Fermate il treno, voglio scendere.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
Daje de tacco daje de punta
quant'è bbona la sora assunta
In prima pagina Il Giornale titola:
UNA BESTIA DI MENO
Poi all'interno si preoccupano di eventuali ritorsioni sui poliziotti che hanno abbattuto il tunisino.
quant'è bbona la sora assunta
In prima pagina Il Giornale titola:
UNA BESTIA DI MENO
Poi all'interno si preoccupano di eventuali ritorsioni sui poliziotti che hanno abbattuto il tunisino.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
ad merlam merlorum
"Gli 007 italiani aspettavano Amri vicino a Bergamo"
A Bergamo il terrorista poteva contare su una rete di tunisini arrivati come lui durante l'ondata di sbarchi del 2011
Sergio Rame - Sab, 24/12/2016 - 11:48
Un gruppo misto di servizi segreti di cui facevano parte specialisti italiani e tunisini aspettavano l'arrivo di Anis Amri nell'area di Bergamo, a una quarantina di chilometri da Cinisello Balsamo, dove l'attentatore di Berlino è stato ucciso dalla polizia.
Nei paesini che costellano l'hinterland di Bergamo, secondo la ricostruzione del Foglio, che cita "una fonte che non desidera essere identificata", Amri poteva contare su "una rete di amici tunisini che come lui erano ragazzi durante l'ondata di sbarchi a Lampedusa nel 2011". Molti di questi sono originari della zona di Ariana, a Tunisi. "Non islamisti radicalizzati", precisa Il Foglio, ma piuttosto piccoli criminali "di sussistenza", "gente che ha dormito sui treni o all'aperto come lui aveva fatto anni fa".
Secondo il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, "l'intelligence sorvegliava quella zona perché puntava su 'un ritorno a casa' di Amri", ovvero "nella realtà che più gli era familiare dopo la Germania". Per il momento, però, la ricostruzione non trova riscontri ufficiali.
"Gli 007 italiani aspettavano Amri vicino a Bergamo"
A Bergamo il terrorista poteva contare su una rete di tunisini arrivati come lui durante l'ondata di sbarchi del 2011
Sergio Rame - Sab, 24/12/2016 - 11:48
Un gruppo misto di servizi segreti di cui facevano parte specialisti italiani e tunisini aspettavano l'arrivo di Anis Amri nell'area di Bergamo, a una quarantina di chilometri da Cinisello Balsamo, dove l'attentatore di Berlino è stato ucciso dalla polizia.
Nei paesini che costellano l'hinterland di Bergamo, secondo la ricostruzione del Foglio, che cita "una fonte che non desidera essere identificata", Amri poteva contare su "una rete di amici tunisini che come lui erano ragazzi durante l'ondata di sbarchi a Lampedusa nel 2011". Molti di questi sono originari della zona di Ariana, a Tunisi. "Non islamisti radicalizzati", precisa Il Foglio, ma piuttosto piccoli criminali "di sussistenza", "gente che ha dormito sui treni o all'aperto come lui aveva fatto anni fa".
Secondo il quotidiano diretto da Claudio Cerasa, "l'intelligence sorvegliava quella zona perché puntava su 'un ritorno a casa' di Amri", ovvero "nella realtà che più gli era familiare dopo la Germania". Per il momento, però, la ricostruzione non trova riscontri ufficiali.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
IL SENSO ASSOLUTO E IL SENSO RELATIVO
La Pinotti contro Salvini e Grillo: "No all'equazione migrante uguale jihadista"
Il caso del killer di Berlino risolleva l'emergenza immigrazione. Grillo: "Via gli irregolari". E Salvini: "Chiudere le frontiere". Ma la Pinotti li stoppa
Sergio Rame - Sab, 24/12/2016 - 17:19
commenta
"Bisogna chiudere le frontiere e ripristinare i controlli". Durante un presidio della Lega Nord davanti alla stazione di Sesto San Giovanni, dove ieri notte è stato ucciso il terrorista della strage di Berlino, Matteo Salvini torna ad attaccare i leader europee per l'accoglienza buonista, che porta a fare entrare immigrati che non avrebbero diritto, e l'incapacità di contrastare il terrorismo islamico.
"Non vorrei aspettare un'altra strage perché l'Europa si svegli". "Non ci sto - replica, seccata, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti - non accetto l'equazione immigrati uguale terroristi".
La storia di Anis Amri è una come tante. Immigrati che sbarcano in Europa, si radicalizzano e attaccano. Come spiegava Luigi Guelpa sul Giornale nei giorni scorsi, infatti, tutte le strade delle stragi che hanno messo in ginocchio l'Occidente passano per l'Italia. Nel Belpaese gli immigrati hanno vita facile: non vengono identificati, non vengono respinti e, se delinquono, non vengono espulsi. Ne sanno qualcosa Salah Abdeslam, l'ottavo uomo del commando che il 13 novembre 2015 uccise 180 persone a Parigi, Abdelhamid Abaaoud, capo della cellula di Verviers e "mente" degli attentati di Parigi, o Noureddine Chouchane, capo del Califfato a Sabrata che ha addestrato il commando che ha attaccato il museo del Bardo a Tunisi. Jihadisti che, al pari dell'attentatore di Berlino, sono passati più volte in Italia. Persino Ziyad Jarrah, il libanese che dirottò il volo United Airlines 93, fece una capatina a Roma e a Firenze nel 1999. Nessuno si è mai sognato di fermarli.
"L'islam, in questo momento storico, non è integrabile con la nostra società", spiega Salvini durante il presidio davanti alla stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni. "La guerra si vince anche con l'orgoglio della nostra identità. Non è un problema di milioni di islamici, perché ci sono persone per benissimo", incalza il leader del Carroccio puntualizzando che il dialogo deve partire da loro. "Io di islamici in piazza non ne ho visti". Una posizione netta che fa il paio con quella di Beppe Grillo che, subito dopo la sparatoria alle porte di Milano, chiedeva al Viminale di sbattere fuori dall'Italia gli immigrati irregolari. In realtà quella del comico è solo una sparata per recuperare qualche voto in un momento in cui la crisi interna al movimento e le inchieste che mettono in difficoltà Virginia Raggi. "Alle parole devono corrispondere i fatti - lo bacchetta, infatti, Salvini - Grillo parla in un modo e i suoi parlamentari cancellano il reato di immigrazione clandestina".
In una intervista ad Avvenire, il ministro Pinotti rigetta categoricamente le posizioni di Salvini e di Grillo. "È vero, l'attentatore di Berlino, un jihadista tunisino, era arrivato a Lampedusa nel 2011 - spiega - ma non accetto l'equazione profugo-terrorista. Non ci sto. In tre anni sono sbarcati sulle nostre coste in 500 mila. Disperati. Povera gente in fuga dalla fame e dalla guerra". E, per rispondere alla minaccia islamista, serve "un nuovo patto europeo" che "rilanci la cooperazione tra Stati".
La Pinotti contro Salvini e Grillo: "No all'equazione migrante uguale jihadista"
Il caso del killer di Berlino risolleva l'emergenza immigrazione. Grillo: "Via gli irregolari". E Salvini: "Chiudere le frontiere". Ma la Pinotti li stoppa
Sergio Rame - Sab, 24/12/2016 - 17:19
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"Bisogna chiudere le frontiere e ripristinare i controlli". Durante un presidio della Lega Nord davanti alla stazione di Sesto San Giovanni, dove ieri notte è stato ucciso il terrorista della strage di Berlino, Matteo Salvini torna ad attaccare i leader europee per l'accoglienza buonista, che porta a fare entrare immigrati che non avrebbero diritto, e l'incapacità di contrastare il terrorismo islamico.
"Non vorrei aspettare un'altra strage perché l'Europa si svegli". "Non ci sto - replica, seccata, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti - non accetto l'equazione immigrati uguale terroristi".
La storia di Anis Amri è una come tante. Immigrati che sbarcano in Europa, si radicalizzano e attaccano. Come spiegava Luigi Guelpa sul Giornale nei giorni scorsi, infatti, tutte le strade delle stragi che hanno messo in ginocchio l'Occidente passano per l'Italia. Nel Belpaese gli immigrati hanno vita facile: non vengono identificati, non vengono respinti e, se delinquono, non vengono espulsi. Ne sanno qualcosa Salah Abdeslam, l'ottavo uomo del commando che il 13 novembre 2015 uccise 180 persone a Parigi, Abdelhamid Abaaoud, capo della cellula di Verviers e "mente" degli attentati di Parigi, o Noureddine Chouchane, capo del Califfato a Sabrata che ha addestrato il commando che ha attaccato il museo del Bardo a Tunisi. Jihadisti che, al pari dell'attentatore di Berlino, sono passati più volte in Italia. Persino Ziyad Jarrah, il libanese che dirottò il volo United Airlines 93, fece una capatina a Roma e a Firenze nel 1999. Nessuno si è mai sognato di fermarli.
"L'islam, in questo momento storico, non è integrabile con la nostra società", spiega Salvini durante il presidio davanti alla stazione ferroviaria di Sesto San Giovanni. "La guerra si vince anche con l'orgoglio della nostra identità. Non è un problema di milioni di islamici, perché ci sono persone per benissimo", incalza il leader del Carroccio puntualizzando che il dialogo deve partire da loro. "Io di islamici in piazza non ne ho visti". Una posizione netta che fa il paio con quella di Beppe Grillo che, subito dopo la sparatoria alle porte di Milano, chiedeva al Viminale di sbattere fuori dall'Italia gli immigrati irregolari. In realtà quella del comico è solo una sparata per recuperare qualche voto in un momento in cui la crisi interna al movimento e le inchieste che mettono in difficoltà Virginia Raggi. "Alle parole devono corrispondere i fatti - lo bacchetta, infatti, Salvini - Grillo parla in un modo e i suoi parlamentari cancellano il reato di immigrazione clandestina".
In una intervista ad Avvenire, il ministro Pinotti rigetta categoricamente le posizioni di Salvini e di Grillo. "È vero, l'attentatore di Berlino, un jihadista tunisino, era arrivato a Lampedusa nel 2011 - spiega - ma non accetto l'equazione profugo-terrorista. Non ci sto. In tre anni sono sbarcati sulle nostre coste in 500 mila. Disperati. Povera gente in fuga dalla fame e dalla guerra". E, per rispondere alla minaccia islamista, serve "un nuovo patto europeo" che "rilanci la cooperazione tra Stati".
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
IL SENSO ASSOLUTO E IL SENSO RELATIVO
In senso assoluto la Pinotti ha ragione.
L’equazione migrante uguale a jahadista non regge. Non sta in piedi.
E’ la stessa che in certe parti del mondo diventa facile con noi fare l’equazione: ITALIANO UGUALE MAFIOSO.
A me che sono italiano e non ho mai fatto il mafioso, mi girerebbero le palle. Non lo accetto da nessuno.
In senso relativo, la Pinotti sbaglia.
Sbaglia perché il mercato degli imbonitori, un tanto al chilo, prosperano grazie ad un’emergenza mai governata dall’inizio.
Questo vuol dire dai governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, ed ora Gentiloni.
In senso assoluto la Pinotti ha ragione.
L’equazione migrante uguale a jahadista non regge. Non sta in piedi.
E’ la stessa che in certe parti del mondo diventa facile con noi fare l’equazione: ITALIANO UGUALE MAFIOSO.
A me che sono italiano e non ho mai fatto il mafioso, mi girerebbero le palle. Non lo accetto da nessuno.
In senso relativo, la Pinotti sbaglia.
Sbaglia perché il mercato degli imbonitori, un tanto al chilo, prosperano grazie ad un’emergenza mai governata dall’inizio.
Questo vuol dire dai governi Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, ed ora Gentiloni.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
LA DIFFICILE ARTE DI VIVERE
Il pensiero della destra e della sinistra si confrontano oggi nel tessuto sociale. Meno nella rappresentanza politica.
23 ore fa
1092
• 1028
• 1
• 63
"Il poliziotto è un eroe"
I tedeschi lo celebrano
Claudio Cartaldo
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pol ... 45895.html
1 giorno fa
10190
Lucarelli contro agenti
"Non sono degli eroi"
Selvaggia Lucarelli scrive un duro post contro chi ritiene "eroi" i due agenti di Sesto San Giovanni che hanno ucciso Amri
Claudio Cartaldo
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 45851.html
La destra è rimasta sempre quella di 60 anni fa. I nipoti si esprimo sempre nello stesso modo dei nonni.
Penultimo commento del 24/12/2016
manganellomonello
Sab, 24/12/2016 - 11:21
La Lucarelli sarebbe una eroina se la vedessimo fare un pxxxxxo come si deve.
Il pensiero della destra e della sinistra si confrontano oggi nel tessuto sociale. Meno nella rappresentanza politica.
23 ore fa
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"Il poliziotto è un eroe"
I tedeschi lo celebrano
Claudio Cartaldo
http://www.ilgiornale.it/news/mondo/pol ... 45895.html
1 giorno fa
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Lucarelli contro agenti
"Non sono degli eroi"
Selvaggia Lucarelli scrive un duro post contro chi ritiene "eroi" i due agenti di Sesto San Giovanni che hanno ucciso Amri
Claudio Cartaldo
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 45851.html
La destra è rimasta sempre quella di 60 anni fa. I nipoti si esprimo sempre nello stesso modo dei nonni.
Penultimo commento del 24/12/2016
manganellomonello
Sab, 24/12/2016 - 11:21
La Lucarelli sarebbe una eroina se la vedessimo fare un pxxxxxo come si deve.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
LA DIFFICILE ARTE DI VIVERE
13 ore fa
831
Straniero con il piccone
aggredisce i poliziotti
Angelo Scarano
In nessun altro quotidiano italiano presente in rete è riscontrabile questa notizia.
Solo sugli specializzati del Giornale la si trova.
DACCI OGGI IL NOSTRO ODIO QUOTIDIANO, è la preghiera dei finti cristiani del Giorlnale.
13 ore fa
831
Straniero con il piccone
aggredisce i poliziotti
Angelo Scarano
In nessun altro quotidiano italiano presente in rete è riscontrabile questa notizia.
Solo sugli specializzati del Giornale la si trova.
DACCI OGGI IL NOSTRO ODIO QUOTIDIANO, è la preghiera dei finti cristiani del Giorlnale.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
Jahdisti cristiani e jahadisti mussulmani
Daje, fàmose la guerra santa
22dic 16
Attentati inevitabili
A pochi giorni dal natale l’Europa si è trovata, ancora una volta, vulnerabile. È stato colpito uno dei simboli di questo periodo: il mercatino di natale. E poco importa che sia accaduto a Berlino, perché poteva accadere a Londra come a Parigi o a Roma. L’Europa è vulnerabile.
Ma anche il resto del mondo è vulnerabile. Gli Stati Uniti lo sono, così come lo è il Canada o qualsiasi altro Paese al mondo. Il perché è presto detto: alcuni attentati non possono essere evitati. Forse qualcuno storcerà il naso dopo questa mia affermazione, ma è una conclusione a cui sono giunto dopo essere stato a New York per 40 giorni.
A New York, infatti, è possibile vedere un poliziotto ogni 20 metri circa e nei punti più sensibili ci sono almeno 3/4 agenti in tenuta antiterrorismo (giubbotto antiproiettile, casco e mitra già alla mano). Eppure sono assolutamente convinto che se un lupo solitario volesse fare un attentato a New York ci riuscirebbe benissimo. Prendiamo un sabato sera newyorkese vicino alle feste natalizie, uno di quei sabati che per fortuna mi è capitato di vivere. Uno di quei giorni, verso le 18, sono andato al Rockefeller Center. L’albero era già acceso e le luci natalizie di Sacks si accendevano a suon di musica (ogni 15 minuti circa, questo è lo spettacolo che è possibile vedere proprio davanti l’albero famoso del Rockefeller). Io, almeno un paio di volte, ero lì a godermi lo spettacolo, e oltre a me c’erano tantissime persone. Così tante persone che non si riusciva neanche a camminare sul marciapiede. Era come assistere ad un concerto. Tantissime persone ammassate ai lati della strada (o alcuni anche in strada in mezzo alle macchine) con gli occhi puntati verso lo spettacolo.
La polizia c’era, certamente, ma se qualcuno avesse voluto fare un attentato ci sarebbe riuscito senza ombra di dubbio. Sarebbe infatti bastata una piccola carica esplosiva dentro un qualunque zaino e chiunque nel raggio di 10 metri sarebbe morto (considerando l’alta densità che ho visto probabilmente ci sarebbero stati almeno 10/15 morti e altri 15/20 feriti in modo grave, senza considerare il resto dei feriti).
Luci natalizie davanti Sacks a New York. Sotto tantissima gente ad osservarle
Ma questa cosa è applicabile a qualunque città occidentale. Nelle ore di punta ci sono milioni di persone che si spostano su mezzi pubblici ammassati o che si trovano in luoghi affollati per assistere ad un evento aperto al pubblico. Ecco, questi attentati sono inevitabili. Poi possiamo parlare del fatto che alcune persone non devono trovarsi in Europa perché già raggiunti da provvedimenti di espulsione (e allora lì sì che qualcosa non ha funzionato), ma alcuni attentati sono inevitabili. A meno che ogni persona non venga controllata e ogni zaino non venga aperto. Oppure ad ogni mercatino (e non parlo di quelli di natale, parlo di un qualunque mercatino esistente nel mondo occidentale) devono essere previste barriere in cemento armato, o prima di entrare nella metro o sui mezzi pubblici bisogna passare attraverso un metal detector così come per assistere ad un qualunque evento pubblico. Ma siete davvero convinti di poterlo sopportare? Ho visto gente in aeroporto che si lamentava per gli eccessivi controlli (il metal detector suonava e loro sbuffavano).
Alcuni attentati sono inevitabili, e forse è proprio qui che i terroristi hanno vinto: farci capire che possono colpirci in qualunque momento. Ma anche noi possiamo vincere: continuare le nostre vite e fargli capire che non abbiamo paura. Che continueremo ad andare ai mercatini, nei mezzi pubblici o in luoghi affollati.
Daje, fàmose la guerra santa
22dic 16
Attentati inevitabili
A pochi giorni dal natale l’Europa si è trovata, ancora una volta, vulnerabile. È stato colpito uno dei simboli di questo periodo: il mercatino di natale. E poco importa che sia accaduto a Berlino, perché poteva accadere a Londra come a Parigi o a Roma. L’Europa è vulnerabile.
Ma anche il resto del mondo è vulnerabile. Gli Stati Uniti lo sono, così come lo è il Canada o qualsiasi altro Paese al mondo. Il perché è presto detto: alcuni attentati non possono essere evitati. Forse qualcuno storcerà il naso dopo questa mia affermazione, ma è una conclusione a cui sono giunto dopo essere stato a New York per 40 giorni.
A New York, infatti, è possibile vedere un poliziotto ogni 20 metri circa e nei punti più sensibili ci sono almeno 3/4 agenti in tenuta antiterrorismo (giubbotto antiproiettile, casco e mitra già alla mano). Eppure sono assolutamente convinto che se un lupo solitario volesse fare un attentato a New York ci riuscirebbe benissimo. Prendiamo un sabato sera newyorkese vicino alle feste natalizie, uno di quei sabati che per fortuna mi è capitato di vivere. Uno di quei giorni, verso le 18, sono andato al Rockefeller Center. L’albero era già acceso e le luci natalizie di Sacks si accendevano a suon di musica (ogni 15 minuti circa, questo è lo spettacolo che è possibile vedere proprio davanti l’albero famoso del Rockefeller). Io, almeno un paio di volte, ero lì a godermi lo spettacolo, e oltre a me c’erano tantissime persone. Così tante persone che non si riusciva neanche a camminare sul marciapiede. Era come assistere ad un concerto. Tantissime persone ammassate ai lati della strada (o alcuni anche in strada in mezzo alle macchine) con gli occhi puntati verso lo spettacolo.
La polizia c’era, certamente, ma se qualcuno avesse voluto fare un attentato ci sarebbe riuscito senza ombra di dubbio. Sarebbe infatti bastata una piccola carica esplosiva dentro un qualunque zaino e chiunque nel raggio di 10 metri sarebbe morto (considerando l’alta densità che ho visto probabilmente ci sarebbero stati almeno 10/15 morti e altri 15/20 feriti in modo grave, senza considerare il resto dei feriti).
Luci natalizie davanti Sacks a New York. Sotto tantissima gente ad osservarle
Ma questa cosa è applicabile a qualunque città occidentale. Nelle ore di punta ci sono milioni di persone che si spostano su mezzi pubblici ammassati o che si trovano in luoghi affollati per assistere ad un evento aperto al pubblico. Ecco, questi attentati sono inevitabili. Poi possiamo parlare del fatto che alcune persone non devono trovarsi in Europa perché già raggiunti da provvedimenti di espulsione (e allora lì sì che qualcosa non ha funzionato), ma alcuni attentati sono inevitabili. A meno che ogni persona non venga controllata e ogni zaino non venga aperto. Oppure ad ogni mercatino (e non parlo di quelli di natale, parlo di un qualunque mercatino esistente nel mondo occidentale) devono essere previste barriere in cemento armato, o prima di entrare nella metro o sui mezzi pubblici bisogna passare attraverso un metal detector così come per assistere ad un qualunque evento pubblico. Ma siete davvero convinti di poterlo sopportare? Ho visto gente in aeroporto che si lamentava per gli eccessivi controlli (il metal detector suonava e loro sbuffavano).
Alcuni attentati sono inevitabili, e forse è proprio qui che i terroristi hanno vinto: farci capire che possono colpirci in qualunque momento. Ma anche noi possiamo vincere: continuare le nostre vite e fargli capire che non abbiamo paura. Che continueremo ad andare ai mercatini, nei mezzi pubblici o in luoghi affollati.
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
Daje de tacco daje de punta
quant'è bbona la sora assunta
"Terra fertile di jihad". Milano è crocevia di reti e lupi solitari
Progetti deliranti, intrighi e condanne L'era del terrore globale e la città nel mirino
Alberto Giannoni - Lun, 26/12/2016 - 08:37
Milano è un autentico crocevia della «jihad». E il giorno dopo la drammatica sparatoria di Sesto San Giovanni, in cui è stato ucciso l'attentatore di Berlino, riemergono volti e storie inquietanti.
Nei 15 anni del terrore globale, la città è sempre stata al centro di reti, passaggi, progetti e a volte anche di azioni, il più delle volte immaginate da «combattenti» isolati dediti al delirio della radicalizzazione. In un caso, uno di questi lupi solitari passò all'azione: il libico Mohamed Game provò a farsi esplodere con un ordigno davanti alla caserma Santa Barbara. E suscitò grande impressione la foto che lo ritraeva partecipante alla preghiera in via Proccaccini. Il ramadan era organizzato dal centro di viale Jenner, a lungo guidato da Abu Imad, l'imam che avrebbe poi concluso la sua avventura in Italia con una condanna in Cassazione (3 anni e 8 mesi) per terrorismo internazionale. Un altro leader religioso attivo in precedenza in città, Anwar Shaaban, era morto in Bosnia da «mujaheddin». E un terzo, Abu Omar, nel 2013 è stato condannato a sei anni per aver fatto parte di una associazione che aveva lo «scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo in Italia e all'estero all'interno di un'organizzazione sovranazionale».
Non sorprende, quindi, che oggi un pezzo della politica torni a collegare l'inquietante percorso Berlino-Sesto del killer Anis Amri e presenze inquietanti. Il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi avverte: «È in Lombardia l'epicentro dell'attività jihadista in Italia» e chiede al governo «un giro di vite sulle moschee e sui centri islamici presenti in Lombardia». L'ombra del terrore islamista a Milano era comparsa ai tempi di Al Qaida: in città si erano concentrati echi e sospetti degli attentai contro le Twin Towers e la stazione di Atocha (Madrid). Poi si è allungata fino ai giorni dell'Isis. Di poche settimane fa è l'arresto in Sudan di Al Fezzani, che a Milano, in via Paravia (San Siro, a due passi dalla casa di Game) reclutava «soldati» per il Califfo dopo aver arruolatovolontari per Bin Laden. Pochi giorni fa la prima condanna di una foreign fighter italiana, Maria Giulia Sergio, Fatima, di Inzago, hinterland milanese.
La figura di Fezzani, oggi, viene rievocata sia da Riccardo De Corato, sia da Matteo Forte. L'ex vicesindaco chiede di fermare il progetto della moschea di Sesto (fino a un chiarimento) ma anche di predisporre «una vigilanza per i centri islamici e le moschee, dove potrebbero pregare estremisti e terroristi». Il capogruppo di «Milano popolare», che ha seguito a lungo il tema moschee, oggi chiede «una riflessione sul ruolo che gioca il territorio milanese nella rete jihadista». Il capo dei senatori di Forza Italia, Paolo Romani, manifesta inquietudine per la «più che probabile presenza in Italia di frange terroristiche che vanno individuate e colpite». E il capogruppo regionale azzurro, Claudio Pedrazzini, chiede di sradicare «la presenza di eventuali reti di supporto sul territorio lombardo. Ma la consigliera comunale del Pd Sumaya Abdel Qader, musulmana, avverte: «Non cediamo al panico isterico, per "loro" (i terroristi, ndr) diventerebbe solo più facile».
http://www.ilgiornale.it/news/milano/te ... 45827.html
quant'è bbona la sora assunta
"Terra fertile di jihad". Milano è crocevia di reti e lupi solitari
Progetti deliranti, intrighi e condanne L'era del terrore globale e la città nel mirino
Alberto Giannoni - Lun, 26/12/2016 - 08:37
Milano è un autentico crocevia della «jihad». E il giorno dopo la drammatica sparatoria di Sesto San Giovanni, in cui è stato ucciso l'attentatore di Berlino, riemergono volti e storie inquietanti.
Nei 15 anni del terrore globale, la città è sempre stata al centro di reti, passaggi, progetti e a volte anche di azioni, il più delle volte immaginate da «combattenti» isolati dediti al delirio della radicalizzazione. In un caso, uno di questi lupi solitari passò all'azione: il libico Mohamed Game provò a farsi esplodere con un ordigno davanti alla caserma Santa Barbara. E suscitò grande impressione la foto che lo ritraeva partecipante alla preghiera in via Proccaccini. Il ramadan era organizzato dal centro di viale Jenner, a lungo guidato da Abu Imad, l'imam che avrebbe poi concluso la sua avventura in Italia con una condanna in Cassazione (3 anni e 8 mesi) per terrorismo internazionale. Un altro leader religioso attivo in precedenza in città, Anwar Shaaban, era morto in Bosnia da «mujaheddin». E un terzo, Abu Omar, nel 2013 è stato condannato a sei anni per aver fatto parte di una associazione che aveva lo «scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo in Italia e all'estero all'interno di un'organizzazione sovranazionale».
Non sorprende, quindi, che oggi un pezzo della politica torni a collegare l'inquietante percorso Berlino-Sesto del killer Anis Amri e presenze inquietanti. Il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi avverte: «È in Lombardia l'epicentro dell'attività jihadista in Italia» e chiede al governo «un giro di vite sulle moschee e sui centri islamici presenti in Lombardia». L'ombra del terrore islamista a Milano era comparsa ai tempi di Al Qaida: in città si erano concentrati echi e sospetti degli attentai contro le Twin Towers e la stazione di Atocha (Madrid). Poi si è allungata fino ai giorni dell'Isis. Di poche settimane fa è l'arresto in Sudan di Al Fezzani, che a Milano, in via Paravia (San Siro, a due passi dalla casa di Game) reclutava «soldati» per il Califfo dopo aver arruolatovolontari per Bin Laden. Pochi giorni fa la prima condanna di una foreign fighter italiana, Maria Giulia Sergio, Fatima, di Inzago, hinterland milanese.
La figura di Fezzani, oggi, viene rievocata sia da Riccardo De Corato, sia da Matteo Forte. L'ex vicesindaco chiede di fermare il progetto della moschea di Sesto (fino a un chiarimento) ma anche di predisporre «una vigilanza per i centri islamici e le moschee, dove potrebbero pregare estremisti e terroristi». Il capogruppo di «Milano popolare», che ha seguito a lungo il tema moschee, oggi chiede «una riflessione sul ruolo che gioca il territorio milanese nella rete jihadista». Il capo dei senatori di Forza Italia, Paolo Romani, manifesta inquietudine per la «più che probabile presenza in Italia di frange terroristiche che vanno individuate e colpite». E il capogruppo regionale azzurro, Claudio Pedrazzini, chiede di sradicare «la presenza di eventuali reti di supporto sul territorio lombardo. Ma la consigliera comunale del Pd Sumaya Abdel Qader, musulmana, avverte: «Non cediamo al panico isterico, per "loro" (i terroristi, ndr) diventerebbe solo più facile».
http://www.ilgiornale.it/news/milano/te ... 45827.html
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
MA QUESTI, CI FANNO O CI SONO???
Il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi avverte: «È in Lombardia l'epicentro dell'attività jihadista in Italia» e chiede al governo «un giro di vite sulle moschee e sui centri islamici presenti in Lombardia».
PERCHE' QUESTI PROPAGANDISTI, UN TANTO AL CHILO, TRASCURANO DI DICHIARARE I CENTRI REALI DEI RAPPORTI ITALIANI CON L'ISIS????????
“La ’ndrangheta commercia armi e droga con milizie islamiste”
Il procuratore De Raho: il porto di Gioia Tauro sotto osservazione
PUBBLICATO IL 17/10/2016
ULTIMA MODIFICA IL 25/10/2016 ALLE ORE 02:30
GAETANO MAZZUCA
REGGIO CALABRIA
«Gioia Tauro può essere un ottimo punto di partenza, sicuramente inizieranno subito degli approfondimenti». Per il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho il reportage di Domenico Quirico può rappresentare la chiave per svelare i legami tra ‘ndrangheta calabrese e Isis. Da tempo il magistrato, impegnato da oltre trent’anni nella lotta alla criminalità organizzata campana prima e calabrese oggi, cerca le tracce dei rapporti tra ‘ndranghetisti e uomini del califfato.
Per De Raho «la ’ndrangheta è un’organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’è un profitto, un interesse. D’altro canto per l’importazione delle armi con chi ha rapporti se non con determinati ambienti che sono vicini al terrorismo o che sono vicini alle guerre che si sono sviluppate negli ultimi anni in alcuni Paesi? Quindi, comunque, le armi vengono da quei territori. Attraverso l’Isis riuscirebbe anche ad avere droga, soprattutto eroina». È questa l’ipotesi su cui lavora la Dda reggina, anche se precisa lo stesso procuratore, «elementi concreti non ne abbiamo fino ad oggi rinvenuti. Ma comunque è una pista che continuiamo a seguire. Stiamo eseguendo approfondimenti con molta attenzione, abbiamo attività molto ampie su tutta la provincia di Reggio Calabria».
In questi mesi su disposizione della Dda le forze dell’ordine hanno eseguito uno scrupoloso monitoraggio su internet e social network su persone che provengono dalle aree più calde e che risiedono nel territorio reggino e possano aver avuto rapporti con esponenti dell’Isis o comunque con quel mondo vicino al terrorismo. Grande attenzione poi sulle centinaia di migranti sbarcati in questi ultimi mesi sulle coste reggine. L’ipotesi è che i clan calabresi siano riusciti a inserirsi nel lucroso traffico di esseri umani dalle coste del Nord Africa trattando proprio con le organizzazioni terroristiche islamiste.
«Lavoriamo con grande attenzione – aggiunge Cafiero De Raho - siamo alla ricerca di conferme». Armi, droga, profughi, ma gli affari potrebbero comprendere anche i reperti archeologici. «Le vicende raccontate nell’articolo sono spiegate in modo molto preciso e questo fa pensare che effettivamente ci sia stata una importazione di opere d’arte attraverso le banchine del porto di Gioia Tauro. Se effettivamente così è stato – sottolinea il procuratore reggino - certamente vi è stato un coinvolgimento della ‘ndrangheta».
Da anni il porto calabrese «è la prima porta d’accesso per l’importazione di cocaina in Italia, dentro vi opera una rete di sostegno che è diretta espressione della ‘ndrangheta, capace di far transitare tonnellate di stupefacente all’anno». Per il procuratore di Reggio Calabria l’ipotesi che tra i container del porto si nascondano le prove dei legami tra Isis e ‘ndrangheta «è possibile, ora, però, si tratta di verificarlo».
http://www.lastampa.it/2016/10/17/itali ... agina.html
PERCHE' CONVIENE TACERE LA REALTA' DELLA 'NDRANGHETA??????
ANCHE A LIVELLO GOVERNATIVO ANCHE SE E' ULTRANOTO A LIVELLO MINISTERIALE?????????
Il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi avverte: «È in Lombardia l'epicentro dell'attività jihadista in Italia» e chiede al governo «un giro di vite sulle moschee e sui centri islamici presenti in Lombardia».
PERCHE' QUESTI PROPAGANDISTI, UN TANTO AL CHILO, TRASCURANO DI DICHIARARE I CENTRI REALI DEI RAPPORTI ITALIANI CON L'ISIS????????
“La ’ndrangheta commercia armi e droga con milizie islamiste”
Il procuratore De Raho: il porto di Gioia Tauro sotto osservazione
PUBBLICATO IL 17/10/2016
ULTIMA MODIFICA IL 25/10/2016 ALLE ORE 02:30
GAETANO MAZZUCA
REGGIO CALABRIA
«Gioia Tauro può essere un ottimo punto di partenza, sicuramente inizieranno subito degli approfondimenti». Per il procuratore capo di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho il reportage di Domenico Quirico può rappresentare la chiave per svelare i legami tra ‘ndrangheta calabrese e Isis. Da tempo il magistrato, impegnato da oltre trent’anni nella lotta alla criminalità organizzata campana prima e calabrese oggi, cerca le tracce dei rapporti tra ‘ndranghetisti e uomini del califfato.
Per De Raho «la ’ndrangheta è un’organizzazione criminale che si muove per finalità di profitto, quindi ovunque c’è un profitto, un interesse. D’altro canto per l’importazione delle armi con chi ha rapporti se non con determinati ambienti che sono vicini al terrorismo o che sono vicini alle guerre che si sono sviluppate negli ultimi anni in alcuni Paesi? Quindi, comunque, le armi vengono da quei territori. Attraverso l’Isis riuscirebbe anche ad avere droga, soprattutto eroina». È questa l’ipotesi su cui lavora la Dda reggina, anche se precisa lo stesso procuratore, «elementi concreti non ne abbiamo fino ad oggi rinvenuti. Ma comunque è una pista che continuiamo a seguire. Stiamo eseguendo approfondimenti con molta attenzione, abbiamo attività molto ampie su tutta la provincia di Reggio Calabria».
In questi mesi su disposizione della Dda le forze dell’ordine hanno eseguito uno scrupoloso monitoraggio su internet e social network su persone che provengono dalle aree più calde e che risiedono nel territorio reggino e possano aver avuto rapporti con esponenti dell’Isis o comunque con quel mondo vicino al terrorismo. Grande attenzione poi sulle centinaia di migranti sbarcati in questi ultimi mesi sulle coste reggine. L’ipotesi è che i clan calabresi siano riusciti a inserirsi nel lucroso traffico di esseri umani dalle coste del Nord Africa trattando proprio con le organizzazioni terroristiche islamiste.
«Lavoriamo con grande attenzione – aggiunge Cafiero De Raho - siamo alla ricerca di conferme». Armi, droga, profughi, ma gli affari potrebbero comprendere anche i reperti archeologici. «Le vicende raccontate nell’articolo sono spiegate in modo molto preciso e questo fa pensare che effettivamente ci sia stata una importazione di opere d’arte attraverso le banchine del porto di Gioia Tauro. Se effettivamente così è stato – sottolinea il procuratore reggino - certamente vi è stato un coinvolgimento della ‘ndrangheta».
Da anni il porto calabrese «è la prima porta d’accesso per l’importazione di cocaina in Italia, dentro vi opera una rete di sostegno che è diretta espressione della ‘ndrangheta, capace di far transitare tonnellate di stupefacente all’anno». Per il procuratore di Reggio Calabria l’ipotesi che tra i container del porto si nascondano le prove dei legami tra Isis e ‘ndrangheta «è possibile, ora, però, si tratta di verificarlo».
http://www.lastampa.it/2016/10/17/itali ... agina.html
PERCHE' CONVIENE TACERE LA REALTA' DELLA 'NDRANGHETA??????
ANCHE A LIVELLO GOVERNATIVO ANCHE SE E' ULTRANOTO A LIVELLO MINISTERIALE?????????
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Re: Fermate il treno, voglio scendere.
Venezia, rivolta nel centro accoglienza di Cona: 25 operatori bloccati per ore
Cronaca
E' accaduto a Cona, dopo la rivolta scoppiata in seguito alla morte avvenuta all’interno della struttura di una ragazza ivoriana di 25 anni. La protesta è terminate alle 2 della notte, quando sono intervenute le forze dell'ordine. Il centro ospita 1.400 immigrati ma qui "siamo 190 residenti", lamenta un cittadino. Il sindaco Panfilio: "La politica ha fallito. Questo cpa era nato nel luglio 2015 per ospitare 15 migranti. In agosto erano già 300"
di F. Q. | 3 gennaio 2017
commenti (353)
632
Nella notte carabinieri e polizia sono intervenuti al centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, dopo la rivolta scoppiata in seguito alla morte avvenuta all’interno della struttura di una ragazza ivoriana di 25 anni. Lo rendono noto il commissariato e il comando di Chioggia (Venezia). Venticinque operatori sono stati tenuti bloccati all’interno della struttura fino alle 2 della notte, quando sono intervenute le forze dell’ordine.
La giovane, Sandrine Bakayoko, era stata trovata priva di conoscenza in uno dei bagni della un’ex base missilistica che ospita oggi quasi 1.500 migranti. Inutili le manovre effettuate dai sanitari del 118 per rianimarla: quando l’ambulanza è arrivata al pronto soccorso di Piove di Sacco, riferisce La Nuova Venezia, la ragazza era già morta. Era arrivata in Italia con il fidanzato il 30 agosto, dopo aver affrontato il Mediterraneo su un barcone partito dalla Libia: era ospitata nell’hub in attesa di ricevere una risposta alla sua richiesta d’asilo.
Gli ospiti del centro hanno denunciato un ritardo nei soccorsi: secondo una ricostruzione pubblicata dal Corriere del Veneto, la giovane donna si sarebbe sentita male sotto la doccia intorno alle 7 e l’ambulanza che l’ha portata via intorno alle 15 non sarebbe riuscita a salvarla. “È stata anche colpa della negligenza della cooperativa, l’ambulanza è arrivata solo 8 ore dopo”, avrebbero raccontato alcuni ospiti del centro. Ulteriore complicazione: “La prima ambulanza non ha potuto portarla via ed è dovuta arrivare una seconda ambulanza ma per lei era troppo tardi”. In una nota diramata nella serata di ieri il 118 di Padova afferma di aver ricevuto la richiesta di intervento alle 12.48.
Nel pomeriggio la situazione è degenerata. “Intorno alle 17 i migranti si sono presi l’intera ex base missilistica, hanno spento le luci e dato fuoco a dei bancali – riportava nella notte il Corriere della Sera – e gli operatori si sono dovuti barricare nei container e negli uffici”. Verso le 2 di notte, secondo quanto riportato da Rai News24, i dipendenti della struttura sono stati liberati, in seguito all’intervento delle forze dell’ordine, che dopo aver avviato una mediazione hanno posto fine alla rivolta.
“Coneta non è più Italia, qua è Africa”, afferma ai microfoni di Skytg24 da un residente della frazione del Comune di Cona che ospita il Cpa. Il centro ospita 1.400 immigrati ma qui “siamo 190 residenti“, lamenta il cittadino. “Questa concentrazione deve essere risolta dai vertici politici italiani che finora hanno fallito – attacca il sindaco di Cona, Alberto Panfilio – davanti ad un decesso tutti ci sentiamo molto tristi. Non diciamo di più perché sulle cause altri indagano ma abbiamo tanto materiale per lamentarci”. “Auspico, ma non ho molta fiducia, che questo governo ritorni a ripensare alle soluzioni”.
“Questo centro era nato nel luglio 2015 per ospitare 15 migranti – prosegue il primo cittadino – in agosto erano già 300. Già allora sentivo i governanti parlare di necessità di sfoltire le fila, ma siamo arrivati ora a 1.500″. Presenze, secondo il sindaco, che “hanno cambiato le abitudini di Cona. Questo è il fallimento dell’accoglienza e dell’organizzazione. A questo punto torno a chiedere – conclude Panfilio – un nuovo tavolo per cercare soluzioni che non siano quelle fallimentari dell’accoglienza diffusa. Serve un progetto nuovo”.
Le proteste di ieri non sono le prime scoppiate nell’hub di Conetta. Il 30 agosto una cinquantina di migranti avevano manifestato in strada per protestare contro i lunghi tempi di evasione delle pratiche per le richieste di asilo. In quella occasione tuttavia si era trattato di un sit in pacifico controllato dalle forze dell’ordine. Sul posto agenti della polizia del commissariato di Chioggia e carabinieri di Chioggia oltre al sindaco Panfilio che aveva ricordato come all’inizio del mese avesse ricevuto dall’allora ministro dell’interno Angelino Alfano assicurazioni sulla diminuzione del numero di ospiti del centro di accoglienza veneziano.
In precedenza, il 27 gennaio dello scorso anno un centinaio di migranti, su un totale in quel momento di 600 contro i 900 di oggi, era sceso in strada per protestare contro il livello di assistenza loro offerto nella struttura. Senza creare particolari tensioni, avevano occupato parte della strada cercando di richiamare l’attenzione sui problemi soprattutto igienico-sanitari della struttura, sottolineando il fatto di essere in troppi rispetto alla capacità di accoglienza della ex base.
Cronaca
E' accaduto a Cona, dopo la rivolta scoppiata in seguito alla morte avvenuta all’interno della struttura di una ragazza ivoriana di 25 anni. La protesta è terminate alle 2 della notte, quando sono intervenute le forze dell'ordine. Il centro ospita 1.400 immigrati ma qui "siamo 190 residenti", lamenta un cittadino. Il sindaco Panfilio: "La politica ha fallito. Questo cpa era nato nel luglio 2015 per ospitare 15 migranti. In agosto erano già 300"
di F. Q. | 3 gennaio 2017
commenti (353)
632
Nella notte carabinieri e polizia sono intervenuti al centro di prima accoglienza di Cona, in provincia di Venezia, dopo la rivolta scoppiata in seguito alla morte avvenuta all’interno della struttura di una ragazza ivoriana di 25 anni. Lo rendono noto il commissariato e il comando di Chioggia (Venezia). Venticinque operatori sono stati tenuti bloccati all’interno della struttura fino alle 2 della notte, quando sono intervenute le forze dell’ordine.
La giovane, Sandrine Bakayoko, era stata trovata priva di conoscenza in uno dei bagni della un’ex base missilistica che ospita oggi quasi 1.500 migranti. Inutili le manovre effettuate dai sanitari del 118 per rianimarla: quando l’ambulanza è arrivata al pronto soccorso di Piove di Sacco, riferisce La Nuova Venezia, la ragazza era già morta. Era arrivata in Italia con il fidanzato il 30 agosto, dopo aver affrontato il Mediterraneo su un barcone partito dalla Libia: era ospitata nell’hub in attesa di ricevere una risposta alla sua richiesta d’asilo.
Gli ospiti del centro hanno denunciato un ritardo nei soccorsi: secondo una ricostruzione pubblicata dal Corriere del Veneto, la giovane donna si sarebbe sentita male sotto la doccia intorno alle 7 e l’ambulanza che l’ha portata via intorno alle 15 non sarebbe riuscita a salvarla. “È stata anche colpa della negligenza della cooperativa, l’ambulanza è arrivata solo 8 ore dopo”, avrebbero raccontato alcuni ospiti del centro. Ulteriore complicazione: “La prima ambulanza non ha potuto portarla via ed è dovuta arrivare una seconda ambulanza ma per lei era troppo tardi”. In una nota diramata nella serata di ieri il 118 di Padova afferma di aver ricevuto la richiesta di intervento alle 12.48.
Nel pomeriggio la situazione è degenerata. “Intorno alle 17 i migranti si sono presi l’intera ex base missilistica, hanno spento le luci e dato fuoco a dei bancali – riportava nella notte il Corriere della Sera – e gli operatori si sono dovuti barricare nei container e negli uffici”. Verso le 2 di notte, secondo quanto riportato da Rai News24, i dipendenti della struttura sono stati liberati, in seguito all’intervento delle forze dell’ordine, che dopo aver avviato una mediazione hanno posto fine alla rivolta.
“Coneta non è più Italia, qua è Africa”, afferma ai microfoni di Skytg24 da un residente della frazione del Comune di Cona che ospita il Cpa. Il centro ospita 1.400 immigrati ma qui “siamo 190 residenti“, lamenta il cittadino. “Questa concentrazione deve essere risolta dai vertici politici italiani che finora hanno fallito – attacca il sindaco di Cona, Alberto Panfilio – davanti ad un decesso tutti ci sentiamo molto tristi. Non diciamo di più perché sulle cause altri indagano ma abbiamo tanto materiale per lamentarci”. “Auspico, ma non ho molta fiducia, che questo governo ritorni a ripensare alle soluzioni”.
“Questo centro era nato nel luglio 2015 per ospitare 15 migranti – prosegue il primo cittadino – in agosto erano già 300. Già allora sentivo i governanti parlare di necessità di sfoltire le fila, ma siamo arrivati ora a 1.500″. Presenze, secondo il sindaco, che “hanno cambiato le abitudini di Cona. Questo è il fallimento dell’accoglienza e dell’organizzazione. A questo punto torno a chiedere – conclude Panfilio – un nuovo tavolo per cercare soluzioni che non siano quelle fallimentari dell’accoglienza diffusa. Serve un progetto nuovo”.
Le proteste di ieri non sono le prime scoppiate nell’hub di Conetta. Il 30 agosto una cinquantina di migranti avevano manifestato in strada per protestare contro i lunghi tempi di evasione delle pratiche per le richieste di asilo. In quella occasione tuttavia si era trattato di un sit in pacifico controllato dalle forze dell’ordine. Sul posto agenti della polizia del commissariato di Chioggia e carabinieri di Chioggia oltre al sindaco Panfilio che aveva ricordato come all’inizio del mese avesse ricevuto dall’allora ministro dell’interno Angelino Alfano assicurazioni sulla diminuzione del numero di ospiti del centro di accoglienza veneziano.
In precedenza, il 27 gennaio dello scorso anno un centinaio di migranti, su un totale in quel momento di 600 contro i 900 di oggi, era sceso in strada per protestare contro il livello di assistenza loro offerto nella struttura. Senza creare particolari tensioni, avevano occupato parte della strada cercando di richiamare l’attenzione sui problemi soprattutto igienico-sanitari della struttura, sottolineando il fatto di essere in troppi rispetto alla capacità di accoglienza della ex base.
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