Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
I tedeschi accusano: l’Italia entrò nell’euro con il trucco
Proprio mentre Monti comincia ad arginare il rigore della Merkel in Europa, dai cassetti della Cancelleria di Berlino escono documenti imbarazzanti, rivelati dallo Spiegel: Kohl non si fidava dei numeri di Prodi e Ciampi
Documenti di fonte governativa tedesca appena resi noti rivelano che molti in seno alla Cancelleria di Helmut Kohl nutrivano seri dubbi sulla moneta comune europea quando nel 1998 si prese la decisione di introdurla. Helmut Kohl disse che tutti avrebbero avvertito il “peso della storia, la decisione di introdurre la moneta unica”. Il 2 maggio 1998, a Bruxelles, Kohl e i suoi colleghi presero una decisione di enorme importanza. Undici Paesi – tra i quali la Germania, la Francia, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e l’Italia – sarebbero entrati a far parte della nuova moneta unica europea.
Il peso della storia A 14 anni di distanza “il peso della storia” si fa sentire più che mai. Per ragioni politiche furono accolti nell’euro Paesi che all’epoca non erano pronti. Il governo tedesco ha messo a disposizione centinaia di documenti che vanno dal 1994 al 1998 e riguardano l’introduzione dell’euro e la decisione di accogliere l’Italia nell’Eurozona. A leggerli si capisce che l’Italia non avrebbe dovuto essere accolta nell’Eurozona. La decisione di accoglierla si fondò esclusivamente su considerazioni politiche. La decisione creò un precedente per un errore più grave due anni dopo: far entrare la Grecia. Ma Kohl preferì dimostrare che la Germania, anche dopo la riunificazione, rimaneva profondamente europeista, definiva la moneta comune “una garanzia di pace”.
Operazione Auto-inganno I documenti dimostrano che Berlino conosceva bene il reale stato dei conti pubblici italiani. L’operazione “auto-inganno” ebbe inizio nel 1991 a Maastricht. I capi di Stato e di governo europei si erano riuniti per prendere la decisione del secolo: l’introduzione dell’euro entro il 1999. Per garantire la stabilità della nuova moneta furono concordati severissimi criteri di accesso. La Commissione europea e l’Istituto monetario europeo avevano compiti di controllo e i leader europei dovevano prendere una decisione definitiva nella primavera del 1998. L’Italia raggiunse, almeno sulla carta, i parametri alla vigilia della scadenza. Ma esponenti della Cancelleria tedesca a Bonn avevano qualche dubbio. Nel febbraio del 1997, dopo un vertice italo-tedesco, un funzionario osservò che il governo di Roma aveva dichiarato, “con grande sorpresa dei tedeschi”, che il deficit di bilancio era inferiore a quanto indicato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dall’Ocse (Ocse). Ma poco prima del vertice un funzionario tedesco d’alto grado aveva scritto in un promemoria che secondo le nuove regole per il calcolo degli interessi, la riduzione del deficit italiano era stata dello 0,26 per cento appena. Pochi mesi dopo Jürgen Stark, sottosegretario alle Finanze, riferì che i governi di Italia e Belgio avevano “esercitato pressioni sui governatori delle rispettive Banche centrali violando l’impegno di autonomia degli istituti centrali” per evitare che gli ispettori dell’Ime non affrontassero “con un approccio eccessivamente critico” il tema del debito sovrano dei due Paesi.
I dubbi sui tagli A Maastricht, Kohl e gli altri leader avevano fissato al 60 per cento del Pil il tetto massimo del debito “a meno che il rapporto non evidenzi un sufficiente grado di decremento avvicinandosi rapidamente al valore di riferimento”. Il debito italiano era pari al doppio e tra il 1994 e il 1997 il debito era diminuito di appena tre punti. “Un debito del 120 per cento significava che questo criterio di convergenza non poteva essere soddisfatto – dice Stark oggi – Ma la domanda politicamente rilevante era: possiamo lasciare fuori dall’euro paesi fondatori della Cee?”. “Fino al 1997 inoltrato noi del ministero delle Finanze non credevamo che l’Italia sarebbe riuscita a soddisfare i criteri di convergenza”, dice Klaus Regling, all’epoca direttore generale delle Relazioni finanziarie e internazionali del ministero delle Finanze. Oggi Regling presiede il Fondo Salva Stati EFSF. Il 3 febbraio 1997, il ministro tedesco delle Finanze osservava che a Roma “erano state completamente tralasciate misure strutturali di taglio della spesa pubblica per evitare ricadute negative sul consenso sociale”. Il 22 aprile in un appunto del portavoce della Cancelleria si affermava che era “quasi impossibile” che “l’Italia potesse soddisfare i parametri”. Il 5 giugno il dipartimento dell’economia della Cancelleria riferiva che le prospettive di crescita dell’Italia erano “modeste” e che i progressi compiuti in materia di consolidamento dei conti pubblici erano “sopravvaluta-ti”.
L’inganno di Kohl I documenti appena resi noti inducono a ritenere che Kohl abbia ingannato sia l’opinione pubblica che la Corte costituzionale tedesca. All’epoca quattro professori si erano rivolti alla Corte costituzionale per impedire l’introduzione dell’euro. La richiesta era “chiaramente infondata”, dichiarò il governo dinanzi alla Corte sostenendo che sarebbe stata giustificata solo nel caso di un “sostanziale scostamento” rispetto ai criteri di Maastricht e che tale scostamento “non c’era né era prevedibile”. Davvero? Dopo un incontro tra il Cancelliere, il ministro delle Finanze Theo Waigel e il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, il direttore della Divisione per l’economia della Cancelleria, Sighart Nehring, osservò verso la metà di marzo del 1998 che “l’elevatissimo debito” dell’Italia poneva “enormi rischi”. Ma il promemoria non ebbe ripercussioni. I funzionari di Bonn affidavano le loro speranze a due uomini che avevano iniziato a rimettere le cose a posto in Italia: il primo ministro Romano Prodi e il suo ascetico ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, già governatore per molti anni della Banca d’Italia. “Senza Ciampi l’Italia non sarebbe mai riuscita ad entrare nell’Eurozona”, dice l’ex ministro delle Finanze Waigel. Ciampi e Prodi ottennero risultati relativamente positivi rispetto ai loro predecessori. Grazie alle riforme e ai tagli di spesa riuscirono a ridurre il ricorso al credito e ad abbassare il tasso di inflazione. Ma il paese aveva problemi ben maggiori e il governo ne era consapevole. Infatti gli italiani nel 1997 proposero in due circostanze di rinviare il varo dell’euro. Ma i tedeschi non accettarono. L’ex consigliere di Kohl, Bitterlich, ricorda che i tedeschi avevano affidato a Ciampi le loro speranze: “Tutti lo ritenevano il garante dell’Italia e in un certo senso pensavano che sarebbe riuscito a sistemare le cose”.
Equilibrio creativo È anche chiaro, ovviamente, che Kohl era deciso ad arrivare all’unione monetaria prima delle elezioni del 1998. La sua rielezione era a rischio e il suo sfidante, il socialdemocratico Schroeder, era noto per essere un euroscettico. Alla fine gli italiani riuscirono a soddisfare, almeno formalmente, i criteri di Maastricht grazie a qualche trucco e ad alcune circostanze fortunate. Il paese trasse vantaggio da tassi di interesse bassissimi e Ciampi si rivelò un creativo giocoliere della finanza pubblica. Introdusse, ad esempio, l’Eurotassa e ideò un intelligente trucco contabile consistente nel vendere le riserve auree del paese alla Banca centrale tassando i profitti. Il deficit di bilancio di conseguenza diminuì. Anche se in ultima analisi Eurostat non avallò questi stratagemmi, simbolicamente si ebbe la conferma di quello che era il fondamentale problema italiano: il bilancio non era in equilibrio, ma gli effetti speciali avevano prodotto conseguenze positive.
“Ingresso inaccettabile” Questa realtà non sfuggì ai funzionari della Cancelleria. In un promemoria datato 19 gennaio 1998, Bitterlich sottolineava che la riduzione del deficit si fondava essenzialmente sull’Eurotassa e sui tassi di interesse che erano diminuiti molto più che in altri Paesi. Poche settimane dopo, alcuni rappresentanti del governo olandese si misero in contatto con la Cancelleria e chiesero un “incontro riservato”. Il segretario generale del primo ministro olandese e il sottosegretario alle Finanze volevano esercitare pressioni su Roma. “Senza misure aggiuntive da parte dell’Italia tali da dare prova della sostenibilità sul lungo periodo del consolidamento, allo stato attuale l’ingresso dell’Italia nell’Eurozona è inaccettabile”, sostenevano i funzionari olandesi. Kohl, temendo che fallisse il suo più importante progetto dopo la riunificazione, respinse queste obiezioni. Disse agli olandesi che il governo francese lo aveva avvertito che la Francia, in caso di esclusione dell’Italia, si sarebbe ritirata dall’unione monetaria.
La pausa dopo lo sforzo Nella primavera del 1998, Eurostat certificò che gli italiani erano in linea con i criteri in materia di deficit fissati dal Trattato di Maastricht. Ciò significava che “non c’era più ragione di impedire l’ingresso dell’Italia nell’euro”, ricorda Waigel. Dopo che questo ostacolo era stato superato, “gli italiani potevano rivendicare il diritto giuridico di entrare nell’Eurozona fin dall’inizio”, ricorda oggi Regling. Tre mesi dopo, quando l’Italia si era assicurata l’ingresso nell’euro, il problema venne a galla. Il 10 luglio 1998 l’ambasciatore Kastrup disse ad alcuni funzionari di Bonn che l’Italia era in fase di “stagnazione” e che il governo italiano “si stava prendendo una pausa dopo lo sforzo straordinario fatto per soddisfare i criteri di Maastricht”. La pausa divenne lo status quo.
di Sven Boll, Christian Reiermann, Michael Sauga e Klaus Wiegrefe
© 2012, Der Spiegel – Distribuito da The New York Times Syndicate. Traduzione di Carlo Antonio Biscottodi Redazione Il Fatto Quotidiano | 13 maggio 2012
Proprio mentre Monti comincia ad arginare il rigore della Merkel in Europa, dai cassetti della Cancelleria di Berlino escono documenti imbarazzanti, rivelati dallo Spiegel: Kohl non si fidava dei numeri di Prodi e Ciampi
Documenti di fonte governativa tedesca appena resi noti rivelano che molti in seno alla Cancelleria di Helmut Kohl nutrivano seri dubbi sulla moneta comune europea quando nel 1998 si prese la decisione di introdurla. Helmut Kohl disse che tutti avrebbero avvertito il “peso della storia, la decisione di introdurre la moneta unica”. Il 2 maggio 1998, a Bruxelles, Kohl e i suoi colleghi presero una decisione di enorme importanza. Undici Paesi – tra i quali la Germania, la Francia, il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e l’Italia – sarebbero entrati a far parte della nuova moneta unica europea.
Il peso della storia A 14 anni di distanza “il peso della storia” si fa sentire più che mai. Per ragioni politiche furono accolti nell’euro Paesi che all’epoca non erano pronti. Il governo tedesco ha messo a disposizione centinaia di documenti che vanno dal 1994 al 1998 e riguardano l’introduzione dell’euro e la decisione di accogliere l’Italia nell’Eurozona. A leggerli si capisce che l’Italia non avrebbe dovuto essere accolta nell’Eurozona. La decisione di accoglierla si fondò esclusivamente su considerazioni politiche. La decisione creò un precedente per un errore più grave due anni dopo: far entrare la Grecia. Ma Kohl preferì dimostrare che la Germania, anche dopo la riunificazione, rimaneva profondamente europeista, definiva la moneta comune “una garanzia di pace”.
Operazione Auto-inganno I documenti dimostrano che Berlino conosceva bene il reale stato dei conti pubblici italiani. L’operazione “auto-inganno” ebbe inizio nel 1991 a Maastricht. I capi di Stato e di governo europei si erano riuniti per prendere la decisione del secolo: l’introduzione dell’euro entro il 1999. Per garantire la stabilità della nuova moneta furono concordati severissimi criteri di accesso. La Commissione europea e l’Istituto monetario europeo avevano compiti di controllo e i leader europei dovevano prendere una decisione definitiva nella primavera del 1998. L’Italia raggiunse, almeno sulla carta, i parametri alla vigilia della scadenza. Ma esponenti della Cancelleria tedesca a Bonn avevano qualche dubbio. Nel febbraio del 1997, dopo un vertice italo-tedesco, un funzionario osservò che il governo di Roma aveva dichiarato, “con grande sorpresa dei tedeschi”, che il deficit di bilancio era inferiore a quanto indicato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dall’Ocse (Ocse). Ma poco prima del vertice un funzionario tedesco d’alto grado aveva scritto in un promemoria che secondo le nuove regole per il calcolo degli interessi, la riduzione del deficit italiano era stata dello 0,26 per cento appena. Pochi mesi dopo Jürgen Stark, sottosegretario alle Finanze, riferì che i governi di Italia e Belgio avevano “esercitato pressioni sui governatori delle rispettive Banche centrali violando l’impegno di autonomia degli istituti centrali” per evitare che gli ispettori dell’Ime non affrontassero “con un approccio eccessivamente critico” il tema del debito sovrano dei due Paesi.
I dubbi sui tagli A Maastricht, Kohl e gli altri leader avevano fissato al 60 per cento del Pil il tetto massimo del debito “a meno che il rapporto non evidenzi un sufficiente grado di decremento avvicinandosi rapidamente al valore di riferimento”. Il debito italiano era pari al doppio e tra il 1994 e il 1997 il debito era diminuito di appena tre punti. “Un debito del 120 per cento significava che questo criterio di convergenza non poteva essere soddisfatto – dice Stark oggi – Ma la domanda politicamente rilevante era: possiamo lasciare fuori dall’euro paesi fondatori della Cee?”. “Fino al 1997 inoltrato noi del ministero delle Finanze non credevamo che l’Italia sarebbe riuscita a soddisfare i criteri di convergenza”, dice Klaus Regling, all’epoca direttore generale delle Relazioni finanziarie e internazionali del ministero delle Finanze. Oggi Regling presiede il Fondo Salva Stati EFSF. Il 3 febbraio 1997, il ministro tedesco delle Finanze osservava che a Roma “erano state completamente tralasciate misure strutturali di taglio della spesa pubblica per evitare ricadute negative sul consenso sociale”. Il 22 aprile in un appunto del portavoce della Cancelleria si affermava che era “quasi impossibile” che “l’Italia potesse soddisfare i parametri”. Il 5 giugno il dipartimento dell’economia della Cancelleria riferiva che le prospettive di crescita dell’Italia erano “modeste” e che i progressi compiuti in materia di consolidamento dei conti pubblici erano “sopravvaluta-ti”.
L’inganno di Kohl I documenti appena resi noti inducono a ritenere che Kohl abbia ingannato sia l’opinione pubblica che la Corte costituzionale tedesca. All’epoca quattro professori si erano rivolti alla Corte costituzionale per impedire l’introduzione dell’euro. La richiesta era “chiaramente infondata”, dichiarò il governo dinanzi alla Corte sostenendo che sarebbe stata giustificata solo nel caso di un “sostanziale scostamento” rispetto ai criteri di Maastricht e che tale scostamento “non c’era né era prevedibile”. Davvero? Dopo un incontro tra il Cancelliere, il ministro delle Finanze Theo Waigel e il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer, il direttore della Divisione per l’economia della Cancelleria, Sighart Nehring, osservò verso la metà di marzo del 1998 che “l’elevatissimo debito” dell’Italia poneva “enormi rischi”. Ma il promemoria non ebbe ripercussioni. I funzionari di Bonn affidavano le loro speranze a due uomini che avevano iniziato a rimettere le cose a posto in Italia: il primo ministro Romano Prodi e il suo ascetico ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, già governatore per molti anni della Banca d’Italia. “Senza Ciampi l’Italia non sarebbe mai riuscita ad entrare nell’Eurozona”, dice l’ex ministro delle Finanze Waigel. Ciampi e Prodi ottennero risultati relativamente positivi rispetto ai loro predecessori. Grazie alle riforme e ai tagli di spesa riuscirono a ridurre il ricorso al credito e ad abbassare il tasso di inflazione. Ma il paese aveva problemi ben maggiori e il governo ne era consapevole. Infatti gli italiani nel 1997 proposero in due circostanze di rinviare il varo dell’euro. Ma i tedeschi non accettarono. L’ex consigliere di Kohl, Bitterlich, ricorda che i tedeschi avevano affidato a Ciampi le loro speranze: “Tutti lo ritenevano il garante dell’Italia e in un certo senso pensavano che sarebbe riuscito a sistemare le cose”.
Equilibrio creativo È anche chiaro, ovviamente, che Kohl era deciso ad arrivare all’unione monetaria prima delle elezioni del 1998. La sua rielezione era a rischio e il suo sfidante, il socialdemocratico Schroeder, era noto per essere un euroscettico. Alla fine gli italiani riuscirono a soddisfare, almeno formalmente, i criteri di Maastricht grazie a qualche trucco e ad alcune circostanze fortunate. Il paese trasse vantaggio da tassi di interesse bassissimi e Ciampi si rivelò un creativo giocoliere della finanza pubblica. Introdusse, ad esempio, l’Eurotassa e ideò un intelligente trucco contabile consistente nel vendere le riserve auree del paese alla Banca centrale tassando i profitti. Il deficit di bilancio di conseguenza diminuì. Anche se in ultima analisi Eurostat non avallò questi stratagemmi, simbolicamente si ebbe la conferma di quello che era il fondamentale problema italiano: il bilancio non era in equilibrio, ma gli effetti speciali avevano prodotto conseguenze positive.
“Ingresso inaccettabile” Questa realtà non sfuggì ai funzionari della Cancelleria. In un promemoria datato 19 gennaio 1998, Bitterlich sottolineava che la riduzione del deficit si fondava essenzialmente sull’Eurotassa e sui tassi di interesse che erano diminuiti molto più che in altri Paesi. Poche settimane dopo, alcuni rappresentanti del governo olandese si misero in contatto con la Cancelleria e chiesero un “incontro riservato”. Il segretario generale del primo ministro olandese e il sottosegretario alle Finanze volevano esercitare pressioni su Roma. “Senza misure aggiuntive da parte dell’Italia tali da dare prova della sostenibilità sul lungo periodo del consolidamento, allo stato attuale l’ingresso dell’Italia nell’Eurozona è inaccettabile”, sostenevano i funzionari olandesi. Kohl, temendo che fallisse il suo più importante progetto dopo la riunificazione, respinse queste obiezioni. Disse agli olandesi che il governo francese lo aveva avvertito che la Francia, in caso di esclusione dell’Italia, si sarebbe ritirata dall’unione monetaria.
La pausa dopo lo sforzo Nella primavera del 1998, Eurostat certificò che gli italiani erano in linea con i criteri in materia di deficit fissati dal Trattato di Maastricht. Ciò significava che “non c’era più ragione di impedire l’ingresso dell’Italia nell’euro”, ricorda Waigel. Dopo che questo ostacolo era stato superato, “gli italiani potevano rivendicare il diritto giuridico di entrare nell’Eurozona fin dall’inizio”, ricorda oggi Regling. Tre mesi dopo, quando l’Italia si era assicurata l’ingresso nell’euro, il problema venne a galla. Il 10 luglio 1998 l’ambasciatore Kastrup disse ad alcuni funzionari di Bonn che l’Italia era in fase di “stagnazione” e che il governo italiano “si stava prendendo una pausa dopo lo sforzo straordinario fatto per soddisfare i criteri di Maastricht”. La pausa divenne lo status quo.
di Sven Boll, Christian Reiermann, Michael Sauga e Klaus Wiegrefe
© 2012, Der Spiegel – Distribuito da The New York Times Syndicate. Traduzione di Carlo Antonio Biscottodi Redazione Il Fatto Quotidiano | 13 maggio 2012
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Re: Come se ne viene fuori ?
Era solo il novembre del 2011 (24/11/2011)
Rapporto segreto: abbiamo rovinato la Grecia
Un testo confidenziale dei collaboratori di Bce, Fmi e Commissione Ue: mea culpa, abbiamo sbagliato, la cura per Atene non funziona.
«Dalla quarta revisione la situazione in Grecia non ha fatto che peggiorare, con una tendenza crescente verso la recessione». Inizia così un documento strettamente confidenziale del pool di consulenti della cosiddetta troika che ormai da mesi detta la sua ricetta alla Grecia. Era il 21 ottobre scorso quando i collaboratori di Bce, Fmi e Commissione Ue pronunciavano un poderoso mea culpa: abbiamo sbagliato, la cura imposta ad Atene non funziona.
C’era ancora George Papandreou alla guida del governo, assediato dai cittadini in rivolta contro il piano di austerità, di tagli e di sacrifici che l’Europa (Germania in testa) ha chiesto fin dai primi segnali di crisi. Quello stesso piano per cui alla fine lo stesso premier è stato «defenestrato», o costretto a «defenestrarsi», riaprendo le porte dell’esecutivo a Nea Demokratia, proprio il partito che aveva acceso la miccia greca presentando conti fasulli.
Hanno capito ma hanno perseverato. Eppure tutti i segnali dimostravano l’esatto contrario della «dottrina» troika. Il documento lo dimostra in modo incontrovertibile. «Gli sviluppi recenti - scrivono gli economisti - richiedono un riesame dei presupposti assunti finora sull’analisi della sostenibilità del debito». Come dire: forse bisognerebbe rivedere i calcoli fatti finora. «La valutazione mostra che il debito resterà alto per tutta la durata dell’orizzonte preso in considerazione - si legge nel documento - Per rendere il debito sostenibile servirà un’ambiziosa combinazione di aiuti ufficiali e di interventi del settore privato». Gli esperti informano che ci sono stati altri casi in cui gli aggiustamenti di bilancio, cioè le politiche di austerità e di diminuzione progressiva dell’indebitamento, hanno funzionato. «Ma l’evidenza ci dice che la Grecia non seguirà quegli esempi», ammettono senza troppi imbarazzi i consulenti economici. La Grecia non ce la farà a realizzare, partendo da condizioni di forte debolezza, «contemporaneamente una forte svalutazione interna, il risanamento del bilancio e il programma di privatizzazioni».
Al contrario si creerà un circolo vizioso in cui i tagli di bilancio determinano deflazione e peggiorano i saldi, creando ancora debito. Il rischio della Grecia è pesantissimo, avverte il pool di esperti. «L’aggravarsi delle turbolenze dovute alla profonda recessione - si legge ancora nel documento riservato - si presume che ritarderà di tre anni il raggiungimento degli obiettivi di politica fiscale e la privatizzazione. Mentre l’economia si contrarrà rapidamente, il debito raggiungerà livelli estremamente elevati nel breve periodo, al 208% del Pil».
Insomma, la sostenibilità del debito non sembra porprio migliorare. Il «rosso» accumulato rimarrà a un livello molto alto nel 2020 (173% del Pil). «L’accesso al mercato - concludono gli esperti - non sarà probabilmente riprisitinato fino al 2027, e il Paese potrebbe avere bisogno di aiuti finanziari aggiuntivi (inclusa la ristrutturazione del debito) a 450 miliardi di euro».
Come si esce da questo inferno? Gli esperti della troika sembrano suggerire una strada contraria a quella annunciata dalla politica. «Aiuti pubblici consistenti, di lungo termine e sufficientemente generosi - scrivono - saranno necessari affinché la Grecia resti solvente nei pagamenti e per facilitare la curva discendente del debito».
Per ora lo scenario resta molto incerto rispetto al quando la Grecia potrà tornare ad avere accesso al mercato. Che vuol dire tornare a conquistare quell’autonomia che ciascuno Stato sovrano rivendica. Insomma, fino a quando Atene non potrà più emettere titoli e piazzarli sul mercato per finanziare le sue spese, non si potrà dire che «la Grecia è dei greci», come le piazze infuocate di Atene urlavano. E come Andreas Papandreou, leggendario fondatore del Pasok e padre di George, insegnò ai suoi concittadini
http://www.unita.it/mondo/il-rapporto-s ... a-1.355092
Rapporto segreto: abbiamo rovinato la Grecia
Un testo confidenziale dei collaboratori di Bce, Fmi e Commissione Ue: mea culpa, abbiamo sbagliato, la cura per Atene non funziona.
«Dalla quarta revisione la situazione in Grecia non ha fatto che peggiorare, con una tendenza crescente verso la recessione». Inizia così un documento strettamente confidenziale del pool di consulenti della cosiddetta troika che ormai da mesi detta la sua ricetta alla Grecia. Era il 21 ottobre scorso quando i collaboratori di Bce, Fmi e Commissione Ue pronunciavano un poderoso mea culpa: abbiamo sbagliato, la cura imposta ad Atene non funziona.
C’era ancora George Papandreou alla guida del governo, assediato dai cittadini in rivolta contro il piano di austerità, di tagli e di sacrifici che l’Europa (Germania in testa) ha chiesto fin dai primi segnali di crisi. Quello stesso piano per cui alla fine lo stesso premier è stato «defenestrato», o costretto a «defenestrarsi», riaprendo le porte dell’esecutivo a Nea Demokratia, proprio il partito che aveva acceso la miccia greca presentando conti fasulli.
Hanno capito ma hanno perseverato. Eppure tutti i segnali dimostravano l’esatto contrario della «dottrina» troika. Il documento lo dimostra in modo incontrovertibile. «Gli sviluppi recenti - scrivono gli economisti - richiedono un riesame dei presupposti assunti finora sull’analisi della sostenibilità del debito». Come dire: forse bisognerebbe rivedere i calcoli fatti finora. «La valutazione mostra che il debito resterà alto per tutta la durata dell’orizzonte preso in considerazione - si legge nel documento - Per rendere il debito sostenibile servirà un’ambiziosa combinazione di aiuti ufficiali e di interventi del settore privato». Gli esperti informano che ci sono stati altri casi in cui gli aggiustamenti di bilancio, cioè le politiche di austerità e di diminuzione progressiva dell’indebitamento, hanno funzionato. «Ma l’evidenza ci dice che la Grecia non seguirà quegli esempi», ammettono senza troppi imbarazzi i consulenti economici. La Grecia non ce la farà a realizzare, partendo da condizioni di forte debolezza, «contemporaneamente una forte svalutazione interna, il risanamento del bilancio e il programma di privatizzazioni».
Al contrario si creerà un circolo vizioso in cui i tagli di bilancio determinano deflazione e peggiorano i saldi, creando ancora debito. Il rischio della Grecia è pesantissimo, avverte il pool di esperti. «L’aggravarsi delle turbolenze dovute alla profonda recessione - si legge ancora nel documento riservato - si presume che ritarderà di tre anni il raggiungimento degli obiettivi di politica fiscale e la privatizzazione. Mentre l’economia si contrarrà rapidamente, il debito raggiungerà livelli estremamente elevati nel breve periodo, al 208% del Pil».
Insomma, la sostenibilità del debito non sembra porprio migliorare. Il «rosso» accumulato rimarrà a un livello molto alto nel 2020 (173% del Pil). «L’accesso al mercato - concludono gli esperti - non sarà probabilmente riprisitinato fino al 2027, e il Paese potrebbe avere bisogno di aiuti finanziari aggiuntivi (inclusa la ristrutturazione del debito) a 450 miliardi di euro».
Come si esce da questo inferno? Gli esperti della troika sembrano suggerire una strada contraria a quella annunciata dalla politica. «Aiuti pubblici consistenti, di lungo termine e sufficientemente generosi - scrivono - saranno necessari affinché la Grecia resti solvente nei pagamenti e per facilitare la curva discendente del debito».
Per ora lo scenario resta molto incerto rispetto al quando la Grecia potrà tornare ad avere accesso al mercato. Che vuol dire tornare a conquistare quell’autonomia che ciascuno Stato sovrano rivendica. Insomma, fino a quando Atene non potrà più emettere titoli e piazzarli sul mercato per finanziare le sue spese, non si potrà dire che «la Grecia è dei greci», come le piazze infuocate di Atene urlavano. E come Andreas Papandreou, leggendario fondatore del Pasok e padre di George, insegnò ai suoi concittadini
http://www.unita.it/mondo/il-rapporto-s ... a-1.355092
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Re: Come se ne viene fuori ?
Tg3 - Ore 19,00 - Forte sconfitta della Merkel.
Re: Come se ne viene fuori ?
“Alla Germania nell’euro servivamo proprio perché deboli”. Parola di Visco
In questa intervista l'ex ministro delle Finanze spiega i retroscena sulla nascita della moneta. "Con paesi deboli nell'eurogruppo la valuta sarebbe stata abbastanza debole da non rallentare l'export di Berlino. Un'Italia fuori, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia"
di Stefano Feltri | 13 maggio 2012
“La Germania ha gestito la globalizzazione in modo consapevole, avere paesi come l’Italia dentro la moneta unica ha reso l’euro una moneta più debole di quanto sarebbe stata altrimenti e ha permesso a Berlino di esportare”. Vincenzo Visco era ministro delle Finanze ai tempi del governo Prodi, tra il 1996 e il 1998, e a lui era affidato “il lavoro sporco”, cioè tassare gli italiani per ridurre il deficit quel tanto che bastava da permettere all’Italia di entrare nell’euro.
Professor Visco, l’inchiesta dello Spiegel dimostra che la Germania non considerava affidabili i nostri conti.
Quando siamo entrati nell’euro era tutto in regola. Certo, nel 1997 rimasero tutti sorpresi che ce l’avessimo fatta, ma i nostri numeri erano certificati dall’Eurostat.
Ma l’Italia non è mai riuscita a rimanere nei parametri di Maastricht.
Entrammo con il deficit al 2,7 per cento del Pil, facendo l’eurotassa. Quando la sinistra tornò all’opposizione, nel 2001, lasciammo un avanzo primario di 5 punti, quello che adesso si cerca invano di raggiungere. I nostri guai derivano dalle scelte successive: si doveva continuare con il rigore, come richiedeva l’euro. Ma al governo c’era il centrodestra, da sempre ostile alla moneta unica, e le sue politiche hanno messo le basi dei guai attuali.
Avete mai avuto dubbi sulla possibilità di centrare gli obiettivi?
Siamo sempre stati ragionevolmente sicuri. Perché aumentando il surplus primario, scendeva il costo del debito. Scambiammo un aumento temporaneo di tasse con una riduzione permanente degli interessi da pagare. Eravamo tranquilli perché il distacco dal deficit al 3 per cento era minore di quanto risultava dai dati contabili.
Perché?
Man mano che facevamo correzioni, gli interessi scendevano. Gran parte del lavoro lo facevano i mercati. Il contrario di quello che succede oggi, quando gli investitori distruggono i risultati ottenuti dai governi, facendo salire i tassi sul debito. Siamo tornati in una situazione analoga a prima dell’euro. Ma l’euro c’è e ci vincola.
Ci sono mai stati momenti di tensione con i tedeschi?
Le relazioni con la Germania le gestiva Carlo Azeglio Ciampi che aveva una grandissima credibilità ed era molto abile. Io ricordo i rapporti con l’Olanda che erano molto difficili, proprio non ci volevano. Poi si convinsero. Però era chiaro a tutti che non avremmo mai avuto il debito al 60 per cento del Pil. Allora il Belgio era al 125 e stava peggio di noi. Poi loro sono scesi a 80-85 prima del 2008, quando sono fallite le banche e sono tornati in crisi. Hanno tenuto una politica rigidissima di bilancio, con una pressione fiscale superiore di 2 punti a quella media europea. Se uno vuole stare nell’euro deve mantenere il bilancio con un surplus primario, c’è poco da fare.
Qual è stato il momento più critico del percorso di accesso all’euro?
All’inizio sembrava che dovessimo entrare un anno dopo gli altri, perché il governo Dini aveva posto il 1998 anziché il 1997 come temine per rispettare il vincolo del 3 per cento tra deficit e Pil. Ma nessuno si era accorto che Ciampi si era tenuto una strada aperta, scrivendo in una riga del Dpef che si poteva anticipare. Poi Romano Prodi andò in Spagna e José Aznar gli disse che Madrid sarebbe entrata e fu molto sprezzante nei confronti dell’Italia. Quando Prodi tornò fece una riunione con Ciampi, Enrico Micheli, Tiziano Treu, e me. Si decise di provarci comunque per il ’97. Ma l’unico modo era fare una manovra dal lato delle entrate, il lavoro sporco fu delegato a me.
E se fossimo rimasti fuori?
Un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso.
E lo ha fatto?
Non mi pare.
Twitter @stefanofeltri
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05 ... co/228400/
In questa intervista l'ex ministro delle Finanze spiega i retroscena sulla nascita della moneta. "Con paesi deboli nell'eurogruppo la valuta sarebbe stata abbastanza debole da non rallentare l'export di Berlino. Un'Italia fuori, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia"
di Stefano Feltri | 13 maggio 2012
“La Germania ha gestito la globalizzazione in modo consapevole, avere paesi come l’Italia dentro la moneta unica ha reso l’euro una moneta più debole di quanto sarebbe stata altrimenti e ha permesso a Berlino di esportare”. Vincenzo Visco era ministro delle Finanze ai tempi del governo Prodi, tra il 1996 e il 1998, e a lui era affidato “il lavoro sporco”, cioè tassare gli italiani per ridurre il deficit quel tanto che bastava da permettere all’Italia di entrare nell’euro.
Professor Visco, l’inchiesta dello Spiegel dimostra che la Germania non considerava affidabili i nostri conti.
Quando siamo entrati nell’euro era tutto in regola. Certo, nel 1997 rimasero tutti sorpresi che ce l’avessimo fatta, ma i nostri numeri erano certificati dall’Eurostat.
Ma l’Italia non è mai riuscita a rimanere nei parametri di Maastricht.
Entrammo con il deficit al 2,7 per cento del Pil, facendo l’eurotassa. Quando la sinistra tornò all’opposizione, nel 2001, lasciammo un avanzo primario di 5 punti, quello che adesso si cerca invano di raggiungere. I nostri guai derivano dalle scelte successive: si doveva continuare con il rigore, come richiedeva l’euro. Ma al governo c’era il centrodestra, da sempre ostile alla moneta unica, e le sue politiche hanno messo le basi dei guai attuali.
Avete mai avuto dubbi sulla possibilità di centrare gli obiettivi?
Siamo sempre stati ragionevolmente sicuri. Perché aumentando il surplus primario, scendeva il costo del debito. Scambiammo un aumento temporaneo di tasse con una riduzione permanente degli interessi da pagare. Eravamo tranquilli perché il distacco dal deficit al 3 per cento era minore di quanto risultava dai dati contabili.
Perché?
Man mano che facevamo correzioni, gli interessi scendevano. Gran parte del lavoro lo facevano i mercati. Il contrario di quello che succede oggi, quando gli investitori distruggono i risultati ottenuti dai governi, facendo salire i tassi sul debito. Siamo tornati in una situazione analoga a prima dell’euro. Ma l’euro c’è e ci vincola.
Ci sono mai stati momenti di tensione con i tedeschi?
Le relazioni con la Germania le gestiva Carlo Azeglio Ciampi che aveva una grandissima credibilità ed era molto abile. Io ricordo i rapporti con l’Olanda che erano molto difficili, proprio non ci volevano. Poi si convinsero. Però era chiaro a tutti che non avremmo mai avuto il debito al 60 per cento del Pil. Allora il Belgio era al 125 e stava peggio di noi. Poi loro sono scesi a 80-85 prima del 2008, quando sono fallite le banche e sono tornati in crisi. Hanno tenuto una politica rigidissima di bilancio, con una pressione fiscale superiore di 2 punti a quella media europea. Se uno vuole stare nell’euro deve mantenere il bilancio con un surplus primario, c’è poco da fare.
Qual è stato il momento più critico del percorso di accesso all’euro?
All’inizio sembrava che dovessimo entrare un anno dopo gli altri, perché il governo Dini aveva posto il 1998 anziché il 1997 come temine per rispettare il vincolo del 3 per cento tra deficit e Pil. Ma nessuno si era accorto che Ciampi si era tenuto una strada aperta, scrivendo in una riga del Dpef che si poteva anticipare. Poi Romano Prodi andò in Spagna e José Aznar gli disse che Madrid sarebbe entrata e fu molto sprezzante nei confronti dell’Italia. Quando Prodi tornò fece una riunione con Ciampi, Enrico Micheli, Tiziano Treu, e me. Si decise di provarci comunque per il ’97. Ma l’unico modo era fare una manovra dal lato delle entrate, il lavoro sporco fu delegato a me.
E se fossimo rimasti fuori?
Un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso.
E lo ha fatto?
Non mi pare.
Twitter @stefanofeltri
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05 ... co/228400/
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Re: Come se ne viene fuori ?
Avrà effetti in Europa.
IL VOTO ALLE ELEZIONI REGIONALI
Germania, crolla la Cdu di Angela Merkel
In Nord Reno Westfalia vincono Spd e Verdi
I Pirati con il 7,5% di consensi entrano nel quarto parlamento
Per il partito della cancelliera il peggior risultato dal dopoguerra
MILANO - In caduta libera il partito di maggioranza in Germania. La Cdu di Angela Merkel alle elezioni del Nord Reno Wesfalia, il land più grande del Paese, sfiora il tracollo. Secondo i primi due exit poll, il partito cristiano democratico è rimasto fermo al 26% dei voti. In testa con il 39% c'è la Spd, i Verdi hanno raggiunto il 12, mentre i liberali dell'Fdp potrebbero contare sull'8,5%. Infine i Pirati, che con il 7,5% dei consensi entrano nel quarto parlamento regionale. Fuori invece la Linke con il 2,5%.
IL CROLLO - Alle precedenti elezioni del 2010, la Cdu ottenne il 34,6% con un lieve vantaggio sulla Spd che ebbe invece il 34,5% dei voti. I risultati di questo voto ribaltano l'esito di due anni fa, e soprattutto rappresentano per il partito cattolico guidato dalla Merkel il peggior risultato di sempre nel principale land del Paese.
IL GOVERNO USCENTE - Alle scorse elezioni i Verdi ottennero il 12,1%, l'Fdp il 6,7%, la Linke il 5,6% e i Pirati l'1,6%. Dalla precedente tornata elettorale in Reno Nord Westfalia nacque un governo di minoranza rosso-verde, che adesso invece consolida un risultato di maggioranza assoluta all'interno del parlamento regionale.
Redazione Online
13 maggio 2012 | 18:55
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere.it
IL VOTO ALLE ELEZIONI REGIONALI
Germania, crolla la Cdu di Angela Merkel
In Nord Reno Westfalia vincono Spd e Verdi
I Pirati con il 7,5% di consensi entrano nel quarto parlamento
Per il partito della cancelliera il peggior risultato dal dopoguerra
MILANO - In caduta libera il partito di maggioranza in Germania. La Cdu di Angela Merkel alle elezioni del Nord Reno Wesfalia, il land più grande del Paese, sfiora il tracollo. Secondo i primi due exit poll, il partito cristiano democratico è rimasto fermo al 26% dei voti. In testa con il 39% c'è la Spd, i Verdi hanno raggiunto il 12, mentre i liberali dell'Fdp potrebbero contare sull'8,5%. Infine i Pirati, che con il 7,5% dei consensi entrano nel quarto parlamento regionale. Fuori invece la Linke con il 2,5%.
IL CROLLO - Alle precedenti elezioni del 2010, la Cdu ottenne il 34,6% con un lieve vantaggio sulla Spd che ebbe invece il 34,5% dei voti. I risultati di questo voto ribaltano l'esito di due anni fa, e soprattutto rappresentano per il partito cattolico guidato dalla Merkel il peggior risultato di sempre nel principale land del Paese.
IL GOVERNO USCENTE - Alle scorse elezioni i Verdi ottennero il 12,1%, l'Fdp il 6,7%, la Linke il 5,6% e i Pirati l'1,6%. Dalla precedente tornata elettorale in Reno Nord Westfalia nacque un governo di minoranza rosso-verde, che adesso invece consolida un risultato di maggioranza assoluta all'interno del parlamento regionale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Monti avrà il coraggio di fare presente agli Sturmtruppen che neppure loro sono in regola oggi?
GERMANIA
L’imbarazzante verità sul debito
23 settembre 2011
Presseurop
Handelsblatt, 23 settembre 2011
"La verità", titola Handelsblatt, che smentisce la presunta parsimonia dello stato tedesco pubblicando cifre strabilianti.
Il debito ufficiale della Germania per il 2011 è di 2.000 miliardi, ma secondo Handelsblatt le cifre reali sono molto diverse.
Nel calcolo non è infatti inclusa la maggior parte delle spese previste per le pensioni, la sanità e l'aiuto alle persone non autosufficienti.
Considerando tutto, il debito tedesco raggiungerebbe i 7.000 miliardi di euro.
La Germania sarebbe dunque indebitata per il 185 per cento del suo prodotto interno lordo, e non per l'85 per cento come dichiarato ufficialmente.
Per fare un confronto, il debito greco dovrebbe raggiungere nel 2012 il 186 per cento del pil, mentre quello italiano arriverà al 120 per cento.
La soglia critica oltre la quale il debito ostacola la crescita è il 90 per cento del pil.
Dal 2005, ovvero da quando è alla guida della Germania, Angela Merkel "ha creato più debito di tutti i cancellieri degli ultimi quarant'anni messi insieme", sottolinea il capo economista del quotidiano.
"Questi 7.000 miliardi di euro rappresentano un assegno a vuoto firmato dai tedeschi, che verrà pagato dai nostri figli e nipoti".
http://www.presseurop.eu/it/content/new ... sul-debito
GERMANIA
L’imbarazzante verità sul debito
23 settembre 2011
Presseurop
Handelsblatt, 23 settembre 2011
"La verità", titola Handelsblatt, che smentisce la presunta parsimonia dello stato tedesco pubblicando cifre strabilianti.
Il debito ufficiale della Germania per il 2011 è di 2.000 miliardi, ma secondo Handelsblatt le cifre reali sono molto diverse.
Nel calcolo non è infatti inclusa la maggior parte delle spese previste per le pensioni, la sanità e l'aiuto alle persone non autosufficienti.
Considerando tutto, il debito tedesco raggiungerebbe i 7.000 miliardi di euro.
La Germania sarebbe dunque indebitata per il 185 per cento del suo prodotto interno lordo, e non per l'85 per cento come dichiarato ufficialmente.
Per fare un confronto, il debito greco dovrebbe raggiungere nel 2012 il 186 per cento del pil, mentre quello italiano arriverà al 120 per cento.
La soglia critica oltre la quale il debito ostacola la crescita è il 90 per cento del pil.
Dal 2005, ovvero da quando è alla guida della Germania, Angela Merkel "ha creato più debito di tutti i cancellieri degli ultimi quarant'anni messi insieme", sottolinea il capo economista del quotidiano.
"Questi 7.000 miliardi di euro rappresentano un assegno a vuoto firmato dai tedeschi, che verrà pagato dai nostri figli e nipoti".
http://www.presseurop.eu/it/content/new ... sul-debito
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Re: Come se ne viene fuori ?
Apocalypse now
Dalla rassegna stampa del Ministero Dell'Interno
La Repubblica -
Atene nell'abisso
Bce: Non è un dramma se esce dall'euro.
http://tweb.interno.it/pressreview/newWinPDF.php
Dalla rassegna stampa del Ministero Dell'Interno
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Atene nell'abisso
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Re: Come se ne viene fuori ?
Apocalypse now
La Bce e la Bundesbank, oltre giocare sporco stanno mettendo l’Europa di fronte ad un grave pericolo.
Se ne occupa oggi Ettore LIVINI inviato di Repubblica, nell’articolo a pagina 11 dal titolo :
Lo scenario
Ma il ritorno della dracma costerebbe 11mila euro all’anno per ogni europeo (Complimenti – ndt)
Livini pubblica un diagramma di flusso dal titolo: Il gioco dell’oca della crisi.
Step..1.-.La Grecia chiede unilateralmente alla Ue di uscire dall’euro.
Step..2.-. Ue e Fmi sospendono il piano di aiuti da 130 miliardi
Bruxelles congela anche i fondi per lo sviluppo (20,4 mld al 2014)
Step..3.-.Atene reintroduce l’uso della dracma al vecchio tasso di cambio con l’euro: 340,75 dracme per euro, e impone una stretta sui capitali.
Bloccati i bancomat, contingentati quelli allo sportello, controlli alle frontiere.
Step..4.-.Depositi bancari , crediti e debiti vengono convertiti in dracme. Le banche greche vengono nazionalizzate.
Step..5.-.La Grecia resta tagliata fuori dai mercati. Problemi a pagare stipendi e pensioni.
L’inflazione greca sale del 20 % ( Stime ufficiose del Tesoro), Pil perde un quinto in un anno, sale la disoccupazione.
Step..6.-.I creditori della Grecia e delle aziende greche (Bce e Ue compresi) vedono ridursi drasticamente il valore delle loro esposizioni con pesanti rischi sui loro bilanci.
Step..7.-.L’Europa impone dazi alle merci greche per evitare la concorrenza di prodotti sottoprezzo
Step..8.-.I mercati crollano (Sungard prevede un -15 % medio per le borse)
Per il rischio di effetto domino gli spread salgono almeno del 20 %.
Step..9.-.Il costo di un crac controllato secondo Ubs (Unione banche svizzere-ndt) tra 9.500 e 11.500 euro l’anno per i cittadini dei Paesi deboli della Ue, un po’ meno per i tedeschi.
**
Alla faccia del bicarbonato di sodio.
Almeno qui abbiamo un diagramma di flusso, ma la Bce e la Bundesbank si limitano solo ad un laconico: non è un dramma se Atene esce dall’euro.
I dati devono essere sempre confrontati e non sparare a caso.
La Bce e la Bundesbank, oltre giocare sporco stanno mettendo l’Europa di fronte ad un grave pericolo.
Se ne occupa oggi Ettore LIVINI inviato di Repubblica, nell’articolo a pagina 11 dal titolo :
Lo scenario
Ma il ritorno della dracma costerebbe 11mila euro all’anno per ogni europeo (Complimenti – ndt)
Livini pubblica un diagramma di flusso dal titolo: Il gioco dell’oca della crisi.
Step..1.-.La Grecia chiede unilateralmente alla Ue di uscire dall’euro.
Step..2.-. Ue e Fmi sospendono il piano di aiuti da 130 miliardi
Bruxelles congela anche i fondi per lo sviluppo (20,4 mld al 2014)
Step..3.-.Atene reintroduce l’uso della dracma al vecchio tasso di cambio con l’euro: 340,75 dracme per euro, e impone una stretta sui capitali.
Bloccati i bancomat, contingentati quelli allo sportello, controlli alle frontiere.
Step..4.-.Depositi bancari , crediti e debiti vengono convertiti in dracme. Le banche greche vengono nazionalizzate.
Step..5.-.La Grecia resta tagliata fuori dai mercati. Problemi a pagare stipendi e pensioni.
L’inflazione greca sale del 20 % ( Stime ufficiose del Tesoro), Pil perde un quinto in un anno, sale la disoccupazione.
Step..6.-.I creditori della Grecia e delle aziende greche (Bce e Ue compresi) vedono ridursi drasticamente il valore delle loro esposizioni con pesanti rischi sui loro bilanci.
Step..7.-.L’Europa impone dazi alle merci greche per evitare la concorrenza di prodotti sottoprezzo
Step..8.-.I mercati crollano (Sungard prevede un -15 % medio per le borse)
Per il rischio di effetto domino gli spread salgono almeno del 20 %.
Step..9.-.Il costo di un crac controllato secondo Ubs (Unione banche svizzere-ndt) tra 9.500 e 11.500 euro l’anno per i cittadini dei Paesi deboli della Ue, un po’ meno per i tedeschi.
**
Alla faccia del bicarbonato di sodio.
Almeno qui abbiamo un diagramma di flusso, ma la Bce e la Bundesbank si limitano solo ad un laconico: non è un dramma se Atene esce dall’euro.
I dati devono essere sempre confrontati e non sparare a caso.
Ultima modifica di camillobenso il 13/05/2012, 21:31, modificato 1 volta in totale.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Apocalypse now
C’è un mese di tempo, max 40 giorni per evitare che tutto questo accada. Molto probabilmente non tutto dipende dalla cancelliera Merkel ma dai falchi della Bundesbank a partire da Jens Weidmann ex consigliere economico di Frau Angela da lei giudicato a suo tempo troppo radicale.
C’è da chiedersi a cosa si deve tutta questa intransigenza dei falchi teutonici e a cosa mirano.
Se la Grecia dovesse cadere cominceremmo pure noi a pagarne le conseguenze sovrapponendole alla profonda crisi che stiamo attraversando e alla recessione del mondo Occidentale.
Troppe negatività si stanno sovrapponendo lungo il percorso del Paese. Monti in questa fase ha l’autorevolezza per contrapporsi ai falchi Sturmtruppen, ma non sappiamo se ha la forza di imporsi picchiando i pugni sul tavolo per evitare l’Apocalypse now.
Abbiamo appreso come intendono giocare la partiten i generalen di Berlinen. Giocano sporco da figli di puttanen, riprendendo dagli archivi i documenti che riguardano l’ingresso dell’Italia nell’euro. Monti risponda allo stesso modo se i documenti che attestano che il debito pubblico Sturmtruppen è veramente di 7.000 mld di euro contro i 2100 dichiaraten.
Ogni tanto una sputtanatina alla razza superiore non fa male.
Ma se ciò non avvenisse,..prepariamoci al peggio in tutto.
C’è un mese di tempo, max 40 giorni per evitare che tutto questo accada. Molto probabilmente non tutto dipende dalla cancelliera Merkel ma dai falchi della Bundesbank a partire da Jens Weidmann ex consigliere economico di Frau Angela da lei giudicato a suo tempo troppo radicale.
C’è da chiedersi a cosa si deve tutta questa intransigenza dei falchi teutonici e a cosa mirano.
Se la Grecia dovesse cadere cominceremmo pure noi a pagarne le conseguenze sovrapponendole alla profonda crisi che stiamo attraversando e alla recessione del mondo Occidentale.
Troppe negatività si stanno sovrapponendo lungo il percorso del Paese. Monti in questa fase ha l’autorevolezza per contrapporsi ai falchi Sturmtruppen, ma non sappiamo se ha la forza di imporsi picchiando i pugni sul tavolo per evitare l’Apocalypse now.
Abbiamo appreso come intendono giocare la partiten i generalen di Berlinen. Giocano sporco da figli di puttanen, riprendendo dagli archivi i documenti che riguardano l’ingresso dell’Italia nell’euro. Monti risponda allo stesso modo se i documenti che attestano che il debito pubblico Sturmtruppen è veramente di 7.000 mld di euro contro i 2100 dichiaraten.
Ogni tanto una sputtanatina alla razza superiore non fa male.
Ma se ciò non avvenisse,..prepariamoci al peggio in tutto.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Il grosso, grasso pasticcio greco: niente accordo di governo, elezioni più vicine
Dopo il fallimento delle consultazioni dei giorni scorsi sembrava che il capo dello Stato Papoulias avesse raggiunto l'obiettivo di un esecutivo di unità nazionale con moderati e socialisti. Alexis Tsipras: "Non saremo complici"
di Francesco De Palo | 13 maggio 2012
“Non ci chiedono solo di essere d’accordo, ma anche di essere complici”. Sceglie il termine complici, come si trattasse di un reato il leader di Syriza Alexis Tsipras, dopo l’incontro al Megaro Proedrikò con il presidente della Repubblica Karolos Papoulias e i capi di Nea Dimokratia e Pasok, Samaras e Venizelos. In particolare con quest’ultimo pare ci sia stato più di un momento di tensione, con l’energico capo dei socialisti che avrebbe lasciato il vertice addirittura sbattendo la porta. Il suo no apre la strada a probabili elezioni il prossimo 17 giugno, nella consapevolezza che la posta in gioco è molto alta. E non coinvolge solo la permanenza della Grecia nell’eurozona, ma tocca molteplici questioni geopolitiche, come i giacimenti nell’Egeo, gli equilibri in Medio Oriente e i rapporti con la Russia di Putin.
Dunque fumata nera per il governo in Grecia. Dopo il vertice Samaras, Venizelos, Tsipras con il capo dello stato le urne si avvicinano, anche se nelle prossime ore non è escluso ancora un colpo a sorpresa, come gli Indipendenti di Kammenos a sostenere Pasok e Nea Dimkoratia in un governissimo alla Monti, a patto che accettino alcuni punti inamovibili. Ma la giornata ateniese è stata caratterizzata da notizie e smentite altalenanti che, se si fossero verificate a borse aperte, avrebbero provocato più di un terremoto, tanto in Europa quanto in Asia.
La Grecia beccheggia e di acque tranquille non se ne vede l’ombra. Prima lo stesso Tsipras annuncia l’accordo raggiunto per un esecutivo di due anni tra conservatori, socialisti e sinistra democratica di Fotis Kouvelis. Ma quest’ultimo un momento dopo smentisce (anche se ci sarebbero i 33 seggi degli Indipendenti greci guidati dall’energico Kammenos che potrebbero andare in soccorso ai due partiti maggiori). Poi il 37enne che i sondaggi danno in continua ascesa (se si andasse nuovamente al voto potrebbe arrivare al 24% dei consensi, mentre tutti gli altri partiti perderebbero qualcosa) si sposta dal palazzo presidenziale alla piazza ateniese di Nikea per spiegare alla “sua” gente il perché del gran rifiuto che tiene l’intero continente con il fiato sospeso: in quanto gli stessi amministratori che hanno causato i conti in rosso, dice nella solita tenuta d’ordinanza (camicia bianca e senza cravatta), oggi chiedono di stare ancora al governo.
Tsipras parla apertamente di svendita della propria patria da parte di chi, invece, avrebbe dovuto preservarla dallo sfacelo attuale. Anche strutturando una politica estera più autonoma e non piegata ai desiderata di Francia e Germania, da cui la Grecia continua ad acquistare armi, impiegando la cifra record dell’1,3% del proprio pil.
A giocare un ruolo non secondario in questo grosso, grasso pasticcio greco però non ci sono solo i seggi che mancano per arrivare (e superare) la fatidica soglia dei 151 deputati nella Voulì. Ma anche altri elementi che vanno “pesati” attentamente. Nonostante le misure anticrisi il debito pubblico ellenico quest’anno aumenterà fino a toccare il 170% del pil (nel 2011 era al 160%), come se le misure approntate dalla troika nell’ultimo biennio non avessero avuto alcun riscontro oggettivo; nel momento in cui la liquidità cinese rappresenta un oggettività, di contro la cancelliera Merkel non pare considerare l’opzione eurobond, che potrebbe rappresentare una boccata di ossigeno in termini di liquidità; in Grecia ci sono giacimenti di gas metano nell’Egeo e miniere nella zona settentrionale non ancora sfruttate; e c’è chi invoca addirittura il ruolo di cavia per il paese, dal momento che la crisi non è solo ellenica, bensì europea e mondiale.
Al panorama “noto” ai più, vanno sommate le cronache degli ultimi anni: gli scandali in occasione delle Olimpiadi del 2004 che hanno interessato il colosso tedesco Siemens cu cui è calata una coltre di silenzio, gli ostruzionismi della Turchia (che nel frattempo flirta con l’Iran di Ahmadinejad) in chiave di una vocazione espansionista che la porta a litigare con Atene per il petrolio e per il gas presente nelle acque greche, senza dimenticare l’ingiustificata occupazione di Cipro con 50mila militari turchi presenti in loco dal 1974. Una rete di fattori apparentemente distaccati fra loro, ma che in molti dipingono come parte di un unico scenario, al momento difficile da metabolizzare. E con gli scandali della casta ellenica a fare da scomoda cornice, come la vulgata che vorrebbe le mogli di molti deputati assunte in parlamento con uno stipendio mensile di cinquemila euro (e in caso di licenziamento già con una liquidazione in tasca da 150mila euro) e l’ultimo consiglio dei ministri dell’esecutivo Papademos che ha deliberato lo scorso 2 maggio (come riporta il sito del governo) l’assegnazione di diciotto miliardi di euro per ricapitalizzare quattro istituti bancari (Etnikì, Eurobank, Alpha, Peireos) e solo quelli, mentre altre banche chiudono, come quella di credito operativo agricolo (quella di Lamia, nella regione della Fthiotida era la più longeva, nata nel 1900). Provocando la reazione scomposta degli estremisti di Alba dorata che ne hanno chiesto i criteri di scelta.
Nei corridoi di palazzo, però, più di un analista scommette su un accordo: se Nea Dimokratia e Pasok dovessero accettare le condizioni poste dagli Indipendenti Greci, il governo potrebbe vedere la luce. Ed eccoli vincoli posti da Kammenos: rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi di ministri e deputati greci, ottenere lo statuto ufficiale della Banca Nazionale di Grecia per fare luce sugli azionisti e sui reali movimenti pre e post crisi; fare chiarezza sui giacimenti di gas metano nell’Egeo. Come se, nel paese con il più alto tasso di corruzione dell’Ue, fosse una cosa facile.
Twitter@FDepalo
IFQ
Dopo il fallimento delle consultazioni dei giorni scorsi sembrava che il capo dello Stato Papoulias avesse raggiunto l'obiettivo di un esecutivo di unità nazionale con moderati e socialisti. Alexis Tsipras: "Non saremo complici"
di Francesco De Palo | 13 maggio 2012
“Non ci chiedono solo di essere d’accordo, ma anche di essere complici”. Sceglie il termine complici, come si trattasse di un reato il leader di Syriza Alexis Tsipras, dopo l’incontro al Megaro Proedrikò con il presidente della Repubblica Karolos Papoulias e i capi di Nea Dimokratia e Pasok, Samaras e Venizelos. In particolare con quest’ultimo pare ci sia stato più di un momento di tensione, con l’energico capo dei socialisti che avrebbe lasciato il vertice addirittura sbattendo la porta. Il suo no apre la strada a probabili elezioni il prossimo 17 giugno, nella consapevolezza che la posta in gioco è molto alta. E non coinvolge solo la permanenza della Grecia nell’eurozona, ma tocca molteplici questioni geopolitiche, come i giacimenti nell’Egeo, gli equilibri in Medio Oriente e i rapporti con la Russia di Putin.
Dunque fumata nera per il governo in Grecia. Dopo il vertice Samaras, Venizelos, Tsipras con il capo dello stato le urne si avvicinano, anche se nelle prossime ore non è escluso ancora un colpo a sorpresa, come gli Indipendenti di Kammenos a sostenere Pasok e Nea Dimkoratia in un governissimo alla Monti, a patto che accettino alcuni punti inamovibili. Ma la giornata ateniese è stata caratterizzata da notizie e smentite altalenanti che, se si fossero verificate a borse aperte, avrebbero provocato più di un terremoto, tanto in Europa quanto in Asia.
La Grecia beccheggia e di acque tranquille non se ne vede l’ombra. Prima lo stesso Tsipras annuncia l’accordo raggiunto per un esecutivo di due anni tra conservatori, socialisti e sinistra democratica di Fotis Kouvelis. Ma quest’ultimo un momento dopo smentisce (anche se ci sarebbero i 33 seggi degli Indipendenti greci guidati dall’energico Kammenos che potrebbero andare in soccorso ai due partiti maggiori). Poi il 37enne che i sondaggi danno in continua ascesa (se si andasse nuovamente al voto potrebbe arrivare al 24% dei consensi, mentre tutti gli altri partiti perderebbero qualcosa) si sposta dal palazzo presidenziale alla piazza ateniese di Nikea per spiegare alla “sua” gente il perché del gran rifiuto che tiene l’intero continente con il fiato sospeso: in quanto gli stessi amministratori che hanno causato i conti in rosso, dice nella solita tenuta d’ordinanza (camicia bianca e senza cravatta), oggi chiedono di stare ancora al governo.
Tsipras parla apertamente di svendita della propria patria da parte di chi, invece, avrebbe dovuto preservarla dallo sfacelo attuale. Anche strutturando una politica estera più autonoma e non piegata ai desiderata di Francia e Germania, da cui la Grecia continua ad acquistare armi, impiegando la cifra record dell’1,3% del proprio pil.
A giocare un ruolo non secondario in questo grosso, grasso pasticcio greco però non ci sono solo i seggi che mancano per arrivare (e superare) la fatidica soglia dei 151 deputati nella Voulì. Ma anche altri elementi che vanno “pesati” attentamente. Nonostante le misure anticrisi il debito pubblico ellenico quest’anno aumenterà fino a toccare il 170% del pil (nel 2011 era al 160%), come se le misure approntate dalla troika nell’ultimo biennio non avessero avuto alcun riscontro oggettivo; nel momento in cui la liquidità cinese rappresenta un oggettività, di contro la cancelliera Merkel non pare considerare l’opzione eurobond, che potrebbe rappresentare una boccata di ossigeno in termini di liquidità; in Grecia ci sono giacimenti di gas metano nell’Egeo e miniere nella zona settentrionale non ancora sfruttate; e c’è chi invoca addirittura il ruolo di cavia per il paese, dal momento che la crisi non è solo ellenica, bensì europea e mondiale.
Al panorama “noto” ai più, vanno sommate le cronache degli ultimi anni: gli scandali in occasione delle Olimpiadi del 2004 che hanno interessato il colosso tedesco Siemens cu cui è calata una coltre di silenzio, gli ostruzionismi della Turchia (che nel frattempo flirta con l’Iran di Ahmadinejad) in chiave di una vocazione espansionista che la porta a litigare con Atene per il petrolio e per il gas presente nelle acque greche, senza dimenticare l’ingiustificata occupazione di Cipro con 50mila militari turchi presenti in loco dal 1974. Una rete di fattori apparentemente distaccati fra loro, ma che in molti dipingono come parte di un unico scenario, al momento difficile da metabolizzare. E con gli scandali della casta ellenica a fare da scomoda cornice, come la vulgata che vorrebbe le mogli di molti deputati assunte in parlamento con uno stipendio mensile di cinquemila euro (e in caso di licenziamento già con una liquidazione in tasca da 150mila euro) e l’ultimo consiglio dei ministri dell’esecutivo Papademos che ha deliberato lo scorso 2 maggio (come riporta il sito del governo) l’assegnazione di diciotto miliardi di euro per ricapitalizzare quattro istituti bancari (Etnikì, Eurobank, Alpha, Peireos) e solo quelli, mentre altre banche chiudono, come quella di credito operativo agricolo (quella di Lamia, nella regione della Fthiotida era la più longeva, nata nel 1900). Provocando la reazione scomposta degli estremisti di Alba dorata che ne hanno chiesto i criteri di scelta.
Nei corridoi di palazzo, però, più di un analista scommette su un accordo: se Nea Dimokratia e Pasok dovessero accettare le condizioni poste dagli Indipendenti Greci, il governo potrebbe vedere la luce. Ed eccoli vincoli posti da Kammenos: rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi di ministri e deputati greci, ottenere lo statuto ufficiale della Banca Nazionale di Grecia per fare luce sugli azionisti e sui reali movimenti pre e post crisi; fare chiarezza sui giacimenti di gas metano nell’Egeo. Come se, nel paese con il più alto tasso di corruzione dell’Ue, fosse una cosa facile.
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