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camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

Dall'Istat mazzata su Renzi: "Interrotta la fase di crescita"
Nei prossimi mesi proseguirà la fase di debolezza dell'economia italiana. L'Istat affossa Renzi: "Deflazione anche ad agosto, non ci sarà alcun recupero"


Sergio Rame - Lun, 05/09/2016 - 13:42
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"L'economia italiana ha interrotto la fase di crescita". La nuova mazzata a Matteo Renzi arriva dall'Istat che, nella nota sull'andamento dell'economia italiana, lamenta una brusca frenata "condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell'offerta dalla caduta produttiva del settore industriale".


Nel report mensile l'istituto di statistica ha spiegato che "l'indicatore anticipatore dell'economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell'economia italiana".

Una nuova doccia fredda. L'indicatore anticipatore dell'economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell'economia italiana. Un nuovo report che sconfessa le slide e l'ottimismo di Renzi. L'economia italiana non si è ripresa.
Anzi, il segno meno campeggia davanti ai principali indicatori economici del Paese.

A demolire gli slogan del premier è, ancora una volta, l'Istat che, nella sua nota sull'andamento mensile, sottolinea come per la prima volta dal febbraio 2015 l'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi) sia sceso sotto quota 100.

Gli indici di diffusione della crescita congiunturale dei settori della manifattura e dei servizi, spiega l'istituto di statistica, segnalano ancora una percentuale superiore al 50% di settori in espansione, anche se la quota risulta in diminuzione rispetto ai trimestri precedenti.

Anche sul fronte dell'inflazione lo scenario per i prossimi mesi non lascia ipotizzare recuperi significativi della dinamica dei prezzi.

Ad agosto, le aspettative degli operatori registrano maggior cautela tra le imprese circa possibili rincari entro l'anno in corso, mentre tra i consumatori si segnala un leggero ridimensionamento delle attese di stabilità o diminuzione dei prezzi.

L'istituto di statistica precisa che la fase deflativa è proseguita anche in agosto.

La stima preliminare dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale ha confermato una variazione annua negativa per il settimo mese consecutivo, anche se prossima allo zero (-0,1% come in luglio).

La dinamica dell'inflazione complessiva continua a essere fortemente influenzata dall'andamento dei prezzi dei prodotti energetici ancora in caduta tendenziale sebbene in leggera attenuazione (-6,5%, da -7% in luglio).

L'inflazione di fondo risente della debolezza del ciclo economico e della dinamica dei costi esterni, oscillando intorno allo 0,5% dalla fine dello scorso anno.

La dinamica inflativa italiana, conclude l'Istat, continua a risultare inferiore a quella media dei Paesi dell'Eurozona.
camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

DAL NUMERO 34 IN EDICOLA DA IERI-

INGRANDIMENTO
Banche e finanza? Poteri deboli
Il fallimento di Bce e banche centrali. Il capitalismo nel caos. L’Italia in pasto agli stranieri. E il salvataggio del Monte dei Paschi non è detto che vada in porto. C’era una volta il 'salotto buono'
DI VITTORIO MALAGUTTI
02 settembre 2016

EMAIL

Grande è la confusione sotto il cielo dell’alta finanza in questo scorcio di fine estate.

Ci sono banchieri e manager sull’orlo di una crisi di nervi, stretti tra le politiche espansive fin qui fallimentari della Bce di Mario Draghi e l’incerto futuro di una ripresa economica che non decolla.


Perfino loro, i gran capi delle banche centrali, a Francoforte come a Londra, Tokyo e Washington, si comportano ormai come apprendisti stregoni che hanno esaurito il repertorio delle formule magiche, incapaci di rimettere ordine nel caos della finanza globale.

Dalle nostre parti, peggio di tutti se la passa il Monte dei Paschi, appeso al filo di un salvataggio appena annunciato e già da riscrivere.

La bolla dell’incertezza avvolge i mercati e alimenta le voci di ribaltoni prossimi venturi.

In Borsa, per dire, fioriscono le indiscrezioni su imminenti novità per quelli che un tempo venivano chiamati salotti buoni: dalle parti, insomma, di Mediobanca e Generali.

Intanto, bilanci in perdita e magre prospettive di sviluppo mettono in discussione anche alleanze d’affari consolidate nel tempo.

Chi l’avrebbe detto, per esempio, che Silvio Berlusconi avrebbe portato in tribunale l’ex sodale Vincent Bolloré, il raider più famoso di Francia?

La posta in gioco è il futuro di Premium, pay tv di Mediaset (coi conti in rosso) che Bolloré ha comprato ma ora vorrebbe rispedire al mittente.


Non sarà facile. Anche perché il finanziere transalpino, per una volta costretto a giocare in difesa, deve fare i conti da mesi con l’ostilità manifesta di Matteo Renzi, che mal sopporta il piglio da conquistatore in terra straniera esibito nei mesi scorsi da Bolloré nella sua scalata a Telecom Italia. Il siluro di Palazzo Chigi è già partito. Forte dell’appoggio di Roma e dei soldi pubblici, l’Enel farà concorrenza all’ex monopolista dei telefoni sul fronte
quanto mai strategico della banda larga. E questa è una pessima notizia per Telecom Italia, che già fatica a trovare le risorse per finanziare nuovi investimenti.

Le cose non vanno meglio nel triangolo Mediobanca,Generali, Unicredit, un tempo custodi della chiave d’accesso alla cassaforte più segreta del sistema.

Analisti e osservatori si esercitano da settimane a disegnare possibili prossimi riassetti, alleanze, fusioni.

Generali in viaggio verso la francese Axa.

Mediobanca che sposa Unicredit, con Bolloré (ancora lui) a fare da regista dell’operazione.

Nulla si muove, però.

Mancano i soldi, tanto per cominciare.

E così, quelli che un tempo venivano etichettati come i poteri forti, perdono quota e rischiano l’irrilevanza.

Pensate alla battaglia per la conquista del “Corriere della Sera”, combattuta in Borsa a suon di Opa (Offerta pubblica d’acquisto).

Alla fine l’ha spuntata un outsider come Urbano Cairo, editore in proprio di periodici assortiti, patron della tv “La7” e del Torino calcio.

Per l’occasione, Cairo è sceso in campo con le spalle ben coperte dai prestiti di Banca Intesa ed ha conquistato la quota di controllo della holding Rcs.

La sorpresa vera però è un’altra e riguarda gli sconfitti.

Cioè i soci forti del gruppo editoriale capitanati da Mediobanca, quelli che negli ultimi 15 anni non sono riusciti a far fronte alla Caporetto dei conti del primo quotidiano italiano, impiombato dalla crisi generale della carta stampata ma prima ancora da una fallimentare strategia di espansione in Spagna.

Oltre all’istituto che fu di Enrico Cuccia, il gruppo degli alleati scesi in campo contro Cairo comprendeva anche Diego Della Valle, l’Unipol che ha ereditato la quota Rcs di Salvatore Ligresti e la Pirelli venduta ai cinesi da Marco Tronchetti Provera.

Tutti insieme avevano sponsorizzato e finanziato l’offerta di un fondo d’investimento gestito da Andrea Bonomi, ma l’ala nobile del capitalismo nazionale ha infine dovuto alzare bandiera bianca al termine di un confronto giocato per intero in Borsa, tra offerte contrapposte sottoposte al giudizio degli investitori.

La vittoria di Cairo, su cui pochi da principio avrebbero scommesso, può essere letta come un segno dei tempi nuovi.

Sì, perché per decenni il destino del “Corriere” era stato deciso nelle segrete stanze di pochi grandi azionisti. Il fatto è che la crisi finanziaria globale ha squarciato una volta per tutte la tela del capitalismo di relazione. “Chi ha i soldi vince”, recita la regola aurea del mercato. Ma per i campioni della finanza nostrana non è facile tenere il passo con la nuova realtà.

Quella dei tassi d’interesse vicini allo zero, o addirittura negativi, che comprimono i margini di guadagno di banche e assicurazioni.

E allora, nell’incertezza generale sugli esiti di una stagnazione economica che sembra non finire mai, i programmi a lungo termine appaiono un esercizio quanto mai aleatorio.

I piani industriali vengono scritti e riscritti, aggiornando di volta in volta gli obiettivi di profitto per gli anni a venire.

E se questa è la gestione dell’ordinario, diventa più complicato, quasi impossibile, far tornare i conti di un piano di salvataggio, perché banchieri e consulenti sanno di camminare sul ghiaccio sottile di un ciclo economico ancora debolissimo nonostante il bombardamento di liquidità della Bce di Francoforte.

Insomma, nessuno si azzarda più a fare previsioni.

E chi ci prova rischia grosso, come dimostra il caso del Monte dei Paschi.

Il piano di salvataggio della banca senese, annunciato a fine luglio, rischia di naufragare.

L’operazione ruota attorno alla cessione di sofferenze (i crediti a rischio più difficili da recuperare) per un valore di 9,7 miliardi accompagnata da un aumento di capitale per 5 miliardi.

Una somma, quest’ultima, da raccogliere sul mercato grazie all’intervento di un consorzio di garanzia guidato dalla banca statunitense Jp Morgan.

Siamo daccapo: chi ci mette i soldi?

Con l’aria che tira in Borsa, si fatica a capire quanti saranno gli investitori disposti a puntare sul rilancio del Monte.

E infatti i primi sondaggi sul mercato non hanno dato risultati incoraggianti.

Non per niente i consulenti riuniti al capezzale di Mps sono già alla ricerca di una soluzione alternativa.

Si ipotizza di convertire in azioni una quota dei 3 miliardi di obbligazioni subordinate piazzate negli anni scorsi dall’istituto senese presso la clientela cosiddetta istituzionale, cioè grandi investitori come i fondi pensione e d’investimento.

I fondi così raccolti andrebbero a coprire almeno in parte l’importo complessivo dell’aumento di capitale, che diventerebbe così più facile da far digerire alla Borsa.

Solo ipotesi per il momento, che tra l’altro dovranno obbligatoriamente ricevere il via libera della Vigilanza bancaria europea.

E comunque non è detto che la manovra sulle obbligazioni subordinate sia sufficiente a chiudere il cerchio del salvataggio.

Il sistema arranca, ma d’altra parte non può permettersi di abbandonare al proprio destino il Monte dei Paschi.

L’eventuale dissesto della terza banca italiana innescherebbe una reazione a catena con conseguenze imprevedibili per la stabilità finanziaria del Paese.

Solo qualche mese fa, la liquidazione forzata di quattro piccoli istituti (Etruria, BancaMarche, Carife e Carichieti) ha provocato una crisi di fiducia senza precedenti tra correntisti e investitori.

E più di recente, per evitare guai ancora peggiori, la crisi delle Popolari del Nordest (Vicenza e VenetoBanca) è stata risolta solo grazie all’intervento del Fondo Atlante, sostenuto dai maggiori gruppi finanziari nazionali, a loro volta caldamente invitati a scendere in campo dal governo Renzi.

Per prendere il controllo delle due banche venete, Atlante ha investito circa 2,5 miliardi.

Giusto la metà di quanto servirebbe per mettere in sicurezza Unicredit, che avrebbe bisogno, secondo gli analisti, di un aumento di capitale per rafforzare il patrimonio.

Facile a dirsi, ma nessuno dei grandi soci dell’istituto, a cominciare dalla fondazioni di Torino e di Verona, può permettersi di far fronte a cuor leggero a un nuovo esborso di denaro.

Così, la banca italiana più importante d’Europa, l’unica con un respiro veramente globale, resta in mezzo al guado.

Jean Pierre Mustier, il nuovo amministratore delegato in sella da luglio al posto di Federico Ghizzoni, promette per l’autunno un piano che scandirà le tappe della rimonta.

Intanto, con l’obiettivo di far cassa, finiscono nella lista delle possibili cessioni anche pezzi pregiati del portafoglio del gruppo, come la banca polacca Pekao e una quota di Fineco vera macchina da soldi delle gestioni patrimoniali e del trading online.

La quotazione di Unicredit, che ha perso oltre il 60 per cento nell’arco degli ultimi 12 mesi, resta però in balia delle voci.

Tanto che l’istituto di credito italiano potrebbe presto perdere il posto nell’Eurostoxx50, l’indice dei principali titoli della zona euro per valore di mercato.

Sarebbe un brutto colpo.


E non solo per motivi di prestigio. Infatti, i gestori dei grandi fondi internazionali fanno riferimento a questa lista di titoli a grande diffusione per decidere i loro acquisti.


Unicredit è in buona compagnia.

Anche le Generali sono finite in zona retrocessione e al pari della banca guidata da Mustier rischiano l’esclusione dal club dei pesi massimi delle Borse europee.

Le analogie non finiscono qui.

Caso vuole che anche la compagnia di Trieste, così come Unicredit, abbia da poco cambiato il capoazienda.

Al posto di Mario Greco, ora alla guida dell’elvetica Zurich, il gruppo del Leone si è affidato a Philippe Donnet, francese come Mustier e sponsorizzato dal solito Bolloré.

Per questo, da settimane ormai, analisti e operatori di Borsa hanno cominciato a ipotizzare che questa “french connection” finirà per traghettare Generali verso

Axa, il colosso parigino delle assicurazioni su cui esercita ancora una forte influenza l’ottantenne finanziere Claude Bébéar, da sempre in ottimi rapporti con lo stesso Bolloré.

L’eventuale, ipotetica, fusione, avrebbe tutte le caratteristiche di un’annessione di marca francese, visto che Axa vale in Borsa più del doppio del concorrente italiano.

Ed è quindi probabile che l’operazione verrebbe accompagnata da polemiche a non finire sulla campagna d’Italia delle aziende d’Oltralpe, reduci da acquisizioni in serie di marchi più o meno famosi, come Edison, Parmalat e Telecom Italia, per citare solo tre dei maggiori.

Alla fine il polverone dialettico finisce per nascondere il problema vero.

E cioè la debolezza dei grandi gruppi nostrani nel contesto internazionale.

È il caso di Generali, che negli ultimi anni ha perso terreno nei confronti di rivali come Allianz, Zurich e la stessa Axa.

D’altra parte è difficile reggere il confronto se i maggiori azionisti italiani del gruppo del Leone, da Mediobanca a Leonardo del Vecchio fino a Francesco Gaetano Caltagirone non hanno mezzi sufficienti per finanziare la crescita della compagnia e sono preoccupati più che altro di difendere la loro posizione da ogni minaccia esterna.

Capitalisti senza capitali. Poteri deboli.
camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

Dall'Istat mazzata su Renzi: "Interrotta la fase di crescita"
Nei prossimi mesi proseguirà la fase di debolezza dell'economia italiana. L'Istat affossa Renzi: "Deflazione anche ad agosto, non ci sarà alcun recupero"


Sergio Rame - Lun, 05/09/2016 - 13:42
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"L'economia italiana ha interrotto la fase di crescita". La nuova mazzata a Matteo Renzi arriva dall'Istat che, nella nota sull'andamento dell'economia italiana, lamenta una brusca frenata "condizionata dal lato della domanda dal contributo negativo della componente interna e dal lato dell'offerta dalla caduta produttiva del settore industriale".


Nel report mensile l'istituto di statistica ha spiegato che "l'indicatore anticipatore dell'economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell'economia italiana".

Una nuova doccia fredda. L'indicatore anticipatore dell'economia rimane negativo a luglio, suggerendo per i prossimi mesi un proseguimento della fase di debolezza dell'economia italiana. Un nuovo report che sconfessa le slide e l'ottimismo di Renzi. L'economia italiana non si è ripresa. Anzi, il segno meno campeggia davanti ai principali indicatori economici del Paese. A demolire gli slogan del premier è, ancora una volta, l'Istat che, nella sua nota sull'andamento mensile, sottolinea come per la prima volta dal febbraio 2015 l'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi) sia sceso sotto quota 100. Gli indici di diffusione della crescita congiunturale dei settori della manifattura e dei servizi, spiega l'istituto di statistica, segnalano ancora una percentuale superiore al 50% di settori in espansione, anche se la quota risulta in diminuzione rispetto ai trimestri precedenti.

Anche sul fronte dell'inflazione lo scenario per i prossimi mesi non lascia ipotizzare recuperi significativi della dinamica dei prezzi. Ad agosto, le aspettative degli operatori registrano maggior cautela tra le imprese circa possibili rincari entro l'anno in corso, mentre tra i consumatori si segnala un leggero ridimensionamento delle attese di stabilità o diminuzione dei prezzi. L'istituto di statistica precisa che la fase deflativa è proseguita anche in agosto. La stima preliminare dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività nazionale ha confermato una variazione annua negativa per il settimo mese consecutivo, anche se prossima allo zero (-0,1% come in luglio). La dinamica dell'inflazione complessiva continua a essere fortemente influenzata dall'andamento dei prezzi dei prodotti energetici ancora in caduta tendenziale sebbene in leggera attenuazione (-6,5%, da -7% in luglio). L'inflazione di fondo risente della debolezza del ciclo economico e della dinamica dei costi esterni, oscillando intorno allo 0,5% dalla fine dello scorso anno. La dinamica inflativa italiana, conclude l'Istat, continua a risultare inferiore a quella media dei Paesi dell'Eurozona.
camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

Il Paese è fermo, e Libero semplifica così, in prima pagina:

Lo capirebbe anche un pirla

Basta uscire dall'euro e si crese
Maucat
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Re: Economia

Messaggio da Maucat »

camillobenso ha scritto:Il Paese è fermo, e Libero semplifica così, in prima pagina:

Lo capirebbe anche un pirla

Basta uscire dall'euro e si crese

Basta per favore con queste imbecillità... 8-)
camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

MA CHE C....


Dal Corriere in edicola:


«Una sola strada per la ripresa,
gli Stati ora tornino a investire
La crescita? Serve più fiducia»


di Giuliana Ferraino

Su una cosa James Mirrlees
è d’accordo con Mario Draghi.
«La Germania dovrebbe usare
il suo surplus di bilancio e
spendere di più per far ripartire
l’eurozona», afferma l’economista
scozzese, 80 anni,
premiato con il Nobel in Economia
nel 1996 per il suo lavoro
sugli incentivi economici in
situazioni di informazioni incomplete
o asimmetriche.
Mirrlees, a Firenze per una lecture
(«The economics of carrots
and sticks») in occasione
del Graduation Day della European
School of Economics, è
invece piuttosto critico sulla
politica monetaria della Banca
centrale europea che, secondo
lui, «ha fatto molto poco».

L’inflazione si fermerà allo
0,2% nell’eurozona quest’anno,
mentre la crescita resta
fragile. Perché gli oltre mille
miliardi spesi dalla Bce per
acquistare bond sul mercato
e i tassi negativi non hanno
avuto gli effetti sperati?


«Le aziende non fanno investimenti.
E non li fanno perché
non si aspettano un aumento
della domanda da parte
dei consumatori e dei governi,
che hanno tagliato spesa pubblica
e consumi privati. Serve
una discussione più seria e approfondita
su ciò che può essere
davvero fatto. Oggi si potrebbe
risvegliare l’economia
molto velocemente».

Perché non succede?
«Le persone hanno perso la
fiducia nelle azioni dei governi,
temono che si ripeterà
quanto è accaduto in passato».
Più debito e niente riforme?
Cosa servirebbe invece?

«La Germania, che ha un
surplus sostanzioso, dovrebbe
prendere il comando per far
tornare a crescere consumi e
investimenti. La buona notizia
è che per la prima volta i salari
tedeschi stanno salendo, dopo
essere scesi negli anni passati,
e un risveglio della domanda
futura potrebbe spingere gli
investimenti delle imprese».
camillobenso
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Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

MA CHE C....


In prima pagina sull'Eco di Bergamo di oggi, compare l'allarme della Confindustria di Bergamo che si perderanno 5.000 posti di lavoro se si ritarda nell'individuazione del nuovo sito.

Uno Stato Bandito che si preoccupa solo del magna - magna e poi fuggi, perché si dovrebbe preoccupare di investire per far ripartire l'economia?????????
camillobenso
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Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

DOMANI PINOCCHIO MUSSOLONI S'INVENTERA' LA COSTRUZIONE DI UN NUOVO PONTE, COSI I GIORNALI TORNERANNO A VENDERE.

ALTRI 100MILA POSTI DI LAVORO.





28 SET 2016 10:47
PIANGE L'EDICOLA

- CONTINUA L'INARRESTABILE CROLLO DELLA CARTA STAMPATA: A GIUGNO E LUGLIO TUTTI I GIORNALI PERDONO DAL 4 AL AL 17% RISPETTO ALL'ANNO SCORSO

- 'REPUBBLICA' E 'CORRIERE' ORMAI SEPARATI DA 2MILA COPIE - ALCUNI GIORNALI LOCALI PERDONO MENO, ALTRI DI PIU' - MALISSIMO GLI SPORTIVI



Vendite giornali: i dati di luglio 2016 mostrano che la crisi non è uguale per tutti, c’è chi perde più degli altri chi meno. Mese dopo mese Blitz registra i numeri delle vendite in edicola dei quotidiani in Italia, comunicati dagli editori all’Ads (Accertamento diffusione stampa), un istituto poco costoso ma efficace che registra da più di 30 anni chi sale e chi scende nella classifica delle diffusioni.


Ecco le ultime novità, le vendite dei mesi di giugno e luglio 2016. Si conferma la legge dell’ombrellone, in base alla quale d’estate le vendite dei giornali aumentano. Ma fra giugno e luglio ci sono delle notevoli differenze, sulle quali influiscono anche le notizie. Le evidenze principali sono:

1. La gara a perdere copie fra Corriere della Sera e Repubblica, che ormai appassiona quasi nessuno, perfino nelle due ormai rassegnate redazioni, prosegue con una nuova performance al peggio di Repubblica che ha perso, luglio 2016 su luglio 2015, altre 14.729 copie (-5,9%) dopo averne perse 19.112 giugno su giugno (-7,9%). Il Corriere ne ha perse 11.286 in luglio (-4,7%), oltre 17 mila in giugno (-7,5). La differenza fra i due giornali, che era di oltre 5 mila copie un anno fa a luglio, ora è ridotta a meno di 2 mila.

Fra i giornali che hanno perso di più c’è Libero, che nel confronto anno su anno ha perso l’11,7% a luglio e il 16,3% a giugno. Perde tanto anche La Stampa di Torino, più del 10% sia in giugno sia in luglio. In giugno ha venduto 133.724 copie, in luglio 139.141 (effetto ombrellone), un terzo di quanto vendeva ai tempi d’oro.


Fra i giornali che hanno perso di meno c’è il confratello Secolo XIX di Genova, ha perso il 7% a giugno, il 3,7% in luglio. Forse proprio per questo, perché andava troppo bene, hanno cambiato direttore.
A parte il trend dei primi tre, continua il calo dei giornali politici, un calo che nel confronto mese su mese è solo attenuato dall’effetto ombrellone a dall’interesse suscitato dalle vicende post-amministrative e dal dibattito su Renzi e anti Renzi, Grillo e anti Grillo.

Questo il quadro complessivo per quanto riguarda le vendite in edicola dei giornali a diffusione nazionale. Oltre al dato delle copie vendute a luglio, giugno, maggio e aprile 2016, che fa vedere l’evoluzione mese su mese, nella tabella abbiamo inserito la variazione in percentuale anno su anno nel mese di luglio e nel mese di giugno. Le ultime due colonne sono riservate al numero di unità acquistate in edicola a luglio e giugno 2015:

Quotidiani
nazionali
Vendite
luglio
2016
Vendite
giugno
2016
Vendite
maggio
2016
Vendite
aprile
2016
Var.
luglio
’16-’15
Var.
giugno
’16-’15
Vendite
luglio
2015
Vendite
giugno
2015
La Repubblica
233.029
223.022
208.538
212.070
-5,9%
-7,9%
247.758
242.134
Il Corriere della Sera
231.142
217.002
204.507
208.530
-4,7%
-7,5%
242.428
234.702
La Stampa
139.141
133.724
131.058
134.650
-10,6%
-10,9%
155.497
150.433
Il Sole 24 Ore
81.945
86.760
86.342
86.284
-9,2%
-12,8%
90.233
87.882
Il Giornale
70.348
71.673
68.408
69.825
-10%
-6,6%
78.144
76.768
Il Fatto Quotidiano
38.535
36.632
34.084
35.691
-4,8%
-4,1%
40.473
38.193
Libero
34.173
31.338
31.253
31.343
-11,7%
-16,3%
38.691
37.420
Italia Oggi
31.373
30.062
25.820
26.408
+1,9%
-2,8%
30.824
30.935
Avvenire
19.407
20.610
20.943
20.764
-4,02%
-18,1%
20.260
25.173
Il Manifesto
8.550
8.548
8.597
8.636
-13%
-8,4%
9.833
9.331

2. I giornali che hanno perso di meno sono i quotidiani locali.
I migliori, cioè quelli che rispetto all’estate 2015 sono calati di meno, sono stati la Provincia di Cremona, il Libertà di Piacenza, il Messaggero Veneto, la Tribuna di Treviso e il Piccolo di Trieste.


A non tutti è andata così bene. Si segnala il caso del Messaggero di Roma e del Gazzettino di Venezia, tra i giornali meglio fatti ma che probabilmente pagano lo scotto di edizioni on line fra le migliori. Perdono rispettivamente, il Messaggero un 8,3% a giugno e un 8,9% a luglio, il Gazzettino un 9 per cento in ciascun mese. Eccezionale il calo del Giorno che ha perso il 16% a giugno e il 17,4% a luglio.

Da segnalare l’andamento da montagne russe del Corriere Adriatico, che ha perso il 10,1% delle copie a giugno per guadagnarne il 22,5% a luglio.
Molto negativo il trend nel Meridione. Il Mattino (-11,5% in giugno, -14% in luglio) sconta anch’esso un sito eccellente. Per gli altri le cifre sono impietose. La Gazzetta del Sud perde il 10,9% a giugno e il 9,5% a luglio; il Giornale di Sicilia il 12,3% a giugno e il 14% a luglio; La Sicilia il 12,2% a giugno e il 9,8% a luglio; il Nuovo Quotidiano di Puglia il 12,6% e il 10,6%.

Quotidiani
locali
Vendite
luglio
2016
Vendite
giugno
2016
Vendite
maggio
2016
Vendite
aprile
2016
Var.
luglio
’16-’15
Var.
giugno
’16-’15
Vendite
luglio
2015
Vendite
giugno
2015
Il Messaggero
108.299
101.128
98.095
99.101
-8,3%
-8,9%
118.123
110.965
Il Resto del Carlino
104.481
100.071
96.036
96.602
-5,6%
-6,5%
110.702
107.048
La Nazione
79.784
75.846
73.557
73.838
-7,7%
-9%
86.419
83.367
Il Gazzettino
51.226
49.934
49.137
49.314
-9%
-9,1%
56.269
54.912
Il Secolo XIX
46.046
44.304
43.927
45.592
-3,7%
-6,9%
47.817
47.589
Il Tirreno
45.072
43.417
42.234
42.370
-8,6%
-10%
49.328
48.273
Unione Sarda
42.120
40.194
39.963
40.811
-7,6%
-7,1%
45.564
43.277
Messaggero Veneto
40.099
39.481
39.604
39.085
-3,5%
-3,3%
41.534
40.849
Il Giorno
38.934
37.812
38.168
38.653
-17,4%
-16%
47.136
45.013
Nuova Sardegna
38.381
36.162
35.315
35.490
-6%
-8,3%
40.819
39.435
Il Mattino
37.807
34.825
34.583
34.080
-11,5%
-14%
42.709
40.476
L’Arena di Verona
26.784
25.165
24.758
25.097
-4%
-6,7%
27.909
26.976
L’Eco di Bergamo
25.036
24.457
24.028
24.525
-5,8%
-4,9%
26.590
25.707
La Gazzetta del Sud
25.334
23.763
23.875
23.600
-9,5%
-10,9%
27.986
26.663
Il Giornale di Vicenza
24.948
23.826
23.047
23.391
-5,8%
-7,1%
26.480
25.650
Il Piccolo
22.678
22.792
22.300
22.284
-4,9%
-5,5%
23.844
24.126
Gazzetta del Mezzogiorno
21.737
20.838
20.402
20.542
-8,4%
-2,7%
23.719
23.147
Il Giornale di Brescia
21.366
20.923
20.589
20.863
-3,9%
-4,6%
22.242
21.934
Il Mattino di Padova
19.931
19.390
18.836
19.001
-3,4%
-4,5%
20.624
20.308
La Provincia (Co-Lc-So)
19.867
20.327
20.859
20.796
-7,5%
-5,3%
21.471
21.468
La Gazzetta di Parma
19.453
18.893
18.475
19.472
-8,6%
-9,4%
21.273
20.844
Libertà
19.161
19.185
19.016
19.233
-2,9%
-2,4%
19.735
19.662
Il Giornale di Sicilia
18.315
17.906
17.922
17.999
-14%
-12,3%
21.350
20.406
La Gazzetta di Mantova
18.202
17.775
17.985
17.921
-4,2%
-5,6%
19.002
18.824
La Sicilia
17.646
16.965
16.839
17.309
-9,8%
-12,2%
19.553
19.329
Corriere Adriatico
15.288
11.161
10.639
10.738
+22,5%
-10,1%
12.482
12.384
La Provincia di Cremona
14.752
14.079
14.795
14.278
-0,03%
-5,6%
14.799
14.913
Il Centro
14.499
14.255
13.295
13.441
-9,4%
-7,2%
15.996
15.368
L’Adige
13.730
12.924
12.529
12.467
-6,7%
-8,1%
14.712
14.062
La Provincia Pavese
13.066
12.824
12.874
13.111
-4%
-7,3%
13.615
13.836
Nuovo Quot. di Puglia
13.005
11.393
10.870
10.725
-10,6%
-12,6%
14.543
13.039
Alto Adige-Trentino
12.982
12.772
12.803
12.795
-7,8%
-6,5%
14.081
13.658
La Nuova Venezia
12.894
12.466
11.775
12.031
-8,4%
-9,4%
14.074
13.761
Il Tempo
12.719
13.572
13.048
13.778
-9,9%
-5,5%
14.110
14.366
La Tribuna di Treviso
11.641
11.485
11.185
11.064
-3,7%
-4%
12.085
11.975
Corriere dell’Umbria
10.720
10.639
10.513
10.775
-4,5%
-2%
11.235
10.858


Dalla tabella abbiamo tenuto fuori i giornali che ad luglio 2016 risultano aver venduto meno di 10.000 copie. Sono La Gazzetta di Reggio (9.115), La Gazzetta di Modena (8.006), La Nuova Ferrara (6.723), il Quotidiano del Sud (7.873) il Dolomiten (7.816), il Corriere delle Alpi (5.026).
virman cusenza
VIRMAN CUSENZA

3. Vanno male i giornali sportivi che perdono fra il 10 e il 20 per cento anno su anno. La crisi dei giornali sportivi nel mese degli europei di calcio è una prova del devastante effetto della tv, di Sky in particolare, sui giornali. Non solo Corriere dello Sport e Gazzetta dello Sport sono in testa alla lista dei peggiori, ma un dato colpisce un vecchio osservatore. Le edizioni del lunedì, una volta punto di forza dei giornali sportivi, con vendite molto ma molto superiori a quelle dei giorni feriali, oggi scontano un calo che non si può spiegare soltanto col fatto che a maggio finisce il campionato di calcio.

Con quello che offrono Sky, Mediaset e Rai la domenica, gli appassionati di calcio hanno ben poco da chiedere al loro giornale.
Da osservare il fenomeno di Tuttosport, giornale sportivo di Torino. Con la Juventus in dimensioni siderali, le sue vendite dovrebbero beneficiarne. Invece il confronto luglio 2016 su luglio 2015 è assai deludente.


Quotidiani
sportivi
Vendite
luglio
2016
Vendite
giugno
2016
Vendite
maggio
2016
Vendite
aprile
2016
Var.
luglio
’16-’15
Var.
giugno
’16-’15
Vendite
luglio
2015
Vendite
giugno
2015
Gazzetta dello Sport Lunedì
183.285
166.474
167.552
175.118
-6%
-9,3%
195.089
183.585
Gazzetta dello Sport
185.110
170.232
155.255
157.622
-7,5%
-4,7%
200.173
178.642
Corriere dello Sport Lunedì
101.689
91.989
98.957
106.087
-13%
-20,2%
116.861
115.282
Corriere dello Sport
108.192
96.507
89.605
87.640
-14,5%
-11,4%
126.511
108.866
Tuttosport Lunedì
69.120
57.603
59.058
72.096
-10,4%
-23,3%
77.145
75.073
Tuttosport
73.208
61.742
59.362
58.390
-10%
-15,8%
83.872
73.343


Concentriamo la nostra analisi sulle copie vendute in edicola. Sono le uniche per cui un tossico di notizie spende 1 euro e 50 e anche di più per avere il suo giornale preferito. Ormai è un mercato da specie protetta, tanto si riducono, mese dopo mese, i compratori di giornali.

Tutte le altre copie diffuse via abbonamento, vendite in blocco e quanti altri sistemi la fantasia degli editori si è inventata, sono utili a fare leggere il giornale.

Ma sono una cosa ben diversa dalle copie pagate in edicola una volta e mezzo e più di un buon caffè. Non si conosce il prezzo delle copie vendute nei vari canali fuori edicola, ma la regola è che siano almeno una infima percentuale del prezzo di copertina.
Questo dovrebbe spiegare il differente trend di Avvenire, in calo in edicola è sempre in grande spolvero nella diffusione totale grazie agli… abbonamenti.

Entità diversa dalla copie vendute è il numero dei lettori che sono una categoria ben più vasta. Una copia la possono leggere decine di persone, pensate a quelle lasciate sui tavolini dei bar.

È difficile misurare quante delle copie diffuse fuori delle edicole siano poi effettivamente lette. A questo provvede una apposita indagine, l’Audipress, ovvero l’Auditel dei giornali, con margini di approssimazione abbastanza ampi come tutte le ricerche, su cui influiscono formazione territoriale del campione, notorietà… Funziona per giornali diffusi in modo abbastanza omogeneo sul territorio nazionale, può riservare sorprese per i giornali locali.

Questo tipo di ricerche o accertamenti ha solo un obiettivo, il mercato pubblicitario. Non a caso sono nate con il grande balzo in avanti della economia italiana negli anni 70 e con il conseguente sviluppo della pubblicità.

Dal punto di vista pubblicitario si deve ritenere molto scarso il valore delle copie digitali. Provate a sfogliare sul vostro computer o tablet un giornale. Non ci vuole McLuhan per scoprire che le pagine di pubblicità, che sulla carta stampata sono lampi di sole nella sequenza del grigiore delle notizie, sugli schermi di pc e dispositivi vari sono molto meno individuabili.

IL COPIA INCOLLA SULLE TABELLE NON E' RIUSCITO.

A CHI INTERESSA VEDERE:
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 132846.htm
iospero
Messaggi: 2444
Iscritto il: 24/02/2012, 18:16

Re: Economia

Messaggio da iospero »

A camillobenso , hai visto l'articolo su repubblica.it relativo ai nuovi media che riporto sul nostro " social networks"

A proposito di economia, interessante l'articolo su MicroMega
L'emissione gratuita di Moneta Fiscale – un titolo statale che dà diritto a uno sconto fiscale temporalmente differito – è l'unica soluzione per riprendere il controllo della politica monetaria e fiscale, dentro le regole dell'euro ma oltre l'euro, e far ripartire rapidamente l'economia italiana, i redditi e l'occupazione con manovre fortemente espansive senza produrre nuovo debito.

a cura di Enrico Grazzini

Questo appello per l'introduzione della Moneta Fiscale è rivolto innanzitutto direttamente al presidente del Consiglio Matteo Renzi e al suo governo, ma anche ai partiti di opposizione e a tutte le organizzazioni sociali responsabili (in primis, sindacati e Confindustria) [1].

http://temi.repubblica.it/micromega-onl ... a-fiscale/
camillobenso
Messaggi: 17353
Iscritto il: 06/04/2012, 20:00

Re: Economia

Messaggio da camillobenso »

29 SET 2016 11:10
LA PAX DEL GREGGIO, PER FAR GODERE I PRODUTTORI E FOTTERE I CONSUMATORI: L'OPEC TROVA L'ACCORDO E PROMETTE DI TAGLIARE LA PRODUZIONE. IL PREZZO SCHIZZA SOPRA I 47 DOLLARI E LE BORSE FESTEGGIANO (MILANO +1,5%)

- PREPARATEVI A UN'IMPENNATA DELLA BENZINA



1.BORSA: EUROPA SU DI GIRI CON SUPERGREGGIO, MILANO +1,5%
ANSA - Le Borse europee festeggiano il rimbalzo del greggio dopo la decisione dell'Opec di ridurne la produzione, con rialzi importanti per Milano(+1,58%) e Parigi (+1,43%). Più caute Francoforte, Madrid e Londra, in rialzo tutte di 1,2 punti percentuali, positivi i futures Usa, in vista del Pil trimestrale e delle richieste settimanali di sussidi di disoccupazione.

Proprio su questo fronte si segnala un dato stabile al 6,1% in Germania in settembre, così come dovrebbe mantenersi a 103,5 punti l'indice che misura la fiducia economica nell'Ue. I titoli oggi più favoriti sono proprio i petroliferi Shell (+5,48%), Total (+5,2%), Bp (+4,74%) ed Eni (+4,21%). In recupero a Francoforte Deutsche Bank (+1,42%) e Commerzbank (+1,4%), particolarmente colpite a inizio settimana.


2.OPEC TROVA ACCORDO, PRODUZIONE SCENDE A 32,5 MLN BARILI

(ANSA) - L'Opec trova un difficile accordo per il taglio delle quote di produzione e il prezzo del petrolio mette le ali, tornando sopra quota 47 dollari e segnando in pochi minuti un guadagno di oltre il 6%. Il vertice informale di Algeri, dove per tre giorni i principali Paesi produttori si sono confrontati alla ricerca di un'intesa che non scontentasse nessuno, in particolare i due 'avversari' Arabia Saudita e Iran, si sarebbe concluso con la decisione di far scendere il tetto della produzione dai 33,2 milioni di barili del mese scorso a 32,5 milioni di barili.


Manca ancora l'ufficialità e l'intesa potrebbe essere ratificata il 30 novembre a Vienna, ma i mercati sono apparsi convinti che ormai la quadra sia stata trovata. A pagare il conto più salato, secondo la proposta presentata dall'Algeria, dovrebbe essere il colosso saudita, principale fautore della politica di prezzi bassi di questi anni, che vedrà la produzione scendere di circa 400 mila barili, seguito da Emirati Arabi (circa 150mila barili in meno) e Iraq (circa 130mila in meno).


Libia e Nigeria conserverebbero le quote attuali, mentre l'Iran, il più resistente all'idea di congelare la produzione con l'obiettivo di tornare ai livelli pre-embargo, verrebbe in sostanza accontentato con un piccolo incremento, pari a circa 50mila barili al giorno. Il taglio della produzione, il primo da otto anni a questa parte, ha immediatamente messo il turbo alle quotazioni, che nel giro di pochi minuti hanno superato quota 47 dollari, dai 44 circa su cui avevano viaggiato per tutta la giornata, chiudendo a 47,05.


Del resto non era certo scontato che i paesi membri del Cartello raggiungessero un accordo, vista la tenace opposizione di Teheran, che vuole trarre vantaggio dalla nuova condizione di libertà di azione determinata dalla fine delle sanzioni e dell'embargo.

La situazione economica internazionale, tuttavia, ha probabilmente avuto la meglio sulla geopolitica: le previsioni su prezzi in picchiata e domanda ancora in ribasso a fronte di un'offerta sovrabbondante (le ultime sono arrivate proprio ieri da Goldman Sachs) non sono rimaste inascoltate al tavolo del grandi produttori, dove sedeva anche la Russia pur non essendo membro effettivo del Cartello. E proprio Mosca, insieme ad Algeria e Qatar, avrebbe convinto Arabia e Iran della necessità di dare una sforbiciata alla produzione per il bene di tutti.
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