La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
..PEGGIO DI HITLER....
Mosul, Onu: “Esecuzioni di massa tra i civili
Isis rastrella bimbi da 9 anni in su per arruolarli”
Si combatte nelle zone Est e Sud della roccaforte jihadista in Iraq. Almeno 1600 persone rapite, secondo la
denuncia delle Nazioni Unite. “Punizioni a famiglie che non consegnano i figli”. Migliaia di sfollati in fuga
mosul-pp
Mondo
Deportazioni di intere famiglie, esecuzioni di massa e rastrellamenti “porta a porta” di bambini maschi dai 9 anni in su, da usare come soldati o scudi umani. I jihadisti dell’Isis “continuano a trasferire con la forza i civili” e c’è il timore che vengano usati come scudi nel mezzo dell’offensiva delle forze irachene per la riconquista di Mosul. A lanciare l’allarme sulle violenze in corso è Ravina Shamdasani, portavoce dell’Onu per i diritti umani, che parla anche di centinaia di donne rapite e di “camion pieni di civili rapiti”
Mosul, Onu: “Esecuzioni di massa tra i civili
Isis rastrella bimbi da 9 anni in su per arruolarli”
Si combatte nelle zone Est e Sud della roccaforte jihadista in Iraq. Almeno 1600 persone rapite, secondo la
denuncia delle Nazioni Unite. “Punizioni a famiglie che non consegnano i figli”. Migliaia di sfollati in fuga
mosul-pp
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Deportazioni di intere famiglie, esecuzioni di massa e rastrellamenti “porta a porta” di bambini maschi dai 9 anni in su, da usare come soldati o scudi umani. I jihadisti dell’Isis “continuano a trasferire con la forza i civili” e c’è il timore che vengano usati come scudi nel mezzo dell’offensiva delle forze irachene per la riconquista di Mosul. A lanciare l’allarme sulle violenze in corso è Ravina Shamdasani, portavoce dell’Onu per i diritti umani, che parla anche di centinaia di donne rapite e di “camion pieni di civili rapiti”
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Nbc, hacker del Pentagono penetrano rete Cremlino. La Russia: “Capaci di fronteggiare minacce”
Mondo
Se gli Usa dovessero ritenerlo necessario, in particolare se si realizzasse la minaccia russa contro le elezioni presidenziali americane di martedì 8 novembre, gli hacker sono quindi pronti a intervenire
di F. Q. | 5 novembre 2016
COMMENTI
Gli hacker del Pentagono sono riusciti a penetrare i sistemi di comando del Cremlino, rendendoli vulnerabili ed esposti a possibili attacchi. Se gli Usa dovessero ritenerlo necessario, in particolare se si realizzasse la minaccia russa contro le elezioni presidenziali americane di martedì 8 novembre, gli hacker sono quindi pronti a intervenire. Questo quanto emerso da alcuni documenti top secret dell’intelligence americana di cui la Nbc è venuta in possesso. Violate anche la rete elettrica e quella delle telecomunicazioni della Russia.
Dalle carte emerge come gli Stati Uniti abbiano di fatto seminato malware nascosti in parte delle strutture e infrastrutture critiche della Russia, così come quest’ultima – accusano da settimane gli americani – avrebbe fatto con gli Usa. Tra le conseguenze principali del possibile cyberscontro che sembrerebbe in fase di preparazione, secondo gli esperti potrebbe esserci anche l’interruzione delle rete internet. L’amministrazione Obama considererebbe un attacco durante l’elezione presidenziale da parte di hacker come Guccifer 2.0 – cosiderati vicini all’intelligence russa – come un vero e proprio atto di guerra a cui rispondere.
E dopo le rivelazione della Nbc non si è fatta attendere la reazione del Cremlino: “Le misure per assicurare la cyber-sicurezza e la sicurezza dei sistemi informativi sono al momento capaci di fronteggiare le minacce ufficialmente ventilate contro di noi dai rappresentanti di altri paesi”. Così il porta
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Se gli Usa dovessero ritenerlo necessario, in particolare se si realizzasse la minaccia russa contro le elezioni presidenziali americane di martedì 8 novembre, gli hacker sono quindi pronti a intervenire
di F. Q. | 5 novembre 2016
COMMENTI
Gli hacker del Pentagono sono riusciti a penetrare i sistemi di comando del Cremlino, rendendoli vulnerabili ed esposti a possibili attacchi. Se gli Usa dovessero ritenerlo necessario, in particolare se si realizzasse la minaccia russa contro le elezioni presidenziali americane di martedì 8 novembre, gli hacker sono quindi pronti a intervenire. Questo quanto emerso da alcuni documenti top secret dell’intelligence americana di cui la Nbc è venuta in possesso. Violate anche la rete elettrica e quella delle telecomunicazioni della Russia.
Dalle carte emerge come gli Stati Uniti abbiano di fatto seminato malware nascosti in parte delle strutture e infrastrutture critiche della Russia, così come quest’ultima – accusano da settimane gli americani – avrebbe fatto con gli Usa. Tra le conseguenze principali del possibile cyberscontro che sembrerebbe in fase di preparazione, secondo gli esperti potrebbe esserci anche l’interruzione delle rete internet. L’amministrazione Obama considererebbe un attacco durante l’elezione presidenziale da parte di hacker come Guccifer 2.0 – cosiderati vicini all’intelligence russa – come un vero e proprio atto di guerra a cui rispondere.
E dopo le rivelazione della Nbc non si è fatta attendere la reazione del Cremlino: “Le misure per assicurare la cyber-sicurezza e la sicurezza dei sistemi informativi sono al momento capaci di fronteggiare le minacce ufficialmente ventilate contro di noi dai rappresentanti di altri paesi”. Così il porta
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Re: La Terza Guerra Mondiale
TRUMPATE E TRUMPISMO A TUTTO GAS
Un crociato contro l'invasione dell'Occidente
Dall’Islam e l’Isis, a Oriana Fallaci: Magdi Allam come non lo avete mai visto
13/11/2016 Redazione mostra
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Dall’utopia dell’ ”Islam moderato” al battesimo ricevuto da Papa Benedetto XVI. Dalla speranza di un Occidente capace di maturare in fretta ed evitare un brutale declino, alle malvagità dell’Isis. Dall’Egitto all’Italia. Dalle parole ai fatti. Così Magdi Cristiano Allam viaggia nella storia del giornalismo italiano, lui che ne è decano e rappresentazione. Così si racconterà, dalla A alla Z, senza filtri. Il 14 novembre, un palco, nessun segreto alla corte di Edoardo Sylos Labini e del Manzoni Cultura. Un palco che diventa opinione e confronto, approfondimento del reale, che testimonia il passaggio di mille storie. Storie di vita e di scelte, di percorsi, offerti al pubblico affinché diventino esempio. Storie, come quella di Magdi, che corrono parallelamente alla linea della coerenza e del coraggio di chi, nonostante affronti temi delicati e difficili nell’era della grande tolleranza, non rinuncia alla propria visione di libertà capace di contribuire alla rianimazione di un Occidente in fin di vita, anche quando questo costituisce una minaccia, una critica, una condanna reale, oltre che morale: Allam è stato il primo giornalista a subire un procedimento disciplinare per “islamofobia” da parte dell’Ordine Nazione dei Giornalisti. Un procedimento superato e vinto, facendo trionfare il principio che è lecito criticare l’Islam.
Il rapporto con l’Islam, la migrazione infinita, il Califfato del terrore, il rapporto con Oriana Fallaci. Questo e molto altro saranno al centro del nuovo appuntamento del Manzoni Cultura del 14 novembre interamente dedicato ad una delle voci più libere e concrete del giornalismo italiano: Magdi Cristiano Allam. Appuntamento di cui voi sarete i protagonisti: fate le vostre domande (nei commenti sotto), le più OFF verranno poste direttamente da Giovanni Terzi ad Allam nel corso della serata
Un crociato contro l'invasione dell'Occidente
Dall’Islam e l’Isis, a Oriana Fallaci: Magdi Allam come non lo avete mai visto
13/11/2016 Redazione mostra
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Dall’utopia dell’ ”Islam moderato” al battesimo ricevuto da Papa Benedetto XVI. Dalla speranza di un Occidente capace di maturare in fretta ed evitare un brutale declino, alle malvagità dell’Isis. Dall’Egitto all’Italia. Dalle parole ai fatti. Così Magdi Cristiano Allam viaggia nella storia del giornalismo italiano, lui che ne è decano e rappresentazione. Così si racconterà, dalla A alla Z, senza filtri. Il 14 novembre, un palco, nessun segreto alla corte di Edoardo Sylos Labini e del Manzoni Cultura. Un palco che diventa opinione e confronto, approfondimento del reale, che testimonia il passaggio di mille storie. Storie di vita e di scelte, di percorsi, offerti al pubblico affinché diventino esempio. Storie, come quella di Magdi, che corrono parallelamente alla linea della coerenza e del coraggio di chi, nonostante affronti temi delicati e difficili nell’era della grande tolleranza, non rinuncia alla propria visione di libertà capace di contribuire alla rianimazione di un Occidente in fin di vita, anche quando questo costituisce una minaccia, una critica, una condanna reale, oltre che morale: Allam è stato il primo giornalista a subire un procedimento disciplinare per “islamofobia” da parte dell’Ordine Nazione dei Giornalisti. Un procedimento superato e vinto, facendo trionfare il principio che è lecito criticare l’Islam.
Il rapporto con l’Islam, la migrazione infinita, il Califfato del terrore, il rapporto con Oriana Fallaci. Questo e molto altro saranno al centro del nuovo appuntamento del Manzoni Cultura del 14 novembre interamente dedicato ad una delle voci più libere e concrete del giornalismo italiano: Magdi Cristiano Allam. Appuntamento di cui voi sarete i protagonisti: fate le vostre domande (nei commenti sotto), le più OFF verranno poste direttamente da Giovanni Terzi ad Allam nel corso della serata
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Re: La Terza Guerra Mondiale
....SBATTI SBATTI LE PALLINE, CHE QUESTA SERA VIEN PAPA'....
Versione aggiornata di una vecchia filastrocca italiana per bimbi.
Stamani, ore 10,20, On the road.
Incontro due vecchi amici e compagni di scuola degli anni '50.
Diventa normale chiedergli come andremo a finire, immersi costantemente in questa autobotte della "Biraghi Spurghi".
Risposta:
"NON ME NE FREGA PIU' NIENTE, L'IMPORTANTE E' CHE STIA BENE IO E MI MANDINO LA PENSIONE"
Questa filosofia, questo modo di pensare non è nuovo. Sono anni che me lo sento ripetere da chi ha più anni del sottoscritto.
La novità oggi, consiste che a fare questa affermazione è un mio coetaneo.
E' con questa filosofia che giorno dopo giorno siamo progressivamente precipitati verso il punto di non ritorno.
Dalla prima pagina del FattoQuotidiano.it:
AVERE VENT’ANNI AI TEMPI DELL’ISIS
‘Il Califfato è già passato. Futuro? Nuove guerre’
Ali, Sajjad, Dani e Assad: 4 storie per raccontare la vita, l’amore e le speranze di una generazione perduta
Dai sogni di pace al domani: al-Baghdadi perde terreno, ma torna l’incubo di altri scontri di religione
Mondo
I ricordi, l’amore, le speranze e il futuro secondo Ali, Sajjad, Dani, Assad. Abbiamo scelto le storie di quattro giovani per raccontare due città della Siria – Aleppo e Mohadamyeh – e due dell’Iraq – Baghdad e Sadr City. Lo Stato Islamico perde terreno sotto i colpi della coalizione a guida Usa e della Russia ma la Storia, tra il Tigri e l’Eufrate, è un inesorabile eterno ritorno di sogni e delusioni. La spartizione dei territori tra diverse milizie e i quotidiani attentati prefigurano un domani costellato di nuovi scontri confessionali
di Shady Hamadi
Versione aggiornata di una vecchia filastrocca italiana per bimbi.
Stamani, ore 10,20, On the road.
Incontro due vecchi amici e compagni di scuola degli anni '50.
Diventa normale chiedergli come andremo a finire, immersi costantemente in questa autobotte della "Biraghi Spurghi".
Risposta:
"NON ME NE FREGA PIU' NIENTE, L'IMPORTANTE E' CHE STIA BENE IO E MI MANDINO LA PENSIONE"
Questa filosofia, questo modo di pensare non è nuovo. Sono anni che me lo sento ripetere da chi ha più anni del sottoscritto.
La novità oggi, consiste che a fare questa affermazione è un mio coetaneo.
E' con questa filosofia che giorno dopo giorno siamo progressivamente precipitati verso il punto di non ritorno.
Dalla prima pagina del FattoQuotidiano.it:
AVERE VENT’ANNI AI TEMPI DELL’ISIS
‘Il Califfato è già passato. Futuro? Nuove guerre’
Ali, Sajjad, Dani e Assad: 4 storie per raccontare la vita, l’amore e le speranze di una generazione perduta
Dai sogni di pace al domani: al-Baghdadi perde terreno, ma torna l’incubo di altri scontri di religione
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I ricordi, l’amore, le speranze e il futuro secondo Ali, Sajjad, Dani, Assad. Abbiamo scelto le storie di quattro giovani per raccontare due città della Siria – Aleppo e Mohadamyeh – e due dell’Iraq – Baghdad e Sadr City. Lo Stato Islamico perde terreno sotto i colpi della coalizione a guida Usa e della Russia ma la Storia, tra il Tigri e l’Eufrate, è un inesorabile eterno ritorno di sogni e delusioni. La spartizione dei territori tra diverse milizie e i quotidiani attentati prefigurano un domani costellato di nuovi scontri confessionali
di Shady Hamadi
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Re: La Terza Guerra Mondiale
TUTTI ALLA GUERRA SANTA
Terrore islamico sul Natale
Tir su un mercatino a Berlino: morti e feriti. L'Isis rivendica
Alessandro Sallusti - Mar, 20/12/2016 - 15:23
commenta
Certo, le nostre banche scricchiolano e sono giorni decisivi, ci sono le scalate ostili e furbe alle nostre aziende strategiche (ieri i francesi di Vivendi hanno sferrato un secondo attacco a Mediaset), ci serve una legge elettorale per andare a votare, Milano ha un sindaco preso in ostaggio dalla magistratura, Roma è quello che è, ma il fatto è che intorno a noi il mondo è in fiamme in nome di Allah.
Ad Ankara l'ambasciatore russo in Turchia è stato ucciso in diretta tv da un integralista islamico per vendicare i bombardamenti su Aleppo e a Berlino, in serata, un camion si è lanciato a tutta velocità sulla folla in un mercatino natalizio nella zona centrale davanti alla chiesa della Memoria, monumento simbolo della città, seminando morte come accadde l'estate scorsa a Nizza.
Speravamo stupidamente se non in una resa, almeno in una tregua del terrorismo islamico. Invece non è finita e probabilmente non finirà mai. Sono tanti, sono ovunque, sono tra noi, spesso hanno le facce tranquillizzanti del vicino di casa, del giovane con il quale siamo in coda alla cassa del supermercato. Dietro quei sorrisi di circostanza ci odiano nel profondo: siamo occidentali, siamo cristiani o comunque non islamici e questo è sufficiente per ucciderci a freddo, appena abbassiamo la guardia, quando meno ce lo aspettiamo, mentre viviamo celebrando i riti della nostra civiltà, che sia una serata in discoteca, una passeggiata sul lungomare, una partita di calcio o, come ieri, lo shopping natalizio.
Possiamo, e dobbiamo, mettere in campo tutti i poliziotti che vogliamo ma nessuno di noi sarà mai al sicuro. Non nella sua città, non in vacanza: colpiscono e spariscono, usando tecniche elementari e per questo micidiali. Non hanno paura di morire, anzi si offrono al martirio come sfida nella sfida.
Lo abbiamo scritto e riscritto più volte, in questi anni di sangue: il problema è l'islam, religione violenta e incompatibile con la nostra civiltà, in nome della quale sono stati commessi nella storia e continuano a essere commessi crimini atroci. Questo è sì un problema di polizia ma è soprattutto un fatto politico del quale chi governa i nostri Stati, così come chi siede sulla cattedra di San Pietro, un giorno o l'altro dovrà prenderne atto. E agire di conseguenza.
Terrore islamico sul Natale
Tir su un mercatino a Berlino: morti e feriti. L'Isis rivendica
Alessandro Sallusti - Mar, 20/12/2016 - 15:23
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Certo, le nostre banche scricchiolano e sono giorni decisivi, ci sono le scalate ostili e furbe alle nostre aziende strategiche (ieri i francesi di Vivendi hanno sferrato un secondo attacco a Mediaset), ci serve una legge elettorale per andare a votare, Milano ha un sindaco preso in ostaggio dalla magistratura, Roma è quello che è, ma il fatto è che intorno a noi il mondo è in fiamme in nome di Allah.
Ad Ankara l'ambasciatore russo in Turchia è stato ucciso in diretta tv da un integralista islamico per vendicare i bombardamenti su Aleppo e a Berlino, in serata, un camion si è lanciato a tutta velocità sulla folla in un mercatino natalizio nella zona centrale davanti alla chiesa della Memoria, monumento simbolo della città, seminando morte come accadde l'estate scorsa a Nizza.
Speravamo stupidamente se non in una resa, almeno in una tregua del terrorismo islamico. Invece non è finita e probabilmente non finirà mai. Sono tanti, sono ovunque, sono tra noi, spesso hanno le facce tranquillizzanti del vicino di casa, del giovane con il quale siamo in coda alla cassa del supermercato. Dietro quei sorrisi di circostanza ci odiano nel profondo: siamo occidentali, siamo cristiani o comunque non islamici e questo è sufficiente per ucciderci a freddo, appena abbassiamo la guardia, quando meno ce lo aspettiamo, mentre viviamo celebrando i riti della nostra civiltà, che sia una serata in discoteca, una passeggiata sul lungomare, una partita di calcio o, come ieri, lo shopping natalizio.
Possiamo, e dobbiamo, mettere in campo tutti i poliziotti che vogliamo ma nessuno di noi sarà mai al sicuro. Non nella sua città, non in vacanza: colpiscono e spariscono, usando tecniche elementari e per questo micidiali. Non hanno paura di morire, anzi si offrono al martirio come sfida nella sfida.
Lo abbiamo scritto e riscritto più volte, in questi anni di sangue: il problema è l'islam, religione violenta e incompatibile con la nostra civiltà, in nome della quale sono stati commessi nella storia e continuano a essere commessi crimini atroci. Questo è sì un problema di polizia ma è soprattutto un fatto politico del quale chi governa i nostri Stati, così come chi siede sulla cattedra di San Pietro, un giorno o l'altro dovrà prenderne atto. E agire di conseguenza.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
• LIBRE news
Mai che l’Isis colpisca le banche e il potere, chissà perché
Scritto il 21/12/16 • nella Categoria: idee Condividi
«Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare».
Dopo Parigi, Bruxelles e Nizza, è toccato a Berlino.
Ma a chi serve, il terrorismo contemporaneo?
Se lo domanda il filosofo Diego Fusaro.
Che ha già la risposta: tutto quel sangue serve all’élite, per il suo dominio sul resto dell’umanità.
Gli attentati, osserva Fusaro, si abbattono «sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate», e mai «sui luoghi reali del potere occidentale», le banche, le centrali finanziarie: «I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati».
Le vittime dei terroristi sono le stesse dell’oligarchia, cioè «le masse schiavizzate, sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate», che rappresentano il «nemico di classe», lettaralmente «bombardato» dal super-potere, attraverso «agenzie terze» che possono chiamarsi Al-Qaeda o Isis, dietro cui si intravede la regia di servizi segreti, pronti a guidare i killer e depistare regolarmente la polizia.
Il terrorismo, scrive Fusaro sul “Fatto Quotidiano”, produce «un grandioso spostamento dello sguardo dalla contraddizione principale», cioè «il nesso di forza classista finanziarizzato».
A reti unificate, continua il filosofo, «ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano del capitalismo finanziario (guerre imperialistiche, ecatombi di lavoratori, suicidi di piccoli imprenditori, popoli mandati in rovina)».
Ci fanno credere che il nemico, «per il giovane disoccupato cristiano», sia «il giovane disoccupato islamico» e non già «il delocalizzatore, il magnate della finanza, l’apolide e sradicato signore del mondialismo che sta egualizzando il pianeta nella disuguaglianza del libero mercato».
Per questa via, continua Fusaro, «il conflitto servo-signore è, ancora una volta, frammentato alla base: si ha l’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono», perché il terrorismo «frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (islamici vs cristiani, orientali vs occidentali)».
Inoltre, questo terrorismo «permette l’attivazione di quel paradigma securitario che, ancora una volta, giova unicamente al signore globalista e finanziario».
Si attiva il modello americano del Patriot Act innescato dall’11 Settembre: «Per garantire sicurezza, si toglie libertà».
E cioè: «Meno libertà di protesta, meno libertà di organizzazione, più controlli, più ispezioni, più limitazioni».
Risultato: «La massa terrorizzata accetta ciò che in condizioni normali mai accetterebbe: la perdita della libertà in nome della sicurezza».
Così, a suon di stragi, si prepara il terreno per nuove guerre: «Guerre terroristiche e criminali contro i crimini del terrorismo», come in Afghanistan nel 2001 e recentemente in Siria.
«Il terrorismo legittima l’imperialismo occidentale, l’interventismo umanitario, il bombardamento etico, le guerre giuste, e mille altre pratiche orwelliane che, chiamate col loro nome, rientrerebbero esse stesse nella categoria del terrorismo».
L’imperialismo occidentale è «coessenziale al regime capitalistico», e viene «legittimato e fatto accettare alle masse terrorizzate e subalterne», scrive ancora Fusaro, che aggiunge: «A differenza di Pasolini, io non so i nomi.
Credo, tuttavia, di sapere che cos’è davvero il terrorismo.
È la fase suprema del capitalismo.
È il momento culminante di un capitalismo che, avendo la propria egemonia in crisi (per dirla con Gramsci), deve adoperarsi in ogni modo (letteralmente: in ogni modo) per favorire il consenso, per riallineare le masse, per disarticolare il dissenso, per sincronizzare le coscienze, per fare sì che l’odio e l’amore delle masse siano indirizzati, secondo le debite dosi, dove i signori del mondialismo hanno deciso debbano essere indirizzati».
Mai che l’Isis colpisca le banche e il potere, chissà perché
Scritto il 21/12/16 • nella Categoria: idee Condividi
«Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare».
Dopo Parigi, Bruxelles e Nizza, è toccato a Berlino.
Ma a chi serve, il terrorismo contemporaneo?
Se lo domanda il filosofo Diego Fusaro.
Che ha già la risposta: tutto quel sangue serve all’élite, per il suo dominio sul resto dell’umanità.
Gli attentati, osserva Fusaro, si abbattono «sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate», e mai «sui luoghi reali del potere occidentale», le banche, le centrali finanziarie: «I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati».
Le vittime dei terroristi sono le stesse dell’oligarchia, cioè «le masse schiavizzate, sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate», che rappresentano il «nemico di classe», lettaralmente «bombardato» dal super-potere, attraverso «agenzie terze» che possono chiamarsi Al-Qaeda o Isis, dietro cui si intravede la regia di servizi segreti, pronti a guidare i killer e depistare regolarmente la polizia.
Il terrorismo, scrive Fusaro sul “Fatto Quotidiano”, produce «un grandioso spostamento dello sguardo dalla contraddizione principale», cioè «il nesso di forza classista finanziarizzato».
A reti unificate, continua il filosofo, «ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano del capitalismo finanziario (guerre imperialistiche, ecatombi di lavoratori, suicidi di piccoli imprenditori, popoli mandati in rovina)».
Ci fanno credere che il nemico, «per il giovane disoccupato cristiano», sia «il giovane disoccupato islamico» e non già «il delocalizzatore, il magnate della finanza, l’apolide e sradicato signore del mondialismo che sta egualizzando il pianeta nella disuguaglianza del libero mercato».
Per questa via, continua Fusaro, «il conflitto servo-signore è, ancora una volta, frammentato alla base: si ha l’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono», perché il terrorismo «frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (islamici vs cristiani, orientali vs occidentali)».
Inoltre, questo terrorismo «permette l’attivazione di quel paradigma securitario che, ancora una volta, giova unicamente al signore globalista e finanziario».
Si attiva il modello americano del Patriot Act innescato dall’11 Settembre: «Per garantire sicurezza, si toglie libertà».
E cioè: «Meno libertà di protesta, meno libertà di organizzazione, più controlli, più ispezioni, più limitazioni».
Risultato: «La massa terrorizzata accetta ciò che in condizioni normali mai accetterebbe: la perdita della libertà in nome della sicurezza».
Così, a suon di stragi, si prepara il terreno per nuove guerre: «Guerre terroristiche e criminali contro i crimini del terrorismo», come in Afghanistan nel 2001 e recentemente in Siria.
«Il terrorismo legittima l’imperialismo occidentale, l’interventismo umanitario, il bombardamento etico, le guerre giuste, e mille altre pratiche orwelliane che, chiamate col loro nome, rientrerebbero esse stesse nella categoria del terrorismo».
L’imperialismo occidentale è «coessenziale al regime capitalistico», e viene «legittimato e fatto accettare alle masse terrorizzate e subalterne», scrive ancora Fusaro, che aggiunge: «A differenza di Pasolini, io non so i nomi.
Credo, tuttavia, di sapere che cos’è davvero il terrorismo.
È la fase suprema del capitalismo.
È il momento culminante di un capitalismo che, avendo la propria egemonia in crisi (per dirla con Gramsci), deve adoperarsi in ogni modo (letteralmente: in ogni modo) per favorire il consenso, per riallineare le masse, per disarticolare il dissenso, per sincronizzare le coscienze, per fare sì che l’odio e l’amore delle masse siano indirizzati, secondo le debite dosi, dove i signori del mondialismo hanno deciso debbano essere indirizzati».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Gli attentati, osserva Fusaro, si abbattono «sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate», e mai «sui luoghi reali del potere occidentale», le banche, le centrali finanziarie: «I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati».
Quanto afferma Fusaro è un’esperienza che noi italiani abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle.
Paolo11 e pancho, ricorderanno benissimo la:
Strategia della tensione in Italia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La strategia della tensione in Italia indica generalmente un periodo storico molto tormentato della storia d'Italia, in particolare negli anni settanta del XX secolo, i cosiddetti anni di piombo.
L'arco temporale si concentrerebbe in un periodo storico che andrebbe dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) alla strage di Bologna (2 agosto 1980), sebbene alcuni studiosi retrodatino l'inizio di tale strategia alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947) o al "Piano Solo" (1964), il fallito colpo di stato progettato dal generale dell'Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo.[1]
Questo periodo è stato caratterizzato dalla commistione di un terrorismo neofascista molto violento e da un mai chiarito terrorismo di Stato sostenuto da alcuni settori militari e politici che intendevano attuare un colpo di Stato in funzione anticomunista, specialmente dopo il movimento del Sessantotto e l'autunno caldo. Tale terrorismo si espresse soprattutto in stragi rivolte senza movente contro cittadini comuni o contro gruppi di antifascisti e militanti di sinistra (al punto che molti di loro, parlando di "democrazia limitata", optarono per la scelta della lotta armata e del terrorismo, contrapponendosi allo stato italiano).[2]
https://it.wikipedia.org/wiki/Strategia ... _in_Italia
Cito Paolo11 e pancho, solo perché conosco la loro età e sono miei contemporanei o quasi.
Gli altri mi scusino ma non conosco la data di nascita.
Noi siamo stati testimoni diretti di quella fase storica.
Adesso ci troviamo di nuovo di fronte ad un terrorismo che non si manifesta più sul nostro territorio ma su scala europea.
Quanto afferma Fusaro è un’esperienza che noi italiani abbiamo già sperimentato sulla nostra pelle.
Paolo11 e pancho, ricorderanno benissimo la:
Strategia della tensione in Italia
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La strategia della tensione in Italia indica generalmente un periodo storico molto tormentato della storia d'Italia, in particolare negli anni settanta del XX secolo, i cosiddetti anni di piombo.
L'arco temporale si concentrerebbe in un periodo storico che andrebbe dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) alla strage di Bologna (2 agosto 1980), sebbene alcuni studiosi retrodatino l'inizio di tale strategia alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947) o al "Piano Solo" (1964), il fallito colpo di stato progettato dal generale dell'Arma dei Carabinieri Giovanni de Lorenzo.[1]
Questo periodo è stato caratterizzato dalla commistione di un terrorismo neofascista molto violento e da un mai chiarito terrorismo di Stato sostenuto da alcuni settori militari e politici che intendevano attuare un colpo di Stato in funzione anticomunista, specialmente dopo il movimento del Sessantotto e l'autunno caldo. Tale terrorismo si espresse soprattutto in stragi rivolte senza movente contro cittadini comuni o contro gruppi di antifascisti e militanti di sinistra (al punto che molti di loro, parlando di "democrazia limitata", optarono per la scelta della lotta armata e del terrorismo, contrapponendosi allo stato italiano).[2]
https://it.wikipedia.org/wiki/Strategia ... _in_Italia
Cito Paolo11 e pancho, solo perché conosco la loro età e sono miei contemporanei o quasi.
Gli altri mi scusino ma non conosco la data di nascita.
Noi siamo stati testimoni diretti di quella fase storica.
Adesso ci troviamo di nuovo di fronte ad un terrorismo che non si manifesta più sul nostro territorio ma su scala europea.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
EUROPA
L'onda lunga del jihadismo in quattro punti
Il ricercatore Thomas Hegghammer, esperto di jihadismo-salafita, è pessimista. Secondo la sua analisi, nei prossimi venti anni l'Europa dovrà imparare a convivere con la minaccia jihadista. Per quattro ragioni strutturali: un bacino di reclutamento in espansione; un numero più alto di “imprenditori del terrore”; il prolungamento dei conflitti nel mondo islamico e l'ampia libertà operativa su Internet
DI GIULIANO BATTISTON
21 dicembre 2016
0
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«L'attivismo jihadista in Europa si farà più intenso, sul lungo-termine». Thomas Hegghammer, ricercatore al Norwegian Defence Research Establishment, docente di Scienze politiche all'Università di Oslo, alle spalle importanti libri e saggi sull'ideologia salafita-jihadista, azzarda una previsione. Presentata nei giorni scorsi in un numero speciale di Perspectives on Terrorism, rivista accademica della Terrorism Research Initiative , la previsione di Hegghammer è pessimista. A dispetto dell'indebolimento dello Stato islamico nei territori controllati in Siria e Iraq, e nonostante il flusso dei foreign fighters sia diminuito, il peggio non è passato. Anzi. «Nel breve termine, nei prossimi 2-5 anni», scrive il ricercatore, è probabile che si registri «un declino delle attività jihadiste», a causa delle misure legislative e militari adottate dai governi europei e grazie allo smantellamento delle reti di reclutamento e dei gruppi di mediazione come Islam4UK, Shari4Belgium, Fursan al-Izza. Ma nel lungo-termine, «da cinque a quindici anni da ora», l'attivismo jihadista è destinato a crescere.
La previsione di Hegghammer arriva a ridosso dell'attentato che lunedì 19 dicembre ha colpito Berlino, provocando la morte di almeno 12 persone e il ferimento di altre 49.
Nella serata di martedì 20, lo Stato islamico ha rivendicato l'attentato. Diffusa attraverso l'agenzia stampa dell'Is, Amaq, la rivendicazione riprende una formula ormai consueta: «un soldato dello Stato islamico» ha condotto «un'operazione», rispondendo all'appello «per colpire i cittadini delle nazioni che fanno parte della coalizione internazionale» contro il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. La rivendicazione segnala un legame, perlomeno ideale, tra chi ha compiuto l'attentato e l'organizzazione del Califfo. Non chiarisce però di che tipo di legame si tratti, lasciando agli investigatori il compito di stabilire se sia stato soltanto ispirato dalla propaganda, oppure diretto e orchestrato dalla casa madre. Rimane incerta anche l'identità dell'attentatore (o degli attentatori). Il cittadino di origine pachistana fermato inizialmente non aveva nulla a che fare con la strage di lunedì 19 dicembre. Secondo le ultime informazioni , la polizia sarebbe sulle tracce di un ventitreenne tunisino, Anis Amri, che sembra vicino ai gruppi salafiti e di cui è stato ritrovato un documento sotto uno dei sedili del camion usato a Berlino. Difficile stabilire, per ora, il grado di coinvolgimento diretto dell'intelligence militare dello Stato islamico, da cui dipendono le operazioni all'estero. Più facile farlo per gli attentati passati. Così fa Hegghammer nel suo articolo. Che registra una preoccupante crescita degli attentati jihadisti – pianificati o realizzati – in Europa.
Ecco qualche numero: tra il 2014 e il 2016, sono state 273 le morti causate da attacchi jihadisti, più che in tutti gli anni precedenti; in soli 2 anni, nel 2015 e nel 2016, si sono registrati 14 attacchi jihadisti in Europa, una cifra tre volte e mezzo superiore rispetto alla media biennale dei precedenti 15 anni; nel 2015 e 2016, ci sono stati 29 piani di attacco (un computo che ovviamente esclude quelli di cui non si ha conoscenza), un numero due volte e mezzo superiore rispetto alla media biennale precedente; circa la metà degli attentati pianificati è stata poi realizzata, mentre nei 15 anni precedenti avveniva soltanto per un terzo dei casi.
Quanto ai foreign fighters, tra il 2011 e il 2016 almeno 5.000 europei hanno deciso di combattere in Siria, un numero cinque volte superiore a quello relativo a ogni altra destinazione di combattimento. Numeri molto alti, a cui corrisponde l'aumento degli arresti (non necessariamente delle condanne): tra il 2011 e il 2015, in Europa sono state arrestate circa 1600 persone legate al jihadismo, il 70% in più rispetto ai cinque anni precedenti (ed escludendo i dati provenienti dalla Gran Bretagna: circa 1200 arresti tra il 2011-12 e il 2015-16).
Dietro questi numeri così alti c'è lo Stato islamico, ricordano i ricercatori Petter Nesser, Anne Stenersen ed Emilie Oftedal in J ihadi Terrorism in Europe. The IS-Effect , un altro dei saggi appena pubblicati su Perspective on Terrorism. «A partire dall'inverno 2013-14, la grande maggioranza dei piani terroristici presenta legami con lo Stato islamico». Legami di natura diversa, «dalle cellule addestrate e dirette dal gruppo, a individui che rispondono agli appelli dei portavoce dell'Is a compiere attacchi autonomi». Vedremo nelle prossime settimane come collocare l'attentato di Berlino. Per ora rimane sicuro che lo Stato islamico continuerà a colpire l'Europa. «Nei prossimi tre-cinque anni», scrivono i ricercatori, «Is rimarrà il gruppo jihadista dominante nelle pianificazione di attacchi» nei Paesi europei, colpevoli di partecipare alla coalizione contro il Califfato. La manodopera non manca: l'Is può fare affidamento su «un numero senza precedenti (5.000-6.000) di foreign fighters stranieri. Anche se solo l'1% di questi individui sopravviverà alla guerra e continuerà a combattere per l'Is, ci sarà un gruppo di 50-60 jihadisti europei radicali che saranno capaci di operare come facilitatori e reclutatori», per molti anni a venire.
Sono proprio “gli anni a venire”, la prospettiva di lungo-termine, a interessare il ricercatore Thomas Hegghammer, che basa il suo pessimismo sull'analisi di quattro macro-tendenze. Combinate insieme, indicano un «futuro con una radicalizzazione e una minaccia terrorista perfino maggiori di oggi». Il primo fattore è la crescita del numero di giovani musulmani esclusi economicamente e socialmente, in altri termini la disponibilità di reclute. Il secondo, già accennato, è la crescita del numero degli attivisti-veterani; il terzo è il prolungamento dei conflitti armati nel mondo musulmano; l'ultimo, la persistente libertà operativa su Internet.
Vediamo i quattro criteri nel dettaglio. Il primo riguarda il maggiore bacino demografico dal quale i jihadisti europei sono stati tradizionalmente reclutati: i giovani musulmani provenienti dalle fasce più svantaggiate della popolazione, caratterizzate da scarso livello di istruzione, basso tasso di occupazione, alti tassi di criminalità. Hegghammer mette insieme i dati: si prevede che nell'Europa del nord, dell'est e del sud la popolazione di religione islamica crescerà del 50% dal 2010 al 2030, passando da 25 milioni a 37 milioni.
Si prevede che quello islamico rimarrà il gruppo religioso maggiormente svantaggiato dal punto di vista economico, a causa della scarsa mobilità sociale nell'Unione europea e della discriminazione che soffre nel mercato del lavoro. Da qui, l'ipotesi che una parte – ampiamente minoritaria – possa aderire al jihadismo. Questo non dipenderà dall'equazione tra crescita della popolazione islamica e crescita dei jihadisti in Europa. Un'equazione proporzionale che non è provata. Ma dalla presenza e dalla disponibilità di organizzazioni radicali e reti di reclutamento. È il secondo elemento analizzato dal ricercatore.
La seconda macro-tendenza è più importante della prima: la crescita del numero di persone che agiranno da “imprenditori” del terrore, per reclutare e costruire reti operative. Dipende proprio dal numero senza precedenti di foreign fighters attualmente impegnati in Siria. Come abbiamo visto, tra il 2011 e il 2016 almeno 5.000 musulmani europei si sono recati in Siria, la maggior parte per unirsi a gruppi come lo Stato islamico o Jabhat al-Nusra. Un numero altissimo. Basta ricordare che nel periodo che va dal 1990 al 2010 i foreign fighters islamisti provenienti dall'Europa erano meno di 1.000. Degli attuali 5.000 combattenti europei impegnati in Siria non tutti torneranno in Europa, e non tutti decideranno di importare il jihad. Ma secondo alcuni resoconti, tra i 1.000 e 1.500 sarebbero già rientrati. Alcuni di questi hanno intenzioni preoccupanti. E godono di uno status autorevole agli occhi dei nuovi simpatizzanti. Storicamente, i veterani hanno avuto un ruolo centrale nella formazione di nuove comunità radicali, grazie alla loro esperienza e alla loro reputazione, appunto. Non è un caso, nota Hegghammer, che ci sia una continuità storica nei network del jihadismo europeo. «Nel caso di molti network operativi oggi, si può tracciare una genealogia che arriva indietro fino agli anni Novanta».
Ai foreign fighters di ritorno vanno aggiunti i detenuti nelle prigioni europee, condannati per reati legati al terrorismo di matrice islamista. Nei prossimi 5-10 anni, sostiene Hegghammer, molti individui con credenziali jihadiste torneranno in libertà. Saranno ancora giovani, con una potenziale carriera futura molto lunga. «Se la storia ci fa da guida, alcuni di questi individui possono diventare facilmente gli imprenditori jihadisti nel decennio 2020». Una stima conservativa suggerisce che oggi in Europa ci siano almeno duemila islamisti radicali con esperienza da foreign fighters o con la prigione alle spalle, o entrambe le cose. Forse solo alcuni di loro diventeranno militanti di lungo corso, ma i numeri sono così alti che il loro ruolo sarà comunque decisivo in futuro. Anche perché i pretesti del reclutamento non verranno meno.
È la terza macro-tendenza: la persistenza di conflitti armati in molte regioni del Medio Oriente, del Nord Africa e dell'Asia del sud. Conflitti che servono come fattori di reclutamento e come opportunità di addestramento per i nuovi jihadisti. Anche in Europa. Hegghammer nota infatti che l'evoluzione del jihadismo europeo è sempre stata «strettamente connessa con gli sviluppi politici nel mondo islamico». Il jihadismo è arrivato in Europa tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando i militanti islamisti stranieri hanno trovato nel vecchio continente un terreno di finanziamento e un rifugio sicuro. Dalla metà degli anni Novanta si è formata «una comunità jihadista indigena», condizionata dai conflitti esterni in due modi: in chiave di propaganda, i conflitti hanno fornito ragioni di risentimento contro l'Occidente e alimentato la retorica dell'Islam sotto attacco degli infedeli; in chiave logistica, hanno facilitato la nascita delle organizzazioni jihadiste che hanno poi accolto – dal Tajikistan alla Bosnia, dalla Cecenia al Kosovo, dalla Somalia all'Afghanistan – anche i foreign fighters europei, combattenti che hanno trovato nelle aree di conflitto non europee vere e proprie zone di profondità strategica e di protezione. Fuori dall'Europa, le aree di conflitto sembrano destinate ad aumentare, anziché diminuire. E probabilmente forniranno ai gruppi jihadisti spazi in cui operare e consolidarsi. Anche attraverso l'uso di Internet.
È la quarta e ultima macro-tendenza analizzato dal ricercatore Hegghammer: la grande libertà su Internet per gli attori che operano in clandestinità. Una libertà che consentirà ai jihadisti di diffondere propaganda, finanziarsi, reclutare, pianificare operazioni terroristiche. È una libertà che si afferma a partire dal 2010 circa, con l'avvento dei social media, che offrono canali di comunicazione più immediati e più sicuri, rendendo allo stesso tempo più complicato il lavoro degli apparati di intelligence, sommersi dalla mole di dati e canali di comunicazione da controllare. La libertà si traduce anche in maggiore efficacia operativa: nel novembre 2015 a Parigi, gli attentatori hanno comunicato al telefono perfino durante gli attacchi, mentre altri casi recenti dimostrano come alcuni attentatori in Europa siano stati «addestrati e indirizzati da remoto», dagli uomini del Califfo in Siria e Iraq. In qualche caso, è bastato un semplice contatto via Telegram tra la Siria e l'Europa per condurre un simpatizzante jihadista europeo a colpire i suoi connazionali.
Analizzate insieme, queste quattro macro-tendenze portano il ricercatore Hegghammer a una conclusione pessimista: anziché dare per imminente la scomparsa dello Stato islamico e del jihadismo che vi si ispira, sarebbe bene cominciare ad attrezzarsi per lo scenario peggiore. L'onda lunga provocata dallo tsunami del Califfo.
http://espresso.repubblica.it/internazi ... =HEF_RULLO
L'onda lunga del jihadismo in quattro punti
Il ricercatore Thomas Hegghammer, esperto di jihadismo-salafita, è pessimista. Secondo la sua analisi, nei prossimi venti anni l'Europa dovrà imparare a convivere con la minaccia jihadista. Per quattro ragioni strutturali: un bacino di reclutamento in espansione; un numero più alto di “imprenditori del terrore”; il prolungamento dei conflitti nel mondo islamico e l'ampia libertà operativa su Internet
DI GIULIANO BATTISTON
21 dicembre 2016
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«L'attivismo jihadista in Europa si farà più intenso, sul lungo-termine». Thomas Hegghammer, ricercatore al Norwegian Defence Research Establishment, docente di Scienze politiche all'Università di Oslo, alle spalle importanti libri e saggi sull'ideologia salafita-jihadista, azzarda una previsione. Presentata nei giorni scorsi in un numero speciale di Perspectives on Terrorism, rivista accademica della Terrorism Research Initiative , la previsione di Hegghammer è pessimista. A dispetto dell'indebolimento dello Stato islamico nei territori controllati in Siria e Iraq, e nonostante il flusso dei foreign fighters sia diminuito, il peggio non è passato. Anzi. «Nel breve termine, nei prossimi 2-5 anni», scrive il ricercatore, è probabile che si registri «un declino delle attività jihadiste», a causa delle misure legislative e militari adottate dai governi europei e grazie allo smantellamento delle reti di reclutamento e dei gruppi di mediazione come Islam4UK, Shari4Belgium, Fursan al-Izza. Ma nel lungo-termine, «da cinque a quindici anni da ora», l'attivismo jihadista è destinato a crescere.
La previsione di Hegghammer arriva a ridosso dell'attentato che lunedì 19 dicembre ha colpito Berlino, provocando la morte di almeno 12 persone e il ferimento di altre 49.
Nella serata di martedì 20, lo Stato islamico ha rivendicato l'attentato. Diffusa attraverso l'agenzia stampa dell'Is, Amaq, la rivendicazione riprende una formula ormai consueta: «un soldato dello Stato islamico» ha condotto «un'operazione», rispondendo all'appello «per colpire i cittadini delle nazioni che fanno parte della coalizione internazionale» contro il Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. La rivendicazione segnala un legame, perlomeno ideale, tra chi ha compiuto l'attentato e l'organizzazione del Califfo. Non chiarisce però di che tipo di legame si tratti, lasciando agli investigatori il compito di stabilire se sia stato soltanto ispirato dalla propaganda, oppure diretto e orchestrato dalla casa madre. Rimane incerta anche l'identità dell'attentatore (o degli attentatori). Il cittadino di origine pachistana fermato inizialmente non aveva nulla a che fare con la strage di lunedì 19 dicembre. Secondo le ultime informazioni , la polizia sarebbe sulle tracce di un ventitreenne tunisino, Anis Amri, che sembra vicino ai gruppi salafiti e di cui è stato ritrovato un documento sotto uno dei sedili del camion usato a Berlino. Difficile stabilire, per ora, il grado di coinvolgimento diretto dell'intelligence militare dello Stato islamico, da cui dipendono le operazioni all'estero. Più facile farlo per gli attentati passati. Così fa Hegghammer nel suo articolo. Che registra una preoccupante crescita degli attentati jihadisti – pianificati o realizzati – in Europa.
Ecco qualche numero: tra il 2014 e il 2016, sono state 273 le morti causate da attacchi jihadisti, più che in tutti gli anni precedenti; in soli 2 anni, nel 2015 e nel 2016, si sono registrati 14 attacchi jihadisti in Europa, una cifra tre volte e mezzo superiore rispetto alla media biennale dei precedenti 15 anni; nel 2015 e 2016, ci sono stati 29 piani di attacco (un computo che ovviamente esclude quelli di cui non si ha conoscenza), un numero due volte e mezzo superiore rispetto alla media biennale precedente; circa la metà degli attentati pianificati è stata poi realizzata, mentre nei 15 anni precedenti avveniva soltanto per un terzo dei casi.
Quanto ai foreign fighters, tra il 2011 e il 2016 almeno 5.000 europei hanno deciso di combattere in Siria, un numero cinque volte superiore a quello relativo a ogni altra destinazione di combattimento. Numeri molto alti, a cui corrisponde l'aumento degli arresti (non necessariamente delle condanne): tra il 2011 e il 2015, in Europa sono state arrestate circa 1600 persone legate al jihadismo, il 70% in più rispetto ai cinque anni precedenti (ed escludendo i dati provenienti dalla Gran Bretagna: circa 1200 arresti tra il 2011-12 e il 2015-16).
Dietro questi numeri così alti c'è lo Stato islamico, ricordano i ricercatori Petter Nesser, Anne Stenersen ed Emilie Oftedal in J ihadi Terrorism in Europe. The IS-Effect , un altro dei saggi appena pubblicati su Perspective on Terrorism. «A partire dall'inverno 2013-14, la grande maggioranza dei piani terroristici presenta legami con lo Stato islamico». Legami di natura diversa, «dalle cellule addestrate e dirette dal gruppo, a individui che rispondono agli appelli dei portavoce dell'Is a compiere attacchi autonomi». Vedremo nelle prossime settimane come collocare l'attentato di Berlino. Per ora rimane sicuro che lo Stato islamico continuerà a colpire l'Europa. «Nei prossimi tre-cinque anni», scrivono i ricercatori, «Is rimarrà il gruppo jihadista dominante nelle pianificazione di attacchi» nei Paesi europei, colpevoli di partecipare alla coalizione contro il Califfato. La manodopera non manca: l'Is può fare affidamento su «un numero senza precedenti (5.000-6.000) di foreign fighters stranieri. Anche se solo l'1% di questi individui sopravviverà alla guerra e continuerà a combattere per l'Is, ci sarà un gruppo di 50-60 jihadisti europei radicali che saranno capaci di operare come facilitatori e reclutatori», per molti anni a venire.
Sono proprio “gli anni a venire”, la prospettiva di lungo-termine, a interessare il ricercatore Thomas Hegghammer, che basa il suo pessimismo sull'analisi di quattro macro-tendenze. Combinate insieme, indicano un «futuro con una radicalizzazione e una minaccia terrorista perfino maggiori di oggi». Il primo fattore è la crescita del numero di giovani musulmani esclusi economicamente e socialmente, in altri termini la disponibilità di reclute. Il secondo, già accennato, è la crescita del numero degli attivisti-veterani; il terzo è il prolungamento dei conflitti armati nel mondo musulmano; l'ultimo, la persistente libertà operativa su Internet.
Vediamo i quattro criteri nel dettaglio. Il primo riguarda il maggiore bacino demografico dal quale i jihadisti europei sono stati tradizionalmente reclutati: i giovani musulmani provenienti dalle fasce più svantaggiate della popolazione, caratterizzate da scarso livello di istruzione, basso tasso di occupazione, alti tassi di criminalità. Hegghammer mette insieme i dati: si prevede che nell'Europa del nord, dell'est e del sud la popolazione di religione islamica crescerà del 50% dal 2010 al 2030, passando da 25 milioni a 37 milioni.
Si prevede che quello islamico rimarrà il gruppo religioso maggiormente svantaggiato dal punto di vista economico, a causa della scarsa mobilità sociale nell'Unione europea e della discriminazione che soffre nel mercato del lavoro. Da qui, l'ipotesi che una parte – ampiamente minoritaria – possa aderire al jihadismo. Questo non dipenderà dall'equazione tra crescita della popolazione islamica e crescita dei jihadisti in Europa. Un'equazione proporzionale che non è provata. Ma dalla presenza e dalla disponibilità di organizzazioni radicali e reti di reclutamento. È il secondo elemento analizzato dal ricercatore.
La seconda macro-tendenza è più importante della prima: la crescita del numero di persone che agiranno da “imprenditori” del terrore, per reclutare e costruire reti operative. Dipende proprio dal numero senza precedenti di foreign fighters attualmente impegnati in Siria. Come abbiamo visto, tra il 2011 e il 2016 almeno 5.000 musulmani europei si sono recati in Siria, la maggior parte per unirsi a gruppi come lo Stato islamico o Jabhat al-Nusra. Un numero altissimo. Basta ricordare che nel periodo che va dal 1990 al 2010 i foreign fighters islamisti provenienti dall'Europa erano meno di 1.000. Degli attuali 5.000 combattenti europei impegnati in Siria non tutti torneranno in Europa, e non tutti decideranno di importare il jihad. Ma secondo alcuni resoconti, tra i 1.000 e 1.500 sarebbero già rientrati. Alcuni di questi hanno intenzioni preoccupanti. E godono di uno status autorevole agli occhi dei nuovi simpatizzanti. Storicamente, i veterani hanno avuto un ruolo centrale nella formazione di nuove comunità radicali, grazie alla loro esperienza e alla loro reputazione, appunto. Non è un caso, nota Hegghammer, che ci sia una continuità storica nei network del jihadismo europeo. «Nel caso di molti network operativi oggi, si può tracciare una genealogia che arriva indietro fino agli anni Novanta».
Ai foreign fighters di ritorno vanno aggiunti i detenuti nelle prigioni europee, condannati per reati legati al terrorismo di matrice islamista. Nei prossimi 5-10 anni, sostiene Hegghammer, molti individui con credenziali jihadiste torneranno in libertà. Saranno ancora giovani, con una potenziale carriera futura molto lunga. «Se la storia ci fa da guida, alcuni di questi individui possono diventare facilmente gli imprenditori jihadisti nel decennio 2020». Una stima conservativa suggerisce che oggi in Europa ci siano almeno duemila islamisti radicali con esperienza da foreign fighters o con la prigione alle spalle, o entrambe le cose. Forse solo alcuni di loro diventeranno militanti di lungo corso, ma i numeri sono così alti che il loro ruolo sarà comunque decisivo in futuro. Anche perché i pretesti del reclutamento non verranno meno.
È la terza macro-tendenza: la persistenza di conflitti armati in molte regioni del Medio Oriente, del Nord Africa e dell'Asia del sud. Conflitti che servono come fattori di reclutamento e come opportunità di addestramento per i nuovi jihadisti. Anche in Europa. Hegghammer nota infatti che l'evoluzione del jihadismo europeo è sempre stata «strettamente connessa con gli sviluppi politici nel mondo islamico». Il jihadismo è arrivato in Europa tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, quando i militanti islamisti stranieri hanno trovato nel vecchio continente un terreno di finanziamento e un rifugio sicuro. Dalla metà degli anni Novanta si è formata «una comunità jihadista indigena», condizionata dai conflitti esterni in due modi: in chiave di propaganda, i conflitti hanno fornito ragioni di risentimento contro l'Occidente e alimentato la retorica dell'Islam sotto attacco degli infedeli; in chiave logistica, hanno facilitato la nascita delle organizzazioni jihadiste che hanno poi accolto – dal Tajikistan alla Bosnia, dalla Cecenia al Kosovo, dalla Somalia all'Afghanistan – anche i foreign fighters europei, combattenti che hanno trovato nelle aree di conflitto non europee vere e proprie zone di profondità strategica e di protezione. Fuori dall'Europa, le aree di conflitto sembrano destinate ad aumentare, anziché diminuire. E probabilmente forniranno ai gruppi jihadisti spazi in cui operare e consolidarsi. Anche attraverso l'uso di Internet.
È la quarta e ultima macro-tendenza analizzato dal ricercatore Hegghammer: la grande libertà su Internet per gli attori che operano in clandestinità. Una libertà che consentirà ai jihadisti di diffondere propaganda, finanziarsi, reclutare, pianificare operazioni terroristiche. È una libertà che si afferma a partire dal 2010 circa, con l'avvento dei social media, che offrono canali di comunicazione più immediati e più sicuri, rendendo allo stesso tempo più complicato il lavoro degli apparati di intelligence, sommersi dalla mole di dati e canali di comunicazione da controllare. La libertà si traduce anche in maggiore efficacia operativa: nel novembre 2015 a Parigi, gli attentatori hanno comunicato al telefono perfino durante gli attacchi, mentre altri casi recenti dimostrano come alcuni attentatori in Europa siano stati «addestrati e indirizzati da remoto», dagli uomini del Califfo in Siria e Iraq. In qualche caso, è bastato un semplice contatto via Telegram tra la Siria e l'Europa per condurre un simpatizzante jihadista europeo a colpire i suoi connazionali.
Analizzate insieme, queste quattro macro-tendenze portano il ricercatore Hegghammer a una conclusione pessimista: anziché dare per imminente la scomparsa dello Stato islamico e del jihadismo che vi si ispira, sarebbe bene cominciare ad attrezzarsi per lo scenario peggiore. L'onda lunga provocata dallo tsunami del Califfo.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Diventa lecito chiedersi:
Ma che ruolo ricopre, Il Giornale, del “paron”, nell’insistere sempre con queste notizie e questi titoli??????
Quella fucina di jihadisti
a un passo da casa nostra
Dalla Tunisia proviene la gran parte di terroristi che hanno colpito l'Occidente. Dalla strage di Nizza a quella di Berlino
di Alessandra Benignetti
17 minuti fa
Ma che ruolo ricopre, Il Giornale, del “paron”, nell’insistere sempre con queste notizie e questi titoli??????
Quella fucina di jihadisti
a un passo da casa nostra
Dalla Tunisia proviene la gran parte di terroristi che hanno colpito l'Occidente. Dalla strage di Nizza a quella di Berlino
di Alessandra Benignetti
17 minuti fa
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Re: La Terza Guerra Mondiale
L'articolo originale di Fusaro.
Attentato Berlino, vi spiego cos’è davvero il terrorismo in 5 punti
Società
di Diego Fusaro | 20 dicembre 2016
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Post | Articoli
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Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare. Questa volta è stato il turno di Berlino. Permettetemi, allora, di svolgere alcune considerazioni generalissime sul terrorismo e sulla sua funzione nel quadro storico post 1989.
1) Gli attentati si abbattono sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate. L’ira delirante dei terroristi non si abbatte mai, curiosamente, sui luoghi reali del potere occidentale: banche, centri della finanza, ecc. I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati. I terroristi avrebbero dichiarato guerra e poi attaccherebbero solo le masse schiavizzate, rendendo – guarda caso – un buon servizio ai signori mondialisti della finanza sradicata: i quali vedono il loro nemico di classe (le masse sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate) letteralmente bombardato e fatto esplodere da agenzie terze;
2) Il terrorismo produce un grandioso spostamento dello sguardo dalla contraddizione principale, il nesso di forza classista finanziarizzato. A reti unificate ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano del capitalismo finanziario (guerre imperialistiche, ecatombi di lavoratori, suicidi di piccoli imprenditori, popoli mandati in rovina);
3) Ci fanno ora credere che il nemico, per il giovane disoccupato cristiano, sia il giovane disoccupato islamico e non il delocalizzatore, il magnate della finanza, l’apolide e sradicato signore del mondialismo che sta egualizzando il pianeta nella disuguaglianza del libero mercato. Per questa via, il conflitto servo-signore è, ancora una volta, frammentato alla base. Si ha l’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono. Il terrorismo frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (islamici vs cristiani, orientali vs occidentali);
4) Il terrorismo permette l’attivazione di quel paradigma securitario che, ancora una volta, giova unicamente al signore globalista e finanziario. Si attiva il modello Patriot Act Usa: per garantire sicurezza, si toglie libertà. Meno libertà di protesta, meno libertà di organizzazione, più controlli, più ispezioni, più limitazioni. La massa terrorizzata accetta ciò che in condizioni normali mai accetterebbe: la perdita della libertà in nome della sicurezza;
5) Si prepara il terreno – prepariamoci – per nuove guerre: guerre terroristiche e criminali contro i crimini del terrorismo. Come accadde in Afghanistan (2001) e recentemente in Siria. Il terrorismo legittima l’imperialismo occidentale, l’interventismo umanitario, il bombardamento etico, le guerre giuste, e mille altre pratiche orwelliane che, chiamate col loro nome, rientrerebbero esse stesse nella categoria del terrorismo. L’imperialismo occidentale coessenziale al regime capitalistico viene legittimato e fatto accettare alle masse terrorizzate e subalterne.
A differenza di Pasolini, io non so i nomi. Credo, tuttavia, di sapere che cos’è davvero il terrorismo. È la fase suprema del capitalismo. È il momento culminante di un capitalismo che, avendo la propria egemonia in crisi (per dirla con Gramsci), deve adoperarsi in ogni modo (letteralmente: in ogni modo) per favorire il consenso, per riallineare le masse, per disarticolare il dissenso, per sincronizzare le coscienze, per fare sì che l’odio e l’amore delle masse siano indirizzati, secondo le debite dosi, dove i signori del mondialismo hanno deciso debbano essere indirizzati.
Attentato Berlino, vi spiego cos’è davvero il terrorismo in 5 punti
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di Diego Fusaro | 20 dicembre 2016
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Ed è subito terrore. Ancora una volta. Secondo modalità che ritornano sempre invariate, sempre le stesse. Quasi come se si trattasse di un copione già scritto, un orrendo copione da mettere in scena a cadenza regolare. Questa volta è stato il turno di Berlino. Permettetemi, allora, di svolgere alcune considerazioni generalissime sul terrorismo e sulla sua funzione nel quadro storico post 1989.
1) Gli attentati si abbattono sempre e solo sulle masse subalterne, precarizzate, sottopagate e supersfruttate. L’ira delirante dei terroristi non si abbatte mai, curiosamente, sui luoghi reali del potere occidentale: banche, centri della finanza, ecc. I signori mondialisti non vengono mai nemmeno sfiorati. I terroristi avrebbero dichiarato guerra e poi attaccherebbero solo le masse schiavizzate, rendendo – guarda caso – un buon servizio ai signori mondialisti della finanza sradicata: i quali vedono il loro nemico di classe (le masse sottoproletarie, precarizzate e pauperizzate) letteralmente bombardato e fatto esplodere da agenzie terze;
2) Il terrorismo produce un grandioso spostamento dello sguardo dalla contraddizione principale, il nesso di forza classista finanziarizzato. A reti unificate ci fanno credere che il nostro nemico sia l’Islam e non il terrorismo quotidiano del capitalismo finanziario (guerre imperialistiche, ecatombi di lavoratori, suicidi di piccoli imprenditori, popoli mandati in rovina);
3) Ci fanno ora credere che il nemico, per il giovane disoccupato cristiano, sia il giovane disoccupato islamico e non il delocalizzatore, il magnate della finanza, l’apolide e sradicato signore del mondialismo che sta egualizzando il pianeta nella disuguaglianza del libero mercato. Per questa via, il conflitto servo-signore è, ancora una volta, frammentato alla base. Si ha l’ennesima guerra tra poveri, della quale a beneficiare sono coloro che poveri non sono. Il terrorismo frammenta il conflitto di classe e mette i servi in lotta tra loro (islamici vs cristiani, orientali vs occidentali);
4) Il terrorismo permette l’attivazione di quel paradigma securitario che, ancora una volta, giova unicamente al signore globalista e finanziario. Si attiva il modello Patriot Act Usa: per garantire sicurezza, si toglie libertà. Meno libertà di protesta, meno libertà di organizzazione, più controlli, più ispezioni, più limitazioni. La massa terrorizzata accetta ciò che in condizioni normali mai accetterebbe: la perdita della libertà in nome della sicurezza;
5) Si prepara il terreno – prepariamoci – per nuove guerre: guerre terroristiche e criminali contro i crimini del terrorismo. Come accadde in Afghanistan (2001) e recentemente in Siria. Il terrorismo legittima l’imperialismo occidentale, l’interventismo umanitario, il bombardamento etico, le guerre giuste, e mille altre pratiche orwelliane che, chiamate col loro nome, rientrerebbero esse stesse nella categoria del terrorismo. L’imperialismo occidentale coessenziale al regime capitalistico viene legittimato e fatto accettare alle masse terrorizzate e subalterne.
A differenza di Pasolini, io non so i nomi. Credo, tuttavia, di sapere che cos’è davvero il terrorismo. È la fase suprema del capitalismo. È il momento culminante di un capitalismo che, avendo la propria egemonia in crisi (per dirla con Gramsci), deve adoperarsi in ogni modo (letteralmente: in ogni modo) per favorire il consenso, per riallineare le masse, per disarticolare il dissenso, per sincronizzare le coscienze, per fare sì che l’odio e l’amore delle masse siano indirizzati, secondo le debite dosi, dove i signori del mondialismo hanno deciso debbano essere indirizzati.
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