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IlFattoQuotidiano.it / Referendum Costituzionale

Referendum, il Financial Times evoca l’apocalisse: “Se vince il No, 8 banche a rischio fallimento”

Referendum Costituzionale
Secondo il quotidiano finanziario, lo scenario da incubo sarebbe il seguente: Renzi viene sconfitto, fallisce il salvataggio di Montepaschi e crolla la fiducia in generale "mettendo in pericolo una soluzione di mercato per gli istituti in difficoltà". A Bologna, intanto, il premier si rivolge agli elettori dei 5 stelle: "Votate con il cervello, non con la pancia"
di F. Q. | 27 novembre 2016
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A sette giorni dal referendum costituzionale, il Financial Times evoca l’apocalisse. Se il 4 dicembre vincerà il No, scrive il quotidiano finanziario, “fino a otto banche italiane in difficoltà saranno a rischio fallimento“, in quanto l’incertezza sui mercati allontanerà eventuali investitori per ricapitalizzarle. Secondo Ft, che cita fonti ufficiali e bancarie di alto livello, gli istituto a rischio sono otto: il Monte dei Paschi di Siena, la terza banca italiana per asset; tre banche di medie dimensioni (Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Carige), quattro piccole banche salvate l’anno scorso: Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e Cariferrara.



Lo scenario da incubo prefigurato dal Ft sarebbe il seguente: fallisce il salvataggio di Montepaschi e crolla la fiducia in generale “mettendo in pericolo una soluzione di mercato per le banche in difficoltà” italiane, soprattutto se il premier Matteo Renzi si dimetterà causando il protrarsi dell’incertezza durante la creazione di un governo tecnico“. Un altro dei timori è che le eventuali difficoltà delle otto banche possano “minacciare l’aumento di capitale di 13 miliardi di euro di Unicredit, la prima banca italiana per asset e la sua unica istituzione finanziaria di rilievo, in calendario all’inizio del 2017″.


“Il nocciolo della questione è se Siena viene risolta o meno – spiega una fonte – con Siena risolta non sono preoccupato. Con Siena irrisolta, sono preoccupato”. Se Mps dovesse fallire, continua il senior official, tutto diventa possibile inclusa “una resolution delle otto banche”, soprattutto se la vittoria del No dovesse portare alle dimissioni di Renzi e a un periodo di prolungata incertezza. A quel punto “un fallimento di massa degli istituti italiani potrebbe innescare il panico nel sistema bancario dell’eurozona”.

Il possibile legame tra il referendum e il salvataggio del Monte Dei Paschi era già stato evidenziato dallo stesso istituto, messo nero su bianco nella relazione all’assemblea degli azionisti sull’aumento di capitale convocata per il 24 novembre. Anche se non è affatto detto che con la vittoria del Sì l’istituto – che ha bisogno di mezzi freschi per almeno 5 miliardi mentre il suo valore di mercato supera di poco i 600 milioni – sia destinato a sicuro salvataggio, vista la difficoltà già riscontrata da Jp Morgan e Mediobanca nel reperire investitori interessati a partecipare alla ricapitalizzazione.

Non è la prima volta che il quotidiano londinese usa toni allarmistici sulla possibilità di una vittoria del No. Il 21 novembre Wolfgang Munchau scriveva in un editoriale che “l’esito del referendum potrebbe accelerare il cammino dell’Italia fuori dall’euro. E sarebbe di riflesso una minaccia di disintegrazione per l’Europa”. Ancora prima, il 27 giugno, all’indomani del referendum sulla Brexit, il catastrofista Munchau preconizzava: “L’Italia sarà la prossima tessera del domino a cadere. Su riforme Renzi rischia come Cameron”. Di diverso avviso l’Economist, che il 24 novembre sottolineava le ragioni del No, affermando che Renzi “ha sprecato quasi due anni ad armeggiare con la Costituzione. Prima l’Italia torna ad occuparsi delle riforme vere meglio è per tutta l’Europa”.

Matteo Renzi, intanto, continua nel proprio tour elettorale per convincere gli elettori che di solito non votano Partito Democratico. “Grillo ieri ha detto, ‘Voi non votate col cervello, votate con la pancia’. L’ha detto perché se votano col cervello votano Sì anche loro”, ha detto il premier a Bologna, rivolgendosi direttamente agli elettori del Movimento 5 Stelle: “Amici 5 Stelle – ha detto il premier, poche ore dopo aver lanciato l’appello al pubblico nazional-popolare di Domenica Live, ospite del salotto televisivo di Barbara D’Urso – io lo so che non vi sto particolarmente simpatico. Allora alle prossime elezioni votate chi volete, ma al referendum votate col cervello, anzi votate col cuore. Non fatevi prendere in giro da chi vi dice non usate cervello. Diffidate di chi vi tratta come robot”.
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LA CADUTA DELLA REPUBBLICA DEI BROCCHI


Se adesso lo dice anche lui................

Dalla pagina 6 del Corriere della Sera di oggi:

L’intervista
di Massimo Rebotti

«Ora un congresso, la base non vuole Salvini
Silvio? Fa bene a tornare perché lui ha i voti»

Bossi: Matteo tradisce lo statuto della Lega, non ha esperienza per fare il premier
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MA PERCHE' MANCA SEMPRE UNO A FAR TRENTUNO?????


Paolo Barnard a volte dice cose condivisibili. Ma a volte scivola in cazzate inqualificabili.

Non si può inciampare in una baggianata del genere ad una settimana da voto.

Ma perché votare No, se poi comanda la mafia euro-Ue?

Con questo passaggio referendario si può eliminare la "Mafia euro-Ue"???

Certamente NO. Ma dato che si gioca la partita dell'ipocrisia, si da un segnale alla "Mafia euro-Ue" che dipende dalla massoneria finanziaria neocon dell'oltre Atlantico, che la maggioranza del popolo italiano non è stato ancora narcotizzato completamente.

E che non accetta le imposizioni fasciste della JP Morgan così tanto facilmente. Come hanno tentato di fare.


E QUINDI VOTA NO



LIBRE news

Ma perché votare No, se poi comanda la mafia euro-Ue?
Scritto il 28/11/16 • nella Categoria: idee Condividi

«L’orrenda verità è che qui in Italia ci possono lasciare un Senato, due, otto, o toglierlo e farne uno di bambù, o possono farne uno coi Sette Nani, Totti e la Blasi, ma qui in Italia non cambia nulla». Per Paolo Barnard, l’unico No che avrebbe senso, il 4 dicembre, «sarebbe quello di un’Italia dove la cittadinanza poi si fa sentire, sia dalla Camera che dal Senato, per riprendersi i suoi diritti», che ci sono stati “scippati”, nell’ultimo quarto di secolo, da governi e Parlamenti sostanzialmente d’accordo sul grande piano: rottamare l’Italia, asservendola al super-potere del business imposto da Bruxelles con la revoca della sovranità nazionale. Se si capisce questo, perché mai votare? «Per mantenere un sistema bicamerale che dal 1992 a oggi ha solo firmato la distruzione d’Italia? E’ questo il sistema bicamerale che volete mantenere?», si domanda Barnard. Senza un vero No al regime Ue e all’Eurozona, ogni altro voto è perfettamente inutile, sostiene il giornalista, autore del saggio “Il più grande crimine”, nel quale mostra come l’Italia sia stata “terminata”, per volere dell’élite finanziaria, col pieno consenso dei politici al potere, di destra e di sinistra.La lista degli eventi catastrofici è sterminata: «Governi tecnici fino all’ultimo D’Alema, poi Monti e Letta», quindi «le 14, diventate poi più di 36, nuove flessibilità sul lavoro dal ‘Baffetto’ in poi», senza contare «gli interventi militari», cioè «crimini contro l’umanità» in Kosovo, Afghanistan, Iraq, poi «l’appoggio italiano al disastro libico». Ma anche «i salvataggi bancari da Tremonti in poi, per ben oltre 110 miliardi di euro». E soprattutto: «I Trattati di Maastricht, Lisbona, Europact, Six Pack, Fiscal Compact, Pareggio di Bilancio in Costituzione». E ancora: l’Efsf, il Mes, l’European Semester e tutto l’impianto dell’Eurozona, «che certificarono la più indicibile perdita di sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale della storia d’Italia, e lo sprofondamento del paese nei Piigs», da cui «lo scannatoio-pensioni della riforma Fornero/Modigliani, l’attacco all’articolo 18 e la finanziarizzazione del diritto di pensionamento, il Jobs Act e il resto dell’abominio della nano-economia di Renzi», con in mezzo «le spending review di Cottarelli e Grilli, il massacro civile dei Patti di Stabilità dei Comuni».Barnard denuncia anche «la violazione di 17 articoli della Costituzione italiana per mano dei governi Monti e Letta col benestare di Napolitano», nonché «la continuata umiliazione di Roma che bela pietà a Bruxelles prima di poter passare una legge di bilancio, o per poter spendere 10 euro per i cataclismi naturali o per l’arrivo dei migranti, mentre Francia e Germania se ne sbattono il caXXo di Bruxelles dal primo giorno dell’entrata in Eurozona». Da segnalare anche «la mancata regolamentazione delle più fallite banche di tutta Europa con 360 miliardi di euro di buchi contabili», e poi «gli aumenti di Iva proiettati al 24% e una pressione fiscale oscillante dal 44 al 72% reali, la seconda più alta al mondo». E chi ha votato questo abominio? Chi non vi si è opposto? «Risposta: una Camera dei Deputati, e un Senato, italiani. E adesso mi si viene a dire che l’apocalisse della democrazia italiana è l’eliminazione di quel Senato? Ah, perché prima invece ci tutelava?». Per Barnard, mantenere un Senato in Italia, «dopo la sua vomitevole performance degli ultimi 24 anni», ha un senso «solo e la cittadinanza capisce che non è una questione di avere Camere, Senati, sgabuzzini e tinelli», ma sovranità vera.La questione, insiste Barnard, è «avere una cittadinanza che capisca cosa pretendere da Camere e Senati, e che pretenda subito: via dall’Eurozona dell’economicidio, via dall’Europa dei tecnocrati, dal mostro di Bruxelles». Bisogna «riprendersi tutte le sovranità: legislative, monetarie, costituzionali». Occorre «capire le operazioni monetarie per ottenere la piena occupazione, il dominio pubblico sul sistema finanziario e la supremazia dell’interesse pubblico sui profitti del settore privato», e cioè «espandere il deficit di Stato a moneta sovrana, fino alla rinascita del paese». Ma Barnard è ultra-pessimista: «Nulla mai cambierà, per noi, anche con una o due Camere, due o cinque Senati, perché quell’opinione pubblica che capisca cosa pretendere da un Parlamento non ce l’abbiamo». In Gran Bretagna c’è un bicameralismo ‘snello’ che ha una specie di Senato, i Lords, che costano la metà del nostro Senato e non possono bocciare le leggi della Camera. «Ma di chi è il merito della più grande rivoluzione europea dal 1848, quella esplosa il 23 giugno con Brexit? Non certo del loro bicameralismo ‘snello’. E’ dei britannici, che si sono fatti sentie dalla politica sul tema vitale per il loro paese, ovvero la fuga dall’Unione Europea dell’economicidio». Da noi invece c’è solo Grillo, conclude Barnard: un «buffone stellato», che agli speculatori non fa nessuna paura.
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La Rai e quella frode sui gettoni d'oro: ombre su Zecca e Banca Etruria
Mesi fa l'inchiesta di Report sui premi della Rai. Salta i vecchi contratti. Ma il fornitore resta sempre lo stesso: Banca Etruria



Sergio Rame - Lun, 28/11/2016 - 18:03
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Quanto valgono i gettoni d'oro con cui vengono pagate le vincite dei concorsi a premi della Rai? L'inchiesta di Sigfrido Ranucci che, la scorsa primavera, aveva smosso le acque con un'inchiesta senza precedenti trasmessa da Report di Milena Gabanelli, ha gettato nuove, pesantissime ombre sulla Zecca dello Stato e su Banca Etruria, che fornisce le monete a viale Mazzini.


A far scoppiare il pandemonio è una signora che, dopo aver vinto un concorso a premi, si accorge che il gettone della Zecca non è così puro come la Rai vuole far credere. A dispetto del contratto sottoscritto a viale Mazzini, mancano infatti 5 grammi per chilo. Come ricostruisce Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, "i premi non possono essere corrisposti in denaro: ecco perché i gettoni d’oro. Ma ai vincitori è concesso comunque di avere soldi contanti anziché il metallo prezioso, purché si completi un insensato circolo vizioso. Formalmente il vincitore riceve i gettoni coniati, del valore della vincita detratte le tasse, l’Iva, il costo del conio e la perdita fisiologica della fusione - spiega ancora Rizzo - a quel punto li rivende alla Zecca allo stesso prezzo, da cui però viene detratta una seconda volta la perdita fisiologica e il costo della fusione".



Questa trafila, portata alla luce da Report, è inquietante. Anche perché, durante questo assurdo processo, il vincitore del gioco a premi non tocca mai con mano i gettoni d'oro vinti. Tanto che nessuno può realmente dire se siano stati effettivamente coniati e fusi in un secondo momento. L'inchiesta del team guidato dalla Gabanelli tiene banco per giorni interui. E ovviamente viene ripresa da tutti i quotidiani nazionali. Anche perché da decenni i vertici di viale Mazzini acquista i gettoni d'oro senza fare alcuna gara. Parte così un esposto in procura dei vertici del Poligrafico. "L’ipotesi è frode in pubblica fornitura - spiega l'autrice di Report - dal 2012 alla data della messa in onda della nostra puntata, cioè aprile scorso, si sarebbe fatta pagare dalla Rai 20 milioni di euro per prestazioni mai effettuate e oltre 700 mila euro da quei vincitori che hanno optato per il controvalore in denaro". Da allora qualcosa (poco) è cambiato. I nuovi amministratori del Poligrafico hanno deciso di comprare l'oro facendo una gara pubblica. Ma, come si legge sul Corriere della Sera, a vincere è lo stesso fornitore di sempre: Banca Etruria.

L'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in una nota (leggi qui) ha precisato che i nuovi vertici, lo scorso aprile, hanno "presentato alla Procura di Roma un esposto-denuncia contro ignoti per accertare eventuali irregolarità". E ha, poi, "fornito massima collaborazione" consegnando agli inquirenti la documentazione oltre ai "risultati di un’attività di audit interno". Il Poligrafico ha, infine, sottolineato che "dalla documentazione interna risulta che i gettoni d’oro sono stati coniati e sono stati consegnati solo quelli effettivamente richiesti dai vincitori. Peraltro, una recente verifica della Rai in Zecca ha confermato la regolarità della procedura".


VIDEO Gettoni d'oro della Rai: la procura indaga su una frode di oltre 20 mln di euro
http://www.ilgiornale.it/news/spettacol ... 36503.html
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28 NOV 2016 17:00
GUIDA IMMAGINARIA ALLA “ALT-RIGHT” ITALIANA


- DA SGARBI A FELTRI, DA CRUCIANI A FERRARA FINO A LANGONE E GASPARRI ECCO CHI SONO I PROVOCATORI “REAZIONARI” DE’ NOANTRI


- CULTURA TROLL, BOMBERISMO, BUFALE E POPULISMO ONLINE, ECCO DA DOVE NASCE IL MOVIMENTO AMERICANO



ARTICOLO CON FOTO:
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 136665.htm
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Adda passà 'a nuttata

NEI GIORNI DI MASSIMA CONFUSIONE SUL PIANETA TERRA, SI SENTE DI TUTTO E DI PIU'



Referendum, il senatore: "State attenti alle bombe"
Ci mancava la strategia del terrore



Angelo Scarano - Lun, 28/11/2016 - 13:55
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Ci mancava la strategia del terrore. Verso la fine della campagna referendaria arriva lo spettro di una riedizione per decidere le sorti in vista del 4 dicembre.


Un'ombra pesante, provocazione retorica o meno, specie se fatta aleggiare da un parlamentare. È infatti intitolato "State lontani dalle camionette" il post che il senatore Bartolomeo Pepe pubblica sul proprio account Twitter per ammonire che "la settimana prima di un referendum importante in cui il governo va sotto di 6 punti, secondo i sondaggi ufficiali, può accadere che il destino delle genti italiche possa essere indirizzato da una bomba o una bombetta".

Pepe aveva già fatto parlare di sé quando, dopo l'uccisione della deputata laburista britannica Jo Cox, aveva scritto: "#JoKox colpire uno per educare cento".
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GIORNI DIFFICILI




ALLA PROVA DELLA CARTINA DI TORNASOLE, MICHELE SANTORO, CLASSE 1951, DA SALERNO, E' RISULTATO TUTTO SCEMO.

A QUESTO PUNTO MI CHIEDO SE MI HA INGANNATO PER TUTTI QUESTI ANNI, SPACCIANDOSI PER UN INTELLETTUALE DI SINISTRA, OPPURE SE IL SUO E' UN CASO DI ALZHEIMER PRECOX.

LEGGO:

Grillo è “di destra”, Renzi “di sinistra”. Al punto che «credo che la sopravvivenza della sinistra dipenda da Renzi», dice Michele Santoro.

IO NON SO SE GRILLO SIA DI DESTRA O DI SINISTRA.
SO CHE HA FORMATO UN MOVIMENTO CHE RACCOGLIE GLI SCONTENTI DI DESTRA E DI SINISTRA.

MA AFFERMARE CHE LA SOPRAVVIVENZA DELLA SINISTRA DIPENDA DA BENITO, PINOCCHIO MUSSOLONI-LA TRUFFA, E' LA SCEMENZA DEL SECOLO.

SANTORO HA UNA DISFUNZIONE ACUTA DELLA TIROIDE CHE GLI PROVOCA IL CONSEGUENTE CRETINISMO???????????????


LIBRE news
i
Santoro: il guaio dell’Italia non è Bruxelles, ma Grillo
Scritto il 29/11/16 • nella Categoria: idee Condividi


Grillo è “di destra”, Renzi “di sinistra”. Al punto che «credo che la sopravvivenza della sinistra dipenda da Renzi», dice Michele Santoro. «E’ l’unico in campo che riesce a dare qualche calcio al pallone, malgrado io trovi insufficiente il modo in cui affronta l’economia, come un Blair tardivo». Parole che Santoro affida a Salvatore Merlo, che l’ha intervistato per il “Foglio”. Questa l’analisi dell’ex mattatore televisivo di “Annozero”: il guaio non è l’Italia terremotata dall’euro e da Bruxelles, ma la minaccia di Grillo che incombe su Renzi, ultima speranza della “sinistra”. Renzi sarà anche «lento nel saper far svolgere agli strumenti come la Rai la loro funzione di acceleratori dei processi culturali ed economici del paese», ma questo non gli impedisce di vedere «quanto siano patetici D’Alema e Bersani quando dicono che se cade Renzi non succede nulla: se cade Renzi cade la sinistra in questo paese». E aggiunge: «Se la destra non si ripiglia, e resta ridotta a Salvini e Meloni, Grillo è irrefrenabile». Savini e Meloni, peraltro, sono gli unici due leader politici italiani che – a loro modo – denunciano apertamente la “dittatura” di Bruxelles come problema numero uno per il paese.Santoro poi manifesta disagio per la campagna referendaria che Marco Travaglio sta conducendo contro Renzi: «Non trovo strano che abbia schierato il “Fatto” a favore del No. Trovo tuttavia imbarazzante che tutto il giornale, fin dentro ai necrologi, sia schierato per il No. In ogni sua riga. E’ ridicolo». Da quando Antonio Padellaro ha lasciato la direzione, domanda Salvatore Merlo, il “Fatto” è dunque diventato l’organo, l’araldo e il giustiziere pubblico del Movimento 5 Stelle? «Se a Marco dici che è diventato l’organo di qualcuno, ti spara. C’è di sicuro una corrispondenza tra lui e il Movimento. Non so quanto organica. Ma c’è». Santoro dice di aver sempre considerato Travaglio «molto più contemporaneo» di lui, «più in sintonia con il mondo del “mi piace” – “non mi piace”, che è la grammatica di Internet e di Facebook». Santoro si considera «fatto in maniera diversa», «un dinosauro», «pieno di dubbi e di elementi chiaroscurali». E Grillo? «L’ho riportato io in tivù, è un fenomeno che ho certamente enfatizzato, e quando era proibito farlo, perché immaginavo una rigenerazione della classe dirigente».Delusione: «Per me è ormai indubitabile che il Movimento 5 Stelle è destra. Destra pura», sentenzia Santoro. «Dov’è la palingenesi grillina? La cosa che mi sorprende di più è questa: quando vincono i 5 Stelle non succede nulla. Ormai è un dato di fatto. Guardate Roma. I 5 Stelle, con Virginia Raggi, hanno vinto a Roma, e sfido chiunque a riconoscere un cambiamento. La cosa più inquietante è che non cambia nulla in questo tran-tran romano, sempre più degradato, e al quale ci siamo abituati». Duro il giudizio sull’ex comico: «Alla fine Grillo è potere, è partito, è politica. Solo che finge di non esserlo, nasconde la sua natura, vuole apparire diverso. Ipocrita. Come quando si presenta con i jeans lisi, ma ha la Ferrari in garage e i filippini che rispondono al telefono nella sua villa: “Il padrone è uscito”». Poca democrazia, tra i grillini: «Con questi non puoi avere un dibattito, tu fai domande e loro rispondono con il manganello e l’insulto. E Grillo fa finta di nulla. Rimane nascosto, incappucciato. Come un troll di Twitter».
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GIORNI DIFFICILI


UN PAESE SENZA OPPOSIZIONE E' SEMPRE IN BALIA DI CHI COMANDA.

DA NOI SPARENDO LA SINISTRA E' VENUTA A MANCARE L'OPPOSIZIONE.

NEI PRIMI CINQUANT'ANNI DELLA REPUBBLICA, LA DEMOCRAZIA E' STATA GARANTITA DAL PIU' FORTE PARTITO DELLA SINISTRA IN EUROPA.

POI, CON LA MORTE DI BERLINGUER E' COMINCIATO UN LENTO E' PROGRESSIVO DECLINO.

ADESSO SIAMO AL TERMINE DEL PERCORSO.

TUTTI GLI OPPORTUNISTI IPOCRITI DELL'ULTIMA FASE STANNO GETTANDO LA MASCHERA UNO DOPO L'ALTRO.

MICHELE SANTORO CHE VUOLE RITORNARE IN RAI.

GAD LERNER CHE E' RITORNATO IN RAI.

BENIGNI LECCHINO FUORI MISURA PER RITORNARE IN RAI CONSUMA QUINTALI DI SALIVA PER IL SUO CORREGIONALE.

CUPERLO NON SAPPIAMO COSA GLI SIA STATO PROMESSO E VOTA SI.

PISAPIA HA RICEVUTO OFFERTE DA PINOCCHIO ASSIEME AL SINDACO DI CAGLIARI ZEDDA, E SI E' VENDUTO.

DELLA NULLITA' ASSOLUTA DI ORFINI, MANCO A PARLARNE.

QUEL CAMPIONE DEL TRASFORMISMO DI GENNARO MIGLIORE SI E' VENDUTO PER UNA POLTRONA.

NELLA GALLERIA DEI MORTI VIVENTI DELLA EX SINISTRA ITALIANA MANCAVA SOLO BARCA.

E' LA FINE



POLITICA
De Luca e clientele: ‘I voti non puzzano’, ora lo dice anche Fabrizio Barca

Politica
di Antonello Caporale | 28 novembre 2016
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Così fan tutti! Doveva capitarci di ascoltare da Fabrizio Barca, che delle buone pratiche in politica ha fatto ragione di vita, la sentenza di assoluzione di Vincenzo De Luca, il presidente della Campania che invita ad andare casa per casa, e raccogliere, lisca per lisca, tutto il pesce che l’onda dei fondi europei, e degli altri finanziamenti pubblici, conduce a riva. Pesca a strascico, s’intende. Lui, Fabrizio Barca, il denunciante rigoroso e perciò isolato delle devianze che hanno portato il Pd a sparire come corpo organizzato e sopravvivere come ente di gestione delle clientele, lui, proprio lui, che ha indicato nell’emersione dei feudi locali i sostituti funzionali dell’apparato, adesso spiega, trasfigurandosi in un cursore del Nazareno in debito d’ossigeno, che quello di De Luca è soltanto un effetto scenico. Tolto l’audio picaresco resterebbe il valore intrinseco della politica di sinistra: fare opere e organizzare il consenso. “Non c’è voto di scambio” nell’intruppamento militaresco con il quale De Luca raccoglie gli aspiranti vassalli e impone loro di portare a casa, per domenica prossima, almeno il 50 per cento dei voti validi.


Soldi contro voti, opere contro voti. Questa è la politica, così si fa politica dice un inguardabile Barca. Lui che sulla qualità dei fondi europei ha speso una vita, sulla scarsa tempra morale delle classi dirigenti locali ha investito tempo e ogni energia, lui che ha battuto il Paese alla ricerca di talenti dispersi e ansimanti, oggi riconduce alla normalità clientelare la pratica convenzionale. Poteva ben scegliere di affrontare il suo voto referendario che dopo lunga indecisione è virato verso il Sì, senza insultare la ragione sua e quella di molti suoi compagni campani che hanno dovuto abbandonare la politica o il partito, espulsi dal metodo deluchiano.

Barca non sa o fa finta di non sapere che De Luca ha dapprima modificato il suo linguaggio, rendendolo deliberatamente triviale e fascistico, sul quale ha poi innestato un dominio familiare, chiuso a qualunque contributo esterno. Ha messo i due figli a fare i capibastone: l’uno a Salerno, l’altro in Campania. Ha scommesso, nello scambio tra la democrazia e i lavori pubblici, sul silenzio degli affamati e l’accondiscendenza di una classe imprenditoriale che dell’impresa ha solo la partita Iva. Ha programmaticamente ingaggiato nel suo partito personale figuri che sono degni rappresentanti dell’epopea gavianea. Ha irrobustito le liste elettorali di raccoglitori di voti, uomini e donne senza arte né parte, senza passione né compassione per chi ha vissuto il sogno di una società più giusta più libera e più pulita. Già, era solo un sogno. Così fan tutti, non è vero? E lui, meglio degli altri, perché almeno taglia nastri, edifica, promuove, organizza, indica la via. De Luca è esattamente l’uomo del fare, ricorda Berlusconi. Fare e a prescindere. Fare senza mai poterlo contraddire. Lui fa, noi applaudiamo. L’ombra non del voto di scambio ma di qualcosa di più e di peggio grava sulla sua persona che ha acquisito, e giustamente, una centralità sulla scena politica.

Caro Barca, De Luca non è il senatore Razzi, non riduca alle gag di Crozza il suo indice di popolarità. Le chiedo: fin quando il Sud avrà bisogno di padroni per tenerlo a bada, quale riscatto, quale orgoglio, quale progresso? Caro Barca, dica qualcosa di sinistra, se può.
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TRUFFA CONTINUA


Renzi darà le dimissioni anche se trionferà il Sì

Le confidenze dell'entourage del premier: sarà varato un nuovo governo con una maggioranza più ampia
Laura Cesaretti - Mar, 29/11/2016 - 11:04
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Dopo settimane di allarme rosso, dalle parti di Palazzo Chigi torna a circolare un certo ottimismo: la partita del referendum si sta rivelando molto più aperta di quel che sembrava.

«La gente sta cambiando idea, quando vede il merito della riforma, sono decisamente ottimista», dice Matteo Renzi.
Ciò non toglie che, naturalmente, tutte le possibili conclusioni siano ancora in campo, e che si stiano studiando piani per ogni possibile conclusione: sconfitta, vittoria, e anche pareggio, se il risultato delle urne venisse assegnato per un'incollatura. C'è una novità per il post-referendum, ed è che esiste già un canovaccio di possibile legge elettorale post-Italicum (dalla sentenza della Corte Costituzionale non ci si attende nulla di buono). E, a sorpresa, c'è una novità che riguarda il piano A, ossia un'eventuale vittoria del Sì: anche in quel caso, se uscisse inaspettatamente trionfatore dalle urne, Matteo Renzi sarebbe pronto a salire al Colle e dare le proprie dimissioni da presidente del Consiglio. Con un'argomentazione semplice: questo governo è nato, nel 2014, con il preciso mandato di realizzare una riforma istituzionale attesa da trent'anni. Dopo lustri di tentativi andati a vuoto, la riforma è finalmente realtà, dunque questo esecutivo - questo sarebbe il messaggio del premier - ha concluso il proprio compito.
Naturalmente, in quel contesto, le dimissioni sarebbero un gesto simbolico, perché nessuno può dubitare che il presidente Sergio Mattarella ne prenderebbe atto, ma riconsegnerebbe subito il mandato al premier uscente. Il quale - anche se ufficialmente lo nega - coglierebbe l'occasione per rafforzare la compagine governativa, cambiando alcuni ministri e facendo entrare nuovi nomi. E anche la maggioranza potrebbe allargarsi, con l'ingresso ufficiale non solo della componente guidata da Denis Verdini (che non chiederebbe posti di governo) ma anche di spezzoni di sinistra radical che oggi soffrono la politica para-grillina di Sel: si parla già di alcuni senatori e deputati pronti a sposare una linea filo-governativa, e fuori dal Parlamento leader come Pisapia e Zedda si sono già schierati per il Sì.
Il piano B, in caso di vittoria del No, varia a seconda delle proporzioni della sconfitta. Ma se il distacco non fosse gigantesco, una cosa è certa: Renzi, anche per mancanza di leadership alternative, resterà protagonista della scena politica. Ne sono convinti anche al Colle, dove Sergio Mattarella avrebbe confidato ad alcuni interlocutori di non vedere altri premier possibili per portare il Paese alla scadenza naturale della legislatura nel 2018. E Renzi, dopo le dimissioni, potrebbe quindi accettare un reincarico per guidare un governo che avrebbe lo scopo principale di fare la nuova legge elettorale.
E anche qui le idee, in casa renziana, starebbero già prendendo forma: non ci si aspetta nulla di buono dalla sentenza della Consulta sull'Italicum, che potrebbe esercitare una fortissima pressione per il ritorno al proporzionale. L'argine, spiega un dirigente Pd renziano, potrebbe essere una legge «fifty-fifty»: metà collegi uninominali, metà proporzionale senza preferenze, con un premio attorno al 15% per la lista o coalizione che prende più voti. Un modello che, secondo chi se ne intende avendo lavorato per decenni accanto a Silvio Berlusconi, come Denis Verdini, «potrebbe stare benissimo anche al Cavaliere» perché gli garantirebbe di dar vita ad un'alleanza di centrodestra presentando comunque il simbolo di Forza Italia, e perché toglierebbe di mezzo le preferenze, eliminando un fattore di inquinamento del voto. Nel Pd sono convinti che con un sistema simile si potrebbe costituire un'alleanza con i centristi da una parte (Ap, Scelta civica, Ala) e la sinistra alla Pisapia dall'altra. E che ci sarebbero ottime probabilità di conquistare una maggioranza di collegi e il premio sul proporzionale.
Intanto, Renzi oggi annuncerà un'altra legge elettorale: quella per il Senato riformato, sulla base della proposta Chiti, per garantire la scelta diretta da parte degli elettori dei senatori.
UncleTom
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Iscritto il: 11/10/2016, 2:47

Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

NON BASTANO LE NEVICATE NELLE ZONE TERREMOTATE

49 minuti fa
Scossa di magnitudo 4.4
fa tremare Centro Italia

Rachele Nenzi


Troppi matrimoni gay................
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