Renzi

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camillobenso
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Re: Renzi

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5 OTT 2016 11:17
IL CRAC DELLE BANCHE A CARICO DEI CONTRIBUENTI


- RENZI SE LA FA SOTTO E AIUTA I BANCHIERI PER PAURA DI ESSERE TRAVOLTO DA UNA CRISI DEL SISTEMA BANCARIO: SGRAVI FISCALI A UBI A CUI PALAZZO CHIGI HA CHIESTO DI COMPRARE ETRURIA, MARCHE E CHIETI


- CDP IN CAMPO PER L'AUMENTO DI CAPITALE MPS

- INCENTIVI E SUSSIDI PER I LICENZIAMENTI

- IL RITORNO DELL’ANATOCISMO E L’AUMENTO DEI COSTI DEI CONTI CORRENTI




Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"



Per il premier Matteo Renzi, l’aggravarsi della crisi delle banche potrebbe rappresentare un colpo esiziale per il suo governo. Ecco perché negli ultimi giorni è cresciuto il livello di attenzione su alcune vicende da allarme rosso, col ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sceso in campo a occuparsi della faccenda in prima persona. I dossier che scottano di più sono tre: due sono casi specifici, da una parte il Monte paschi di Siena, dall’altra gli istituti falliti (Etruria, Marche, Chieti, Ferrara); il terzo è un caso di sistema, la cura dimagrante dei bilanci attraverso la riduzione del costo del lavoro.


Obiettivo del premier è allontanare i rischi di crac e, soprattutto, evitare il ricorso al bail in che lo scorso anno ha messo in ginocchio migliaia di investitori, minato la fiducia dei risparmiatori, azzoppato la credibilità dell’esecutivo. Fatto sta che lo stato di salute del settore oggi è pessimo e Padoan ha avviato un serrato negoziato coi banchieri.

E, nonostante si tratti di una classe dirigente che in talune circostanze meriterebbe più di un cartellino rosso, l’inquilino di via Venti Settembre è pronto a mettere sul tavolo una serie di «regali» per consentire al sistema creditizio di restare in piedi ed evitare, così, una caduta a catena che potrebbe travolgere lo stesso governo. Renzi non può permettersi alcuno scivolone, ora che è nel vivo la campagna elettorale sul referendum costituzionale del 4 dicembre.


La strategia salva-banche ha preso forma in questo contesto. Qui di seguito, nel dettaglio, l’articolata offerta ai banchieri, che si preparano a indossare la speciale ciambella di salvataggio confezionata a palazzo Chigi. Per quanto riguarda Mps, è sempre più probabile che l’aumento di capitale da 5 miliardi di euro venga accompagnato al successo anche grazie a un po’ di denaro pubblico: un’iniezione di liquidità che potrebbe essere attuata per il tramite della Cassa depositi e prestiti oppure, per farla meno «sporca», attraverso una finta operazione di mercato in un fondo d’investimento, magari Atlante.


Restano i dubbi e i fari puntati su JpMorgan oltre che sul ruolo del governo nella sostituzione dell’ex ad di Mps Fabrizio Viola con Marco Morelli (gradito alla major americana che col Tesoro ha diversi fascicoli aperti, a cominciare dal btp a 50 anni in via di emissione). La questione delle good bank, invece, potrebbe essere affrontata con un pacchetto di sgravi fiscali.

Desinataria delle agevolazioni su misura, da infilare nella prossima legge di bilancio, sarebbe Ubibanca, a cui Renzi ha chiesto di acquistare almeno tre dei quattro istituti «risolti» a novembre 2015 (Etruria, Chieti e Marche; per Ferrara serve un altro Cavaliere bianco). Il vertice di Ubi si scontra coi rigidi paletti della Bce che, tuttavia, potrebbero essere parzialmente smussati da sgravi tributari sui 600 milioni di aumento di capitale preteso proprio dall’Eurotower.


L’ultimo regalo in arrivo è quello suggerito ieri dal direttore generale della Banca d’Italia. Salvatore Rossi ha detto chiaramente che ritiene possibili «se necessario interventi ad hoc per agevolare gli esuberi del settore bancario attraverso gli ammortizzatori sociali». L’alto dirigente di via Nazionale parla, di fatto, di licenziamenti e cassa integrazione (Naspi) con sostegni straordinari a carico della fiscalità generale. Il pericolo, in questo caso, è andare a uno scontro coi sindacati che non serve a nulla.

Non è finita. Fuori sacco, è già arrivato (o, meglio, tornato) l’anatocismo, la pratica degli interessi sugli interessi. Dal 1 ottobre, i clienti sono a un bivio: o autorizzano l’addebito degli interessi sul conto corrente appena divengono esigibili, dando l’ok alla loro capitalizzazione, oppure li estinguono entro 60 giorni, dal momento in cui diventano esigibili con l’afflusso di nuovi capitali cash. Un favore, previsto dalla finanziaria del 2016, che consente alle banche di migliorare quel deficit di redditività denunciato sempre ieri da Rossi.


Fin qui i regali. Ma non bisogna dimenticare che parecchie banche hanno aumentato i costi dei conti correnti - in spregio alla correttezza, forse nel solo rispetto della Gazzetta ufficiale - per recuperare il denaro speso nel 2015 per alimentare il fondo di salvataggio di Bankitalia. Insomma, se gli istituti falliscono, pagano correntisti e contribuenti.
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Re: Renzi

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Banche, il Fmi asfalta Renzi: "Sforzi dell'Italia insufficienti"
Renzi è sempre più in crisi. Il Fmi boccia le sue politiche economiche e lo mette in guardia: "Affrontare le sfide delle banche deboli"


Sergio Rame - Mer, 05/10/2016 - 15:41
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Gli "sforzi" del governo italiano per le banche e la pulizia di crediti deteriorati "potrebbero non essere sufficienti a ridurre" le sofferenze "tanto e abbastanza velocemente quanto necessario per rafforzare il sistema bancario".


Nel Global Financial Stability Report il Fondo monetario internazionale (Fmi) cita le misure fiscali, quelle per accelerare le procedure di insolvenza, il meccanismo Gacs e il fondo Atlante. E invita le autorità italiane a valutare "immediatamente" la qualità del credito delle banche più piccole non soggette alla vigilanza della Bce e monitorare gli "ambiziosi" obiettivi di riduzione delle sofferenze a medio termine per accertarsi che siano raggiunti.

I rischi a breve termine sull'economia globale sono diminuiti rispetto ad aprile, ma sono aumentati quelli a medio termine. Per il Fmi è importante che le istituzioni finanziarie delle economie avanzate "si adattino a questa nuova era di bassa crescita e bassi tassi di interesse". Questa tipo di attenzione deve prestarla in particolar modo l'Italia e il premier Matteo Renzi che, in questi mesi, si troca a dover affrontare lo spinoso tema del salvataggio delle banche sofferenti. Banca Etruria e compagnia sono, infatti, in cima all'agenda del premier che, dopo le bordate della Banca d'Italia, della Corte dei Conti e dell'Ufficio parlamentare di Bilancio (Upb), si trova oggi a dover fare i conti con la sonora bocciatura del Fondo monetario. Secondo gli economisti di Washington, il governo italiano non starebbe facendo abbastanza per risolvere l'emergenza banche.

Nel suo Global Financial Stability Report, il Fmi invita esplicitamente Renzi ad "affrontare le sfide delle banche deboli è importante per ridurre la pressione sul settore italiano più in generale". E cita il caso del Monte dei Paschi di Siena che ha annunciato un piano per privarsi di 27,7 miliardi di euro di non performing loans (prestiti non performanti) lordi o più di 10 miliardi netti e un aumento di capitale da 5 miliardi di euro. I tecnici di Washington avvertono, tuttavia, che "senza un chiaro miglioramento della capacità delle banche deboli di generare sufficiente capitale interno, gli investitori rischiano di essere titubanti nel finanziare iniezioni di nuovo capitale per compensare le perdite connesse ai crediti in sofferenza".
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Re: Renzi

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TRUFFE E TRUFFATORI



IL GOVERNO CONFESSA In un rapporto i veri numeri dietro le promesse
Altro che Ponte: contro i disastri
i 9 miliardi diventano 74 milioni

pIl premier si autocelebra
a Genova per i “passi avanti
giganteschi” nella messa
in sicurezza del territorio
due anni dopo l’alluvione
in Liguria. Ma del grande
piano miliardario annunciato
all’epoca sono stati
spesi soltanto spiccioli
(peraltro stanziati dal
governo Letta). Adesso
lo certifica il ministero
del Tesoro in una relazione
sugli investimenti
appena pubblicata
DI FOGGIA E PALOMBI A PAG. 6

Dal FATTO QUOTIDIANO DEL 6 OTTOBRE 2016
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Re: Renzi

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L'ITALIETTA DI PINOCCHIO MUSSOLONI E' NEL CAOS




“Mi hanno detto di tenere a casa mio figlio”
Storie di diritto allo studio negato ai disabili

L’anno scolastico è iniziato da un mese e migliaia di alunni non possono partecipare alle lezioni
Mancano docenti di sostegno e assistenti. Una madre: “Nessuno è disposto ad accompagnarlo in bagno”
Foto LaPresse - Marco Cantile
Napoli, 28/09/2015
Cronaca
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella inaugura l'anno scolastico alla scuola statale Sannino di Ponticelli con il Ministro della Pubblica Istruzione
Nella foto: proteste di associazioni di disabili, gli "invisibili", fuori la scuola
Scuola
“Un dirigente scolastico mi ha detto di lasciare a casa mio figlio fino all’arrivo del sostegno”. “Nessuno vuole portare mio figlio in bagno quando ha bisogno”. Le storie raccolte da ilfattoquotidiano.it dimostrano che il diritto a frequentare la scuola in Italia non vale per tutti. Sono migliaia gli alunni e studenti con disabilità, sia fisica che psichica, che a un mese dall’inizio dell’anno scolastico non possono ancora partecipare alle lezioni insieme ai loro compagni di classe. Perché gli studenti disabili quest’anno sono aumentati da 216.452 a 224.509, ma il numero dei docenti di sostegno non ha tenuto il passo di Renato La Cara
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Re: Renzi

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Da : MATTEO RENZI – IL PREZZO DEL POTERE
Di Davide Vecchi – Prefazione di Marco Travaglio

Contenuto del libro (Riassunto presente nella copertina anteriore)

Questa che state per leggere è la carriera di un presidente, la fotografia di come funziona oggi il potere in Italia.

Una storia in ombra.

Dentro e dietro la cronaca, questo libro supportato da documenti e testimonianze inediti, racconta tradimenti, retroscena, intrighi di palazzo che hanno segnato la scalata di Matteo Renzi. Dal gennaio del 2014 fino ad oggi.

Le trame finora mai rivelate che hanno portato alle dimissioni di Enrico Letta.

Incarichi, poltrone, appalti distribuiti come un conto da pagare.

Le manovre per difendere gli indifendibili.

I segreti e le carte più scottanti dello scandalo Banca Etruria, che ha visto coinvolti il padre dell’attuale ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi e l’intero governo.

CONTINUA
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Re: Renzi

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camillobenso ha scritto:Da : MATTEO RENZI – IL PREZZO DEL POTERE
Di Davide Vecchi – Prefazione di Marco Travaglio

Contenuto del libro (Riassunto presente nella copertina anteriore)

Questa che state per leggere è la carriera di un presidente, la fotografia di come funziona oggi il potere in Italia.

Una storia in ombra.

Dentro e dietro la cronaca, questo libro supportato da documenti e testimonianze inediti, racconta tradimenti, retroscena, intrighi di palazzo che hanno segnato la scalata di Matteo Renzi. Dal gennaio del 2014 fino ad oggi.

Le trame finora mai rivelate che hanno portato alle dimissioni di Enrico Letta.

Incarichi, poltrone, appalti distribuiti come un conto da pagare.

Le manovre per difendere gli indifendibili.

I segreti e le carte più scottanti dello scandalo Banca Etruria, che ha visto coinvolti il padre dell’attuale ministro per le Riforme istituzionali Maria Elena Boschi e l’intero governo.

CONTINUA
CONTINUA

I rapporti tra Boschi senior e l’onnipresente “buon amico” Flavio Carboni.

La longa manus di lobbisti come Gianmario Ferramonti. Le strategie per colpire e ammorbidire la vicenda del padre, Tiziano Renzi, che ancora oggi rimane misteriosa.

La storia mai rivelata di Marco Carrai, il Richelieu del governo, con un ventaglio di società all’estero che a lui fanno riferimento e soci che risultano avere importanti interessi da difendere in Italia.

Ma IL PREZZO DEL POTERE non è ancora pagato solo con favori e premi.

Molti sono gli uomini eliminati.

Amici diventati ingombranti o inutili e per questo fatti fuori.

Storie che sono tutte documentate.

Sono il ritratto della politica italiana.
camillobenso
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Re: Renzi

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Da Il Fatto Quotidiano dell'8 ottobre 2016. Prima pagina:

TELEVOTO Banca Etruria, la ministra va in tilt
Renzi, tre grane
in un giorno: La7,
il disastro Boschi
e Marino assolto


Lady Riforme in tv scopre il nervo:
“Il referendum non è su mio padre”. Il premier:
basta, non si va più da Floris, Formigli
e Gruber. Scontrini, l’ex sindaco di Roma:
“Contro di me il Pd ha fatto un golpe

CALAPÀ, MARRA, TECCE E ZANCA A PAG. 2, 3 E 487


IN CAMPAGNA Alla fine la ministra va al confronto col segretario della Lega a “Otto e Mezzo”:
“Questo referendum non è su mio padre”. Ma Salvini non lo aveva nemmeno nominato...

Renzi manda Boschi in tv
e lei scivola su Banca Etruria


» WANDA MARRA
Il referendum non è su mio padre.
E stasera siamo chiamati
a parlare del referendum.
Mio padre è stato vice presidente
non operativo di Banca Etruria
senza deleghe. E ha pagato
quello che doveva pagare”. Ci vogliono
esattamente 5 minuti perché
la puntata di Otto e mezzocon
Maria Elena Boschi e Matteo Salvini
viri su Banca Etruria, l’incu -
bo del ministro delle Riforme. È
tanto vero che è lei stessa a tirare
in ballo suo padre, mentre il segretario
leghista non lo aveva (ancora)
nemmeno nominato. Preferendo
i cartelli. Due. Il primo con
scritto “20”: “Su migliaia di truffati
ne avete rimborsati solo 20”
(lei replicherà: “abbiamo rimborsato
300 obbligazionisti”). E il secondo,
“150” (per indicare 150
miliardi di nuovo debito pubblico
dell’era Renzi).
GIACCA glitterata sui toni del grigio,
pantaloni e tacchi a spillo, la
Boschi cerca di mantenere un tono
basso e di non perdere la calma.
Ma quando si parla di Banca Etruria
per lei è una mission impossible.
La decisione di non mandare
la Boschi a Otto e mezzo con Salvini
era stata di Matteo Renzi.
In linea con la strategia complessiva
di proteggerla - per quanto
possibile - nella campagna referendaria.
Troppe gaffe negli ultimi
mesi, consenso in picchiata
da quando è scoppiata la vicenda
Banca Etruria (ormai quasi un anno
fa) e conseguente difficoltà
personale a reggere la tensione e
dunque la scena. Soprattutto davanti
a un interlocutore, come il
leader leghista, intenzionato a
pungolarla sul tema banche, argomento
sul quale lei non tollera domande.
Doveva essere la madrina
costituzionalista, la principale testimonial
del Sì. Progetto fallito
L’ “e dit to ” contro La7 dello
stesso Renzi ha fatto il resto.
Guardando Piazzapulita giovedì
sera, il premier si è ulteriormente
rafforzato nella sua convinzione
che fosse meglio non mandare il
ministro. Il suo modo di punire i
programmi non allineati. Ieri
mattina era sulle stesse posizioni:
niente Boschi dalla Gruber. Poi,
però, dopo il pezzo del Fatto di ieri,
la polemica è montata con il
passare delle ore. Hashtag sui social
#Boschiscappa. Giro di messaggi
e di telefonate all’ora di
pranzo tra lo stesso premier, la
Boschi e i rispettivi staff. “Maria
Elena a questo punto non può non
andare, sarebbe una figuraccia”,
la valutazione finale. E così, alle 14
e 28, è arrivato il tweet della ministra:
“@ m at t e o s al v i n i m i dice
che scappo dal confronto sulle riforme?
Ok, cambio
agenda e ci vediamo
a @ O t t o e m e zzoT
W”. Risposta
immediata di Salvini:
“Non ho parole...
Boschi ha cambiato
idea (ANCORA) e
dice che stasera a
# ot t o em e zz o ci sarà...
E questi governano
l’Italia... # boschiscappa”.
In questo clima si
alza il sipario sul dibattito.
Con Lilli
Gruber che ripetutamente invita
a parlare del referendum. E Salvini
che chiarisce: “La riforma è
un ’occasione imperdibile per
mandare a casa Renzi e la signorina
Boschi”. L’appellativo non
sfugge alla ministra, che dice non
le darò del “giovanotto” e replica,
con l’argomentazione che va per
la maggiore tra i renziani in questi
giorni: “Dire di votare No per farne
un’altra di riforma è una bugia.
Non ce ne sarà un’altra”.
NON MANCANO altri attacchi.
Salvini: “Lei si è trovata da Banca
Etruria al governo”. Boschi: “Non
ho mai lavorato a Banca Etruria”.
E tira fuori il fratello e il figlio di
Bossi che lavoravano per Salvini
qualche anno fa. Lui risponde tanto
per chiarire che “le colpe del
babbo e del fratello ricadono su di
lor o”. Lei protesta,
voce fuori campo:
“Ora che c’entra mio
fratello?”. Sulla riforma,
che resta sullo
sfondo, il nervosismo
si stempera.
Da registrare, i
tentativi di mettere
tra gli argomenti per
il Sì pure la semplificazione
della burocrazia
per le imprese.
“Tutte cose che in
Costituzione non ci
sono ”, come un calmissimo
Salvini non evita di dire.
“Non si innervosisca”, dice a un
certo punto il leader leghista. E lei:
“Sono serena”. Sorriso largo, vocabolo
da non usare mai ai tempi
del renzismo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
UncleTom
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Iscritto il: 11/10/2016, 2:47

Re: Renzi

Messaggio da UncleTom »

.....LA TRUFFA E' IL MIO MESTIERE........



Direzione Pd, Renzi: ‘Cambieremo Italicum dopo referendum’. Minoranza non si fida: ‘Insufficiente, votiamo No
Referendum Costituzionale
Resa dei conti all'interno del partito in vista del referendum sulla Costituzione, ma dopo due ore e mezzo non c'è l'accordo. Il segretario apre ma a condizione che se ne parli in commissione dopo il 4 dicembre: "Non voglio che il sistema di voto sia alibi. Discutiamo di ballottaggio, premi e collegi". I critici insoddisfatti: "E' fuori strada". E Cuperlo annuncia: "Se resta così io non seguo la linea e il giorno dopo la consultazione mi dimetto". Intanto Grilo sul blog: "Agli indecisi dico votate di pancia"

di F. Q. | 10 ottobre 2016
COMMENTI (1375)


Un’apertura su tutti i fronti, ma quando ormai è troppo tardi perché sia davvero credibile, almeno per la minoranza. La direzione Pd che avrebbe dovuto salvare il partito al bivio tra la scissione e la riconciliazione non cambia lo scenario. Restano tensioni e diffidenze, restano gli aut aut. Matteo Renzi ha offerto ai critici tutte le modifiche dell’Italicum che vogliono, ma a condizione che si discutano dopo il referendum sulla Costituzione. Sul piatto i punti da sempre contestati dai dissidenti: ballottaggio, preferenze e collegi con tanto di delegazione che possa valutare già nei prossimi giorni la situazione. A replicare duro per primo è stato l’ex presidente Gianni Cuperlo: “O si cambia subito o voto No e mi dimetto da deputato”. Stessa posizione per l’ex capogruppo Roberto Speranza: “La proposta non è sufficiente, votiamo No”.




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Video di Manolo Lanaro
Morale la minoranza non è soddisfatta e non si fida. I toni concilianti sono arrivati in piena campagna referendaria. Se il presidente del Consiglio da una parte ha ricordato che M5s e Fi non sono disposti a discutere del sistema di voto finché non sanno chi vincerà il 4 dicembre e che il Pd non ha i voti sufficienti per fare il blitz da solo, dall’altra gli esponenti della minoranza si sentono presi in giro per il ritardo con cui si è considerata la svolta. Insomma l’accordo ancora una volta non c’è. Al termine dei lavori la relazione del presidente del Consiglio è stata approvata senza voti contrari o astenuti, ma la minoranza non ha partecipato al voto.

Il segretario dem si è presentato in direzione dopo giorni di scontri a mezzo stampa. Ha definito “un alibi” l’Italicum in un dibattito che per lui resta “surreale” di fronte a quelli che definisce i veri problemi dell’Italia: “Quello che deve essere chiaro è che la nostra responsabilità di tenere unito il Pd non può arrivare al punto di tenere fermo il Paese”. La proposta di Renzi prevede quattro punti: la creazione di una delegazione con la minoranza per affrontare le modifiche “a patto che parli con tutti, compresi i 5 stelle”; un dibattito su collegi, premio e ballottaggi; la proposta Chiti-Fornero come testo base per l’elezione dei futuri senatori; i tempi certi della modifica dell’Italicum entro 15 giorni dal referendum.



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Le due ore e mezzo di direzione non hanno risolto il nodo. In difesa della linea del segretario sono intervenuti Roberto Giachetti e Piero Fassino. Ma anche il capogruppo alla Camera Ettore Rosato che ha detto: “Un’apertura più ampia di così non poteva esserci”. “Diteci quando finirà questa continua storia dei cambi e avremo una linea ufficiale del partito”, ha sbottato l’ex candidato dem a Roma Giachetti. Se Cuperlo ha riconosciuto “un passo avanti nel sentiero” e chiesto di verificare “la volontà politica”, chi è stato più duro è Speranza. “Se Renzi parla di alibi è fuori strada”. “Chiamiamola preoccupazione”, ha detto nell’intervento di replica il segretario. Ma non è bastato a chiudere la partita con una stretta di mano.

Renzi incassa comunque un risultato. Far vedere a livello mediatico che mentre lui si dice aperto alle mediazioni, quelli per il “No” scelgono di restare arroccati sulle loro posizioni e continuano con la retorica “delle occasioni perse”. Saranno i prossimi giorni a dire se funziona la strategie e chi è la vera vittima di questo gioco al massacro tutto interno al Pd. Intanto Renzi continua con il suo tour per promuovere il Sì. In mattinata, a margine dell’assemblea generale di Assolombarda Confindustria a Milano aveva detto: “Non si può dire sempre ‘No’. L’Italia smetta di essere la patria delle divisioni”. Poche ore dopo, rispondeva Beppe Grillo sul blog rilanciando la campagna del M5s contro il referendum: “Agli indecisi dico di votare con la pancia. Io non mi fido e voto No”. Renzi chiederà ai suoi proprio questo nei prossimi giorni: liquidata la faccenda dell’Italicum (almeno nella sua testa), concentrarsi solo sui nemici esterni. Nella speranza che il partito lo segua.



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Il discorso di Renzi: dalle polemiche “ridicole” per le stime sulla crescita alle modifiche all’Italicum – Il presidente del Consiglio davanti alla platea della direzione Pd ha iniziato ricordando che si tratta della 31esima riunione del partito: “Noi parliamo qui. Abbiamo scelto la democrazia interna e non i caminetti dei big o presunti tale. Lo avevamo promesso nelle primarie e l’impegno congressuale vale più dei mal di pancia dei leader”. Le prime parole sono state quindi per la situazione economica in Italia: “I numeri sono ancora troppo bassi per le nostre ambizioni. Ci sono dei segnali positivi, ma anche elementi da prendere in considerazione. In questo quadro sembra ridicolo chi fa la polemica tra le stime del governo (1%) e quelle dell’Fmi (0,9%). Si possono fare valutazioni ma che si aprano discussioni sui quotidiani per due giorni fa scattare un sorriso anche perché le stesse voci preoccupate non si levarono quando nel 2012-2013 la crescita era del meno due per cento. Non è ancora sufficiente ma la direzione è tornata giusta”. Secondo Renzi è un dato di fatto che oggi in Italia “ci sono diritti in più e tasse in meno“. E ha poi citato l’intervento sulla scuola dopo la tanto contestata riforma: “Abbiamo fatto un investimento di 3 milioni di euro”.



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Secondo il segretario Pd l’Italia è un Paese che rispetto a due anni fa, quando lui è diventato presidente del Consiglio, si è “mosso dalla palude“. “Le polemiche si sentono solo se voli a bassa quota e l’Italia del 2017 non può volare a bassa quota”, ha detto. “Il prossimo sarà un anno cruciale per l’investimento in politica internazionale. Surreale che la discussione politica che stiamo facendo si concentri sul premio di coalizione alla lista o sul modello elettorale che abbiamo voluto in modo coerente con la storia degli ultimi anni”. Secondo Renzi “lo scontro dialogico” è una dimensione importante e costante del partito: “Da quando sono stato segretario non c’è mai stato un momento senza polemica interna, siamo in una situazione di scontro permanente”.

A quel punto ha parlato della necessità di aprire sul tema Italicum e di trovare un compromesso, ma dopo il referendum sulla Costituzione: “Ognuno quando fa un compromesso deve cedere su qualcosa. Altrimenti si cade nel contrario che è il fanatismo. Io ad esempio ho deciso di rinunciare al Senato di sindaci. Se ci sono persone che hanno votato dalle tre alle sei volte a favore di questa riforma e poi scrivono No nell’urna sono libere di farlo, ma faranno i conti con la loro coerenza”. Renzi ha continuato a difendere il sistema di voto voluto dal governo come il migliore, ma ha detto di essere pronto alle modifiche: “Noi pensiamo che la legge elettorale funzioni”. Per dire di No a questa riforma gli altri usano “le banche, l’immigrazione, le bollette” perché “quando entrano nella discussione del merito la ritengono una buona legge. Resta un solo alibi e io lo voglio togliere”. E ha quindi fatto la sua proposta: “Provo a offrire una soluzione, nel rispetto di tutti. Io ho il compito politico di affrontare il tema del cosiddetto combinato disposto tra riforma costituzionale e legge elettorale. Essendo così importante la riforma mio compito è cercare ulteriormente le ragioni di un punto di accordo”.

Il segretario ha poi detto quali sono i punti su cui è possibile discutere: “Ballottaggio sì o no, premio alla lista o coalizione, modo in cui si scelgono i deputati ovvero, collegi, liste bloccate o preferenze. Propongo che vi siano tempi certi: non possiamo farlo in campagna referendaria ma l’impegno è iscriverlo in discussione nelle commissioni competenti nelle due settimane immediatamente successive”. E poi la formazione di un gruppo rappresentativo che possa procedere con le trattative: “Propongo una delegazione formata dal vicesegretario del Pd come coordinatore, i capigruppo, il presidente, più un esponente della minoranza. Siamo totalmente disponibili a lavorare, chiedo solo di sentire tutti gli altri partiti, anche i 5 stelle, siamo per utilizzare queste settimane e mesi per togliere tutti gli alibi”. Infine Renzi ha anche proposto di prendere in considerazione il testo Chiti-Fornaro per l’elezione dei nuovi senatori come testo base da cui far partire la discussione a Palazzo Madama: “Io sono disponibile a partire da lì”, ha detto.

Cuperlo: “Toni della campagna referendaria difficili da comprendere” – La minoranza dem per tutta la giornata ha atteso la mossa del segretario Pd per decidere come esporsi: nessuna riunione preliminare e temporeggiamenti. Tra i primi a intervenire in direzione c’è stato l’ex presidente del Partito democratico Gianni Cuperlo: “L’idea di bloccare per altri 2 mesi il Paese su un referendum che non avrà impatto diretto su alcuno dei problemi che ci aggrediscono, resta una scelta incomprensibile”. E poi l’attacco sui toni: “Difficile comprendere i toni di una campagna che alimenta una frattura che non è nell’interesse di nessuno. Trovo sbagliato che si vogliano stressare gli animi di una società già provata”. Quindi di nuovo il riferimento all’arroganza più volte imputata al presidente del Consiglio in passato: “C’è un’arroganza che si fa come marchio di stagione. Io non ne faccio una questione di carattere, ma ne faccio una questione di ruoli. Lo dico a Orfini: all’ex sindaco Marino, assolto, il presidente del Pd doveva esprimere vicinanza e solidarietà sul piano umano. Invece twitti che lo hai cacciato perché incapace. Non va bene: allora quanti incapaci avremmo dovuto cacciare?”

Il deputato ha chiesto poi “di andare a vedere la sostanza di quello che Renzi ha proposto”: “Oggi il Pd deve avere una sua proposta. E non deve essere solo una proposta di metodo. Non è un alibi quello che tu hai descritto da questa tribuna, ma una convinzione di un incrocio che non può funzionare. Tra questo sistema elettorale e la riforma del Senato”. Poi una domanda: “E’ stato fatto un passo nel sentiero, ma chiedo se c’è la volontà politica di fare quelle modifiche. Una proposta non può essere rinviata al dopo, io dico di andare a vedere la sostanza di queste parole nei prossimi giorni, poi ognuno assumerà le proprie decisioni”. Infine l’annuncio che se non ci saranno le modifiche annunciate, Cuperlo il giorno dopo il referendum si dimetterà da deputato: “Se un accordo vero sulla legge elettorale non ci dovesse essere, il 4 dicembre non posso votare la riforma che ho votato 3 volte in Parlamento ma Matteo ti dico ‘stai sereno‘ perché che se sarà così, un minuto dopo, comunicherò le dimissioni alla presidente della Camera”.



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Speranza: “Un alibi? Allora non ci siamo” – Per la minoranza Pd ha parlato anche il leader ed ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza: “Se mi viene detto che la legge elettorale è un alibi. Allora non ci siamo. Se il punto è ‘dobbiamo accontentare la minoranza che se no non vota’, allora siamo fuori strada. Noi stiamo ponendo una questione di merito, ma non si può dire che è un alibi”. L’ex capogruppo si dimise proprio dopo la decisione del governo di mettere la fiducia sull’Italicum: “Fu la spaccatura più grande nella storia di questo partito”. Per questo il deputato in merito alla proposta di Renzi ha detto: “Io ritengo che non sia sufficiente”. E ha concluso: “Verrà un giorno dopo il referendum e vorrei che il giorno dopo il partito restasse unito. Le cose che ho detto non le ho dette a cuor leggero”.



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Giachetti: “Diteci quando finirà questa storia di cambi”. Rosato: “Da Renzi non poteva esserci più apertura” – L’ex candidato sindaco dem a Roma ha replicato direttamente all’accusa di Cuperlo che se l’è presa con la scarsa sensibilità di Orfini su Marino: “Mi sarebbe piaciuta la stessa umanità e solidarietà da parte tua quando io facevo campagna elettorale a mani nude cercando di fermare il vento e la cosa più gentile che mi diceva Marino era che ero lo schiavo di Rutelli. Invece neanche una parola o una telefonata”. Roberto Giachetti si è poi rivolto alla minoranza: “Diteci quando finirà questa storia di cambi e potremo avere una posizione del Pd. Spiegatemi dove diavolo è il punto di chiusura”. Il capogruppo alla Camera Ettore Rosato ha infine sottolineato l’apertura del presidente del Consiglio: “C’erano tre pilastri dell’Italicum e Matteo dice che non sono più tre paletti. Un’apertura più grande non poteva esserci e oggi ci sono le condizioni per tornare indietro se c’è una volontà politica ed invece mi spiace sentire parole di chiusura”.

La replica di Renzi – “E’ difficile fare una conclusione”, ha detto il presidente del Consiglio al termine delle due ore e mezzo di discussione. “Da un lato c’è la consapevolezza che siamo gli unici ad avere questi momenti di confronto. Non siamo noi strani, sono gli altri”. Quindi il dibattito sulla legge elettorale: ” Sarebbe interessante entrare nel merito, ma fuori di qui c’è l’Italia. Di fronte alle sfide di questo Paese ci sono due domande: la prima è quella di Cuperlo, ‘ma come ci hai costretto in questo dibattito sulle riforme costituzionali’. Queste riforme sono un puntiglio? Io le ritengo fondamentali”. Il secondo elemento riguarda le modifiche: “Ho detto che c’è una commissione per valutarle e per me c’è. Faccia mio il lodo Fassino: allarghiamo la delegazione e diamo tempi certi. C’è il massimo impegno da parte nostra, ma senza trasformare la faccenda un tormentone, come dice Franceschini. E poi è evidente che bisognerà trovare un punto di caduta, comunque vada il referendum. Lavoriamo e nelle settimane successive al referendum andiamo a vedere lo stato dell’arte. La riforma da oggi non tocca più la legge elettorale, perché abbiamo deciso di discuterla”.

Renzi ha quindi motivato i tempi lunghi e la condizione di discutere tutto dopo il referendum con la necessità di dialogare con gli altri partiti perché senza non ci sono i voti sufficienti in Parlamento: “Noi abbiamo fatto miracoli in questa legislatura perché le elezioni si vincono prendendo i voti ed è lì il peccato originale, il fatto di aver preso il 25 per cento. L’alleanza con altri è effetto dello stato di necessità che deriva dalla mancanza dei numeri in Parlamento”. Per Renzi la questione dell’Italicum deve considerarsi chiusa: l’alibi, come lo definisce lui, non può più essere usato perché da domani c’è una commissione che valuta le modifiche con gli altri partiti. Quindi tutte le energie devono essere concentrate sul referendum: “Se si supera il bicameralismo paritario, avremo indubbiamente un Senato che non fa le stesse cose della Camera. Ce ne rendiamo conto che questo è un passaggio storico molto più importante di come tornerete in Parlamento la prossima volta? Perché se da 70 anni non siamo riusciti a farlo questo tema mette le vertigini”.
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Re: Renzi

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.....LA TRUFFA E' IL MIO MESTIERE........

LA STORIA DELL'ULTIMO TRUFFATORE DEL BEL PAESE





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Renzi e il Ponte, per distrarci dai conti che fanno piangere
Scritto il 08/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


«Il tentativo è quello di tirare il pallone in tribuna. O, meglio ancora, di alzare un polverone per sviare l’attenzione». Da cosa? «Da quello che è l’atto più importante all’esame del governo: l’aggiornamento del Def 2016, preludio della stagione di bilancio». Secondo “Sbilanciamoci”, non si spiega altrimenti come Renzi, proprio nel giorno del varo di un provvedimento così centrale, decida di «spararla grossa che più grossa non si può», dichiarandosi pronto alla ripresa dei lavori per il Ponte sullo Stretto, annunciando che creerebbe centomila posti di lavoro. Risultato: i media si sono “dimenticati” di analizzare il Def, il cui aggiornamento «segna il punto forse più basso finora raggiunto da questo governo». Il deficit “strutturale”, quello corretto per l’andamento economico? «Non peggiora così tanto rispetto alle previsioni, ma solo perché la crescita è risultata talmente bassa che la correzione ciclica assorbe il peggioramento dei conti pubblici». La crescita, prevista all’1,2% nel 2016 e all’1,4% l’anno prossimo, è oggi allo 0,8% e calerà allo 0,6%. E il “risanamento” della finanza pubblica si è arrestato.Il deficit previsto nel 2017 è sostanzialmente quello del 2016, scrive “Sbilanciamoci”, con la Commissione Europea che «non sa più cosa inventarsi per accordare ulteriori margini ad un governo italiano che, in un momento così cruciale per l’Europa e in vista del referendum costituzionale, non può essere stigmatizzato». Attenzione: l’arresto del processo di “risanamento” non è una buona notizia, non indica una contro-tendenza rispetto all’austerity. «La realtà è ben più tragica», secondo il blog economico. La tanto sbandierata “flessibilità” nell’interpretazione del Patto di Stabilità «servirà esclusivamente, insieme a tutto l’aumento del deficit 2017 rispetto all’obiettivo, per neutralizzare le clausole di salvaguardia da 15 miliardi inserite nella Legge di Stabilità dell’anno scorso, che prevedevano in automatico un aumento di Iva e accise nel 2017 se non si fossero realizzati equivalenti risparmi di spesa». Morale: «Poco o nulla è stato fatto, e l’Italia si ritrova adesso a utilizzare tutti i margini di flessibilità cui può aspirare non per rilanciare sviluppo, economia, redditi e occupazione, bensì solo per evitare la drammatica recessione che verrebbe innescata dall’aumento dell’Iva».Tolti questi 15 miliardi, continua il blog, la prossima manovra di bilancio sembra ridursi a poca cosa: 7-8 miliardi di maggiori spese, compensati da altrettanti miliardi di minori spese o maggiori entrate. «Un’inezia, rispetto a quanto il nostro paese avrebbe disperatamente bisogno». Si arriverà forse a stanziare 2 miliardi per le pensioni e il sostegno – in prospettiva elettorale – dei loro redditi, ma compensate da un corrispondente calo della spesa sanitaria. Qualche centinaio di milioni in più verranno destinati al rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, finanziati con tagli lineari, o semi-lineari alla spesa dei ministeri. Si arriverà forse a definire una riduzione dell’Irpef, ma solo a partire dal 2018, anno nel quale, comunque, opereranno altre clausole di salvaguardia da neutralizzare. Qualche soldo verrà destinato alla lotta alla povertà estrema, ma niente allo sviluppo dei servizi sociali e degli altri istituti del welfare. «Gli unici interventi di una qualche rilevanza economica sembrano quelli destinati alle imprese, i superammortamenti, la riduzione delle imposte per lei imprese piccole, le garanzie pubbliche sugli investimenti, il programma del ministro Calenda “Industria 4.0”».Nulla di sostanziale, continua “Sbilanciamoci”, anche se le imprese godranno nel 2017 di due dei più costosi interventi realizzati dal governo: la decontribuzione sugli assunti nel 2015 e 2016, pari a 7 miliardi l’anno e almeno 20 miliardi nel quadriennio 2015-2018. E poi la riduzione dell’Ires, dal 27,5% al 24% che costerà 3,5 miliardi l’anno. Ma sono misure non selettive, che non premiamo le aziende che investono, creando occupazione e reddito. Per il blog «servirebbe altro: investimenti diretti, piccole e medie opere in grado di assicurare in breve tempo e a costi contenuti un effettivo miglioramento delle condizioni produttive e di vita», garantendo «trasporti, servizi sociali inclusivi e flessibili, reti». Le tasse? Servirebbe «una redistribuzione del carico dai poveri ai ricchi, dal lavoro alla rendita, da chi paga a chi non paga». Invece, niente. Solo «politiche economiche liberiste senza futuro, riduzione fiscale e incentivi alle imprese», magari «addolcite da mancette elettoralistiche». Un quadro a tinte fosche «che ben giustifica il desiderio, pur infantile, di rifugiarsi nell’immagine di un bel Ponte sullo Stretto».
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Re: Renzi

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ASILO ETRURIA



Renzi: "Vogliono la scissione, hanno già pronto anche il simbolo"
Lo sfogo del premier ai suoi: "Non vedete che hanno già pronto il logo per il No al referendum?". E ancora: "Se vogliono rompere si assumano le loro responsabilità"


Raffaello Binelli - Mar, 11/10/2016 - 15:02
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Matteo Renzi non ha affatto gradito la prova muscolare della minoranza Pd.


Ai suoi l'ha detto chiaro e tondo: "Non vedete che hanno già pronto il logo per il No al referendum?". Renzi lo ha fatto notare ai suoi sostenitori che lo spingevano a smussare gli angoli per trovare un'intesa con l'ala minoritaria del partito, venendo incontro ad alcune proposte. Il segretario non ha mandato giù la notizia del simbolo, perché può essere letta in questo modo: la scissione, ormai, è nei fatti. Anche se gli attori lo negano e continuano anche oggi a negarlo. Renzi ha ribadito il proprio disappunto nel suo discorso in direzione: "Mentre si facevano appelli all'unità c'era chi prevedeva il logo Democratici per il No". In serata, a lavori finiti, ai suoi ha detto: "Abbiamo mostrato che facciamo sul serio, adesso si assumeranno la responsabilità, se vogliono rompere. Io non posso bloccare il Paese per fare contento qualcuno della minoranza".

Alla direzione Renzi ha fatto la sua proposta: una commissione, formata anche da esponenti della minoranza dem, incaricata di sondare il campo delle forze politiche per arrivare ad una revisione il più possibile condivisa dell’Italicum. Il premier la mette sul tavolo per cercare di placare gli animi e ricompattare il partito. Arriva al opunto di rimettere in discussione (almeno a parole) quelli che erano considerati tre pilastri della legge elettorale: doppio turno, premio di maggioranza ed elezione dei senatori. L'unica condizione che ha posto è quella di non sacrificare il dibattito sul referendum e la riforma della Costituzione sull’altare della legge elettorale: "La riforma costituzionale non è un giocattolo per addetti ai lavori - ha avvertito - è una partenza per il Paese e siamo disponibili a farci carico di ulteriori mediazioni, ma non siamo disponibili a bloccare un Paese".

La minoranza del Pd ha respinto al mittente la proposta del premier, bollandola come "insufficiente". Il giudizio è stato scritto in calce alla relazione del segretario, approvata all’unanimità dei presenti, con successiva diserzione dal voto finale da parte di Speranza e degli altri. Una scelta seguita alla dura presa di posizione di Gianni Cuperlo. L’esponente di riferimento di Sinistra dem ha precisato che, se il percorso aperto dal segretario non porterà a una iniziativa convincente del Pd, lui voterà No al referendum facendo seguire a questa scelta le dimissioni da deputato. Cuperlo, che nel 2014 ha lasciato la presidenza dell’assemblea Pd in dissenso con la segreteria, ha infatti spiegato: "Alla fine di questa vicenda ognuno saprà benissimo cosa fare, e se un accordo vero sulle cose dette qui non dovesse esserci, io il 4 dicembre voterò No. Ma, caro segretario, devi essere sereno perché se a quella scelta mi spingerai, io presenterò le mie dimissioni da deputato".
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