LA SFIDA del REFERENDUM
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
LO SPAPPOLAMENTO DEI CERVELLI
OPINIONI
Roberto Saviano
L'antitaliano
Questo referendum non mi riguarda
Non ci saranno disastri, che vinca il sì o che vinca il no. Sarà una resa dei conti solo per chi ha messo in gioco il proprio potere personale
Non mi avrete mai. Mi piace questo genere di frasi, frasi a effetto, che si ricordano e che in qualche modo mi espongono. Quando in “Gomorra” usai l’io so pasoliniano ci fu chi capì esattamente cosa volessi dire (la maggioranza dei lettori) e chi ancora oggi mi accusa di aver osato paragonarmi a Pasolini. Poco importa, ciò che mi interessava dieci anni fa e che ancora oggi considero importante, è dare un messaggio chiaro, inequivocabile, che si sia d’accordo con me o in disaccordo. E provare a non essere strumento nelle mani di chi ha fini personali da raggiungere, fini che spesso non sono evidenti e che traggono in inganno chi ascolta e si fida.
Io racconto, e lo faccio dal mio punto di vista. Io scrivo, e chi scrive non ha amici. Non deve averne prima, mentre sta cercando la forma da dare ai propri pensieri, e ne avrà sempre meno dopo aver reso pubbliche le proprie parole. Quando ho scritto “Gomorra” avevo 25 anni, la mia convinzione di allora - gli anni della faida di Secondigliano, un morto al giorno e non faccio distinzione tra colpevoli e innocenti - è la stessa di ora: le storie del Sud vanno raccontate e bisogna trovare il pulpito più alto e il megafono più potente perché un gran numero di persone possa ascoltarle.
Le storie che riguardano il Sud vanno raccontate, però, senza fare sconti a nessuno, senza pensare che ci siano amici: politici amici, giornalisti amici, direttori di giornali amici, magistrati amici, avvocati amici. Raccontarle pensando di perdere qualcosa, ogni volta. Un politico ti dirà che stai diffamando (la mia personalissima lista è lunga e va da Andreotti a Renzi passando per Berlusconi, De Magistris, De Luca, Gasparri per dire solo dei più assidui), un magistrato ti dirà che non hai capito niente, un giornalista ti dirà che hai preso i fatti dalle sue cronache che a loro volta erano prese da atti giudiziari, uno scrittore ti accuserà di aver scritto dopo di lui e di aver oscurato la luce che per una questione di precedenza o magari di anzianità sarebbe toccata a lui. Scrivere storie di camorra non ti rende amico di nessuno. E per nessuno intendo proprio nessuno, anche e soprattutto quelle persone per bene che non ci stanno a vedere la propria terra raccontata come un inferno. E per nessuno intendo quegli amministratori pubblici, quei sindaci, ma anche quei presidenti di regione o primi ministri o senatori che sono abituati alle figure ambigue di intellettuali cortigiani. Di chi si sente ricattabile o ha paura di non avere spazi e per questo blandisce. Di chi pensa che scrivere libri o fare film equivalga a scrivere guide turistiche.
Io appartengo a un’altra scuola. Non sono di quelli che finché sono outsider si battono perché tutto cambi e poi se diventano insider l’Italia smette di essere crimine organizzato e crisi, e si rivela improvvisamente sole, turismo e arte. Io non sono di quelli che all’opposizione vogliono riformare il mondo e al potere (basta un ruolo istituzionale qualsiasi), diventano “yesman”. Io sono all’opposizione, sempre e all’opposizione di tutti. Non mi si deve voler bene e non mi interessa che mi si tema, mi piace pensare di ragionare, mi piace pensare che ci sia sempre una partita aperta.
E non accetto di alimentare questo eterno clima da campagna elettorale. Mi piace chi ammette, con consapevolezza e responsabilità, che qualunque sia l’esito del voto referendario per il nostro Paese cambierà poco o nulla. Mi piace tranquillizzare gli italiani su un punto: se vincesse il no l’Italia non sprofonderebbe nel baratro e una riforma costituzionale sarà sempre possibile in futuro, come in caso di vittoria del sì non ci sarà alcuna deriva autoritaria. Non ci saranno accelerazione, progresso risparmio in caso di vittoria del sì e non ci sarà lentezza e stallo in caso di vittoria del no. Questa riforma non è la resa dei conti, se non per chi ci ha messo la faccia, sbagliando, rendendo questo referendum uno spartiacque, ma non per il Paese, ma per se stesso. Tutto il rumore che si sta facendo è un modo per occupare posizioni in quella che è una personalissima lotta per il raggiungimento di un personalissimo potere. Non mi saranno amici i signori del sì e non mi saranno amici i signori del no se dico che questo risiko per recuperare una percentuale minima di consenso è il peggior servizio che si sta facendo all’Italia. Un danno del quale non voglio essere complice. Non mi chiamate in sostegno, questo referendum è solo affar vostro, per questo referendum, io non ci sono.
06 novembre 2016© RIPRODUZIONE RISERVATA
OPINIONI
Roberto Saviano
L'antitaliano
Questo referendum non mi riguarda
Non ci saranno disastri, che vinca il sì o che vinca il no. Sarà una resa dei conti solo per chi ha messo in gioco il proprio potere personale
Non mi avrete mai. Mi piace questo genere di frasi, frasi a effetto, che si ricordano e che in qualche modo mi espongono. Quando in “Gomorra” usai l’io so pasoliniano ci fu chi capì esattamente cosa volessi dire (la maggioranza dei lettori) e chi ancora oggi mi accusa di aver osato paragonarmi a Pasolini. Poco importa, ciò che mi interessava dieci anni fa e che ancora oggi considero importante, è dare un messaggio chiaro, inequivocabile, che si sia d’accordo con me o in disaccordo. E provare a non essere strumento nelle mani di chi ha fini personali da raggiungere, fini che spesso non sono evidenti e che traggono in inganno chi ascolta e si fida.
Io racconto, e lo faccio dal mio punto di vista. Io scrivo, e chi scrive non ha amici. Non deve averne prima, mentre sta cercando la forma da dare ai propri pensieri, e ne avrà sempre meno dopo aver reso pubbliche le proprie parole. Quando ho scritto “Gomorra” avevo 25 anni, la mia convinzione di allora - gli anni della faida di Secondigliano, un morto al giorno e non faccio distinzione tra colpevoli e innocenti - è la stessa di ora: le storie del Sud vanno raccontate e bisogna trovare il pulpito più alto e il megafono più potente perché un gran numero di persone possa ascoltarle.
Le storie che riguardano il Sud vanno raccontate, però, senza fare sconti a nessuno, senza pensare che ci siano amici: politici amici, giornalisti amici, direttori di giornali amici, magistrati amici, avvocati amici. Raccontarle pensando di perdere qualcosa, ogni volta. Un politico ti dirà che stai diffamando (la mia personalissima lista è lunga e va da Andreotti a Renzi passando per Berlusconi, De Magistris, De Luca, Gasparri per dire solo dei più assidui), un magistrato ti dirà che non hai capito niente, un giornalista ti dirà che hai preso i fatti dalle sue cronache che a loro volta erano prese da atti giudiziari, uno scrittore ti accuserà di aver scritto dopo di lui e di aver oscurato la luce che per una questione di precedenza o magari di anzianità sarebbe toccata a lui. Scrivere storie di camorra non ti rende amico di nessuno. E per nessuno intendo proprio nessuno, anche e soprattutto quelle persone per bene che non ci stanno a vedere la propria terra raccontata come un inferno. E per nessuno intendo quegli amministratori pubblici, quei sindaci, ma anche quei presidenti di regione o primi ministri o senatori che sono abituati alle figure ambigue di intellettuali cortigiani. Di chi si sente ricattabile o ha paura di non avere spazi e per questo blandisce. Di chi pensa che scrivere libri o fare film equivalga a scrivere guide turistiche.
Io appartengo a un’altra scuola. Non sono di quelli che finché sono outsider si battono perché tutto cambi e poi se diventano insider l’Italia smette di essere crimine organizzato e crisi, e si rivela improvvisamente sole, turismo e arte. Io non sono di quelli che all’opposizione vogliono riformare il mondo e al potere (basta un ruolo istituzionale qualsiasi), diventano “yesman”. Io sono all’opposizione, sempre e all’opposizione di tutti. Non mi si deve voler bene e non mi interessa che mi si tema, mi piace pensare di ragionare, mi piace pensare che ci sia sempre una partita aperta.
E non accetto di alimentare questo eterno clima da campagna elettorale. Mi piace chi ammette, con consapevolezza e responsabilità, che qualunque sia l’esito del voto referendario per il nostro Paese cambierà poco o nulla. Mi piace tranquillizzare gli italiani su un punto: se vincesse il no l’Italia non sprofonderebbe nel baratro e una riforma costituzionale sarà sempre possibile in futuro, come in caso di vittoria del sì non ci sarà alcuna deriva autoritaria. Non ci saranno accelerazione, progresso risparmio in caso di vittoria del sì e non ci sarà lentezza e stallo in caso di vittoria del no. Questa riforma non è la resa dei conti, se non per chi ci ha messo la faccia, sbagliando, rendendo questo referendum uno spartiacque, ma non per il Paese, ma per se stesso. Tutto il rumore che si sta facendo è un modo per occupare posizioni in quella che è una personalissima lotta per il raggiungimento di un personalissimo potere. Non mi saranno amici i signori del sì e non mi saranno amici i signori del no se dico che questo risiko per recuperare una percentuale minima di consenso è il peggior servizio che si sta facendo all’Italia. Un danno del quale non voglio essere complice. Non mi chiamate in sostegno, questo referendum è solo affar vostro, per questo referendum, io non ci sono.
06 novembre 2016© RIPRODUZIONE RISERVATA
-
- Messaggi: 3688
- Iscritto il: 22/02/2012, 14:30
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 76908.html
Dopo Brexit sarà l'Italia a lasciare l'Ue", dice il Financial Times
Secondo il quotidiano della City, il Brexit innescherà un processo a catena: e la prossima "tessera del domino" a cadere sarà proprio l'Italia Dopo il Brexit, sarà Itexit. Parola di Wolfgang Munchau, il columnist del Financial Times da sempre assai severo con il governo di Matteo Renzi.
"L'Italia potrebbe essere la prossima tessera del domino a cadere", titola eloquente il Financial Times. Secondo Munchau l'esecutivo guidato da Matteo Renzi cadrà fatalmente nel referendum costituzionale di ottobre, in cui il premier italiano "ha giocato d'azzardo non meno di quanto abbia fatto David Cameron con il voto sul Brexit". E Cameron, si sa, s'è scottato.
Gli Italiani, spiega il giornalista del Financial Times, sono chiamati ad esprimersi su questioni tecniche assai complicate, ma vedono il referendum come l'opportunità di un voto sul governo. "I sondaggi - prosegue - Danno i sì alla riforma in leggero vantaggio, ma è probabile che siano inaffidabili proprio come quelli britannici. E Renzi potrebbe ben perdere, con la conseguenza di dimissioni immediate o addirittura di nuove elezioni."
Dopo il Brexit, l'Itexit
Ma non è tutto: il Brexit metterà in difficoltà l'Italia perché frenerà la ripresa economica dell'Eurozona nel complesso; perché le banche italiane sono sottocapitalizzate e possono salvarsi solo grazie all'ombrello del Meccanismo europeo di Stabilità; infine, perché l'impatto politico di una bocciatura del referendum di ottobre "potrebbe essere devastante".
Munchau traccia un parallelo fra la situazione politica britannica e quella italiana, con il Movimento Cinque Stelle, "partito populista ed anti-establishment", in forte ascesa. Certo, osserva, rispetto al Regno Unito l'Italia non si è ancora tirata fuori dalle secche della crisi - e in questo il governo Renzi porta gravi responsabilità.
"Italiani e greci sono fra gli europei più negativi sulle politiche economiche Ue - conclude il Financial Times - La gente inizia ad incolpare la moneta unica per i problemi dell'economia. Un'uscita italiana dall'euro potrebbe provocare il crollo di tutta l'eurozona in brevissimo tempo."
"Avremmo il più violento choc economico della storia, a confronto del quale il crac Lehman Brothers del 2008 e il crollo di Wall Street del 1929 sembrerebbero poca cosa. Ma la mia sensazione è che i partigiani di un eventuale Itexit portebbero addirittura accarezzare la prospettiva di un collasso di tutto l'edificio della moneta comune."
--------------------------------------------------
Che gli Italiani siano contenti di questa situazione non mi pare.Pensavano ad una diversa unione europea.
Ciao
Paolo11
Dopo Brexit sarà l'Italia a lasciare l'Ue", dice il Financial Times
Secondo il quotidiano della City, il Brexit innescherà un processo a catena: e la prossima "tessera del domino" a cadere sarà proprio l'Italia Dopo il Brexit, sarà Itexit. Parola di Wolfgang Munchau, il columnist del Financial Times da sempre assai severo con il governo di Matteo Renzi.
"L'Italia potrebbe essere la prossima tessera del domino a cadere", titola eloquente il Financial Times. Secondo Munchau l'esecutivo guidato da Matteo Renzi cadrà fatalmente nel referendum costituzionale di ottobre, in cui il premier italiano "ha giocato d'azzardo non meno di quanto abbia fatto David Cameron con il voto sul Brexit". E Cameron, si sa, s'è scottato.
Gli Italiani, spiega il giornalista del Financial Times, sono chiamati ad esprimersi su questioni tecniche assai complicate, ma vedono il referendum come l'opportunità di un voto sul governo. "I sondaggi - prosegue - Danno i sì alla riforma in leggero vantaggio, ma è probabile che siano inaffidabili proprio come quelli britannici. E Renzi potrebbe ben perdere, con la conseguenza di dimissioni immediate o addirittura di nuove elezioni."
Dopo il Brexit, l'Itexit
Ma non è tutto: il Brexit metterà in difficoltà l'Italia perché frenerà la ripresa economica dell'Eurozona nel complesso; perché le banche italiane sono sottocapitalizzate e possono salvarsi solo grazie all'ombrello del Meccanismo europeo di Stabilità; infine, perché l'impatto politico di una bocciatura del referendum di ottobre "potrebbe essere devastante".
Munchau traccia un parallelo fra la situazione politica britannica e quella italiana, con il Movimento Cinque Stelle, "partito populista ed anti-establishment", in forte ascesa. Certo, osserva, rispetto al Regno Unito l'Italia non si è ancora tirata fuori dalle secche della crisi - e in questo il governo Renzi porta gravi responsabilità.
"Italiani e greci sono fra gli europei più negativi sulle politiche economiche Ue - conclude il Financial Times - La gente inizia ad incolpare la moneta unica per i problemi dell'economia. Un'uscita italiana dall'euro potrebbe provocare il crollo di tutta l'eurozona in brevissimo tempo."
"Avremmo il più violento choc economico della storia, a confronto del quale il crac Lehman Brothers del 2008 e il crollo di Wall Street del 1929 sembrerebbero poca cosa. Ma la mia sensazione è che i partigiani di un eventuale Itexit portebbero addirittura accarezzare la prospettiva di un collasso di tutto l'edificio della moneta comune."
--------------------------------------------------
Che gli Italiani siano contenti di questa situazione non mi pare.Pensavano ad una diversa unione europea.
Ciao
Paolo11
-
- Messaggi: 1079
- Iscritto il: 19/04/2012, 12:04
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Solito articolo a uso e consumo della politica e dell'economia inglese. Il FT che dovrebbe occuparsi delle future conseguenze negative che affronterà l'UK nel momento che presenterà la richiesta di attivazione dell'art.50, cerca di depistare e buttare fango sull'UE per cercare di ammorbidirne la resistenza e concedere così alla GB quello che vuole (mantenere il libero scambio delle merci e dei capitali e non quello delle persone). L'obiettivo più facile oggi da colpire è l'Italia allora via con le ipotesi più farlocche e catastrofiste possibili... Smettete semplicemente di dar loro spago o come dicono sul web: don't feed the trolls...
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
REFERENDUM COSTITUZIONALE
Referendum, scendono davvero i costi della politica se passa la riforma?
di Lavoce.info | 23 novembre 2016
COMMENTI (77)
Più informazioni su: Costi della Politica, Governo Renzi, Maria Elena Boschi, Referendum Costituzionale 2016, Senato
Profilo blogger
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Post | Articoli
Facebook
Twitter
Uno degli argomenti nel dibattito sul referendum è il risparmio di costi della politica che ne conseguirebbe. Stimiamo un risparmio massimo per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma e di 160 milioni a regime. Una stima, ovviamente, con margini di incertezza.
di Roberto Perotti (http://www.lavoce.info)
Leggi articolo + tabelle: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... a/3210889/
Referendum, scendono davvero i costi della politica se passa la riforma?
di Lavoce.info | 23 novembre 2016
COMMENTI (77)
Più informazioni su: Costi della Politica, Governo Renzi, Maria Elena Boschi, Referendum Costituzionale 2016, Senato
Profilo blogger
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Post | Articoli
Uno degli argomenti nel dibattito sul referendum è il risparmio di costi della politica che ne conseguirebbe. Stimiamo un risparmio massimo per il contribuente di 140 milioni due anni dopo l’entrata in vigore della riforma e di 160 milioni a regime. Una stima, ovviamente, con margini di incertezza.
di Roberto Perotti (http://www.lavoce.info)
Leggi articolo + tabelle: http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/11 ... a/3210889/
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
il manifesto 23.11.16
Nessun segreto, il voto è social
Referendum. Gli italiani all'estero stanno votando. E pubblicando le loro schede segnate su Instagram. Crescono i dubbi sulla regolarità del sistema previsto dalla legge Tremaglia. E il comitato del No annuncia un ricorso nel caso alla fine questi voti dovessero risultare decisivi
di Andrea Fabozzi
In un bar italiano di Sidney, vedete la foto qui accanto, qualcuno ha appeso al muro una scheda elettorale originale del referendum costituzionale. Ha aggiunto oltre al Sì e al No una terza opzione, Boh, e l’ha scelta con una X. La vita avventurosa delle schede elettorali all’estero è in pieno svolgimento. Stampate in tipografie scelte dalle ambasciate e dai consolati, recapitate attraverso servizi privati nelle residenze degli oltre quattro milioni di elettori italiani, stanno in questi giorni facendo il viaggio all’indietro verso le rappresentanze consolari. Quelle che non sono andate perse nei bar.
Le schede devono arrivare entro le 16, ora locale, del 1 dicembre. Poi saranno spedite a Roma, e scrutinate contemporaneamente a quelle degli elettori italiani nella notte del 4 dicembre. Potrebbero essere voti decisivi, le previsioni raccontano di un testa a testa tra i Sì e i No. E dovrebbero essere voti «personali, uguali, liberi e segreti» come da articolo 48 della Costituzione. Ma basta aprire uno dei social più frequentati, Instagram, per vedere che così non è. Tantissimi elettori stanno fotografando la scheda segnata, socializzando così con amici e follower la loro scelta. Nessun segreto. E c’è almeno un italiano famoso, Flavio Briatore, residente a Montecarlo, che si è fatto fotografare mentre barra – ovviamente – il Sì. Ha aggiunto un pensierino dei suoi – «è fondamentale votare #SI, perché l’Italia possa andare avanti, mentre chi vota No è per un’Italia che va indietro» – e si è preso anche qualche insulto per questo. Il post è piaciuto a quasi seimila utenti.
Alcune delle schede segnate compaiono in profili anonimi, altre in profili firmati con nome e cognome, in ogni caso in questo articolo non citeremo alcun account: è molto semplice per chiunque verificarlo su Instagram seguendo gli hashtag del referendum. «Lo so che è illegale, ma non me ne frega niente, è più illegale la casta dei nullafacenti pagata con le nostre tasse», scrive un italiano residente a Londra. Eppure al Viminale sono più prudenti. La legge del 2008 che serve a tutelare «la segretezza del voto nelle consultazioni elettorali e referendarie» si riferisce infatti ai soli seggi sparsi sul territorio nazionale, dove chi fotografa la scheda rischia il carcere (da tre a sei mesi) e una multa (da 300 a mille euro). Il ministero dell’Interno, spiegano dagli uffici di Alfano, non ha responsabilità per quello che accade all’estero, dove il controllo è (o dovrebbe essere) delle ambasciate e dei consolati.
Chi, a casa sua o al bar, ha in mano una scheda e uno smartphone non ci pensa. E così vediamo la scheda con il No di un elettore a Dublino, di un altro a Sidney e un altro ancora a Barcellona. Vediamo un Sì da Boston e un No dalla Cina. Un elettore di San Francisco fotografa la sua scheda con il No davanti alla tv con un fermo immagine del volto di Renzi.
Voti liberi, probabilmente, e personali, ma non segreti. Com’è impossibile che sia per tutti quelli espressi all’estero da quando (2001) trova applicazione la contestata legge Tremaglia. Ieri il presidente del Comitato del No al referendum costituzionale, Alessandro Pace, nel corso di una conferenza stampa dedicata in gran parte al voto all’estero, ha detto che «se il voto per il Sì dei cittadini italiani all’estero dovesse rivelarsi determinante, impugneremo questa consultazione davanti all’ufficio centrale del referendum, che è un organo giurisdizionale». Questa dichiarazione ha offerto l’occasione a Renzi per un attacco – «non hanno argomenti» – e non è piaciuta neanche ad alcuni esponenti del No, come D’Alema che ha detto che «i ricorsi li fa chi perde e invece il No vincerà».
Pace però ha fatto riferimento a una norma prevista dalla stessa legge sul referendum – l’articolo 23 della legge 352 del 1970 – per la quale «sui reclami relativi alle operazioni di votazione» del referendum decide, appunto, l’Ufficio centrale. L’occasione potrebbe essere quella buona non tanto per rovesciare il risultato delle urne, ma per portare la legge sul referendum davanti alla Corte costituzionale. Proprio ieri il Tar del Lazio dando torto a Onida ha detto però che la sede giusta è proprio l’Ufficio centrale. E ha aggiunto che i dubbi di costituzionalità sono «seri».
Nessun segreto, il voto è social
Referendum. Gli italiani all'estero stanno votando. E pubblicando le loro schede segnate su Instagram. Crescono i dubbi sulla regolarità del sistema previsto dalla legge Tremaglia. E il comitato del No annuncia un ricorso nel caso alla fine questi voti dovessero risultare decisivi
di Andrea Fabozzi
In un bar italiano di Sidney, vedete la foto qui accanto, qualcuno ha appeso al muro una scheda elettorale originale del referendum costituzionale. Ha aggiunto oltre al Sì e al No una terza opzione, Boh, e l’ha scelta con una X. La vita avventurosa delle schede elettorali all’estero è in pieno svolgimento. Stampate in tipografie scelte dalle ambasciate e dai consolati, recapitate attraverso servizi privati nelle residenze degli oltre quattro milioni di elettori italiani, stanno in questi giorni facendo il viaggio all’indietro verso le rappresentanze consolari. Quelle che non sono andate perse nei bar.
Le schede devono arrivare entro le 16, ora locale, del 1 dicembre. Poi saranno spedite a Roma, e scrutinate contemporaneamente a quelle degli elettori italiani nella notte del 4 dicembre. Potrebbero essere voti decisivi, le previsioni raccontano di un testa a testa tra i Sì e i No. E dovrebbero essere voti «personali, uguali, liberi e segreti» come da articolo 48 della Costituzione. Ma basta aprire uno dei social più frequentati, Instagram, per vedere che così non è. Tantissimi elettori stanno fotografando la scheda segnata, socializzando così con amici e follower la loro scelta. Nessun segreto. E c’è almeno un italiano famoso, Flavio Briatore, residente a Montecarlo, che si è fatto fotografare mentre barra – ovviamente – il Sì. Ha aggiunto un pensierino dei suoi – «è fondamentale votare #SI, perché l’Italia possa andare avanti, mentre chi vota No è per un’Italia che va indietro» – e si è preso anche qualche insulto per questo. Il post è piaciuto a quasi seimila utenti.
Alcune delle schede segnate compaiono in profili anonimi, altre in profili firmati con nome e cognome, in ogni caso in questo articolo non citeremo alcun account: è molto semplice per chiunque verificarlo su Instagram seguendo gli hashtag del referendum. «Lo so che è illegale, ma non me ne frega niente, è più illegale la casta dei nullafacenti pagata con le nostre tasse», scrive un italiano residente a Londra. Eppure al Viminale sono più prudenti. La legge del 2008 che serve a tutelare «la segretezza del voto nelle consultazioni elettorali e referendarie» si riferisce infatti ai soli seggi sparsi sul territorio nazionale, dove chi fotografa la scheda rischia il carcere (da tre a sei mesi) e una multa (da 300 a mille euro). Il ministero dell’Interno, spiegano dagli uffici di Alfano, non ha responsabilità per quello che accade all’estero, dove il controllo è (o dovrebbe essere) delle ambasciate e dei consolati.
Chi, a casa sua o al bar, ha in mano una scheda e uno smartphone non ci pensa. E così vediamo la scheda con il No di un elettore a Dublino, di un altro a Sidney e un altro ancora a Barcellona. Vediamo un Sì da Boston e un No dalla Cina. Un elettore di San Francisco fotografa la sua scheda con il No davanti alla tv con un fermo immagine del volto di Renzi.
Voti liberi, probabilmente, e personali, ma non segreti. Com’è impossibile che sia per tutti quelli espressi all’estero da quando (2001) trova applicazione la contestata legge Tremaglia. Ieri il presidente del Comitato del No al referendum costituzionale, Alessandro Pace, nel corso di una conferenza stampa dedicata in gran parte al voto all’estero, ha detto che «se il voto per il Sì dei cittadini italiani all’estero dovesse rivelarsi determinante, impugneremo questa consultazione davanti all’ufficio centrale del referendum, che è un organo giurisdizionale». Questa dichiarazione ha offerto l’occasione a Renzi per un attacco – «non hanno argomenti» – e non è piaciuta neanche ad alcuni esponenti del No, come D’Alema che ha detto che «i ricorsi li fa chi perde e invece il No vincerà».
Pace però ha fatto riferimento a una norma prevista dalla stessa legge sul referendum – l’articolo 23 della legge 352 del 1970 – per la quale «sui reclami relativi alle operazioni di votazione» del referendum decide, appunto, l’Ufficio centrale. L’occasione potrebbe essere quella buona non tanto per rovesciare il risultato delle urne, ma per portare la legge sul referendum davanti alla Corte costituzionale. Proprio ieri il Tar del Lazio dando torto a Onida ha detto però che la sede giusta è proprio l’Ufficio centrale. E ha aggiunto che i dubbi di costituzionalità sono «seri».
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Il Sole 23.11.16
È esagerato il pessimismo dei mercati sul referendum
di Walter Riolfi
I catastrofici scenari che si dipingono, se vincesse il «no» al referendum costituzionale del 4 dicembre, potrebbero essere un tantino eccessivi. Quanto meno potrebbero essere state esagerate le conseguenze sui mercati finanziari. La sensazione s’è colta da qualche giorno tra alcuni economisti e strategist delle maggiori società d’investimento italiane e ieri s’è un poco riflessa tra gli operatori dei titoli di Stato e della Borsa. Non a caso lo spread del Btp è rimasto sostanzialmente stabile e il rendimento è un poco sceso, ma Piazza Affari ha avuto un discreto guizzo, in particolare grazie ai titoli bancari: quelli più sensibili all’eventualità di una instabilità politica dopo il referendum.
Paradossalmente questo apparente ripensamento o, meglio, ammorbidimento del pessimismo imperante, s’è notato dopo l’articolo di Wolfgang Münchau che, sulle colonne del Financial Times, ha prospettato l’affermazione dei populismi e l’uscita dall’euro dell’Italia in caso di vittoria del «no». Il mondo finanziario anglosassone non è nuovo a questi giudizi taglienti, specie quando in questione sono la politica e l’economia italiana e i destini della valuta comune. Basta leggere i commenti di gran parte degli investitori americani per avere un’idea di quanto schematiche ed omologate siano le loro analisi e come ineluttabili appaiono le conseguenze.
Mettere insieme Brexit, Trump, l’eventuale no al referendum italiano, come se fossero una sequela della medesima natura, è esercizio a dir poco approssimativo: perché la reazione popolare nei tre eventi ha caratteristiche alquanto diverse, come osserva anche Erik Nielsen di UniCredit. Il cosiddetto fronte del no al referendum costituzionale non significa il trionfo di chi invoca l’uscita dall’euro. E il ballottaggio tra Francois Fillon e Alain Juppé alle primarie del centro destra francese, con la conseguente esclusione di Nicolas Sarkozy , è semmai, come sottolinea Giovanni Landi di Anthilia, un fattore rassicurante per la stabilità dell’unione monetaria europea: quanto meno perché rende assai più difficile l’affermazione di Marine Le Pen.
È vero, come scrive Fitch, che la diffusa paura dell’immigrazione e l’insofferenza verso l’austerità fiscale dell’Unione europea alimentano le spinte populiste al nazionalismo e alla spesa pubblica, specie in quei Paesi che, come l’Italia sono affaticati da un grande debito. E il tutto finisce per minare il già fragile processo d’integrazione europea. Ma l’eventuale affermazione di questa deriva populista sarà fenomeno che verificheremo il prossimo anno dagli esiti delle elezioni politiche in Olanda, Francia, Germania ed, eventualmente, pure in Italia, se vincesse il «no».
È anche probabile che l’eventuale sconfitta del governo Renzi, renda più difficile la ricapitalizzazione del MontePaschi (e forse di UniCredit) e allunghi i tempi necessari alla riorganizzazione delle più sofferenti banche italiane, poiché s’aprirebbe una fase di parziale vuoto politico. Ma anche in questo caso, all’indomani del referendum, non sarebbe la catastrofe per Piazza Affari. Un calo nella prima seduta, e una certa debolezza nei giorni successivi, è da mettere in conto secondo Intermonte: ma, «nell’arco di qualche settimana», si porrebbero le «basi per un recupero altrettanto marcato», sottolinea la Sim di Alessandro Valeri. Forse ancor meno preoccupante potrebbe essere la reazione sui titoli di Stato, poiché, in un mercato controllato dalla banca centrale, è probabile un deciso intervento della Bce, se le cose volgessero al peggio: tanto più se fossero vere le voci secondo le quali Draghi potrebbe decidere di acquistare meno titoli tedeschi (che scarseggiano dati i rendimenti negativi) e più Btp. Anche Nielsen di UniCredit è convinto che, dopo qualche seduta, lo spread dei bond italiani dovrebbe scendere a livelli di settembre, ottobre: attorno a 1,40, insomma, dall’1,80 di ieri.
Non a caso, tutta questa serie di piccoli ripensamenti ha finito per rendere meno cupo lo scenario post referendario. E, su mercati che già hanno scontato l’esito peggiore e che sono stati dominati da diffuse vendite al ribasso sui Btp e sui titoli azionari, hanno fatto capolino le prime ricoperture. Come si può arguire dal rimbalzo di ieri.
È esagerato il pessimismo dei mercati sul referendum
di Walter Riolfi
I catastrofici scenari che si dipingono, se vincesse il «no» al referendum costituzionale del 4 dicembre, potrebbero essere un tantino eccessivi. Quanto meno potrebbero essere state esagerate le conseguenze sui mercati finanziari. La sensazione s’è colta da qualche giorno tra alcuni economisti e strategist delle maggiori società d’investimento italiane e ieri s’è un poco riflessa tra gli operatori dei titoli di Stato e della Borsa. Non a caso lo spread del Btp è rimasto sostanzialmente stabile e il rendimento è un poco sceso, ma Piazza Affari ha avuto un discreto guizzo, in particolare grazie ai titoli bancari: quelli più sensibili all’eventualità di una instabilità politica dopo il referendum.
Paradossalmente questo apparente ripensamento o, meglio, ammorbidimento del pessimismo imperante, s’è notato dopo l’articolo di Wolfgang Münchau che, sulle colonne del Financial Times, ha prospettato l’affermazione dei populismi e l’uscita dall’euro dell’Italia in caso di vittoria del «no». Il mondo finanziario anglosassone non è nuovo a questi giudizi taglienti, specie quando in questione sono la politica e l’economia italiana e i destini della valuta comune. Basta leggere i commenti di gran parte degli investitori americani per avere un’idea di quanto schematiche ed omologate siano le loro analisi e come ineluttabili appaiono le conseguenze.
Mettere insieme Brexit, Trump, l’eventuale no al referendum italiano, come se fossero una sequela della medesima natura, è esercizio a dir poco approssimativo: perché la reazione popolare nei tre eventi ha caratteristiche alquanto diverse, come osserva anche Erik Nielsen di UniCredit. Il cosiddetto fronte del no al referendum costituzionale non significa il trionfo di chi invoca l’uscita dall’euro. E il ballottaggio tra Francois Fillon e Alain Juppé alle primarie del centro destra francese, con la conseguente esclusione di Nicolas Sarkozy , è semmai, come sottolinea Giovanni Landi di Anthilia, un fattore rassicurante per la stabilità dell’unione monetaria europea: quanto meno perché rende assai più difficile l’affermazione di Marine Le Pen.
È vero, come scrive Fitch, che la diffusa paura dell’immigrazione e l’insofferenza verso l’austerità fiscale dell’Unione europea alimentano le spinte populiste al nazionalismo e alla spesa pubblica, specie in quei Paesi che, come l’Italia sono affaticati da un grande debito. E il tutto finisce per minare il già fragile processo d’integrazione europea. Ma l’eventuale affermazione di questa deriva populista sarà fenomeno che verificheremo il prossimo anno dagli esiti delle elezioni politiche in Olanda, Francia, Germania ed, eventualmente, pure in Italia, se vincesse il «no».
È anche probabile che l’eventuale sconfitta del governo Renzi, renda più difficile la ricapitalizzazione del MontePaschi (e forse di UniCredit) e allunghi i tempi necessari alla riorganizzazione delle più sofferenti banche italiane, poiché s’aprirebbe una fase di parziale vuoto politico. Ma anche in questo caso, all’indomani del referendum, non sarebbe la catastrofe per Piazza Affari. Un calo nella prima seduta, e una certa debolezza nei giorni successivi, è da mettere in conto secondo Intermonte: ma, «nell’arco di qualche settimana», si porrebbero le «basi per un recupero altrettanto marcato», sottolinea la Sim di Alessandro Valeri. Forse ancor meno preoccupante potrebbe essere la reazione sui titoli di Stato, poiché, in un mercato controllato dalla banca centrale, è probabile un deciso intervento della Bce, se le cose volgessero al peggio: tanto più se fossero vere le voci secondo le quali Draghi potrebbe decidere di acquistare meno titoli tedeschi (che scarseggiano dati i rendimenti negativi) e più Btp. Anche Nielsen di UniCredit è convinto che, dopo qualche seduta, lo spread dei bond italiani dovrebbe scendere a livelli di settembre, ottobre: attorno a 1,40, insomma, dall’1,80 di ieri.
Non a caso, tutta questa serie di piccoli ripensamenti ha finito per rendere meno cupo lo scenario post referendario. E, su mercati che già hanno scontato l’esito peggiore e che sono stati dominati da diffuse vendite al ribasso sui Btp e sui titoli azionari, hanno fatto capolino le prime ricoperture. Come si può arguire dal rimbalzo di ieri.
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Referendum, sei buone ragioni per cui voterò No
di Luisella Costamagna | 24 novembre 2016
| Commenti (84)
Contro l’ipocrisia del “sono giornalista, non mi schiero” (per poi farlo velatamente), penso sia non solo un diritto ma un dovere – da cittadina prima che da giornalista – pronunciarmi su un referendum che riguarda la nostra Costituzione: convintamente, io voto No a questa riforma.
Voto No perché è falso che “si vuole la ‘paralisi’ contro il cambiamento della Carta ferma da 70 anni”. La Costituzione dal ’48 a oggi è stata modificata 35 volte e chi dice No non è che non voglia cambiarla, solo non vuole cambiarla in peggio, come fa questa riforma che ne stravolge più di un terzo (47 articoli su 139). Il cambiamento non è un valore positivo in sé: se è in peggio, meglio lasciare tutto com’è o – almeno – scegliersi costituenti migliori.
Voto No perché è falso che la riforma “semplificherà e taglierà i tempi” col superamento del Bicameralismo paritario.
È scritta male, in modo tutt’altro che semplice: trasforma capiscono le funzioni del nuovo Senato; prevede fino a 10 modi diversi per approvare le leggi, complicazioni delle competenze di Stato e Regioni e conseguenti inevitabili ricorsi alla Consulta. Tempi più veloci?le 9 parole dell’art. 70 in uno sproloquio in cui non si
Quando si è voluta la Legge Fornero sono bastati 20 giorni, per il Lodo Alfano meno di un mese.
Voto No perché è falso che “risparmieremo 500 milioni di euro l’anno”. La Ragioneria Generale ha calcolato un taglio massimo di 50 milioni, che si sarebbero potuti ottenere con una sforbiciatina del 10% delle indennità dei parlamentari, senza creare un “mostro istituzionale”.
Per risparmiare si poteva accogliere la proposta M5S di dimezzamento degli stipendi, che avrebbe garantito quasi il doppio (87 milioni), o abolire direttamente il Senato.
Voto No perché è falso che “i cittadini saranno più rappresentati e conteranno di più”. Vero il contrario: leggi di iniziativa popolare e referendum saranno più difficili (per un quorum inferiore ci vorranno più firme); i senatori non verranno più scelti da noi, ma da consigli regionali e Capo dello Stato (e una volta a Palazzo Madama i rappresentanti delle Regioni, spesso al centro di scandali, godranno dell’immunità); con Italicum e capilista bloccati alla Camera avremo un bel Parlamento di nominati, in cui il governo farà il bello e cattivo tempo (il ballottaggio e l’abnorme premio di maggioranza garantiranno a chi ha preso solo il 25% al primo turno il 54% dei deputati).
Voto No perché questo è anche un referendum su Renzi: se perde deve lasciare, come diceva lui stesso prima di rimangiarsi tutto temendo la malaparata. È stato “messo lì” (Marchionne dixit) col mandato di fare le riforme, senza essere eletto da nessuno; le ha fatte con la Boschi e Verdini a colpi di maggioranza; imperversa in tv e manda lettere a sua firma, a conferma che è lui il protagonista della campagna elettorale; ha piegato la politica economica del paese, con i bonus in manovra, per vincere.
Il voto è anche su di lui e il governo: se perde deve fare come Cameron dopo la Brexit.
Voto No, infine, perché col Sì vedo Jp Morgan, Confindustria, Marchionne, agenzie di rating, troika Ue, ambasciata Usa: lobby e poteri forti che oggi evocano l’Apocalisse, quando sono corresponsabili delle condizioni in cui versiamo. Il vero cambiamento è dire No a tutto questo. Finalmente.
di Luisella Costamagna | 24 novembre 2016
di Luisella Costamagna | 24 novembre 2016
| Commenti (84)
Contro l’ipocrisia del “sono giornalista, non mi schiero” (per poi farlo velatamente), penso sia non solo un diritto ma un dovere – da cittadina prima che da giornalista – pronunciarmi su un referendum che riguarda la nostra Costituzione: convintamente, io voto No a questa riforma.
Voto No perché è falso che “si vuole la ‘paralisi’ contro il cambiamento della Carta ferma da 70 anni”. La Costituzione dal ’48 a oggi è stata modificata 35 volte e chi dice No non è che non voglia cambiarla, solo non vuole cambiarla in peggio, come fa questa riforma che ne stravolge più di un terzo (47 articoli su 139). Il cambiamento non è un valore positivo in sé: se è in peggio, meglio lasciare tutto com’è o – almeno – scegliersi costituenti migliori.
Voto No perché è falso che la riforma “semplificherà e taglierà i tempi” col superamento del Bicameralismo paritario.
È scritta male, in modo tutt’altro che semplice: trasforma capiscono le funzioni del nuovo Senato; prevede fino a 10 modi diversi per approvare le leggi, complicazioni delle competenze di Stato e Regioni e conseguenti inevitabili ricorsi alla Consulta. Tempi più veloci?le 9 parole dell’art. 70 in uno sproloquio in cui non si
Quando si è voluta la Legge Fornero sono bastati 20 giorni, per il Lodo Alfano meno di un mese.
Voto No perché è falso che “risparmieremo 500 milioni di euro l’anno”. La Ragioneria Generale ha calcolato un taglio massimo di 50 milioni, che si sarebbero potuti ottenere con una sforbiciatina del 10% delle indennità dei parlamentari, senza creare un “mostro istituzionale”.
Per risparmiare si poteva accogliere la proposta M5S di dimezzamento degli stipendi, che avrebbe garantito quasi il doppio (87 milioni), o abolire direttamente il Senato.
Voto No perché è falso che “i cittadini saranno più rappresentati e conteranno di più”. Vero il contrario: leggi di iniziativa popolare e referendum saranno più difficili (per un quorum inferiore ci vorranno più firme); i senatori non verranno più scelti da noi, ma da consigli regionali e Capo dello Stato (e una volta a Palazzo Madama i rappresentanti delle Regioni, spesso al centro di scandali, godranno dell’immunità); con Italicum e capilista bloccati alla Camera avremo un bel Parlamento di nominati, in cui il governo farà il bello e cattivo tempo (il ballottaggio e l’abnorme premio di maggioranza garantiranno a chi ha preso solo il 25% al primo turno il 54% dei deputati).
Voto No perché questo è anche un referendum su Renzi: se perde deve lasciare, come diceva lui stesso prima di rimangiarsi tutto temendo la malaparata. È stato “messo lì” (Marchionne dixit) col mandato di fare le riforme, senza essere eletto da nessuno; le ha fatte con la Boschi e Verdini a colpi di maggioranza; imperversa in tv e manda lettere a sua firma, a conferma che è lui il protagonista della campagna elettorale; ha piegato la politica economica del paese, con i bonus in manovra, per vincere.
Il voto è anche su di lui e il governo: se perde deve fare come Cameron dopo la Brexit.
Voto No, infine, perché col Sì vedo Jp Morgan, Confindustria, Marchionne, agenzie di rating, troika Ue, ambasciata Usa: lobby e poteri forti che oggi evocano l’Apocalisse, quando sono corresponsabili delle condizioni in cui versiamo. Il vero cambiamento è dire No a tutto questo. Finalmente.
di Luisella Costamagna | 24 novembre 2016
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
LUISELLA COSTAMAGNA HA INDICATO 6 BUONE RAGIONI PER CUI VOTERA’ NO.
IO NE HO UNA ED UNA SOLA DA SUBITO, QUANDO E STATO INDETTO QUESTO REFERENDUM.
IL RICORDO DI AVER LETTO QUANTO ERA STATO SCRITTO A SUO TEMPO, IN MERITO ALLA PUBBLICAZIONE DEL WALL STREET ITALIA. IL 18 GIUGNO 2013:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
SOLO UN’ORGANIZZAZIONE FASCISTA POTEVA MARCHIARE LE COSTITUZIONI NATE DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE COME “ANTIFASCISTE”.
IO CHE SONO CRESCIUTO IN UNA CITTA’ ANTIFASCISTA NON POSSO ACCETTARE CHE ALTRI DEMOLISCANO LA COSTITUZIONE PER APRIRE UN’ALTRA VOLTA LA PORTA AL FASCISMO.
QUESTO REFERENDUM RIMANE UNA CLAMOROSA TRUFFA PER MUTARE IL CORSO DELLA STORIA IN SENSO FASCISTA.
SONO IN TROPPI A NON CAPIRE CHE NON SI TRATTA DEL FASCISMO IN VERSIONE 1.0.
E PER QUESTO CHE NON VEDENDO I NATURALI ORPELLI DELLA VERSIONE ORIGINALE, SONO INDOTTI AD AFFERMARE CHE NON SI TRATTA DI FASCISMO.
SENZA CAPIRE CHE SIAMO NEL TERZO MILLENNIO E CHE PER IL MOMENTO NON SI PUO’ RIPETERE L’ESPERIENZA DELL’ORIGINALE.
continua
IO NE HO UNA ED UNA SOLA DA SUBITO, QUANDO E STATO INDETTO QUESTO REFERENDUM.
IL RICORDO DI AVER LETTO QUANTO ERA STATO SCRITTO A SUO TEMPO, IN MERITO ALLA PUBBLICAZIONE DEL WALL STREET ITALIA. IL 18 GIUGNO 2013:
JP Morgan all’Eurozona: “Sbarazzatevi delle costituzioni antifasciste”
SOLO UN’ORGANIZZAZIONE FASCISTA POTEVA MARCHIARE LE COSTITUZIONI NATE DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE COME “ANTIFASCISTE”.
IO CHE SONO CRESCIUTO IN UNA CITTA’ ANTIFASCISTA NON POSSO ACCETTARE CHE ALTRI DEMOLISCANO LA COSTITUZIONE PER APRIRE UN’ALTRA VOLTA LA PORTA AL FASCISMO.
QUESTO REFERENDUM RIMANE UNA CLAMOROSA TRUFFA PER MUTARE IL CORSO DELLA STORIA IN SENSO FASCISTA.
SONO IN TROPPI A NON CAPIRE CHE NON SI TRATTA DEL FASCISMO IN VERSIONE 1.0.
E PER QUESTO CHE NON VEDENDO I NATURALI ORPELLI DELLA VERSIONE ORIGINALE, SONO INDOTTI AD AFFERMARE CHE NON SI TRATTA DI FASCISMO.
SENZA CAPIRE CHE SIAMO NEL TERZO MILLENNIO E CHE PER IL MOMENTO NON SI PUO’ RIPETERE L’ESPERIENZA DELL’ORIGINALE.
continua
-
- Messaggi: 5725
- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
Ha scritto Stefano Sylos Labini:
Renzi presto a casa, ma intanto il lavoro sporco l’ha fatto
Scritto il 14/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Il fenomeno Renzi può essere considerato come la risposta dell’establishment all’ascesa folgorante del M5S: banche, Confindustria, Marchionne, De Benedetti e lo stesso Berlusconi hanno puntato sul ricambio del vecchio gruppo dirigente del Pd ormai logoro e privo di qualsiasi spinta propulsiva. E così è stato creato Renzi il gran Rottamatore, una delle figure più reazionarie del periodo repubblicano. Renzi aveva il compito di fare esattamente quello che hanno fatto Monti e Letta, però doveva sembrare diverso agli occhi della gente perché il tracollo di Monti alle elezioni del 2013 scottava ancora. Renzi è stata una mossa giusta per le élite. Ha retto 3 anni, che è moltissimo per qualcuno incaricato di attuare politiche impopolari.
Sostiene Fausto Carotenuto:
Carotenuto: parla Renzi, ma a decidere è Michael Ledeen
Scritto il 25/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone........
..........ma anche della destra di sostegno a Trump, attraverso personaggi inquietanti come Michael Ledeen, vera e propria ombra sul gabinetto Renzi. Potenza trasversale degli ambienti massonici…
Sì, proprio Michael Ledeen, quello delle mene americane sul caso Moro, quello espulso perfino dai nostri servizi segreti perché troppo intrigante, quello legato alla P2,
........
Può stupire se oggi Renzi ha affermato:
Renzi: “È la dimostrazione che il Paese è bloccato”?????????
Consulta boccia riforma Madia della pubblica amministrazione. Renzi: “È la dimostrazione che il Paese è bloccato”
Lobby
Secondo la Corte Costituzionale la riforma è illegittima nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni, sede dove serve invece un'intesa per poter procedere. I sindacati dei dirigenti: "Esiste un giudice a Berlino. E domani la delega scade. Mattarella non firmi il decreto"
di F. Q. | 25 novembre 2016
COMMENTI (469)
Più informazioni su: Corte Costituzionale, Governo Renzi, Marianna Madia, Pubblica Amministrazione, Referendum Costituzionale 2016
Ennesimo incidente, questa volta sostanziale, sulla strada della riforma della pubblica amministrazione targata Marianna Madia. Secondo la Corte Costituzionale, la delega è illegittima nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni, sede dove serve invece un’intesa per poter procedere. La pronuncia della Consulta è arrivata in seguito a un ricorso della Regione Veneto e riguarda le norme relative a dirigenza, partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego: rende quindi illegittimi anche i decreti approvati giovedì in via definitiva dal Consiglio dei ministri, tra cui quelli sui dirigenti e sui servizi locali (ancora da varare invece il testo unico sul pubblico impiego). Ha fatto subito buon viso a cattivo gioco Matteo Renzi, che a nove giorni dal referendum costituzionale è salito subito sul carro.
“Oggi la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sui dirigenti perché non abbiamo coinvolto le Regioni. E’ un Paese in cui siamo bloccati”, ha commentato il premier. Chiaro il riferimento agli effetti della revisione del titolo V prevista dalla riforma Renzi-Boschi: se passerà, il governo potrà bypassare gli enti locali evitando la grana dei conflitti di competenza. Poco dopo è arrivata anche una nota del Comitato ‘Basta un sì’ che parla di “un ricorso basato su motivazioni meramente formali” che causa “l’ennesimo blocco burocratico, che ha fatto sprecare tempo e soldi al Parlamento per le sedute necessarie ad approvare questi provvedimenti e che impedisce ai cittadini di ricevere i benefici in essi contenuti. Uno stop che la riforma costituzionale permetterebbe di superare, riportando la gestione della pubblica amministrazione, com’è giusto che sia, alla competenza dello Stato”. Di parere diametralmente opposto i dirigenti, da tempo sulle barricate contro il ruolo unico e il rischio di restare senza poltrona e con lo stipendio ridotto: “E’ tutto da rifare. E domani la delega scade“, cantano vittoria.
Tornando alla pronuncia, la Corte ha circoscritto il giudizio alle misure della delega Madia impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. “Le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”, si spiega nella sintesi della sentenza. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Lo stop riguarda quindi esclusivamente le deleghe al governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”. La Consulta, guardando al futuro, sottolinea comunque che “le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione“.
Nei mesi scorsi alcuni tasselli della riforma erano già stati “smontati” dalla giustizia amministrativa: a metà ottobre il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto sulla dirigenza pubblica per assenza di copertura finanziaria e mancanza di nuovi sistemi di valutazione, arrivando alla conclusione che “occorrono rilevanti modifiche al decreto per un miglior risultato sul merito, efficienza e responsabilità dei dirigenti”. Sia il Tar sia il Consiglio di Stato hanno poi giudicato “illegittimi” e “irragionevoli” i requisiti richiesti dal decreto sulla pa digitale ai gestori di pec, certificatori e conservatori di documenti digitali. Ciliegina sulla torta, il Tar del Lazio ha demolito pure il regolamento attuativo di quest’ultimo decreto sulla digitalizzazione dei servizi ribadendo che i requisiti di capitale sono ingiustificati.
Dall’Unadis al Fedir, i sindacati dei dirigenti pubblici esultano. “Esiste un giudice a Berlino“, commenta l’Unione nazionale dirigenti dello Stato attraverso il segretario generale Barbara Casagrande. “Qualcuno comincia a dire che la legge Madia è incostituzionale e, di conseguenza, lo è il decreto legislativo adottato ieri dal Consiglio dei Ministri, laddove non vi è una intesa con la Conferenza Stato Regioni (ma solo un parere). Dopo le numerose iniziative volte ad evidenziare le nostre preoccupazioni nei confronti di una riforma inapplicabile, incostituzionale, che lede l’imparzialità della funzione amministrativa e ingenera incrementi dei costi all’esterno, adesso dobbiamo ragionare sulle azioni immediate a tutela della difesa della dirigenza”. “Domani la delega scade”, ma “auspichiamo che non si blocchi il processo di riforma, ma che avvenga in modo corretto e condiviso”. Per mercoledì è convocata una “grande assemblea della dirigenza, insieme ai nostri legali, per definire le azioni imminenti a difesa della categoria e del Paese”.
Il segretario nazionale della Federazione dei Dirigenti e Direttivi Pubblici (Fedir), Antonio Travia, fa appello al presidente Mattarella chiedendogli “di non rendersi complice di Renzi di ulteriori illegittimità e quindi di non firmare il decreto Madia sulla dirigenza”.
Renzi presto a casa, ma intanto il lavoro sporco l’ha fatto
Scritto il 14/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Il fenomeno Renzi può essere considerato come la risposta dell’establishment all’ascesa folgorante del M5S: banche, Confindustria, Marchionne, De Benedetti e lo stesso Berlusconi hanno puntato sul ricambio del vecchio gruppo dirigente del Pd ormai logoro e privo di qualsiasi spinta propulsiva. E così è stato creato Renzi il gran Rottamatore, una delle figure più reazionarie del periodo repubblicano. Renzi aveva il compito di fare esattamente quello che hanno fatto Monti e Letta, però doveva sembrare diverso agli occhi della gente perché il tracollo di Monti alle elezioni del 2013 scottava ancora. Renzi è stata una mossa giusta per le élite. Ha retto 3 anni, che è moltissimo per qualcuno incaricato di attuare politiche impopolari.
Sostiene Fausto Carotenuto:
Carotenuto: parla Renzi, ma a decidere è Michael Ledeen
Scritto il 25/11/16 • nella Categoria: ideeCondividi
Ci prendevano in giro prima come Renzi ci prende in giro adesso. Ora per loro il problema è vincere il referendum, con la gente che non vuole questa riforma costituzionale. Con la gente che non si fida del “sistema” e di quello che propone........
..........ma anche della destra di sostegno a Trump, attraverso personaggi inquietanti come Michael Ledeen, vera e propria ombra sul gabinetto Renzi. Potenza trasversale degli ambienti massonici…
Sì, proprio Michael Ledeen, quello delle mene americane sul caso Moro, quello espulso perfino dai nostri servizi segreti perché troppo intrigante, quello legato alla P2,
........
Può stupire se oggi Renzi ha affermato:
Renzi: “È la dimostrazione che il Paese è bloccato”?????????
Consulta boccia riforma Madia della pubblica amministrazione. Renzi: “È la dimostrazione che il Paese è bloccato”
Lobby
Secondo la Corte Costituzionale la riforma è illegittima nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni, sede dove serve invece un'intesa per poter procedere. I sindacati dei dirigenti: "Esiste un giudice a Berlino. E domani la delega scade. Mattarella non firmi il decreto"
di F. Q. | 25 novembre 2016
COMMENTI (469)
Più informazioni su: Corte Costituzionale, Governo Renzi, Marianna Madia, Pubblica Amministrazione, Referendum Costituzionale 2016
Ennesimo incidente, questa volta sostanziale, sulla strada della riforma della pubblica amministrazione targata Marianna Madia. Secondo la Corte Costituzionale, la delega è illegittima nelle parti in cui prevede che l’attuazione attraverso i decreti legislativi possa avvenire dopo aver acquisito il solo parere della Conferenza Stato-Regioni, sede dove serve invece un’intesa per poter procedere. La pronuncia della Consulta è arrivata in seguito a un ricorso della Regione Veneto e riguarda le norme relative a dirigenza, partecipate, servizi pubblici locali e pubblico impiego: rende quindi illegittimi anche i decreti approvati giovedì in via definitiva dal Consiglio dei ministri, tra cui quelli sui dirigenti e sui servizi locali (ancora da varare invece il testo unico sul pubblico impiego). Ha fatto subito buon viso a cattivo gioco Matteo Renzi, che a nove giorni dal referendum costituzionale è salito subito sul carro.
“Oggi la Consulta ha dichiarato parzialmente illegittima la norma sui dirigenti perché non abbiamo coinvolto le Regioni. E’ un Paese in cui siamo bloccati”, ha commentato il premier. Chiaro il riferimento agli effetti della revisione del titolo V prevista dalla riforma Renzi-Boschi: se passerà, il governo potrà bypassare gli enti locali evitando la grana dei conflitti di competenza. Poco dopo è arrivata anche una nota del Comitato ‘Basta un sì’ che parla di “un ricorso basato su motivazioni meramente formali” che causa “l’ennesimo blocco burocratico, che ha fatto sprecare tempo e soldi al Parlamento per le sedute necessarie ad approvare questi provvedimenti e che impedisce ai cittadini di ricevere i benefici in essi contenuti. Uno stop che la riforma costituzionale permetterebbe di superare, riportando la gestione della pubblica amministrazione, com’è giusto che sia, alla competenza dello Stato”. Di parere diametralmente opposto i dirigenti, da tempo sulle barricate contro il ruolo unico e il rischio di restare senza poltrona e con lo stipendio ridotto: “E’ tutto da rifare. E domani la delega scade“, cantano vittoria.
Tornando alla pronuncia, la Corte ha circoscritto il giudizio alle misure della delega Madia impugnate dalla Regione Veneto, lasciando fuori le norme attuative. “Le pronunce di illegittimità costituzionale colpiscono le disposizioni impugnate solo nella parte in cui prevedono che i decreti legislativi siano adottati previo parere e non previa intesa”, si spiega nella sintesi della sentenza. In particolare, sono stati respinti i dubbi di legittimità costituzionale relativi alla delega per il Codice dell’amministrazione digitale. Lo stop riguarda quindi esclusivamente le deleghe al governo “in tema di riorganizzazione della dirigenza pubblica”, “per il riordino della disciplina vigente in tema di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni”, “di partecipazioni azionarie delle pubbliche amministrazioni e di servizi pubblici locali di interesse economico generale”. La Consulta, guardando al futuro, sottolinea comunque che “le eventuali impugnazioni delle norme attuative dovranno tener conto delle concrete lesioni delle competenze regionali, alla luce delle soluzioni correttive che il Governo, nell’esercizio della sua discrezionalità, riterrà di apprestare in ossequio al principio di leale collaborazione“.
Nei mesi scorsi alcuni tasselli della riforma erano già stati “smontati” dalla giustizia amministrativa: a metà ottobre il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto sulla dirigenza pubblica per assenza di copertura finanziaria e mancanza di nuovi sistemi di valutazione, arrivando alla conclusione che “occorrono rilevanti modifiche al decreto per un miglior risultato sul merito, efficienza e responsabilità dei dirigenti”. Sia il Tar sia il Consiglio di Stato hanno poi giudicato “illegittimi” e “irragionevoli” i requisiti richiesti dal decreto sulla pa digitale ai gestori di pec, certificatori e conservatori di documenti digitali. Ciliegina sulla torta, il Tar del Lazio ha demolito pure il regolamento attuativo di quest’ultimo decreto sulla digitalizzazione dei servizi ribadendo che i requisiti di capitale sono ingiustificati.
Dall’Unadis al Fedir, i sindacati dei dirigenti pubblici esultano. “Esiste un giudice a Berlino“, commenta l’Unione nazionale dirigenti dello Stato attraverso il segretario generale Barbara Casagrande. “Qualcuno comincia a dire che la legge Madia è incostituzionale e, di conseguenza, lo è il decreto legislativo adottato ieri dal Consiglio dei Ministri, laddove non vi è una intesa con la Conferenza Stato Regioni (ma solo un parere). Dopo le numerose iniziative volte ad evidenziare le nostre preoccupazioni nei confronti di una riforma inapplicabile, incostituzionale, che lede l’imparzialità della funzione amministrativa e ingenera incrementi dei costi all’esterno, adesso dobbiamo ragionare sulle azioni immediate a tutela della difesa della dirigenza”. “Domani la delega scade”, ma “auspichiamo che non si blocchi il processo di riforma, ma che avvenga in modo corretto e condiviso”. Per mercoledì è convocata una “grande assemblea della dirigenza, insieme ai nostri legali, per definire le azioni imminenti a difesa della categoria e del Paese”.
Il segretario nazionale della Federazione dei Dirigenti e Direttivi Pubblici (Fedir), Antonio Travia, fa appello al presidente Mattarella chiedendogli “di non rendersi complice di Renzi di ulteriori illegittimità e quindi di non firmare il decreto Madia sulla dirigenza”.
-
- Messaggi: 317
- Iscritto il: 02/03/2015, 18:13
Re: LA SFIDA del REFERENDUM
spiega ai cittadini che con il No non si riuscirà ad istituire il rmg non si riuscirà a modellare il welfare non si riuscirà a fare lo jus soli a fare la riforma della giustizia la riforma della Pa una legge sul pluralismo dell'informazione una legge sul conflitto di interessi
Chi c’è in linea
Visitano il forum: Nessuno e 18 ospiti