Economia
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Re: Economia
21 NOV 2016 15:56
UN ALTRO FLOP BANCARIO DI RENZI
- DOPO LA RIFORMA DELLE POPOLARI (SOLO UNA FUSIONE), RESTA AL PALO ANCHE QUELLA DELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO
- DOVEVA FAVORIRE LE AGGREGAZIONI, INVECE HA INNESCATO UNA SPACCATURA: DA UNA PARTE L’ICCREA, DALL’ALTRA QUELLE TRENTINE
- UNICO COMUNE DENOMINATORE: HANNO TUTTI BISOGNO DI CAPITALI CASH
Alberto Statera per Affari&Finanza - la Repubblica
L' elezione imprevista di Trump, l' inquietudine politica per il referendum costituzionale del 4 dicembre e, per di più, il terremoto nel centro Italia, hanno sviato l'attenzione dagli scricchiolii bancari, che tolgono il sonno al governo.
Escluso il Monte dei Paschi di Siena, che rimane appeso sull' orlo del dissesto, c' è Unicredit che richiede un aumento di capitale di 13 miliardi.
E poi altre 472 banchette sparse nel territorio, che non sempre godono di ottima salute.
Di queste, 365 sono di credito cooperativo e 107 no.
Tra queste ultime - ha dichiarato il governatore della Banca d' Italia Ignazio Visco - circa dieci "sono esposte a rischio di credito".
Tra le BCC il 60 per cento passerebbe gli esami degli attivi.
Ma, visti i precedenti, conviene usare il condizionale.
Il 35 per cento "hanno valutazioni di attenzione" e il 10 per cento sono in difficoltà.
La riforma delle BCC avrebbe dovuto portare alla costituzione di una capogruppo, ma tutto si è insabbiato di fronte alla solita rissa. Capogruppo con almeno un miliardo di patrimonio avrebbe dovuto essere l' Iccrea.
Ma le casse trentine e venete hanno lanciato la secessione con la Cassa Centrale Banca, con base a Trento e che sfiderà l' Iccrea con (forse) 130 BCC e 15 popolari.
Così sfuma l' obiettivo di creare un unico grande gruppo, uno dei primi dieci italiani.
Ma, si sa, quando si vanno a toccare gli interessi e il potere delle banche locali la guerra è sicura, a prescindere dalle migliori condizioni che il mercato offre.
L' Iccrea ha un patrimonio di 1,7 miliardi, mentre gli eretici trentini ne hanno 250.
Quindi dovrebbero mettere insieme, con questi chiari di luna, un aumento di capitale di almeno 600 milioni per superare il miliardo di patrimonio richiesto dalla legge. Sarà disposta a metterli la DZBank, centrale del credito cooperativo tedesco e socia al 25 per cento della Cassa Centrale?
A occhio, la secessione dei trentini con il nordest e la presenza di due gruppi dà l' idea che si indebolisca il sistema e si moltiplichino i costi, come sostiene il presidente di Federcasse Alessandro Azzi.
Il presidente della Cassa Centrale Banca Giorgio Fracalossi esibisce invece la solita solfa del legame con il territorio, che, come si è visto, ha prodotto il disastro delle quattro banche (Etruria, Chieti, Marche, Ferrara): "La cosa fondamentale - ripete Fracassi- è comunque che non si perda il ruolo centrale della singola BCC nel suo rapporto con il territorio, altrimenti non c' è riforma che tenga".
Nessuno sa cosa accadrà dopo il referendum del 4 gennaio: se Renzi resterà in sella, se ci sarà un altro governo tecnico o qualche altra per ora misteriosa alchimia politica.
Ma la crisi bancaria continua a mordere nonostante tutti sappiano quanto gli interventi sono urgenti.
Sarà un aspetto minore, ma la rissa tra le BCC contribuisce a complicare il quadro di un paese bancocentrico alle prese da anni con il caso Montepaschi e con altri casi non meno allarmanti.
Intanto una cosa è certa, nonostante le parole rassicuranti del governatore della Banca d' Italia sulle banche di Credito Cooperativo: gli istituti in difficoltà, di cui sarebbe opportuno avere un quadro completo, hanno urgente bisogno di capitali.
UN ALTRO FLOP BANCARIO DI RENZI
- DOPO LA RIFORMA DELLE POPOLARI (SOLO UNA FUSIONE), RESTA AL PALO ANCHE QUELLA DELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO
- DOVEVA FAVORIRE LE AGGREGAZIONI, INVECE HA INNESCATO UNA SPACCATURA: DA UNA PARTE L’ICCREA, DALL’ALTRA QUELLE TRENTINE
- UNICO COMUNE DENOMINATORE: HANNO TUTTI BISOGNO DI CAPITALI CASH
Alberto Statera per Affari&Finanza - la Repubblica
L' elezione imprevista di Trump, l' inquietudine politica per il referendum costituzionale del 4 dicembre e, per di più, il terremoto nel centro Italia, hanno sviato l'attenzione dagli scricchiolii bancari, che tolgono il sonno al governo.
Escluso il Monte dei Paschi di Siena, che rimane appeso sull' orlo del dissesto, c' è Unicredit che richiede un aumento di capitale di 13 miliardi.
E poi altre 472 banchette sparse nel territorio, che non sempre godono di ottima salute.
Di queste, 365 sono di credito cooperativo e 107 no.
Tra queste ultime - ha dichiarato il governatore della Banca d' Italia Ignazio Visco - circa dieci "sono esposte a rischio di credito".
Tra le BCC il 60 per cento passerebbe gli esami degli attivi.
Ma, visti i precedenti, conviene usare il condizionale.
Il 35 per cento "hanno valutazioni di attenzione" e il 10 per cento sono in difficoltà.
La riforma delle BCC avrebbe dovuto portare alla costituzione di una capogruppo, ma tutto si è insabbiato di fronte alla solita rissa. Capogruppo con almeno un miliardo di patrimonio avrebbe dovuto essere l' Iccrea.
Ma le casse trentine e venete hanno lanciato la secessione con la Cassa Centrale Banca, con base a Trento e che sfiderà l' Iccrea con (forse) 130 BCC e 15 popolari.
Così sfuma l' obiettivo di creare un unico grande gruppo, uno dei primi dieci italiani.
Ma, si sa, quando si vanno a toccare gli interessi e il potere delle banche locali la guerra è sicura, a prescindere dalle migliori condizioni che il mercato offre.
L' Iccrea ha un patrimonio di 1,7 miliardi, mentre gli eretici trentini ne hanno 250.
Quindi dovrebbero mettere insieme, con questi chiari di luna, un aumento di capitale di almeno 600 milioni per superare il miliardo di patrimonio richiesto dalla legge. Sarà disposta a metterli la DZBank, centrale del credito cooperativo tedesco e socia al 25 per cento della Cassa Centrale?
A occhio, la secessione dei trentini con il nordest e la presenza di due gruppi dà l' idea che si indebolisca il sistema e si moltiplichino i costi, come sostiene il presidente di Federcasse Alessandro Azzi.
Il presidente della Cassa Centrale Banca Giorgio Fracalossi esibisce invece la solita solfa del legame con il territorio, che, come si è visto, ha prodotto il disastro delle quattro banche (Etruria, Chieti, Marche, Ferrara): "La cosa fondamentale - ripete Fracassi- è comunque che non si perda il ruolo centrale della singola BCC nel suo rapporto con il territorio, altrimenti non c' è riforma che tenga".
Nessuno sa cosa accadrà dopo il referendum del 4 gennaio: se Renzi resterà in sella, se ci sarà un altro governo tecnico o qualche altra per ora misteriosa alchimia politica.
Ma la crisi bancaria continua a mordere nonostante tutti sappiano quanto gli interventi sono urgenti.
Sarà un aspetto minore, ma la rissa tra le BCC contribuisce a complicare il quadro di un paese bancocentrico alle prese da anni con il caso Montepaschi e con altri casi non meno allarmanti.
Intanto una cosa è certa, nonostante le parole rassicuranti del governatore della Banca d' Italia sulle banche di Credito Cooperativo: gli istituti in difficoltà, di cui sarebbe opportuno avere un quadro completo, hanno urgente bisogno di capitali.
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Re: Economia
“Lo Stato da solo non basta. Siena deve coinvolgere azionisti e obbligazionisti”
Angeloni (Bce): pubblico e privato condividano i rischi. “Etruria e gli altri istituti in crisi? Soluzione imminente”
ANSA
Pubblicato il 27/12/2016
alessandro barbera
inviato a francoforte
A differenza della nuova Eurotower, il vecchio grattacielo Bce che ospita il suo ufficio al trentaquattresimo piano si confonde fra quelli del cuore finanziario di Francoforte. Ignazio Angeloni, membro italiano della vigilanza europea, lo frequenta sin da quando al bar interno si usava ancora il marco tedesco. Oggi è il funzionario italiano più alto in grado nella struttura che controlla le grandi banche della moneta unica. È fra coloro i quali hanno seguito da vicino la vicenda del Monte dei Paschi. Dice che il principio della condivisione degli oneri - quello che impone la conversione delle obbligazioni Mps e azzerò quelle di Etruria - va «mantenuto ma anche regolato e gestito» per «evitare rischi al sistema». Dalla risposta sul destino delle quattro banche fallite l’anno scorso si intuisce che la soluzione è imminente.
Angeloni, per evitare il fallimento del Monte dei Paschi il governo ha scelto la strada del salvataggio pubblico scartata la scorsa estate. Eppure il primo stress test negativo per la banca senese risale al 2014. E’ arrivato in ritardo?
«L’intervento pubblico per una banca è sempre l’ultima opzione ed è soggetto a regole stringenti. I vertici di Mps hanno lavorato in questi mesi a varie soluzioni che la vigilanza ha seguito con attenzione, e per le quali aveva concesso un certo periodo di tempo nella speranza che andassero a buon fine. Esaurito questo tempo il governo ha valutato che un intervento fosse necessario».
Si tratta del terzo intervento pubblico in pochi anni. Per quale ragione questa volta dovrebbe essere l’ultima?
«Potrà esserlo se verranno attuate soluzioni incisive, in particolare rispetto all’obiettivo di ripulire il bilancio della mole di crediti deteriorati. Va anche considerato che ora Mps è compiutamente vigilata dalla nostra istituzione. Continueremo a fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per far sì che la banca trovi un modello di business sostenibile».
Il fondo da venti miliardi autorizzato dal governo verrà utilizzato per salvare altre banche italiane in difficoltà. Sarà sufficiente a mettere il sistema in sicurezza una volta per tutte?
«La dimensione dell’intervento tiene conto della natura del problema e si basa sull’assunto che in alcuni altri casi un rafforzamento patrimoniale possa avvenire sul mercato. I problemi aperti nel sistema italiano non riguardano tutte le banche, ma un numero limitato di queste. Possono essere risolti e le soluzioni sono a portata di mano».
C’è chi sostiene ci vorrebbe ben altro, fino a 50 miliardi di euro.
«Non tutto quanto è necessario per ricapitalizzare le banche deve venire dallo Stato. Persino nel caso di Mps ci potrà essere il contributo dei vecchi azionisti e di parte degli obbligazionisti subordinati».
La nuova direttiva sulle banche ha imposto per Mps l’applicazione del principio del burden sharing. Già nel 2013 Mario Draghi aveva avanzato dubbi sui rischi sistemici che possono essere innescati da banche delle dimensioni di Mps. Qual è la vostra posizione?
«Il burden sharing era stato introdotto dalla Commissione già nel 2013. Nella sua lettera il presidente Draghi sostenne che nel caso di banche solvibili, che rispettano i requisiti prudenziali ma necessitano a titolo precauzionale di ulteriore capitale, la condivisione dei rischi può non essere appropriata in alcuni casi. La stessa Commissione precisò che vi sono alcune eccezioni al principio: tra queste proprio la presenza di rischi sistemici. La Commissione ha mostrato apertura anche nei confronti della possibilità di rimborsare gli investitori individuali che sono stati fuorviati nella scelta dell’investimento».
Alla fine le conseguenze della conversione delle obbligazioni subordinate paiono più che gestibili. Ha ragione chi dice che questo nuovo meccanismo è meglio di opachi salvataggi a pie’ di lista per il contribuente?
«Il principio della condivisione dei rischi risponde a due esigenze: evitare che i costi dei salvataggi ricadano in misura eccessiva e impropria sui contribuenti e ridurre il cosiddetto “azzardo morale”, ossia l’incentivo che induce manager e investitori ad assumere rischi eccessivi nella consapevolezza che lo Stato interverrà comunque in caso di dissesto. Il principio va mantenuto, ma va anche regolato e gestito in modo da evitare rischi al sistema e oneri ingiusti per certe categorie di investitori. Mi riferisco in particolare a quelli al dettaglio e che non hanno - per impreparazione tecnica o mancanza di informazione - una conoscenza sufficiente dei rischi che corrono nel loro investimento. È fondamentale che strumenti rischiosi come i titoli subordinati siano acquistati solo da investitori consapevoli e in grado di sopportare eventuali perdite».
Che fare con le quattro banche in risoluzione – Etruria, BancaMarche, Carichieti e Cariferrara - se non saranno vendute entro il termine del 31 dicembre? Da tempo si parla di un interesse di Ubi, ma non si è ancora concretizzato.
«Le modalità e i vincoli riguardanti la gestione delle quattro banche sono stati concordati fra il governo e la Commissione. Vi è la fondata speranza che un accordo per l’acquisizione di quelle banche possa avvenire presto, in tempo utile».
Oggi il governo ha formalmente venti miliardi di debito in più. Difficile che la Commissione se lo dimentichi quando tornerà sul dossier dei conti italiani. Sul tavolo c’è anche la possibilità di chiedere il sostegno dell’Europa e del fondo Esm. È una strada percorribile?
«È una delle possibilità prevista dalle regole europee, ed ha implicazioni tecniche e politiche diverse rispetto alla strada scelta fin qui dal governo. La Spagna nel 2012 adottò quell’approccio ed ebbe buoni risultati, prevedendo la simultanea messa in sicurezza di diverse banche e margini sufficienti nell’ammontare dell’aiuto previsto. Dal nostro punto di vista più è alto il livello di stabilità garantito dalla strada scelta, meglio è».
Per risolvere radicalmente il problema dei crediti deteriorati non sarebbe utile una bad bank pubblica come si fece proprio nel 2012 in Spagna?
«La bad bank pubblica è una delle soluzioni possibili per affrontare situazioni problematiche: può essere attuata per una sola banca, per più banche - è stato il caso delle quattro già citate - oppure per gestire i problemi dell’intero sistema, come in Spagna».
Cosa risponde a chi dice che la vigilanza europea è stata particolarmente severa nei confronti di banche come Mps?
«Negli ultimi tempi sento semmai la critica opposta, e cioè che non saremmo stati abbastanza decisi, a partire dalla valutazione iniziale che facemmo nel 2014. Le banche che individuammo come deboli a quel tempo sono le stesse che oggi evidenziano i maggiori problemi, a riprova della correttezza delle nostre analisi».
La politica monetaria della Bce resterà espansiva per tutto il 2017. Cosa rispondete ai banchieri che si lamentano per i margini sempre più ridotti? Dal vostro punto di vista può diventare un problema?
«I margini di intermediazione si sono ridotti e un certo numero di banche sta soffrendo, è vero. Ma ci sono anche banche che resistono bene ai tassi bassi con costi bassi. Le banche devono continuare a lavorare per contenere i costi e promuovere l’efficienza. L’aumento dei tassi a lunga scadenza a livello globale può, in prospettiva, contribuire a mitigare il problema».
http://www.lastampa.it/2016/12/27/econo ... agina.html
Angeloni (Bce): pubblico e privato condividano i rischi. “Etruria e gli altri istituti in crisi? Soluzione imminente”
ANSA
Pubblicato il 27/12/2016
alessandro barbera
inviato a francoforte
A differenza della nuova Eurotower, il vecchio grattacielo Bce che ospita il suo ufficio al trentaquattresimo piano si confonde fra quelli del cuore finanziario di Francoforte. Ignazio Angeloni, membro italiano della vigilanza europea, lo frequenta sin da quando al bar interno si usava ancora il marco tedesco. Oggi è il funzionario italiano più alto in grado nella struttura che controlla le grandi banche della moneta unica. È fra coloro i quali hanno seguito da vicino la vicenda del Monte dei Paschi. Dice che il principio della condivisione degli oneri - quello che impone la conversione delle obbligazioni Mps e azzerò quelle di Etruria - va «mantenuto ma anche regolato e gestito» per «evitare rischi al sistema». Dalla risposta sul destino delle quattro banche fallite l’anno scorso si intuisce che la soluzione è imminente.
Angeloni, per evitare il fallimento del Monte dei Paschi il governo ha scelto la strada del salvataggio pubblico scartata la scorsa estate. Eppure il primo stress test negativo per la banca senese risale al 2014. E’ arrivato in ritardo?
«L’intervento pubblico per una banca è sempre l’ultima opzione ed è soggetto a regole stringenti. I vertici di Mps hanno lavorato in questi mesi a varie soluzioni che la vigilanza ha seguito con attenzione, e per le quali aveva concesso un certo periodo di tempo nella speranza che andassero a buon fine. Esaurito questo tempo il governo ha valutato che un intervento fosse necessario».
Si tratta del terzo intervento pubblico in pochi anni. Per quale ragione questa volta dovrebbe essere l’ultima?
«Potrà esserlo se verranno attuate soluzioni incisive, in particolare rispetto all’obiettivo di ripulire il bilancio della mole di crediti deteriorati. Va anche considerato che ora Mps è compiutamente vigilata dalla nostra istituzione. Continueremo a fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per far sì che la banca trovi un modello di business sostenibile».
Il fondo da venti miliardi autorizzato dal governo verrà utilizzato per salvare altre banche italiane in difficoltà. Sarà sufficiente a mettere il sistema in sicurezza una volta per tutte?
«La dimensione dell’intervento tiene conto della natura del problema e si basa sull’assunto che in alcuni altri casi un rafforzamento patrimoniale possa avvenire sul mercato. I problemi aperti nel sistema italiano non riguardano tutte le banche, ma un numero limitato di queste. Possono essere risolti e le soluzioni sono a portata di mano».
C’è chi sostiene ci vorrebbe ben altro, fino a 50 miliardi di euro.
«Non tutto quanto è necessario per ricapitalizzare le banche deve venire dallo Stato. Persino nel caso di Mps ci potrà essere il contributo dei vecchi azionisti e di parte degli obbligazionisti subordinati».
La nuova direttiva sulle banche ha imposto per Mps l’applicazione del principio del burden sharing. Già nel 2013 Mario Draghi aveva avanzato dubbi sui rischi sistemici che possono essere innescati da banche delle dimensioni di Mps. Qual è la vostra posizione?
«Il burden sharing era stato introdotto dalla Commissione già nel 2013. Nella sua lettera il presidente Draghi sostenne che nel caso di banche solvibili, che rispettano i requisiti prudenziali ma necessitano a titolo precauzionale di ulteriore capitale, la condivisione dei rischi può non essere appropriata in alcuni casi. La stessa Commissione precisò che vi sono alcune eccezioni al principio: tra queste proprio la presenza di rischi sistemici. La Commissione ha mostrato apertura anche nei confronti della possibilità di rimborsare gli investitori individuali che sono stati fuorviati nella scelta dell’investimento».
Alla fine le conseguenze della conversione delle obbligazioni subordinate paiono più che gestibili. Ha ragione chi dice che questo nuovo meccanismo è meglio di opachi salvataggi a pie’ di lista per il contribuente?
«Il principio della condivisione dei rischi risponde a due esigenze: evitare che i costi dei salvataggi ricadano in misura eccessiva e impropria sui contribuenti e ridurre il cosiddetto “azzardo morale”, ossia l’incentivo che induce manager e investitori ad assumere rischi eccessivi nella consapevolezza che lo Stato interverrà comunque in caso di dissesto. Il principio va mantenuto, ma va anche regolato e gestito in modo da evitare rischi al sistema e oneri ingiusti per certe categorie di investitori. Mi riferisco in particolare a quelli al dettaglio e che non hanno - per impreparazione tecnica o mancanza di informazione - una conoscenza sufficiente dei rischi che corrono nel loro investimento. È fondamentale che strumenti rischiosi come i titoli subordinati siano acquistati solo da investitori consapevoli e in grado di sopportare eventuali perdite».
Che fare con le quattro banche in risoluzione – Etruria, BancaMarche, Carichieti e Cariferrara - se non saranno vendute entro il termine del 31 dicembre? Da tempo si parla di un interesse di Ubi, ma non si è ancora concretizzato.
«Le modalità e i vincoli riguardanti la gestione delle quattro banche sono stati concordati fra il governo e la Commissione. Vi è la fondata speranza che un accordo per l’acquisizione di quelle banche possa avvenire presto, in tempo utile».
Oggi il governo ha formalmente venti miliardi di debito in più. Difficile che la Commissione se lo dimentichi quando tornerà sul dossier dei conti italiani. Sul tavolo c’è anche la possibilità di chiedere il sostegno dell’Europa e del fondo Esm. È una strada percorribile?
«È una delle possibilità prevista dalle regole europee, ed ha implicazioni tecniche e politiche diverse rispetto alla strada scelta fin qui dal governo. La Spagna nel 2012 adottò quell’approccio ed ebbe buoni risultati, prevedendo la simultanea messa in sicurezza di diverse banche e margini sufficienti nell’ammontare dell’aiuto previsto. Dal nostro punto di vista più è alto il livello di stabilità garantito dalla strada scelta, meglio è».
Per risolvere radicalmente il problema dei crediti deteriorati non sarebbe utile una bad bank pubblica come si fece proprio nel 2012 in Spagna?
«La bad bank pubblica è una delle soluzioni possibili per affrontare situazioni problematiche: può essere attuata per una sola banca, per più banche - è stato il caso delle quattro già citate - oppure per gestire i problemi dell’intero sistema, come in Spagna».
Cosa risponde a chi dice che la vigilanza europea è stata particolarmente severa nei confronti di banche come Mps?
«Negli ultimi tempi sento semmai la critica opposta, e cioè che non saremmo stati abbastanza decisi, a partire dalla valutazione iniziale che facemmo nel 2014. Le banche che individuammo come deboli a quel tempo sono le stesse che oggi evidenziano i maggiori problemi, a riprova della correttezza delle nostre analisi».
La politica monetaria della Bce resterà espansiva per tutto il 2017. Cosa rispondete ai banchieri che si lamentano per i margini sempre più ridotti? Dal vostro punto di vista può diventare un problema?
«I margini di intermediazione si sono ridotti e un certo numero di banche sta soffrendo, è vero. Ma ci sono anche banche che resistono bene ai tassi bassi con costi bassi. Le banche devono continuare a lavorare per contenere i costi e promuovere l’efficienza. L’aumento dei tassi a lunga scadenza a livello globale può, in prospettiva, contribuire a mitigare il problema».
http://www.lastampa.it/2016/12/27/econo ... agina.html
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Re: Economia
La Bce fa lo sgambetto al Monte dei Paschi: "Aumento da 8,8 miliardi"
Lettera della Vigilanza unica europea al Tesoro Per l'istituto servono quasi quattro miliardi in più
Camilla Conti - Mar, 27/12/2016 - 08:10
commenta
Al Monte dei Paschi servono più soldi. Quasi quattro miliardi in più. L'aumento di capitale dell'istituto di Rocca Salimbeni richiesto dalla Bce è infatti salito da 5 a 8,8 miliardi.
Ora a carico dello Stato e degli azionisti.
L'indiscrezione è apparsa ieri pomeriggio, a Borsa chiusa per la festa di Santo Stefano, sul sito del Sole24Ore citando i contenuto di una lettera inviata al ministero del Tesoro dalla Vigilanza di Francoforte. In serata è arrivata la conferma della banca. In realtà, le missive sono due: in una si sottolinea che i risultati dello stress test del 2016 hanno registrato una carezza di capitale, solo nello scenario avverso, per il coefficiente patrimoniale atteso a fine 2018. Viene inoltre evidenziato che «la posizione di liquidità della banca ha subito un rapido deterioramento tra il 30 novembre e il 21 dicembre 2016, da 14,6 a 8,1 miliardi, e della liquidità
netta a un mese (da 12,1 miliardi, pari al 7,6% del totale delle attività, a 7,7 miliardi, pari al 4,78% del totale delle attività).
C'è dunque una evidente differenza rispetto al fabbisogno (appunto pari a 5 miliardi) avallato dall'Eurotower lo scorso 23 novembre, alla vigilia dell'assemblea straordinaria del Monte, che aveva approvato la ricapitalizzazione. Il salvataggio di mercato è poi saltato, l'amministratore delegato Marco Morelli e il presidente Alessandro Falciai hanno alzato bandiera bianca e richiesto l'intervento dello Stato che ha aperto per decreto un ombrello pubblico da 20 miliardi. Basteranno alla luce delle nuove richieste? Vedremo. Di certo, l'ammontare è stato rivisto dalla Bce «in base ai risultati degli stress di luglio, valutati però alla luce del trattamento riservato a suo tempo alle banche greche: degli 8,8 circa 4,5 sarebbero direttamente a carico dello Stato, gli altri 4,3 degli obbligazionisti» (con circa 2 miliardi rimborsabili però sempre dallo Stato al retail).
I vertici di Rocca Salimbeni, che ieri ha convocato un altro cda per fare il punto sulle lettere della Bce, dovranno quindi rielaborare il piano industriale e ripensare la cessione dei 27,7 miliardi di sofferenze che nella soluzione di mercato era stata affidata al fondo Atlante. Il meccanismo per consentire al Tesoro di prendere il controllo del Monte prevede, dunque, una triangolazione intensa fra l'Italia, Bruxelles e Francoforte. La Commissione Europea è infatti chiamata a dare il via libera al salvataggio pubblico.
Per farlo, deve rivolgersi alla Bce per accertare in primo luogo la solvibilità del Montepaschi (necessaria perché si possa concretizzare l'ipotesi di ricapitalizzazione preventiva), in secondo luogo l'entità della deficienza di capitale, verificati dallo scenario avverso degli stress test bancari.
I titoli Mps resteranno sospesi anche oggi alla riapertura dei mercati dopo la pausa natalizia (si parla di due-tre settimane) per decisione della Consob che attende si chiariscano le prossime mosse del Monte e che si chiuda con esito positivo il confronto con Ue e Bce sull'aumento di capitale, dopo il fallimento del piano di mercato. Non sono invece «congelate» le azioni di Unicredit che ha già annunciato un aumento di capitale da 13 miliardi. Né quelle di Carige, cui la stessa Bce ha concesso una proroga fino al 28 febbraio per la presentazione del piano per la riduzione dei crediti deteriorati. Passato il Natale, quanto si ballerà oggi in Piazza Affari?
Lettera della Vigilanza unica europea al Tesoro Per l'istituto servono quasi quattro miliardi in più
Camilla Conti - Mar, 27/12/2016 - 08:10
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Al Monte dei Paschi servono più soldi. Quasi quattro miliardi in più. L'aumento di capitale dell'istituto di Rocca Salimbeni richiesto dalla Bce è infatti salito da 5 a 8,8 miliardi.
Ora a carico dello Stato e degli azionisti.
L'indiscrezione è apparsa ieri pomeriggio, a Borsa chiusa per la festa di Santo Stefano, sul sito del Sole24Ore citando i contenuto di una lettera inviata al ministero del Tesoro dalla Vigilanza di Francoforte. In serata è arrivata la conferma della banca. In realtà, le missive sono due: in una si sottolinea che i risultati dello stress test del 2016 hanno registrato una carezza di capitale, solo nello scenario avverso, per il coefficiente patrimoniale atteso a fine 2018. Viene inoltre evidenziato che «la posizione di liquidità della banca ha subito un rapido deterioramento tra il 30 novembre e il 21 dicembre 2016, da 14,6 a 8,1 miliardi, e della liquidità
netta a un mese (da 12,1 miliardi, pari al 7,6% del totale delle attività, a 7,7 miliardi, pari al 4,78% del totale delle attività).
C'è dunque una evidente differenza rispetto al fabbisogno (appunto pari a 5 miliardi) avallato dall'Eurotower lo scorso 23 novembre, alla vigilia dell'assemblea straordinaria del Monte, che aveva approvato la ricapitalizzazione. Il salvataggio di mercato è poi saltato, l'amministratore delegato Marco Morelli e il presidente Alessandro Falciai hanno alzato bandiera bianca e richiesto l'intervento dello Stato che ha aperto per decreto un ombrello pubblico da 20 miliardi. Basteranno alla luce delle nuove richieste? Vedremo. Di certo, l'ammontare è stato rivisto dalla Bce «in base ai risultati degli stress di luglio, valutati però alla luce del trattamento riservato a suo tempo alle banche greche: degli 8,8 circa 4,5 sarebbero direttamente a carico dello Stato, gli altri 4,3 degli obbligazionisti» (con circa 2 miliardi rimborsabili però sempre dallo Stato al retail).
I vertici di Rocca Salimbeni, che ieri ha convocato un altro cda per fare il punto sulle lettere della Bce, dovranno quindi rielaborare il piano industriale e ripensare la cessione dei 27,7 miliardi di sofferenze che nella soluzione di mercato era stata affidata al fondo Atlante. Il meccanismo per consentire al Tesoro di prendere il controllo del Monte prevede, dunque, una triangolazione intensa fra l'Italia, Bruxelles e Francoforte. La Commissione Europea è infatti chiamata a dare il via libera al salvataggio pubblico.
Per farlo, deve rivolgersi alla Bce per accertare in primo luogo la solvibilità del Montepaschi (necessaria perché si possa concretizzare l'ipotesi di ricapitalizzazione preventiva), in secondo luogo l'entità della deficienza di capitale, verificati dallo scenario avverso degli stress test bancari.
I titoli Mps resteranno sospesi anche oggi alla riapertura dei mercati dopo la pausa natalizia (si parla di due-tre settimane) per decisione della Consob che attende si chiariscano le prossime mosse del Monte e che si chiuda con esito positivo il confronto con Ue e Bce sull'aumento di capitale, dopo il fallimento del piano di mercato. Non sono invece «congelate» le azioni di Unicredit che ha già annunciato un aumento di capitale da 13 miliardi. Né quelle di Carige, cui la stessa Bce ha concesso una proroga fino al 28 febbraio per la presentazione del piano per la riduzione dei crediti deteriorati. Passato il Natale, quanto si ballerà oggi in Piazza Affari?
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Re: Economia
Dal Fatto oggi 28 dicembre 2016, in edicola.
SPROFONDO ROSSO Dopo la richiesta Bce da 8,8 miliardi, rischio bomba sui conti
Montepaschi, a furia di rinvii
adesso la Troika è più vicina
Nuovo guaio: i 20 miliardi
rischiano di non bastare
Da Siena può estendersi il contagio. Tesoro e via Nazionale rassicurano ma se i criteri Bce sono quelli di Mps il conto sale: dopo c’è solo la Troika
»CARLO DI FOGGIA
La giravolta della vigilanza bancaria europea sul Monte dei Paschi rischia ora di far salire il conto dei salvataggi bancari. Nel silenzio totale del governo, alle 17.18 il ministero del l’Economia fa filtrare alle agenzie - in forma di “fonti del Tesoro”- questa rassicurazione: “Il perimetro del fondo per le crisi bancarie istituito con il decreto salva-risparmi è stato disegnato in modo ampiamente sufficiente a far fronte a tutte le esigenze di intervento che dovessero emergere dalle situazioni sotto osservazione ”. Una risposta a una domanda non posta, ma il perché della rassicurazione è evidente dai numeri.
IL FONDO è quello da 20 miliardi nato per soccorrere Mps e altri istituti in due mosse: ricapitalizzarli e garantirne la liquidità. L’aumento da 5 miliardi “di mercato” per Siena, curato da Jp Morgan,è fallito giovedì, la banca guidata da Marco Morelli ha chiesto l’aiuto pubblico “precauzionale" la notte stessa. Con due lettere inviate tra venerdì e lunedì la Bce - che il 23 novembre aveva dato l’ok all’aumento da 5 miliardi - ha fatto sapere che ora servono invece 8,8 miliardi. Di questi, 4,3 verrebbero dalla conversione in azioni delle obbligazioni subordinate. I piccoli obbligazionisti saranno rimborsati dallo Stato (2miliardi) che poi ne verserà altri 4,5 per ricapitalizzare la banca. Il conto è quindidi6,6 miliardi. Ieri Bankitalia e Tesoro facevano sapere informalmente che “circola una nota tecnica” in cui si spiega che dei 6,6 miliardi 2,5 possono rientrare subito allo Stato se Mps “dopo la ricapitalizzazione emetterà bond subordinati
per finanziare il capitale”. Proprio il tipo di bond che verranno convertiti prima dell’ope razione e per i quali servirà dunque una garanzia statale. E così sale anche il costo del capitale per la banca. Un non senso che la dice lunga sullo stato di agitazione. Nelle sue lettere, la Bce spiega che il conto è salito perché ha deciso che vacolmato tutto il deficit di capitale emerso nello “scenario avverso”(u na simulazione in caso di pesante recessione economica) dagli “stress test” di luglio. Non bastano quindi i vecchi 5 miliardi, ma va anche ripristinato il cuscinetto di sicurezza prima rappresentato dai bond subordinati. Mps ha “chiesto spiegazioni sulla metodologia usata” visto che anche l’opera zione targata Jp Morgan prevedeva che parte dei soldi sarebbe arrivata dalla conversione delle obbligazioni. A Siena, però, la Bce ha in corso anche un’ispezione sull’enorme mole di crediti in sofferenza i cui risultati verranno resi noti più avanti. Il sospetto è che l’esito potrebbe essere negativo, facendo emergere nuove perdite, e così la vigilanza bancaria si è portata avanti. Solo lunedì scorso il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva avvisato che “i soldi pubblici non possono essere usati per coprire perdite che sono già previste”. Se la Bce applica lo schema usato a Siena anche per le altre banche in difficoltà sono guai.
Nella lista ci sono le due popolari venete (Vicenza e Veneto Banca) a cui servono 3 miliardi ma anche Carige, Caricesena e Carim(si parladi 1miliardo). Per queste banche finanziarsi emettendo bond è complicato. Per questo i 20 miliardi servono a coprire anche le garanzie statali (onerose) sulle obbligazioni (e pure la liquidità di emergenza).Al momento l’impatto sui conti è solo quello degli interessi pagati dallo Stato che deve indebitarsi (soldi tagliati ai vari ministeri), ma se le cose andassero male le garanzie verrebbero usate.
N EL L’ULT IM O anno Mps ha perso 20 miliardi dai depositi, 6 negli ultimi mesi: è il prezzo della scelta del governo di rinviare di sei mesi (dopo il referendum) la resa dei conti. Ora serve un nuovo piano industriale e così i tempi si allungano ancora: a Siena servirà così subito la garanzia sulla liquidità. Ieri il governo ha provato a rassicurare, ma se i soldi non bastassero all’orizzonte c’è il fondo salva Stati Esm, che però prevede la messa sotto tutela della temuta Troika (Bce, Ue e Fmi) che di norma impone piani di rientro pesanti su deficit e debito (cioè tagli e tasse). Ieri l’italiano più alto in grado della vigilanza europea, Ignazio Angeloni, ha detto a La Stampa: “In Spagna ha dato ottimi risultati. Per noi più è alto il livello di stabilità della strada scelta, meglio è”.
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SPROFONDO ROSSO Dopo la richiesta Bce da 8,8 miliardi, rischio bomba sui conti
Montepaschi, a furia di rinvii
adesso la Troika è più vicina
Nuovo guaio: i 20 miliardi
rischiano di non bastare
Da Siena può estendersi il contagio. Tesoro e via Nazionale rassicurano ma se i criteri Bce sono quelli di Mps il conto sale: dopo c’è solo la Troika
»CARLO DI FOGGIA
La giravolta della vigilanza bancaria europea sul Monte dei Paschi rischia ora di far salire il conto dei salvataggi bancari. Nel silenzio totale del governo, alle 17.18 il ministero del l’Economia fa filtrare alle agenzie - in forma di “fonti del Tesoro”- questa rassicurazione: “Il perimetro del fondo per le crisi bancarie istituito con il decreto salva-risparmi è stato disegnato in modo ampiamente sufficiente a far fronte a tutte le esigenze di intervento che dovessero emergere dalle situazioni sotto osservazione ”. Una risposta a una domanda non posta, ma il perché della rassicurazione è evidente dai numeri.
IL FONDO è quello da 20 miliardi nato per soccorrere Mps e altri istituti in due mosse: ricapitalizzarli e garantirne la liquidità. L’aumento da 5 miliardi “di mercato” per Siena, curato da Jp Morgan,è fallito giovedì, la banca guidata da Marco Morelli ha chiesto l’aiuto pubblico “precauzionale" la notte stessa. Con due lettere inviate tra venerdì e lunedì la Bce - che il 23 novembre aveva dato l’ok all’aumento da 5 miliardi - ha fatto sapere che ora servono invece 8,8 miliardi. Di questi, 4,3 verrebbero dalla conversione in azioni delle obbligazioni subordinate. I piccoli obbligazionisti saranno rimborsati dallo Stato (2miliardi) che poi ne verserà altri 4,5 per ricapitalizzare la banca. Il conto è quindidi6,6 miliardi. Ieri Bankitalia e Tesoro facevano sapere informalmente che “circola una nota tecnica” in cui si spiega che dei 6,6 miliardi 2,5 possono rientrare subito allo Stato se Mps “dopo la ricapitalizzazione emetterà bond subordinati
per finanziare il capitale”. Proprio il tipo di bond che verranno convertiti prima dell’ope razione e per i quali servirà dunque una garanzia statale. E così sale anche il costo del capitale per la banca. Un non senso che la dice lunga sullo stato di agitazione. Nelle sue lettere, la Bce spiega che il conto è salito perché ha deciso che vacolmato tutto il deficit di capitale emerso nello “scenario avverso”(u na simulazione in caso di pesante recessione economica) dagli “stress test” di luglio. Non bastano quindi i vecchi 5 miliardi, ma va anche ripristinato il cuscinetto di sicurezza prima rappresentato dai bond subordinati. Mps ha “chiesto spiegazioni sulla metodologia usata” visto che anche l’opera zione targata Jp Morgan prevedeva che parte dei soldi sarebbe arrivata dalla conversione delle obbligazioni. A Siena, però, la Bce ha in corso anche un’ispezione sull’enorme mole di crediti in sofferenza i cui risultati verranno resi noti più avanti. Il sospetto è che l’esito potrebbe essere negativo, facendo emergere nuove perdite, e così la vigilanza bancaria si è portata avanti. Solo lunedì scorso il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, aveva avvisato che “i soldi pubblici non possono essere usati per coprire perdite che sono già previste”. Se la Bce applica lo schema usato a Siena anche per le altre banche in difficoltà sono guai.
Nella lista ci sono le due popolari venete (Vicenza e Veneto Banca) a cui servono 3 miliardi ma anche Carige, Caricesena e Carim(si parladi 1miliardo). Per queste banche finanziarsi emettendo bond è complicato. Per questo i 20 miliardi servono a coprire anche le garanzie statali (onerose) sulle obbligazioni (e pure la liquidità di emergenza).Al momento l’impatto sui conti è solo quello degli interessi pagati dallo Stato che deve indebitarsi (soldi tagliati ai vari ministeri), ma se le cose andassero male le garanzie verrebbero usate.
N EL L’ULT IM O anno Mps ha perso 20 miliardi dai depositi, 6 negli ultimi mesi: è il prezzo della scelta del governo di rinviare di sei mesi (dopo il referendum) la resa dei conti. Ora serve un nuovo piano industriale e così i tempi si allungano ancora: a Siena servirà così subito la garanzia sulla liquidità. Ieri il governo ha provato a rassicurare, ma se i soldi non bastassero all’orizzonte c’è il fondo salva Stati Esm, che però prevede la messa sotto tutela della temuta Troika (Bce, Ue e Fmi) che di norma impone piani di rientro pesanti su deficit e debito (cioè tagli e tasse). Ieri l’italiano più alto in grado della vigilanza europea, Ignazio Angeloni, ha detto a La Stampa: “In Spagna ha dato ottimi risultati. Per noi più è alto il livello di stabilità della strada scelta, meglio è”.
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Re: Economia
28 dic 2016 15:49
ZINGALES SBUGIARDA RENZI E IL RIDICOLO PIANO DI JPMORGAN PER IL MONTEPASCHI: ''L'AUMENTO DI CAPITALE NON ERA AFFATTO UN'OPERAZIONE DI MERCATO, ERA DROGATA DAL GOVERNO CHE LAVORAVA DIETRO LE QUINTE. ALLORA MEGLIO UN INTERVENTO CHIARO MESI FA, AVREMMO RISPARMIATO MILIARDI. IL BAIL-IN? UNA FOLLIA NEL SISTEMA ITALIANO: PAGANO SOLO I PICCOLI RISPARMIATORI. SERVE UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLE BANCHE''
Marcello Zacché per il Giornale
Lo Stato entra in Mps. È un bene o un male? Data l' attuale situazione è un male necessario, risponde Luigi Zingales, economista italiano tra i più ascoltati al mondo, professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business.
Di formazione liberale, in questa intervista al Giornale Zingales spiega gli errori, ma anche le opportunità dell' intervento pubblico nelle banche. È un po' come quelle medicine che non vorresti mai prendere, fino a quando le devi assumere in tutta fretta. Così questa decisione è arrivata troppo tardi e con troppo poco.
Troppo tardi?
Che il Monte Paschi non sarebbe riuscito a raccogliere cinque miliardi si sapeva già da luglio. Ma si è cercato di fare un' operazione di mercato, che in realtà era drogata.
Perché drogata?
Perché, da qual che ho letto, era guidata dal governo, che lavorava dietro le quinte. Era un' operazione importante per l' esecutivo guidato da Renzi, che a fronte dell' intervento del Qatar prometteva contropartite. Niente a che vedere con il mercato quindi. Allora sarebbe stato meglio un intervento trasparente del governo, con dichiarati limiti e responsabilità. Invece si è buttato via tempo prezioso, la gente ha perso fiducia, e ora si rischia che i soldi non bastino, come abbiamo visto già ieri.
Troppo poco?
Io spero che cinque miliardi, già saliti a quasi nove, siano sufficienti, ma non sono sicuro. È in corso un' analisi puntuale sui crediti di Mps da parte della Bce ed è difficile escludere il rischio reale di altre sofferenze. Allora non basteranno né 5, né 9. D' altra parte abbiamo appena visto succedere qualcosa del genere nelle banche venete, che stanno per essere di nuovo ricapitalizzate.
Quindi, invece che rincorrere questi numeri, in situazioni di crisi si fa una cosa diversa: si entra con una cifra talmente grossa da eliminare ogni rischio di ulteriori difficoltà. Il sistema gira pagina e inizia a guardare il mondo in maniera differente. E quello che è successo in Usa nel 2009, o in Spagna 2012, o in Svezia nel 1992: è così che si risponde alle crisi finanziarie.
Ci sono stime serie sul buco delle banche italiane?
Ci sono e sono abbastanza semplici da fare. Unicredit ha appena varato un' operazione che valuta i suoi non performing loans 25 centesimi per ogni euro. Se si applicasse questa valutazione all' intero sistema bancario si otterrebbe un buco di oltre 50 miliardi.
L' ordine di grandezza è questo, il 2,5% del Pil.
Dovremmo fare nuovo debito per il 2,5% del Pil? Non arriverebbe la Troika?
Non abbiamo bisogno di attingere ai fondi europei. Possiamo emettere nuovo debito e credo che sarebbe una buona scelta. Vorrei ricordare che lo abbiamo già fatto per aiutare sia la Grecia, sia la Spagna: allora perché non lo possiamo fare per noi. Poi, se lo facciamo bene, questi non sono miliardi di spesa, ma di investimenti. Infatti, negli Usa e in Svezia, con i salvataggi lo Stato ci ha guadagnato. La probabilità che questo avvenga anche in Italia mi pare bassa, ma stabilire il principio sarebbe importante.
Come si è arrivati fin qui, senza accorgersi prima dei reali guai delle banche?
Nell' ultimo anno c' è stata una combinazione di fattori. Intanto non c' era abbastanza coscienza della gravità del fenomeno, almeno da parte del premier. Poi, da marzo in avanti, c' è stato il tema referendum, che ha congelato ogni scelta impopolare. Infine ha avuto un ruolo il problema delle responsabilità di questa situazione.
Vale a dire?
L' investimento di denaro pubblico nelle banche, o in Mps in particolare, implica senz' altro un' inchiesta su cosa è successo. Come ho già scritto, una volta che lo Stato è socio, un governo serio non può esimersi dal fare un' indagine: bisogna saper guardare anche indietro. E se non lo fai commetti un errore politico enorme: favorisci l' arrivo a Palazzo Chigi del primo governo del Movimento 5 Stelle.
Propone una Commissione d' inchiesta parlamentare?
Sarebbe l' ideale. Ma si può fare anche una cosa diversa: il governo può nominare una commissione di esperti che abbia accesso pieno ai dati di Mps e che faccia un' analisi profonda per dire quanta parte del buco è dovuta alla crisi, quanta alla cattiva gestione e quanta a errori di natura politica o peggio. L' esecutivo lo potrà fare in quanto azionista della società. Per poi riferire gli esiti a tutto il Paese.
Siamo in questa situazione per la direttiva europea sul bail in: governo e Bankitalia dovevano opporsi? Potevano fare di più?
Per rispondere serve un distinguo su due temi: il primo è la responsabilità di come le banche si sono finanziate tramite la propria clientela retail. Non è un fenomeno nuovo, va avanti da decenni in Italia. E la cosa ironica è che è sempre stato visto come un punto di forza. La Banca d' Italia ha sostenuto per anni che il sistema bancario italiano era più solido perché non si finanziava con i fondi internazionali, bensì presso la clientela.
Era la prova che le nostre istituzioni avevano più a cuore la stabilità del sistema che la tutela del risparmio. Ad esempio, la vendita di due miliardi di obbligazioni subordinate Mps alle famiglie non è anomalo, ma strutturale, tanto che il taglio minimo era stato ridotto apposta a soli mille euro. In queste condizioni il meccanismo del bail in, che segue una logica corretta, in Italia è diventato perverso. Sarebbe stato corretto solo se gli investitori in subordinate fossero stati i fondi, viceversa per l' Italia era una follia.
Da quando questa proposta è venuta fuori, nel 2014, Bankitalia e governo avrebbero dovuto fare fuoco e fiamme per imporre correzioni per le subordinate. Il governatore lo aveva capito e a suo modo ha protestato, ma non abbastanza. Nel governo di allora c' era il ministro Saccomanni al Tesoro: difficile immaginare che non potesse fare di più.
E il secondo aspetto?
Bisogna chiedersi da dove vengono tutti questi crediti deteriorati. In Banca d' Italia dicono che è tutta colpa della crisi. Che di certo ha avuto un peso importante: sono sparite un quarto delle imprese, ovvio che c' è una valanga di perdite. Ma i crediti deteriorati sono circa il 25% del totale degli impieghi: se calcoliamo che le famiglie pagano, la quota relativa alle imprese è molto elevata: significa che c' è stata una politica del credito quanto meno non intelligente.
E molti prestiti dati agli amici. Basta guardare quanti soldi Intesa ha dato a Zaleski, per esempio. O le operazioni baciate delle banche popolari. Allora, se è vero che le frodi sono difficili da vedere per un ispettore, è anche vero che di tante altre situazioni si sapeva. Le conoscevo io che vivo negli Usa. Un' inchiesta dovrebbe darci queste risposte: ci sono state eccezioni che confermano la regola, o erano una prassi diffusa?.
Ma come risparmiatori, siamo o non siamo tutelati dalle Authority?
La domanda è sacrosanta e una commissione è necessaria proprio per questo, per capire in che misura i maggiori dissesti bancari emersi in questi mesi potevano essere previsti dalla Vigilanza. La realtà è che oggi non lo sappiamo. Ma in futuro vorremmo poterlo sapere.
ZINGALES SBUGIARDA RENZI E IL RIDICOLO PIANO DI JPMORGAN PER IL MONTEPASCHI: ''L'AUMENTO DI CAPITALE NON ERA AFFATTO UN'OPERAZIONE DI MERCATO, ERA DROGATA DAL GOVERNO CHE LAVORAVA DIETRO LE QUINTE. ALLORA MEGLIO UN INTERVENTO CHIARO MESI FA, AVREMMO RISPARMIATO MILIARDI. IL BAIL-IN? UNA FOLLIA NEL SISTEMA ITALIANO: PAGANO SOLO I PICCOLI RISPARMIATORI. SERVE UNA COMMISSIONE D'INCHIESTA SULLE BANCHE''
Marcello Zacché per il Giornale
Lo Stato entra in Mps. È un bene o un male? Data l' attuale situazione è un male necessario, risponde Luigi Zingales, economista italiano tra i più ascoltati al mondo, professore di Finanza alla University of Chicago Booth School of Business.
Di formazione liberale, in questa intervista al Giornale Zingales spiega gli errori, ma anche le opportunità dell' intervento pubblico nelle banche. È un po' come quelle medicine che non vorresti mai prendere, fino a quando le devi assumere in tutta fretta. Così questa decisione è arrivata troppo tardi e con troppo poco.
Troppo tardi?
Che il Monte Paschi non sarebbe riuscito a raccogliere cinque miliardi si sapeva già da luglio. Ma si è cercato di fare un' operazione di mercato, che in realtà era drogata.
Perché drogata?
Perché, da qual che ho letto, era guidata dal governo, che lavorava dietro le quinte. Era un' operazione importante per l' esecutivo guidato da Renzi, che a fronte dell' intervento del Qatar prometteva contropartite. Niente a che vedere con il mercato quindi. Allora sarebbe stato meglio un intervento trasparente del governo, con dichiarati limiti e responsabilità. Invece si è buttato via tempo prezioso, la gente ha perso fiducia, e ora si rischia che i soldi non bastino, come abbiamo visto già ieri.
Troppo poco?
Io spero che cinque miliardi, già saliti a quasi nove, siano sufficienti, ma non sono sicuro. È in corso un' analisi puntuale sui crediti di Mps da parte della Bce ed è difficile escludere il rischio reale di altre sofferenze. Allora non basteranno né 5, né 9. D' altra parte abbiamo appena visto succedere qualcosa del genere nelle banche venete, che stanno per essere di nuovo ricapitalizzate.
Quindi, invece che rincorrere questi numeri, in situazioni di crisi si fa una cosa diversa: si entra con una cifra talmente grossa da eliminare ogni rischio di ulteriori difficoltà. Il sistema gira pagina e inizia a guardare il mondo in maniera differente. E quello che è successo in Usa nel 2009, o in Spagna 2012, o in Svezia nel 1992: è così che si risponde alle crisi finanziarie.
Ci sono stime serie sul buco delle banche italiane?
Ci sono e sono abbastanza semplici da fare. Unicredit ha appena varato un' operazione che valuta i suoi non performing loans 25 centesimi per ogni euro. Se si applicasse questa valutazione all' intero sistema bancario si otterrebbe un buco di oltre 50 miliardi.
L' ordine di grandezza è questo, il 2,5% del Pil.
Dovremmo fare nuovo debito per il 2,5% del Pil? Non arriverebbe la Troika?
Non abbiamo bisogno di attingere ai fondi europei. Possiamo emettere nuovo debito e credo che sarebbe una buona scelta. Vorrei ricordare che lo abbiamo già fatto per aiutare sia la Grecia, sia la Spagna: allora perché non lo possiamo fare per noi. Poi, se lo facciamo bene, questi non sono miliardi di spesa, ma di investimenti. Infatti, negli Usa e in Svezia, con i salvataggi lo Stato ci ha guadagnato. La probabilità che questo avvenga anche in Italia mi pare bassa, ma stabilire il principio sarebbe importante.
Come si è arrivati fin qui, senza accorgersi prima dei reali guai delle banche?
Nell' ultimo anno c' è stata una combinazione di fattori. Intanto non c' era abbastanza coscienza della gravità del fenomeno, almeno da parte del premier. Poi, da marzo in avanti, c' è stato il tema referendum, che ha congelato ogni scelta impopolare. Infine ha avuto un ruolo il problema delle responsabilità di questa situazione.
Vale a dire?
L' investimento di denaro pubblico nelle banche, o in Mps in particolare, implica senz' altro un' inchiesta su cosa è successo. Come ho già scritto, una volta che lo Stato è socio, un governo serio non può esimersi dal fare un' indagine: bisogna saper guardare anche indietro. E se non lo fai commetti un errore politico enorme: favorisci l' arrivo a Palazzo Chigi del primo governo del Movimento 5 Stelle.
Propone una Commissione d' inchiesta parlamentare?
Sarebbe l' ideale. Ma si può fare anche una cosa diversa: il governo può nominare una commissione di esperti che abbia accesso pieno ai dati di Mps e che faccia un' analisi profonda per dire quanta parte del buco è dovuta alla crisi, quanta alla cattiva gestione e quanta a errori di natura politica o peggio. L' esecutivo lo potrà fare in quanto azionista della società. Per poi riferire gli esiti a tutto il Paese.
Siamo in questa situazione per la direttiva europea sul bail in: governo e Bankitalia dovevano opporsi? Potevano fare di più?
Per rispondere serve un distinguo su due temi: il primo è la responsabilità di come le banche si sono finanziate tramite la propria clientela retail. Non è un fenomeno nuovo, va avanti da decenni in Italia. E la cosa ironica è che è sempre stato visto come un punto di forza. La Banca d' Italia ha sostenuto per anni che il sistema bancario italiano era più solido perché non si finanziava con i fondi internazionali, bensì presso la clientela.
Era la prova che le nostre istituzioni avevano più a cuore la stabilità del sistema che la tutela del risparmio. Ad esempio, la vendita di due miliardi di obbligazioni subordinate Mps alle famiglie non è anomalo, ma strutturale, tanto che il taglio minimo era stato ridotto apposta a soli mille euro. In queste condizioni il meccanismo del bail in, che segue una logica corretta, in Italia è diventato perverso. Sarebbe stato corretto solo se gli investitori in subordinate fossero stati i fondi, viceversa per l' Italia era una follia.
Da quando questa proposta è venuta fuori, nel 2014, Bankitalia e governo avrebbero dovuto fare fuoco e fiamme per imporre correzioni per le subordinate. Il governatore lo aveva capito e a suo modo ha protestato, ma non abbastanza. Nel governo di allora c' era il ministro Saccomanni al Tesoro: difficile immaginare che non potesse fare di più.
E il secondo aspetto?
Bisogna chiedersi da dove vengono tutti questi crediti deteriorati. In Banca d' Italia dicono che è tutta colpa della crisi. Che di certo ha avuto un peso importante: sono sparite un quarto delle imprese, ovvio che c' è una valanga di perdite. Ma i crediti deteriorati sono circa il 25% del totale degli impieghi: se calcoliamo che le famiglie pagano, la quota relativa alle imprese è molto elevata: significa che c' è stata una politica del credito quanto meno non intelligente.
E molti prestiti dati agli amici. Basta guardare quanti soldi Intesa ha dato a Zaleski, per esempio. O le operazioni baciate delle banche popolari. Allora, se è vero che le frodi sono difficili da vedere per un ispettore, è anche vero che di tante altre situazioni si sapeva. Le conoscevo io che vivo negli Usa. Un' inchiesta dovrebbe darci queste risposte: ci sono state eccezioni che confermano la regola, o erano una prassi diffusa?.
Ma come risparmiatori, siamo o non siamo tutelati dalle Authority?
La domanda è sacrosanta e una commissione è necessaria proprio per questo, per capire in che misura i maggiori dissesti bancari emersi in questi mesi potevano essere previsti dalla Vigilanza. La realtà è che oggi non lo sappiamo. Ma in futuro vorremmo poterlo sapere.
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Re: Economia
Mps, l’avvertimento del governo tedesco
“Bce e Ue, garantite che Roma rispetti le regole”
Nota di Schäuble: “La banca deve essere solvente e i fondi statali non siano usati per coprire perdite”
L’affondo della stampa tedesca: “Se ottenere soldi pubblici è così facile altri istituti saranno tentati”
Lobby
Il ministero delle Finanze tedesco lancia un avvertimento alla banca centrale europea sulla nazionalizzazione di Mps: “Bce e Ue verifichino il rispetto delle regole”. Il quotidiano Frankfurter Allgemeigne dice che “il conto finale sarà alto”. Se gli istituti sanno di poter contare su aiuti esterni, argomenta il giornale, il rischio è che continuino “a usare in modo spensierato i depositi dei clienti, i prestiti degli obbligazionisti e il capitale degli azionisti”. Per concederli, però, il governo deve aumentare il debito
di F. Q.
“Bce e Ue, garantite che Roma rispetti le regole”
Nota di Schäuble: “La banca deve essere solvente e i fondi statali non siano usati per coprire perdite”
L’affondo della stampa tedesca: “Se ottenere soldi pubblici è così facile altri istituti saranno tentati”
Lobby
Il ministero delle Finanze tedesco lancia un avvertimento alla banca centrale europea sulla nazionalizzazione di Mps: “Bce e Ue verifichino il rispetto delle regole”. Il quotidiano Frankfurter Allgemeigne dice che “il conto finale sarà alto”. Se gli istituti sanno di poter contare su aiuti esterni, argomenta il giornale, il rischio è che continuino “a usare in modo spensierato i depositi dei clienti, i prestiti degli obbligazionisti e il capitale degli azionisti”. Per concederli, però, il governo deve aumentare il debito
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Re: Economia
Mps, la Germania all'attacco:
"L'Italia rispetti le regole Ue"
Berlino contro il dl salva-risparmio: "Bce e Ue vigilino". E intima: "Azionisti e creditori siano i primi a subire perdite"
di Sergio Rame
47 minuti fa
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"L'Italia rispetti le regole Ue"
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Re: Economia
Una volta tanto sto con la Germania. I soldi pubblici vanno per risolvere i problemi più gravi, non a coprire le speculazioni. E pare che nei derivati abbiano investito più che altro quelli delle classi alte, e sapevano quello che stavano facendo.
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Re: Economia
cielo 70 ha scritto:Una volta tanto sto con la Germania. I soldi pubblici vanno per risolvere i problemi più gravi, non a coprire le speculazioni. E pare che nei derivati abbiano investito più che altro quelli delle classi alte, e sapevano quello che stavano facendo.
GLI EROI Quelli che non rispondono di nulla
Nomi e cognomi,
la lista dei volenterosi
carnefici del Monte
Tutti distratti: i governatori Draghi e Visco, i ministri
Saccomanni e Padoan, le “vigilantes ”Tarantola e Nouy
di Giorgio Meletti | 28 dicembre 2016
È vero che la colpa morì fanciulla. Però un giorno o l’altro qualcuno dovrà pur dirci chi ha combinato questo immenso casino. La crisi del Monte dei Paschi di Siena è già costata miliardi di euro al mercato finanziario, per danni diretti e contagi vari. Adesso costerà ai contribuenti italiani almeno 6,5 miliardi di euro,
ci dicono. E non c’è un solo esponente di questa classe dirigente stracciona che si assuma una responsabilità. I rappresentanti di tutte le istituzioni coinvolte (Governo italiano, Commissione europea, Banca centrale europea, Banca d’Italia nonché gli stessi vertici di Mps) parlano come fossero meteorologi, intenti a descrivere con arguzia fenomeni non dipendenti dall’agire umano.
MARIO DRAGHI. Il presidente della Bce non parla. L’attività della Vigilanza bancaria è della Bce, ma non è sotto il controllo del presidente. Il capo della Vigilanza è la francese Danièle Nouy e gode di totale autonomia. A chi rende conto la Nouy di ciò che fa? A nessuno. È scritto così nelle regole istitutive della Bce, che è indipendente dalla politica e quindi esercita sulle banche un potere assoluto, di vita o di morte. Draghi era governatore della Banca d’Italia nel 2007, quando Giuseppe Mussari (vedi
sotto) suicidò Mps investendo 17 miliardi per comprare la banca Antonveneta. Via Nazionale autorizzò lo scempio senza battere ciglio. Ma la pratica fu gestita dal direttore generale Fabrizio Saccomanni e dal capo della Vigilanza Anna Maria Tarantola (vedi sotto). Quindi Draghi non ha niente da dirci.
IGNAZIO ANGELONI.È l’italiano più alto in grado nella Vigilanza europea. Ogni tanto rilascia interviste in cui parla come la sibilla. Ieri per esempio ha parlato a La Stampa ma si è ben guardato dal dirci per
ché in poche ore la Bce ha deciso che Mps non ha più bisogno di 5 miliardi di nuovo capitale ma 8,8. Se non fosse una tragedia ci sarebbe da sghignazzare. Mps emette un comunicato la sera di Santo Stefano per dire che la Bce ordina di trovare 8,8 miliardi di nuovo capitale anziché 5 e che la banca “ha tempestivamente avviato le interlocuzioni con le Autorità competenti alfine di comprendere le metodologie sottese ai calcoli effettuati da Bce”. Angeloni nulla rivela sulle “metodologie sottese” però annuncia: “Continueremo a fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per far sì che la banca trovi un modello di business sostenibile”. Le sibille di Francoforte parlano come i ministri di Stalin. Ma la realtà è proprio questa. Mps da cinque anni è di fatto commissariato e i suoi amministratori devono chiedere alla Vigilanza anche il permesso di fare pipì. Altro che libero mercato. Le banche sono passate dal dominio dei politici che facevano dare i prestiti ai loro amici insolventi a quello di burocrati che non rispondono a nessuno, e neppure si degnano di dare spiegazioni ai contribuenti a cui mandano il conto da pagare.
FABRIZIO SACCOMANNI. Insieme ad Annamaria Tarantola sono i simboli, i monumenti equestri al burocrate irresponsabile, attento solo al livello del proprio stipendio e della propria pensione. Quando Mussari ha distrutto Mps per comprare l’Antonveneta i due sapevano benissimo che stava pagando per l’istituto padovano il doppio o il triplo del valore. Bankitalia aveva appena fatto un’ispezione in Antonveneta, ma i due servitori dello Stato ritennero doveroso rispettare la privacy del venditore, il capo dello spagnolo Banco Santander Emilio Botin. Ai magistrati che le chiesero conto della sua azione di vigilanza, Tarantola rispose: “Ci raccomandammo con i vertici di Mps di fare per bene l’acquisizione ”. Mario Monti, tecnico dei tecnici, l’ha premiata con la presidenza della Rai. Saccomanni ha detto ai magistrati: “Non ci fu segnalato che Mps aveva acquisito Antonveneta senza fare una due diligence. Devo dire che, per prassi, Banca d'Italia caldeggia sempre, in caso di acquisizioni, la due diligence preventiva ”. Per queste doti di caldeggiatore Saccomanni è stato poi premiato con la poltrona di ministro dell’Economia.
GIUSEPPE MUSSARI. Divideva la sua vita tra l’avvocatura e la militanza nel Pci, poi Pds poi Ds. Stretta osservanza dalemiana, ma anche caro alla massoneria senese, vera padrona del Monte. Prima diventa per meriti politici presidente della Fondazione Mps, padrona della banca. Poi nel 2006 si autonomina presidente della Banca. Benché si autodefinisca banchiere dilettante i colleghi lo acclamano presidente dell’As soci azio ne bancaria italiana. Quando Bankitalia si accorge che con l’acquisizione di Antonveneta ha scassato il Monte lo fa fuori e affida il risanamento della banca più antica del mondo a Fabrizio Viola e Alessandro Profumo. Resiste per un altro anno alla presidenza dell’Abi, per farlo dimettere ci sono volute le rivelazioni del Fatto sui finanziamenti farlocchi detti Santorini e Alexandria. Chi ha deciso di affidare Mps a Mussari? Non lo sapremo mai.
IGNAZIO VISCO. Quando a gennaio 2013 si scoprirono gli altarini di Mussari il governatore non tentennò: “Mps non ha problemi di tenuta”. Esattamente cinque anni fa Visco ha piazzato a Siena Viola, che ha eseguito gli ordini della Banca d’Italia prima e della Bce dal 2015. Dal gennaio 2013, quando Visco ha detto che andava tutto bene, Viola ha dovuto chiedere al mercato 5 miliardi di nuovo capitale nel 2014, 3 miliardi di nuovo capitale nel 2015. Soldi buttati nel lavandino, pare,visto che adesso la Bce dice che ne servono altri 8,8. Da quando Visco ha detto che andava tutto bene Mps ha prodotto un buco patrimoniale di 17 miliardi. E il governatore non ha mai sentito il dovere di dare spiegazioni ai contribuenti che pagheranno il conto di Mps (oltre al suo stipendio). Non solo. Dov’era Visco quando Matteo Renzi ha deciso di lasciar marcire Mps in attesa del referendum? Dov’era quando il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, per non irritare lo statista di Rignano ha fatto finta per sei mesi di seguire l’impossibile “ricapitalizzazione di mercato”? A fine agosto Renzi, su richiesta dell’amico Jamie Dimon di Jp Morgan, ha ordinato di silurare Viola e di sostituirlo con Marco Morelli, benché macchiato da una pesante sanzione data proprio da Visco, e proprio per i trascorsi di Morelli al fianco di Mussari. Visco non ha fiatato, come sempre. Ecco, Mps è stato distrutto da quelli che si ritengono infallibili e danno sempre la stessa spiegazione: “Io so’io, evvoi nun zete un caXXo”.
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Re: Economia
cielo 70 ha scritto:Una volta tanto sto con la Germania. I soldi pubblici vanno per risolvere i problemi più gravi, non a coprire le speculazioni. E pare che nei derivati abbiano investito più che altro quelli delle classi alte, e sapevano quello che stavano facendo.
E ancora:
Chi ha affossato i conti
Da De Benedetti alla
Marcegaglia: Mps prestava i
soldi ai ricchi,
loro non li ridavano
Fra i debitori che non hanno onorato i debiti verso il Montepaschi c’è anche Giuseppe Garibaldi. Incidenti che capitano alla banca più antica del mondo. Evidentemente anche in tempi non sospetti, a Siena sentivano il fascino della camicia rossa. Ma soprattutto rivelavano una certa reverenza nei confronti dei poteri forti. Preferibilmente in odore di massoneria.
Nell'archivio della banca c'è questa lettera dell'Eroe dei Due Mondi: «Signor Esattore mi trovo nell'impossibilità di pagare le tasse. Lo farò appena possibile». Correva l'anno 1863 e non sapremo mai il destino di quel debito.
C'è anche da dire che a Siena avevano una certa dimestichezza con i protagonisti del Risorgimento. Fra il 1928 e il 1932, infatti, la banca era entrata in possesso della tenuta di Fontanafredda che Vittorio Emanuele II aveva regalato alla Bella Rosina. Gli eredi se l'erano fatta espropriare per un debito non pagato. Un npl (non performing loans) in versione reale.
Giuseppe Garibaldi e i nipoti della moglie del Re che non poteva diventare Regina. A Siena sono sempre stati molto trasversali nella scelta dei loro clienti. E anche le sofferenze rifiutano il monocolore. Così fra i clienti che non hanno rimborsato figurano la Sorgenia della famiglia De Benedetti e Don Verzè che, grazie anche all'amicizia con Silvio Berlusconi aveva fondato l'ospedale San Raffaele portandolo anche al dissesto con un buco di duecento milioni.
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