La crisi dell'Europa

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cielo 70
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da cielo 70 »

Così da un'inflazione del 10% (e non dello 0,3 come vogliono inculcare) diventa dell'80%, senza che si potranno aumentare gli stipendi. E i tassi (una delle poche cose positive di questa moneta) dove arrivano?
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

Messaggio da camillobenso »

Repubblica 31.8.16
Rajoy cerca la fiducia ma gli mancano sei voti
Ieri il discorso alle Cortes: “O me o il caos. Io sono la sola possibilità di dare alla Spagna un governo”
di Alessandro Oppes


MADRID. Ottanta minuti per un discorso che, salvo colpi di scena altamente improbabili, non produrrà alcun frutto concreto. Mariano Rajoy si presenta davanti alle Cortes due mesi dopo le elezioni di fine giugno e al termine di un’estate senza vacanze per chiedere un’investitura presidenziale che, lo sa già, il Parlamento non gli concederà. Né oggi in prima votazione, quando occorre la maggioranza assoluta di 176 deputati, né venerdì prossimo quando sarebbe sufficiente la maggioranza semplice. Non basta la giravolta dell’ultim’ora propiziata dai centristi di Ciudadanos («Mai con Rajoy», ripeteva da mesi il loro leader Albert Rivera) che dopo una trattativa- lampo con il Partito Popolare ha deciso di far confluire sul candidato il pacchetto dei suoi 32 seggi. La somma fa 170, mancano almeno 6 “sì” e non arriveranno dai socialisti né da alcun altro gruppo politico. Per questo Rajoy insiste sull’ineluttabilità di un governo da lui guidato: in caso contrario — ed ecco tornare il “discurso del miedo”, la minaccia basata sulla paura — la Spagna si vedrebbe condannata a tornare alle urne per la terza volta in un anno. In più, addirittura il giorno di Natale, in conseguenza della rigida applicazione dell’”orologio istituzionale” messo in marcia in modo malizioso fissando per oggi il primo voto d’investitura. «Io o il caos», è la sostanza della teoria ripetuta fino alla sazietà da Rajoy che sei mesi fa, quando il candidato premier era il socialista Pedro Sánchez, lo ridicolizzò perché si presentava alle Cortes senza avere i voti sufficienti. Ora il leader popolare rischia di trovarsi in una situazione simile. Ma oggi, dalla tribuna parlamentare, Sánchez gli confermerà il “no” del Psoe. Dal fronte di Podemos, Pablo Iglesias propone di rilanciare il dialogo con il Psoe. Sánchez per ora non risponde, da venerdì si vedrà.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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E
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camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Germania, proiezioni elezioni regionali: “Populisti di destra superano Cdu di Angela Merkel”

Mondo
Secondo gli exit poll alle elezioni del Meclemburgo. l’Alternativa per la Germania (Afd) avrebbe ottenuto il 21,5% dei voti mentre l’Unione cristiano-democratica si fermerebbe al 20%, il suo peggiore risultato nel Land ex-Ddr, da dove proviene la stessa cancelliera. Vincono i socialdemocratici della Spd con il 30 % in calo rispetto al 35,6% del 2011
di F. Q. | 4 settembre 2016
COMMENTI (46)

I populisti di destra superano la Cdu di Angela Merkel, diventano il secondo partito dei Laender Meclemburgo-Pomerania e per la prima volta entrano al Parlamento regionale. È un duro colpo quello incassato dal partito della cancelliera tedesca, sconfitta proprio nel land che le ha dato le origini. Secondo la proiezione diffusa dalla rete Zdf, elaborata dopo alcuni exit poll, l’Afd, l’Alternativa per la Germania, conquista il 21,5% dei voti nelle elezioni regionali di Meclemburgo-Pomerania, piazzandosi al secondo posto dietro i socialdemocratici della Spd, che conquistano il 30,5%, in calo rispetto al 35,6% del 2011. Soltanto terza la Cdu, l’Unione cristiano-democratica con il 20% dei voti: sarebbe il peggior risultato da quando si vota in Meclemburgo dopo la caduta del Muro. Il land, infatti, faceva parte della ex-Ddr ed è da qui che proviene la stessa Mekel.


Una sconfitta, quella della Cdu, che per il segretario generale del partito Peter Tauber, è da attribuire “alla diffusa rabbia e protesta nella popolazione” e ha a che fare “chiaramente con la discussione sui profughi”. “Ma siamo una squadra – ha aggiunto sempe Tauber- vinciamo insieme e perdiamo insieme”.

“Per Angela Merkel è un tonfo non solo a Berlino ma anche nel suo collegio elettorale del Meclemburgo” e “la sua catastrofica politica sull’immigrazione” ha oscurato tutti gli altri campi della politica, ha invece commentato la leader di Afd Frauke Petry. “Gli altri partiti sono stati bocciati perché per troppo tempo non hanno ascoltato gli elettori”, ha aggiunto Petry. La leader del partito nazional-populista ha peò spiegato che il suo patito farà “un buon lavoro di opposizione” e non “un’opposizione di tipo fondamentalista“.

Nonostante la crescita dei populisti di desta, infatti, Spd e Cdu “potrebbero continuare”, sulla base nei numeri, a governare il parlamento regionale del Meclemburgo: lo scrive il sito della Frankfurter Allgemeine Zeitung. Le proiezioni dei canali pubblici Ard e Zdf – riportate dall’agenzia Dpa -assegnano alla Spd da 24 a 25 seggi e alla Cdu da 15 a 16, quindi almeno 39 dei 71 mandati disponibili nel Landtag di Schwerin: finora i due partiti ne avevano 45.

Alta l’affluenza che è cresciuta di circa il tre % rispetto al 2011 l’affluenza alle urne, come ha reso noto la portavoce della commissione elettorale Doris Petersen-Goes, citando i risultati delle due di questo pomeriggio, quando avevano votato il 32,8 % degli 1,3 milioni di aventi diritto. Secondo gli exit poll Linke conquisterebbe il 12,5 %, Verdi 5 %, Fdp %, Npd 3 %, altri 5 %.

Negli ultimi mesi la politica del governo Merkel di fronte alla crisi dei migranti è stata contestata sia all’interno del suo partito sia dall’Unione socialdemocratica di Baviera (Csu), partito gemello della Cdu. Già in Sassonia-Anhalt, l’ascesa dell’Afd aveva portato alla perdita della maggioranza parlamentare per Cdu e Spd, che si erano visti costretti ad allearsi ai Verdi.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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GERMANIA
La destra xenofoba Afd
umilia la Cdu di Merkel

Il trauma alle regionali in Meklemburgo-Pomerania. Resiste in testa la Spd

» ROBERTO ZANINI
Wir schaffen das, ce
la faremo, aveva
detto frau Merkel.
Era esattamente
un anno fa, il 4 settembre
2015, alla stazione di Budapest
si accumulavano centinaia
di migranti bloccati dal
governo di destra ungherese e
la Germania decise, con un atto
di umanità e coraggio, di aprir
loro le frontiere. W ir
schaffen das, ce la faremo, disse
frau Merkel. Ieri alle elezioni
nel Mecklenburgo-Pomerania,
la Cdu ha incassato la
peggior sconfitta da quando si
vota, dopo il crollo del Muro. E
quei voti li ha presi tutti - e
molti altri, tolti a tutti ma proprio
tutti i partiti - il partito
della destra xenofoba Afd.
Quello che criticò a man bassa
la scelta migratoria del governo
tedesco. Quella che festeggiava
a più non posso quando
la Gran Bretagna fece Brexit.
Il Mecklenburgo è il Land
più piccolo di Germania, meno
di un milione e mezzo di abitanti,
e da sempre vota in
modo piuttosto eccentrico rispetto
al resto del paese. Premia
la Linke e i Republikaner
- cioé l’estrema sinistra e la
destra neofascista - in misura
di solito superiore alla media
tedesca. Manteneva una maggioranza
socialdemocratica
quando il resto del paese votava
democristiano. Insomma,
non è il più attendibile dei
test elettorali.
MA È IL LAND di frau Merkel,
che è nata nella città-stato di
Amburgo ma è in Meklenburgo
che ha il suo collegio elettorale.
È il primo voto in Germania
dopo Brexit, e il primo
con la questione migranti appesa
al collo. E soprattutto,
non è che la Cdu sia semplicemente
scesa e la Afd sia salita:
è la seconda ha sorpassato la
prima. Nel piccolo, eccentrico
Land, Alternative für Deutschland
ha più voti della storica,
poderosa Christlich Demokratische
Union.
Il governo del Meklenburgo
non cambierà: malgrado la
batosta, la Spd e la Cdu insieme
avrebbero ancora almeno 39
posti nel Landtag, un soffio sopra
la maggioranza che è di 36,
e potrebbero continuare con la
Grosse Koalition uscente.
Ma la botta è pesante lo stesso.
Secondo le proiezioni della
rete pubblica Ard, il primo
partito resta la Spd con il
30,5%, ma perde cinque punti.
Il secondo è la Adf, balzata al
21% (nelle elezioni precedenti,
la formazione xenofoba non
esisteva). Solo al terzo posto la
Cdu, con il 19,2% e 3 punti in
meno delle precedenti elezioni.
Ma l’emorragia è comune a
tutti. La Linke crolla al 12,6%
con 6 punti in meno, i Verdi
che sfioravano il 9% ora sono al
5%, a un soffio dalla soglia di
sbarramento. Alla quale non
arrivano sia i Republikaner
neofascisti precipitati al 3,2%
(erano oltre il 6%) che i liberali
del Fdp fermati al 3%. Un’eca -
tombe comune, dopo la quale
esulta solo il nuovo partito guidato
da Frauke Petry.
Giovane, affamata - ha fatto
fuori senza alcuna pietà il precedente
leader del partito, il
fondatore Bernd Lucke, costretto
a uscire e fondarsene
un altro - Frauke Petry non ha
atteso per celebrare. “Per Angela
Merkel è un tonfo non solo
a Berlino”, ha detto, e la sua
“catastrofica politica sull’im -
migrazione” ha oscurato tutti
gli altri campi della politica.
MENTRE IL SEGRETARIO gene -
rale della Cdu Peter Tauber
parla di “riusultato amaro”, legato
ovviamente alla gestione
del tema ”r i f u gi a t i”. Invece
per il leader dei Verdi Cem
Oezdemir la sconfitta non è
fatta solo di profughi (“tutti i
partiti democratici hanno perso”)
ma si deve anche “allo stile
di governo della grande coalizione
a Berlino”.
Se i migranti sono il tema
preferito, non è che la Afd non
disdegni di esprimersi su altro:
niente matrimoni omosessuali,
ad esempio, niente adozioni
omosessuali, niente aborto,
ma anche basta quote rosa, equiparazione
tra i sessi e cattedre
universitarie sugli studi
di genere. Un partito di ultradestra
particolarmente accanito
contro le leggi sul diritto
d’asilo, quindi, lanciato alla
conquista della Germania. E
sulla mappa d’Europa, le ultradestre
grandi e/o al potere
cominciano a essere tante: in
Francia, Olanda, Belgio, Slovacchia,
Ungheria, Polonia,
Grecia, Gran Bretagna, Austria...
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camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Elezioni Germania, Merkel crolla nel suo land: boom dei populisti xenofobi di Afd. “Colpa della sua politica sugli immigrati”

Mondo
Nelle elezioni nel land orientale, la Cdu della cancelliera si è fermata al 19,0% dei voti, superato dall'Afd al 20,8%. Davanti a tutti il partito socialdemocratico col 30,6%. Sul banco degli imputati la politica di apertura ai profughi decisa un anno fa dalla leader tedesca
di F. Q. | 5 settembre 2016
COMMENTI (1125)
602

“Angela Merkel si rovescia da sola. Lei e l’Spd illudono i cittadini, che si tratti di finanza o di crisi dei migranti, sono sul punto di liquidare questo Paese e per questo le persone votano Afd”. E’ la fotografia scattata da Frauke Petry, leader di Alternativa per la Germania, il partito populista di destra anti-immigrati che ha registrato un boom alle elezioni in Meclemburgo, land dell’ex Germania orientale, dove si presentava per la prima volta.

La Cdu della cancelliera si è fermata al 19,0% dei voti, superato dall’Afd al 20,8%. A vincere è stato il partito socialdemocratico col 30,6%. I cristiano-democratici hanno dunque perso 4,0 punti rispetto alle precedenti elezioni del 2011, quando già avevano avuto il peggior risultato di sempre in Meclemburgo, e la Spd 5,0. Gi altri “risultati finali provvisori” annunciati dall’agenzia tedesca attribuiscono il 13,2% (-5,2 punti) al partito di sinistra Linke e 4,8% (-3,9) ai Verdi che quindi escono dal Landtag di Schwerin assieme ai neonazisti della Npd (3,0%, -3,0 punti). Già fuori erano i liberali della Fdp che hanno ottenuto il 3,0% (in aumento di 0,2 punti rispetto alle precedenti elezioni). L’affluenza, in aumento di 10,1 punti, è stata del 61,6%.


Il tonfo della Merkel, e per giunta nel suo collegio elettorale per eccellenza, arriva a un anno esatto dalla decisione che, secondo i suoi detrattori, ha segnato l’inizio della fine. Quale? Aprire le frontiere a quei profughi che la scorsa estate stavano ingrossando a dismisura la cosiddetta rotta balcanica ponendo così fine a una crisi umanitaria provocata dalla chiusura delle frontiere ungheresi.

“Tutta colpa della catastrofica politica sull’immigrazione di Angela Merkel. Tutti i partiti sono stati bocciati perché per troppo tempo non hanno ascoltato gli elettori”, arringava già nella serata di domenica la Petry, battagliera quarantenne leader del partito di destra radicale, che dal canto suo assicura “un’opposizione non fondamentalista”. Parlando al termine del G20 in Cina, la cancelliera ha difeso però la sua politica delle “porte aperte” verso i migranti, alla base della sconfitta, ribadendo che “le decisioni prese negli ultimi mesi sono giuste”. Ma, “naturalmente” la sconfitta di ieri “ha a che fare con la politica dei rifugiati, dunque sono io la responsabile”. “Comunque – ha aggiunto, parlando ai giornalisti – credo che le decisioni che abbiamo preso siano giuste e dobbiamo continuare a lavorare” su questa strada. La cancelliera ha detto inoltre di “aver preso nota del fatto che molte persone al momento non hanno fiducia sufficiente nella nostra capacità di risolvere questi problemi, anche se abbiamo fatto un gran lavoro per quanto riguarda il numero di rifugiati che arrivano e la prospettiva di preparare l’integrazione e sostenere le municipalità”.

Anche in campo cristiano democratico i commenti sono simili. Il presidente della Cdu Peter Tauber, attribuisce la sconfitta “alla diffusa rabbia e protesta nella popolazione” collegata “chiaramente con la discussione sui profughi”. Anche il leader della Spd e vice cancelliere Sigmar Gabriel ha spiegato il risultato alla stessa maniera e ha esortato indirettamente i partner di governo Cdu della grande coalizione a “realizzare le condizioni per l’integrazione” dei migranti per evitare che i tedeschi “si sentano marginalizzati”.

Parole pesanti che dimostrano come negli ultimi mesi la politica del governo di fronte alla crisi dei migranti abbia creato malumori all’interno del suo partito, tra gli alleati di governo della Spd e creato tensioni con la formazione gemella bavarese della Csu. L’alleato chiede a Merkel “una seria analisi del voto”, ha detto l’ex presidente della Baviera, Edmund Stoiber, perché “non è certo un rafforzamento quando nella propria regione viene scalfito il carattere di massa del partito”. In una dichiarazione alla Bild, il ministro delle Finanze bavarese Markus Soeder, uno dei più critici in passato con la politica di accoglienza sui profughi, spinge per “un cambio di rotta” a Berlino: “L’umore dei cittadini non si può più ignorare”, ha detto. Già in Sassonia-Anhalt, l’ascesa dell’Afd aveva portato alla perdita della maggioranza parlamentare per Cdu e Spd, che si erano visti costretti ad allearsi ai Verdi.

Secondo una prima analisi sui flussi elettorali presentata dalla Zdf, la formazione populista ha pescato molto nel mondo dell’astensionismo: “Il 34 per cento degli elettori che oggi in Meclemburgo hanno scelto la formazione xenofoba cinque anni fa non si erano recati alle urne”. La Petry ha inoltre attirato voti da quasi tutti i partiti tradizionali: il 17 per cento aveva votato alle precedenti elezioni Spd, il 15 Cdu, il 12 la sinistra della Linke e il 16 per cento l’estrema destra neo-nazista dell’Npd. Solo gli elettori di verdi e liberali sembrano immuni dalla seduzione di Afd: da questi due partiti è arrivato ai populisti solo il 3 per cento.

Il test elettorale, il primo di cinque che si svolgeranno in vista delle elezioni politiche, numericamente è poco rilevante: il Meclemburgo è il terzo meno popolato dei 16 Länder tedeschi e gli elettori erano solo 1,33 milioni. Ma come ha notato il sito del quotidiano popolare Bild, se nelle elezioni per il parlamento della città-regione Berlino fra due settimane la Cdu farà di nuovo “fiasco”, sicuramente “cresceranno le inquietudini interne” al partito. Il sito dell’autorevole quotidiano Sueddeutsche Zeitung vede in queste elezioni un “massacro con la sega elettrica” che ha tagliato i consensi di tutti i partiti, tranne che l’Afd.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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LIBRE news

Francia in tumulto: si prepara a minacciare l’uscita dall’Ue
Scritto il 06/9/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Sei francesi su dieci voterebbero per uscire dall’Unione Europea. Lo dicono i sondaggi, all’indomani del Brexit, in una Francia devastata dall’opaco terrorismo targato Isis. Protefa in patria, il professor François Heisbourg, presidente dell’istituto di studi strategici di Parigi, in un saggio di tre anni fa anticipò “La Fine del Sogno Europeo”. Sosteneva che il «cancro dell’euro» dovesse essere estirpato per salvare quel che resta del progetto europeo: «Il sogno è diventato un incubo. Non ci basterà negare la realtà per evitarlo, e Dio sa quanto la negazione sia stato il modo di operare delle istituzioni europee per lungo tempo». Heisbourg è stato ignorato, rileva Ambrose Evans-Pritchard, ma gli eventi si stanno svolgendo esattamente come lui temeva. Nel centrodestra, Sarkozy annuncia una grande svolta anti-Ue con la quale spera di contendere voti a Marine Le Pen. E dal centrosinistra, l’ex ministro Montebourg sfida apertamente Hollande, dichiarando che ormai i trattati europei sono da considerarsi carta straccia: la Francia non può più continuare a prendere ordini da Bruxelles.La lunga crisi economica in cui è sprofondata la Francia sta per riscuotere il suo tributo, politicamente parlando: «Ha mandato in pezzi prima il centrodestra e poi il centrosinistra francese, e ora minaccia la stessa Quinta Repubblica», scrive Evans-Pritchard sul “Telegraph”, in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”. L’ex presidente gollista Nicolas Sarkozy è tornato alla ribalta mediatica «lanciando la scommessa del proprio ritorno sulla scena con la proposta di un pacchetto di politiche di ultra-destra mai viste in tempi recenti nelle democrazie europee occidentali». Ma il tumulto nella sinistra è altrettanto rivelatore: Arnaud Montebourg, l’enfant terrible del partito socialista, ha lanciato la propria sfida contro il governo Hollande, definito «regime politico da destra tedesca». Nel mirino, Bruxelles: «Penso che l’Unione Europea sia arrivata a fine corsa, e la Francia non ha più alcun interesse a farvi parte. L’Unione Europea ci ha lasciati impantanati in una crisi anche molto tempo dopo che il resto del mondo ne era uscito». Montebourg chiede una sospensione unilaterale delle leggi europee sul lavoro: «Per quanto mi riguarda, gli attuali trattati sono scaduti». E annuncia uno “sciopero” contro l’Ue: «Non possiamo più accettare questa Europa».In altre parole, spiega Evans-Pritchard, Montebourg «se ne vuole andare da dentro – come stanno già facendo la Polonia e l’Ungheria – cioè senza sollevare nessuna clausola tecnica o legale». E la sua accusa contro Hollande è devastante: le politiche di rigore hanno inevitabilmente portato a milioni di persone disoccupate. «Non si sono mai smossi dal loro catechismo e dalle loro false certezze», dice Montebourg. I socialisti hanno pagato un prezzo salato per la loro cieca arroganza: hanno ottenuto solo il 15% dei voti dalla classe lavoratrice nelle recenti elezioni, mentre il Front National di Marine Le Pen ha mietuto il 55%. La doppia contrazione – fiscale e monetaria – ha gettato la già prostrata economia dell’Eurozona in una seconda recessione, osserva Evans-Pritchard. «Tutto ciò è stato aggravato da una stretta fiscale che è andata ben oltre qualsiasi possibile dose terapeutica, ed è stata imposta da un ministro delle finanze tedesco accecato da un’ideologia pre-moderna», il terribile Wolfgang Shaeuble, «e seguita servilmente da tutti gli altri». Ed ecco il punto: «La Francia avrebbe forse potuto mobilitare una maggioranza di paesi europei per bloccare questa follia, ma né Sarkozy né Hollande sono stati disposti ad affrontare Berlino».Entrambi i presidenti francesi «sono rimasti legati religiosamente all’accordo franco-tedesco, o almeno alla sua illusione totemica». Il risultato? «Un decennio perduto, e una retrocessione del lavoro che ridurrà le prospettive di crescita dell’Eurozona per molti anni ancora». Osserva ancora il giornalista economico inglese: «Non sapremo mai se la disoccupazione giovanile di massa nei quartieri nordafricani delle città francesi ha avuto un ruolo nella diffusione della metastasi jihadista lo scorso anno, ma certamente è stato uno degli ingredienti». Per contro, la tendenza anti-Ue che ormai investe trasversalmente la Francia dimostra che, se la “regia occulta” del terrorismo mirava a ottenere la rassegnazione dei francesi anche rispetto alle misure più impopolari dettate dall’élite finanziaria, come la Loi Travail, il Jobs Act transalpino, i francesi non ci stanno. Anche perché l’analisi della situazione è deprimente: «L’austerità fiscale è terminata, ma l’economia francese non è ancora abbastanza forte da risolvere le patologie sociali che tormentano il paese. Nel secondo trimestre la crescita è ritornata a zero».Per Evans-Pritchard, «il grande danno politico, comunque, si è già consumato: non serve aggiungere che la Francia ha anche una serie di problemi economici che non c’entrano con l’Ue. Il modello sociale è basato su tasse punitive sull’occupazione e crea uno dei peggiori cunei fiscali al mondo. Appena un quarto dei francesi tra i 60 e i 64 anni lavorano, rispetto al 40% della media Ocse. Questo è dovuto a incentivi per il pensionamento precoce. Lo Stato spende il 56% del Pil, cioè l’equivalente dei paesi nordici, senza però avere la flessibilità del lavoro che c’è nei paesi nordici». E ancora: «Ci sono 360 diverse tasse, alcune delle quali in vigore da prima della Rivoluzione Francese. I sindacati hanno per legge un presidio in tutte le aziende oltre i 50 dipendenti, eppure hanno un tasso di partecipazione di appena il 7%». Per Brigitte Granville, economista alla Queen Mary University di Londra, «è un inferno che purtroppo non ha nemmeno la poesia di Dante». Di fatto, «si è tergiversato per tutti gli anni del boom dell’euro e ora è troppo tardi. Ora la Francia è intrappolata nella camicia di forza dell’unione monetaria». Secondo il Fmi, il tasso di cambio reale è sopravvalutato del 9% (e rispetto alla Germania del 16%). «L’unico modo pratico con cui la Francia può riguadagnare competitività è tramite una profonda deflazione rispetto al resto dell’Eurozona, ma questo prolungherebbe la crisi e sarebbe devastante per il Pil e la dinamica del debito. Sarebbe autolesionista».Per Evans-Pritchard, Montebourg ha ragione a concludere che la Francia sarà paralizzata fino a che non riprenderà gli strumenti della propria sovranità. Quanto a Sarkozy, sta «aggirando questo elemento essenziale». Il suo manifesto-shock «chiede la fine del primato legale Ue rispetto alla legge francese e chiede l’abrogazione del Trattato di Lisbona, quello stesso trattato che lui, Sarkozy, aveva introdotto con prepotenza al Parlamento francese dopo che era stato respinto dagli elettori francesi in un referendum sotto la guisa di “Costituzione Europea”». Ma il suo maggior ardore, continua Evans-Pritchard, è riservato alla guerra culturale e alla “riduzione drastica” del numero degli stranieri. «Sarkozy promette di porre sotto controllo l’Islam in Francia, con gli imam che dovrebbero riferire le proprie attività al ministero degli interni». L’appello di Sarkozy alla “identità francese” punta direttamente al Front National, «e questo dice molto sulla devastazione dello scenario politico dopo anni di depressione».Marine Le Pen è davanti a Sarkozy nei sondaggi, con un sostegno dell’elettorato vicino al 30% grazie a un impetuoso mix di ricette economiche di sinistra e nazionalismo di destra, con un richiamo diretto agli anni ’30. Ha promesso di «far finire l’incubo dell’Unione Europea». Un sondaggio Pew risalente a giugno svela il 61% degli elettori francesi ha un’opinione “sfavorevole” dell’Ue, un dato addirittura più alto che in Gran Bretagna. Il professor Thomas Guénolé della “Sciences Po” di Parigi avverte: «Per quanto possa sembrare incredibile, un referendum sul ‘Frexit’ verrebbe probabilmente perso dalla fazione europea. Come nel Regno Unito, il ‘leave’ vincerebbe». Per “Le Figaro”, il Brexit ha cambiato profondamente la situazione: «I sostenitori della costruzione europea avevano preso l’abitudine di difendere l’Europa con argomenti catastrofisti, con l’idea che l’uscita avrebbe provocato nuove guerre o collassi economici. Ma ora la Gran Bretagna sta uscendo ed è evidente che non avverrà nessun cataclisma economico e nessuna grossa crisi geopolitica».
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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il manifesto 9.9.16
La Germania e il suo dover essere
La prossima settimana Berlino va al voto e si vedrà la tenuta di Frau Merkel, unico argine alla deriva verso l’Afd
di Jacopo Rosatelli


«La Germania resta la Germania»: difendendo la linea «umanitaria» sui profughi, l’altro ieri Angela Merkel ha concluso così il suo intervento al Bundestag. Parole che suonano, al contempo, di rassicurazione e rivendicazione: la Repubblica federale è e resterà un Paese forte e prospero, la cui Costituzione riconosce a qualunque straniero perseguitato il diritto all’asilo.
Il principale destinatario del messaggio della cancelliera non era la destra in pericolosa ascesa di Alternative für Deutschland (Afd), ma la Csu, il partito cristiano-sociale bavarese, ormai fratello-nemico della Cdu merkeliana. Le distanze tra Monaco e Berlino sono enormi, e da ieri è più chiaro che aumenteranno ancora, i bavaresi hanno stilato un documento ufficiale che è un proclama di guerra. «La Germania deve rimanere la Germania»: la frase-chiave è uno slogan che suona come un’aperta provocazione a Merkel.
La differenza la fa tutta quel «deve», un verbo pesantissimo che sta a indicare il pericolo che la Germania, con l’attuale politica verso i profughi, stia perdendo sé stessa, la propria identità. Un’identità che i conservatori della Csu intendono in maniera radicalmente diversa dalla cancelliera: è la Germania cristiana quella a rischio di snaturamento.
Le proposte dei bavaresi sono la rottura di un tabù: divieto di velo integrale, limitazione del numero dei richiedenti asilo, ma soprattutto priorità ai migranti in arrivo da «Paesi cristiani». Il fantasma dell’islamizzazione della Germania smette dunque di essere agitato solo dagli estremisti di destra di Pegida e dell’Afd per diventare moneta corrente anche in un partito «democratico» e di governo. Nell’appello della Csu alla difesa dei «valori tedeschi» sono evidenti e inquietanti le analogie con le retoriche del «tramonto dell’Occidente» e della Germania minacciata dagli «estranei» al proprio interno: quelle narrazioni tossiche che dopo la prima guerra mondiale contribuirono a preparare il terreno per l’ascesa del nazismo.
La strategia della Csu è di cercare di contenere l’avanzata dell’Alternative assumendo, in sostanza, la sua agenda. A Monaco gradirebbero che anche la Cdu facesse lo stesso, ma finché resta Merkel ciò non accadrà. E ormai è chiaro a tutti.
Dentro la Cdu non mancano militanti e dirigenti che la pensano come i cugini bavaresi, ma sino ad ora nessuno sembra intenzionato a contendere la leadership alla cancelliera. Ma nulla è da escludere: una pesante sconfitta della Cdu anche alle elezioni nella città-stato di Berlino della prossima settimana potrebbero fare uscire finalmente qualcuno allo scoperto. Magari con una sorta di Sarkozy tedesco, che potrebbe avere le sembianze proprio del governatore bavarese Horst Seehofer. Difficile, ma non impossibile. Ci sono due precedenti nella storia della Repubblica federale di un leader della Csu – Franz Josef Strauss nel 1980 ed Edmund Stoiber nel 2002 – alla guida dello schieramento conservatore Cdu/Csu.
Merkel appare, in questa fase, un argine al dilagare del neo-nazionalismo teutonico, ma è un argine troppo debole. Perché insieme alla «nuova» cancelliera «amica dei profughi» (ma anche del presidente turco Erdogan), c’è quella di sempre, indifferente alla questione sociale e agli squilibri economici. È di questi giorni la notizia che nella Repubblica federale si è toccato il record di lavoratori interinali (circa 1 milione), il 65% dei quali ha un salario al di sotto della soglia di povertà.
La legge di bilancio in discussione in Parlamento prevede anche quest’anno il deficit zero, e quindi risparmi negli investimenti richiesti a gran voce da sindacati ed enti locali. E resta clamoroso lo sbilanciamento verso l’export del sistema produttivo, possibile grazie a una durevole compressione della domanda interna, e fatale per la coesione in Europa. Tutti fattori che rendono il clima sociale depresso e spalancano le porte a chi usa l’insoddisfazione e il disagio dei ceti medio-bassi per il proprio disegno xenofobo ed etno-nazionalista.
Il quadro sconfortante fa emergere quello che alla Germania di oggi drammaticamente manca: un’alternativa all’Alternative fascistoide che non sia Merkel.
Un progetto di sinistra che sfidi la nuova destra non solo innalzando le bandiere del cosmopolitismo della Costituzione, ma anche compiendo finalmente una svolta sul piano sociale, da cui trarrebbero giovamento non solo i tedeschi, ma tutti gli europei. Condizione necessaria: che la Spd torni socialdemocratica, molli i democristiani e costruisca un’alleanza con la Linke e i Verdi. Nelle due forze minori, pur con qualche contraddizione, la disponibilità esiste. Se nella Spd esistano il coraggio e l’intelligenza di raccoglierla, saranno i prossimi mesi a dirlo.
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Amazon paga meno tasse di una bancarella di salsicce
Scritto il 13/9/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Le multinazionali come la catena di caffè Starbucks e il sito di vendita online Amazon in Austria pagano meno tasse di una delle minuscole bancarelle di salsicce del paese: lo ha denunciato il cancelliere di centrosinistra della repubblica in una recente intervista, scrive la “Reuters” in un lancio ripreso da “Voci dall’Estero”. Il cancelliere Christian Kern, leader dei socialdemocratici e del governo di coalizione di centro, ha anche criticato i giganti di internet Google e Facebook, affermando che, se pagassero più tasse, le sovvenzioni per la carta stampata potrebbero essere aumentate. «Ogni caffè viennese, ogni banchetto di salsicce in Austria paga più tasse di una multinazionale», sono due frasi riportate da quanto ha detto Kern in un’intervista al quotidiano “Der Standard”, evocando due importanti simboli della cultura alimentare della capitale austriaca. «Questo vale anche per Starbucks, Amazon e altre aziende», ha aggiunto, elogiando la decisione della Commissione Europea di questa settimana, che ha stabilito che Apple dovrebbe pagare all’Irlanda fino a 13 miliardi di euro (14,5 miliardi di dollari) in tasse più gli interessi, perché le condizioni speciali per attirare profitti nel paese sono state dichiarate un aiuto di stato illegale.Apple ha detto che impugnerà la decisione, che l’amministratore delegato Tim Cook ha definito «una completa schifezza politica». Google, Facebook e altre multinazionali dichiarano di adeguarsi completamente alla normativa fiscale. Kern ha anche criticato gli stati membri dell’Unione Europea con regimi fiscali agevolati che hanno attirato le multinazionali – e sono stati messi sotto esame da Bruxelles. «Quello che stanno facendo Irlanda, Paesi Bassi, Lussemburgo e Malta manca di solidarietà verso il resto dell’economia europea», ha detto. Si è astenuto dal chiedere che Facebook e Google pagassero più tasse, ma ha sottolineato le loro vendite significative in Austria, che ha stimato in oltre 100 milioni di euro ciascuno, e il loro numero di dipendenti relativamente piccolo – una «buona dozzina» per Google e «presumibilmente ancora meno» per Facebook. «Hanno massicciamente risucchiato il volume di pubblicità prodotta dall’economia, ma non pagano né l’imposta sulle società, né sulla pubblicità in Austria», ha detto Kern, che è diventato cancelliere nel mese di maggio.«Mentre si evidenzia su cosa si è basato il tanto decantato boom irlandese, vengono al pettine i nodi legati ai mitizzati investimenti esteri». In questo quadro, sottolinea “Voci dall’Estero”, «caos e disgregazione sono in ulteriore aumento in Europa». Lo dimostra una volta di più anche questa sentenza che chiede alla Apple di versare all’Irlanda 13 miliardi di euro di tasse arretrate. «Mentre Dublino, un po’ paradossalmente, ha già presentato ricorso contro la decisione dell’Ue, in Austria il premier accusa le multinazionali di pagare tasse in misura irrisoria anche nel suo paese». “Voci dall’Estero” rileva quindi come notevole l’atteggiamento del premier austriaco, che «attacca anche i diversi stati membri che praticano politiche fiscali troppo generose per attirare le grandi aziende, accusandoli di mancare di solidarietà verso il resto dell’Eurozona».
camillobenso
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Re: La crisi dell'Europa

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Germania No-Euro: trionfa Alternative für Deutschland
Scritto il 14/9/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


Dopo l’exploit alle elezioni nazionali di marzo, il partito euroscettico di destra “Alternative für Deutschland” ha ottenuto un altro importante risultato nel Meclemburgo-Pomerania, dove diventa il secondo partito, superando la Cdu di Angela Merkel. Nonostante abbia sottrato voti a tutte le principali forze politiche – spiega lo “Spiegel” all’indomani del voto – a perdere la porzione maggiore di elettori sono state le forze di sinistra, rappresentate da Spd e Die Linke. Importante sottolineare anche come in una regione con un tasso di disoccupazione molto alto, quasi il 30% dei votanti senza un lavoro abbia optato per il partito “populista”, annota Christoph Sydow, chiarendo che, in Meclemburgo-Pomerania, Afd ha ottenuto un importante successo «grazie al voto dei lavoratori, dei disoccupati e degli ultratrentenni». Una persona su quattro «ha votato con convinzione per i populisti di destra». Esito che smentisce seccamente la teoria secondo la quale una maggiore affluenza alle urne indebolirebbe i “populisti”.E’ un “teorema” bocciato dalla realtà, insiste il giornalista dello “Spiegel” in un articolo tradotto da “Voci dall’Estero”: lo dimostra il successo di “Alternative für Deutschland” non solo in Meclemburgo-Pomerania, ma anche nelle recenti elezioni statali in Baden-Württemberg, Renania-Palatinato e Sassonia-Anhalt, «tutti Land in cui l’affluenza è cresciuta notevolmente». In Meclemburgo-Pomerania quest’ultima è aumentata di circa dieci punti percentuali rispetto al 2011. Vero, la partecipazione è ancora molto al di sotto dei valori riscontrati dal 1994 al 2000, ma in passato le elezioni regionali hanno quasi sempre coinciso con le elezioni nazionali, che attraggono tradizionalmente più elettori. Ancora una volta è dunque Afd a beneficiare dell’incremento dell’affluenza alle urne: secondo le analisi di Infratest Dimap, il partito No-Euro avrebbe mobilitato oltre 56.000 ex astenuti – più di qualsiasi altra formazione. Inoltre, Afd è riuscita a convincere 20.000 sostenitori dell’Npd, il partito nazional-democratico dell’ultradestra. E ha strappato oltre 23.000 elettori alla Cdu, più 16.000 all’Spd. Infine, l’Afd ha spodestato anche la Linke: 18.000 elettori che quattro anni fa avevano scelto la sinistra, questa volta hanno votato per “Alternative für Deutschland”.«Il fatto che l’Afd venga percepito principalmente come un partito di protesta è mostrato chiaramente dagli exit poll», continua Sydow. «Interrogati sul motivo della loro decisione di voto, il 66 % degli elettori di Afd ha dichiarato di aver scelto i populisti di destra per via della delusione nei confronti degli altri partiti. Solo il 25% si è detto pienamente convinto dal programma di Add». Guardando l’elettorato totale, il rapporto è invertito: il 57% ha scelto con convinzione il proprio partito, mentre solo il 36% ha dichiarato di essere deluso dagli altri raggruppamenti. «Non abbiamo fatto campagna contro i rifugiati», ha affermato Leif-Erik Holm, il principale candidato di Afd, la sera dopo la chiusura delle urne. È evidente come l’opinione degli elettori del suo partito sia differente. Interrogati sul tema che ha influito in modo decisivo sul voto, il 52% dei votanti di Afd ha risposto: i “profughi”. Al contrario, guardando la totalità degli elettori solo il 20%, ha menzionato questo punto.L’Afd, continua lo “Spiegel”, è particolarmente forte nell’elettorato tra i 35 e i 60 anni; nella fascia tra i 35 e i 44 anni di età è quasi alla pari con l’Spd; minore è il suo consenso tra gli elettori più giovani. La Cdu riesce a superare l’Afd solo nell’elettorato over-60. “Alternative für Deutschland” riscuote successo soprattutto nella popolazione maschile: in Meclemburgo-Pomerania ha convinto il 25% degli elettori maschi, mentre la percentuale di voto tra le donne è solo del 16%. In questo modo, nel computo totale dei voti femminili, Afd si piazza terzo, dopo Spd (34%) e Cdu (20%). Gli elettori Afd provengono da tutte le classi sociali: disoccupati (29%), lavoratori dipendenti (34%) e lavoratori autonomi (28%). «Afd guadagna punti soprattutto tra gli elettori con un livello di formazione medio-basso, posizionandosi di pochissimo dietro l’Spd», conclude lo “Spiegel”. «Tra le fasce della popolazione altamente istruite il partito si piazza solo al terzo posto, proprio davanti alla sinistra».
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