La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
........LA SCOPERTA DELL'ACQUA CALDA........
.....NON BISOGNA ESSERE IL MAGO OTELMA PER SAPERE CHE SAREBBE FINITA COSI'........
Italiani in prima linea nella battaglia di Mosul
Elicotteri e incursori per blitz in zona di guerra
Connazionali impegnati in operazioni di “combat search and rescue”. Bersaglieri a presidio della diga
Curdi sfondano prima linea. Media: “Forze speciali Usa sul terreno”. Onu: “Civili come scudi umani”
mosul-pp
Mondo
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq sono in prima linea. La principale missione sarà quella di combat search and rescue, vale a dire blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” e comporterà quindi elevati rischi. Non a caso gli elicotteri da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini. A scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento di Enrico Piovesana
.....NON BISOGNA ESSERE IL MAGO OTELMA PER SAPERE CHE SAREBBE FINITA COSI'........
Italiani in prima linea nella battaglia di Mosul
Elicotteri e incursori per blitz in zona di guerra
Connazionali impegnati in operazioni di “combat search and rescue”. Bersaglieri a presidio della diga
Curdi sfondano prima linea. Media: “Forze speciali Usa sul terreno”. Onu: “Civili come scudi umani”
mosul-pp
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La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq sono in prima linea. La principale missione sarà quella di combat search and rescue, vale a dire blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” e comporterà quindi elevati rischi. Non a caso gli elicotteri da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini. A scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento di Enrico Piovesana
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LIBRE news
Craig Roberts: Hillary tutela l’1% che lucra sulla guerra
Scritto il 18/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media.
Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo.
Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere.
«Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan.
«La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America.
Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».
L’ideologia neo-conservatrice dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti li sta portando con i loro vassalli ad un conflitto con la Russia e la Cina, scrive Craig Roberts, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”.
«I rischi di una guerra nucleare sono più alti che in qualsiasi altro momento nella storia».
Questo sì, è «un argomento da campagna presidenziale».
Invece, «i problemi sono l’uso legale delle leggi fiscali da parte di Trump e il suo atteggiamento non ostile verso il presidente russo Putin», al punto che «si potrebbe pensare che il problema sia l’atteggiamento estremamente ostile di Hillary verso Putin (“il nuovo Hitler”), che promette un conflitto con una grande potenza nucleare».
Per quanto riguarda il giovarsi delle leggi fiscali, Pat Buchanan ha sottolineato che Hillary «ha utilizzato a suo vantaggio una deduzione grande quasi come quella di Trump».
Durante gli anni in Arkansas, la Clinton «si è anche avvalsa di una detrazione fiscale su una lista di indumenti usati donati a un ente di beneficenza, tra cui 2 dollari per un paio di mutande usate da Bill».
Il “dibattito” tra i vice-presidenti, poi, ha rivelato che il candidato del Partito Democratico «è così ignorante da pensare che Putin, che è democraticamente eletto e ha un enorme sostegno pubblico, è un dittatore».
Questo, continua Craig Roberts, è quello che sappiamo sui due candidati alla presidenza.
«Hillary ha una lunga lista di scandali, da Whitewater e Vince Foster a Bengasi e alla violazione dei protocolli per la sicurezza nazionale».
La candidata democratica «è stata comprata e pagata dagli oligarchi di Wall Street, delle mega-banche e del complesso militare industriale, nonché da interessi stranieri».
Prova ne sono «i 120 milioni di dollari del patrimonio personale dei Clinton e i 1.600 milioni di dollari della loro fondazione».
In altre parole, «Goldman Sachs non ha pagato 675.000 dollari a Hillary per tre discorsi di 20 minuti per la saggezza che contenevano».
Al contrario, «quello che sappiamo in merito a Trump è che l’oligarchia non lo sopporta e ha ordinato al Ministero della Propaganda, cioè i media statunitensi, di distruggerlo».
Chiaramente, continua Craig Roberts, «Hillary è il candidato dell’1%, e Trump è il candidato del resto di noi».
Purtroppo, però, «circa la metà del 99% è troppo stupida per conoscere tutto questo».
Inoltre, «se Trump dovesse finire alla Casa Bianca, non significa che potrebbe prevalere sull’oligarchia», che infatti «è radicata a Washington e controlla cariche di politica economica ed estera, think tank e altri gruppi di lobbisti, e i media». Il popolo? «Non controlla nulla». E oggi, «cosa pensa il mondo quando vede condannare Donald Trump perché non vuole la guerra con la Russia o la delocalizzazione dell’economia americana?». E i “vassalli” di Washington – britannici, canadesi, australiani, giapponesi – dove vedono nella politica americana una leadership degna del sacrificio della loro sovranità e dell’indipendenza della loro politica estera? «Dove vedono anche solo un briciolo di intelligenza?».
E ancora: «Perché il mondo guarda al governo più stupido, vigliacco, arrogante, corrotto e criminale del pianeta come una guida? La guerra è l’unica destinazione a cui Washington può condurre».
Craig Roberts: Hillary tutela l’1% che lucra sulla guerra
Scritto il 18/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
Hillary è il candidato dell’1% e Trump quello del 99%, che l’oligarchia vuole distruggere attraverso i media.
Se pure vincesse Trump, poco potrebbe contro questo 1% affamato di potere che controlla i posti chiave a Washington e su cui né il popolo americano né gli alleati esteri, diventati ormai vassalli, esercitano più alcun controllo.
Su “Counterpunch”, Paul Craig Roberts evidenzia l’assurdità della campagna presidenziale americana, che discute delle tasse di Trump invece della minaccia sempre più inevitabile di una guerra con la Russia scatenata dall’oligarchia al potere.
«Cosa deve pensare il mondo guardando la campagna presidenziale americana? Nel corso del tempo le campagne politiche americane sono diventate più irreali e meno legate alle preoccupazioni degli elettori, ma quella attuale è così irreale da essere assurda», afferma Craig Roberts, già viceministro di Reagan.
«La delocalizzazione dei posti di lavoro americani da parte delle multinazionali e la deregolamentazione del sistema finanziario degli Stati Uniti hanno portato al fallimento economico dell’America.
Si potrebbe pensare che questo sia un argomento da campagna presidenziale».
L’ideologia neo-conservatrice dell’egemonia mondiale degli Stati Uniti li sta portando con i loro vassalli ad un conflitto con la Russia e la Cina, scrive Craig Roberts, in un post ripreso da “Voci dall’Estero”.
«I rischi di una guerra nucleare sono più alti che in qualsiasi altro momento nella storia».
Questo sì, è «un argomento da campagna presidenziale».
Invece, «i problemi sono l’uso legale delle leggi fiscali da parte di Trump e il suo atteggiamento non ostile verso il presidente russo Putin», al punto che «si potrebbe pensare che il problema sia l’atteggiamento estremamente ostile di Hillary verso Putin (“il nuovo Hitler”), che promette un conflitto con una grande potenza nucleare».
Per quanto riguarda il giovarsi delle leggi fiscali, Pat Buchanan ha sottolineato che Hillary «ha utilizzato a suo vantaggio una deduzione grande quasi come quella di Trump».
Durante gli anni in Arkansas, la Clinton «si è anche avvalsa di una detrazione fiscale su una lista di indumenti usati donati a un ente di beneficenza, tra cui 2 dollari per un paio di mutande usate da Bill».
Il “dibattito” tra i vice-presidenti, poi, ha rivelato che il candidato del Partito Democratico «è così ignorante da pensare che Putin, che è democraticamente eletto e ha un enorme sostegno pubblico, è un dittatore».
Questo, continua Craig Roberts, è quello che sappiamo sui due candidati alla presidenza.
«Hillary ha una lunga lista di scandali, da Whitewater e Vince Foster a Bengasi e alla violazione dei protocolli per la sicurezza nazionale».
La candidata democratica «è stata comprata e pagata dagli oligarchi di Wall Street, delle mega-banche e del complesso militare industriale, nonché da interessi stranieri».
Prova ne sono «i 120 milioni di dollari del patrimonio personale dei Clinton e i 1.600 milioni di dollari della loro fondazione».
In altre parole, «Goldman Sachs non ha pagato 675.000 dollari a Hillary per tre discorsi di 20 minuti per la saggezza che contenevano».
Al contrario, «quello che sappiamo in merito a Trump è che l’oligarchia non lo sopporta e ha ordinato al Ministero della Propaganda, cioè i media statunitensi, di distruggerlo».
Chiaramente, continua Craig Roberts, «Hillary è il candidato dell’1%, e Trump è il candidato del resto di noi».
Purtroppo, però, «circa la metà del 99% è troppo stupida per conoscere tutto questo».
Inoltre, «se Trump dovesse finire alla Casa Bianca, non significa che potrebbe prevalere sull’oligarchia», che infatti «è radicata a Washington e controlla cariche di politica economica ed estera, think tank e altri gruppi di lobbisti, e i media». Il popolo? «Non controlla nulla». E oggi, «cosa pensa il mondo quando vede condannare Donald Trump perché non vuole la guerra con la Russia o la delocalizzazione dell’economia americana?». E i “vassalli” di Washington – britannici, canadesi, australiani, giapponesi – dove vedono nella politica americana una leadership degna del sacrificio della loro sovranità e dell’indipendenza della loro politica estera? «Dove vedono anche solo un briciolo di intelligenza?».
E ancora: «Perché il mondo guarda al governo più stupido, vigliacco, arrogante, corrotto e criminale del pianeta come una guida? La guerra è l’unica destinazione a cui Washington può condurre».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
SIAMO TORNATI SOTTO IL FASCISMO. COME ALLORA “IL POTERE” TI DICE QUELLO CHE NEL SUO INTERESSE DEL MOMENTO.
Dal Fatto Quotidiano apprendiamo :
18 ottobre 2016 | di Gisella Ruccia
Mosul, ministro Pinotti: “Soldati italiani non parteciperanno direttamente all’offensiva”
“Non ci sono truppe italiane a Mosul”. Lo afferma, durante Otto e Mezzo (La7), il ministro della Difesa Roberta Pinotti a proposito dell’operazione militare italiana in Iraq. E spiega: “La diga di Mosul non è vicinissima alla città, ci sono circa 20-30 chilometri. Sapevamo di andare in quella situazione irachena con tensioni e rischi e abbiamo predisposto dispositivi di sicurezza in grado di tenere tranquilli i nostri militari e la ditta che sta lavorando alla diga”. E aggiunge: “Ovviamente è una coalizione internazionale per cui siamo sempre informati. Lo sapevamo da mesi, è un anno che si sta preparando, ma nessun militare italiano è coinvolto direttamente nella ripresa della città, che sarà fatta dall’esercito iracheno“. Pienamente d’accordo con l’operazione è la leader diFratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite in collegamento, che aggiunge: “La presenza italiana a Mosul è assolutamente doverosa e spero che questa offensiva contro l’Isis, di cui tanto si parla, sia, una volta tanto, reale. Non possiamo più prenderci in giro. Se gli USA e la Nato avessero deciso davvero di fare la guerra all’Isis, quest’ultima sarebbe stata già cancellata. Ma agli USA conveniva tenere in piedi l’Isis in chiave anti-sciita, in pratica. Ora è giusto che l’Italia faccia la sua parte in questa guerra all’Isis”. “L’Italia è la seconda nazione dopo gli USA nella coalizione anti-Isis” – precisa Pinotti – “ed è in questo l’impegno militare più importante che l’Italia ha all’estero con 1400 militari. Dopo la guerra in Iraq è nato il terrorismo e gran parte dell’intellighenzia delle forze armate di Saddam Hussein è confluita nel gruppo degli strateghi militari dell’Isis”
VIDEO:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/10/ ... e=category
Purtroppo, la realtà dobbiamo apprenderla dal Giornale di Berlusconi, notoriamente schierato a destra:
A rischio la diga "italiana" i nostri bersaglieri nel mirino
Sono 450 i soldati che proteggono l'argine a Mosul. Ma negli ultimi 15 giorni hanno subito tre attacchi
Fausto Biloslavo - Mar, 18/10/2016 - 08:20
commenta
Tre attacchi con lanci di razzi nelle ultime due settimane contro l'area della diga di Mosul presidiata da 450 soldati italiani. I nostri soldati della task force Presidium sono ad una ventina di chilometri dal fronte delle bandiere nere attorno alla «capitale» irachena del Califfo.
•
Adesso la roccaforte del Califfo ha i giorni contati
•
Elicotteri italiani sul fronte del Califfo
•
Con i soldati italiani che affrontano l'Isis
•
Esercito iracheno e curdi uniti contro il Califfato
•
gallery
Battaglia finale per liberare Mosul
I primi razzi sono stati lanciati all'inizio di ottobre. «Il più vicino è esploso a 300 metri» ha rivelato una fonte militare del Giornale. Il secondo attacco con 2 o 3 razzi è scattato sabato scorso, ma ha colpito la zona residenziale vicino alla diga. Un altro ordigno è stato lanciato negli ultimi giorni, ma a tre chilometri dalle nostre postazioni.
Da ieri tutto il fronte si sta scaldando dopo l'inizio dell'attacco per liberare Mosul, che durerà settimane o mesi. I bersaglieri italiani devono solo presidiare la diga, ma sono le truppe «crociate» più vicine alla «capitale» dello Stato islamico. Un bersaglio allettante dal punto di vista simbolico e fisso, senza possibilità di manovra, dovendo proteggere il personale della ditta Trevi, che si è garantita l'appalto per rimettere in sesto la decrepita struttura. La conferma viene da Roma. Il mandato dei soldati italiani «è molto chiaro: assicurare un dispositivo di difesa statica in prossimità della diga».
Il dispiegamento di circa 500 uomini è completato. Il grosso è composto dai bersaglieri del 6° reggimento della brigata Aosta di stanza a Trapani. La task force può contare anche sui mortai da 120 millimetri utilizzati contro i talebani in Afghanistan. Un particolare sistema radar segnala il lancio ostile in arrivo e suona l'allarme, anche se i tempi di impatto sono molto stretti. Sabato la Forza di reazione rapida ha garantito la protezione dei circa 70 operai e tecnici italiani presenti corsi nei rifugi. I razzi di 122 millimetri, Bm 21, l'evoluzione dei famigerati «organi di Stalin» della seconda guerra mondiale, hanno colpito la zona residenziale di al Muhandisin, lontana dagli italiani. In questo caso non sono state individuate le rampe di lancio per bombardarle con i caccia. Al contrario del primo attacco, che comunque non ha provocato danni o feriti, anche se è arrivato più vicino. La Task force italiana schiera pure il cosiddetto Faq, operatori speciali, in grado di richiedere l'appoggio aereo. Dopo il primo lancio di razzi i caccia bombardieri Usa fatti intervenire dai nostri soldati hanno distrutto le rampe di lancio ad una quindicina di chilometri.
«Colpire gli infedeli e soprattutto i militari della Coalizione è un obiettivo prioritario per lo Stato Islamico (anche in termini propagandistici) - ha scritto Analisi Difesa, giornale specializzato on line - L'unico bersaglio fisso, di grandi proporzioni e a due passi dalla prima linea offerto ai jihadisti è costituito proprio dalla base italiana alla diga di Mosul».
Nei piani della grande offensiva per liberare la città irachena è previsto l'accerchiamento e l'interruzione delle vie di comunicazione e rifornimento da ovest verso la Siria e la vicina roccaforte delle bandiere nere di Tal Afar. Un'arteria strategica che passa a poche decine di chilometri dalla diga. Non a caso i nostri droni che decollano dal Kuwait hanno battuto a lungo la zona di Tal Afar individuando obiettivi da far colpire agli aerei alleati. I 4 caccia italiani impiegati sul teatro iracheno possono solo scattare fotografie e non bombardare.
L'attacco finale a Mosul è iniziato da Bashiqa con l'avanzata dei curdi da nord est per conquistare alcuni villaggi a pochi chilometri dalla città. Gli stessi miliziani addestrati dai turchi e dai soldati italiani della missione Prima Parthica di base a Erbil. A turno con i tedeschi abbiamo il comando di tutto il programma di addestramento europeo nel nord dell'Iraq visto come fumo negli occhi dalle bandiere nere. Nell'aeroporto militare di Erbil sono schierati pure gli elicotteri da trasporto NH 90 e quelli d'attacco Mangusta. I fanti elitrasportati del 66° reggimento Trieste, unità veterana dell'Afghanistan, hanno il compito di recuperare, anche sotto il fuoco se necessario, i militari alleati rimasti tagliati fuori sulla prima linea dell'attacco a Mosul.
Dal Fatto Quotidiano apprendiamo :
18 ottobre 2016 | di Gisella Ruccia
Mosul, ministro Pinotti: “Soldati italiani non parteciperanno direttamente all’offensiva”
“Non ci sono truppe italiane a Mosul”. Lo afferma, durante Otto e Mezzo (La7), il ministro della Difesa Roberta Pinotti a proposito dell’operazione militare italiana in Iraq. E spiega: “La diga di Mosul non è vicinissima alla città, ci sono circa 20-30 chilometri. Sapevamo di andare in quella situazione irachena con tensioni e rischi e abbiamo predisposto dispositivi di sicurezza in grado di tenere tranquilli i nostri militari e la ditta che sta lavorando alla diga”. E aggiunge: “Ovviamente è una coalizione internazionale per cui siamo sempre informati. Lo sapevamo da mesi, è un anno che si sta preparando, ma nessun militare italiano è coinvolto direttamente nella ripresa della città, che sarà fatta dall’esercito iracheno“. Pienamente d’accordo con l’operazione è la leader diFratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite in collegamento, che aggiunge: “La presenza italiana a Mosul è assolutamente doverosa e spero che questa offensiva contro l’Isis, di cui tanto si parla, sia, una volta tanto, reale. Non possiamo più prenderci in giro. Se gli USA e la Nato avessero deciso davvero di fare la guerra all’Isis, quest’ultima sarebbe stata già cancellata. Ma agli USA conveniva tenere in piedi l’Isis in chiave anti-sciita, in pratica. Ora è giusto che l’Italia faccia la sua parte in questa guerra all’Isis”. “L’Italia è la seconda nazione dopo gli USA nella coalizione anti-Isis” – precisa Pinotti – “ed è in questo l’impegno militare più importante che l’Italia ha all’estero con 1400 militari. Dopo la guerra in Iraq è nato il terrorismo e gran parte dell’intellighenzia delle forze armate di Saddam Hussein è confluita nel gruppo degli strateghi militari dell’Isis”
VIDEO:
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/10/ ... e=category
Purtroppo, la realtà dobbiamo apprenderla dal Giornale di Berlusconi, notoriamente schierato a destra:
A rischio la diga "italiana" i nostri bersaglieri nel mirino
Sono 450 i soldati che proteggono l'argine a Mosul. Ma negli ultimi 15 giorni hanno subito tre attacchi
Fausto Biloslavo - Mar, 18/10/2016 - 08:20
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Tre attacchi con lanci di razzi nelle ultime due settimane contro l'area della diga di Mosul presidiata da 450 soldati italiani. I nostri soldati della task force Presidium sono ad una ventina di chilometri dal fronte delle bandiere nere attorno alla «capitale» irachena del Califfo.
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Adesso la roccaforte del Califfo ha i giorni contati
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Elicotteri italiani sul fronte del Califfo
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Con i soldati italiani che affrontano l'Isis
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Esercito iracheno e curdi uniti contro il Califfato
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Battaglia finale per liberare Mosul
I primi razzi sono stati lanciati all'inizio di ottobre. «Il più vicino è esploso a 300 metri» ha rivelato una fonte militare del Giornale. Il secondo attacco con 2 o 3 razzi è scattato sabato scorso, ma ha colpito la zona residenziale vicino alla diga. Un altro ordigno è stato lanciato negli ultimi giorni, ma a tre chilometri dalle nostre postazioni.
Da ieri tutto il fronte si sta scaldando dopo l'inizio dell'attacco per liberare Mosul, che durerà settimane o mesi. I bersaglieri italiani devono solo presidiare la diga, ma sono le truppe «crociate» più vicine alla «capitale» dello Stato islamico. Un bersaglio allettante dal punto di vista simbolico e fisso, senza possibilità di manovra, dovendo proteggere il personale della ditta Trevi, che si è garantita l'appalto per rimettere in sesto la decrepita struttura. La conferma viene da Roma. Il mandato dei soldati italiani «è molto chiaro: assicurare un dispositivo di difesa statica in prossimità della diga».
Il dispiegamento di circa 500 uomini è completato. Il grosso è composto dai bersaglieri del 6° reggimento della brigata Aosta di stanza a Trapani. La task force può contare anche sui mortai da 120 millimetri utilizzati contro i talebani in Afghanistan. Un particolare sistema radar segnala il lancio ostile in arrivo e suona l'allarme, anche se i tempi di impatto sono molto stretti. Sabato la Forza di reazione rapida ha garantito la protezione dei circa 70 operai e tecnici italiani presenti corsi nei rifugi. I razzi di 122 millimetri, Bm 21, l'evoluzione dei famigerati «organi di Stalin» della seconda guerra mondiale, hanno colpito la zona residenziale di al Muhandisin, lontana dagli italiani. In questo caso non sono state individuate le rampe di lancio per bombardarle con i caccia. Al contrario del primo attacco, che comunque non ha provocato danni o feriti, anche se è arrivato più vicino. La Task force italiana schiera pure il cosiddetto Faq, operatori speciali, in grado di richiedere l'appoggio aereo. Dopo il primo lancio di razzi i caccia bombardieri Usa fatti intervenire dai nostri soldati hanno distrutto le rampe di lancio ad una quindicina di chilometri.
«Colpire gli infedeli e soprattutto i militari della Coalizione è un obiettivo prioritario per lo Stato Islamico (anche in termini propagandistici) - ha scritto Analisi Difesa, giornale specializzato on line - L'unico bersaglio fisso, di grandi proporzioni e a due passi dalla prima linea offerto ai jihadisti è costituito proprio dalla base italiana alla diga di Mosul».
Nei piani della grande offensiva per liberare la città irachena è previsto l'accerchiamento e l'interruzione delle vie di comunicazione e rifornimento da ovest verso la Siria e la vicina roccaforte delle bandiere nere di Tal Afar. Un'arteria strategica che passa a poche decine di chilometri dalla diga. Non a caso i nostri droni che decollano dal Kuwait hanno battuto a lungo la zona di Tal Afar individuando obiettivi da far colpire agli aerei alleati. I 4 caccia italiani impiegati sul teatro iracheno possono solo scattare fotografie e non bombardare.
L'attacco finale a Mosul è iniziato da Bashiqa con l'avanzata dei curdi da nord est per conquistare alcuni villaggi a pochi chilometri dalla città. Gli stessi miliziani addestrati dai turchi e dai soldati italiani della missione Prima Parthica di base a Erbil. A turno con i tedeschi abbiamo il comando di tutto il programma di addestramento europeo nel nord dell'Iraq visto come fumo negli occhi dalle bandiere nere. Nell'aeroporto militare di Erbil sono schierati pure gli elicotteri da trasporto NH 90 e quelli d'attacco Mangusta. I fanti elitrasportati del 66° reggimento Trieste, unità veterana dell'Afghanistan, hanno il compito di recuperare, anche sotto il fuoco se necessario, i militari alleati rimasti tagliati fuori sulla prima linea dell'attacco a Mosul.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
PINOTTI, ALLIEVO PINOCCHIO. ANCHE LEI HA FINITO LA CARRIERA POLITICA. NON E' PIU' CREDIBILE.
Mosul, l’Italia in prima linea: elicotteri da attacco e incursori per i blitz. A 20 km dal fronte i bersaglieri presidiano la diga
Mondo
I nostri connazionali impegnati in operazioni di combat search and rescue. Vale a dire blitz in teatro di guerra per evacuazioni di combattenti alleati o curdi feriti. Agli uomini dell'aeronautica si affiancano gli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. A correre i rischi maggiori sono però gli uomini a presidio della diga della città: armati di equipaggiamento leggero, non sono direttamente coinvolti al fronte, ma sono un bersaglio potenzialmente fragile dei razzi dello stato islamico
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
COMMENTI
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq – 700mila euro al giorno il costo della missione – si trovano impegnati in prima linea. La loro principale missione sarà quella di combat search and rescue, ovvero compiere blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” (come si dice in gergo militare) e comporterà quindi elevati rischi per il personale coinvolto. Non a caso gli elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti e a scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento. La base operativa del Task Group Personnel Recovery, composta in tutto da 130 uomini, è l’aeroporto di Erbil, un’ottantina di chilometri a est di Mosul.
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Secondo fonti irachene riprese dalla stampa nei giorni scorsi, anche i 300 (presto 500) bersaglieri del 6° reggimento della brigata meccanizzata “Aosta” che presidiano la diga di Mosul “potrebbero intervenire per aiutare l’esercito iracheno in caso di necessità”, ma la loro capacità di combattimento sarebbe molto limitata, poiché il governo italiano ha inviato un contingente “leggero”, senza mezzi corazzati e né artiglieria pesante. Una scelta fatta proprio per evitare che la Coalizione a guida statunitense possa chiedere agli italiani un maggiore coinvolgimento. Non avendo grossi assetti da combattimento, non possono chiederceli.
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Questo però espone i bersaglieri a maggiori rischi poiché, trovandosi a solo venti chilometri dalle postazioni dell’Isis, sono un soft target, facile obiettivo di attacchi da parte dello stato islamico, come già accaduto una decina di giorni fa quando sei razzi Grad Bm-21 da 122 millimetri sono caduti a poche centinaia di metri dal campo italiano.
Fondamentale, in questa prima fase di massicci bombardamenti aerei su Mosul, sarà poi il ruolo della componete aerea italiana schierata in Kuwait, impegnata in continue missioni di ricognizione e identificazione obiettivi con quattro cacciabombardieri Amx e due droni Predator, più un aero-cisterna che rifornisce in volo i bombardieri alleati.
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Non è da escludere, infine, il coinvolgimento di team di forze speciali italiane in operazioni clandestine, come avvenuto fino allo scorso giugno nella provincia di Al-Anbar con l’operazione “Centuria” condotta dagli uomini della Task Force 44 basata all’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah. Se la TF-44 verrà impiegata anche sul fronte di Mosul in attività outside the wire, cioè sul campo a fianco dei corpi d’élite iracheni, non verrà certo reso pubblico dal Ministero della Difesa. Al momento è nota la partecipazione all’offensiva di forze speciali americane, inglesi, francesi, australiane e, secondo fonti non confermate, anche tedesche.
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
Mosul, l’Italia in prima linea: elicotteri da attacco e incursori per i blitz. A 20 km dal fronte i bersaglieri presidiano la diga
Mondo
I nostri connazionali impegnati in operazioni di combat search and rescue. Vale a dire blitz in teatro di guerra per evacuazioni di combattenti alleati o curdi feriti. Agli uomini dell'aeronautica si affiancano gli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. A correre i rischi maggiori sono però gli uomini a presidio della diga della città: armati di equipaggiamento leggero, non sono direttamente coinvolti al fronte, ma sono un bersaglio potenzialmente fragile dei razzi dello stato islamico
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
COMMENTI
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq – 700mila euro al giorno il costo della missione – si trovano impegnati in prima linea. La loro principale missione sarà quella di combat search and rescue, ovvero compiere blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” (come si dice in gergo militare) e comporterà quindi elevati rischi per il personale coinvolto. Non a caso gli elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti e a scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento. La base operativa del Task Group Personnel Recovery, composta in tutto da 130 uomini, è l’aeroporto di Erbil, un’ottantina di chilometri a est di Mosul.
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Secondo fonti irachene riprese dalla stampa nei giorni scorsi, anche i 300 (presto 500) bersaglieri del 6° reggimento della brigata meccanizzata “Aosta” che presidiano la diga di Mosul “potrebbero intervenire per aiutare l’esercito iracheno in caso di necessità”, ma la loro capacità di combattimento sarebbe molto limitata, poiché il governo italiano ha inviato un contingente “leggero”, senza mezzi corazzati e né artiglieria pesante. Una scelta fatta proprio per evitare che la Coalizione a guida statunitense possa chiedere agli italiani un maggiore coinvolgimento. Non avendo grossi assetti da combattimento, non possono chiederceli.
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Questo però espone i bersaglieri a maggiori rischi poiché, trovandosi a solo venti chilometri dalle postazioni dell’Isis, sono un soft target, facile obiettivo di attacchi da parte dello stato islamico, come già accaduto una decina di giorni fa quando sei razzi Grad Bm-21 da 122 millimetri sono caduti a poche centinaia di metri dal campo italiano.
Fondamentale, in questa prima fase di massicci bombardamenti aerei su Mosul, sarà poi il ruolo della componete aerea italiana schierata in Kuwait, impegnata in continue missioni di ricognizione e identificazione obiettivi con quattro cacciabombardieri Amx e due droni Predator, più un aero-cisterna che rifornisce in volo i bombardieri alleati.
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Non è da escludere, infine, il coinvolgimento di team di forze speciali italiane in operazioni clandestine, come avvenuto fino allo scorso giugno nella provincia di Al-Anbar con l’operazione “Centuria” condotta dagli uomini della Task Force 44 basata all’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah. Se la TF-44 verrà impiegata anche sul fronte di Mosul in attività outside the wire, cioè sul campo a fianco dei corpi d’élite iracheni, non verrà certo reso pubblico dal Ministero della Difesa. Al momento è nota la partecipazione all’offensiva di forze speciali americane, inglesi, francesi, australiane e, secondo fonti non confermate, anche tedesche.
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
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Re: La Terza Guerra Mondiale
PINOTTI, ALLIEVO PINOCCHIO. ANCHE LEI HA FINITO LA CARRIERA POLITICA. NON E' PIU' CREDIBILE.
Mosul, l’Italia in prima linea: elicotteri da attacco e incursori per i blitz. A 20 km dal fronte i bersaglieri presidiano la diga
Mondo
I nostri connazionali impegnati in operazioni di combat search and rescue. Vale a dire blitz in teatro di guerra per evacuazioni di combattenti alleati o curdi feriti. Agli uomini dell'aeronautica si affiancano gli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. A correre i rischi maggiori sono però gli uomini a presidio della diga della città: armati di equipaggiamento leggero, non sono direttamente coinvolti al fronte, ma sono un bersaglio potenzialmente fragile dei razzi dello stato islamico
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
COMMENTI
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq – 700mila euro al giorno il costo della missione – si trovano impegnati in prima linea. La loro principale missione sarà quella di combat search and rescue, ovvero compiere blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” (come si dice in gergo militare) e comporterà quindi elevati rischi per il personale coinvolto. Non a caso gli elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti e a scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento. La base operativa del Task Group Personnel Recovery, composta in tutto da 130 uomini, è l’aeroporto di Erbil, un’ottantina di chilometri a est di Mosul.
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Secondo fonti irachene riprese dalla stampa nei giorni scorsi, anche i 300 (presto 500) bersaglieri del 6° reggimento della brigata meccanizzata “Aosta” che presidiano la diga di Mosul “potrebbero intervenire per aiutare l’esercito iracheno in caso di necessità”, ma la loro capacità di combattimento sarebbe molto limitata, poiché il governo italiano ha inviato un contingente “leggero”, senza mezzi corazzati e né artiglieria pesante. Una scelta fatta proprio per evitare che la Coalizione a guida statunitense possa chiedere agli italiani un maggiore coinvolgimento. Non avendo grossi assetti da combattimento, non possono chiederceli.
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Questo però espone i bersaglieri a maggiori rischi poiché, trovandosi a solo venti chilometri dalle postazioni dell’Isis, sono un soft target, facile obiettivo di attacchi da parte dello stato islamico, come già accaduto una decina di giorni fa quando sei razzi Grad Bm-21 da 122 millimetri sono caduti a poche centinaia di metri dal campo italiano.
Fondamentale, in questa prima fase di massicci bombardamenti aerei su Mosul, sarà poi il ruolo della componete aerea italiana schierata in Kuwait, impegnata in continue missioni di ricognizione e identificazione obiettivi con quattro cacciabombardieri Amx e due droni Predator, più un aero-cisterna che rifornisce in volo i bombardieri alleati.
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Non è da escludere, infine, il coinvolgimento di team di forze speciali italiane in operazioni clandestine, come avvenuto fino allo scorso giugno nella provincia di Al-Anbar con l’operazione “Centuria” condotta dagli uomini della Task Force 44 basata all’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah. Se la TF-44 verrà impiegata anche sul fronte di Mosul in attività outside the wire, cioè sul campo a fianco dei corpi d’élite iracheni, non verrà certo reso pubblico dal Ministero della Difesa. Al momento è nota la partecipazione all’offensiva di forze speciali americane, inglesi, francesi, australiane e, secondo fonti non confermate, anche tedesche.
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
Mosul, l’Italia in prima linea: elicotteri da attacco e incursori per i blitz. A 20 km dal fronte i bersaglieri presidiano la diga
Mondo
I nostri connazionali impegnati in operazioni di combat search and rescue. Vale a dire blitz in teatro di guerra per evacuazioni di combattenti alleati o curdi feriti. Agli uomini dell'aeronautica si affiancano gli elicotteri da combattimento A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti. A correre i rischi maggiori sono però gli uomini a presidio della diga della città: armati di equipaggiamento leggero, non sono direttamente coinvolti al fronte, ma sono un bersaglio potenzialmente fragile dei razzi dello stato islamico
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
COMMENTI
La battaglia per Mosul è cominciata e i militari italiani schierati in Iraq – 700mila euro al giorno il costo della missione – si trovano impegnati in prima linea. La loro principale missione sarà quella di combat search and rescue, ovvero compiere blitz in zone di combattimento per evacuare i combattenti curdi o alleati feriti. Una missione di guerra a tutti gli effetti, che verrà condotta in ambienti “non permissivi” (come si dice in gergo militare) e comporterà quindi elevati rischi per il personale coinvolto. Non a caso gli elicotteri militari da trasporto Nh-90 dell’Esercito saranno scortati da elicotteri da attacco A-129 Mangusta armati di missili e cannoncini rotanti e a scendere a terra saranno gli incursori del 17° stormo dell’Aeronautica, cioè forze speciali da combattimento. La base operativa del Task Group Personnel Recovery, composta in tutto da 130 uomini, è l’aeroporto di Erbil, un’ottantina di chilometri a est di Mosul.
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Secondo fonti irachene riprese dalla stampa nei giorni scorsi, anche i 300 (presto 500) bersaglieri del 6° reggimento della brigata meccanizzata “Aosta” che presidiano la diga di Mosul “potrebbero intervenire per aiutare l’esercito iracheno in caso di necessità”, ma la loro capacità di combattimento sarebbe molto limitata, poiché il governo italiano ha inviato un contingente “leggero”, senza mezzi corazzati e né artiglieria pesante. Una scelta fatta proprio per evitare che la Coalizione a guida statunitense possa chiedere agli italiani un maggiore coinvolgimento. Non avendo grossi assetti da combattimento, non possono chiederceli.
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Questo però espone i bersaglieri a maggiori rischi poiché, trovandosi a solo venti chilometri dalle postazioni dell’Isis, sono un soft target, facile obiettivo di attacchi da parte dello stato islamico, come già accaduto una decina di giorni fa quando sei razzi Grad Bm-21 da 122 millimetri sono caduti a poche centinaia di metri dal campo italiano.
Fondamentale, in questa prima fase di massicci bombardamenti aerei su Mosul, sarà poi il ruolo della componete aerea italiana schierata in Kuwait, impegnata in continue missioni di ricognizione e identificazione obiettivi con quattro cacciabombardieri Amx e due droni Predator, più un aero-cisterna che rifornisce in volo i bombardieri alleati.
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Non è da escludere, infine, il coinvolgimento di team di forze speciali italiane in operazioni clandestine, come avvenuto fino allo scorso giugno nella provincia di Al-Anbar con l’operazione “Centuria” condotta dagli uomini della Task Force 44 basata all’aeroporto militare di Taqaddum, tra Ramadi e Fallujah. Se la TF-44 verrà impiegata anche sul fronte di Mosul in attività outside the wire, cioè sul campo a fianco dei corpi d’élite iracheni, non verrà certo reso pubblico dal Ministero della Difesa. Al momento è nota la partecipazione all’offensiva di forze speciali americane, inglesi, francesi, australiane e, secondo fonti non confermate, anche tedesche.
di Enrico Piovesana | 17 ottobre 2016
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Re: La Terza Guerra Mondiale
… the wonderfull word …
“ l’austerità è un freno alla crescita in Europa …” (B. Obama); “… 140 militari italiani in Lettonia “ (Sen.Pinotti);
“ Putin richiama i Russi in patria “ (dai tg); “ Hacker russi assaltano siti governativi americani “ (dai tg).
Dopo più di settanta anni VENTI DI GUERRA totale soffiano sul pianeta (ndr).
Scrivevo qualche tempo fa che la pandemica crisi finanziaria a distruggere i popoli dell’occidente aveva due
sole uscite: a) il rinsavimento delle minoranze plutocratiche a detenere le maggiori ricchezze del pianeta
causando, così, una globale ridistribuzione delle stesse in modo altrettanto pandemico o b) una nuova guerra
mondiale che andasse a diminuire l’inflazione di esseri viventi, distruggesse quanto più fosse stato possibile
e desse, poi, ai sopravvissuti, la possibilità di ricostruire quanto distrutto.
I soliti ben informati ciechi ad ogni realtà che non fosse quella strettamente soggettiva, commentarono che
ero troppo pessimista e che l’ultima mondiale, era stata un tal bagno di sangue che nessuno mai più sarebbe
stato così folle da ricaderci: una guerra?!, impossibile!.
Che io non sia particolarmente fiducioso nella razza umana nel suo complesso, non è un mistero per nessuno
e, dunque, mi tacqui auto convincendomi che “… sì, forse sto esagerando “.
Nello stesso tempo, però e poi, di giorno in giorno, di settimana in settimana e di anno in anno, mi rendevo
conto che nessuno dei cosiddetti padroni della finanza mondiale provvedeva a scuotere il sistema in senso
diffusivo delle risorse ed anzi, più si proseguiva nei mesi e più le ripercussioni della crisi si aggravavano a
macchia di leopardo. Alle nazioni in cui vi erano esplosioni, alcune veramente fittizie, di economie ad emergere
rispondevano altre con una discesa senza freni verso il baratro più profondo. Nel frattempo focolai di guerre
circoscritte nascevano come funghi un po’ qui ed un po’ là.
Differenti le cause dichiarate; differenti le popolazioni a scontrarsi; differenti gli agnelli ad esservi sacrificati;
ma, nel sottobosco delle decisioni ultime, sempre e comunque gli stessi protagonisti: qualche volta a fungere
da vittime, altre a fungere da carnefici; tanto che situazioni storiche come ad esempio la diatriba sanguinosa
tra israeliani e palestinesi, unico vero e vicendevole martirio, passava addirittura in ultima posizione come
importanza; assurgevano agli onori della cronaca i dittatori ex amici; i terroristi ex dipendenti; i credo religiosi
ad essere fuori da una realtà moderna; l’esportazione delle democrazie; le imposizioni della pace; i cani da
guardia degli interessi particolari.
Siamo in troppi a questo mondo!. Siamo in troppi e troppo concentrati in alcune zone che sono solo statisticamente
ricche e moderne essendo esse stesse, in realtà, lande dove sono in costante aumento povertà e disservizi.
Per questo, visto che ancora non si è riusciti a decimare le popolazioni con delle malattie a colpire solo alcuni
e non tutti, allora bisogna che si lavori sino al punto della fatidica goccia che farà traboccare il vaso in una
tracimazione senza più controlli che, però, a guisa ed imitazione della natura, vedrà ad un certo punto una stasi;
che sia, quest’ultima, figlia di un vincitore su di un perdente o di un punto di resa condivisa a raggiunte condizioni
di sfacelo generale, questo non è possibile dirlo, ma che siano, già da qualche tempo, visibili tutti i prodromi
attraverso i quali poter individuare quello come traguardo finale, credo, ci sia poco da discuterne.
I governi tendono a diventare padroni assoluti nell’essere al tempo stesso schiavi della finanza mondiale.
I popoli si dividono tra seguaci e detrattori perdendo, giorno dopo giorno e come complesso unitario, quella forza
che invece di essere sottomessa e prona consentirebbe loro di fermare una deriva mortale ed una rotta alla
distruzione per quanto la stessa fosse lenta e segmentata anziché rapida e nucleare.
Di tempo non ne rimane molto, perché, circondati dalle fiamme, anche gli scorpioni il pungiglione velenoso alla fine …
lo rivolgono sempre contro sé stessi!.
(Francesco Briganti)
“Di tempo non ne rimane molto, perché, circondati dalle fiamme,
anche gli scorpioni il pungiglione velenoso alla fine...
lo rivolgono sempre contro sé stessi!.”
Spesso si dice: le cose vanno male, un tempo era diverso, il mondo è cambiato.
Penso invece che le cose vanno male proprio perché il “mondo” (l'animo umano) NON È CAMBIATO!
I vizi sono sempre gli stessi: l'egoismo e la volontà di sopraffazione, sono istinti umani da sempre
presenti nella storia.
Il mito biblico ci descrive fin dall'inizio della storia, i tradimenti, i fratricidi, le guerre, ecc. Ora di cambiato
ci sono gli strumenti di offesa, sempre più sofisticati, sempre più micidiali, capaci di affamare, ricattare
ed annientare continenti interi. La conoscenza, patrimonio universale di tutti, dovrebbe quindi essere a
beneficio di tutti, sembrerebbe invece che sia asservita SOLO ad una perversa logica di dominio.
Volendo definire questo nostro tempo con una sola definizione, il termine più appropriato non può che
essere uno: DISSENNATEZZA.
Una dissennatezza globale che risponde a direttive assurde, che hanno una logica miope e spietata,
impartite da “signori” ubriacati dal profitto ed assetati di potere. Ma... c'è un ma: “il pungiglione” non
risparmierà neanche loro. ...e se si arrivasse a capire ciò... penso che tutto sarebbe molto diverso.
Un saluto
“ l’austerità è un freno alla crescita in Europa …” (B. Obama); “… 140 militari italiani in Lettonia “ (Sen.Pinotti);
“ Putin richiama i Russi in patria “ (dai tg); “ Hacker russi assaltano siti governativi americani “ (dai tg).
Dopo più di settanta anni VENTI DI GUERRA totale soffiano sul pianeta (ndr).
Scrivevo qualche tempo fa che la pandemica crisi finanziaria a distruggere i popoli dell’occidente aveva due
sole uscite: a) il rinsavimento delle minoranze plutocratiche a detenere le maggiori ricchezze del pianeta
causando, così, una globale ridistribuzione delle stesse in modo altrettanto pandemico o b) una nuova guerra
mondiale che andasse a diminuire l’inflazione di esseri viventi, distruggesse quanto più fosse stato possibile
e desse, poi, ai sopravvissuti, la possibilità di ricostruire quanto distrutto.
I soliti ben informati ciechi ad ogni realtà che non fosse quella strettamente soggettiva, commentarono che
ero troppo pessimista e che l’ultima mondiale, era stata un tal bagno di sangue che nessuno mai più sarebbe
stato così folle da ricaderci: una guerra?!, impossibile!.
Che io non sia particolarmente fiducioso nella razza umana nel suo complesso, non è un mistero per nessuno
e, dunque, mi tacqui auto convincendomi che “… sì, forse sto esagerando “.
Nello stesso tempo, però e poi, di giorno in giorno, di settimana in settimana e di anno in anno, mi rendevo
conto che nessuno dei cosiddetti padroni della finanza mondiale provvedeva a scuotere il sistema in senso
diffusivo delle risorse ed anzi, più si proseguiva nei mesi e più le ripercussioni della crisi si aggravavano a
macchia di leopardo. Alle nazioni in cui vi erano esplosioni, alcune veramente fittizie, di economie ad emergere
rispondevano altre con una discesa senza freni verso il baratro più profondo. Nel frattempo focolai di guerre
circoscritte nascevano come funghi un po’ qui ed un po’ là.
Differenti le cause dichiarate; differenti le popolazioni a scontrarsi; differenti gli agnelli ad esservi sacrificati;
ma, nel sottobosco delle decisioni ultime, sempre e comunque gli stessi protagonisti: qualche volta a fungere
da vittime, altre a fungere da carnefici; tanto che situazioni storiche come ad esempio la diatriba sanguinosa
tra israeliani e palestinesi, unico vero e vicendevole martirio, passava addirittura in ultima posizione come
importanza; assurgevano agli onori della cronaca i dittatori ex amici; i terroristi ex dipendenti; i credo religiosi
ad essere fuori da una realtà moderna; l’esportazione delle democrazie; le imposizioni della pace; i cani da
guardia degli interessi particolari.
Siamo in troppi a questo mondo!. Siamo in troppi e troppo concentrati in alcune zone che sono solo statisticamente
ricche e moderne essendo esse stesse, in realtà, lande dove sono in costante aumento povertà e disservizi.
Per questo, visto che ancora non si è riusciti a decimare le popolazioni con delle malattie a colpire solo alcuni
e non tutti, allora bisogna che si lavori sino al punto della fatidica goccia che farà traboccare il vaso in una
tracimazione senza più controlli che, però, a guisa ed imitazione della natura, vedrà ad un certo punto una stasi;
che sia, quest’ultima, figlia di un vincitore su di un perdente o di un punto di resa condivisa a raggiunte condizioni
di sfacelo generale, questo non è possibile dirlo, ma che siano, già da qualche tempo, visibili tutti i prodromi
attraverso i quali poter individuare quello come traguardo finale, credo, ci sia poco da discuterne.
I governi tendono a diventare padroni assoluti nell’essere al tempo stesso schiavi della finanza mondiale.
I popoli si dividono tra seguaci e detrattori perdendo, giorno dopo giorno e come complesso unitario, quella forza
che invece di essere sottomessa e prona consentirebbe loro di fermare una deriva mortale ed una rotta alla
distruzione per quanto la stessa fosse lenta e segmentata anziché rapida e nucleare.
Di tempo non ne rimane molto, perché, circondati dalle fiamme, anche gli scorpioni il pungiglione velenoso alla fine …
lo rivolgono sempre contro sé stessi!.
(Francesco Briganti)
“Di tempo non ne rimane molto, perché, circondati dalle fiamme,
anche gli scorpioni il pungiglione velenoso alla fine...
lo rivolgono sempre contro sé stessi!.”
Spesso si dice: le cose vanno male, un tempo era diverso, il mondo è cambiato.
Penso invece che le cose vanno male proprio perché il “mondo” (l'animo umano) NON È CAMBIATO!
I vizi sono sempre gli stessi: l'egoismo e la volontà di sopraffazione, sono istinti umani da sempre
presenti nella storia.
Il mito biblico ci descrive fin dall'inizio della storia, i tradimenti, i fratricidi, le guerre, ecc. Ora di cambiato
ci sono gli strumenti di offesa, sempre più sofisticati, sempre più micidiali, capaci di affamare, ricattare
ed annientare continenti interi. La conoscenza, patrimonio universale di tutti, dovrebbe quindi essere a
beneficio di tutti, sembrerebbe invece che sia asservita SOLO ad una perversa logica di dominio.
Volendo definire questo nostro tempo con una sola definizione, il termine più appropriato non può che
essere uno: DISSENNATEZZA.
Una dissennatezza globale che risponde a direttive assurde, che hanno una logica miope e spietata,
impartite da “signori” ubriacati dal profitto ed assetati di potere. Ma... c'è un ma: “il pungiglione” non
risparmierà neanche loro. ...e se si arrivasse a capire ciò... penso che tutto sarebbe molto diverso.
Un saluto
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Re: La Terza Guerra Mondiale
..............BENVENUTI ALL'INFERNO..............
LIBRE news
La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
Scritto il 19/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».La fine di ogni ciclo di crescita, inevitabilmente, cambia la struttura democratica, avverte Meijer, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. La crisi produrrà nuovi politici, perché, come sostenne Hazel Henderson, «l’economia non è altro che un travestimento della politica». Tradotto: «Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta), e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio». La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: «Gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico». Infatti: «Se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori». L’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare. «Si nutrono di malcontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo malcontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti».Il che, aggiunge Meijer, ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no. «Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità verso migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore: e i vari Trump, Wilders, Le Pen o “Alternative für Deutschland” non avrebbero trovato le loro miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili per il peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene». E siccome la sinistra «non tocca l’argomento», la destra «si prende tutto per assenza di concorrenza». Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose, in materia di redistribuzione della ricchezza, ma il potere resiste e li ostacola. Così, molta parte della leadership – Hillary Clinton, Theresa May, Sarkozy, la Merkel – sta «orchestrando sagge virate verso destra», avendo sentore che «il potere non emanerà più dal centro». Politici che, conunque, sembrano ormai «destinati a essere spazzati via dal voto popolare».Ben più difficile, innvece, sarà «sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’Ue o l’Fmi (e molte altre) nonostante rappresentino un progetto fallito». “Bloomberg” certifica l’allarme del Fmi: «La fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto britannico a favore dell’uscita dalla Ue, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, sempre all’ordine del giorno per Fmi e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’Fmi Christine Lagarde ammette essere già adesso debole e fragile». Attenzione: «La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico», sostiene Luis Kuijs dell’Oxford Economics di Hong Kong, in passato anche burocrate del Fmi. Per il World Economic Outlook, l’espansione globale è già compromessa: l’economia mondiale sta rallentando.«Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”», dice Meijer, a patto però che non venga demonizzato il termine “protezionismo”: «Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere. Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai». Sicchè, «non c’è niente di sbagliato nel voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri: parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali». Chi vorrebbe globalizzare anche quelle? I soliti noti, «i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella nostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita». In fondo, «è ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne».Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal Brexit, i leader europei «sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente». Il prossimo anno, ricorda Meijer, si voterà in Germania e Francia, le maggiori economie dell’Eurozona, nonchè in Olanda. «In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno». Insieme al crescente risentimento verso la Ue da Budapest a Madrid, gli osservatori politici giudicano l’attuale avanzata del “populismo” come la più grande minaccia al blocco-Ue dalla sua creazione, dalle ceneri della Sconda Guerra Mondiale al presente. Per i media mainstream, la categoria “populista” include moltissima gente, «da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’ungherese Orban a Nigel Farage, “Podemos” in Spagna, “Syriza” in Grecia, la Afd tedesca». Movimenti diversissimi tra loro, ma con una cosa in comune: «Protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione, dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento».Né si intravedono avvisaglie di segno positivo: «Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse», scrive l’ex capo-economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Questi esperti, scrive Meijer, dimostrano di aver sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto. «Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta», ha detto David Stockton, ex burocrate della Fed. «Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta», sottolinea Meijer. «In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e magari oltre; che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio».Il consenso alla globalizzazione si basava sulla promessa di maggior crescita economica, ammette Ding Shuang, capo-economista cinese, al Fmi dal 1997 al 2010: «Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti-globalizzazione». Per Meijer, la globalizzazione è già finita. «Non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle élites e bassi salari per chiunque altro. L’Ue e l’Fmi non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in Usa, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. Il resto è solo aria fritta». E il peggio è che «non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno: anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro». Anche perché «la crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito», e noi «stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società».
LIBRE news
La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
Scritto il 19/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
Signori, si scende: la globalizzazione è finita. Usa e Cina, Nato, Fmi, Ue, Banca Mondiale? Sono in avaria e lo sanno benissimo, anche se ancora non lo ammettono. Il sistema ha le ore contate, perché l’epoca della crescita è tramontata per sempre. Sta montando la marea del malcontento, ovunque, perché a pagare il conto della globalizzazione forzata sono miliardi di persone: così, se vorrà tenersi il potere, questa élite fallimentare dovrà ricorrere sistematicamente alla polizia e all’esercito, archiviando anche la democrazia. Lo sostiene Raúl Ilargi Meijer, analista indipendente, autore di “The Automatic Earth”. «La fine della crescita espone nella sua nudità la stupidità e ignoranza di tutti». Sotto accusa i leader, assolutamente inadeguati. In periodo di crescita, i politici «non devono fare altro che “sedurre” i votanti», vendendo loro la “certezza” di una crescita infinita. In tempi di contrazione, invece, hanno davanti difficoltà ben più sostanziali: «Gli tocca convincere i votanti di essere in grado di minimizzare “le sofferenze delle masse”. Una massa priva di garanzie, alla quale chiaramente nessuno vuol ritrovarsi a fare parte. E lì è proprio difficile “vendersi”».La fine di ogni ciclo di crescita, inevitabilmente, cambia la struttura democratica, avverte Meijer, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. La crisi produrrà nuovi politici, perché, come sostenne Hazel Henderson, «l’economia non è altro che un travestimento della politica». Tradotto: «Da un lato ti trovi la classe al potere che tenta di tenersi stretta al suo potere in declino, producendo falsi numeri positivi a vagonate e sostenendo che comunque non esiste alternativa possibile alla loro (semmai soltanto dosi maggiori della stessa ricetta), e dall’altro lato c’è una vaga affiliazione, nella misura in cui si può parlare di affiliazione, di destra e sinistra, individui e partiti, in grado di subodorare cambiamenti in corso che potranno usare a proprio beneficio». La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi: «Gli verranno addossate le colpe, e perlopiù meritatamente, per la caduta del sistema economico». Infatti: «Se sei percepito come parte della vecchia guardia, sei fuori». L’ascesa di Trump, Farage e simili è stata molto più veloce di quanto chiunque potesse pensare. «Si nutrono di malcontento, ma sono in grado di farlo soltanto perchè questo malcontento è stato del tutto ignorato dalle classi dominanti».Il che, aggiunge Meijer, ha molto ha che fare con il fatto che tali governanti si sono senza dubbio arricchiti, mentre i “piani bassi” della società sicuramente no. «Inoltre, se il più della gente potesse ancora vantare comode esistenze da classe media, l’ostilità verso migranti e rifugiati sarebbe stata ben minore: e i vari Trump, Wilders, Le Pen o “Alternative für Deutschland” non avrebbero trovato le loro miniere d’oro. La percezione che i nuovi arrivati siano a qualche titolo responsabili per il peggioramento delle condizioni di vita crea terreno fertile per chiunque voglia servirsene». E siccome la sinistra «non tocca l’argomento», la destra «si prende tutto per assenza di concorrenza». Bernie Sanders e Jeremy Corbyn possono anche avere idee coraggiose, in materia di redistribuzione della ricchezza, ma il potere resiste e li ostacola. Così, molta parte della leadership – Hillary Clinton, Theresa May, Sarkozy, la Merkel – sta «orchestrando sagge virate verso destra», avendo sentore che «il potere non emanerà più dal centro». Politici che, conunque, sembrano ormai «destinati a essere spazzati via dal voto popolare».Ben più difficile, innvece, sarà «sbarazzarsi delle organizzazioni transnazionali, come l’Ue o l’Fmi (e molte altre) nonostante rappresentino un progetto fallito». “Bloomberg” certifica l’allarme del Fmi: «La fede nella globalizzazione è ormai a disagio di fronte alle evidenti disparità che crea. Dal voto britannico a favore dell’uscita dalla Ue, a Donald Trump che avanza al grido di “l’America prima di tutto”, aumentano le pressioni per porre un freno e ridurre l’integrazione economica, sempre all’ordine del giorno per Fmi e Banca Mondiale per almeno 70 anni. Alimentata da salari stagnanti e insicurezza lavorativa in costante crescita, la sommossa populista minaccia di gettare definitivamente nella depressione una economia che la dirigente dell’Fmi Christine Lagarde ammette essere già adesso debole e fragile». Attenzione: «La rappresaglia contro la globalizzazione si manifesta in sentimenti nazionalisti accentuati, sfiducia per il mondo esterno e desiderio di maggiore isolamento protezionistico», sostiene Luis Kuijs dell’Oxford Economics di Hong Kong, in passato anche burocrate del Fmi. Per il World Economic Outlook, l’espansione globale è già compromessa: l’economia mondiale sta rallentando.«Posso capire che un voto contro i vari Hollande, Hillary, Cameron costituisca una “rappresaglia contro la globalizzazione”», dice Meijer, a patto però che non venga demonizzato il termine “protezionismo”: «Ogni singola società del pianeta dovrebbe proteggere le sue esigenze di base evitando che finiscano sotto il controllo di stranieri, sia per profitto, sia per potere. Niente di buono può mai venirne dalla cessione di questa facoltà di controllo per nessuna società, assolutamente mai». Sicchè, «non c’è niente di sbagliato nel voler proteggere la propria capacità di controllo sul proprio approvvigionamento idrico, autosussistenza alimentare, garanzia di alloggi sicuri: parliamo di cose che, al contrario, non andrebbero mai negoziate o scambiate sui mercati globali». Chi vorrebbe globalizzare anche quelle? I soliti noti, «i cui comodi ruoli dirigenziali e comodi grassi conti bancari dipendono direttamente nella nostra progressiva perdita di controllo personale sopra le stesse esigenze di base per sopravvivere nella vita». In fondo, «è ciò che accade a ogni organismo che ha raggiunto i limiti della sua crescita: inizia a “nutrirsi dell’ospite”. Che si parli di un tumore, dell’Impero Romano, o dei nostri attuali modelli economici basati sul presupposto della crescita perenne».Trump ha abbaiato contro Messico e Cina, minacciando di innalzare grosse tariffe doganali sulle importazioni da entrambi i paesi. Innervositi dal Brexit, i leader europei «sono coscienti che potrebbe essere solo l’inizio di un terremoto politico che minaccia le vecchie certezze del continente». Il prossimo anno, ricorda Meijer, si voterà in Germania e Francia, le maggiori economie dell’Eurozona, nonchè in Olanda. «In ciascuno di questi paesi le forze anti-establishment stanno guadagnando terreno». Insieme al crescente risentimento verso la Ue da Budapest a Madrid, gli osservatori politici giudicano l’attuale avanzata del “populismo” come la più grande minaccia al blocco-Ue dalla sua creazione, dalle ceneri della Sconda Guerra Mondiale al presente. Per i media mainstream, la categoria “populista” include moltissima gente, «da Trump a Beppe Grillo con tutto ciò che ci sta in mezzo, passando dall’ungherese Orban a Nigel Farage, “Podemos” in Spagna, “Syriza” in Grecia, la Afd tedesca». Movimenti diversissimi tra loro, ma con una cosa in comune: «Protestano contro uno status quo già fallito e in rapido processo di deterioramento, e ricevono massiccio supporto popolare per questa ragione, dal momento che è la gente a portare sulle spalle il peso del fallimento».Né si intravedono avvisaglie di segno positivo: «Probabilmente il più vistoso fatto macroeconomico relativo alle economie avanzate oggi è il permanere di un’anemia della domanda nonostante i bassi tassi d’interesse», scrive l’ex capo-economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Questi esperti, scrive Meijer, dimostrano di aver sentore che qualcosa non torna, ma nessuno possiede risposte. Vi era “accordo sulla globalizzazione prima della crisi”, adesso non esiste più, e questo è tutto. «Immagino l’economia mondiale come qualcosa di simile a un’auto in corsa senza conducente e bloccata su una corsia lenta», ha detto David Stockton, ex burocrate della Fed. «Questa è l’economia globale, non va da nessuna parte e nel frattempo i soldi finiscono facilmente e in fretta», sottolinea Meijer. «In Europa, l’avanzata populista fornisce un potente incentivo ad abbandonare l’austerità per i governi prima delle prossime elezioni, e magari oltre; che una mossa del genere placherà coloro che sono rimasti nel lato perdente della globalizzazione è comunque suscettibile di dubbio».Il consenso alla globalizzazione si basava sulla promessa di maggior crescita economica, ammette Ding Shuang, capo-economista cinese, al Fmi dal 1997 al 2010: «Ma i benefici non sono stati ripartiti equamente, quindi adesso assistiamo a una ondata anti-globalizzazione». Per Meijer, la globalizzazione è già finita. «Non è mai stata intesa da nessuno come distribuzione di nulla, a parte forse di ricchezza tra le mani delle élites e bassi salari per chiunque altro. L’Ue e l’Fmi non hanno ottenuto nulla di quanto avevano promesso, come allo stesso modo non l’hanno fatto i partiti tradizionali, in Usa, Regno Unito, come in Europa in generale. Hanno promesso crescita e la crescita è finita. Avranno ottenuto risultati per i loro padroni ma hanno perso nei confronti di chiunque altro. Il resto è solo aria fritta». E il peggio è che «non si può assolutamente escludere che arriveranno a servirsi dell’esercito e della polizia, che controllano, per tenersi aggrapparti a ciò che hanno: anzi, temo sia qualcosa che succederà di sicuro». Anche perché «la crescita è finita, svanita da un pezzo per farsi sostituire dal debito», e noi «stiamo trascendendo verso uno stadio completamente diverso delle nostre vite, economie, società».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Da: La festa è finita, tra un po’ useranno l’esercito contro di noi
La classe al potere, i partiti tradizionali, inizieranno progressivamente ad estinguersi:
Da noi, già fatto. La seconda Repubblica sta morendo giorno dopo giorno.
Forza Italia esiste solo sulla carta. Di fatto non esiste più. E’ un partito allo sfascio dove si scontrano gli uni contro gli altri.
Il PD è allo stesso livello. E’ allo sfascio senza nessuna possibilità di recupero.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Attacco hacker: Twitter, eBay e Cnn non raggiungibili per due ore
Numerosi e importanti siti internet, tra cui quelli di Twitter, Spotify, Cnn e Reddit sono rimasti inaccessibili per almeno due ore a causa dell’attacco hacker a un provider
Raffaello Binelli - Ven, 21/10/2016 - 16:37
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Dagli Stati Uniti arriva la notizia di un attacco hacker di vaste proporzioni che ha colpito numerosi e importanti siti internet, tra cui Twitter, Spotify, Cnn, Reddit, Pinterest, eBay e molti altri.
I siti sono rimasti inaccessibili per almeno due ore. A renderlo noto è l’hosting Dyn sul proprio sito, precisando che i blackout si sono avvertiti soprattutto sulla costa orientale Usa e non in Europa.
Il Financial Times lo definisce "un enorme cyber-attacco". Sia pure limitato a livello geografico, ha bloccato l'accesso ai siti a svariate decine di milioni di utenti, soprattutto americani. L'attacco è stato portato avanti con la tecnica Ddos ("Distributed denial of service"), mediante un numero di “chiamate” enorme che si concentrano sul medesimo serve fino a farlo "cadere".
Gli hacker sarebbero entrati in azione alle 7 ore locale (le 13 in Italia). Ancora ignoti i motivi. Dopo circa tre ore di black-out i siti sono tornati online.
Con il clima da Guerra fredda tornato a imperversare nel pianeta, è caccia ai nuovi pirati del terzo millennio: gli hacker. Possono nascondersi ovunque e portare avanti attacchi per diversi fini: politici, terroristici o interessi economici. Spesso dietro agli hacker vi sono i servizi segreti di alcuni Stati. In altri casi gli attacchi sono portati avanti sotto il "cappello" di qualche cancelleria compiacente. Poco prima di questo attacco si è parlato dell'azione, condotta (si pensa) dagli hacker cinesi, contro la portaerei Usa Ronald Reagan. L'attacco sarebbe stato sferrato per carpire alcuni segreti militari.
Alcuni mesi fa, invece, si è parlato molto dell'attacco subito dal server di posta elettronica del Dnc (Partito democratico Usa), con alcuni messaggi, pubblicati poi da Wikileaks, che hanno svelato l'ostilità del partito dell'Asinello nei confronti di Bernie Sanders, aversario di Hillary Clinton. In quel caso si era parlato, e si continua a parlare in questi giorni, della responsabilità della Russia. Che però ha sempre negato ogni addebito
Numerosi e importanti siti internet, tra cui quelli di Twitter, Spotify, Cnn e Reddit sono rimasti inaccessibili per almeno due ore a causa dell’attacco hacker a un provider
Raffaello Binelli - Ven, 21/10/2016 - 16:37
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Dagli Stati Uniti arriva la notizia di un attacco hacker di vaste proporzioni che ha colpito numerosi e importanti siti internet, tra cui Twitter, Spotify, Cnn, Reddit, Pinterest, eBay e molti altri.
I siti sono rimasti inaccessibili per almeno due ore. A renderlo noto è l’hosting Dyn sul proprio sito, precisando che i blackout si sono avvertiti soprattutto sulla costa orientale Usa e non in Europa.
Il Financial Times lo definisce "un enorme cyber-attacco". Sia pure limitato a livello geografico, ha bloccato l'accesso ai siti a svariate decine di milioni di utenti, soprattutto americani. L'attacco è stato portato avanti con la tecnica Ddos ("Distributed denial of service"), mediante un numero di “chiamate” enorme che si concentrano sul medesimo serve fino a farlo "cadere".
Gli hacker sarebbero entrati in azione alle 7 ore locale (le 13 in Italia). Ancora ignoti i motivi. Dopo circa tre ore di black-out i siti sono tornati online.
Con il clima da Guerra fredda tornato a imperversare nel pianeta, è caccia ai nuovi pirati del terzo millennio: gli hacker. Possono nascondersi ovunque e portare avanti attacchi per diversi fini: politici, terroristici o interessi economici. Spesso dietro agli hacker vi sono i servizi segreti di alcuni Stati. In altri casi gli attacchi sono portati avanti sotto il "cappello" di qualche cancelleria compiacente. Poco prima di questo attacco si è parlato dell'azione, condotta (si pensa) dagli hacker cinesi, contro la portaerei Usa Ronald Reagan. L'attacco sarebbe stato sferrato per carpire alcuni segreti militari.
Alcuni mesi fa, invece, si è parlato molto dell'attacco subito dal server di posta elettronica del Dnc (Partito democratico Usa), con alcuni messaggi, pubblicati poi da Wikileaks, che hanno svelato l'ostilità del partito dell'Asinello nei confronti di Bernie Sanders, aversario di Hillary Clinton. In quel caso si era parlato, e si continua a parlare in questi giorni, della responsabilità della Russia. Che però ha sempre negato ogni addebito
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Mosul, Isis uccide 284 civili. “Uomini e bambini, presi come scudi umani e gettati in una fossa comune”
Mondo
La strage è stata messa in atto come risposta all'avanzata della coalizione internazionale verso Mosul, la roccaforte jihadista nel nord del Paese. L'Onu nelle scorse ore ha lanciato un altro allarme: 550 famiglie sono state catturate dagli uomini del califfato nei villaggi di Samalia e Najafia
di F. Q. | 22 ottobre 2016
COMMENTI (14)
Un’esecuzione di massa. Di fronte all’avanzata della coalizione internazionale verso Mosul, l’Isis ha ucciso 284 civili, tra cui vari bambini. Lo riferisce la Cnn, citando fonti dell’intelligence irachena, secondo cui le vittime erano state catturate nella città assediata e nei suoi dintorni, per essere utilizzati come scudi umani contro gli attacchi che stanno spingendo le forze del Califfato fuori dalla zona meridionale della loro roccaforte nel nord dell’Iraq. L’Isis, secondo l’emittente americana, ha utilizzato una ruspa per scaricare i cadaveri in una fossa comune nei pressi del luogo dell’esecuzione, avvenuta all’interno dell’ex Collegio di Agricoltura di Mosul. Le vittime, alcune delle quali bambini, sono state colpite con colpi di pistola, secondo quanto riferito da una fonte anonima.
L’Onu aveva già lanciato l’allarme, dicendosi “gravemente preoccupata” per il fatto che l’Isis aveva preso in ostaggio 550 famiglie nei villaggi intorno Mosul, e li stava utilizzando come scudi umani. Le catture, avvenute lunedì scorso nei centri abitati di Samalia e Najafia, fanno parte di quella che sembra “una apparente strategia messa in atto dall’Isis di vietare la fuga dei civili”, secondo le parole di Ravina Shamdasani, vice-portavoce dell’Ufficio per i Diritti umani delle Nazioni Unite.
I nuovi atti di violenza da parte dell’Isis seguono l’escalation militare che interessa il nord dell’Iraq da vari giorni. Dopo l’avanzata della coalizione internazionale, che vede militari italiani impegnati in prima fila, verso Mosul, Daesh ha reagito venerdì con un attacco a Kirkuk, città controllata dalle forze curdo-irachene, al confine con la regione autonoma del Kurdistan, dove gli scontri armati sono ripresi in mattinata. La tv curda Rudaw riferische che alcuni jihadisti sono ancora barricati in una scuola; e nel frattempo, riporta Al Jazeera, “sparatorie sono ancora udite nelle stesse aree degli scontri di ieri, anche se con minore intensità”. Una controffensiva, quella su Kirkuk, alla quale le forze irachene hanno risposto in queste ore, annunciando nuove conquiste nell’area intorno a Mosul. Conquiste che hanno permesso alla nona divisione dell’esercito regolare di prendere il controllo sulla cittadina di Hamdaniyah, a sud-ovest della roccaforte dei jihadisti. Secondo la tv di Stato al-Iraqiya, le truppe irachene sono riuscite ad avanzare con l’appoggio aereo della coalizione anti-Isis a guida Usa. Hamdaniyah è ritenuta un centro quasi disabitato, ma i miliziani fedeli ad al-Baghdadi hanno disseminato le strade e i villaggi di avvicinamento a Mosul di camion bomba, cecchini e mine per complicare ulteriormente l’avanzata della coalizione. Che in queste ore deve affrontare anche un’altra emergenza, quella relativa all’incendio ad una fabbrica di solfati a sud di Mosul appiccato dai miliziani dell’Isis giovedì, nel corso della loro ritirata. “L’incendio è fuori controllo e provoca la diffusione nell’aria di gas velenosi“, ha spiegato Abdul Rahman al Wagga, membro del consiglio provinciale di Ninive, chiedendo al governo di Baghdad di inviare personale specializzato. La fabbrica si trova a Mishraq, vicino alla base aerea di Qayyara, usata nell’offensiva verso Mosul da militari iracheni e americani. Due ufficiali statunitensi hanno detto all’agenzia Ap che il vento sta portando il fumo dell’incendio verso la base, dove le truppe hanno indossato per precauzione maschere protettive. Le operazioni per domare le fiamme si preannunciano lunghe: secondo funzionari americani potrebbero durare 2 o 3 giorni. In queste ore, intanto, è previsto l’arrivo a Baghdad del segretario alla Difesa statunitense, Ash Carter, che intende valutare di persona i progressi militari nella battaglia per Mosul.
Mondo
La strage è stata messa in atto come risposta all'avanzata della coalizione internazionale verso Mosul, la roccaforte jihadista nel nord del Paese. L'Onu nelle scorse ore ha lanciato un altro allarme: 550 famiglie sono state catturate dagli uomini del califfato nei villaggi di Samalia e Najafia
di F. Q. | 22 ottobre 2016
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Un’esecuzione di massa. Di fronte all’avanzata della coalizione internazionale verso Mosul, l’Isis ha ucciso 284 civili, tra cui vari bambini. Lo riferisce la Cnn, citando fonti dell’intelligence irachena, secondo cui le vittime erano state catturate nella città assediata e nei suoi dintorni, per essere utilizzati come scudi umani contro gli attacchi che stanno spingendo le forze del Califfato fuori dalla zona meridionale della loro roccaforte nel nord dell’Iraq. L’Isis, secondo l’emittente americana, ha utilizzato una ruspa per scaricare i cadaveri in una fossa comune nei pressi del luogo dell’esecuzione, avvenuta all’interno dell’ex Collegio di Agricoltura di Mosul. Le vittime, alcune delle quali bambini, sono state colpite con colpi di pistola, secondo quanto riferito da una fonte anonima.
L’Onu aveva già lanciato l’allarme, dicendosi “gravemente preoccupata” per il fatto che l’Isis aveva preso in ostaggio 550 famiglie nei villaggi intorno Mosul, e li stava utilizzando come scudi umani. Le catture, avvenute lunedì scorso nei centri abitati di Samalia e Najafia, fanno parte di quella che sembra “una apparente strategia messa in atto dall’Isis di vietare la fuga dei civili”, secondo le parole di Ravina Shamdasani, vice-portavoce dell’Ufficio per i Diritti umani delle Nazioni Unite.
I nuovi atti di violenza da parte dell’Isis seguono l’escalation militare che interessa il nord dell’Iraq da vari giorni. Dopo l’avanzata della coalizione internazionale, che vede militari italiani impegnati in prima fila, verso Mosul, Daesh ha reagito venerdì con un attacco a Kirkuk, città controllata dalle forze curdo-irachene, al confine con la regione autonoma del Kurdistan, dove gli scontri armati sono ripresi in mattinata. La tv curda Rudaw riferische che alcuni jihadisti sono ancora barricati in una scuola; e nel frattempo, riporta Al Jazeera, “sparatorie sono ancora udite nelle stesse aree degli scontri di ieri, anche se con minore intensità”. Una controffensiva, quella su Kirkuk, alla quale le forze irachene hanno risposto in queste ore, annunciando nuove conquiste nell’area intorno a Mosul. Conquiste che hanno permesso alla nona divisione dell’esercito regolare di prendere il controllo sulla cittadina di Hamdaniyah, a sud-ovest della roccaforte dei jihadisti. Secondo la tv di Stato al-Iraqiya, le truppe irachene sono riuscite ad avanzare con l’appoggio aereo della coalizione anti-Isis a guida Usa. Hamdaniyah è ritenuta un centro quasi disabitato, ma i miliziani fedeli ad al-Baghdadi hanno disseminato le strade e i villaggi di avvicinamento a Mosul di camion bomba, cecchini e mine per complicare ulteriormente l’avanzata della coalizione. Che in queste ore deve affrontare anche un’altra emergenza, quella relativa all’incendio ad una fabbrica di solfati a sud di Mosul appiccato dai miliziani dell’Isis giovedì, nel corso della loro ritirata. “L’incendio è fuori controllo e provoca la diffusione nell’aria di gas velenosi“, ha spiegato Abdul Rahman al Wagga, membro del consiglio provinciale di Ninive, chiedendo al governo di Baghdad di inviare personale specializzato. La fabbrica si trova a Mishraq, vicino alla base aerea di Qayyara, usata nell’offensiva verso Mosul da militari iracheni e americani. Due ufficiali statunitensi hanno detto all’agenzia Ap che il vento sta portando il fumo dell’incendio verso la base, dove le truppe hanno indossato per precauzione maschere protettive. Le operazioni per domare le fiamme si preannunciano lunghe: secondo funzionari americani potrebbero durare 2 o 3 giorni. In queste ore, intanto, è previsto l’arrivo a Baghdad del segretario alla Difesa statunitense, Ash Carter, che intende valutare di persona i progressi militari nella battaglia per Mosul.
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