circa di tutta l’opposi -
zione messa insieme.
Violazioni a parte, il risultato sembra consolante, se Mussoloni prevalendo sul piccolo schermo a luglio è fermo al 47% con i SI, mentre i NO sono al 53%, secondo la maggioranza degli istituti di rilevamento.
Significa che è poco credibile malgrado l'impegno profuso.
Se va avanti così sarà un flop sicuro.
Ma non bisogna addormentarsi sugli allori. Bisogna combattere fino alla fine, perché se dovesse vincere vedremo il vero volto di Mussoloni, non molto difforme dai suoi predecessori, Benito, Adolf e Giuseppe.
Matteo Renzi nei Tg
italiani a giugno
ha parlato più di
tutta l’o pp o si zi one
messa insieme: 11 ore e 6
minuti, contro le 10 ore e
mezzo circa di tutta l’opposi -
zione messa insieme.
Violazioni a parte, il risultato sembra consolante, se Mussoloni prevalendo sul piccolo schermo a luglio è fermo al 47% con i SI, mentre i NO sono al 53%, secondo la maggioranza degli istituti di rilevamento.
Significa che è poco credibile malgrado l'impegno profuso.
Se va avanti così sarà un flop sicuro.
Ma non bisogna addormentarsi sugli allori. Bisogna combattere fino alla fine, perché se dovesse vincere vedremo il vero volto di Mussoloni, non molto difforme dai suoi predecessori, Benito, Adolf e Giuseppe.
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