Diario della caduta di un regime.

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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camillobenso
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Il branco e il figlio del boss violentano 13enne
Tutti sapevano, ma per due anni hanno taciuto

Melito Porto Salvo (Rc), arrestato Giovanni Iamonte, figlio dello ‘ndranghetista Remingo Iamonte e altre
nove persone. La ragazzina veniva prelevata davanti a scuola. Pestato a sangue anche il nuovo fidanzato
melito-pp
FattoTv
Pensava di amare quel ragazzo più grande che, poco dopo, ha abusato di lei consentendo al branco di violentarla. È l’incubo di una ragazzina di 13 anni, per quasi due anni vittima delle angherie di Giovanni Iamonte, 30 anni, secondogenito del boss di Melito Porto Salvo Remingo Iamonte, e nipote del mammasantissima don Natale, deceduto alcuni anni fa dopo un lungo periodo di latitanza finita nell’hinterland milanese. È scattata stamattina l’operazione “Ricatto” dei carabinieri che ha portato all’arresto di dieci persone di Lucio Musolino
camillobenso
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L’ITALIA A PEZZI


Il teorema BERNABEI è fondato.
Una ulteriore prova ci viene fornita da un’articolo pubblicato oggi su Libero, a cura del Prof. Paolo Becchi, dal titolo:

POLITICA E RABBIA Non c’è più spazio per una Forza Italia 2.0.
Soprattutto oggi non c’è più margine per i <<moderati>> in una Italia arrabiata con la politica.


Se Salvini molla la Le Pen, Grillo è fregato
Il comico fa fatica a gestire il partito del dopo Casaleggio. La Lega così ha una grande occasione per fare il salto di qualità definitivo. Con una nuova formazione nazionale e sovranista, contro euro e Unione europea.




In Italia tra gli anni 60/70 c’erano 20 milioni di dickhead.

Oggi sembra che ce ne siano di più.

Salvini, della Lega ha solo il Razzismo e la Xenofobia, per il resto è solo uno squadrista di destra senza idee.

Al massimo può tornare a fare il salumiere a Porta Cicca.

Feltri e Sallustri non hanno nessuno su cui puntare in questa fase di disfacimento e quindi si affidano a questo Broccolo da quattro soldi, solo perché ama come l’altro omonimo di Rignano, disparare cazzate.

Tanto prima o poi qualche merlo abbocca, e si tira a campare senza lavorare.

Becchi, andato in rotta di collisione con BeppeMao, quando può si vendica.

Ma qui da dimostrazione di essere un elemento per la conferma del teorema Bernabei, ancora all’inizio del Terzo Millennio.
camillobenso
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA




Qualcuno, questa notte in Cina non dormirà sonni tranquilli.

E non sarà solo la zia Merkellona.

Del trio Lescano che giocava a rincuorarsi a vicenda sul ponte della Garibaldi, la prima ha subito una cocente sconfitta nei Laender Meclemburgo-Pomerania.

Tra poco tocca a Pinocchio Mussoloni, che rispetto alla zia Merkellona è decisamente messo in maniera peggiore.

Se i tricolori fino adesso si sono limitati a borbottare sulla politica di accoglienza degli immigrati, al prossimo turno elettorale faranno pagare al governo, la politica dell’accoglienza, non fatta per ragioni umanitarie, ma per ragioni di lucro, della criminalità organizzata e della criminalità politica.

Porre rimedio ora è troppo tardi.

A chi faceva notare due giorni fa, che il sistema di accoglienza è al collasso, Pinocchio Mussoloni si è affrettato a twittare, che non era assolutamente vero che siamo al collasso.

Pinocchio Mussoloni deve continuare a raccontare balle per portare a termine la sua Mission.

Ha giocato troppo con la pazienza degli italiani.

Ma alla prossima occasione gliela faranno pagare con gli interessi.

Gli altri Paesi europei non hanno al loro interno organizzazioni che speculano sulla pelle degli immigrati, succhiando i soldi emessi dallo Stato per la sussistenza dei singoli.

Di conseguenza, quelle nazioni possono permettersi di rifiutare l’ingresso agli stranieri.

Non c’è chi contrasta l’azione di governo.

Da noi invece, con la scusa di “italiani brava gente”, accettano tutti, pur di ingrassare le loro tasche e quelle delle organizzazioni, che si sono buttate anima e corpo sull’immigrazione perché, come diceva Buzzi ai tempi di Mafia Capitale, gli immigrati rendono più della droga.

Gli immigrati rendono più della droga La mafia nera nel business ...
espresso.repubblica.it/.../gli-immigrati-rendono-piu-della-droga-la-mafia-fascista-nel-...
1.
02 dic 2014 - Gli immigrati rendono più della droga La mafia nera nel business ... Il regista dell'operazione è Salvatore Buzzi, anche lui finito in carcere.
Mafia Capitale, Buzzi: "Con immigrati si fanno molti più soldi che con ...
http://www.ilfattoquotidiano.it › Giustizia & Impunità


1.
02 dic 2014 - Gli inquirenti parlano della “possibilità di trarre profitti illeciti immensi (…) ... Buzzi: “Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico .... immagino..perche al meno alcune spese reali ci sono ) rende piu che la droga .


Buzzi: "Gli immigrati rendono più della droga" - Video - Rai News
http://www.rainews.it/.../Mafia-Capital ... droga-2bb9...
1.
2.
Buzzi: "Gli immigrati rendono più della droga". 03 dicembre 2014 I soldi pubblici sono la prima entrata, per ammissione dello stesso Salvatore Buzzi, ...



Non ha proprio nessun motivo di dormire tranquillo questa notte e quelle successive, perché la prossima vittima sarà lui, Pinocchio Mussoloni da Rignano.

Ed inventarsi nuove palle per giustificare il suo operato, è completamente inutile.

Oggi tocca a noi Gufi lanciare il classico “CIAONE”

CIAONE……PINOCCHIO MUSSOLONI. IL TEMPO E’ SCADUTO. SE VUOI RIMANI PURE IN CINA, NON SENTIREMO LA TUA MANCANZA. OPPURE RIPARA IN NORD COREA DA CICCIO KIM. PUO’ DARSI CHE ABBIA BISOGNO DI UN PINOCCHIO DI SECONDA MANO PER RACCONTARE BALLE. MA ATTENTO A NON ADDORMENTARTI AI SUOI DISCORSI. SE SE NE ACCORGE TI ELIMINA FACENDOTI SPARARE CON UN CANNONE.

CIAONE PINOCCHIO.
camillobenso
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il manifesto 16.9.16
Operaio ammazzato sotto un camion a Piacenza
La tragedia durante una protesta. Abd Elsalam Ahmed Eldanf, 53 anni, egiziano, professore e padre di 5 figli, sindacalista dell’Usb, lavorava come operaio per una società subappaltatrice della Gls
di Raffaele Rastelli


PIACENZA Silenzio. Rabbia. Indifferenza. Quando la pioggia lascia lo spazio a un tenue sole davanti ai cancelli della Gls di Piacenza si potevano trovare solo silenzi, rabbia e indifferenza. Il polo logistico, alla periferia della città, era totalmente isolato. Le vie d’accesso chiuse dalla polizia locale. Pochi solidali e qualche giornalista assiepavano il presidio permanente dell’Usb che continua da ieri sera e che dopo la morte di Abd Elsalam Ahmed Eldanf è inserito dentro a uno sciopero generale di 24 ore che ha coinvolto diversi poli della logistica in tutt’Italia.
Abd Elsalam Ahmed Eldanf, 53enne, molti ci tengono a precisare che in Egitto, suo paese d’origine, fosse un professore e padre di cinque figli, precisazione che non aggiunge nulla al dramma.
Abd Elsalam Ahmed Eldanf era uno degli operai di una delle tante società appaltatrici di servizi per la multinazionale Gls che stava manifestando per i diritti di suoi colleghi. Infatti l’azienda aveva disatteso accordi sindacali per 13 persone. Il picchetto, finito in tragedia, è nato dopo un’assemblea sindacale che ha generato uno sciopero di otto ore e una trattativa, notturna, con l’azienda. Il fallimento della trattativa ha spinto il sindacato e i lavoratori ha trasformare lo sciopero in picchetto. Per evitare che il picchetto bloccasse il viaggio dei camion e gli interessi dell’azienda, raccontano gli operai, un preposto di Gls ha iniziato a incitare il camionista a muoversi e partire. Così il tir si è mosso, ha colpito il 53enne e poi l’ha trascinato per 4/5 metri e infine schiacciato. Un altro facchino è stato ferito, lievemente per fortuna.
Il fratello dell’uomo ucciso, Elsayed Elmongi Ahmed Eldanf, ci dice che «non è la prima volta che ci hanno minacciato per le nostre lotte, spesso ci dicevano andate via, andatevene, non siete i benvenuti». E aggiunge «Antonio Romano è uno dei responsabili della Gls di Piacenza ed è lui che diceva all’autista di andare avanti. Diceva all’autista se qualcuno va davanti al camion schiaccialo come un ferro da stiro. Poi ci penso io. Il camionista così è andato avanti, perché ha ascoltato le parole del responsabile, provando a spaventare mio fratello, però l’ha colpito per poi farlo cadere e schiacciarlo».
Erano circa le 23.45 e secondo il capo della procura di Piacenza Salvatore Cappelleri «quando è avvenuto l’incidente non era in atto alcuna manifestazione all’ingresso della Gls». La ricostruzione della procura tiene fede alle dichiarazioni di una pattuglia dei carabinieri presente in quel momento. La dichiarazione di Cappelleri continua: «Quando il Tir è uscito dalla ditta, dopo le regolari operazioni di carico, ha effettuato una manovra di svolta a destra. Inoltre escludiamo categoricamente che qualche preposto della Gls abbia incitato l’autista a partire. Davanti ai cancelli in quel momento non vi era alcuna manifestazione di protesta o alcun blocco da parte degli operai, che erano ancora in attesa di conoscere l’esito dell’incontro tra la rappresentanza sindacale e l’azienda». Arrivata la dichiarazione, davanti ai cancelli della Gls è stata organizzata la risposta, così è stato reso pubblico un video che mostra come la mobilitazione fosse in corso già dalle prime ore della sera. Il video è stato pubblicato già nel pomeriggio di ieri da molti organi d’informazione e mostrerebbe una realtà diversa da quella della procura. Procura che ha anche acquisito le immagini delle telecamere dell’azienda e che potrebbero dare nuovi particolari.
Nel pomeriggio alcuni camionisti hanno acceso i tir. La tensione si è alzata immediatamente. La logica dei subappalti nel mondo della logistica genera una guerra tra poveri e sfruttati, anche davanti al dramma della morte le aziende chiedono ai camionisti di portare a termine il lavoro. Non esiste nessuna proroga o pausa. Alcuni autisti ci dicono: «Il limite per noi camionisti è 85 km all’ora. Da qui a Napoli ci vogliono circa 9 ore. Ci chiedono di fare il trasporto in 8. Se arriviamo in ritardo anche solo di un quarto d’ora ci tolgono 250 euro dalla busta paga e al terzo ritardo non ci rinnovano il contratto. Ogni anno firmiamo tre o quattro contratti. Così ci controllano e possono lasciarci a casa se facciamo ritardo o protestiamo». Facchini e autisti lavorano per Gls ma sono assunti da diverse cooperative o aziende, hanno diversi padroni, subiscono diverse pressioni, minacce e umiliazioni. I tir non si sono mossi e i picchetti sono ripresi per evitare nuove sorprese.
L’Unione Sindacale di Base ha diramato un duro comunicato secondo il quale «la GLS, e la cooperativa di intermediazione di mano d’opera presente in quello stabilimento e in molti altri e che più volte si è distinta per i ricatti schiavistici che impone ai suoi lavoratori, che di fronte alla probabile perdita di profitto a causa del blocco dello stabilimento, ha aizzato l’autista a forzarlo. Ma la Gls è anche colpevole di aver sempre cercato di sottrarsi agli accordi a cui, a prezzo di dure lotte, l’avevamo costretta per eliminare la precarietà e garantire diritti e umanità nei luoghi di lavoro». Oggi l’Usb ha indetto una manifestazione nazionale a Piacenza, ci sarà uno sciopero di due ore alla fine di ogni turno nel settore privato e uno sciopero di 24 ore nella logistica.
Solidarietà è giunta dalla Cgil alla famiglia del lavoratore e ai compagni di lavoro: «Inammissibile perdere la vita per difendere il lavoro». La Fiom denuncia «il sistema di appalti, sub-appalti e false cooperative che determina sottosalario e lavoro precario senza tutele».Operaio ammazzato sotto un camion a Piacenza.
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il manifesto 16.9.16
Il sindacalista Usb: «Non è la prima volta che ci lanciano i tir addosso»
di Andrea Cegna


Riad Zaghdane, dell’Unione sindacale di base, ha seguito la trattativa sindacale e le mobilitazioni dei facchini della Gls di Piacenza.
Con lui abbiamo ricostruito la vicenda che ha portato al picchetto in cui è stato ucciso un lavoratore di 53anni, assunto a tempo indeterminato.
Ci racconti perchè è nata la mobilitazione?
Usb ha sottoscritto un accordo il 31 maggio con l’azienda. Questi accordi non sono stati rispettati. Avrebbe dovuto regolarizzare la posizione di tredici lavoratori precari, invece ha preferito operare otto nuove assunzioni. Parliamo dell’assunzione non a Gls ma alla ditta che ha in appalto il lavoro di facchinaggio. Così mercoledì abbiamo indetto un’assemblea interna. Assemblea autorizzata dalle 20.30 alle 22.00 che si è chiusa con la decisione di proclamare uno sciopero fino a fine turno. La decisione è stata comunicata con pec.
E poi cos’è successo?
In pochi minuti è arrivata la digos, che sapendo che se l’azienda non ci avrebbe incontrato entro poche ore avremmo intensificato il livello della protesta, ha operato e spinto l’azienda stessa a incontrarci. Il tavolo è stato convocato dentro un bar a poche centinaia di metri. Si è presentato il presidente del consorzio Natana Doc, Giovanni Attanasio.
E’ l’azienda che assume i facchini?
No. E’ il consorzio a cui è legata e consorziata l’azienda. Seam Srl è la società che gestisce l’appalto e avrebbe dovuto regolarizzare i 13 operai. Che è consorziata con Natana Doc. Attanasio è presidente di quest’ultima.
E l’incontro?
L’incontro è iniziato alle 22.20 ma già verso le 23.40 ci è parso chiaro che non ci fossero margini reali per un intesa. L’azienda ha dato un’interpretazione strana dell’accordo tra le parti. Accordo che parlava di assunzione dopo il 6 giugno. L’unica disponibilità dell’azienda era ridiscutere l’accordo ma non nell’immediato. Abbiamo immediatamente comunicato ai lavoratori che la trattativa non dava esiti positivi. Così lo sciopero si è trasformato in picchetto. Da quel che ci è stato raccontato dagli operai presenti è in questo momento che il tir, spinto da un preposto dell’azienda ad andare avanti, si è mosso e non si è fermato e Abd Elsalam Ahmed Eldanf è stato travolto ed è morto. Abd era il primo dei lavoratori che stava picchettando la strada, per questo è stato coinvolto lui.
E’ la prima volta che capita di vedere i tir avanzare verso i picchetti?
No, già altre volte siamo stati minacciati da tir che paiono accelerare. Ma di solito noi stiamo seduti a terra e quindi il camionista non si muove perché sa che se dobbiamo alzarci e scappare abbiamo bisogno di tempo ed è pericoloso avanzare. Stavolta Abd era in piedi e così probabilmente l’autista ha reagito in maniera diversa. Certamente è stato spinto e incitato da un preposto aziendale.
L’azienda vi ha detto qualcosa?
Sia l’azienda appaltatrice che la Gls sono scappate. Sono spariti.
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…..E NON SE NE VANNO…….


19 SET 2016 10:28
BOSCHI IN FIAMME

- LA MADONNONA DEL VALDARNO CONTESTATA ALLA FESTA DELL’UNITA’ DI BOLOGNA

- FISCHI DA ALCUNI INSEGNANTI CHE PROTESTAVANO CONTRO LA RIFORMA DELLA SCUOLA

- UN GRUPPO DI STUDENTI UNIVERSITARI E’ STATO PORTATO VIA DALLE FORZE DELL’ORDINE

- VIDEO - -

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 132299.htm


Dal “Corriere della Sera”


La ministra delle Riforme Maria Elena Boschi è stata contestata ieri a Bologna al comizio finale della Festa dell' Unità, quello tradizionalmente riservato al segretario del Pd. È stata fischiata da alcuni insegnanti che protestavano contro la riforma della scuola prima del dibattito sulla riforma costituzionale moderato dal direttore del Tg1, Mario Orfeo, fuori dalla sala Nilde Iotti.

Ma a causare qualche spavento alle forze dell' ordine è stata una protesta di una decina di universitari che si sono avvicinati al palco e alla ministra. I contestatori sono stati bloccati con la forza e trascinati fuori dall' arena. Boschi li ha invitati a tornare sul palco per confrontarsi ma la situazione era ormai fuori controllo e le forze dell' ordine li hanno portati via ed identificati.


«Prendiamo atto - ha detto Boschi - che hanno preferito andare via, noi siamo aperti al confronto, non c' è nessun problema a confrontarsi con chi non è d' accordo se lo fa in modo pacato».
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Re: Diario della caduta di un regime.

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QUESTO PER CAPIRE A CHE PUNTO E' ARRIVATA QUESTA SOCIETA' TRICOLORE.

AL CAPOLINEA!!!!!!




19 SET 2016 13:54
VIOLENZA CAPITALE

- ALLA FERMATA DELLA METROPOLITANA DI PIAZZA BOLOGNA A ROMA DUE UOMINI CHIEDONO A DUE VENTENNI DI NON FUMARE: SCOPPIA IL PARAPIGLIA

- I DUE VENGONO PRESI A CALCI E PUGNI, UNO FINISCE IN COMA - - -




Rory Cappelli per “repubblica.it”

Preso a calci e pugni e quasi ammazzato. Tanto che ora si trova in coma all'ospedale Umberto I con un'emorragia cerebrale. È successo ieri pomeriggio, intorno alle 15.30, a un romano 37enne all'interno della metropolitana, alla fermata di Porta Pia piazza Bologna.

Gli aggressori, due ragazzi di 25 e 24 anni, con vari precedenti penali, stavano fumando in aree in cui non è consentito. L'uomo poi aggredito ha chiesto loro di spegnere le sigarette. E così ha fatto anche un'altra persona, ugualmente picchiata. I due hanno rifiutato: ne è nato un diverbio, poi degenerato.

I due ventenni sono saltati addosso ai due uomini colpendoli con pugni e calci. Il 37enne ha avuto la peggio: è stato soccorso da un'ambulanza del 118 con la frattura della scatola cranica ed emorragia cerebrale. È ricoverato in prognosi riservata. L'altra persona coinvolta nel pestaggio ha riportato solo qualche contusione.

Sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato Porta Pia. I due giovani sono stati arrestati con l'accusa di tentato omicidio in concorso, accusa aggravata dai futili motivi. Indaga anche la Squadra Mobile.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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19 SET 2016 13:28
COME PRIMA, PIU’ DI PRIMA

- LA POLITICA ED IL MONTEPASCHI: UN GROVIGLIO FUNESTO (E PERVERSO)

- PRIMA SIENA PRENDEVA ORDINE DA BOTTEGHE OSCURE, ORA DA PALAZZO CHIGI

- IL REBUS DEL REFERENDUM SULL’AUMENTO DI CAPITALE, MADE IN JP MORGAN



Alberto Statera per “Affari&Finanza-la Repubblica"

Qualcuno - incauto - disse qualche anno fa che Siena con la sua banca era un "groviglio armonioso" di politica, finanza, orgoglio dei senesi. Una città "acchiocciolata" intorno al Monte dei Paschi, per parafrasare Guido Piovene.

Gli ultimi eventi, con le dimissioni imposte al ceo Fabrizio Viola e tutto quel che ne è seguito, in realtà era già da sempre un groviglio funesto nelle mani della politica, e nelle mani della politica si è perpetuato saldamente.

Il siluramento di Viola e le successive dimissioni del presidente Massimo Tononi non nascono in questi giorni, ma in luglio, quando il capo di JP Morgan Jamie Dimon, advisor del Monte, incontra a colazione il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Dimon, con Vittorio Grilli, capo per l' Europa, e regista dell' operazione, affossa il piano messo a punto dalla stessa JP Morgan insieme a Mediobanca.


L' aumento di capitale, dopo gli otto miliardi bruciati nel 2014 e 2015, appare quasi impossibile con lo stesso capo azienda, argomentano. Ma c' è anche c' è la questione del referendum sulla riforma costituzionale, un altro nodo che sta condizionando non poco le vicende senesi e non solo, che sta a cuore al presidente del Consiglio. In caso di vittoria del no tornerebbero i timori sull' intero sistema bancario italiano.

Così si arriva alla settimana scorsa quando al ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, azionista del Monte dei Paschi (con poco più del 4 per cento), tocca l' ingrato compito di comunicare a Viola che, su richiesta di alcuni investitori, deve farsi da parte. Sottolineando "con l' accordo del presidente del Consiglio". E naturalmente con il consulente americano JP Morgan, che nella vicenda ha assunto un ruolo centrale: "Diciamo che sono entrati in banca senza bussare", commenta uno dei collaboratori di Viola a "La Stampa".


Sui rischi per le banche italiane nel caso in cui non si trovasse una soluzione per il Montepaschi e il referendum finisse male per lui, Renzi fa stop and go. A Cernobbio dice che in caso si vittoria del no "non ci sarà la fine del mondo o l' invasione delle cavallette".

Ma proprio nelle stesse ore - non è un caso - c' è l' intervento dell' ambasciatore americano John Philips, il quale dichiara pubblicamente che "la vittoria del sì sarebbe una speranza per l' Italia, mentre se vincesse il no sarebbe un passo indietro". Normalmente gli ambasciatori americani non sono mai così espliciti, ma quando parla un ambasciatore è come se parlasse Washington. E l' assist a Renzi suona esplicito e robusto, non solo per tutte le altre questioni di politica internazionale sul tappeto, ma anche per le banche.


Il ribaltone, tra l' altro, comporterà un rinvio della questione Montepaschi al 2017, quando il referendum sulla riforma costituzionale sarà già compiuto, anche se - vinca il no o vinca il sì - non si prevede una miracolosa prospettiva di stabilizzazione politica.

Nel frattempo Corrado Passera, ex ministro ed ex amministratore delegato di Intesa San Paolo, deluso dalla politica, sta preparando un suo piano di salvataggio di Montepaschi, sotto lo sguardo non malevolo di Grilli, cercando di individuare una cordata di private equity, alternativa all' aumento di capitale. Ma l' impresa è olimpionica. Renzi continua a vantarsi di aver estromesso la politica dalle banche. Promessa al vento tra le tante. Forse una missione impossibile nel groviglio funesto.
camillobenso
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Corriere 19.9.16
«Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato»
Così la politica fa la spesa al discount della storia
di Paolo Franchi


Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato, recitava lo slogan del partito totalitario genialmente raffigurato da George Orwell in 1984 . E ovviamente non c’è da rimpiangere né l’età dei totalitarismi né una concezione dei rapporti tra storia e politica per la quale la prima, ancella della seconda, era rivisitata, manipolata e distorta a maggior gloria dei detentori del potere assoluto e della linea da questi dettata. Il Novecento, però, non si è portato via solo i totalitarismi. La storia, ce ne accorgiamo amaramente ogni giorno, se ne è andata per strade inesplorate e assai poco rassicuranti: di sicuro non è finita, nei primi anni Novanta del secolo scorso, con la caduta dell’Unione Sovietica, come aveva teorizzato Francis Fukujama e, seppure in forme meno assertive, avevano pensato in molti. A farsi sempre più sottili, fin quasi a spezzarsi, sono stati piuttosto, in Occidente, in Europa, e soprattutto in Italia, i fili che legavano passato e presente. Le culture e le tradizioni politiche per così dire classiche, incapaci di rinnovarsi e forse obiettivamente impossibilitate a farlo in un mondo globalizzato si sono desertificate. La memoria, che si voleva finalmente condivisa, si è invece smarrita, come se gli anziani non avessero più nulla da trasmettere ai giovani, e i giovani non avessero più nulla da chiedere, e nel caso da contestare, agli anziani, eccezion fatta, naturalmente, per i debiti che questi ultimi hanno caricato sulle loro spalle. Niente più «domani che cantano», e va benissimo. Va molto, molto meno bene, invece, specie per le ultime e le penultime generazioni, che non possono nemmeno ricorrere alla droga dei ricordi, vivere in un eterno presente, senza passato e senza una prospettiva decente di futuro.
Tutto questo non significa, naturalmente, che la storia non faccia capolino, suo malgrado, nella lotta politica e in quella che una volta si chiamava la battaglia delle idee. Ma ad essa si ricorre come se fosse una specie di discount, dai cui banconi si prende, alla rinfusa e a prezzi stracciati, ciò che di volta in volta si immagina possa essere utilizzato, a mo’ di clava, contro l’avversario, senza perdere troppo tempo a chiedersi che cosa si sta acquistando, o se il prodotto è scaduto. Non è più solo questione di faciloneria, di improvvisazione e di estraneità a un patrimonio comune che, in passato, si dava, con un pizzico di infondata supponenza, per acquisito: sono già lontani i tempi (era l’ottobre del 2000) in cui Silvio Berlusconi in tv si dichiarava entusiasta all’idea di poter incontrare quanto prima papà Cervi, del tutto ignaro che il vecchio Alcide, un’icona della Resistenza, se ne fosse andato, novantacinquenne, trent’anni prima. Ognuno sembra ormai libero di costruirsi come più gli aggrada, senza incontrare troppe resistenze, la storia, scegliendo ciò che crede gli torni utile e scartando ciò che gli complica la vita. In fondo, se sbaglia ridicolmente, come è capitato a Luigi Di Maio quando, non contento di aver paragonato Matteo Renzi ad Augusto Pinochet Ugarte, ha provveduto a traslocare d’ufficio il dittatore dal Cile al Venezuela, se la caverà con qualche sfottò sui social e una rettifica.
Allegri ignorantoni, incorreggibili gaffeur? Sì. Ma c’è dell’altro. Non è stata una semplice gaffe, anche se pure in quel caso si è scherzato con la storia, la trovata di Matteo Renzi e di Maria Elena Boschi, che tra gli antesignani del Sì nel referendum costituzionale, qualche mese fa, hanno arruolato, per tirarli tra le gambe della minoranza del Pd, Enrico Berlinguer, Nilde Iotti e addirittura Pietro Ingrao. In un dibattito nutrito di un minimo di conoscenza storica chiunque avrebbe riconosciuto che sì, i tre prestigiosi esponenti comunisti furono favorevoli al superamento del bicameralismo perfetto e, in una certa fase, anche monocameralisti. Ma si sarebbe anche ricordato che i suddetti, come tutto il Pci, erano inflessibilmente proporzionalisti, e fieri avversari di ogni forma di decisionismo: difficile rappresentarli come i padri nobili del combinato disposto tra questa riforma costituzionale e l’Italicum, fino a poche settimane fa in gran voga. I manifesti che li ritraevano come gli spiriti guida della riforma Boschi hanno fatto in tempo ad ingiallire senza che nessuno, o quasi, facesse questa semplicissima constatazione.
Anche questo vorrà dire qualcosa. Come vorrà dire qualcosa pure il fatto che in un recentissimo talk show televisivo, nessuno abbia mandato a quel paese il combattivo giornalista che trovava forti analogie tra la reazione dei militanti del M5S alle vicende romane di queste settimane e quella dei militanti comunisti di fronte all’invasione dell’Ungheria nel 1956. Il discount della storia funziona così, e forse non potrebbe essere altrimenti. Ma a chi, per formazione o più semplicemente per età, la cosa stride, un po’ di respiro andrebbe pure concesso. Per pietà: concedetevi, e concedeteci, almeno una moratoria.
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Mps, l’accusa di De Bortoli: su Siena e Banca Etruria “si sente odore di massoneria”
Nel corso di una conferenza alla Scuola di Politche di Enrico Letta, durissima accusa dell’ex direttore del Corriere della Sera, rilanciata con evidenza su Twitter dall’ex presidente del Consiglio. Il giornalista boccia anche la politica estera di Renzi: "L'inziativa di Ventotene con Merkel e Hollande è stata una gita"
A Cesenatico Letta e de Bortoli alla Scuola dell’ex premier.Il tweet sulla massoneria e le bancaMatteo RenziA Cesenatico Letta e de Bortoli alla Scuola dell’ex premier.Il tweet sulla massoneria e le bancaMatteo RenziA Cesenatico Letta e de Bortoli alla Scuola dell’ex premier.Il tweet sulla massoneria e le bancaMatteo Renzi

di Carlo Tecce | 19 settembre 2016
| Commenti (36)


Con la sintesi che impone lo strumento di Twitter, Enrico Letta ha condensato in poche battute l’acuminato pensiero di Ferruccio de Bortoli: “Su vicende bancarie, Etruria, Siena, si sente odore di massoneria”. L’ex presidente del Consiglio ha rilanciato dal punto di vista tecnologico e condiviso dal punto di vista intellettuale il ragionamento del giornalista che per dodici anni ha diretto il Corriere della Sera. Per salvare la denuncia dal vortice dei cinguettii domenicali, l’allievo di Andreatta ha fissato la citazione del giornalista in cima al suo profilo ufficiale di Twitter. Non è un dettaglio.

De Bortoli ha tenuto una lezione a Cesenatico per il passaggio di consegne fra gli studenti della “Scuola di Politiche”, fondata lo scorso autunno da Letta, intitolata a Beniamino Andreatta e coordinata da Marco Meloni, rarissimo esemplare di parlamentare lettiano scampato all’avvento dei renziani. Una manciata di parole ha scatenato ingombranti riflessioni in platea.

Com’è semplice intendere, Siena sta per banca Monte dei Paschi, la cronaca è recente e riassume un logoramento a puntate: su indicazione degli americani di Jp Morgan, Palazzo Chigi ha ordinato la nomina al vertice di Marco Morelli. Il nuovo amministratore delegato è un ex alto dirigente proprio di Mps, multato da Banca d’Italia per la sua partecipazione a un finanziamento attivato dall’istituto senese durante la disastrosa stagione di Giuseppe Mussari. Il ritorno di Morelli ha provocato il ruvido allontanamento dell’ad Fabrizio Viola con una telefonata del ministro Pier Carlo Padoan (il Tesoro è azionista al quattro per cento), ma anche le dimissioni del presidente Massimo Tononi. Non è l’epilogo, semmai il prologo: Mps ha bisogno di cinque miliardi di euro di capitale e Jp Morgan è determinante per il futuro di Rocca Salimbeni.

Quasi due anni fa, il 24 settembre 2014, lo stesso de Bortoli ha accostato la massoneria al patto del Nazareno, l’accordo fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi che ha innescato la caduta del governo di Letta e condizionato la politica renziana.

Il patto del Nazareno sembra sciolto, ma col tempo è ormai emersa la figura del toscano Denis Verdini; l’ex principale collaboratore del Cavaliere con il gruppo Ala garantisce la maggioranza dei senatori all’altro toscano Matteo. Per attinenza non soltanto geografia, le “vicende” narrate da Ferrucio de Bortoli riguardano la Toscana. Etruria rimanda al decreto di Palazzo Chigi che ha azzerato la banca popolare e i risparmi di migliaia di clienti e, soprattutto, rimanda all’ex vicepresidente Pier Luigi Boschi. Il padre di Maria Elena, il ministro delle Riforme, cercava ispirazione dal faccendiere Flavio Carboni per salvare Etruria.

L’anziano Carboni, sardo classe ‘32, più che di sofferenze bancarie, è senz’altro un esperto di logge (da P2 a P3 senza soste).

A Cesenatico non s’è riunita una fronda contro Renzi, ma de Bortoli – che sul Corriere aveva definito il fiorentino un “maleducato di talento” – ha criticato pure la politica estera di Palazzo Chigi: “L’iniziativa del presidente del Consiglio a Ventotene – con il francese Hollande e la tedesca Merkel – è stata una gita”.

Enrico Letta non ha pronunciato il nome di Renzi, ma ha salutato i ragazzi con un invito a cercare la verità: “Dalla guerra in Siria al fenomeno migratorio, il 2017 sarà l’anno della verità. La verità che s’incontra con i fatti. Oggi non c’è più la possibilità di avere dati certi. L’impressione è che sia scomparso il concetto di dato oggettivo, travolto dall’idea del dato da propaganda. Non devono essere usati per creare consenso, ma per capire, altrimenti il rischio è la perdita di credibilità nei confronti delle istituzioni. E le istituzioni servono a tutti, non a chi governa in quel momento”. Anche per decifrare il rapporto fra massoneria e le banche toscane è il momento della verità?

di Carlo Tecce | 19 settembre 2016
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