Diario della caduta di un regime.

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Re: Diario della caduta di un regime.

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Renzi agita il "governicchio":
"Chi ha fallito lo augura a me"

Fronte del No in testa, minoranza Pd in rivolta e Bruxelles sul piede di guerra. Renzi si barrica: "Loro hanno fallito"

di Andrea Indini
poco fa



Renzi evoca il "governicchio": "Chi ha fallito, ora lo augura a me"
Fronte del No in testa, minoranza Pd in rivolta e Unione europea sul piede di guerra. Renzi si barrica: "Loro hanno fallito". Ma assicura: "Noi non cacciamo nessuno"


Andrea Indini - Lun, 07/11/2016 - 18:42
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Prima si toglie un po' di "sassolini" dalle scarpe davanti alla platea della "sua" Leopolda attaccando la minoranza che vuole solo "la fine del Pd", poi traccia una sorta di road map fino al referendum, infine torna ad agitare "governicchi tecnichicchi" in caso di vittoria del No al referendum.


All'indomani della Leopolda, Matteo Renzi si trova a dover parare i colpi della minoranza piddì che, capitanata da Pier Luigi Bersani, torna pesantemente all'attacco. Il tutto mentre da Bruxelles i vertici dell'Unione europea tornano a demolire la legge di Bilancio.

Il cammino verso il referendum sarà un lungo calvario. I colpi arrivano da più fronti. E sul tavolo di Palazzo Chigi sono in bella vista i dossier della manovra e delle riforme costituzionali. La prima ha già ricevuto le prime battute d'arresto della Corte dei Conti e dell'Ufficio parlamentare di Bilancio. Le altre rischiano di trovare uno stop definitivo da parte degli italiani che il 4 dicembre saranno chiamati a decidere del futuro del ddl Boschi e, ovviamente, del governo Renzi. Il premier è in agitanzione. Opposizioni, minoranza dem e Unione europea sono pronti all'assalto della dirigenza. Per il momento, però, Renzi sembra tener duro. E, parlando a Frosinone davanti a una platea che rumoreggia e fischia alla volta della vecchia classe dirigente del Pd, tuona contro "chi ha fallito e ora lo augura" a lui e torna ad agitare lo spettro del "governicchio tecnichicchio". Ma, al tempo stesso, assicura: "Noi non cacciamo nessuno".

"Il nostro obiettivo non è andare contro qualcuno - mette in chiaro il segretario Pd - ma fare una battaglia nell'interesse dei nostri figli e pensiamo che una parte dei dirigenti del passato si sia occupata molto di se stessa e delle poltrone e meno dei nostri figli e nipoti". Inoltre, Renzi ribadisce il proprio astio nei confronti della vecchia guardia. "Ha fallito e ha dimostrato l'incapacità", lamenta ribadendo il proprio "no" a "un sistema in Italia in base al quale chi non ce l'ha fatta poi fa di tutto perché fallisca anche chi viene dopo in modo tale che si rimanga nella palude e nel pantano". Infine, mette in guardia dal "pasticcio che vogliono fare dopo il 4 dicembre facendo una grande cosa, una riforma, tutti insieme. Ma non si rendono conto che se li metti insieme in una stanza loro sono d'accordo solo sul No".
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POLITICA
Leopolda 2016, corso motivazionale in stile Herbalife

Politica
di Davide Vecchi | 7 novembre 2016
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Davide Vecchi
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La Leopolda 2016 è stata una sorta di kermesse motivazionale in stile Herbalife. L’unica differenza è il prodotto: non pillole dimagranti ma insegnare a vendere il Sì al referendum. La cosa che colpisce in maniera sempre più netta però è il totale staccamento dal reale di questa sorta di setta religiosa renziana, perché altro ormai non è. Il guru qui dimentica di essere premier e segretario di partito. Dal palco lancia strali contro i critici e il “popolo della Leopolda” (sì, lo chiamano così) risponde alzando la voce. Pier Luigi Bersani si è schierato per il No al referendum? Renzi lo attacca dal palco e dal popolo della Leopolda si leva un grido all’unisono: “Fuori, fuori”. Riferito a Bersani, ovviamente, e ai critici. Alla minoranza. Che proprio per sua natura un partito che si chiama democratico e che dovrebbe essere l’erede naturale della sinistra italiana dovrebbe tutelare. No. Le minoranze non vengono tutelate. Se non sono d’accordo col capo. Il dissenso non è previsto.



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Dopo la settima Leopolda cui assisto (sì, le ho viste tutte) credo di potermi permettere il lusso di sostenere quanto sia cambiata l’aria, il clima, i metodi: il capo. È ormai palese ai più che le sue siano solo parole alle quali mai seguono i fatti. Ma colpisce la violenza verbale, la corporatività, l’esser diventato non un movimento politico con istanze concrete e valori condivisi, ma appunto una setta: raccontarsi una realtà falsata, piegata al proprio desiderio e instillarla come fossero i dieci comandamenti da ripetere all’esterno. Ho visto dei robot. Più che degli uomini. Sotto quel palco. Ho visto persone arrivare normali venerdì pomeriggio e uscire invasate domenica. Con gli occhi spiritati, una rabbia malcelata che si è poi sfogata per lo più sui social contro chi sostiene le ragioni del No. A colpi di menzogne, ovviamente. Perché tutto qui è menzogna. Come se la realtà si potesse cambiare a colpi di menzogne. A insegnare c’è lui, il guru. Si può organizzare un dibattito per smontare le ragioni del No al referendum senza nessun rappresentante del No al referendum? Può essere credibile? Sabato sono riusciti a farlo.


È stata l’autocelebrazione dell’io renziano. L’esaltazione dell’appartenenza a un gruppo che si ritiene superiore a tutto e tutti. Il guru dice “noi siamo democratici e la Leopolda è aperta a tutti, noi siamo per il confronto”. E lo ripete, lo grida, lo scandisce tra gli applausi di centinaia di adepti chiusi in una stazione circondata da oltre mille agenti delle forze dell’ordine, con controlli ferrei all’entrata e senza confronto neanche con i giornalisti. È credibile? No. Ovviamente.

Per video, vedi:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... e/3173426/
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Confindustria ha giocato con il Sole e si è bruciata. Le perdite del quotidiano mangiano il patrimonio dell’associazione

Lobby
La partita sul quotidiano è politica prima ancora che finanziaria. E ha un impatto non indifferente sugli scheletri nell’armadio del club degli imprenditori. Il possibile ruolo della Luiss di Emma Marcegaglia e di Francesco Gaetano Caltagirone
di Fiorina Capozzi e Gaia Scacciavillani | 7 novembre 2016
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https://www.youtube.com/watch?v=7yuEFFugqGk

Confindustria ha giocato con il Sole 24 Ore e si è bruciata. Le perdite dell’editrice mangiano anche il patrimonio dell’associazione, generando il malumore dei soci e il rischio di nuove defezioni, sulla falsariga di quanto accadde con Fiat nel 2011. Proprio ora che l’associazione degli industriali si è impegnata a “valutare positivamente” la partecipazione al necessario aumento di capitale dell’editrice già al centro di un’inchiesta della procura milanese che ipotizza il falso in bilancio. Ma Confindustria non ha in pancia la cassa necessaria per effettuare l’operazione e davanti a sé ha solo due ipotesi di lavoro: liquidare asset in portafoglio oppure aumentare le quote degli associati che nel 2015 hanno registrato un nuovo calo, di 645mila euro, a 37,62 milioni. In entrambi i casi, però, dovrà accusare il colpo in bilancio della svalutazione della quota del Sole (67,5%), detenuta attualmente al costo di 1,47 euro per azione per un totale di oltre 132 milioni di euro, oltre il 330% in più del valore – 0,34 euro – che attualmente la Borsa attribuisce alle azioni quotate dell’editrice.


Vendere quel che c’è di vendibile nel patrimonio di Confindustria sarebbe in teoria la strada più facile, ma non sufficiente a coprire l’aumento di capitale che, secondo le cifre circolate nei giorni scorsi, potrebbe costare tra i 60 e i 100 milioni, anche se non manca chi parla addirittura di 250 milioni. L’associazione ha un patrimonio che il bilancio 2015 valuta 290 milioni, tuttavia alla somma vanno sottratti i 132 milioni attribuiti alla partecipazione nel Sole, per altro destinata a una drastica svalutazione. Resta quindi un patrimonio netto di 158 milioni, ma bisogna vedere cosa ci può essere di liquidabile. Di quantificabile con sicurezza, stando sempre all’ultimo bilancio, c’è la cassa che ammonta a 15 milioni di euro oltre a 34,62 milioni liquidità investita in obbligazioni, titoli di Stato e polizze che potrebbero essere rapidamente venduti. Nella migliore delle ipotesi quindi mancherebbero comunque all’appello almeno una quindicina di milioni. E per salvare il salvabile, secondo indiscrezioni di stampa, ci sarebbe allo studio un convertendo che permetterebbe a Confindustria di rinviare di qualche anno il problema.

Il tutto per evitare di batter cassa presso le associazioni locali. Operazione per altro tutta in salita, vista la risicatissima maggioranza con cui Vincenzo Boccia è stato eletto ai vertici dell’associazione la scorsa primavera, complice il sostegno dell’uscente Giorgio Squinzi che dopo lo strappo sul Sole è venuto a mancare. Non a caso la stampa di settore nel finesettimana ha descritto un Boccia in forte difficoltà che sta facendo il giro delle associazioni locali per chiedere il necessario sostegno economico all’aumento di capitale del quotidiano senza ottenere grandi successi. Senza contare che anche in caso di esito positivo la questua rischierebbe di rivelarsi un’arma a doppio taglio dato che comporta una nuova ondata di malumori tra gli industriali, soprattutto in un momento economico così delicato dove tante aziende stentano a ripartire e a far quadrare i conti. Gli imprenditori si chiedono soprattutto se il Sole 24 Ore non rischi di essere un pozzo senza fondo: una volta terminato l’aumento di capitale, chi potrebbe infatti assicurare che l’azienda sarà in grado di decollare?

La questione non è peregrina, tanto che nei giorni scorsi è stata posta anche dai giornalisti del Sole che domenica 6 novembre hanno pubblicato un elenco di 10 domande all’editore sulla falsariga di quanto emerso dal verbale del consiglio generale di Confindustria del 12 ottobre svelato dal Fatto Quotidiano lo scorso 3 novembre. La risposta è attesa per l’assemblea dell’editrice del prossimo 14 novembre (il 21 in seconda). Resta il fatto che Emma Marcegaglia nel corso della stessa riunione ha messo sul piatto un piano tagli lacrime e sangue con un drastico taglio degli oltre 1200 dipendenti dell’editrice. L’operazione però, oltre che di dubbia utilità, non è affatto facile perché passa per i licenziamenti collettivi e necessita di sostegno politico per far scattare ammortizzatori sociali di cui, tra l’altro, l’azienda ha già ampiamente beneficiato in passato per abbattere il costo del lavoro. Tuttavia gli industriali restano scettici. Sanno bene che una cosa è la ristrutturazione con i tagli dei costi e ben altra è il rilancio che passa per gli investimenti e i progetti di sviluppo. Con il rischio che il ridimensionamento sia solo l’ennesima fase intermedia che porta scarsi risultati. Senza contare che sullo sfondo da anni si discute dell’eliminazione del vincolo obbligatorio della pubblicità economico-finanziaria su giornali nazionali per bandi pubblici e comunicazioni sociali di aziende quotate. Ipotesi che, con l’avvento di un nuovo scenario politico, potrebbe diventare realtà mettendo in ginocchio la fragile economia del Sole e dell’intera stampa nazionale.

Intanto i contorni del cavaliere bianco sullo sfondo restano sbiaditi. La possibilità di un matrimonio riparatore con il Corriere della Sera ormai nelle mani di Urbano Cairo è tramontata. L’avvento di una cordata di non meglio precisati imprenditori o investitori istituzionali interessati a rilevare una quota dell’editrice direttamente dalle mani di Confindustria, è osteggiata da alcuni, auspicata da altri e accettata come inevitabile da altri ancora. Tutta da capire, poi, la posizione della Luiss ventilata nei giorni febbrili dell’emersione del buco di bilancio del Sole e del violento scontro tra i consiglieri dell’editrice. Pur essendo stata smentita, l’ipotesi affonda le sue radici nell’intricato rapporto che unisce Confindustria all’università romana presieduta da Emma Marcegaglia, confermata nell’incarico lo scorso 22 luglio dallo stesso Boccia, e retta da Paola Severino, sostenuta dal direttore generale di Confindustria Manuela Panucci. Confindustria è socia infatti di ALUISS, Associazione per la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali, nel cui consiglio Boccia ha appena innestato il suo uomo di fiducia, l’editore napoletano Diego Guida. La ALUISS è il finanziatore dell’università romana che è anche sostenuta dagli Amici della Luiss, in cui non si muove foglia senza il benestare del costruttore editore Francesco Gaetano Caltagirone ed in cui è indirettamente presente anche il comune di Roma attraverso la partecipata Acea. Non secondario, poi, il peso nell’ateneo del banchiere editore Luigi Abete, che è anche storico consigliere del Sole 24 Ore tra i partecipanti di spicco al burrascoso cda di fine settembre.

Nel 1998 Confindustria, attraverso la partecipata Aedificatio, ha pensato bene di donare un immobile alla ALUISS che è stato offerto all’università in comodato d’uso gratuito insieme alla prestigiosa sede di via Pola a Roma. Tuttavia la ALUISS non naviga in buona acque e ha archiviato il 2014 con una perdita da 596mila euro. “Il patrimonio netto dell’associazione è, alla stessa data, di euro 17.894.996 milioni”, spiega il bilancio 2015 di Confindustria rammentando i dettagli dell’operazione immobiliare “ai fini di una corretta valutazione delle disponibilità di Confindustria”. E poi aggiunge che “in caso di scioglimento dell’Associazione, lo statuto prevede che i beni siano devoluti secondo le determinazioni che l’Assemblea riterrà di adottare”. Excusatio non petita, insomma, per ricordare che, in casi estremi, i due immobili torneranno nella disponibilità in toto o in parte di Confindustria. Senza peraltro nulla aggiungere sull’attuale situazione di bilancio di ALUISS relativamente a eventuali debiti o perdite pregresse, argomenti di indubbio interesse per una “corretta valutazione” della situazione di Confindustria.

La partita sul Sole è quindi politica prima ancora che finanziaria. E ha un impatto non indifferente sugli scheletri nell’armadio di Confindustria. Qualunque siano state le riflessioni attorno ad ALUISS, resta il fatto che, se Boccia sollecitasse un aiuto della Marcegaglia, sarebbe poi per lui difficile avallare in assemblea eventuali richieste di azioni di responsabilità e conseguenti risarcimenti per la gestione del Sole 24 Ore, che prima del tandem Squinzi-Benedini era in mano all’attuale presidente dell’Eni. E magari anche per quella di Confindustria, che sulla base della valutazione fatta da un “esperto indipendente” ha mantenuto nel 2015 la valutazione della partecipazione del Sole 24 Ore a “132.595 milioni che risulta superiore di oltre € 74.095 milioni rispetto alla quotazione di Borsa al 31 dicembre 2015 e di € 74.100 milioni rispetto alla quota corrispondente di patrimonio netto consolidato al 31 dicembre 2015”. Ha deciso cioè di posticipare la decisione sull’allineamento del valore della quota ai prezzi di mercato, che nel caso di una società invece che di una associazione, sarebbe obbligatorio.

Lo scontro sul Sole 24 Ore che ha già spezzato l’asse Boccia-Squinzi, rischia quindi di incrinare anche quello con la Marcegaglia compromettendo definitivamente il flebile accordo che ha portato all’elezione dell’imprenditore campano. Per non parlare degli ingenti danni economici e di immagine che rischiano di gravare sull’associazione degli imprenditori italiani che, lungi dall’essere un piccolo club, è a tutti gli effetti un’impresa con ben 253 dipendenti contando anche collaboratori e partecipate al 100%, dal costo complessivo di più di 20 milioni di euro l’anno e aprendo ad un piano di ristrutturazione e taglio costi ben più ampio da quello appena varato da Boccia.
soloo42001
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da soloo42001 »

È stata l’autocelebrazione dell’io renziano. L’esaltazione dell’appartenenza a un gruppo che si ritiene superiore a tutto e tutti. Il guru dice “noi siamo democratici e la Leopolda è aperta a tutti, noi siamo per il confronto”. E lo ripete, lo grida, lo scandisce tra gli applausi di centinaia di adepti chiusi in una stazione circondata da oltre mille agenti delle forze dell’ordine, con controlli ferrei all’entrata e senza confronto neanche con i giornalisti. È credibile? No. Ovviamente.

Hanno gettato la maschera.
Se il PD esiste ancora come partito è perchè il "brand" è importante.
Così cone la rete, per quanto impoverita, degli attivisti.
La speranza della minoranza è che Renzi si faccia fuori da solo.
Esca dal PD fondando un partito centrista, il PdR.
Sicchè alla minoranza rimarrebbe la vecchia ditta, per quanto mal ridotta.
Più tutta la galassia di fondazioni exDS per finanziarla.

Ma non accadrà mai. Renzi non è scemo.
Il suo consenso e la sua base sono già aggregati tramite la Leopolda.
Il PD gli serve relativamente poco per fare politica ATTIVA.
Più che altro il controllo del PD gli serve per non consentire di fare politica attiva ai suoi nemici.
Piuttosto di regalare un asset al nemico politico lo farà fallire, vedrete.

Nel frattempo gli anni passano, la precarietà aumenta, crescono i grillini e l'idea
alternativa di centrosinistra muore.

soloo42001
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA BANCAROTTA DELL'UMANITA'. SEZIONE BEL PAESE.

CU PERLO O CU PIRLA?????

PER UNO STRACCIO DI POLTRONA VA BENE ANCHE LA P2-P3-P4-P5


PIANO PIANO STANNO VENENDO ALLO SCOPERTO.


Verdini chiama Renzi: “Pd ormai finito. Praterie per una coalizione con noi”

Politica
Dopo le divisioni della Leopolda, il leader di Ala, intervistato da La Stampa, lancia la proposta di una "forza di centro moderata". Ed esorta il presidente ad abbandonare la minoranza dem: "Finiranno come Fassina, D’Attorre e Civati, ai margini della vita politica". Poi ricorda al premier: "Per cambiare l'Italicum ha bisogno di noi e di Alfano"
di F. Q. | 8 novembre 2016
COMMENTI



Più informazioni su: Denis Verdini, Matteo Renzi, PD
Denis Verdini sfrutta le divisioni post-Leopolda per completare l’abbraccio con Matteo Renzi: “Avete visto cos’è successo alla Leopolda? Il Pd ormai è finito, tra Renzi e la minoranza le strade si dividono. E per il centro che vogliamo costruire si aprono praterie in una coalizione con il Pd”. Il leader di Ala fissa i suoi obiettivi in un’intervista a La Stampa, dove si dice “convinto che il Sì alla fine vincerà. Gli italiani capiranno la portata di questa riforma”. Verdini passa dal referendum all’Italicum, convinto che la legge elettorale cambierà in ogni caso: “Le modifiche sono praticamente cosa fatta: via il ballottaggio e premio alla coalizione che supera una certa soglia”. L’Italicum, prosegue Verdini, “cambia perché sta cambiando lo scenario politico. Il Pd si sta spaccando. E per Renzi – sottolinea – è necessario mettere in piedi una coalizione con una forza di centro. Noi lavoriamo per questo. Ci sono praterie per una forza moderata alleata col Pd”.
(video di Marta Manzo)
Il leader di Ala non risparmia altre stoccate alla minoranza democratica, per la quale non vede un futuro insieme a Renzi: “In ogni caso, anche se vincesse il No, non me li immagino correre alle prossime elezioni insieme a Renzi. Finiranno come Fassina, D’Attorre e Civati, ai margini della vita politica. Perché la gente che ce l’ha con Renzi vota i grillini, mica loro. Per Bersani non ci sono spazi da riempire”. E sull’accordo interno ai democratici che prevede una bozza di modifiche all’Italicum Verdini sentenzia: “Non conta niente. Il Pd da solo non ha i numeri al Senato per cambiare l’Italicum e dunque Renzi deve trattare con noi e con Alfano“.

di F. Q. | 8 novembre 2016



VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... i/3175485/
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA VOX POPULI:


UncleTom • 4 minuti fa
Tieni duro, questo commento deve ancora essere approvato da Il Fatto Quotidiano.
CHI DIMENTICA IL PASSATO E' COSTRETTO A RIVIVERLO.
Primo Levi

Noi non ci ricordiamo neppure l'altro ieri, quando il piduista Denis Verdini ha fatto da padrino politico a Pinocchio, Benito, Mussoloni-La Truffa, affinché potesse diventare sindaco di Firenze, perorando la causa presso Silvio Berlusconi, pregandolo di contrapporre un concorrente di Forza Italia di scarso valore. E' stato lo stesso Filippo Galli, portiere della Fiorentina e del Milan, a raccontare come sono andate le cose.
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hardcore • 27 minuti fa
Se fossi un elettore di Renzi mi vergognerei ad uscire di casa.
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Eraser • 27 minuti fa
....e subito dopo il ricongiungimento con Papi Silvio.
Vai Matteo, facci sognare.
PDDDDDUINIIIIIIIIIIIIIIIIIII.....che ne pensate di VERDINI!?
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Amblo • 28 minuti fa
verdini ha confermato quello che vado dicendo da almeno tre mesi!
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Tru3dom • 29 minuti fa
Il solito teatrino del prendi e molla fatto a proprio uso e consumo quando si sa che c'è un'intesa profonda tra questi personaggi che condividono stessa mentalità, stesas visione, stessi interessi e stessi metodi. È ovvio che prendano in totale più voti così, fingendosi divisi piuttosto che plateamente uniti.
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ricominciodaqui • 29 minuti fa
i pddini per continuare a votare questo partito recordman politico tra inquisiti e condannati deve per forza di cose esserne colluso e non soffrire di ulcera gastrica
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the player • 30 minuti fa
Denis, sei un grande, riesci a far capire più cose tu che cento leggi sbagliate fatte da questo sgoverno.......
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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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stavrogin • 34 minuti fa
se il PD abbandona anche l'ultimo lacerto di identità, Renzi e Verdini si troveranno attorno a sé veramente praterie sconfinate. Dove potranno pascolare in perfetta solitudine, una volta abbandonata la politica.
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Enrico Di Bartolomei • 34 minuti fa
Un padre costituente dell'italia, ormai il pd è spaccato e finito.
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mario scano • 34 minuti fa
Ma vah, non ce ne eravamo accorti.
Verdini diglielo tu a matteo; sei l'unico che ascolta
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giancarlo r • 34 minuti fa
La decomposizione del pd, prima dell'ex macellaio di Fivizzano, l'aveva preconizzata Beppe Grillo...
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franco161164 • 37 minuti fa
il nuovo partito alfaverdirenziano
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dbx • 40 minuti fa
lo fareste amministrare il vostro condominio uno così?
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quoquetu • 41 minuti fa
Come back home..................missione compiuta al top.
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lupo della steppa • 42 minuti fa
una mattina
mi son svegliato
e ho trovato l'invasor…

con la sola differenza che gli elettori di sx che votano PD
manco se ne sono accorti.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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talia • un'ora fa
Che lo dicano o non lo dicano che non si vede che Renzi di sinistra non ha assolutamente nulla !
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pamsw • un'ora fa
ha parlato il PREGIUDICATO amico del giullare fiorentino.
Tocchiamoci ! ! !
E quì,mi sparo un bel NOOOOOO !
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Nunzio • un'ora fa
Solo un renziano può far fuori politicamente Renzi, bravo Verdini o Alfano &C., prima dandogli l'abbraccio (mortale) per poi lasciarlo, in seguito se non obbedisce, in mezzo al guado senza più sponde cui approdare a sn: e questo sarebbe il nuovo !?
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Mesopersolapasssword • un'ora fa
Da PD (partito democratico) a P2 (Partito dei 2 leader) il passo è finalmente breve.
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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

OVVIO, CHE QUANTO SUCCESSO NEGLI USA SI RIVERBERASSE ANCHE NEL BEL PAESE.

IN UN PAESE CHE E' STATO ADDORMENTATO, E NARCOTIZZATO NEL TEMPO, COME TANTA RANE BOLLITE, NEL BENE O NEL MALE, PER QUALCUNO DA NOI, L'ESPERIENZA USA RAPPRESENTA UNA MOSSA DA SEGUIRE, PER NON CONTINUARE A BOLLIRE NELLO STUPIDARIO DI PINOCCHIO MUSSOLONI & SOCI CHE DA ANNI STANNO PENSANDO SOLO ALLE PROPRIE TASCHE DIMENTICANDOSI CHE GOVERNANO UNA NAZIONE DI 60 MILIONI DI ABITANTI.

VALE IL DETTO DI ABRAMO LINCOLN:


Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo.

FORSE LA SVEGLIA ARRIVA DAGLI USA.

L'APPUNTAMENTO PER I TRICOLORI E' PER IL 4 DICEMBRE 2016.


RIUSCIRANNO GLI ITALIANI A CAPIRE E SVEGLIARSI DAL TORPORE DELLA RANA BOLLITA???????





Ragù di capra
di Gianfrancesco Turano
09 nov
http://turano.blogautore.espresso.repub ... r-litalia/



Un Trump per l'Italia


Alla fine aveva ragione il regista Michael Moore, il vecchio, grasso, bollito Mike Moore. Gli statunitensi hanno votato Donald Trump per il semplice motivo che potevano farlo, come avevano già fatto i cittadini del Minnesota eleggendo governatore il wrestler Jesse Ventura.

In Usa vince la Storia, quella che alcuni hanno dato per morta o, quanto meno, vecchia, grassa e bollita come il regista.

Trump completa una serie di leader globali che include Vladimir Putin e Tayyip Erdogan, uomini forti liberamente votati da decine di milioni di persone. Dittatori democratici che vogliono rifare grandi la Russia e la Turchia.

Parlare degli errori di Hillary è ridicolo. Clinton è stata travolta da un meccanismo storico enorme, avviato con la destrutturazione dell'ultimo riparo dell'uomo di sinistra: la legge è uguale per tutti.

Non sembri curioso che la deregulation sia, quanto meno in partenza, un concetto reazionario e di destra. La deregulation sta al potere dell'uomo forte come la semina al raccolto.

Trump, del resto, è una creatura purissima della deregulation reaganiana. Nasce e prospera in quegli anni, quando bastava avere buoni avvocati per eludere la legge, cosa che Trump ha fatto disinvoltamente a più riprese.

In questa campagna gli è bastato invocare il potere della legge per conquistare le due categorie che lo hanno fatto vincere. Non sono gli uomini del Ku-Klux-Klan ma i poteri deboli e i progressisti, quelli che più sentono il bisogno di essere protetti dalle regole.

Quelli convinti che con Trump, tecnicamente un fuorilegge, la legge tornerà a dominare e che si finirà una buona volta con la storia che ognuno fa come gli pare.

La vittoria di Trump è la vittoria di chi vuole tornare ai divieti, fin dai livelli minimi della scala sociale. È la vittoria di chi vuole sanzionare perché non ha privilegi sufficienti per potersi permettere tutto, come i babbei di Hollywood e dello star system che hanno insultato Trump per mesi con un effetto boomerang strepitoso.

E da oggi, a ognuno il suo Trump, il suo Erdogan, il suo Putin.

Il “Trump loci” vincerà anche in Italia. Il nostro Trump sarà il primo che pulirà le strade, toglierà le insegne abusive, metterà un limite alla porcilaia degli ubriaconi di piazza e ai parcheggi in seconda fila.

L'interprete del ruolo in Italia non è ancora all'orizzonte. Grillo ha molte caratteristiche idonee alla parte, ha solo un anno meno di The Donald ma forse non ha voglia. Salvini ha voglia ma non passa in mezza Italia.

Saranno loro o sarà qualcun altro. Ma il nostro Erdogan, il nostro Putin, il nostro Trump, da qualche parte è in produzione.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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#enricostasereno - La vendetta



Trump, Letta: “Errore ignorare la rabbia, oggi la gente vota contro l’establishment a prescindere. L’Italia pagherà l’instabilità che verrà”

Elezioni USA 2016
L'ex presidente del Consiglio, che oggi dirige l'Institut d'études politiques de Paris-Sciences Po: "Il miliardario incarna il dissenso, bisogna trarne una lezione". Sul versante economico bisognerà fare i conti con un effetto "imprevedibilità" e "sono sempre gli anelli più deboli a pagare di più: la crescita dei tassi di interesse impatterà sul costo del nostro debito. Quando si genera instabilità, l’Italia deve staccare un assegno più alto degli altri"
di Gianni Rosini | 9 novembre 2016
COMMENTI

Enrico Letta, ex ministro e presidente del Consiglio, il presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, ha dichiarato che con Donald Trump presidente degli Stati Uniti “la relazione transatlantica diventerà più difficile”. Cosa vuol dire? Sono fondate le preoccupazioni di alcune cancellerie europee?

“Secondo me la preoccupazione è pienamente giustificata.

Dobbiamo distinguere due aspetti.

Primo: bisogna prendere questo voto come una lezione per ridiscutere il rapporto tra la gente comune e l’establishment e analizzare la rabbia che la gente ha espresso nei confronti della politica.

È una lezione che deve essere presa in positivo, non si può continuare a ignorarla e limitarci a isolare il dissenso perché questo, poi, genera mostri.

La verità è che c’è una rabbia nei confronti dell’establishment e la gente vota contro l’establishment a prescindere. E la Clinton è l’incarnazione perfetta dell’establishment.


La seconda questione è quella riguardante le politiche di merito.

Questo mi preoccupa molto.

Da una parte mi sembra che vi sia una forte tendenza isolazionista, esattamente l’opposto di quello che è stato il passato interventista degli Stati Uniti.

Questo avrà delle ripercussioni anche sulle spese militari dell’Europa che dovrà confrontarsi con un’esigenza di sicurezza che fino a oggi era garantita totalmente dall’alleato americano.

Dall’altra parte c’è un’imprevedibilità che può risultare rischiosa per la sicurezza in alcune aree del mondo”.

Ma Trump rappresenta un interlocutore affidabile per Bruxelles e gli Stati europei?

“Va messo alla prova, ma al momento tutti i segnali mi fanno dire che assolutamente non lo è.



Sarà un interlocutore molto complicato e imprevedibile.


Dovremo capire chi saranno i Segretari e i collaboratori del governo per avere un’idea più chiara.


E non facciamo i buonisti, non iniziamo con i paragoni assurdi con Ronald Reagan.


Era un’altra cosa: si circondò di personaggi di una levatura unica come James Baker.

Non possiamo dire che Trump non è poi così male solo perché ha vinto.

Abbiamo davanti uno che ha in mano la famosa valigetta nucleare col pulsante e il Presidente, negli Stati Uniti, ha un potere praticamente assoluto.


Ci sono motivi di preoccupazione molto evidenti, anche se credo e spero che l’America abbia un sistema interno capace di evitare il peggio”.

Il paradigma sul quale si è basato lo scenario geopolitico internazionale dopo il 1945 prevede la presenza degli Stati Uniti nei teatri più importanti. Questo rischia di cambiare con un Trump isolazionista?

“Certo è che con le tensioni che ci sono nel mondo non abbiamo bisogno di un’America che gioca alla meno, a evitare di far danni.

Ci vorrebbe un’America positiva, un’America che aiuta, che interviene con saggezza, che trova il modo di far fare pace ai vari interlocutori.

Trump è uno che invece può dire qualsiasi cosa nei momenti più strampalati e questo preoccupa molto.

Inoltre, il fatto che lui metta l’attenzione esclusivamente su aspetti di politica domestica farà sì che questi prenderanno il sopravvento su qualsiasi altro argomento di carattere generale e questo non è positivo.

Io sono uno di quelli che reputa l’eredità di Obama molto positiva.

Si è trovato un’eredità da far tremare i polsi, con i grandi errori come l’Iraq, ed è riuscito a tornare indietro con fatica e difficoltà, mantenendo un ruolo degli Stati Uniti fondamentale.

Penso a Cuba, all’Iran, a varie zone dell’Asia, nel Pacifico, è stato un alleato importante dell’Europa. Lo rimpiangeremo”.

Questo risultato ha fatto esultare i partiti populisti europei, con Salvini entusiasta del voto americano.

Crede che si tratti della scintilla che causerà la definitiva ascesa di questi movimenti anche in Europa?

“Si tratta di vedere, non è scontato. L’unico risultato che abbiamo come esempio è quello del voto spagnolo avvenuto tre giorni dopo la Brexit.

Nelle ultime ore, secondo tutti i sondaggisti, il voto spagnolo ha registrato un soprassalto in favore dei due partiti tradizionali che hanno sopravanzato i due non tradizionali, probabilmente come reazione di paura in risposta al salto nel buio della Brexit.

Quindi aspetterei a parlare di accelerata dei populismi.

Poi non scordiamoci che negli Stati Uniti è sempre un gioco a due e Trump si è trovato nella situazione ideale: raramente un presidente uscente ha visto succedere uno del suo stesso campo e, inoltre, la Clinton rappresentava ciò che di più vicino c’è all’establishment che la gente oggi combatte.

Trump, invece, è un outsider vero, non come Salvini o Le Pen che sono in Parlamento da venti anni”.

Cosa cambia, invece, per l’Italia?

“Non so se in politica interna, ma questo risultato avrà degli effetti sui nostri affari internazionali. Dovremo farci un esame di maturità, ci ritroveremo spesso a dover fare le cose da soli o con gli alleati europei più che con gli americani.


Non c’è da dormire sogni tranquilli sulla Libia o altri scenari simili.


Inoltre, questo effetto instabilità fa sì che siano sempre gli anelli più deboli a pagare di più: non i tedeschi, ma noi, soprattutto riguardo alla crescita dei tassi di interesse che impatterà sul costo del nostro debito.

Quando si genera instabilità, l’Italia deve staccare un assegno più alto degli altri. Occhio che c’è un tifone in giro, rafforziamo i tetti”.

Ci saranno dei cambiamenti nei rapporti commerciali tra Stati Uniti e Paesi europei?
Il Ttip sarà rispolverato in qualche modo?


“Non scommetterei un euro sul Ttip dopo quello che è successo.

Lui è stato chiarissimo: la sua politica è isolazionista, anche nei confronti dei mercati europei.

Non ho dubbi: questa è la sua bandiera da vendere agli elettori.

Questa è una conseguenza abbastanza sicura dell’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti”.

A proposito di stabilità. Trump non ha mai nascosto la sua ammirazione per le politiche di Putin. Questo rischia di spostare l’asse mondiale verso est? E l’Europa, debole a causa della Brexit e divisa al suo interno sulla questione migranti e le sanzioni alla Russia, dovrà avere la forza e la maturità di fare da stabilizzatore?

“Nell’ultima settimana sono stato in Cina e sono rimasto sorpreso da come tutti i cinesi tifassero apertamente per Trump.

La stessa cosa in Russia, quindi è evidente che ci sia un cambio di paradigma perché questi due Paesi sono sempre stati considerati due potenziali minacce.

Però non ne sarei troppo sicuro perché Trump fa molti discorsi ma si dovrà confrontare con i problemi reali.

Detto questo, credo che l’Europa debba pensare ai suoi interessi e fare un ragionamento su se stessa.

Questa è una grande sveglia per l’Europa, sia sul tema delle democrazie che sul tema delle politiche”.

È strano pensare a una Cina che esulta per la svolta isolazionista statunitense, la chiusura delle frontiere commerciali e un parziale stop agli investimenti esteri…

“La Clinton per loro era la soluzione peggiore.

Voleva dire interventismo, mentre Trump è isolazionismo.

Non vogliono qualcuno che vada a rompere le scatole sulle loro vicende asiatiche, come le isole del Mar Cinese Meridionale”.

Questa stima che Trump nutre per Putin potrebbe facilitare una risoluzione favorevole alla Russia della questione siriana, ucraina e dei Paesi Baltici?

“Su questo è necessario aspettare e vedere quali siano effettivamente le politiche di Trump.

Le sue parole mi sembrano più battute elettorali che ragionamenti da Presidente.

L’idea che gli Stati Uniti cambino radicalmente e considerino Russia e Cina come migliori alleati la devo vedere.


Gli establishment repubblicano e democratico non appoggerebbero questa svolta e nemmeno il cittadino medio americano.

Il rapporto tra Putin e Trump non ha influito sulle intenzioni di voto.

È innegabile che, comunque, ci sia un interesse europeo, italiano in particolare, a rasserenare i rapporti con la Russia”.

La sconfitta della Clinton rappresenta a suo parere anche un verdetto negativo degli americani sull’eredità lasciata da Obama?

“No, penso proprio di no. Perché è sempre stato evidente che Obama e Clinton sono due cose diverse.

Arrivo a pensare che Obama avrebbe vinto.

La Clinton c’era prima di Obama e ha tentato di esserci dopo Obama e questo nella politica di oggi non funziona, non paga”.



Twitter: @GianniRosini
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