Diario della caduta di un regime.

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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »

QUESTA INTERVISTA DI CAZZULLO A DE BENEDETTI ERA PREVISTA NEL 3D "PARTECIPAZIONE", MA VISTO CHE E' SPARITO LA POSTO QUI.

E' UN'INTERVISTA PIUTTOSTO INQUIETANTE, CON COSE CONDIVISIBILI ED ALTRE MENO, CHE COME RECITA L'ATTACCO DELL'ARTICOLO :"
«L'Occidente è a una svolta storica: è in gioco la sopravvivenza della democrazia, anche a causa della situazione economica e finanziaria."
DEVE FARCI RIFLETTERE.

PS.
TROVERANNO UNA SCUSA PER CANCELLARE ANCHE QUESTO ARTICOLO???




1. THE END: “UNA NUOVA GRAVE CRISI ECONOMICA METTERÀ IN PERICOLO LE DEMOCRAZIE”

2. “SE VINCESSE IL NO, MATTEO RENZI DOVREBBE DIMETTERSI IL GIORNO DOPO. MA ANCHE SE VINCE IL SÌ, RENZI E BERLUSCONI SI ACCORDERANNO, RIDIMENSIONANDO LA SINISTRA E RESTITUENDO MATTEO SALVINI ALLE VALLI CHE AVEVA DISCESO CON ORGOGLIOSA SICUREZZA”

3. “NEGLI USA NON SI PUÒ ESCLUDERE UNA VITTORIA DI TRUMP; ANCHE PERCHÉ IL CANDIDATO DEMOCRATICO È PERCEPITO COME ANTIPATICO, PASSATO, FREDDO, COME PURO ESTABLISHMENT”

4. “L'ENERGIA UMANA È MOLTO PIÙ IMPORTANTE DEL PETROLIO. ISRAELE HA UN'INTELLIGENZA PER CENTIMETRO QUADRATO CHE NON ESISTE IN NESSUN'ALTRA PARTE DEL MONDO”



Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera”



«L'Occidente è a una svolta storica: è in gioco la sopravvivenza della democrazia, anche a causa della situazione economica e finanziaria. La globalizzazione, di cui tutti noi, e mi ci metto anch' io, eravamo acriticamente entusiasti e ci siamo affrettati a raccogliere i frutti, ha creato una deflazione che ha ridotto i salari della media di tutti i lavoratori del mondo, e ha accresciuto le ingiustizie sociali sino a renderle insopportabili. Si sta verificando la previsione di Larry Summers, l'ex segretario al Tesoro di Clinton: una stagnazione secolare».

Ingegner De Benedetti, è sicuro che lo scenario sia così negativo?
«Siamo alla vigilia di una nuova, grave crisi economica. Che aggraverà il pericolo della fine delle democrazie, così come le abbiamo conosciute».

Addirittura?

«La democrazia nasce con il declino delle monarchie e della nobiltà e con l' ascesa della borghesia. Anche in Italia la democrazia si afferma dopo la guerra, quando si è creata una classe media. Oggi proprio la progressiva distruzione della classe media mette a rischio la democrazia; senza che si sia risolto il problema della stagnazione. Peggiorato dalla folle scelta europea dell' austerity in un periodo di piena deflazione, il che equivale a curare un malato di polmonite mettendolo a dieta».

Ma ci sono Draghi e la Fed. La politica monetaria espansiva: il quantitative easing.
«Le banche centrali hanno tentato di cambiare mestiere: dopo cinquant' anni in cui il grande nemico era l' inflazione, hanno combattuto la deflazione secondo le vecchie teorie, creando moneta. Ma così hanno costruito una trappola. Hanno immesso sul mercato trilioni di dollari, una cifra inimmaginabile e incalcolabile. Non ci sono più titoli da comprare. Ma questo, oltre a mettere in ginocchio il settore bancario, non ci ha fatto uscire dalla stagnazione e dalla deflazione».


Quali possono essere le conseguenze politiche?
«Negli Usa non si può escludere una vittoria di Trump; anche perché il candidato democratico è percepito come antipatico, passato, freddo, come puro establishment».

Com' è stato il dibattito tv, e chi l' ha vinto?
«Deludente. Con una leggera prevalenza di Hillary».

Crede davvero che Trump possa diventare presidente?
«Tre anni fa, il fenomeno Trump non sarebbe stato possibile. Ancora all' inizio della campagna elettorale non avrei puntato un dollaro su di lui. Ora non mi sento più di escluderlo; anche se ovviamente non me lo auguro. Nei sondaggi è sottostimato: molti si vergognano di dire che lo votano. Potrebbe conquistare Stati in bilico, come Colorado e Florida. E anche Stati tradizionalmente democratici, come Pennsylvania e Michigan».

Cosa rappresenterebbe una sua vittoria?
«Per il mondo occidentale, una tragedia. Il protezionismo americano aggraverebbe la nostra crisi».

E in Europa cosa può accadere?
«In Francia non si può escludere che diventi presidente Marine Le Pen. Il padre non poteva farcela: troppo legato a Vichy e all' Algeria francese; lei sì. Hollande si è sciolto al sole, Sarkozy è un déja-vu che i francesi non vogliono più. La Spagna è senza governo da un anno, il Portogallo in bilico, la Grecia è ancora lì perché nessuno ha interesse a fare davvero i conti. In Polonia vige un nazionalismo di destra. L' Ungheria è già passata all' estrema destra, l' Austria no ma solo grazie alla colla delle buste che ha causato il rinvio delle presidenziali. Una situazione, in alcune parti dell' Est Europa, da anticamera del fascismo».


Resta la Germania.
«Ma le elezioni tedesche del 2017 costituiscono un bel punto interrogativo, se si estrapolano i risultati delle recenti amministrative. Nel resto del mondo la democrazia arretra. Le primavere arabe sono finite con i generali. In Medio Oriente comanda la Russia di Putin, che si è messo d' accordo con un altro autocrate, Erdogan. L' unico Paese che continua a crescere è la Cina di Xi, che compra 70 chilometri di coste in Cambogia per fare il più grande porto al mondo, costruisce la ferrovia da Shenzhen a Varsavia e la nuova strada della seta verso l' Occidente. Un' altra svolta epocale».


E in Italia?
«In Italia, sulla base dei sondaggi, i Cinque Stelle oggi potrebbero vincere le elezioni».

Con quali conseguenze?
«Non ci voglio pensare. Li ho sentiti in tv da Palermo accusare tutti i giornali di essere contro di loro. Non è così, i giornali criticano i comportamenti. Contro la Appendino nessuno ha scritto nulla. Se dopo quattro mesi la Raggi non ha ancora fatto la giunta, come si può non criticare? E poi ancora con questa storia dei poteri forti… basta, davvero».


Ma i Cinque Stelle sono il secondo partito italiano, forse il primo.
«All' interno del movimento ci sono certamente persone perbene, d' altronde li vota un terzo degli italiani. È la classe media, che sceglie il movimento come per una sorta di vendetta verso le élite da cui si sente tradita. Per disperazione, più che per convinzione. Ho sentito Grillo gridare: "Sono tornato a comandare io". Ma per fare cosa? Io non l' ho capito».


La crisi della democrazia può segnare un ritorno al fascismo?
«Semmai, un nuovo populismo, aggravato dal protezionismo, dal crollo degli scambi, dalla grande recessione in arrivo. La democrazia è ridotta al voto; ma il voto è uno strumento, non è la democrazia. Non è detto che finisca così; possono ancora farcela Hillary, Juppé. E poi c' è il baluardo dell' economia tedesca, che resta fortissima».

Ha fatto bene o ha sbagliato Renzi a polemizzare con la Merkel e l' Europa?
«Dopo Bratislava non poteva che arrabbiarsi. Con Ventotene noi italiani ci siamo illusi di essere entrati in un minidirettorio europeo. In realtà era una photo-opportunity. La Merkel e Hollande, secondo tradizione, sono l' unico asse europeo; l' Italia è tagliata fuori. Del resto in Europa, salvo che al momento della sua creazione, non abbiamo mai contato nulla. Renzi è stato il primo a tentare di contare qualcosa. Ha ottenuto 19 miliardi di flessibilità sui conti pubblici; ma ciò non è sufficiente per far ripartire l' economia. Di fatto restiamo a crescita zero».


Lei tre mesi fa disse al «Corriere» che al referendum avrebbe votato No, se Renzi non avesse cambiato la legge elettorale.
«Lo confermo».

Quindi voterà No, visto che l' Italicum è sempre lo stesso .
«Se ci fosse vera volontà politica, ci si potrebbe accordare per una nuova legge elettorale; ma al momento vedo solo tattica. I Cinque Stelle vogliono il proporzionale puro, e non mi stupisce: un movimento populista è sempre contro qualsiasi forma di maggioritario».

Renzi può sopravvivere politicamente a una vittoria del No?

«Se vincesse il No, Renzi dovrebbe dimettersi il giorno dopo. Anche se non credo che lascerà la politica. E per fortuna, perché ha dimostrato di avere energia e qualità».


E Berlusconi?
«Berlusconi aspetta col cappello in mano. Comunque finisca il referendum, ci guadagna: anche se vince il Sì, Renzi avrà bisogno di lui. La scelta di Parisi si spiega così. Insieme, Renzi e Parisi si accorderanno, ridimensionando la sinistra e restituendo Salvini alle valli che aveva disceso con orgogliosa sicurezza».

Ma come, lei che auspicava il partito democratico ora battezza il partito della nazione?
«Non scherziamo, non è certo un mio auspicio; di sicuro per combattere i populismi appare inevitabile che al partito di Renzi si sommino una parte dei voti e dell' apparato del centrodestra».

E in economia cosa dovrebbe fare il governo secondo lei?
«Un' operazione di grande coraggio. Abbattere le imposte sul lavoro. Il lavoro è la sola cosa che conta; il resto è sovrastruttura. Il lavoro è dignità. Un Paese in cui manca il lavoro conosce prima o poi turbe sociali e sommovimenti».


Dove trovare i soldi per abbattere le imposte sul lavoro?
«Certo non in deficit. Con la fiscalità generale, meglio se progressiva».

Una patrimoniale?
«Non è il nome esatto, perché dovrebbe includere anche i redditi, tranne quelli da lavoro. L' energia umana è molto più importante del petrolio. Ad esempio Israele ha un' intelligenza per centimetro quadrato che non esiste in nessun' altra parte del mondo; con il servizio militare che serve a educare i cittadini, a farli studiare, a formarli all' uguaglianza. Un Paese naturalmente socialista».

Governato da anni dalla destra dura, con un partito socialista quasi sparito
.
«In tutto l' Occidente i partiti diventano sempre più evanescenti, anche se paradossalmente aumenta il loro numero. Non sono crollate soltanto le ideologie; anche di idee ne sono rimaste poche. Ma vivere nella continuità è la morte. Se continueremo così, distruggeremo le nostre società».
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »


Conti pubblici, Renzi ammette: ‘Non ci hanno dato flessibilità’. Ma si prende 9,6 miliardi per sisma e migranti. Debito sale

Economia
Il consiglio dei ministri ha varato in extremis martedì notte l'aggiornamento del Documento di economia e finanza. Crescita del pil rivista al ribasso: +0,8% quest'anno, contro il +1,2% del Def, e +1% nel 2017. Il rapporto deficit/pil 2017 si fermerà, sulla carta, al 2%, ma di fatto sale al 2,4% se si considerano le spese che secondo il governo sono "fuori patto" perché legate a "circostanze eccezionali". Debito/pil su al 132,8%: calo rinviato all'anno prossimo


CON TABELLE, VEDI:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/09 ... e/3061809/
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »

DOVREBBE ESSERE UN PROBLEMA DI ANGELINO ALFANO, MA LUI NON FA UNA PIEGA. DEL SUO SOCIO CHE FA IL PREMIER E’ INUTILE ACCENNARE.

DEI MILLE ANNUNCI CHE FA, NEL RACCONTO DELLE MILLE BALLE BLU, EVITA ACCURATAMENTE DI AFFRONTARE IL PROBLEMA







30 SET 2016 10:07
GOMOR-ROMA

- LA CAPITALE E’ NELLE MANI DI 76 COSCHE DI CAMORRA, ’NDRANGHETA, COSA NOSTRA E MALAVITA ORGANIZZATA LOCALE CHE SI SPARTISCONO IL TERRITORIO, INFILTRANO LE ATTIVITA’ PRODUTTIVE E SI DEDICANO A DROGA, USURA, RICICLAGGIO E GIOCO D’AZZARDO: LA MAPPA QUARTIERE PER QUARTIERE




Antonio Sbraga per “IlTempo.it”

Continuano a moltiplicarsi i tentacoli delle mafie sulla Capitale, ormai avviluppata da una sorta di grande «Piovr(om)a», ramificata con ben 76 diversi arti prensili che allungano le mani sulla città. Tante sono le organizzazioni criminali che si dividono la torta degli affari all’ombra del Cupolone, come quantificato nel Rapporto «Mafie nel Lazio». Per il monitoraggio, effettuato dall'Osservatorio Tecnico-Scientifico sulla Sicurezza e la Legalità, «sulla Capitale e nella provincia di Roma incidono circa 76 clan. A Roma sono significativamente presenti e con un ampio potenziale criminale, le mafie cosiddette tradizionali (’ndrangheta, camorra e Cosa nostra)».

Ci sono «soggetti collegati alle cosche calabresi, che hanno fatto del territorio romano uno dei luoghi privilegiati di radicamento della propria presenza criminale». E storicamente presenti - si legge nel dossier - «sono gli Alvaro di Sinopoli e i Bellocco di Rosarno». Per la camorra, invece, «si va dal gruppo dei Mallardo, al clan Alfieri e Sarno, ai Casalesi e agli Iovine. Uno dei gruppi storicamente più attivi nella Capitale con un ruolo centrale, anche per l'interazione con altri clan che coesistono sul territorio, è quello riconducibile a Michele Senese» nome noto agli addetti ai lavori dell’inchiesta della procura di Roma denominata Mafia Capitale.


Ma la Città Eterna - stando sempre al corposo rapporto - ha anche «generato e sviluppato organizzazioni criminali autoctone. Queste diverse organizzazioni criminali si misurano e spesso integrano con altri due fattori, non secondari: da un lato la cosiddetta «malavita romana» (killer professionisti, pusher, rapinatori, gruppi criminali stranieri e di strada) e dall’altro un ampio sistema di reti di corruzione che attraversa diversi segmenti del tessuto socio-economico romano».

Uno «scenario criminale complesso», annotano gli estensori dello studio, che è però silenziato da una perdurante «pax mafiosa garantita dai clan della 'ndrangheta, della camorra e, sebbene meno evidenti, dalle famiglie di Cosa nostra. Le organizzazioni criminali hanno contezza dell’esistenza l’una dell’altra e dei diversi settori del mercato legale e illegale in cui operano» ma preferiscono non farsi la guerra.

I TATUAGGI DELLA CAMORRA

Una tregua che dura dagli anni '80 perché, come ha spiegato il procuratore capo Giuseppe Pignatone, «a Roma ci sono soldi per tutti e non c'è bisogno di uccidere; Roma non è una città in mano alla mafia ma sono presenti varie organizzazioni di tipo mafioso. È una città troppo grande per una sola organizzazione criminale di questo tipo e quindi si impone una convivenza pacifica».

Anche perché tutti i tipi di clan hanno «individuato nel mercato romano, già da alcuni decenni, la migliore piazza per gli affari». Non solo droga, ma usura, riciclaggio e l’intera filiera da codice penale. Tuto ciò avviene «in un contesto economico così ampio e variegato, in cui operano già altre imprese criminali che commettono diversi reati di natura economica, i capitali mafiosi possono muoversi, mescolandosi e confondendosi, con minore probabilità di venire rintracciati».


QUARTIERI SOTTO CONTROLLO
«Nei quartieri come San Basilio, Tor Bella Monaca e la Romanina si rileva un controllo del quartiere da parte delle mafie e delle organizzazioni autoctone di Roma». Ma nel resto della Capitale «sino ad oggi non è stato riscontrato un generale controllo del territorio da parte dei clan; l'unico precedente in questa direzione, ha riguardato negli ultimi anni l'area del litorale romano».

LA MAFIA LOCALE
Però c'è stata «la scalata di una mafia locale dalla base della piramide criminale (recupero crediti, estorsioni e usura) sino ai vertici di quella economica e politica, senza incontrare grandi ostacoli e potendo contando sul potere di intimidazione, dunque sul «metodo mafioso». Il rapporto con il mondo dell'imprenditoria rappresenta per le mafie a Roma una piattaforma con effetto moltiplicatore ben evidenziato dall'indagine Mondo di mezzo».


LA MORSA DELL'USURA

Per la Direzione nazionale antimafia la «drammatica situazione (del tessuto socio-economico romano, ndr) sul versante criminale comporta, da un lato una sempre maggiore diffusione dell'usura e delle conseguenti estorsioni, dall'altro rappresenta un «terreno da arare» per la criminalità organizzata, in grado di immettere grosse liquidità (provenienti da reato) nel bilancio delle imprese in difficoltà, riciclando così capitali illeciti ed inserendosi in modo subdolo e insidioso, senza necessità di esplicite minacce, nella gestione di imprese sane, per poi acquisirne il controllo.


Si assiste cioè all'ingresso del socio mafioso nell'azienda, al dichiarato scopo di apportare liquidità ma ben presto trasfuso nello spossessamento della stessa. In alcuni casi gli imprenditori divengono fiancheggiatori delle organizzazioni criminali, prestandosi a svolgere attività illecite di varia natura come la funzione di prestanome o, addirittura, rendendosi disponibili ad operare nel settore dello spaccio degli stupefacenti per estinguere i debiti».
camillobenso
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LIBRE news

Tav occulto: val Susa, attentato al “chakra sacro” europeo

Scritto il 02/10/16 • nella Categoria: idee Condividi


«Nessuno ne parla, ma questa aggressione è in corso da anni». Non si tratta di missili, veleni e cemento. «Vengono colpiti luoghi sacri naturali». In altre parole, è in pieno svolgimento una crociata – segreta – contro la geografia “invisibile” dei cosiddetti luoghi santi. E la prima linea del fronte sarebbe proprio la valle di Susa, investita dal progetto Tav. Che non sarebbe solo il consueto maxi-affare all’italiana. Molto peggio: un sortilegio malefico, per colpire a morte quello che è forse il più importante “chakra” terrestre europeo, il maggiore nodo energetico del continente. Per giunta situato sulla rotta che unisce, in linea retta, l’abbazia francese di Mont Saint-Michel al santuario di Monte Sant’Angelo, sul Gargano. Ombelico del “canale energetico”, l’abbazia medievale valsusina della Sacra di San Michele, monumento simbolo del Piemonte. Gli architetti occulti dell’operazione-Tav? «Sono innanzitutto esoteristi». A fare una simile affermazione, decisamente fuori ordinanza, è Fausto Carotenuto: non esattamente un visionario, ma un veterano dei servizi segreti italiani, per i quali ha lavorato come analista internazionale. Non ha dubbi: quella che è cominciata in valle di Susa è un’operazione “magica”, destinata a farci del male. Un atto di guerra, deliberato, contro il “drago” di uranio e amianto che dorme nel sottosuolo alpino. Un lavoro da stregoni, più che da gangster della politica.Parole che richiamano il coro di sgomento suscitato dall’imbarazzante cerimonia di inaugurazione del traforo del Gottardo, in Svizzera, celebrata il 1° giugno 2016 con uno strano rito di sapore tribale e sacrificale, in onore di un misterioso dio-caprone – forse simbolo dell’ancestrale paura della selva, “domata” oggi dalla tecnologia che perfora le Alpi? No, dice Carotenuto: quei tunnel sono un attentato contro le forze “spirituali” della Terra, per compromettere volontariamente la nostra possibilità di felicità. Ma l’intervento sulla valle di Susa, pubblicato su “Controinformazione”, risale a 5 anni prima della sinistra carnevalata del Gottardo. Quelle cose, Carotenuto – oggi apprezzato autore di saggi sulla spiritualità contemporanea – le scriveva nel 2011, quando sulla lotta contro il Tav Torino-Lione si stava affacciando anche il fantasma della violenza, «una trappola appositamente congegnata proprio dai fautori del progetto». Forze spirituali invisibili? Soprannaturale? «Il soprannaturale non esiste, è solo il “naturale” che non conosciamo ancora», sostiene un iniziato come il massone Gianfranco Carpeoro, esperto di simbologia. Quanto all’esoterismo, “che c’azzecca” col Tav? Se uno legge Gioele Magaldi, scopre che il vertice del potere mondiale è interamente massonico, iniziato al sapere esoterico (anche se ovviamente non lo ammetterebbe mai). E il Tav è classica operazione di potere. Anche “magica”?Carotenuto non ha incertezze: al di là del fatto che «i valligiani hanno ragioni da vendere», perché la maxi-ferrovia «non porterà “progresso” ma distruzione, devastazione e malattie», sostiene che «ad una indagine attenta dei valori spirituali in gioco emerge tuttavia un quadro ancora più fosco, di grande emergenza: non sono in gioco solamente i soldi degli ingordi, e l’ambiente e la salute degli abitanti della val di Susa». La posta, quella vera, è un’altra ancora: «Qualcuno sta cercando di portare avanti una operazione tendente a colpire direttamente le forze interiori di una grande fetta della popolazione europea: non solo quelle dei cari e simpatici valligiani, ma quelle di tutti i piemontesi, degli abitanti di un vasto arco delle Alpi, e delle regioni che si protendono attraverso tutta la Francia verso Nord, e tutta l’Italia verso Sud». Una operazione «che parte da molto in alto nelle gerarchie delle piramidi che portano avanti le strategie oscure». All’esistenza reale di “piramidi oscure”, in cui opererebbero “Maghi Neri”, Carotenuto ha dedicato il saggio “Il mistero della situazione internazionale” (Uno Editori), che offre una spiegazione in chiave “spirituale” del malessere che sta colpendo il pianeta.Non si parla solo di generiche “energie”, di stampo new age: l’ex stratega dell’intelligence italiana allude specificamente a vere e proprie ritualità di tipo magico, innominabili e inconfessabili, che sarebbero praticate in segreto da esponenti del massimo potere. Obiettivo: sabotare il “risveglio” della coscienza dell’umanità. A questo, dice, servirebbe anche la sgangherata progettazione della linea Torino-Lione, l’infrastruttura più incoerente e ridicola del pianeta. Ma in realtà c’è ben poco da ridere, visto che si tratta di «un qualcosa di così importante che il fronte del potere politico, finanziario, economico, dei mass media – largamente influenzato e diretto dai vertici “oscuri” – sostiene in modo insolitamente compatto e granitico, senza apprezzabili sbavature». Il che è verissimo. A nulla è valsa, finora, la sacrosanta protesta dei valsusini contro «menti oscure, schiere di mercenari del potere e del denaro, centurie di coscienze spente e freddamente calcolatrici». Anni di appelli, firmati da centinaia di tecnici universitari, per svelare che l’opera sarebbe devastante, costosissima e soprattutto inutile; e mai nessuna risposta, né da Palazzo Chigi né dal Quirinale. Come se quella futuribile infrastruttura fosse, semplicemente, un tabù. Un dogma intoccabile. Un mistero, appunto: forse per noi, ma non per “loro”, sostiene Carotenuto.Da alcuni anni, scrive l’autore, una enorme “operazione risvegli” è in corso sulla Terra, sulla quale ovviamente i “poteri oscuri” hanno fatto calare una vera e propria congiura del silenzio. «Le forze del Male, o per meglio dire dell’Ostacolo, sono quelle – sia spirituali che terrene – che fanno di tutto per bloccare i risvegli appena iniziati», cioè l’esplosione di consapevolezza che conduce alla riscoperta dei valori umani, la solidarietà, l’amore (non come “buonismo”, ma come necessità vitale razionale). «Questo è lo sfondo della grande battaglia in corso sulla Terra: guerre, distruzioni, genocidi, terrorismo, operazioni finanziarie, aggressioni farmacologiche e alimentari, tecnologie antiumane. Sono alcune delle manifestazioni di questa lotta». E uno dei tanti scenari sui quali si svolge sarebbe quello dei “luoghi santi”, sorti – non a caso – proprio sui “nodi vitali” del pianeta, che secondo Carotenuto “funziona” come il corpo umano, che «è attraversato da una rete di invisibili centri vitali uniti da infiniti canali di energie: quelli che le medicine orientali usano da millenni». Canali che la medicina occidentale aveva dimenticato, «ma è ora costretta a riscoprire un po’ alla volta, se vuole smetterla di combinare disastri».Nelle tradizioni orientali, questi centri si chiamano “chakra” e sono i vortici vitali, mentre i “nadi” sono i canali energetici che li uniscono. La Terra funziona allo stesso modo, scrive Carotenuto: «La crosta terrestre è costellata di importantissimi “chakra” e “nadi”». E aggiunge: «Gli spiriti più avanzati dell’umanità, gli “iniziati” di tutti i tempi, hanno sempre avuto la conoscenza, e spesso la visione, di questa geografia sottile, ma fondamentale, della Terra. Grotte sacre, montagne sacre, foreste sacre, laghi e fiumi sacri. E poi vari tipi di energie: positive, negative, ambivalenti». Non a caso, «lungo i canali e sui centri vitali sono sorti dolmen, menhir, cerchi di pietre, piramidi, templi, cattedrali: erano e sono luoghi speciali, che favoriscono il contatto tra gli uomini e le dimensioni superiori». Questa rete, «in gran parte dimenticata negli ultimi secoli di materialismo», si starebbe ora “riattivando”, man mano che gli uomini, “risvegliandosi”, riscoprono le particolarità di certi luoghi. «Sta già avvenendo in embrione, ma ben di più avverrà in futuro, quando sempre più uomini capiranno di avere a disposizione delle importanti reti di luoghi energetici di cui avvalersi per supportare la propria crescita spirituale».E allora le “forze oscure”, quelle che «vogliono ostacolare l’evoluzione interiore dell’umanità», cosa hanno deciso di fare? «Sono partite per tempo a cercare in tutti i modi di “spegnere”, di devitalizzare i chakra, di sclerotizzare le arterie delle energie vitali per lo spirito». Anche così Carotenuto spiega gli «interventi di tutti i tipi» a cui stiamo assistendo, «con tonnellate di metallo, colate di cemento, prodotti sintetici “morti” e ostili, gallerie, deforestazioni, selve di antenne, viadotti, perforazioni petrolifere, spesso appositamente indirizzate per depotenziare e deformare la geografia sacra». E aggiunge: «Vengono effettuati interventi per “spegnere” cattedrali, come Chartres o Santa Maria di Collemaggio, per annullare antichi luoghi di iniziazione. Vengono colpiti luoghi sacri naturali o costruiti dagli antichi iniziati. Viene persino usato il “martello” del turismo di massa per abbattere con folle inconsce e disattente il livello vibrazionale di certi luoghi, come le piramidi, le cattedrali gotiche, o i grandi templi». Si tratterebbe di «una strategia composita e ben studiata». E la valle di Susa? Nella “geografia sacra del mondo”, rappresenterebbe «un punto fondamentale degli equilibri energetici europei».Un “chakra” importantissimo, scrive l’autore, è situato all’ingresso della valle, da cui si dipartono diversi “nadi”, canali energetici che vanno a creare un asse importantissimo verso nord-ovest e verso sud-est. «Quali sono i punti “noti” di questo asse? I tre meravigliosi santuari dedicati a San Michele. In un allineamento pressoché perfetto, la Sacra di San Michele – lo splendido edificio sacro medioevale all’imboccatura della val di Susa – è al centro di una precisa direttrice che va dal santuario dedicato a Michele di Monte Sant’Angelo, sul Gargano, fino a quello sull’isola incantata di Mont Saint Michel, nel nordest della Francia». Sono tutti «luoghi sacri, luoghi di energie fortissime, che gli antichi conoscevano e usavano, e che gli uomini del “risveglio” torneranno ad usare». Non è casuale la ricorrenza del nome Michele, personificato in “arcangelo” con la cristianizzazione: il Michele della tradizione ebraico-cristiana, spiega Carotenuto, prima si chiamva Mercurio nell’antica Roma, Hermes in Grecia, Toth in Egitto. «E’ lo spirito guida dell’operazione “risvegli”», sostiene Carotenuto. Ed è ultra-presente nella fatidica valle di Susa, già bucherellata da mille infrastrutture e ora terrorizzata dallo spettro-Tav.«La crosta terrestre ha nelle sue profondità delle forze enormi, concentrate in certi luoghi, che gli antichi conoscevano bene e chiamavano forze della Dea Madre, della Madre Terra», argomenta l’analista. «Statue femminili nere, adorate in caverne o cripte, la rappresentavano: raffigurazioni sacre di tante divinità tra cui l’egizia Iside, e poi le madonne nere cristiane, a sancire l’alleanza positiva tra uomini e queste forze». Ma gli antichi, continua lo studioso, le chiamavano anche forze del “drago”, facendo riferimento al fatto che erano forze enormi, ma “selvagge”, utilizzabili sia per il bene che per il male, a seconda delle intenzioni umane. «In epoche antiche, gruppi di iniziati ispirati dal mondo spirituale decisero che per un lungo tratto dell’evoluzione umana bisognava che certe “forze del drago” di un importante asse energetico europeo fossero equilibrate, tenute sotto controllo e rivolte al bene. E che di questo equilibrio positivo si giovassero le popolazioni europee. Questo il motivo per cui degli edifici speciali, costruiti e “attivati” in modo del tutto particolare, furono eretti sopra montagne sacre piene di “forze del drago”, talvolta oscure. Santuari di Michele, che nella sua funzione tipica “tiene a bada le forze del drago”, per usarle in positivo e per lasciare liberi gli uomini di evolversi. Questo illustrano i quadri e le statue di San Michele».Il chakra centrale della valle di Susa, prosegue Carotenuto, non è fatto solamente del monte Pirchiriano su cui svetta la Sacra, ma di una serie di altri rilievi «carichi di forze importanti», e tra questi «uno in particolare assume un ruolo centrale nella geografia sacra: il monte Musinè», che è «un luogo dalle energie fortissime, uno dei principali in Europa». Lassù, le “forze spirituali del drago” hanno originato «un sottosuolo pieno di energie enormi, selvagge, che si manifestano in conformazioni rocciose insolite e piene di materiali “forti”, nocivi se liberati», che per l’analista «sono la manifestazione di forze spirituali altrettanto nocive su altri piani». Ma il Musinè, aggiunge, «è anche un’antenna volta verso incredibili energie positive cosmiche». Da sempre il monte è teatro di apparizioni continue di «luminescenze colorate, globi luminosi», custodisce «leggende di maghi e di draghi d’oro, di riti e di graffiti misteriosi fin dall’antichità più remota». Ed è un notissimo luogo di avvistamenti “Ufo” tra i più citati, fin dai tempi pionieristici di Peter Kolosimo. Persino la vegetazione che vi cresce è differente. «E’ il punto focale che probabilmente più di ogni altro ha creato quella base energetico-spirituale che ha fatto di Torino la città esoterica per eccellenza, nel bene e nel male. Come è tipico delle “forze del drago”».Per Carotenuto, la valle di Susa è dunque «una zona fortissima, al centro di un asse europeo spirituale fondamentale, forse il principale». Ed è stata «tenuta in equilibrio per secoli dalla spiritualità rappresentata da Michele, con le “forze del drago” domate e sepolte nel sottosuolo, in attesa della grande epoca dei “risvegli”». Da qui, secondo questa particolarissima visione, l’offensiva occulta delle “piramidi del Male”, attivate «dai livelli locali fino a quelli centrali europei». Una operazione strategica, «mirante ad alterare antichi equilibri per renderli inutilizzabili a fini positivi: scavare una enorme galleria nelle viscere della montagna sacra, per sconvolgere il “chakra” Musinè, portando alla luce forze oscure e potenti dalle profondità della Terra». Obiettivo segreto: «Liberarle dall’influsso positivo delle correnti cosmiche e della vicina presenza benefica della Sacra di San Michele. E poi affondare ulteriormente il bisturi di morte scavando un percorso di distruzione sul “nadi” che punta a Mont Saint Michel». In altre parole, in valle di Susa sarebbe in corso «il tentativo di portare un colpo al cuore della geografia sacra europea».Un vero e proprio attentato, stando a Carotenuto, «tale da appesantire le atmosfere psichiche, creare una cappa di piombo in una vasta zona del nostro continente: il tentativo di creare un vero e proprio “infarto” nella circolazione delle energie a disposizione di tutti noi per i nostri risvegli». Questo, conclude lo studioso, spiega la volontà granitica di «tutti i terminali politici, economici, finanziari e mediatici dei “poteri oscuri”, compatti nel sostenere l’operazione anche se la popolazione locale è solidale nel respingerla». I valsusini lo fanno «per la propria salute, messa a rischio dall’uranio e dall’amianto che verranno portati in superficie, e per salvare una natura già tanto colpita nel passato». Ma forse anche perché «il cuore dei valligiani, che è inconsciamente in contatto con la realtà spirituale delle cose, sa molto meglio della mente che bisogna resistere, opporsi con fermezza ed energia all’aggressione spirituale. E che bisogna farlo in modo consono alla nuova coscienza che si risveglia e si sviluppa: con la verità e la nonviolenza. Rispondere con la verità e la nonviolenza alla menzogna manipolatoria e alla violenza del fronte compatto che vuole sacrificarli: un fronte di poveri schiavi dei “poteri oscuri”, che hanno venduto pezzi della propria coscienza in cambio di tanti o pochi spiccioli; di grandi, ma anche di piccolissime poltrone».
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Sole 24 Ore, il gruppo chiude il semestre con 50 milioni di rosso. “Necessario aumento capitale”

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La relazione semestrale del gruppo registra tutti i principali indicatori finanziari in terreno negativo. Il patrimonio netto crolla a 28,2 milioni, bruciando 59 milioni rispetto alla fine dello scorso anno. Calano i ricavi (da 165,4 a 151,8 milioni) e si assottiglia la redditività (-19,7 milioni per il margine operativo lordo). E, come se non bastasse, “si prevedono ulteriori perdite nella seconda parte dell’esercizio in corso”
di Fiorina Capozzi | 30 settembre 2016
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Quasi cinquanta milioni di perdite pesano come un macigno sul Gruppo 24Ore. Mettono in discussione il “presupposto della continuità aziendale”. Ma soprattutto decretano la necessità di un aumento di capitale dell’editrice di Confindustria che pubblica il quotidiano economico-finanziario IlSole24Ore. La relazione semestrale del gruppo guidato da Gabriele Del Torchio descrive uno scenario buio per il gruppo editoriale che registra tutti i principali indicatori finanziari in terreno negativo. Il patrimonio netto crolla ad appena 28,2 milioni, bruciando 59 milioni rispetto alla fine dello scorso anno (87,2 milioni). Calano anche i ricavi (da 165,4 a 151,8 milioni) e si assottiglia la redditività (-19,7 milioni per il margine operativo lordo). E, come se non bastasse, “si prevedono ulteriori perdite nella seconda parte dell’esercizio in corso” come si legge nella nota ai risultati semestrali.


Vista la situazione patrimoniale, il consiglio ha ritenuto “necessario l’intervento degli azionisti attraverso una manifestazione di disponibilità ad eseguire un aumento di capitale, al fine di dotare il gruppo di risorse adeguate per coprire i fabbisogni finanziari di breve periodo e per far fronte all’eventuale rimborso del prestito sindacato alla scadenza, nonché per garantire un rapporto tra patrimonio netto e debiti finanziari equilibrato” spiega il documento anticipando “la disponibilità” di Confindustria a mettere mano al portafoglio. Difficile del resto fare diversamente dal momento che senza nuova liquidità gli industriali dovrebbero dire addio alla loro casa editrice.

“Alla luce dei risultati economici, finanziari e patrimoniali rilevati nel primo semestre 2016 – prosegue il documento – si rendono necessarie valutazioni da parte degli amministratori in merito alla sussistenza del presupposto di continuità aziendale (…). In particolare, si segnala la presenza di significative incertezze che possono far sorgere dubbi significativi circa il permanere del presupposto della continuità aziendale” relativamente alla situazione economica, finanziaria e patrimoniale.

Non certo buone notizie per il neoeletto numero uno di Confindustria, Vincenzo Boccia, che dovrà ora tentare di salvare il salvabile. Senza escludere una dura resa dei conti con gli ex amministratori del gruppo, guidato negli anni addietro da Donatella Treu sotto la presidenza di Benito Benedini. Le premesse per una eventuale rivalsa sono del resto già nella semestrale dove si precisa che “i risultati del primo semestre 2016 e quelli stimati per fine anno sono significativamente divergenti rispetto alle previsioni dell’esercizio in corso formulate sulla base del piano industriale 2015 – 2019, approvato dal Consiglio di amministrazione il 13 marzo 2015”. “Tale piano risulta quindi disatteso e non applicabile” precisa il documento. Per questo il consiglio di amministrazione del Gruppo Sole24Ore ha approvato le linee guida di un nuovo piano industriale 2016-2020 che sarà esaminato complessivamente ad ottobre 2016. Non prima che sia completata una attività di revisione svolta da un esperto indipendente.

Intanto la semestrale, sotto il profilo finanziario, dà conto del fatto che l’editrice, di recente al centro di polemiche sulla buonuscita del direttore del quotidiano, Roberto Napoletano, abbia sforato uno dei paletti (quello del rapporto fra posizione finanziaria netta e patrimonio netto) fissati dalle banche per la concessione di una linea di credito revolving da 50 milioni di euro. Il 26 settembre scorso il gruppo ha quindi chiesto un incontro alle banche creditrici (Banca IntesaSanpaolo, Banca Popolare di Milano, Banca Popolare di Sondrio, Banca Monte Paschi di Siena e Credito Valtellinese) al fine di ridefinire la struttura del finanziamento. Un incontro necessario perché il gruppo prevede di non poter rispettare i paletti imposti dalle banche al 31 dicembre 2016 e al 23 ottobre del prossimo anno. Insomma, tutto da rifare in un clima peraltro assai teso in cui il regolamento di conti, oltre che gli ex amministratori, potrebbe anche coinvolgere anche le prime linee dirigenziali.
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Via dall’euro o è la fine, ormai lo ammette anche Zingales
Scritto il 04/10/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi


E’ un’intervista destinata a far scalpore, secondo Marcello Foa, sebbene il quotidiano che l’ha pubblicata, “Repubblica”, abbia cercato di annacquarla. «Il vero titolo era “Via dall’euro, con l’austerità non c’è futuro”», invece «hanno preferito un più neutrale “Quella contro l’austerity è una battaglia persa”». Resta però la sostanza. Luigi Zingales, economista della University of Chicago, stronca i tentativi di Renzi di strappare qualche decimale di flessibilità per la semplice ragione che il vero nodo è strutturale. Le schermaglie non servono a nulla: «Il problema non è qualche punto decimale di flessibilità, ma la vera struttura dell’unione monetaria», dice Zingales. «Senza una politica fiscale comune, l’euro non è sostenibile: o si accetta questo principio o tanto vale sedersi intorno a un tavolo e dire: bene, cominciamo le pratiche di divorzio. Consensuale, per carità, perché unilaterale costerebbe troppo, soprattutto a noi». Cosa dovrebbe fare l’Italia per sbloccare l’austerità di marca tedesca? «Di certo smetterla di elemosinare decimali da spendere a scopi elettorali rendendosi poco credibile. Dovrebbe invece iniziare una battaglia politica a livello europeo. Dire chiaramente che alle condizioni attuali l’euro è insostenibile».«O introduciamo una politica fiscale comune che aiuti i paesi in difficoltà o dobbiamo recuperare la nostra flessibilità di cambio. Tertium non datur», sostiene – oggi – l’economista, che fu tra i più robusti sostenitori del governo Monti, massima espressione dell’euro-rigore imposto all’Italia, senza anestesia, nel 2011. «Il rischio per gli italiani è quello di finire come la rana in pentola: se la temperatura aumenta lentamente non ha la forza per saltare fuori e finisce bollita», continua Zingales su “Repubbica”. «Il nostro paese non cresce da vent’ anni: quanto ancora possiamo andare avanti?». Certo, annota Marcello Foa sul “Giornale”, Zingales continua a credere che una politica fiscale europea potrebbe risolvere i problemi di molti paesi europei. Ma il professore, «realisticamente, sa che la Germania non si scosterà dall’attuale linea». A Berlino, dichiara ancora l’economista, «conviene che questa situazione continui all’infinito». E spiega: «È difficile che qualcuno cambi idea se non gli conviene, a meno che non sia costretto a farlo. I tedeschi temono di pagare il conto delle spese altrui e su questo non hanno tutti i torti».«Dunque, nulla cambierà», conclude Foa. «E l’Italia deve scegliere: se non vuole morire dissanguata lentamente deve trovare altre soluzioni. Ne resta una sola: uscire dall’euro, come sostengono da tempo Alberto Bagnai e gli economisti che gravitano attorno ad “Asimmetrie”». E se Renzi «fosse davvero il premier di rottura che pretende di essere», secondo Foa «coglierebbe l’occasione per avanzare con forza la questione, anzi per porla al primo posto nell’agenda del paese». Altro che Olimpiadi, altro che riforma costituzionale: tutto è inutile se prima non si riesce a riattivare l’economia reale. Cambio di rotta: dire all’Unione Europea che l’Italia, nell’euro, non regge più? Esattamente. «Ma questo coraggio, Renzi non ce l’ha», sottolinea Foa. «Preferisce, al solito, la propaganda e le schermaglie verbali: come se bastasse parlare bene, per salvare un paese».
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......DA NOI FANNO I POLITICI O I SINDACI.......



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L’intellettuale idiota: non sa niente e pontifica su tutto

Scritto il 05/10/16 • nella Categoria: idee Condividi


«Quello che stiamo vedendo in tutto il mondo, dall’India alla Gran Bretagna fino agli Stati Uniti, è una ribellione contro i più smidollati “impiegati della politica”» e contro i loro giornalisti di complemento. Contro, cioè, quella classe di esperti semi-intellettuali usciti da Oxford, Cambridge «o da qualche altro istituto formatta-cervelli», per spiegarci cosa fare, cosa mangiare, come parlare, come pensare e per chi votare. La gente, scrive Nassim Nicholas Taleb, ha tutto il diritto di fare affidamento più sul proprio istinto ancestrale (e di dar retta ai consigli della nonna) piuttosto che «stare a sentire le parole di questi sicari della politica». Sono “accademici della burocrazia” che vogliono gestire le nostre vite, ma «confondono la scienza con lo scientismo». Taleb lo chiama “l’intellettuale-idiota”, e lo definisce «un prodotto della nostra modernità, che ha cominciato a correre troppo dalla metà del XX secolo, per arrivare al suo apice ai giorni nostri, quando una larga schiera di persone, che non hanno nessuna idea di come funziona il gioco, stanno invadendo molti campi della nostra vita». A dominare è lui, l’Iyi: Intellectual Yet Idiot. Perché?Presto detto: «In molti paesi, il ruolo del governo ormai è dieci volte minore rispetto a un secolo fa», scrive Nassim Nicholas Taleb su “Medium.com”, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Così, l’Iyi «sembra onnipresente nella nostra vita», anche se «è ancora una piccola minoranza e raramente appare come esperto in un campo specifico, nei social media o in una università». L’intellettuale-idiota «patologizza, spiega agli altri come fare delle cose che (lui) non capisce, senza mai rendersi conto è la sua propria capacità di comprendere ha dei limiti». In più, «pensa che la gente dovrebbe agire secondo i propri interessi e che questi interessi siano esattamente quelli che lui sa di conoscere bene, come quando si tratta dei “Red necks” o di quella classe inglese non-allineata che ha votato per il Brexit». Ovvero: «Quando i “plebei” fanno qualcosa che per loro stessi ha senso, ma che non ha senso per l’Iyi, allora li chiama “ignoranti”». L’intellettuale-idiota distingue: è “democrazia” quando va bene per lui, e “populismo” quando la plebe osa votare in un modo non conforme alle proprie preferenze.«Mentre i ricchi credono che ogni dollaro pagato in tasse valga un voto – continua Taleb – parecchi umanisti credono invece che un uomo valga un voto: la Monsanto crede in “un lobbista, un voto” e l’intellettuale-idiota crede in “una laurea della Ivy League, un voto”, un po’ come le lauree conferite da altre scuole per le élite straniere, e per i dottorati di ricerca, che tutti insieme fanno parte dello stesso club». Dal punto di vista sociale, l’Iyi è abbonato al “New Yorker”, non scrive mai su Twitter, parla di “uguaglianza delle razze” e di “uguaglianza economica” ma «non è mai andato a bere una birra con un tassista che fa parte della minoranza e nemmeno con qualcuno di quegli inglesi presi in giro da Tony Blair». Che farà ora? «Non solo voterà per Hillary-Monsanto-Malmaison perché gli sembra eleggibile o qualcos’altro del genere, ma dice anche che chi non la voterà è un malato di mente». L’Iyi è uno che «è convinto che gli Ogm siano “scienza” e che la “tecnologia” non sia affatto differente dall’istruzione di una scuola convenzionale, ma questo atteggiamento è la diretta conseguenza della sua facilità a confondere la scienza con lo scientismo».In genere, continua Taleb, «l’Iyi a prima vista ha sempre ragione, ma appena si scava più a fondo (subito dopo) la realtà dimostra la sua più totale incompetenza appena si cerca di allargare le vedute». Eccolo: «Comodamente seduto nel salotto buono della sua casa di periferia con un box per due auto, continua a difendere la “rimozione” di Gheddafi perché era “un dittatore” e non si rende conto che certe rimozioni producono certe conseguenze (ricordiamoci che non sa come gira il mondo e alla fine non è mai lui che deve pagare il conto se le cose finiscono male)». Infatti, l’intellettuale-idiota «fa parte di un club che dà ai suoi soci il privilegio di viaggiare». Se fosse un antropologo, «userebbe le statistiche, ma senza chiedersi come siano state rilevate». Se vivesse in Inghilterra «andrebbe ai festival letterari», eviterebbe i grassi ma sarebbe pronto a cambiare idea. In ogni caso, «non si sarebbe mai ubriacato con un russo – non tanto, almeno, da cominciare a rompere i bicchieri». In compenso, «almeno un paio di volte avrebbe menzionato la meccanica quantistica in conversazioni che non avevano nulla a che vedere con la fisica». Tuttavia «saprebbe sempre, in qualsiasi momento, che le sue parole o le sue azioni possono influenzare la sua reputazione».
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IN SENATO Quorum per un soffio
Verdini indispensabile,
Ala salva il governo
nel voto sui conti pubblici

L’ALLEATO Verdini è di nuovo indispensabile.
Conti alla mano, ieri il
gruppo di Ala, guidato dal senatore toscano,
ha salvato il governo a Palazzo Madama
e per di più su una materia delicata come
quella dei conti pubblici.
In mattinata
l’aula ha dato il via libera
al rendiconto sul
2015 e all’a ss e s t amento
del bilancio
dello Stato per il
2016, rispettivamente
con 142 voti favorevoli,
3 voti contrari e
due astenuti sul primo
disegno di legge e con 143 sì, 92 no e 3
astenuti sul secondo. Tenuto conto che il
quorum era a quota 141 voti, la maggioranza
ce l’ha fatta per un soffio.
E il merito è anche e soprattutto dei dieci verdiniani,
compatti nel votare assieme al governo.
Una scelta motivata così in aula da
Antonio Langella, vicepresidente della commissione
Bilancio: “La politica economica
messa in campo dal governo dimostra di dare
risultati positivi, anche se certamente i
problemi da risolvere restano ancora molti”.
Insomma, è stato un appoggio senza entusiasmo.
Ma sufficiente per salvare il governo
e per provocare così il sarcasmo del senatore
bersaniano Miguel Gotor: “Oggi Verdini e i
suoi amici di Ala sono stati determinanti nel
voto in Senato: evidentemente, le prove tecniche
del Partito della nazione sono in fase
avanzata. Così come sono avanti i lavori per
dare vita a una ‘santa alleanza’fra i cosiddetti
‘sistemici ’, che sostengono il Sì al referendum
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA LETTERA La dem Ricchiuti e gli slogan populisti
“COSÌ IL PD SI SCAVA LA FOSSA”

» LUCREZIA RICCHIUTI
Caro Direttore, la campagna di
manifesti del Comitato per il Sì
in cui si chiede agli elettori se
vogliano meno politici è il punto più
basso del populismo qualunquistico
che la discussione pubblica abbia toccato
negli ultimi 20 anni. Per me è doloroso
che ad averlo toccato non siano
il Movimento 5 Stelle o la Lega Nord
ma il mio stesso partito.
Il poster affisso in molte
città non dice “meno parlame
ntari”. Recita proprio:
“Meno politici”.
Questa linea si inserisce
nell’auspicio che vinca il
Sì delle banche d'affari e
delle agenzie di rating. Il
messaggio è: la politica fa
schifo, meglio gli affari.
Vorrei dire ai miei colleghi, anche
e soprattutto nel Pd, che entusiasticamente
approvano questo slogan
che si stanno scavando la fossa.
Personalmente dico che faccio politica
da tutta la vita e ne vado fiera.
La politica è la più bella attività che
si possa fare: si interpretano
bisogni, si rappresentano
interessi e si dà voce
a chi più ne ha bisogno.
La riforma Renzi-
Boschi comprime
questi spazi e rende molto
più difficile la militanza
politica, la quale –per fare qualche
esempio – nel mio caso si è tradotta
nella lotta a viso aperto contro
la ‘ndrangheta in Lombardia e nel ripulire
dal malaffare il Comune di
Desio; nella presentazione di atti legislativi
per dare soldi agli studenti
bisognosi, per migliorare la vita dei
pendolari nella mia provincia, per
consentire agli enti locali di riscuotere
regolarmente i propri crediti; e
in molte altre manifestazioni.
L’indennità parlamentare me la
guadagno tutta, con emendamenti,
interrogazioni, presenza in aula e in
Commissione e lavoro d’ascolto sul
territorio. Molti cittadini fanno riferimento
a me e a molti altri deputati
e senatori come me, per segnalare
problemi ed esigenze. Questa
politica è lavoro duro e serio, che richiede
preparazione e autonomia di
giudizio. La riforma costituzionale
vuole sopprimerla. “Volete voi meno
politici?ӏ dunque un quesito che mi
fa rabbrividire. La cosa più brutta è
che nessuno di coloro che – a g g r a ppandosi
alle salvifiche virtù del capo
–pensano che, pur di portare a casa
il risultato, si deve scendere a questo
livello infimo, è disposto ad andare in
televisione a dire che –sì –anche lui
è un “p o l tr o n a r o” e che finora ha
mangiato pane a tradimento. Quando
si scatena la belva del populismo
distruttivo non si salva nessuno.
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Quella riforma sotto dettatura. Governo in mano a Jp Morgan
Un dossier della banca d'affari chiedeva modifiche poi finite nel ddl Boschi. Napolitano, interrogato, tace


Camilla Conti - Gio, 06/10/2016 - 09:43
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John Pierpont Morgan è morto nel sonno mentre era in vacanza a Roma il 31 marzo del 1913, all'età di 75 anni. A dicembre di quello stesso anno nasceva la Federal Reserve, la banca centrale degli Stati Uniti.


C'è chi dice che questi due eventi siano in qualche modo collegati. Soprattutto perché JP Morgan fu molto più potente dei presidenti della Fed. Oggi ritroviamo il colosso da lui creato, che nel 2015 ha registrato 24,4 miliardi utili, nel mezzo di molte partite importanti per il nostro Paese. Dal salvataggio di Mps, di cui peraltro la banca d'affari è stata consulente anche in passato, a quello dell'Ilva passando per la riforma costituzionale al centro del referendum del 4 dicembre.

Cosa c'entra la riforma - in casa nostra - con Jp Morgan? Ebbene, martedì scorso la Repubblica ha ospitato un confronto ravvicinato fra Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte, e l'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, sostenitore della riforma costituzionale varata da Renzi. Fra le domande, Settis ha ricordato che mentre Napolitano era ancora in carica un accreditato commentatore politico, Marzio Breda, scriveva sul Corriere della Sera (1 aprile 2014) un articolo dal titolo «Da Napolitano un segnale sul percorso delle riforme». In esso, citando una nota del Quirinale, Breda scriveva che «la riforma per il capo dello Stato è importante, anzi improrogabile», e va «associata alla legge elettorale». Ricordando che a questo proposito, sarebbe bastato rileggersi uno studio diffuso da Jp Morgan il 28 maggio 2013 in cui veniva fotografata la crisi economica europea indicando nella «debolezza dei governi rispetto al Parlamento» e nelle «proteste contro ogni cambiamento» alcuni vizi congeniti del sistema italiano». La domanda di Settis è dunque: «Quell'analisi della banca americana può valere, come alcuni vorrebbero, come un argomento per riformare la Costituzione? ». Napolitano non ha risposto.

Eppure la ricetta degli americani pare calzare a pennello con la riforma voluta da Matteo Renzi (grande fan di Tony Blair, che oggi lavora proprio per Jp Morgan), e sponsorizzata dall'ex inquilino del Quirinale. Cosa suggeriva la banca d'affari? Smontare la Costituzione perché troppo socialista, asservire il Parlamento al governo, una legge elettorale bipolare. Per chi mastica la finanza, non è inusuale che le banche d'affari propongano soluzioni o forniscano scenari ideali per garantire la crescita di una società o anche di un Paese. Ma la mancata risposta di Napolitano fa rumore anche perché va ad aggiungersi ai rapporti sempre più fitti fra gli americani e Palazzo Chigi dove a luglio è stato accolto in pompa magna il numero uno mondiale di Jp Morgan, Jamie Dimon arrivato a Roma per festeggiare i cento anni di attività della banca in Italia. Incontro cui è seguito un articolo apparso sul Sunday Telegraph in merito a una soluzione studiata dalla stessa banca d'affari contattata appunto dal governo italiano per risolvere il nodo dei crediti deteriorati del Monte. In cambio di laute commissioni.

L'asse Renzi-Jp Morgan - allargato anche a Davide Serra e all'altro advisor in pista sul Monte ovvero la Mediobanca guidata da Alberto Nagel su cui il premier aveva scommesso, perdendo, nel match contro Cairo su Rcs - starebbe irritando i piani alti della Bce ma anche le altre banche d'affari concorrenti. Tanto che lo stesso pesante attacco alle riforme renziane lanciato martedì dal Financial Times (e arrivato a poche ore dall'editoriale di fuoco sulle ingerenze del governo nella vicenda senese firmato da Ferruccio de Bortoli sul Corriere) andrebbe letto in questa chiave.

Tornando alla storia di John Pierpont Morgan, in pochi sanno che nel 1902 finanziò anche la nascita dell'International Mercantile Marine Company, una compagnia di navigazione che puntava a controllare i trasporti oceanici. La Immc possedeva anche il transatlantico Titanic. Ed è proprio il suo affondamento a segnare la strada verso il fallimento della compagnia.

Anche i grandi banchieri a volte scommettono sul cavallo sbagliato.
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