Economia
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Re: Economia
BASSA QUOTA Dal mancato rilancio di Linate alla “cura ” non riuscita su flotta, passeggeri e conti
Etihad, l’aeroflop degli arabi:
pronti a scappare da Alitalia
A nemmeno 2 anni
dall’ingresso nella compagnia
italiana con il 49%, il
principe di Abu Dhabi e
del suo plenipotenziario
Hogan attaccano il governo.
Per provare a salvarsi
q MARTINI A PAG. 12
Etihad, l’aeroflop degli arabi:
pronti a scappare da Alitalia
A nemmeno 2 anni
dall’ingresso nella compagnia
italiana con il 49%, il
principe di Abu Dhabi e
del suo plenipotenziario
Hogan attaccano il governo.
Per provare a salvarsi
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Re: Economia
Istat: “Economia in nero vale il 13% del Pil”
Sommerso e attività illecite saliti a 211 miliardi
laboratorio-tessile-in-nero-990
Economia & Lobby
Oltre 3 milioni e mezzo di lavoratori in nero, 180mila in più rispetto al 2013, mentre il valore connesso alle attività illegali, incluso l’indotto, ammonta all’1 per cento del Pil, cioè 17 miliardi. È questo il quadro che emerge dai dati Istat relativi all’economia non osservata (sommersa e relativa ad attività illecite) nel 2014, che vale il 13 per cento del Pil. In valore assoluto parliamo di 211 miliardi. Numeri che superano di quasi cinque miliardi i valori registrati nel 2013, quando l’economia non osservata pesava per il 12,9%, per un totale di circa 206 miliardi. E nel 2011 il peso sul Pil si fermava al 12,4% (pari a circa 203 miliardi). Quindi, nel giro di tre anni, il valore è aumentato dello 0,6%
http://www.ilfattoquotidiano.it/
Sommerso e attività illecite saliti a 211 miliardi
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Economia & Lobby
Oltre 3 milioni e mezzo di lavoratori in nero, 180mila in più rispetto al 2013, mentre il valore connesso alle attività illegali, incluso l’indotto, ammonta all’1 per cento del Pil, cioè 17 miliardi. È questo il quadro che emerge dai dati Istat relativi all’economia non osservata (sommersa e relativa ad attività illecite) nel 2014, che vale il 13 per cento del Pil. In valore assoluto parliamo di 211 miliardi. Numeri che superano di quasi cinque miliardi i valori registrati nel 2013, quando l’economia non osservata pesava per il 12,9%, per un totale di circa 206 miliardi. E nel 2011 il peso sul Pil si fermava al 12,4% (pari a circa 203 miliardi). Quindi, nel giro di tre anni, il valore è aumentato dello 0,6%
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Re: Economia
LIBRE news
Perkins: dopo il terzo mondo, ora stanno depredando noi
Scritto il 15/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori riescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.
Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili John Perkins, ex "sicario dell'economia"avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.
Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.
E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori Manuel Zelayariescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.
Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.
(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).
Perkins: dopo il terzo mondo, ora stanno depredando noi
Scritto il 15/10/16 • nella Categoria: idee Condividi
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori riescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).
La situazione è molto peggiorata negli ultimi 12 anni, rispetto a quando pubblicai “Confessioni di un sicario dell’economia”. Gli assassini economici e gli sciacalli si sono diffusi tremendamente, anche in Europa e negli Stati Uniti. In passato si concentravano essenzialmente sul cosiddetto Terzo Mondo, o sui paesi in via di sviluppo, ma ormai vanno dappertutto. E infatti, il cancro dell’impero delle multinazionali ha metastasi in tutta quella che chiamo la moribonda economia fallita globale. Questa economia è basata sulla distruzione di quelle stesse risorse da cui dipende, e sul potere militare. E’ ormai completamente globalizzata, ed è fallimentare. Siamo passati da essere beneficiari di questa economia assassina ad essere ora le sue vittime. In passato, questa economia di assassini economici era propagandata per poter rendere l’America più ricca e presumibilmente per arricchire tutti i cittadini, ma nel momento in cui questo processo si è esteso agli Stati Uniti e all’Europa, il risultato è stato una enorme beneficio per i molto ricchi a spese di tutti gli altri. Su scala globale sappiamo che 62 persone hanno ormai in mano gli stessi mezzi della metà più povera del mondo.
Naturalmente in America vediamo come il governo sia paralizzato, semplicemente non funziona. Viene controllato dalle grandi multinazionali. Queste hanno capito che il nuovo obiettivo, la nuova risorsa, sono gli Usa e l’Europa, e gli orribili John Perkins, ex "sicario dell'economia"avvenimenti successi in Grecia, e Irlanda e Islanda, stanno ormai avvenendo anche da noi, negli Usa. Le statistiche ci mostrano una crescita economica, ma allo stesso tempo aumentano i pignoramenti di case e la disoccupazione. Si tratta della stessa dinamica debitoria che porta a amministratori di emergenza, i quali consegnano le redini dell’economia alle multinazionali private: lo stesso meccanismo che vediamo nei paesi del terzo mondo. Quando ero un “sicario dell’economia”, una delle cose che facevamo era concedere enormi prestiti a questi paesi, ma quei soldi non finivano mai davvero ai paesi, finivano alle nostre stesse multinazionali che vi costruivano le infrastrutture. E quando i paesi non riuscivano a ripagare i loro debiti, imponevamo la privatizzazione della gestione dell’acqua, delle fognature e della distribuzione elettrica. Ormai vediamo succedere la stessa cosa negli Stati Uniti. Flint nel Michigan ne è un ottimo esempio.
Non stiamo parlando di un impero degli Stati Uniti, si tratta di un impero delle multinazionali protette e appoggiate dall’esercito Usa e dalla Cia. Ma non è un impero degli americani, non aiuta gli americani. Ci sfrutta nella stessa maniera in cui noi abbiamo sfruttato gli altri paesi del mondo. Viaggiando attraverso gli Usa e nel mondo, vedo davvero che la gente si sta svegliando. Stiamo capendo. Capiamo che viviamo in una stazione spaziale molto fragile: non abbiamo alcuna navetta spaziale, e non possiamo andarcene. Dobbiamo risolvere la situazione, dobbiamo prendercene carico, perché stiamo distruggendo la stazione spaziale. Le grandi multinazionali la stanno distruggendo, ma queste vengono gestite da persone, e queste sono vulnerabili. Se ci pensiamo bene, i mercati sono una democrazia, se li usiamo nel modo giusto. Certo, gli accordi come il Ttip sono devastanti, danno alle multinazionali la sovranità sui governi. E’ ridicolo. Vediamo i popoli dell’America Centrale terribilmente disperati, cercano di uscire da un sistema marcio, in primo luogo a causa degli accordi commerciali e delle nostre politiche nei confronti dell’America Latina.
E naturalmente vediamo queste stesse politiche nel Medio Oriente e in Africa, queste onde migratorie che stanno investendo l’Europa dal Medio Oriente. Questi problemi terribili sono stati creati dall’ingordigia delle multinazionali. Sono appena stato in America Centrale e quello che da noi viene definito un problema di immigrazione, in realtà è un problema di accordi commerciali. Non si possono imporre dazi a causa degli accordi commerciali – Nafta e Cafta – ma gli Usa possono dare aiuti di Stato ai loro agricoltori. Gli altri governi non si possono permettere di aiutare i propri agricoltori. Perciò i nostri agricoltori Manuel Zelayariescono ad avere la meglio sui loro, a questo distrugge le altre economie, e anche altre cose, ed ecco perché si creano problemi di immigrazione. Tre o quattro anni fa la Cia ha organizzato un colpo di Stato contro il presidente democraticamente eletto dell’Honduras, Zelaya, perché non si è piegato a multinazionali grandi, globali e con legami con gli Usa come Dole e Chiquita.
Il presidente voleva alzare il salario minimo a un livello ragionevole, e voleva una riforma agraria che garantisse che queste persone riuscissero a guadagnare dalla loro terra, anziché assistere alle multinazionali che lo facevano. Le multinazionali non l’hanno potuto tollerare. Non è stato assassinato, ma è stato disarcionato con un colpo di Stato, e spedito in un altro paese, rimpiazzandolo con un dittatore brutale. Oggi l’Honduras è uno dei paesi più violenti e sanguinari dell’emisfero. Quello che abbiamo fatto fa paura. E quando una cosa così accade a un presidente, manda un messaggio a tutti gli altri presidenti dell’emisfero, e anzi di tutto il mondo: non intralciate i nostri piani. Non intralciate le multinazionali. O cooperate e vi arricchite, e tutti i vostri amici e le vostre famiglie si arricchiscono, oppure verrette disarcionati o assassinati. Si tratta di un messaggio molto forte.
(John Perkins, dichiarazioni rilasciate a Sarah van Gelder per l’intervista “Nuove confessioni di un sicario dell’economia: stavolta vengono a prendersi la democrazia”, pubblicata da “Yes Magazine” e ripresa da “Voci dall’Estero” il 6 ottobre 2016. Perkins è celebre per il bestseller “Confessioni di un sicario dell’economia”, ora aggiornato con una nuova edizione).
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Re: Economia
ECONOMIA OCCULTA
Elezioni Usa 2016, quali saranno le conseguenze per l’economia mondiale?
di Loretta Napoleoni | 6 novembre 2016
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Più informazioni su: Donald Trump, Elezioni Usa 2016, Hillary Clinton, Usa
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Il più grande e avvincente reality dell’era moderna si sta per chiudere, martedì gli americani andranno alle urne e decideranno chi sarà il loro presidente. Un grande fratello in stile Jerry Springer, pieno di insulti e minacce, il tutto sullo sfondo del declino degli Stati Uniti d’America, una nazione che ormai ha ben poco da invidiare al classico “Stato delle banane”.
Ciononostante, gli Stati Uniti continuano a essere la più grande economia al mondo e una potenza militare che non ha rivali. Il prossimo presidente dovrà gestire sia la politica economica che quella estera, ed entrambe avranno un impatto sull’economia mondiale e sulle sorti del mondo.
Difficilissimo fare previsioni perché nessuno dei candidati ci ha detto la verità sulle politiche future, entrambi cavalcano la tigre del populismo; nessuno dei due ha presentato una visione futura nuova, come fece Reagan con la supply side economics. Basta leggere gli slogan per accorgersi della pochezza del pensiero politico del futuro presidente americano: Make America Great Again e Stronger Together. Il primo vuole rilanciare il primato americano mentre il secondo inneggia alla globalizzazione, idee vecchie.
Certo gli slogan contano ben poco, Yes We Can di Obama è rimasto nel cassetto di chi lo ha inventato, un motto sconosciuto in politica economica ed estera. Ma almeno durante la campagna elettorale faceva sognare grandi cose. Per avere un’idea di cosa succederà all’indomani dell’elezione di Hillary Clinton o di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti bisogna spulciare le previsioni dei mercati, sì proprio quelle della finanza che da mesi tiene gli occhi puntati sui due candidati.
Gli analisti concordano che la vittoria della Clinton – candidato status quo – farà salire i listini di borsa spingendo verso l’alto le quotazioni del mercato azionario. L’effetto ‘sollievo’ della scampata catastrofe, rappresentata dalla vittoria di Trump, dovrebbe spingere gli investitori a rischiare di più, abbandonando investimenti poco redditizi, ma più sicuri, come le obbligazioni del Tesoro americano, l’oro e lo yen.
Bisogna dire che in passato la borsa americana ha sempre guadagnato intorno all’1,9 per cento nei 90 giorni dopo le elezioni presidenziali e questo proprio a causa dell’effetto ‘sollievo’ prodotto dalla fine dell’incertezza su chi sarà il prossimo presidente. Questa volta, però, potrebbe non verificarsi nessuna crescita, anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump.
In parte le anomalie nell’andamento dei listini sono legate all’eccezionalità di queste elezioni: Trump non è un politico e ha contro gran parte del partito Repubblicano; la Clinton è la prima donna a correre per la Casa Bianca, dopo averci abitato per 8 anni come first lady. Ci troviamo di fronte a due candidati atipici, insomma, anche in relazione al loro passato ‘burrascoso’, Trump è un donnaiolo, pirata del cemento, la Clinton ha infranto la legge ed i protocolli nazionali diverse volte perché si sente al disopra di tutto e di tutti.
Due megalomani. Non è però detto che le cose vadano così. Secondo gli analisti se Donald Trump vince le elezioni il mercato azionario e finanziario crollerà, un fenomeno che verrà accentuato dalla corsa degli investitori mondiali a vendere tutto ciò che hanno di americano in portafogli, incluso il dollaro.
Il biglietto verde, dunque, si svaluterà. Questa tesi è sostenuta da chi crede che la vittoria di Hillary Clinton sia già stata data per scontata dai mercati finanziari ed che una sua sconfitta prenderebbe tutti in contropiede. Forse quest’analisi era corretta due settimane fa, ma a due giorni dalle elezioni, quando tutti i sondaggi danno i due candidati testa a testa, sembra perdere valore. L’elezione di Donald Trump non è totalmente negativa per la finanza, e il motivo è presto detto: i tassi d’interesse. Con un dollaro forte Janet Yellen, il presidente della Riserva Federale, potrà alzare i tassi d’interesse entro la fine dell’anno, manovra che non piace a Wall Street.
La vittoria di Trump assicurerebbe una caduta del dollaro e nessun taglio dei tassi anche perché farebbe presagire la rimozione della Yellen, come ha più volte dichiarato il candidato repubblicano. Nelle ultime due settimane i mercati hanno preso in considerazione e digerito la possibile vittoria di Trump e si sono anche posizionati per guadagnarci sopra.
La finanza non è l’unica a far buon viso a cattiva sorte. Mentre la Clinton continua a fare passerella con i volti celebri durante i suoi comizi, l’élite militare rema contro di lei. Secondo molti analisti la Clinton è mal vista dai poteri militari perché ‘vuole fare sempre di testa sua’ e non ha una visione realista degli equilibri mondiali. Discorso analogo vale a livello di sicurezza nazionale, voci di corridoio nei punti focali di potere, sostengono che la decisione del direttore dell’FBI di rendere pubbliche le nuove indagini sulle email inviate dal server della Clinton è stata fortemente ostracizzata dal dipartimento di stato, come è successo più volte in passato. Questa volta però il divieto non ha avuto effetto.
Perché? Perché non tutti i poteri forti fanno il tifo per la Clinton. E’ probabile che il tallone d’Achille della Clinton agli occhi dei poteri forti sia la politica estera proiettata verso il contenimento della Russia di Putin allargando i confini della NATO, politica che rischia di sfociare in un conflitto.
Altro elemento negativo è il pericolo che la Clinton, come Obama prima di lei, non riesca a trovare un compromesso lavorativo con l’opposizione e che la presidenza finisca per essere gestita con decreti presidenziali, esattamente come ha fatto Obama.
Attraverso la lente della politica estera, Trump sembra un candidato più malleabile, pronto ad accordi con Putin per pacificare i rapporti tra occidente e Russia. Un paradosso? Tutta la campagna elettorale americana è stata un paradosso! Martedì sapremo chi a vinto, a quel punto bisognerà trovare un altro show politico per intrattenerci, ormai la politica fa più spettacolo di qualsiasi altra cosa.
di Loretta Napoleoni | 6 novembre 2016
Elezioni Usa 2016, quali saranno le conseguenze per l’economia mondiale?
di Loretta Napoleoni | 6 novembre 2016
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Loretta Napoleoni
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Il più grande e avvincente reality dell’era moderna si sta per chiudere, martedì gli americani andranno alle urne e decideranno chi sarà il loro presidente. Un grande fratello in stile Jerry Springer, pieno di insulti e minacce, il tutto sullo sfondo del declino degli Stati Uniti d’America, una nazione che ormai ha ben poco da invidiare al classico “Stato delle banane”.
Ciononostante, gli Stati Uniti continuano a essere la più grande economia al mondo e una potenza militare che non ha rivali. Il prossimo presidente dovrà gestire sia la politica economica che quella estera, ed entrambe avranno un impatto sull’economia mondiale e sulle sorti del mondo.
Difficilissimo fare previsioni perché nessuno dei candidati ci ha detto la verità sulle politiche future, entrambi cavalcano la tigre del populismo; nessuno dei due ha presentato una visione futura nuova, come fece Reagan con la supply side economics. Basta leggere gli slogan per accorgersi della pochezza del pensiero politico del futuro presidente americano: Make America Great Again e Stronger Together. Il primo vuole rilanciare il primato americano mentre il secondo inneggia alla globalizzazione, idee vecchie.
Certo gli slogan contano ben poco, Yes We Can di Obama è rimasto nel cassetto di chi lo ha inventato, un motto sconosciuto in politica economica ed estera. Ma almeno durante la campagna elettorale faceva sognare grandi cose. Per avere un’idea di cosa succederà all’indomani dell’elezione di Hillary Clinton o di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti bisogna spulciare le previsioni dei mercati, sì proprio quelle della finanza che da mesi tiene gli occhi puntati sui due candidati.
Gli analisti concordano che la vittoria della Clinton – candidato status quo – farà salire i listini di borsa spingendo verso l’alto le quotazioni del mercato azionario. L’effetto ‘sollievo’ della scampata catastrofe, rappresentata dalla vittoria di Trump, dovrebbe spingere gli investitori a rischiare di più, abbandonando investimenti poco redditizi, ma più sicuri, come le obbligazioni del Tesoro americano, l’oro e lo yen.
Bisogna dire che in passato la borsa americana ha sempre guadagnato intorno all’1,9 per cento nei 90 giorni dopo le elezioni presidenziali e questo proprio a causa dell’effetto ‘sollievo’ prodotto dalla fine dell’incertezza su chi sarà il prossimo presidente. Questa volta, però, potrebbe non verificarsi nessuna crescita, anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump.
In parte le anomalie nell’andamento dei listini sono legate all’eccezionalità di queste elezioni: Trump non è un politico e ha contro gran parte del partito Repubblicano; la Clinton è la prima donna a correre per la Casa Bianca, dopo averci abitato per 8 anni come first lady. Ci troviamo di fronte a due candidati atipici, insomma, anche in relazione al loro passato ‘burrascoso’, Trump è un donnaiolo, pirata del cemento, la Clinton ha infranto la legge ed i protocolli nazionali diverse volte perché si sente al disopra di tutto e di tutti.
Due megalomani. Non è però detto che le cose vadano così. Secondo gli analisti se Donald Trump vince le elezioni il mercato azionario e finanziario crollerà, un fenomeno che verrà accentuato dalla corsa degli investitori mondiali a vendere tutto ciò che hanno di americano in portafogli, incluso il dollaro.
Il biglietto verde, dunque, si svaluterà. Questa tesi è sostenuta da chi crede che la vittoria di Hillary Clinton sia già stata data per scontata dai mercati finanziari ed che una sua sconfitta prenderebbe tutti in contropiede. Forse quest’analisi era corretta due settimane fa, ma a due giorni dalle elezioni, quando tutti i sondaggi danno i due candidati testa a testa, sembra perdere valore. L’elezione di Donald Trump non è totalmente negativa per la finanza, e il motivo è presto detto: i tassi d’interesse. Con un dollaro forte Janet Yellen, il presidente della Riserva Federale, potrà alzare i tassi d’interesse entro la fine dell’anno, manovra che non piace a Wall Street.
La vittoria di Trump assicurerebbe una caduta del dollaro e nessun taglio dei tassi anche perché farebbe presagire la rimozione della Yellen, come ha più volte dichiarato il candidato repubblicano. Nelle ultime due settimane i mercati hanno preso in considerazione e digerito la possibile vittoria di Trump e si sono anche posizionati per guadagnarci sopra.
La finanza non è l’unica a far buon viso a cattiva sorte. Mentre la Clinton continua a fare passerella con i volti celebri durante i suoi comizi, l’élite militare rema contro di lei. Secondo molti analisti la Clinton è mal vista dai poteri militari perché ‘vuole fare sempre di testa sua’ e non ha una visione realista degli equilibri mondiali. Discorso analogo vale a livello di sicurezza nazionale, voci di corridoio nei punti focali di potere, sostengono che la decisione del direttore dell’FBI di rendere pubbliche le nuove indagini sulle email inviate dal server della Clinton è stata fortemente ostracizzata dal dipartimento di stato, come è successo più volte in passato. Questa volta però il divieto non ha avuto effetto.
Perché? Perché non tutti i poteri forti fanno il tifo per la Clinton. E’ probabile che il tallone d’Achille della Clinton agli occhi dei poteri forti sia la politica estera proiettata verso il contenimento della Russia di Putin allargando i confini della NATO, politica che rischia di sfociare in un conflitto.
Altro elemento negativo è il pericolo che la Clinton, come Obama prima di lei, non riesca a trovare un compromesso lavorativo con l’opposizione e che la presidenza finisca per essere gestita con decreti presidenziali, esattamente come ha fatto Obama.
Attraverso la lente della politica estera, Trump sembra un candidato più malleabile, pronto ad accordi con Putin per pacificare i rapporti tra occidente e Russia. Un paradosso? Tutta la campagna elettorale americana è stata un paradosso! Martedì sapremo chi a vinto, a quel punto bisognerà trovare un altro show politico per intrattenerci, ormai la politica fa più spettacolo di qualsiasi altra cosa.
di Loretta Napoleoni | 6 novembre 2016
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Re: Economia
IlFattoQuotidiano.it / Economia & Lobby / Economia
Donald Trump presidente degli Stati Uniti, Borse europee in flessione e quotazioni oro in salita. Mosca invece festeggia
Economia
Il listino russo guadagna terreno. Putin: "Pronti a riprendere rapporti con gli Usa". A Piazza Affari male le banche e Fiat, mentre il differenziale tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi ha superato i 160 punti base per la prima volta dal voto sulla Brexit. In spolvero invece i Treasury statunitensi. Tra i beni rifugio, in forte aumento anche le quotazioni del franco svizzero. Il peso messicano ai minimi da 19 anni
di F. Q. | 9 novembre 2016
COMMENTI (52)
Borse europee tutte in rosso nel giorno in cui il candidato repubblicano Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali negli Usa. Il risultato ufficiale del voto statunitense è arrivato proprio mentre da questa parte dell’Oceano partivano le negoziazioni sui listini. Le perdite registrate in avvio, variabili tra i due e i tre punti percentuali in scia alle chiusure negative di Tokyo e delle piazze cinesi, si sono poi ridotte. Madrid resta maglia nera, seguita da Milano. In netta controtendenza Mosca, che guadagna intorno all’1,45%. Non è certo un caso: il presidente Vladimir Putin ha subito commentato la notizia della vittoria del tycoon, con cui ha notoriamente un ottimo rapporto, dicendo che “la Russia è pronta a far la sua parte e desidera ricostruire i rapporti a pieno titolo con gli Usa”.
Nervose le Borse europee: il listino spagnolo e quello italiano cedono più del 2%, Parigi l’1,2%, Francoforte l’1,1%. Solo in lieve flessione Londra, che contiene la perdita a meno dello 0,5%. A Piazza Affari sono le banche a registrare la performance peggiore, con sospensioni per eccesso di volatilità per Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare, Bpm, Bper, Unicredit e Ubi. Tra i titoli che registrano le maggiori perdite c’è non a caso Fiat Chrysler, che è quotata anche a New York oltre ad avere molti siti produttivi negli Usa. In netto calo, a meno di due ore dall’apertura, i futures sui principali indici di Wall Street.
Si allarga il differenziale di rendimento tra Btp e Bund. In spolvero i Treasury – Sui mercati obbligazionari, fiammata al rialzo per il differenziale (spread) tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi, che ha superato i 160 punti base contro i 153 della chiusura di martedì rivedendo i massimi dal referendum sulla Brexit di giugno. Il rendimento del decennale italiano è all’1,72. I Btp a 10 anni pagano un interesse dell’1,74% contro l’1,72% di martedì. In spolvero invece i titoli di Stato statunitensi (Treasury), considerati un porto sicuro contro la volatilità: i rendimenti sono scesi fino all’1,7% dall’1,8% di martedì.
Su le quotazioni dell’oro e del franco svizzero. Crollo notturno per il petrolio, poi recupero – Per lo stesso motivo, la ricerca di sicurezze, la vittoria di Trump ha fatto salire le quotazioni del bene rifugio per eccellenza, l’oro, che vede le quotazioni in aumento di oltre il 3% toccando i 1.313 dollari all’oncia. Tra le valute spicca l’andamento di un altro bene rifugio per eccellenza, il franco svizzero, che è arrivato persino a superare quota 1,045 sul dollaro (+3%), per poi scendere a 1,03. Le quotazioni del petrolio, dopo il crollo registrato nella notte italiana, sono tornate verso la parità, con il Brent a 45,94 dollari al barile e il Wti a 44,6 dollari.
Ai minimi dal 1997 il peso messicano – Il peso messicano, che è stato un “termometro” dell’andamento della campagna elettorale, nella notte italiana è affondato del 13%, il calo maggiore da 19 anni. Il dollaro vale ora 20 pesos, contro i 18,3 di martedì. Il tycoon, come è noto, ha sostenuto di voler costruire un muro per contrastare l’immigrazione clandestina e intende disconoscere il trattato di libero commercio Nafta che ha eliminato le barriere tariffarie tra Usa, Messico e Canada.
Donald Trump presidente degli Stati Uniti, Borse europee in flessione e quotazioni oro in salita. Mosca invece festeggia
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Il listino russo guadagna terreno. Putin: "Pronti a riprendere rapporti con gli Usa". A Piazza Affari male le banche e Fiat, mentre il differenziale tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi ha superato i 160 punti base per la prima volta dal voto sulla Brexit. In spolvero invece i Treasury statunitensi. Tra i beni rifugio, in forte aumento anche le quotazioni del franco svizzero. Il peso messicano ai minimi da 19 anni
di F. Q. | 9 novembre 2016
COMMENTI (52)
Borse europee tutte in rosso nel giorno in cui il candidato repubblicano Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali negli Usa. Il risultato ufficiale del voto statunitense è arrivato proprio mentre da questa parte dell’Oceano partivano le negoziazioni sui listini. Le perdite registrate in avvio, variabili tra i due e i tre punti percentuali in scia alle chiusure negative di Tokyo e delle piazze cinesi, si sono poi ridotte. Madrid resta maglia nera, seguita da Milano. In netta controtendenza Mosca, che guadagna intorno all’1,45%. Non è certo un caso: il presidente Vladimir Putin ha subito commentato la notizia della vittoria del tycoon, con cui ha notoriamente un ottimo rapporto, dicendo che “la Russia è pronta a far la sua parte e desidera ricostruire i rapporti a pieno titolo con gli Usa”.
Nervose le Borse europee: il listino spagnolo e quello italiano cedono più del 2%, Parigi l’1,2%, Francoforte l’1,1%. Solo in lieve flessione Londra, che contiene la perdita a meno dello 0,5%. A Piazza Affari sono le banche a registrare la performance peggiore, con sospensioni per eccesso di volatilità per Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare, Bpm, Bper, Unicredit e Ubi. Tra i titoli che registrano le maggiori perdite c’è non a caso Fiat Chrysler, che è quotata anche a New York oltre ad avere molti siti produttivi negli Usa. In netto calo, a meno di due ore dall’apertura, i futures sui principali indici di Wall Street.
Si allarga il differenziale di rendimento tra Btp e Bund. In spolvero i Treasury – Sui mercati obbligazionari, fiammata al rialzo per il differenziale (spread) tra il rendimento dei titoli decennali italiani e quelli tedeschi, che ha superato i 160 punti base contro i 153 della chiusura di martedì rivedendo i massimi dal referendum sulla Brexit di giugno. Il rendimento del decennale italiano è all’1,72. I Btp a 10 anni pagano un interesse dell’1,74% contro l’1,72% di martedì. In spolvero invece i titoli di Stato statunitensi (Treasury), considerati un porto sicuro contro la volatilità: i rendimenti sono scesi fino all’1,7% dall’1,8% di martedì.
Su le quotazioni dell’oro e del franco svizzero. Crollo notturno per il petrolio, poi recupero – Per lo stesso motivo, la ricerca di sicurezze, la vittoria di Trump ha fatto salire le quotazioni del bene rifugio per eccellenza, l’oro, che vede le quotazioni in aumento di oltre il 3% toccando i 1.313 dollari all’oncia. Tra le valute spicca l’andamento di un altro bene rifugio per eccellenza, il franco svizzero, che è arrivato persino a superare quota 1,045 sul dollaro (+3%), per poi scendere a 1,03. Le quotazioni del petrolio, dopo il crollo registrato nella notte italiana, sono tornate verso la parità, con il Brent a 45,94 dollari al barile e il Wti a 44,6 dollari.
Ai minimi dal 1997 il peso messicano – Il peso messicano, che è stato un “termometro” dell’andamento della campagna elettorale, nella notte italiana è affondato del 13%, il calo maggiore da 19 anni. Il dollaro vale ora 20 pesos, contro i 18,3 di martedì. Il tycoon, come è noto, ha sostenuto di voler costruire un muro per contrastare l’immigrazione clandestina e intende disconoscere il trattato di libero commercio Nafta che ha eliminato le barriere tariffarie tra Usa, Messico e Canada.
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Re: Economia
LA VOX POPULI
Zio Fester • 37 minuti fa
E già arrivata l'invasione delle locuste?
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onyxo • un'ora fa
LA LUDOPATIA DELLE LOBBY FINANZIARIE
Stanno come gli avvoltoi a scommettere sul "gratta e vinci" 24 ore al giorno!
Cosa è cambiato?
Nulla,eccetto la solita speculazione.........GIORNALIERA!
Altrimenti, i dipendenti sarebbero ...licenziati!
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onyxo onyxo • 31 minuti fa
SI TRATTA DI UNA LUDOPATIA?
Tutta la storia dimostra che se non giocano cadono in depressione?
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trinariuciuto • un'ora fa
noi del pd siamo con la Clinton, comunque avanti lo stesso con le riforme
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Raffaele2322 trinariuciuto • 42 minuti fa
Questa affermazione suona un po patetica oggi, ma poi perché riforme? finora ne ha fatta solo una e neanche sappiamo se sarà approvata!
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gabrin trinariuciuto • un'ora fa
Ieri sera quando ho visto la Ministra Boschi all'ambasciata americana fare la civetta nei collegamenti televisivi dicendo che tifava Hillary. Ho fortemente desiderato che vincesse Trump. Dio mi ha ascoltato!!!
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Zio Fester • 37 minuti fa
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onyxo • un'ora fa
LA LUDOPATIA DELLE LOBBY FINANZIARIE
Stanno come gli avvoltoi a scommettere sul "gratta e vinci" 24 ore al giorno!
Cosa è cambiato?
Nulla,eccetto la solita speculazione.........GIORNALIERA!
Altrimenti, i dipendenti sarebbero ...licenziati!
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onyxo onyxo • 31 minuti fa
SI TRATTA DI UNA LUDOPATIA?
Tutta la storia dimostra che se non giocano cadono in depressione?
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trinariuciuto • un'ora fa
noi del pd siamo con la Clinton, comunque avanti lo stesso con le riforme
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Raffaele2322 trinariuciuto • 42 minuti fa
Questa affermazione suona un po patetica oggi, ma poi perché riforme? finora ne ha fatta solo una e neanche sappiamo se sarà approvata!
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gabrin trinariuciuto • un'ora fa
Ieri sera quando ho visto la Ministra Boschi all'ambasciata americana fare la civetta nei collegamenti televisivi dicendo che tifava Hillary. Ho fortemente desiderato che vincesse Trump. Dio mi ha ascoltato!!!
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Re: Economia
LIBRE news
Tsunami Trump, nel panico l’élite del globalismo armato
Scritto il 09/11/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«L’impossibile è avvenuto. Il Mule, l’incontrollabile, il pazzo, è riuscito a convicere un popolo stordito dalla crisi più di quanto non potesse fare l’esausta icona dell’establishment, la Killary capace di distruggere la Libia senza un piano per tenerla insieme o di chiedere se fosse possibile mandare un drone per far fuouri Julian Assange.
Due esempi, tra i tanti, della “democraticità ed equilibrio” che dovevano sbarrare la strada al “populismo”».
Così il blog “Contropiano”, a scrutinio americano non ancora concluso ma di fatto, nei numeri, più che consolidato.
«E’ stata una vittoria netta. Non solo in termini di superdelegati, ma anche in termini di voti popolari», quasi un milione e mezzo di elettori a favore di Donald Trump, che «ha conquistato tutti i principali Stati-chiave, a partie da quell’Ohio che era un tempo il cuore dell’industria automobilistica Usa e quindi anche della classe operaia».
“Contropiano” ricorda che «la disoccupazione reale statunitense è diventata già da 20 anni talmente esplosiva da far entrare anche la classe operaia – prima del 2007, prima dell’esplosione dei mutui subprime e di Lehmann Brothers – nel novero del presunto “ceto medio”».
E lo stesso, continua il blog, era avvenuto per molti “farmers”, agricoltori e allevatori, «buzzurri quanto si vuole, ma rovinati progressivamente e irreversibilmente dalla concorrenza globale, fondata su salari da fame incomparabili con quelli Usa».
Un’analisi squisitamente socio-economica: «Il lavorio della crisi, che suscita paure, insofferenza, paura del futuro, ha alla fine generato un gigantesco “vaffa” che ora minaccia di attraversare il pianeta come uno tsunami che non conosce ostacoli».
Per il newsmagazine, che si definisce “giornale comunista online”, Trump è «il sintomo, il collettore, il terminale inconsapevole e inadeguato di una miriade di contraddizioni persino difficili da elencare».
Così, «chi aveva spinto per la “riduzione del danno” – l’establishment di tutti i paesi – ha perso tutto».
L’exploit di Trump, «se non verrà in qualche modo imbrigliato e depotenziato dagli apparati del potere (statale e finanziario, nazionale e multinazionale), mette in discussione i pilastri della governance globale degli ultimi 70 anni».
In altre parole, insiste “Contropiano”, lo storico pronunciamento popolare dei cittadini statnitensi «mette in discussione “l’ordine mondiale” centrato sulla capacità degli Stati Uniti di esercitare egemonia (culturale, politica, economica e soprattutto militare) sul resto del mondo».
Un’avvisaglia dello sconvolgimento globale che questo risultato annuncia la si ricava dalle piazze finanziarie asiatiche, le prime ad aprire: yen e euro si rafforzano sul dollaro, il peso messicano precipita (Trump ha condotto una campagna fortemente anti-immigrati dal paese confinante) mentre vola l’oro, bene-rifiugio per eccellenza. L’indice giapponese Nikkei perde il 4,8%, Hong Kong il 2,8 (dopo essere arrivata al -3,4%), Taiwan il 2,7%.
Catastrofe annunciata per Wall Street, cioè il vero “fortino” di Hillary Clinton. La cittadella finanziaria di Manhattan, per “Contropiano”, è «la vera sconfitta in queste elezioni».
Tsunami Trump, nel panico l’élite del globalismo armato
Scritto il 09/11/16 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
«L’impossibile è avvenuto. Il Mule, l’incontrollabile, il pazzo, è riuscito a convicere un popolo stordito dalla crisi più di quanto non potesse fare l’esausta icona dell’establishment, la Killary capace di distruggere la Libia senza un piano per tenerla insieme o di chiedere se fosse possibile mandare un drone per far fuouri Julian Assange.
Due esempi, tra i tanti, della “democraticità ed equilibrio” che dovevano sbarrare la strada al “populismo”».
Così il blog “Contropiano”, a scrutinio americano non ancora concluso ma di fatto, nei numeri, più che consolidato.
«E’ stata una vittoria netta. Non solo in termini di superdelegati, ma anche in termini di voti popolari», quasi un milione e mezzo di elettori a favore di Donald Trump, che «ha conquistato tutti i principali Stati-chiave, a partie da quell’Ohio che era un tempo il cuore dell’industria automobilistica Usa e quindi anche della classe operaia».
“Contropiano” ricorda che «la disoccupazione reale statunitense è diventata già da 20 anni talmente esplosiva da far entrare anche la classe operaia – prima del 2007, prima dell’esplosione dei mutui subprime e di Lehmann Brothers – nel novero del presunto “ceto medio”».
E lo stesso, continua il blog, era avvenuto per molti “farmers”, agricoltori e allevatori, «buzzurri quanto si vuole, ma rovinati progressivamente e irreversibilmente dalla concorrenza globale, fondata su salari da fame incomparabili con quelli Usa».
Un’analisi squisitamente socio-economica: «Il lavorio della crisi, che suscita paure, insofferenza, paura del futuro, ha alla fine generato un gigantesco “vaffa” che ora minaccia di attraversare il pianeta come uno tsunami che non conosce ostacoli».
Per il newsmagazine, che si definisce “giornale comunista online”, Trump è «il sintomo, il collettore, il terminale inconsapevole e inadeguato di una miriade di contraddizioni persino difficili da elencare».
Così, «chi aveva spinto per la “riduzione del danno” – l’establishment di tutti i paesi – ha perso tutto».
L’exploit di Trump, «se non verrà in qualche modo imbrigliato e depotenziato dagli apparati del potere (statale e finanziario, nazionale e multinazionale), mette in discussione i pilastri della governance globale degli ultimi 70 anni».
In altre parole, insiste “Contropiano”, lo storico pronunciamento popolare dei cittadini statnitensi «mette in discussione “l’ordine mondiale” centrato sulla capacità degli Stati Uniti di esercitare egemonia (culturale, politica, economica e soprattutto militare) sul resto del mondo».
Un’avvisaglia dello sconvolgimento globale che questo risultato annuncia la si ricava dalle piazze finanziarie asiatiche, le prime ad aprire: yen e euro si rafforzano sul dollaro, il peso messicano precipita (Trump ha condotto una campagna fortemente anti-immigrati dal paese confinante) mentre vola l’oro, bene-rifiugio per eccellenza. L’indice giapponese Nikkei perde il 4,8%, Hong Kong il 2,8 (dopo essere arrivata al -3,4%), Taiwan il 2,7%.
Catastrofe annunciata per Wall Street, cioè il vero “fortino” di Hillary Clinton. La cittadella finanziaria di Manhattan, per “Contropiano”, è «la vera sconfitta in queste elezioni».
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Re: Economia
AVEVA SCRITTO SUL FATTO QUOTIDIANO, IL 6 NOVEMBRE U.S., LORETTA NAPOLEONI:
Gli analisti concordano che la vittoria della Clinton – candidato status quo – farà salire i listini di borsa spingendo verso l’alto le quotazioni del mercato azionario. L’effetto ‘sollievo’ della scampata catastrofe, rappresentata dalla vittoria di Trump, dovrebbe spingere gli investitori a rischiare di più, abbandonando investimenti poco redditizi, ma più sicuri, come le obbligazioni del Tesoro americano, l’oro e lo yen.
Bisogna dire che in passato la borsa americana ha sempre guadagnato intorno all’1,9 per cento nei 90 giorni dopo le elezioni presidenziali e questo proprio a causa dell’effetto ‘sollievo’ prodotto dalla fine dell’incertezza su chi sarà il prossimo presidente. Questa volta, però, potrebbe non verificarsi nessuna crescita, anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump.
..........
anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump
GIA' FATTO!!!!!!
Gli analisti concordano che la vittoria della Clinton – candidato status quo – farà salire i listini di borsa spingendo verso l’alto le quotazioni del mercato azionario. L’effetto ‘sollievo’ della scampata catastrofe, rappresentata dalla vittoria di Trump, dovrebbe spingere gli investitori a rischiare di più, abbandonando investimenti poco redditizi, ma più sicuri, come le obbligazioni del Tesoro americano, l’oro e lo yen.
Bisogna dire che in passato la borsa americana ha sempre guadagnato intorno all’1,9 per cento nei 90 giorni dopo le elezioni presidenziali e questo proprio a causa dell’effetto ‘sollievo’ prodotto dalla fine dell’incertezza su chi sarà il prossimo presidente. Questa volta, però, potrebbe non verificarsi nessuna crescita, anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump.
..........
anzi, molti prevedono una caduta degli indici e del dollaro all’indomani della vittoria di Trump
GIA' FATTO!!!!!!
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Re: Economia
Unicredit diventa francese,
il governo fa finta di niente
Se va in porto
All’Italia resterebbero
solo due big finanziari
internazionali: Eni
e Intesa Sanpaolo
»GIORGIO MELETTI La confusione che regna sotto il cielo del sistema bancario italiano è riassunta nei titoli dedicati martedì scorso alle traversie di Unicredit da Corriere della Sera (“Nozze con SocGen? La Borsa ci crede”)eRe pubblica:“Unicredit francese, la Borsa non ci crede”. In realtà la Borsa non crede più a niente, salvo che all’evidenza dei fatti: il sistema bancario italiano non è più governato. Tra Palazzo Chigi, ministero dell’Economia e Banca d’Ita lia siè costituitoun triangolo della distrazione (ed è ancora la migliore delle ipotesi). Vediamo i fatti. L’a m m i n istratore delegato di Unicredit Jean-Pierre Mustier ha ufficiosamente sdoganato la notizia che la banca milanese ha bisogno di almeno 13 miliardi di aumento di capitale: quando lo scrisse Carlo Di Foggia sul Fattodel 4 ottobre scorso i suoi portavoce finsero di fremere di indignazione. In realtà il buco patrimoniale di Unicredit è attorno ai 20 miliardi, e dovrà essere in parte colmato vendendo un po’di gioielleria: tutto ma non l’8,56 per cento di Mediobanca che vale il ruolo chiave di primo azionista della merchant bank fondata da Enrico Cuccia.
M E D I O BA N C A è il primo azionista delle Assicurazioni Generali con il 13,2 per cento. Le Generali, convertendo le obbligazioni subordinate di Mps che chissà perché hanno in pancia, diventerebbero azioniste di Rocca Salimbeni con circa il 7 per cento (oggi il primo azionista è il governo italiano con il 4 per cento). Mps, se non andrà a gambe all’aria entro l’anno come i suoi attuali vertici non sembrano in grado di impedire –si troverà nell’azionariato sia Generali sia la compagnia di assicurazioni francese Axa, già socia e partner industriale di Mps. Lunedì 14 novembre alle 8 di mattina l’agenzia A n s a ha fatto uscire un’insolita indiscrezione che val la pena di riportare : “C’è forse Société Générale nel futuro di Unicredit. L’ipotesi di una fusione per dare vita a un grande gruppo italo-francesedi respiroeuropeo, secondo diverse fonti, sta circolandocon insistenzanegli ambienti finanziari, di pari passo con i rumorsapparsi nel fine settimana su un aumento di capitale di grande taglia, superioreai10 miliardidieuro, per la banca di Piazza Gae Aulenti.
. Sono i rumoursfatti apposta per essere smentiti. Prima di parlaredi fusione, Unicredit deve trovare i 13 miliardi di cui sopra. Siccome oggi vale in Borsa 12 miliardi, dovrebbe chiedere di raddoppiare l’investimento ad azionisti che stanno letteralmente con le pezze al sedere, in primisle mitiche fondazioni bancarie. È quindi più che verosimile che Mustier faccia lo stesso tentativo condotto in questi giorni dal suo omologo in Mps Marco Morelli: cercare investitori forti disponibili a sottoscrivere importanti tranche de ll ’aumento di capitale. Société Générale, presieduta dal fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, è già pronta. Oggi vale tre volte Unicredit, di cui da anni è considerata complementare. Mustier viene da Société Générale. L’ha dovuta lasciare nel 2009, mentre era lanciato verso il vertice, dopo una sanzione per insider trading, e dopo che un suo uomo, il celebre Jérôme Kerviel, fu arrestato per aver fatto spericolate operazioni finanziarie che avevano provocato un danno da 5 miliardi a SocGen. Dal 30 giugno scorso, quando Mustier è stato nominato al posto di Federico Ghizzoni (l’uomo che non si è accorto di sedere su una voragine da 20 miliardi, a meno chela voraginenon sia un’invenzione di Mustier funzionale a disegni inconfessa
bili), Société Générale ha guadagnato in Borsa circa il 30 per cento. Investendo un po’di miliardi in Unicredit diventerebbe padrona di Mediobanca (dove il secondo azionista è un altrofrancese, VincentBollorè) e quindi delle Generali, che hanno un altro amministratore delegato francese, Philippe Donnet, che con Mustier ha forti legami personali, e di cui Société Générale si è già presa l’estate scorsa il 4,2 per cento
SE UNICREDIT, Mediobanca e Generali diventeranno francesi come Telecom Italia, la banca Intesa Sanpaoloe l’Eni resteranno gli unici due soggetti finanziari di stazza internazionale a proprietà italiana. Purtroppo non sappiamo se questo scenario –in sè non necessariamente scandaloso – piaccia a Matteo Renzi o semplicemente lo trovi spaesato e impotente. Sicuramente non lo aiutano i pessimi rapporti con il presidente francese François Hollande, incrinati un anno fa quando l’E li s e o chiamò all’azione militare contro l’Isis e Renzi replicò beffardo: “L’Italia non partecipa. Le iniziative spot servono e non servono”. Stato dei rapporti ideale per chi vorrà servirsi alla bancarella del capitalismo italiano in svendita. Twitter@giorgiomeletti © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Se va in porto
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internazionali: Eni
e Intesa Sanpaolo
»GIORGIO MELETTI La confusione che regna sotto il cielo del sistema bancario italiano è riassunta nei titoli dedicati martedì scorso alle traversie di Unicredit da Corriere della Sera (“Nozze con SocGen? La Borsa ci crede”)eRe pubblica:“Unicredit francese, la Borsa non ci crede”. In realtà la Borsa non crede più a niente, salvo che all’evidenza dei fatti: il sistema bancario italiano non è più governato. Tra Palazzo Chigi, ministero dell’Economia e Banca d’Ita lia siè costituitoun triangolo della distrazione (ed è ancora la migliore delle ipotesi). Vediamo i fatti. L’a m m i n istratore delegato di Unicredit Jean-Pierre Mustier ha ufficiosamente sdoganato la notizia che la banca milanese ha bisogno di almeno 13 miliardi di aumento di capitale: quando lo scrisse Carlo Di Foggia sul Fattodel 4 ottobre scorso i suoi portavoce finsero di fremere di indignazione. In realtà il buco patrimoniale di Unicredit è attorno ai 20 miliardi, e dovrà essere in parte colmato vendendo un po’di gioielleria: tutto ma non l’8,56 per cento di Mediobanca che vale il ruolo chiave di primo azionista della merchant bank fondata da Enrico Cuccia.
M E D I O BA N C A è il primo azionista delle Assicurazioni Generali con il 13,2 per cento. Le Generali, convertendo le obbligazioni subordinate di Mps che chissà perché hanno in pancia, diventerebbero azioniste di Rocca Salimbeni con circa il 7 per cento (oggi il primo azionista è il governo italiano con il 4 per cento). Mps, se non andrà a gambe all’aria entro l’anno come i suoi attuali vertici non sembrano in grado di impedire –si troverà nell’azionariato sia Generali sia la compagnia di assicurazioni francese Axa, già socia e partner industriale di Mps. Lunedì 14 novembre alle 8 di mattina l’agenzia A n s a ha fatto uscire un’insolita indiscrezione che val la pena di riportare : “C’è forse Société Générale nel futuro di Unicredit. L’ipotesi di una fusione per dare vita a un grande gruppo italo-francesedi respiroeuropeo, secondo diverse fonti, sta circolandocon insistenzanegli ambienti finanziari, di pari passo con i rumorsapparsi nel fine settimana su un aumento di capitale di grande taglia, superioreai10 miliardidieuro, per la banca di Piazza Gae Aulenti.
. Sono i rumoursfatti apposta per essere smentiti. Prima di parlaredi fusione, Unicredit deve trovare i 13 miliardi di cui sopra. Siccome oggi vale in Borsa 12 miliardi, dovrebbe chiedere di raddoppiare l’investimento ad azionisti che stanno letteralmente con le pezze al sedere, in primisle mitiche fondazioni bancarie. È quindi più che verosimile che Mustier faccia lo stesso tentativo condotto in questi giorni dal suo omologo in Mps Marco Morelli: cercare investitori forti disponibili a sottoscrivere importanti tranche de ll ’aumento di capitale. Société Générale, presieduta dal fiorentino Lorenzo Bini Smaghi, è già pronta. Oggi vale tre volte Unicredit, di cui da anni è considerata complementare. Mustier viene da Société Générale. L’ha dovuta lasciare nel 2009, mentre era lanciato verso il vertice, dopo una sanzione per insider trading, e dopo che un suo uomo, il celebre Jérôme Kerviel, fu arrestato per aver fatto spericolate operazioni finanziarie che avevano provocato un danno da 5 miliardi a SocGen. Dal 30 giugno scorso, quando Mustier è stato nominato al posto di Federico Ghizzoni (l’uomo che non si è accorto di sedere su una voragine da 20 miliardi, a meno chela voraginenon sia un’invenzione di Mustier funzionale a disegni inconfessa
bili), Société Générale ha guadagnato in Borsa circa il 30 per cento. Investendo un po’di miliardi in Unicredit diventerebbe padrona di Mediobanca (dove il secondo azionista è un altrofrancese, VincentBollorè) e quindi delle Generali, che hanno un altro amministratore delegato francese, Philippe Donnet, che con Mustier ha forti legami personali, e di cui Société Générale si è già presa l’estate scorsa il 4,2 per cento
SE UNICREDIT, Mediobanca e Generali diventeranno francesi come Telecom Italia, la banca Intesa Sanpaoloe l’Eni resteranno gli unici due soggetti finanziari di stazza internazionale a proprietà italiana. Purtroppo non sappiamo se questo scenario –in sè non necessariamente scandaloso – piaccia a Matteo Renzi o semplicemente lo trovi spaesato e impotente. Sicuramente non lo aiutano i pessimi rapporti con il presidente francese François Hollande, incrinati un anno fa quando l’E li s e o chiamò all’azione militare contro l’Isis e Renzi replicò beffardo: “L’Italia non partecipa. Le iniziative spot servono e non servono”. Stato dei rapporti ideale per chi vorrà servirsi alla bancarella del capitalismo italiano in svendita. Twitter@giorgiomeletti © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Re: Economia
The Ballington Post
L'Istat rivede le stime per la crescita del Pil
L’economia italiana dovrebbe crescere nel 2016 dello 0,8%, e nel 2017 dello 0,9% (Pil): alla luce del terzo trimestre, l’Istat certifica le nuove stime
Luca Romano - Lun, 21/11/2016 - 12:27
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L’economia italiana dovrebbe crescere nel 2016 dello 0,8%, e nel 2017 dello 0,9%: alla luce del terzo trimestre, l’Istat certifica le nuove stime.
E spiega che questo rafforzamento della crescita "sarà caratterizzato dal consolidamento dei consumi privati e da una ripresa del processo di accumulazione del capitale supportata dal miglioramento delle aspettative sull’evoluzione della domanda, da condizioni favorevoli sul mercato del credito e dalle misure di politica fiscale a sostegno degli investimenti". Fin qui i nuovi dati Istat che solo apparentemnet segnalano un trend positivo. Ma in realtà sul Pil da tempo è in atto un balletto delle cifre che agita e non poco il governo e l'Unione Europea.
Dopo la doccia fredda della crescita zero nel secondo trimestre, l’esecutivo ha elaborato il documento di programmazione economica e finanziaria (Def) sulla base di una crescita pari allo 0,8% nel 2016 e all’1% nel 2017.
Le stime precedenti puntavano a una crescita pari all’1,2% quest’anno e all’1,4% l’anno venturo.
E a far litigare Roma e Bruxelles sui conti sono letteralmente degli "zerovirgolauno".
La Commissione Ue contesta infatti i numeri del governo in quanto si scostano di un decimale rispetto alle previsioni pubblicate lo scorso 9 novembre, che stimano per l’Italia una crescita pari allo 0,7% nel 2016 e allo 0,9% nel 2017.
E anche l'Istat sottolinea come queste stime vadano analizzate con cura e non vanno sottovalutati.
L' Istat spiega che "tra l'attuale quadro di previsione e quello presentato a maggio 2016, il tasso di crescita del Pil per l'anno corrente è stato rivisto al ribasso di 0,3 punti percentuali".
E su questo punto è intervenuto anche Renato Brunetta: "È @matteorenzi produttore di incertezza e turbolenza. NO elimina causa di tutto: politica economica sbagliata, isolamento Italia. NO=stabilità", scrive su Twitter il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.
"Pil in picchiata da quando @matteorenzi governa.
(Era preferibile scrivere: Sgoverna -ndt)
E ogni 6 mesi @istat e @MEF_GOV costretti a rivedere stime al ribasso. Solo da maggio -0,3%", sottolinea in un successivo tweet.
L'Istat rivede le stime per la crescita del Pil
L’economia italiana dovrebbe crescere nel 2016 dello 0,8%, e nel 2017 dello 0,9% (Pil): alla luce del terzo trimestre, l’Istat certifica le nuove stime
Luca Romano - Lun, 21/11/2016 - 12:27
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L’economia italiana dovrebbe crescere nel 2016 dello 0,8%, e nel 2017 dello 0,9%: alla luce del terzo trimestre, l’Istat certifica le nuove stime.
E spiega che questo rafforzamento della crescita "sarà caratterizzato dal consolidamento dei consumi privati e da una ripresa del processo di accumulazione del capitale supportata dal miglioramento delle aspettative sull’evoluzione della domanda, da condizioni favorevoli sul mercato del credito e dalle misure di politica fiscale a sostegno degli investimenti". Fin qui i nuovi dati Istat che solo apparentemnet segnalano un trend positivo. Ma in realtà sul Pil da tempo è in atto un balletto delle cifre che agita e non poco il governo e l'Unione Europea.
Dopo la doccia fredda della crescita zero nel secondo trimestre, l’esecutivo ha elaborato il documento di programmazione economica e finanziaria (Def) sulla base di una crescita pari allo 0,8% nel 2016 e all’1% nel 2017.
Le stime precedenti puntavano a una crescita pari all’1,2% quest’anno e all’1,4% l’anno venturo.
E a far litigare Roma e Bruxelles sui conti sono letteralmente degli "zerovirgolauno".
La Commissione Ue contesta infatti i numeri del governo in quanto si scostano di un decimale rispetto alle previsioni pubblicate lo scorso 9 novembre, che stimano per l’Italia una crescita pari allo 0,7% nel 2016 e allo 0,9% nel 2017.
E anche l'Istat sottolinea come queste stime vadano analizzate con cura e non vanno sottovalutati.
L' Istat spiega che "tra l'attuale quadro di previsione e quello presentato a maggio 2016, il tasso di crescita del Pil per l'anno corrente è stato rivisto al ribasso di 0,3 punti percentuali".
E su questo punto è intervenuto anche Renato Brunetta: "È @matteorenzi produttore di incertezza e turbolenza. NO elimina causa di tutto: politica economica sbagliata, isolamento Italia. NO=stabilità", scrive su Twitter il capogruppo di Forza Italia alla Camera dei deputati.
"Pil in picchiata da quando @matteorenzi governa.
(Era preferibile scrivere: Sgoverna -ndt)
E ogni 6 mesi @istat e @MEF_GOV costretti a rivedere stime al ribasso. Solo da maggio -0,3%", sottolinea in un successivo tweet.
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