Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
NON E' CERTO UNO DEI PRIMI PROBLEMI DA RISOLVERE, NELLA GERARCHIA DEI PROBLEMI CHE AFFLIGGONO IL BEL PAESE, MA BISOGNA AFFRONTARE ANCHE QUESTO.
Bufale sul web, Pitruzzella (Antitrust): ‘Pubblici poteri devono controllare l’informazione’. Grillo: ‘Nuovi inquisitori’
di F. Q. | 30 dicembre 2016
Media & Regime
Il numero uno dell'autorità garante della concorrenza, intervistato dal Financial Times, ha sostenuto che "in politica la post-verità è uno dei motori del populismo e una delle minacce alla nostra democrazia". Di conseguenza servono "organismi" che "rimuovano dalla rete" le false notizie e "impongano sanzioni". Il garante del M5S: "Tra il delirio d'onnipotenza e l'ignoranza completa di come funzioni internet"
di F. Q. | 30 dicembre 2016
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Più informazioni su: Antitrust, Beppe Grillo, Giovanni Pitruzzella, Internet, Web
“Servono regole e sanzioni contro le bufale online: i pubblici poteri devono controllare l’informazione”. “È una nuova inquisizione contro Internet”. La “post verità” e le false notizie diffuse via web diventano oggetto di scontro tra il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella e il garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Il primo, in un’intervista al Financial Times, ha affermato che “contro la diffusione delle false notizie serve una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione”. Proposta che ha provocato un’immediata alzata di scudi da parte del comico genovese, che in un post sul suo blog intitolato “Post verità Nuova inquisizione” attacca i “nuovi inquisitori” che “vogliono un tribunale per controllarlo (il web, ndr) e condannare chi li sputtana”. A corredo del commento c’è un’immagine in cui Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e Giorgio Napolitano, nelle vesti di giudici, “condannano” Grillo.
La reazione di Grillo nasce anche dal fatto che Pitruzzella, parlando con il quotidiano finanziario, ha affermato che “in politica la post-verità è uno dei motori del populismo e una delle minacce alla nostra democrazia“. In questo momento, continuava il suo ragionamento, “siamo a un crocevia: dobbiamo scegliere se lasciare internet così com’è, come un selvaggio West, o se ci servono regole adatte al cambiamento subito dalla comunicazione”. “Credo che si debbano definire tali regole”, è il punto di vista del numero uno dell’autorità garante della concorrenza. “E questo è compito del settore pubblico”. Infatti “le piattaforme come Facebook hanno dato grandi benefici alle persone e ai loro clienti e stanno facendo la loro parte nell’adottare politiche per modificare i loro algoritmi e ridurre questo fenomeno: ma non è compito dei privati controllare l’informazione. Questo”, ha sostenuto Pitruzzella, “è storicamente compito dei pubblici poteri“, che “devono garantire un’informazione corretta“. Secondo il garante un “organismo terzo capace di intervenire rapidamente nel caso l’interesse pubblico venga danneggiato” sarebbe la soluzione giusta.
Di qui la replica dell’ispiratore di un movimento che ha tra i propri pilastri la partecipazione via web dei cittadini alle decisioni pubbliche. Nel post l’intervista viene definita “a metà strada tra il delirio d’onnipotenza e l’ignoranza completa di come funzioni il web”. Dire che “i poteri statali devono garantire che l’informazione sia corretta”, scrive Grillo, “significa che vogliono fare un bel tribunale dell’inquisizione, controllato dai partiti di governo, che decida cosa è vero e cosa è falso”. “Immaginatevi la scena”, è l’esempio del cofondatore del Movimento. “Scrivo sul Blog: “I politici prendono la pensione d’oro: è un privilegio che vogliamo abolire!”. Il tribunale decreta: “Falso, prendono una pensione normale come tutti, è un diritto acquisito. E’ post-verità la tua! Ordiniamo che il Blog di Grillo sia messo al rogo!” “Ma non si può bruciare, sua Pitruzzella: è fatto di bit!” “Allora al rogo il computer di Grillo e pure il suo mouse, e se si lamenta al rogo pure lui”.
E ancora: “Purtroppo Pitruzzella non è un pazzo solitario. Il premier fotocopia Gentiloni ieri ha detto che gli strappi nel tessuto sociale del Paese sono causati anche da Internet. Per il sempre grigio Napolitano “la politica del click è mistificazione“. Renzi è convinto di aver perso il referendum per colpa del web: “Abbiamo lasciato il web a chi in queste ore è sotto gli occhi internazionali, a cominciare dal New York Times, in quanto diffusore di falsità”. I travestiti morali sono abituati alla TV, dove se vai con una scheda elettorale falsa i giornalisti ci credono, ma se lo fate sul web i cittadini ve lo dicono che siete dei cazzari, non prendetevela”.
“Tutti uniti contro il web. Ora che nessuno legge più i giornali e anche chi li legge non crede alle loro balle, i nuovi inquisitori vogliono un tribunale per controllare internet e condannare chi li sputtana. Sono colpevole, venite a prendermi. Questo Blog non smetterà mai di scrivere e la Rete non si fermerà con un tribunale. Bloccate un social? Ne fioriranno altri dieci che non riuscirete a controllare. Le vostre post-cazzate non ci fermeranno”.
di F. Q. | 30 dicembre 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... i/3289153/
Bufale sul web, Pitruzzella (Antitrust): ‘Pubblici poteri devono controllare l’informazione’. Grillo: ‘Nuovi inquisitori’
di F. Q. | 30 dicembre 2016
Media & Regime
Il numero uno dell'autorità garante della concorrenza, intervistato dal Financial Times, ha sostenuto che "in politica la post-verità è uno dei motori del populismo e una delle minacce alla nostra democrazia". Di conseguenza servono "organismi" che "rimuovano dalla rete" le false notizie e "impongano sanzioni". Il garante del M5S: "Tra il delirio d'onnipotenza e l'ignoranza completa di come funzioni internet"
di F. Q. | 30 dicembre 2016
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Più informazioni su: Antitrust, Beppe Grillo, Giovanni Pitruzzella, Internet, Web
“Servono regole e sanzioni contro le bufale online: i pubblici poteri devono controllare l’informazione”. “È una nuova inquisizione contro Internet”. La “post verità” e le false notizie diffuse via web diventano oggetto di scontro tra il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella e il garante del Movimento 5 Stelle Beppe Grillo. Il primo, in un’intervista al Financial Times, ha affermato che “contro la diffusione delle false notizie serve una rete di organismi nazionali indipendenti ma coordinata da Bruxelles e modellata sul sistema delle autorità per la tutela della concorrenza, capaci di identificare le bufale online che danneggiano l’interesse pubblico, rimuoverle dal web e nel caso imporre sanzioni a chi le mette in circolazione”. Proposta che ha provocato un’immediata alzata di scudi da parte del comico genovese, che in un post sul suo blog intitolato “Post verità Nuova inquisizione” attacca i “nuovi inquisitori” che “vogliono un tribunale per controllarlo (il web, ndr) e condannare chi li sputtana”. A corredo del commento c’è un’immagine in cui Paolo Gentiloni, Matteo Renzi e Giorgio Napolitano, nelle vesti di giudici, “condannano” Grillo.
La reazione di Grillo nasce anche dal fatto che Pitruzzella, parlando con il quotidiano finanziario, ha affermato che “in politica la post-verità è uno dei motori del populismo e una delle minacce alla nostra democrazia“. In questo momento, continuava il suo ragionamento, “siamo a un crocevia: dobbiamo scegliere se lasciare internet così com’è, come un selvaggio West, o se ci servono regole adatte al cambiamento subito dalla comunicazione”. “Credo che si debbano definire tali regole”, è il punto di vista del numero uno dell’autorità garante della concorrenza. “E questo è compito del settore pubblico”. Infatti “le piattaforme come Facebook hanno dato grandi benefici alle persone e ai loro clienti e stanno facendo la loro parte nell’adottare politiche per modificare i loro algoritmi e ridurre questo fenomeno: ma non è compito dei privati controllare l’informazione. Questo”, ha sostenuto Pitruzzella, “è storicamente compito dei pubblici poteri“, che “devono garantire un’informazione corretta“. Secondo il garante un “organismo terzo capace di intervenire rapidamente nel caso l’interesse pubblico venga danneggiato” sarebbe la soluzione giusta.
Di qui la replica dell’ispiratore di un movimento che ha tra i propri pilastri la partecipazione via web dei cittadini alle decisioni pubbliche. Nel post l’intervista viene definita “a metà strada tra il delirio d’onnipotenza e l’ignoranza completa di come funzioni il web”. Dire che “i poteri statali devono garantire che l’informazione sia corretta”, scrive Grillo, “significa che vogliono fare un bel tribunale dell’inquisizione, controllato dai partiti di governo, che decida cosa è vero e cosa è falso”. “Immaginatevi la scena”, è l’esempio del cofondatore del Movimento. “Scrivo sul Blog: “I politici prendono la pensione d’oro: è un privilegio che vogliamo abolire!”. Il tribunale decreta: “Falso, prendono una pensione normale come tutti, è un diritto acquisito. E’ post-verità la tua! Ordiniamo che il Blog di Grillo sia messo al rogo!” “Ma non si può bruciare, sua Pitruzzella: è fatto di bit!” “Allora al rogo il computer di Grillo e pure il suo mouse, e se si lamenta al rogo pure lui”.
E ancora: “Purtroppo Pitruzzella non è un pazzo solitario. Il premier fotocopia Gentiloni ieri ha detto che gli strappi nel tessuto sociale del Paese sono causati anche da Internet. Per il sempre grigio Napolitano “la politica del click è mistificazione“. Renzi è convinto di aver perso il referendum per colpa del web: “Abbiamo lasciato il web a chi in queste ore è sotto gli occhi internazionali, a cominciare dal New York Times, in quanto diffusore di falsità”. I travestiti morali sono abituati alla TV, dove se vai con una scheda elettorale falsa i giornalisti ci credono, ma se lo fate sul web i cittadini ve lo dicono che siete dei cazzari, non prendetevela”.
“Tutti uniti contro il web. Ora che nessuno legge più i giornali e anche chi li legge non crede alle loro balle, i nuovi inquisitori vogliono un tribunale per controllare internet e condannare chi li sputtana. Sono colpevole, venite a prendermi. Questo Blog non smetterà mai di scrivere e la Rete non si fermerà con un tribunale. Bloccate un social? Ne fioriranno altri dieci che non riuscirete a controllare. Le vostre post-cazzate non ci fermeranno”.
di F. Q. | 30 dicembre 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12 ... i/3289153/
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Re: Come se ne viene fuori ?
SOTTO,.... COL BUNGA-BUNGA...........ORA E SIEMPRE
"L'unità dei moderati sarà la nostra forza Ripartiamo dalla Sicilia"
Il senatore azzurro rivendica la centralità di Forza Italia. «Ma prima la legge elettorale»
Fabrizio De Feo - Sab, 31/12/2016 - 09:29
Roma
Senatore Renato Schifani, quale discontinuità rileva nel passaggio da Renzi a Gentiloni?
«Una discontinuità comunicativa, giudicheremo poi sui fatti.
Mi fa piacere che Gentiloni abbia un approccio non interventista sulle regole, dopo la stagione delle questioni di fiducia poste persino sulla legge elettorale. Inoltre è importante l'attenzione all'italianità delle nostre aziende sotto attacco, come nel caso Mediaset, un segnale di difesa dei nostri valori che non registriamo nel Movimento 5 Stelle, forza antisistema priva di classe dirigente».
Quale prospettiva temporale dovrebbe avere il governo?
«Il presidente della Repubblica è stato chiarissimo: bisogna dare al Paese attraverso il Parlamento un sistema di regole omogeneo tra Camera e Senato frutto di un ampio dibattito che vada possibilmente oltre la maggioranza. Bisogna partire dall'orientamento della Corte Costituzionale che verrà reso noto a fine gennaio, in particolare sui capilista e su un premio di maggioranza abnorme che rischia di assegnare a una lista con il 30% il 54% dei seggi».
Da dove dovrebbe partire il dibattito parlamentare?
«Dal Senato dove sono rappresentate tutte le forze politiche in maniera più articolata. Questa proposta è la dimostrazione che Forza Italia non intende fare melina. Serve naturalmente una intesa tra i presidenti delle Camere».
Il Pd è in pressing per il ritorno al Mattarellum.
«Oggi anche osservatori neutrali certificano che non dà governabilità. Dice bene Berlusconi quando sostiene che in un sistema con tre blocchi omogenei è difficile individuare un sistema elettorale in grado di garantire con un premio di maggioranza non incostituzionale la stabilità del Paese. Per non dire che anche in un sistema bipolare sia nel '94 che nel 2006 il Mattarellum non era riuscito a garantire piena governabilità».
Quale premio di maggioranza e quale soglia per i partiti più piccoli?
«Non più di un eventuale premio di incoraggiamento per la coalizione vincente. La soglia dovrebbe essere almeno del 4 o del 5%».
Per il Pd il proporzionale significa Prima Repubblica ed esplosione del debito pubblico.
«È un falso allarme del tutto strumentale. A quei tempi non c'era Maastricht e i vincoli di bilancio stringenti di oggi».
Lei ritiene possibile votare a giugno?
«Significherebbe tenere il G7 di fine maggio in Italia con un Gentiloni dimissionario chiamato a confrontarsi con Trump, Theresa May e il neo-eletto presidente francese su temi importantissimi come il credito politico che l'Italia può vantare sull'immigrazione e la ricomposizione dei rapporti Usa-Russia di cui Berlusconi fu protagonista a Pratica di Mare. Un appuntamento in cui l'Italia può giocare grandi carte se nel pieno della sua autorevolezza e non certo in campagna elettorale. Sarebbe una grande sconfitta per il nostro Paese e tutto per assecondare la volontà di un singolo soggetto, ovvero Renzi».
Quali le condizioni per ritrovare l'unità del centrodestra?
«Io più che sui partiti mi concentrerei sulla base elettorale. In Sicilia - teoricamente il granaio di voti di Alfano - il No ha preso il 70% contro il 60% su base nazionale. Ciò significa che l'operazione di Alfano è di palazzo, Ncd ha mutato oggetto sociale e assunto una collocazione distorsiva che pagherà quando si confronterà con gli elettori».
Le regionali siciliane possono rappresentare una tappa importante?
«I sondaggi danno M5S come primo partito, ma anche un centrodestra in crescita e una Forza Italia che con Miccichè sta guadagnando consensi. Cresce anche Fdi e c'è una presenza della Lega non in chiave estremista. Insomma si può competere con i grillini, mentre il Pd paga lo scotto del referendum e dell'appoggio a Crocetta».
Lei crede in un'alleanza con la Lega?
«L'unità del centrodestra è stata sempre la nostra forza vincente. Occorrerà lavorare per trovare una sintesi su un programma al quale Berlusconi sta lavorando che parta dal tetto massimo alla pressione fiscale in Costituzione, dalla sicurezza e dal vincolo di mandato per gli eletti. A me sta a cuore che Fi rivendichi la centralità del proprio ruolo di forza moderata e responsabile».
"L'unità dei moderati sarà la nostra forza Ripartiamo dalla Sicilia"
Il senatore azzurro rivendica la centralità di Forza Italia. «Ma prima la legge elettorale»
Fabrizio De Feo - Sab, 31/12/2016 - 09:29
Roma
Senatore Renato Schifani, quale discontinuità rileva nel passaggio da Renzi a Gentiloni?
«Una discontinuità comunicativa, giudicheremo poi sui fatti.
Mi fa piacere che Gentiloni abbia un approccio non interventista sulle regole, dopo la stagione delle questioni di fiducia poste persino sulla legge elettorale. Inoltre è importante l'attenzione all'italianità delle nostre aziende sotto attacco, come nel caso Mediaset, un segnale di difesa dei nostri valori che non registriamo nel Movimento 5 Stelle, forza antisistema priva di classe dirigente».
Quale prospettiva temporale dovrebbe avere il governo?
«Il presidente della Repubblica è stato chiarissimo: bisogna dare al Paese attraverso il Parlamento un sistema di regole omogeneo tra Camera e Senato frutto di un ampio dibattito che vada possibilmente oltre la maggioranza. Bisogna partire dall'orientamento della Corte Costituzionale che verrà reso noto a fine gennaio, in particolare sui capilista e su un premio di maggioranza abnorme che rischia di assegnare a una lista con il 30% il 54% dei seggi».
Da dove dovrebbe partire il dibattito parlamentare?
«Dal Senato dove sono rappresentate tutte le forze politiche in maniera più articolata. Questa proposta è la dimostrazione che Forza Italia non intende fare melina. Serve naturalmente una intesa tra i presidenti delle Camere».
Il Pd è in pressing per il ritorno al Mattarellum.
«Oggi anche osservatori neutrali certificano che non dà governabilità. Dice bene Berlusconi quando sostiene che in un sistema con tre blocchi omogenei è difficile individuare un sistema elettorale in grado di garantire con un premio di maggioranza non incostituzionale la stabilità del Paese. Per non dire che anche in un sistema bipolare sia nel '94 che nel 2006 il Mattarellum non era riuscito a garantire piena governabilità».
Quale premio di maggioranza e quale soglia per i partiti più piccoli?
«Non più di un eventuale premio di incoraggiamento per la coalizione vincente. La soglia dovrebbe essere almeno del 4 o del 5%».
Per il Pd il proporzionale significa Prima Repubblica ed esplosione del debito pubblico.
«È un falso allarme del tutto strumentale. A quei tempi non c'era Maastricht e i vincoli di bilancio stringenti di oggi».
Lei ritiene possibile votare a giugno?
«Significherebbe tenere il G7 di fine maggio in Italia con un Gentiloni dimissionario chiamato a confrontarsi con Trump, Theresa May e il neo-eletto presidente francese su temi importantissimi come il credito politico che l'Italia può vantare sull'immigrazione e la ricomposizione dei rapporti Usa-Russia di cui Berlusconi fu protagonista a Pratica di Mare. Un appuntamento in cui l'Italia può giocare grandi carte se nel pieno della sua autorevolezza e non certo in campagna elettorale. Sarebbe una grande sconfitta per il nostro Paese e tutto per assecondare la volontà di un singolo soggetto, ovvero Renzi».
Quali le condizioni per ritrovare l'unità del centrodestra?
«Io più che sui partiti mi concentrerei sulla base elettorale. In Sicilia - teoricamente il granaio di voti di Alfano - il No ha preso il 70% contro il 60% su base nazionale. Ciò significa che l'operazione di Alfano è di palazzo, Ncd ha mutato oggetto sociale e assunto una collocazione distorsiva che pagherà quando si confronterà con gli elettori».
Le regionali siciliane possono rappresentare una tappa importante?
«I sondaggi danno M5S come primo partito, ma anche un centrodestra in crescita e una Forza Italia che con Miccichè sta guadagnando consensi. Cresce anche Fdi e c'è una presenza della Lega non in chiave estremista. Insomma si può competere con i grillini, mentre il Pd paga lo scotto del referendum e dell'appoggio a Crocetta».
Lei crede in un'alleanza con la Lega?
«L'unità del centrodestra è stata sempre la nostra forza vincente. Occorrerà lavorare per trovare una sintesi su un programma al quale Berlusconi sta lavorando che parta dal tetto massimo alla pressione fiscale in Costituzione, dalla sicurezza e dal vincolo di mandato per gli eletti. A me sta a cuore che Fi rivendichi la centralità del proprio ruolo di forza moderata e responsabile».
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Re: Come se ne viene fuori ?
LE ELITE, ALDILA' E ALDIQUA DELL'ATLANTICO SONO IN AGITAZIONE
Libre se era già occupata il 22 dicembre scorso:
LIBRE news
“Bufale sul web”, l’ultima guerra di Obama contro la verità
Scritto il 22/12/16 • nella Categoria: idee Condividi
Bavaglio ai social, per evitare la valanga “populista”.
Hanno speso anni a spiegarci che non esistono i fatti, solo le interpretazioni, senza oggettività?
Adesso, pare arrivato il contrordine: media e politici hanno scoperto che bisogna combattere contro la “post-verità”, ossia, secondo l’Oxford Dictionary, le “circostanze in cui le credenze contano più dei fatti oggettivi”.
«Il concetto di “post-verità” non è granché fresco, ma è stato riesumato in queste settimane e riverniciato per adattarlo a una crociata che è essenzialmente politica», sostiene Daniele Scalea.
La grande paura dell’élite? Semplice: la vittoria di Donald Trump.
«La tesi di fondo, al di là del ricorso a lessico ricercato e para-scientifico, è che il successo dei movimenti populisti in Occidente sia dovuto non a oggettivo malessere sociale o economico patito dai cittadini, bensì al loro essere turlupinati dalle bufale che girano in Internet».
Da qui la pression su Facebook e Google, «avviata da Barack Obama in persona e andata a buon fine» affinché i grandi social media intervenissero per frenare la diffusione di notizie incontrollate.
Alla base, c’è un’idea auto-assolutoria: l’establishment è «buono e giusto», gli elettori sono “depistati”.
Fino a ieri, scrive Scalea sul “Foglio”, si era soliti prendersela col basso livello d’istruzione e l’analfabetismo funzionale degli elettori.
Poi «ci si è accorti che, a furia di dare del cretino ignorante a qualcuno, non te lo fai amico e non lo convinci a votare a tuo favore».
Così, «le bordate dell’artiglieria mediatica hanno scelto un nuovo bersaglio: le bufale web».
Davvero Internet sta cambiando il panorama dell’informazione, portandoci da un passato fatto di notizie vere e accurate a un presente di bufale virali in cui non si distingue più il vero dal falso?
Lo studioso Mario Pireddu ritiene che quest’asserzione sulla post-verità sia, essa stessa, una post-verità, poiché non trova riscontro in nessun dato oggettivo: la maggior parte degli utenti di Internet utilizza fonti più differenziate rispetto a coloro che si informano con mezzi tradizionali (Tv, radio e giornali), e oggi il controllo incrociato sulle news è più facile, rapido e diffuso di un tempo.
Ma se le cose stanno così, si domanda Scalea, che cosa si nasconde dietro la crociata sulla post-verità cui stiamo assistendo?
«Probabilmente, un’assai tradizionale reazione censoria contro la montante critica rivolta all’establishment».
Il confine tra notizia falsa e notizia dubbia «è labile, come sempre più labile è il confine tra notizia e opinione», osserva Scalea: «Con la scusa delle “fake news” si potranno ben colpire le visioni eterodosse, lasciando per giunta il lavoro sporco a impersonali algoritmi sviluppati nella liberal Silicon Valley».
In effetti, «sarebbe come pretendere che un software ci dicesse se è più giusto votare per un candidato o per un altro».
L’esito, ovviamente, «non sarebbe quello suggerito dall’oggettività del computer, ma dalla soggettività dello sviluppatore», dal momento che «soggettiva, e non oggettiva, è la domanda posta».
I media? Non distinguono più tra i fatti e i semplici punti di vista: «Le opinioni, le valutazioni, sono raffrontate con l’opinione prevalente (o per meglio dire, mainstream) e in base alla loro aderenza con essa accreditate di verità o falsità intese in senso assolute».
Per Scalea, «il metodo non è molto lontano da quello dell’Inquisizione, ma almeno allora ci si fondava su un testo sacro e una tradizione apostolica, non certo su qualche blog di debunking».
In linea di principio, conclude Scalea, «promuovere la verità non è mai sbagliato».
Nella pratica, «dal momento che la verità è spesso inafferrabile, quest’intento si è sovente tramutato in disastro».
I bolscevichi, ad esempio, «hanno cercato di seguire le verità proposte dal “socialismo scientifico”, coi ben noti risultati».
La “Pravda”, che in russo si traduce in modo esplicito (“la verità”), era la loro voce ufficiale.
«Non si può realizzare un mondo in cui tutta l’informazione sia sempre verità, senza annichilire il libero discorso e affermare una falsa verità soggettiva e partigiana», conclude Scalea.
«Lo stolto che afferma che la Terra sia piatta è il prezzo che paghiamo affinché l’onesto possa indicarci che il “Re è nudo” – senza essere accusato perciò di propinare una bufala e censurato da Facebook e Google».
Libre se era già occupata il 22 dicembre scorso:
LIBRE news
“Bufale sul web”, l’ultima guerra di Obama contro la verità
Scritto il 22/12/16 • nella Categoria: idee Condividi
Bavaglio ai social, per evitare la valanga “populista”.
Hanno speso anni a spiegarci che non esistono i fatti, solo le interpretazioni, senza oggettività?
Adesso, pare arrivato il contrordine: media e politici hanno scoperto che bisogna combattere contro la “post-verità”, ossia, secondo l’Oxford Dictionary, le “circostanze in cui le credenze contano più dei fatti oggettivi”.
«Il concetto di “post-verità” non è granché fresco, ma è stato riesumato in queste settimane e riverniciato per adattarlo a una crociata che è essenzialmente politica», sostiene Daniele Scalea.
La grande paura dell’élite? Semplice: la vittoria di Donald Trump.
«La tesi di fondo, al di là del ricorso a lessico ricercato e para-scientifico, è che il successo dei movimenti populisti in Occidente sia dovuto non a oggettivo malessere sociale o economico patito dai cittadini, bensì al loro essere turlupinati dalle bufale che girano in Internet».
Da qui la pression su Facebook e Google, «avviata da Barack Obama in persona e andata a buon fine» affinché i grandi social media intervenissero per frenare la diffusione di notizie incontrollate.
Alla base, c’è un’idea auto-assolutoria: l’establishment è «buono e giusto», gli elettori sono “depistati”.
Fino a ieri, scrive Scalea sul “Foglio”, si era soliti prendersela col basso livello d’istruzione e l’analfabetismo funzionale degli elettori.
Poi «ci si è accorti che, a furia di dare del cretino ignorante a qualcuno, non te lo fai amico e non lo convinci a votare a tuo favore».
Così, «le bordate dell’artiglieria mediatica hanno scelto un nuovo bersaglio: le bufale web».
Davvero Internet sta cambiando il panorama dell’informazione, portandoci da un passato fatto di notizie vere e accurate a un presente di bufale virali in cui non si distingue più il vero dal falso?
Lo studioso Mario Pireddu ritiene che quest’asserzione sulla post-verità sia, essa stessa, una post-verità, poiché non trova riscontro in nessun dato oggettivo: la maggior parte degli utenti di Internet utilizza fonti più differenziate rispetto a coloro che si informano con mezzi tradizionali (Tv, radio e giornali), e oggi il controllo incrociato sulle news è più facile, rapido e diffuso di un tempo.
Ma se le cose stanno così, si domanda Scalea, che cosa si nasconde dietro la crociata sulla post-verità cui stiamo assistendo?
«Probabilmente, un’assai tradizionale reazione censoria contro la montante critica rivolta all’establishment».
Il confine tra notizia falsa e notizia dubbia «è labile, come sempre più labile è il confine tra notizia e opinione», osserva Scalea: «Con la scusa delle “fake news” si potranno ben colpire le visioni eterodosse, lasciando per giunta il lavoro sporco a impersonali algoritmi sviluppati nella liberal Silicon Valley».
In effetti, «sarebbe come pretendere che un software ci dicesse se è più giusto votare per un candidato o per un altro».
L’esito, ovviamente, «non sarebbe quello suggerito dall’oggettività del computer, ma dalla soggettività dello sviluppatore», dal momento che «soggettiva, e non oggettiva, è la domanda posta».
I media? Non distinguono più tra i fatti e i semplici punti di vista: «Le opinioni, le valutazioni, sono raffrontate con l’opinione prevalente (o per meglio dire, mainstream) e in base alla loro aderenza con essa accreditate di verità o falsità intese in senso assolute».
Per Scalea, «il metodo non è molto lontano da quello dell’Inquisizione, ma almeno allora ci si fondava su un testo sacro e una tradizione apostolica, non certo su qualche blog di debunking».
In linea di principio, conclude Scalea, «promuovere la verità non è mai sbagliato».
Nella pratica, «dal momento che la verità è spesso inafferrabile, quest’intento si è sovente tramutato in disastro».
I bolscevichi, ad esempio, «hanno cercato di seguire le verità proposte dal “socialismo scientifico”, coi ben noti risultati».
La “Pravda”, che in russo si traduce in modo esplicito (“la verità”), era la loro voce ufficiale.
«Non si può realizzare un mondo in cui tutta l’informazione sia sempre verità, senza annichilire il libero discorso e affermare una falsa verità soggettiva e partigiana», conclude Scalea.
«Lo stolto che afferma che la Terra sia piatta è il prezzo che paghiamo affinché l’onesto possa indicarci che il “Re è nudo” – senza essere accusato perciò di propinare una bufala e censurato da Facebook e Google».
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Re: Come se ne viene fuori ?
Analisi
Renzi, Grillo e Berlusconi: leader all'Anno Zero
Sotto botta. Aggrediti, dall'interno e dall'esterno. Assediati. Circondati. Nel quadro di una crisi di sistema paragonabile solo ad altri passaggi storici: il 1992-93, certamente, ma anche il 2011-2013
di Marco Damilano
30 dicembre 2016
4
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Anno Zero, alla fine è arrivato, più dirompente di quanto si potesse immaginare. Così avevamo titolato 1'11 settembre noi dell'Espresso , con lo strillo: «Cinque Stelle in crisi, Renzi in calo, centrodestra a pezzi. E la via d'uscita è un ritorno al futuro. Di nome Mattarella». In copertina il disegno di Makkox, l'evoluzione della specie: da Sergio Mattarella a Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, fino a tornare a Mattarella. Tre mesi dopo, consumata l'ordalia referendaria, il sistema politico italiano è in piena sindrome Woody Allen anticipata allora. Dio è morto, Marx ha fallito, Renzi, Grillo e Berlusconi pure. E anch'io non mi sento molto bene. Non c'è soltanto la tempesta perfetta: un paese senza governo, o con un governo dell'ordinaria amministrazione chiamato ad affrontare tempi straordinari - il collasso delle banche, il ritorno del terrorismo di matrice islamica, la ripresa della tensione internazionale nelle settimane della transizione americana- senza legge elettorale per la Camera e per il Senato, senza possibilità di tornare immediatamente al voto.
Un vuoto di potere in cui si sono infilati l'assalto di Vivendi contro Mediaset, l'agonia di Monte dei Paschi di Siena con lo Stato costretto a offrire garanzie per venti miliardi di euro, le inchieste di Roma sul braccio destro di Virginia Raggi Raffaele Marra e di Milano sull'inquilino di Palazzo Marino Beppe Sala. Come nel 1992-93, hanno aggiornato gli editoriali gli osservatori più pigri, al primo avviso di garanzia a Milano, al tintinnar di manette in Campidoglio, il ritorno in scena del partito dei giudici.
Dimenticando che anche un quarto di secolo fa (il 17 febbraio 2017 saranno venticinque anni esatti dall'arresto di Mario Chiesa da cui partì l'operazione Mani Pulite) l'azione delle procure fu anticipata dal crollo del sistema, la Repubblica dei partiti, l'aveva chiamata lo storico Pietro Scoppola nel 1991, e dalla rivolta dell'elettorato, in un referendum in apparenza insignificante, per la preferenza unica alla Camera dei deputati. Il remake del 1992-93 non sta nel protagonismo delle toghe, riguarda loro tre, i principali leader politici di questo quarto di secolo.
Venticinque anni fa Silvio Berlusconi era un imprenditore al vertice di un Impero televisivo ma terrorizzato («a volte mi capita di piangere sotto la doccia», confessa),con un'azienda stritolata dai debiti (quattromila miliardi di vecchie lire), trascinato ad affidarsi al manager esterno Franco Tatò «per mettere ordine», pronto a chiedere aiuto alla politica per salvarsi.
Venticinque anni fa Beppe Grillo era un comico estromesso dalla Rai per una battuta sui socialisti,candidato "al Quirinale dal settimanale satirico ""Cuore"" diretto da Mi¬" "chele Serra, girava i teatri con uno spettacolo in cui alzava un telefono e chiedeva al pubblico di gridare all'interlocutore la sua indignazione con un urlo: fanculo. «Il fanculamento dei" "politici è un mero pretesto per fanculare la gente. Perché è colpa nostra se siamo comandati da questa gente. E i partiti nuovi fanno ancora più schifo di quelli vecchi», spiegava, profetico.
Venticinque anni fa Matteo Renzi stava per finire il liceo, si allenava a esordire in televisione da concorrente alla "Ruota della fortuna" di Mike Bongiorno. In una situa¬zione drammatica, come ha ricordato all'ultima assemblea del Pd: «Sono cresciuto tra i premier indagati per mafia, anche se poi assolti, il lancio delle monetine contro i politici...». Si torna al punto di partenza. Berlusconi è di nuovo in modalità catenaccio, in difesa della sua azienda, si arrocca contro i francesi di Vivendi, aspetta di essere soccorso dalla politica. Grillo, il cui Movimento è candidato a tutto, e non per la provocazione surreale di un foglio intelligente e rim¬ pianto, assapora quanto siano se non schifosi almeno vi¬ schiosi i partiti nuovi, cioè il suo, più di quelli vecchi. E il Renzi sconfitto si muove nel Pd come il concorrente di un quiz show. Scruta la lavagna alla ricerca delle lettere giuste da inserire nella sua strategia. Gioca di nuovo, e come sem¬pre, il tutto per tutto, alla ruota della fortuna.
Tre leader sotto botta. Aggrediti, dall'interno e dall'ester¬no. Assediati. Circondati. Nel quadro di una crisi di sistema paragonabile solo ad altri passaggi storici: il 1992-93, certamente, ma anche il 2011-2013, quando il governo tecnico di Mario Monti rappresentò e fu vissuto come il capolinea della Seconda Repubblica fondata sul bipolari¬smo tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Con la differen¬za che in quei momenti l'alternativa sembrava a portata di mano. Nel 1992-93 il Pds di Achille Occhetto, il movimen¬to referendario di Mario Segni, il "partito che non c'è", come fuchiamato. Nel 2011-2013 il Pdnelle sue varie anime: la Ditta di Pier Luigi Bersani e il rottamatore della Leopolda Matteo Renzi. Previsioni destinate a essere smentite dal voto popolare. Invece della gioiosa macchina da guerra occhettiana, nel 1994 arrivò il Polo di centro-destra di Ber¬lusconi, con la Lega di Umberto Bossi e il Msi non ancora Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Invece dello Squa¬drone di Bersani, nel 2013 la valanga del Movimento 5 Stelle. E la carta Renzi, rimasta fuori gioco e buona per es¬sere giocata di fronte all'emergenza. In ogni caso c'erano le" "alternative, da pescare a sinistra, a destra, nell'indefinito campo dell'antipolitica. Mentre ora tutto appare consuma¬to. Il logoramento delle tre leadership più significative e votate degli ultimi venticinque anni, il triplice assedio che soffoca Renzi, Grillo e Berlusconi, trasforma la politica italiana in un labirinto senza vie d'uscita.
Il Movimento 5 stelle si capovolge nel partito vecchio stile: l'hotel Forum di Grillo come l'hotel Raphael di Craxi, le riunioni in streaming dimenticate che lasciano il posto ai vertici notturni e misteriosi. Il Movimento dei puri si scopre permeabile, scalabile, infiltrabile. Contaminato dal virus Marra e più ancora dalla indecifrabile Virginia Raggi: è lei, la sindaca di Roma ad apparire alle fazioni opposte il corpo estraneo che forse distruggerà M5S, di certo ha già silenziato chi gridava onestà. E Marra non è neppure il compagno G, non ha la dignità di un Primo Greganti, che nel 1993 fece ammainare la bandiera del Partito comunista «un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto», di cui scriveva Pier Paolo Pasolini, quel che voleva suggerire oggi il Movimento 5 Stelle: fine precoce del mito della diversità.
Silvio Berlusconi gioca sul doppio tavolo della resistenza. È stato per decenni il padrone assoluto della sua arena, la televisione commerciale o la politica, in grado di piegare maggioranze parlamentari, le istituzioni e le regole del mercato ai suoi interessi ad personam, oggi è il capo della ridotta di Arcore, scalato dall'amico di famiglia france¬se Vincent Bolloré. L'ultima metamorfosi dell'ex Cavaliere, la più amara: da monopolista a socio di minoranza. Un gioco nuovo, trattare su entrambi i tavoli, l'azienda e la politica, per non finire nell'irrilevanza.
L'ex Cavaliere chiede aiuto al governo Gentiloni, sceso in campo contro le azioni ostili di Vivendi, ostili cioè nemiche, e in cambio offre la sua disponibilità a entrare nel gioco della riforma elettorale, con una doppia opzione. Finire come spalla di Matteo Salvini, se dovesse tornare il Mattarellum con i collegi uninominali che obbligano tutti a stare insieme sotto lo stesso simbolo. O come partner non più protago¬nista di Matteo Renzi, in caso di legge elettorale propor¬ zionale. La prima è una scelta amara, la seconda non esaltante. Ma consente a Berlusconi di restare nel pacchet¬to di maggioranza, non più da numero uno ma da socio necessario. In attesa di riorganizzarsi, pescando magari dentro l'azienda: Paolo Del Debbio. Il terzo assediato, l'ex premier Renzi, oggi soltanto segretario del Pd, si muove tra le sabbie mobili del suo partito. Con il referendum del 4 dicembre si è chiuso il lungo ciclo della leadership solitaria, l'uomo al comando, il decisionismo al potere. Forse perché agli occhi di un pezzo di elettorato ha deciso ben poco, o ha deciso male.
Il Mattarellum, la legge elettorale approvata dal Parla¬mento e firmata dall'attuale Capo dello Stato che all'epo¬ca fu relatore della maggioranza, nel 1993 fu la via d'u¬scita con cui il sistema riscrisse le sue regole, dopo il trionfale referendum Segni con cui gli italiani avevano chiuso con la Prima Repubblica. Oggi appare l'ultima spiaggia, l'unico approdo possibile per salvare quel poco che resta del maggioritario prima di arrendersi al sistema proporzionale. Dopo un voto referendario ancora tutto da decifrare. In mezzo all'Anno Zero che può significare un nuovo inizio. Oppure il Caos primordiale.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
Renzi, Grillo e Berlusconi: leader all'Anno Zero
Sotto botta. Aggrediti, dall'interno e dall'esterno. Assediati. Circondati. Nel quadro di una crisi di sistema paragonabile solo ad altri passaggi storici: il 1992-93, certamente, ma anche il 2011-2013
di Marco Damilano
30 dicembre 2016
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Anno Zero, alla fine è arrivato, più dirompente di quanto si potesse immaginare. Così avevamo titolato 1'11 settembre noi dell'Espresso , con lo strillo: «Cinque Stelle in crisi, Renzi in calo, centrodestra a pezzi. E la via d'uscita è un ritorno al futuro. Di nome Mattarella». In copertina il disegno di Makkox, l'evoluzione della specie: da Sergio Mattarella a Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, fino a tornare a Mattarella. Tre mesi dopo, consumata l'ordalia referendaria, il sistema politico italiano è in piena sindrome Woody Allen anticipata allora. Dio è morto, Marx ha fallito, Renzi, Grillo e Berlusconi pure. E anch'io non mi sento molto bene. Non c'è soltanto la tempesta perfetta: un paese senza governo, o con un governo dell'ordinaria amministrazione chiamato ad affrontare tempi straordinari - il collasso delle banche, il ritorno del terrorismo di matrice islamica, la ripresa della tensione internazionale nelle settimane della transizione americana- senza legge elettorale per la Camera e per il Senato, senza possibilità di tornare immediatamente al voto.
Un vuoto di potere in cui si sono infilati l'assalto di Vivendi contro Mediaset, l'agonia di Monte dei Paschi di Siena con lo Stato costretto a offrire garanzie per venti miliardi di euro, le inchieste di Roma sul braccio destro di Virginia Raggi Raffaele Marra e di Milano sull'inquilino di Palazzo Marino Beppe Sala. Come nel 1992-93, hanno aggiornato gli editoriali gli osservatori più pigri, al primo avviso di garanzia a Milano, al tintinnar di manette in Campidoglio, il ritorno in scena del partito dei giudici.
Dimenticando che anche un quarto di secolo fa (il 17 febbraio 2017 saranno venticinque anni esatti dall'arresto di Mario Chiesa da cui partì l'operazione Mani Pulite) l'azione delle procure fu anticipata dal crollo del sistema, la Repubblica dei partiti, l'aveva chiamata lo storico Pietro Scoppola nel 1991, e dalla rivolta dell'elettorato, in un referendum in apparenza insignificante, per la preferenza unica alla Camera dei deputati. Il remake del 1992-93 non sta nel protagonismo delle toghe, riguarda loro tre, i principali leader politici di questo quarto di secolo.
Venticinque anni fa Silvio Berlusconi era un imprenditore al vertice di un Impero televisivo ma terrorizzato («a volte mi capita di piangere sotto la doccia», confessa),con un'azienda stritolata dai debiti (quattromila miliardi di vecchie lire), trascinato ad affidarsi al manager esterno Franco Tatò «per mettere ordine», pronto a chiedere aiuto alla politica per salvarsi.
Venticinque anni fa Beppe Grillo era un comico estromesso dalla Rai per una battuta sui socialisti,candidato "al Quirinale dal settimanale satirico ""Cuore"" diretto da Mi¬" "chele Serra, girava i teatri con uno spettacolo in cui alzava un telefono e chiedeva al pubblico di gridare all'interlocutore la sua indignazione con un urlo: fanculo. «Il fanculamento dei" "politici è un mero pretesto per fanculare la gente. Perché è colpa nostra se siamo comandati da questa gente. E i partiti nuovi fanno ancora più schifo di quelli vecchi», spiegava, profetico.
Venticinque anni fa Matteo Renzi stava per finire il liceo, si allenava a esordire in televisione da concorrente alla "Ruota della fortuna" di Mike Bongiorno. In una situa¬zione drammatica, come ha ricordato all'ultima assemblea del Pd: «Sono cresciuto tra i premier indagati per mafia, anche se poi assolti, il lancio delle monetine contro i politici...». Si torna al punto di partenza. Berlusconi è di nuovo in modalità catenaccio, in difesa della sua azienda, si arrocca contro i francesi di Vivendi, aspetta di essere soccorso dalla politica. Grillo, il cui Movimento è candidato a tutto, e non per la provocazione surreale di un foglio intelligente e rim¬ pianto, assapora quanto siano se non schifosi almeno vi¬ schiosi i partiti nuovi, cioè il suo, più di quelli vecchi. E il Renzi sconfitto si muove nel Pd come il concorrente di un quiz show. Scruta la lavagna alla ricerca delle lettere giuste da inserire nella sua strategia. Gioca di nuovo, e come sem¬pre, il tutto per tutto, alla ruota della fortuna.
Tre leader sotto botta. Aggrediti, dall'interno e dall'ester¬no. Assediati. Circondati. Nel quadro di una crisi di sistema paragonabile solo ad altri passaggi storici: il 1992-93, certamente, ma anche il 2011-2013, quando il governo tecnico di Mario Monti rappresentò e fu vissuto come il capolinea della Seconda Repubblica fondata sul bipolari¬smo tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Con la differen¬za che in quei momenti l'alternativa sembrava a portata di mano. Nel 1992-93 il Pds di Achille Occhetto, il movimen¬to referendario di Mario Segni, il "partito che non c'è", come fuchiamato. Nel 2011-2013 il Pdnelle sue varie anime: la Ditta di Pier Luigi Bersani e il rottamatore della Leopolda Matteo Renzi. Previsioni destinate a essere smentite dal voto popolare. Invece della gioiosa macchina da guerra occhettiana, nel 1994 arrivò il Polo di centro-destra di Ber¬lusconi, con la Lega di Umberto Bossi e il Msi non ancora Alleanza nazionale di Gianfranco Fini. Invece dello Squa¬drone di Bersani, nel 2013 la valanga del Movimento 5 Stelle. E la carta Renzi, rimasta fuori gioco e buona per es¬sere giocata di fronte all'emergenza. In ogni caso c'erano le" "alternative, da pescare a sinistra, a destra, nell'indefinito campo dell'antipolitica. Mentre ora tutto appare consuma¬to. Il logoramento delle tre leadership più significative e votate degli ultimi venticinque anni, il triplice assedio che soffoca Renzi, Grillo e Berlusconi, trasforma la politica italiana in un labirinto senza vie d'uscita.
Il Movimento 5 stelle si capovolge nel partito vecchio stile: l'hotel Forum di Grillo come l'hotel Raphael di Craxi, le riunioni in streaming dimenticate che lasciano il posto ai vertici notturni e misteriosi. Il Movimento dei puri si scopre permeabile, scalabile, infiltrabile. Contaminato dal virus Marra e più ancora dalla indecifrabile Virginia Raggi: è lei, la sindaca di Roma ad apparire alle fazioni opposte il corpo estraneo che forse distruggerà M5S, di certo ha già silenziato chi gridava onestà. E Marra non è neppure il compagno G, non ha la dignità di un Primo Greganti, che nel 1993 fece ammainare la bandiera del Partito comunista «un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto», di cui scriveva Pier Paolo Pasolini, quel che voleva suggerire oggi il Movimento 5 Stelle: fine precoce del mito della diversità.
Silvio Berlusconi gioca sul doppio tavolo della resistenza. È stato per decenni il padrone assoluto della sua arena, la televisione commerciale o la politica, in grado di piegare maggioranze parlamentari, le istituzioni e le regole del mercato ai suoi interessi ad personam, oggi è il capo della ridotta di Arcore, scalato dall'amico di famiglia france¬se Vincent Bolloré. L'ultima metamorfosi dell'ex Cavaliere, la più amara: da monopolista a socio di minoranza. Un gioco nuovo, trattare su entrambi i tavoli, l'azienda e la politica, per non finire nell'irrilevanza.
L'ex Cavaliere chiede aiuto al governo Gentiloni, sceso in campo contro le azioni ostili di Vivendi, ostili cioè nemiche, e in cambio offre la sua disponibilità a entrare nel gioco della riforma elettorale, con una doppia opzione. Finire come spalla di Matteo Salvini, se dovesse tornare il Mattarellum con i collegi uninominali che obbligano tutti a stare insieme sotto lo stesso simbolo. O come partner non più protago¬nista di Matteo Renzi, in caso di legge elettorale propor¬ zionale. La prima è una scelta amara, la seconda non esaltante. Ma consente a Berlusconi di restare nel pacchet¬to di maggioranza, non più da numero uno ma da socio necessario. In attesa di riorganizzarsi, pescando magari dentro l'azienda: Paolo Del Debbio. Il terzo assediato, l'ex premier Renzi, oggi soltanto segretario del Pd, si muove tra le sabbie mobili del suo partito. Con il referendum del 4 dicembre si è chiuso il lungo ciclo della leadership solitaria, l'uomo al comando, il decisionismo al potere. Forse perché agli occhi di un pezzo di elettorato ha deciso ben poco, o ha deciso male.
Il Mattarellum, la legge elettorale approvata dal Parla¬mento e firmata dall'attuale Capo dello Stato che all'epo¬ca fu relatore della maggioranza, nel 1993 fu la via d'u¬scita con cui il sistema riscrisse le sue regole, dopo il trionfale referendum Segni con cui gli italiani avevano chiuso con la Prima Repubblica. Oggi appare l'ultima spiaggia, l'unico approdo possibile per salvare quel poco che resta del maggioritario prima di arrendersi al sistema proporzionale. Dopo un voto referendario ancora tutto da decifrare. In mezzo all'Anno Zero che può significare un nuovo inizio. Oppure il Caos primordiale.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:LE ELITE, ALDILA' E ALDIQUA DELL'ATLANTICO SONO IN AGITAZIONE
Libre se era già occupata il 22 dicembre scorso:
LIBRE news
“Bufale sul web”, l’ultima guerra di Obama contro la verità
Scritto il 22/12/16 • nella Categoria: idee Condividi
Bavaglio ai social, per evitare la valanga “populista”.
Hanno speso anni a spiegarci che non esistono i fatti, solo le interpretazioni, senza oggettività?
Adesso, pare arrivato il contrordine: media e politici hanno scoperto che bisogna combattere contro la “post-verità”, ossia, secondo l’Oxford Dictionary, le “circostanze in cui le credenze contano più dei fatti oggettivi”.
«Il concetto di “post-verità” non è granché fresco, ma è stato riesumato in queste settimane e riverniciato per adattarlo a una crociata che è essenzialmente politica», sostiene Daniele Scalea.
La grande paura dell’élite? Semplice: la vittoria di Donald Trump.
«La tesi di fondo, al di là del ricorso a lessico ricercato e para-scientifico, è che il successo dei movimenti populisti in Occidente sia dovuto non a oggettivo malessere sociale o economico patito dai cittadini, bensì al loro essere turlupinati dalle bufale che girano in Internet».
Da qui la pression su Facebook e Google, «avviata da Barack Obama in persona e andata a buon fine» affinché i grandi social media intervenissero per frenare la diffusione di notizie incontrollate.
Alla base, c’è un’idea auto-assolutoria: l’establishment è «buono e giusto», gli elettori sono “depistati”.
Fino a ieri, scrive Scalea sul “Foglio”, si era soliti prendersela col basso livello d’istruzione e l’analfabetismo funzionale degli elettori.
Poi «ci si è accorti che, a furia di dare del cretino ignorante a qualcuno, non te lo fai amico e non lo convinci a votare a tuo favore».
Così, «le bordate dell’artiglieria mediatica hanno scelto un nuovo bersaglio: le bufale web».
Davvero Internet sta cambiando il panorama dell’informazione, portandoci da un passato fatto di notizie vere e accurate a un presente di bufale virali in cui non si distingue più il vero dal falso?
Lo studioso Mario Pireddu ritiene che quest’asserzione sulla post-verità sia, essa stessa, una post-verità, poiché non trova riscontro in nessun dato oggettivo: la maggior parte degli utenti di Internet utilizza fonti più differenziate rispetto a coloro che si informano con mezzi tradizionali (Tv, radio e giornali), e oggi il controllo incrociato sulle news è più facile, rapido e diffuso di un tempo.
Ma se le cose stanno così, si domanda Scalea, che cosa si nasconde dietro la crociata sulla post-verità cui stiamo assistendo?
«Probabilmente, un’assai tradizionale reazione censoria contro la montante critica rivolta all’establishment».
Il confine tra notizia falsa e notizia dubbia «è labile, come sempre più labile è il confine tra notizia e opinione», osserva Scalea: «Con la scusa delle “fake news” si potranno ben colpire le visioni eterodosse, lasciando per giunta il lavoro sporco a impersonali algoritmi sviluppati nella liberal Silicon Valley».
In effetti, «sarebbe come pretendere che un software ci dicesse se è più giusto votare per un candidato o per un altro».
L’esito, ovviamente, «non sarebbe quello suggerito dall’oggettività del computer, ma dalla soggettività dello sviluppatore», dal momento che «soggettiva, e non oggettiva, è la domanda posta».
I media? Non distinguono più tra i fatti e i semplici punti di vista: «Le opinioni, le valutazioni, sono raffrontate con l’opinione prevalente (o per meglio dire, mainstream) e in base alla loro aderenza con essa accreditate di verità o falsità intese in senso assolute».
Per Scalea, «il metodo non è molto lontano da quello dell’Inquisizione, ma almeno allora ci si fondava su un testo sacro e una tradizione apostolica, non certo su qualche blog di debunking».
In linea di principio, conclude Scalea, «promuovere la verità non è mai sbagliato».
Nella pratica, «dal momento che la verità è spesso inafferrabile, quest’intento si è sovente tramutato in disastro».
I bolscevichi, ad esempio, «hanno cercato di seguire le verità proposte dal “socialismo scientifico”, coi ben noti risultati».
La “Pravda”, che in russo si traduce in modo esplicito (“la verità”), era la loro voce ufficiale.
«Non si può realizzare un mondo in cui tutta l’informazione sia sempre verità, senza annichilire il libero discorso e affermare una falsa verità soggettiva e partigiana», conclude Scalea.
«Lo stolto che afferma che la Terra sia piatta è il prezzo che paghiamo affinché l’onesto possa indicarci che il “Re è nudo” – senza essere accusato perciò di propinare una bufala e censurato da Facebook e Google».
LA POST-VERITA' E' DIVENTATA DI MODA
Post-verità: contro le percezioni basate sull’emotività 5 suggerimenti
di FQ Londra | 2 gennaio 2017
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di Alice Pilia
Secondo l’Oxford Dictionary, la parola del 2016 è “post-truth”, ossia “post-verità”, un’espressione che denota circostanze o situazioni nelle quali l’opinione pubblica viene fortemente condizionata da fattori emotivi mentre l’oggettività dei fatti è messa in secondo piano. Il termine è diventato comune nel contesto del referendum sulla Brexit nel Regno Unito, delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e del referendum costituzionale del 4 dicembre in Italia. Il concetto di post-verità, è ormai inevitabilmente associato a un nuovo modo di intendere il dibattito politico.
La post-verità si nutre di fake news, ormai tanto prevalenti che perfino il Papa, dopo esserne stato vittima, le ha condannate con toni forti. E secondo molti analisti, siamo nell’era di post-truth politics: l’era in cui la verità, nel dibattito pubblico, è diventata un fattore irrilevante. Altri analisti vedono questa definizione come troppo allarmista: di certo, il fenomeno esiste ed è sotto gli occhi di chiunque usi abitualmente Internet.
Le implicazioni sono concrete perché politiche non basate su evidenza oggettiva non possono risolvere i problemi che stanno a cuore agli elettori. Pensiamoci: un medico che ignora i risultati degli esami può forse fare una diagnosi e prescrivere una cura? Il dibattito politico funziona, o dovrebbe funzionare allo stesso modo. Le proposte basate solo su istinti “di pancia” sono, nel migliore dei casi, un palliativo.
Eppure per molti italiani delusi dalla politica la tentazione è quella di sottovalutare le implicazioni di un dibattito che prescinde dai fatti. Questo significa che la nostra lettura del mondo è sempre più corrotta da affermazioni che non hanno alcuna base oggettiva. Questi atteggiamenti individuali diventano a livello collettivo opinione pubblica, e hanno un impatto sulle nostre scelte di voto e quindi sul nostro futuro.
Per illustrare come la nostra percezione del mondo sia spesso disconnessa dalla realtà, Ipsos Mori ha intervistato migliaia di persone in Italia e in altri 39 paesi. Secondo la ricerca Perils of Perception 2016 noi italiani siamo convinti che una persona su cinque sia musulmana, quando in realtà lo è soltanto una su 25. Chiara Ferrari – direttrice di Ipsos public affairs, sottolinea anche che “pensiamo, sbagliando grossolanamente, che entro il 2020 un terzo della popolazione italiana sarà musulmana, quando le proiezioni indicano che raggiungeremo a malapena il 5 per cento”.
Ferrari spiega che “gli psicologi parlano di analfabetismo numerico emotivo: una incapacità di ragionare attraverso numeri e fatti su ciò che tocca le nostre corde emotive, su ciò che consideriamo – a torto o a ragione – una minaccia”. Non è quindi un caso che gli errori più significativi degli italiani riguardino la stima della percentuale di musulmani in un periodo caratterizzato dalla crisi migratoria. Secondo Ferrari “causa ed effetto interagiscono in modo bidirezionale: le preoccupazioni informano l’errata percezione, e le percezioni errate generano ulteriore preoccupazione”. Per questo motivo i fatti non riescono a correggere le percezioni: “Se riportare il testo della norma per smontare il mito del Presidente del Consiglio mai eletto, non serve a far capire il funzionamento delle elezioni nel nostro Paese è perché non è importante la fonte, o il fatto, ma il livello di emotività con cui la notizia viene accolta”, conclude Ferrari.
Chi obietta che politici e media abbiano sempre mentito, sottovaluta la differenza sostanziale tra la faziosità nell’informazione e un contesto in cui è accettabile diffondere notizie inventate. Entrambi sono chiaramente deprecabili, ma nel primo caso un dibattito aperto garantisce che le affermazioni di parte possano essere smentite efficacemente con fatti o nuovi dati, o che la loro interpretazione possa essere criticata e rivista. In un contesto di post-verità, invece la confutazione non è efficace, perché i fatti stessi vengono visti come irrilevanti. L’informazione di parte ha come scopo quella di creare una struttura logica a supporto di una visione adulterata di mondo e società. Le notizie inventate, invece, screditano il concetto stesso di dato oggettivo, creando la suggestione che la distinzione tra fatto e bugia sia irrilevante. Se un’informazione si conforma a una sensazione che proviamo, la accettiamo come vera. Se poi viene smentita, tenderemo a non credere alla smentita, o peggio, a non credere più a nulla. La conseguenza è un sistema politico ancora più disfunzionale e quindi alienante per gli italiani.
Che fare dunque? Il dibattito si sta concentrando su come neutralizzare i creatori di bufale. Si ipotizzano sanzioni per le piattaforme che ne permettono la diffusione o filtri per identificarle. Il pericolo è che misure di questo tipo potrebbero trasformare la rete, e i social media in particolare, in sistemi chiusi e a rischio censura. Il fact-checking da solo non funziona perché cerca di riportare un dialogo emotivo su un piano fattuale, e spesso non fa breccia su chi legge la notizia falsa che però conferma una percezione già radicata.
Non restano che il buon vecchio spirito critico, la logica, i dati e la pazienza. E in attesa di una soluzione migliore, condivido cinque suggerimenti proposti su Facebook da un caro amico:
1) cerchiamo, leggiamo e postiamo articoli e dati verificati e di fonte riconosciuta
2) leggiamo sempre tutto l’articolo e vediamo i video fino alla fine prima di condividere
3) verifichiamo sempre la fonte prima di condividere
4) ascoltiamo tutti con empatia e invitiamo al dialogo vero
5) rispondiamo a tutti con cortesia ma segnaliamo sempre manipolazioni e falsità costruite ad arte
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Re: Come se ne viene fuori ?
LIBRE news
Nuova Tangentopoli, ci risiamo? Ma stavolta senza Piano-B
Scritto il 03/1/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».
Gli Usa, scrive Giannuli sul suo blog, conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fa ancora la maggiore potenza mondiale, militare e finanziaria, con peso preponderante negli organismi internazionali. Ma gli Stati Uniti «non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla crisi, e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump». D’altra parte, i Brics sono fortemente cresciuti: paesi emergenti come Messico, Indonesia e Corea si stanno affermando sul piano economico, India e Cina stanno diventando anche potenze militari, mentre la Russia lo sta ridiventando. Tuttavia «iniziano a risentire della crisi euro-americana», quindi «hanno perso lo slancio economico di otto anni fa», e ancora «non riescono a sovvertire la preponderanza americana». In altre parole, «gli Usa non hanno più la forza imperiale di vent’anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali». A loro volta, «i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale».
Per di più, continua Giannuli, «c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di Stato». E così «non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale» ma, di fatto, «nessun ordine mondiale vigente», mentre i vari “attori” si sfidano indirettamente in tante crisi locali sempre più numerose: Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano. Crisi che, «per ora, scaricano la tensione che si va accumulando», in una situazione di “stallo instabile”. A monte, s’è inceppato il motore dell’Occidente, «investito da una crisi finanziaria che è man mano divenuta economica, con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari e una conseguente caduta dei consumi». Il suo eccezionale prolungamento – di fatto, questa è l’unica crisi paragonabile alla Grande Depressione del 1929 – sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare la Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno).
Di fronte a questo andamento economico-finanziario, continua il politologo dell’ateneo milanese, le banche centrali e quelle di investimento «non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi». La sostanza è che «le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi», cioè «la strutturazione iper-finanziaria dei mercati, che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici». Dell’enorme massa di liquidità emessa, ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari: «Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione». Allo stesso modo, nessuno ha contestato «l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne», che premia «le grandi centrali finanziarie».
Globalizzazione finanziaria: «La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo Stato cui pagare le tasse». L’inevitabile risultato «è stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo e Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi». Non è strano che non ci siano stati ravvedimenti: «Rivedere le regole dell’ordinamento neoliberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche». D’altra parte, «la persistenza del sistema di potere neoliberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neoliberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogni possibilità ai autocorrezione». E questo, conclude Giannuli, è il principale motivo dell’ondata neoliberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. «La crisi continua a mordere, e non c’è una ipotesi riformista». Risultato: «L’elettorato vota partiti neo-populisti, prevalentemente di destra», protestando contro l’immigrazione di massa e contro un ordinamento che, «minando il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia».
Il fenomeno dell’immigrazione? «Un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni Trenta», con l’aggravante che, oggi, «la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura». La sinistra non-liberista? Non pervenuta: sulla questione migranti, la sinistra europea – dalla Linke a “Podemos” – non va oltre «un genericissimo internazionalismo venato di buonismo», senza riuscire a prospettare «una concreta politica di accoglienza e integrazione». Silenzio anche su globalizzazione, Ue e euro: la sinistra «teme ogni presa di distanza», leggendola come «un ritorno al nazionalismo, di cui diffida». Il risultato è «una sostanziale paralisi, che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo euro” che nei fatti non può esistere». Così la piccola trincea della sinista diventa «irrilevante, nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment». Per troppo tempo questa sinistra «ha smesso di studiare», di capire la crisi. E ora subisce anch’essa «una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno», creando «una condizione favorevole al crollo del sistema politico italiano ancora più spiccata che nel 1992-93».
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Nuova Tangentopoli, ci risiamo? Ma stavolta senza Piano-B
Scritto il 03/1/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet
Vincenzo De Luca indagato per voto di scambio, Beppe Sala per l’Expo, la romana Paola Muraro per reati ambientali, Raffaele Marra per corruzione, Luca Lotti per rivelazione di segreto d’ufficio. Sotto tiro un po’ tutti, da Renzi alla Raggi. «In meno di una settimana piovono avvisi di garanzia, arresti, interrogatori fiume: sembrano tornati i tempi di Mani Pulite», scrive Aldo Giannuli, che osserva: si tratta di casi non esattamente “freschi”, lasciati dormire per mesi e fatti esplodere solo dopo il referendum: «E’ come se il 4 dicembre sia scattato il via libera», così adesso «piovono sberle», con alcuni giornali che lasciano capire che «dopo Lotti seguirebbe il padre di Renzi, poi Renzi stesso». In attesa che emergano elementi certi, aggiunge Giannuli, «non possiamo non notare questa nuova somiglianza con il 1992-93: allora fu una ondata di inchieste giudiziarie che precedette un referendum chiave», quello sulla legge elettorale maggioritaria. «Ora sembra il contrario: un referendum che apre la strada ad una valanga giudiziaria». E se all’inizio degli anni ‘90 lo tsunami di Tangentopoli aiutò ad affermarsi «un nuovo ordine mondiale monopolare, in piena espansione finanziaria e con classi dirigenti che godevano di un sufficiente (se non ampio) consenso popolare», oggi è l’esatto contrario: «L’ordine mondiale monopolare è franato, ma non è stato sostituito da un diverso ordine mondiale multipolare».
Gli Usa, scrive Giannuli sul suo blog, conservano ancora consistenti residui dell’ordine monopolare: il controllo della moneta di riferimento internazionale, una supremazia militare scossa dalle sconfitte mediorientali ma che ne fa ancora la maggiore potenza mondiale, militare e finanziaria, con peso preponderante negli organismi internazionali. Ma gli Stati Uniti «non hanno più la forza di imporre unilateralmente le decisioni della comunità internazionale, non riescono ad avere un colpo d’ala che li trascini fuori dalla crisi, e questo determina un malessere interno che si è espresso nell’elezione di Trump». D’altra parte, i Brics sono fortemente cresciuti: paesi emergenti come Messico, Indonesia e Corea si stanno affermando sul piano economico, India e Cina stanno diventando anche potenze militari, mentre la Russia lo sta ridiventando. Tuttavia «iniziano a risentire della crisi euro-americana», quindi «hanno perso lo slancio economico di otto anni fa», e ancora «non riescono a sovvertire la preponderanza americana». In altre parole, «gli Usa non hanno più la forza imperiale di vent’anni fa, ma hanno la forza per impedire che si affermi un equilibrio multipolare basato su grandi potenze regionali». A loro volta, «i Brics hanno la forza per impedire l’ordine monopolare, ma non quella per ricacciare gli Usa entro la rispettiva area regionale».
Per di più, continua Giannuli, «c’è una profonda asimmetria fra i paesi occidentali, a regime liberaldemocratico e ad economia liberista, nei quali la finanza ha un forte potere condizionante, ed i paesi emergenti, in particolare Russia e Cina, dove il potere politico ha assai meno condizionamenti ed in cui sussistono molti elementi di capitalismo di Stato». E così «non abbiamo due ipotesi di ordine mondiale» ma, di fatto, «nessun ordine mondiale vigente», mentre i vari “attori” si sfidano indirettamente in tante crisi locali sempre più numerose: Ucraina, Siria, Iran, Oceano Pacifico, Oceano Indiano. Crisi che, «per ora, scaricano la tensione che si va accumulando», in una situazione di “stallo instabile”. A monte, s’è inceppato il motore dell’Occidente, «investito da una crisi finanziaria che è man mano divenuta economica, con i tassi occupazionali più bassi dell’ultimo trentennio, una massiccia erosione dei salari e una conseguente caduta dei consumi». Il suo eccezionale prolungamento – di fatto, questa è l’unica crisi paragonabile alla Grande Depressione del 1929 – sta ora ripercuotendosi sui paesi fornitori di materie prime (Brasile in primo luogo, ma anche Russia ) e sui paesi in cui era stata delocalizzata la manifattura (in particolare la Cina, che resiste in parte grazie alla tenuta del mercato interno).
Di fronte a questo andamento economico-finanziario, continua il politologo dell’ateneo milanese, le banche centrali e quelle di investimento «non hanno trovato altro rimedio che continue ondate di liquidità che hanno avuto soprattutto l’effetto di ingigantire il debito grazie al meccanismo degli interessi». La sostanza è che «le classi dirigenti rifiutano di prendere atto dell’origine della crisi», cioè «la strutturazione iper-finanziaria dei mercati, che ha trovato sfogo prima nel crollo dei mutui sub-prime e dopo nello scoppio delle successive bolle delle materie prime e nel gonfiamento dei debiti pubblici». Dell’enorme massa di liquidità emessa, ben poco è andato all’economia reale (forse neppure il 10%) mentre il resto ha trovato re-impieghi finanziari: «Si è affermato un modello di “produzione di denaro a mezzo denaro” saltando il passaggio della merce che nessuno ha messo o mette in discussione». Allo stesso modo, nessuno ha contestato «l’assurdo ordinamento tributario punitivo nei confronti dei ceti medi e delle classi subalterne», che premia «le grandi centrali finanziarie».
Globalizzazione finanziaria: «La mobilità incontrollata dei capitali ha di fatto concesso al grande capitale privato di scegliersi lo Stato cui pagare le tasse». L’inevitabile risultato «è stata una fortissima pressione fiscale dei paesi più indebitati (come Grecia, Portogallo e Italia) che sta soffocando ogni possibilità di ripresa di quei paesi». Non è strano che non ci siano stati ravvedimenti: «Rivedere le regole dell’ordinamento neoliberista implicherebbe una secca perdita di potere delle classi capitalistiche». D’altra parte, «la persistenza del sistema di potere neoliberista è anche prodotta dalla assenza di una opposizione interna al sistema politico: la completa omologazione delle socialdemocrazie al neoliberismo, di cui, ormai, sono solo una piccola variante, ha privato il sistema di ogni possibilità ai autocorrezione». E questo, conclude Giannuli, è il principale motivo dell’ondata neoliberista che si è scatenata tanto in Europa, quanto negli Usa. «La crisi continua a mordere, e non c’è una ipotesi riformista». Risultato: «L’elettorato vota partiti neo-populisti, prevalentemente di destra», protestando contro l’immigrazione di massa e contro un ordinamento che, «minando il principio di sovranità nazionale, svuota di significato il principio della sovranità popolare e, di conseguenza, la democrazia».
Il fenomeno dell’immigrazione? «Un comodo nemico su cui scaricare la colpa di tutto, un po’ come con gli ebrei nella crisi degli anni Trenta», con l’aggravante che, oggi, «la coincidenza con il terrorismo jihadista fornisce alimento all’industria della paura». La sinistra non-liberista? Non pervenuta: sulla questione migranti, la sinistra europea – dalla Linke a “Podemos” – non va oltre «un genericissimo internazionalismo venato di buonismo», senza riuscire a prospettare «una concreta politica di accoglienza e integrazione». Silenzio anche su globalizzazione, Ue e euro: la sinistra «teme ogni presa di distanza», leggendola come «un ritorno al nazionalismo, di cui diffida». Il risultato è «una sostanziale paralisi, che rende irrilevante la sinistra che non vuole i tecnocrati di Bruxelles e le politiche di austerità, ma difende l’euro (come se le due cose fossero estranee l’una all’altra), e si accontenta di favoleggiare su “un nuovo euro” che nei fatti non può esistere». Così la piccola trincea della sinista diventa «irrilevante, nello scontro fra l’ondata populista e l’establishment». Per troppo tempo questa sinistra «ha smesso di studiare», di capire la crisi. E ora subisce anch’essa «una ondata di protesta che delegittima le classi dirigenti dall’interno», creando «una condizione favorevole al crollo del sistema politico italiano ancora più spiccata che nel 1992-93».
Di solito LIBRE pubblica in fondo ad ogni articolo, un breve elenco di articoli collegati.
Questa volta l'elenco è:
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•La giudice: questo regime fascista chiamato neoliberismo
•La fine del mondo per il Pd, l'Italia in crisi a sua insaputa
•Massoni terroristi, quella dell'élite è una religione segreta
•Hayek, il profeta dell'élite che ha rottamato la democrazia
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Re: Come se ne viene fuori ?
ACQUE AGITATE IN CASA M5S
Titola il Corriere della Sera:
«Chi è indagato può non dimettersi» La virata di Grillo agita il Movimento Il codice etico oggi ai voti: la scelta delle sanzioni resta comunque al leader e ai probiviri
Dal Fatto Quotidiano
M5s, sul blog il codice per le vicende giudiziarie: “L’avviso di garanzia non implica gravità”
Politica
Il regolamento, annunciato dal leader del Movimento già a settembre durante Italia 5 Stelle, sarà sottoposto da domani al voto degli iscritti per essere ratificato. Disciplinato l'obbligo di comunicare eventuali indagini, ma la sanzione scatta automaticamente in caso di condanna di primo grado, patteggiamento o prescrizione. Esclusi i reati di opinione per i quali varrà la discrezionalità del garante e del collegio dei probiviri
di F. Q. | 2 gennaio 2017
commenti (2491)
4,3 mila
Più informazioni su: Beppe Grillo, Movimento 5 Stelle
L’avviso di garanzia e quello di conclusione delle indagini non certificano automaticamente una condotta da sanzionare. Un principio noto quello della presunzione d’innocenza , ma che suona quasi come una novità assoluta se a metterlo nero su bianco è il Movimento 5 Stelle. Sul blog di Beppe Grillo, infatti, è comparso il nuovo codice di comportamento del M5s in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie. Un regolamento annunciato dal leader del Movimento già a settembre durante Italia 5 Stelle, la festa nazionale dei grillini a Palermo, che adesso viene sottoposto al voto degli iscritti per essere ratificato. Ad avere diritto di voto sul blog, a partire dalle ore 10 del 3 gennaio, sono gli utenti che si sono sono iscritti entro l’1 luglio del 2016.
“Sanzione automatica con condanna in primo grado” –
Il codice è articolato in sei punti divisi per argomento che disciplinano il comportamento da tenere dagli eletti dal M5s coinvolti in inchieste della magistratura. L’arrivo di avvisi di garanzia deve essere obbligatoriamente comunicato ai vertici del Movimento, ma le valutazioni su eventuali sanzioni da adottare è affidata alla discrezionalità del garante del Movimento, cioè lo stesso Grillo, e al collegio dei probiviri, composto dalla senatrice Nunzia Catalfo e dai deputati Carlo Fraccaro e Paola Carinelli. La sanzione scatta in maniera automatica per le condanne in primo grado, per i patteggiamenti e nei casi estinzione del reato per prescrizione dopo il rinvio a giudizio. Saranno valutate caso per caso, invece, le condanne per reati di opinione.
“Valutazioni su sanzioni affidate alla discrezionalità di Grillo e dei probiviri” –
Dopo aver descritto i principi degli eletti del M5s, il codice dedica il secondo articolo ai poteri del garante e dei probiviri, che “quando hanno notizia dell’esistenza di un procedimento penale che coinvolge un portavoce, compiono le loro valutazioni in totale autonomia, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del MoVimento 5 Stelle, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura”. Importante il passaggio che disciplina come il comportamento tenuto dagli eletti possa “essere considerato grave dal garante o dal collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al comitato d’appello, anche durante la fase di indagine, quando emergono elementi idonei ad accertare una condotta che, a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, sia già lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del MoVimento 5 Stelle”. Un punto che rende di fatto autonoma e indipendente “la condotta sanzionabile” rispetto ai “fatti oggetto dell’indagine“. Un esempio in questo senso è rappresentato dal caso dei deputati Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, coinvolti nell’indagine sulle firme false alle amministrative di Palermo del 2012 e sospesi de imperio dopo essersi rifiutati di rispondere alle domande dei pm. “Sono stati segnalati inoltre come comportamenti non conformi ai principi del MoVimento l’avvalersi della facoltà di non rispondere di fronte ai pm e il rifiuto di procurare un saggio grafico (come appreso dalle agenzie di stampa)”, scrivevano i probiviri motivando al sospensione dei tre parlamentari.
“Autospensione non è ammissione di colpa”-
E proprio di autosospensione si occupa il terzo punto del regolamento. “In qualsiasi fase del procedimento penale – continua il codice – il portavoce può decidere, a tutela dell’immagine del MoVimento 5 Stelle, di auto-sospendersi dal MoVimento 5 Stelle senza che ciò implichi di per sé alcuna ammissione di colpa o di responsabilità. L’autosospensione non vincola né condiziona né preclude il potere del garante, del collegio dei probiviri e del comitato d’appello di adottare eventuali sanzioni disciplinari. Tuttavia, l’autosospensione può essere valutata quale comportamento suscettibile di attenuare la responsabilità disciplinare“. Nelle ultime settimane del 2016 si sono autosospesi dal Movimento Marco Piazza, vicepresidente del consiglio comunale di Bologna, Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, consiglieri regionali in Sicilia: il primo è coinvolto nell’indagine sulle firme false per le regionali emiliane 2014, gli altri due hanno invece collaborato con i magistrati che indagano sulle sottoscrizioni copiate alle amministrative palermitane del 2012.
“Avviso di garanzia non è automaticamente grave”-
È sicuramente fondamentale, invece, il quarto articolo del codice che disciplina la presunzione di gravità. Anche in questo caso a “valutare la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale” saranno il garante, i probiviri e il comitato d’appello. È però considerata “grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo“. In questo senso il codice equipara alla sentenza di condanna “la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio“. Alla discrezione di Grillo e dei probiviri è invece affidata la valutazione in caso di “pronunzie di dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione”. Il regolamento sottolinea quindi che “la ricezione, da parte del portavoce, di informazioni di garanzia o di un avviso di conclusione delle indagini non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce stesso”. Un passaggio a parte è dedicato ai cosiddetti reati d’opinione, individuati in ipotesi di reato “concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni” : anche in questo caso saranno il garante e i probiviri a dover valutare caso per caso.
“Sindaci e governatori faranno rispettare regole agli assessori”-
Nero su bianco viene messo anche l’obbligo per gli eletti di “informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato nonché di qualsiasi sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparato”. Un particolare questo che in passato era costato la sospensione a Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma che ha poi definitivamente abbandonato il Movimento. L’ultimo articolo, invece, è dedicato ai sindaci e ai presidenti di regione eletti nelle liste del M5s, che sono “tenuto a far rispettare il presente codice etico ai componenti delle proprie giunte, anche se gli assessori non risultano iscritti o eletti nel MoVimento 5 Stelle”.
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«Chi è indagato può non dimettersi» La virata di Grillo agita il Movimento Il codice etico oggi ai voti: la scelta delle sanzioni resta comunque al leader e ai probiviri
Dal Fatto Quotidiano
M5s, sul blog il codice per le vicende giudiziarie: “L’avviso di garanzia non implica gravità”
Politica
Il regolamento, annunciato dal leader del Movimento già a settembre durante Italia 5 Stelle, sarà sottoposto da domani al voto degli iscritti per essere ratificato. Disciplinato l'obbligo di comunicare eventuali indagini, ma la sanzione scatta automaticamente in caso di condanna di primo grado, patteggiamento o prescrizione. Esclusi i reati di opinione per i quali varrà la discrezionalità del garante e del collegio dei probiviri
di F. Q. | 2 gennaio 2017
commenti (2491)
4,3 mila
Più informazioni su: Beppe Grillo, Movimento 5 Stelle
L’avviso di garanzia e quello di conclusione delle indagini non certificano automaticamente una condotta da sanzionare. Un principio noto quello della presunzione d’innocenza , ma che suona quasi come una novità assoluta se a metterlo nero su bianco è il Movimento 5 Stelle. Sul blog di Beppe Grillo, infatti, è comparso il nuovo codice di comportamento del M5s in caso di coinvolgimento in vicende giudiziarie. Un regolamento annunciato dal leader del Movimento già a settembre durante Italia 5 Stelle, la festa nazionale dei grillini a Palermo, che adesso viene sottoposto al voto degli iscritti per essere ratificato. Ad avere diritto di voto sul blog, a partire dalle ore 10 del 3 gennaio, sono gli utenti che si sono sono iscritti entro l’1 luglio del 2016.
“Sanzione automatica con condanna in primo grado” –
Il codice è articolato in sei punti divisi per argomento che disciplinano il comportamento da tenere dagli eletti dal M5s coinvolti in inchieste della magistratura. L’arrivo di avvisi di garanzia deve essere obbligatoriamente comunicato ai vertici del Movimento, ma le valutazioni su eventuali sanzioni da adottare è affidata alla discrezionalità del garante del Movimento, cioè lo stesso Grillo, e al collegio dei probiviri, composto dalla senatrice Nunzia Catalfo e dai deputati Carlo Fraccaro e Paola Carinelli. La sanzione scatta in maniera automatica per le condanne in primo grado, per i patteggiamenti e nei casi estinzione del reato per prescrizione dopo il rinvio a giudizio. Saranno valutate caso per caso, invece, le condanne per reati di opinione.
“Valutazioni su sanzioni affidate alla discrezionalità di Grillo e dei probiviri” –
Dopo aver descritto i principi degli eletti del M5s, il codice dedica il secondo articolo ai poteri del garante e dei probiviri, che “quando hanno notizia dell’esistenza di un procedimento penale che coinvolge un portavoce, compiono le loro valutazioni in totale autonomia, in virtù e nell’ambito delle funzioni attribuite dal Regolamento del MoVimento 5 Stelle, nel pieno rispetto del lavoro della magistratura”. Importante il passaggio che disciplina come il comportamento tenuto dagli eletti possa “essere considerato grave dal garante o dal collegio dei probiviri con possibile ricorso del sanzionato al comitato d’appello, anche durante la fase di indagine, quando emergono elementi idonei ad accertare una condotta che, a prescindere dall’esito e dagli sviluppi del procedimento penale, sia già lesiva dei valori, dei principi o dell’immagine del MoVimento 5 Stelle”. Un punto che rende di fatto autonoma e indipendente “la condotta sanzionabile” rispetto ai “fatti oggetto dell’indagine“. Un esempio in questo senso è rappresentato dal caso dei deputati Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino, coinvolti nell’indagine sulle firme false alle amministrative di Palermo del 2012 e sospesi de imperio dopo essersi rifiutati di rispondere alle domande dei pm. “Sono stati segnalati inoltre come comportamenti non conformi ai principi del MoVimento l’avvalersi della facoltà di non rispondere di fronte ai pm e il rifiuto di procurare un saggio grafico (come appreso dalle agenzie di stampa)”, scrivevano i probiviri motivando al sospensione dei tre parlamentari.
“Autospensione non è ammissione di colpa”-
E proprio di autosospensione si occupa il terzo punto del regolamento. “In qualsiasi fase del procedimento penale – continua il codice – il portavoce può decidere, a tutela dell’immagine del MoVimento 5 Stelle, di auto-sospendersi dal MoVimento 5 Stelle senza che ciò implichi di per sé alcuna ammissione di colpa o di responsabilità. L’autosospensione non vincola né condiziona né preclude il potere del garante, del collegio dei probiviri e del comitato d’appello di adottare eventuali sanzioni disciplinari. Tuttavia, l’autosospensione può essere valutata quale comportamento suscettibile di attenuare la responsabilità disciplinare“. Nelle ultime settimane del 2016 si sono autosospesi dal Movimento Marco Piazza, vicepresidente del consiglio comunale di Bologna, Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio, consiglieri regionali in Sicilia: il primo è coinvolto nell’indagine sulle firme false per le regionali emiliane 2014, gli altri due hanno invece collaborato con i magistrati che indagano sulle sottoscrizioni copiate alle amministrative palermitane del 2012.
“Avviso di garanzia non è automaticamente grave”-
È sicuramente fondamentale, invece, il quarto articolo del codice che disciplina la presunzione di gravità. Anche in questo caso a “valutare la gravità dei comportamenti tenuti dai portavoce, a prescindere dall’esistenza di un procedimento penale” saranno il garante, i probiviri e il comitato d’appello. È però considerata “grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo“. In questo senso il codice equipara alla sentenza di condanna “la sentenza di patteggiamento, il decreto penale di condanna divenuto irrevocabile e l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta dopo il rinvio a giudizio“. Alla discrezione di Grillo e dei probiviri è invece affidata la valutazione in caso di “pronunzie di dichiarazione di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova, di sentenze di proscioglimento per speciale tenuità del fatto, di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione”. Il regolamento sottolinea quindi che “la ricezione, da parte del portavoce, di informazioni di garanzia o di un avviso di conclusione delle indagini non comporta alcuna automatica valutazione di gravità dei comportamenti potenzialmente tenuti dal portavoce stesso”. Un passaggio a parte è dedicato ai cosiddetti reati d’opinione, individuati in ipotesi di reato “concernenti l’espressione del proprio pensiero e delle proprie opinioni” : anche in questo caso saranno il garante e i probiviri a dover valutare caso per caso.
“Sindaci e governatori faranno rispettare regole agli assessori”-
Nero su bianco viene messo anche l’obbligo per gli eletti di “informare immediatamente e senza indugio il gestore del sito dell’esistenza di procedimenti penali in corso nei quali assumono la qualità di indagato o imputato nonché di qualsiasi sentenza di condanna o provvedimento ad essa equiparato”. Un particolare questo che in passato era costato la sospensione a Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma che ha poi definitivamente abbandonato il Movimento. L’ultimo articolo, invece, è dedicato ai sindaci e ai presidenti di regione eletti nelle liste del M5s, che sono “tenuto a far rispettare il presente codice etico ai componenti delle proprie giunte, anche se gli assessori non risultano iscritti o eletti nel MoVimento 5 Stelle”.
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Re: Come se ne viene fuori ?
ANNO ZERO-MA DI CHE COSA?
Anno zero è il titolo dell’Espresso dell’articolo di Marco Damilano del 30 dicembre 2016, riferito a chi guida i fantasmi dei partiti italiani, Renzi, Grillo e Berlusconi, presente in questo 3D, in qualche post che precede questo.
PD e FI sono due partiti completamente finiti senza più nulla da dare. Il terzo, nato raccogliendo gli scontenti dei primi due, e non solo, viene strozzato nella culla dal suo profeta, che sta dimostrando ampiamente i suoi limiti politici.
Fare la propaganda “contro” è sempre stato il suo forte, la sua risorsa.
Già dai tempi in cui calcava le scene e faceva della facile ironia sui socialisti craxiani.
Ma fare politica, nel senso di costruire, è tutta un’altra cosa.
E’ facile fare propaganda acquisendo consensi, al grido di “onestà, onestà”, quando si è all’opposizione e non ci si è mai messi alla prova.
Essere immersi in un pozzo nero e pensare di uscirne intonsi, è al limite della ragionevolezza.
Ed alla prima prova importante come il governo di Roma i 5S, sono stati costretti ad affrontare la dura realtà della politica italiana.
Non che fondamentalmente non credano alla necessità di dover essere onesti in politica, ma la realtà è un’altra, e se Grillo fosse stato veramente un politico avrebbe dovuto prevedere che sarebbe finita in questo modo.
Invece va avanti a tentoni rimediando come può quando ai problemi gli si parano di fronte.
Questi sono tempi straordinari e quindi non si può procedere come nel passato.
Tutto sta crollando e bisogna sapersi muovere sotto le macerie.
E se si è veramente politici di razza, prevedere come si scansa la caduta delle macerie, come si sgomberano le macerie, e come si fa ripartitore il Paese.
CONTINUA
Anno zero è il titolo dell’Espresso dell’articolo di Marco Damilano del 30 dicembre 2016, riferito a chi guida i fantasmi dei partiti italiani, Renzi, Grillo e Berlusconi, presente in questo 3D, in qualche post che precede questo.
PD e FI sono due partiti completamente finiti senza più nulla da dare. Il terzo, nato raccogliendo gli scontenti dei primi due, e non solo, viene strozzato nella culla dal suo profeta, che sta dimostrando ampiamente i suoi limiti politici.
Fare la propaganda “contro” è sempre stato il suo forte, la sua risorsa.
Già dai tempi in cui calcava le scene e faceva della facile ironia sui socialisti craxiani.
Ma fare politica, nel senso di costruire, è tutta un’altra cosa.
E’ facile fare propaganda acquisendo consensi, al grido di “onestà, onestà”, quando si è all’opposizione e non ci si è mai messi alla prova.
Essere immersi in un pozzo nero e pensare di uscirne intonsi, è al limite della ragionevolezza.
Ed alla prima prova importante come il governo di Roma i 5S, sono stati costretti ad affrontare la dura realtà della politica italiana.
Non che fondamentalmente non credano alla necessità di dover essere onesti in politica, ma la realtà è un’altra, e se Grillo fosse stato veramente un politico avrebbe dovuto prevedere che sarebbe finita in questo modo.
Invece va avanti a tentoni rimediando come può quando ai problemi gli si parano di fronte.
Questi sono tempi straordinari e quindi non si può procedere come nel passato.
Tutto sta crollando e bisogna sapersi muovere sotto le macerie.
E se si è veramente politici di razza, prevedere come si scansa la caduta delle macerie, come si sgomberano le macerie, e come si fa ripartitore il Paese.
CONTINUA
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:ANNO ZERO-MA DI CHE COSA?
Anno zero è il titolo dell’Espresso dell’articolo di Marco Damilano del 30 dicembre 2016, riferito a chi guida i fantasmi dei partiti italiani, Renzi, Grillo e Berlusconi, presente in questo 3D, in qualche post che precede questo.
PD e FI sono due partiti completamente finiti senza più nulla da dare. Il terzo, nato raccogliendo gli scontenti dei primi due, e non solo, viene strozzato nella culla dal suo profeta, che sta dimostrando ampiamente i suoi limiti politici.
Fare la propaganda “contro” è sempre stato il suo forte, la sua risorsa.
Già dai tempi in cui calcava le scene e faceva della facile ironia sui socialisti craxiani.
Ma fare politica, nel senso di costruire, è tutta un’altra cosa.
E’ facile fare propaganda acquisendo consensi, al grido di “onestà, onestà”, quando si è all’opposizione e non ci si è mai messi alla prova.
Essere immersi in un pozzo nero e pensare di uscirne intonsi, è al limite della ragionevolezza.
Ed alla prima prova importante come il governo di Roma i 5S, sono stati costretti ad affrontare la dura realtà della politica italiana.
Non che fondamentalmente non credano alla necessità di dover essere onesti in politica, ma la realtà è un’altra, e se Grillo fosse stato veramente un politico avrebbe dovuto prevedere che sarebbe finita in questo modo.
Invece va avanti a tentoni rimediando come può quando ai problemi gli si parano di fronte.
Questi sono tempi straordinari e quindi non si può procedere come nel passato.
Tutto sta crollando e bisogna sapersi muovere sotto le macerie.
E se si è veramente politici di razza, prevedere come si scansa la caduta delle macerie, come si sgomberano le macerie, e come si fa ripartitore il Paese.
CONTINUA
CONTINUA
Uscito di scena lo sparapalle principe e imperatore, al Giornale tornano all’antico e propinano ai merli
un articolo dal titolo:
E il centrodestra unito
adesso vola nei sondaggi
Fabrizio De Feo
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 47572.html
attribuendogli uno 34,4%.(esagerato)
La Meloni, pur di stare al governo, accetta qualsiasi condizione.
Ma Salvini che registra un 13,78 % con i sondaggi più favorevoli, risultando il partito più forte dell’alleanza, fa troppa fatica a sottomettersi ad una politica centrista che raccoglie i “moderati”, come intende Berlusconi non è molto disposto a cedere il comando della coalizione al vecchio leader.
Anche sulla legge elettorale le distanze si fanno sentire.
Berlusconi pensa di ingabbiare Salvini come ha fatto con Bossi.
Ma il nuovo capo dei leghisti è più attento al potere che al fascino dei soldi come l’Umbertino.
Fare propaganda su una vittoria del Centro destra unito, è comprensibile.
Ma dice il proverbio Che tra il dire e il fare c’è dimezzo il mare.
Il 27/12/2016, riportando un intervista di Alessandra Longo di Repubblica, a Gianni Cuperlo, titola:
Cuperlo: il Pd è morto, non ha ricette contro la catastrofe
con molto ritardo qualcuno al PD se ne è accorto.
Il PD non esiste più, ammesso che sia mai nato.
Il PD ha solo al suo interno carrieristi della poltrona. Con una simile prospettiva non può andare molto in là.
Tira a campare finchè ne ha la possibilità, poi dovrà fare la fine della vecchia DC.
Ci troviamo quindi in uno stallo politico, dove ai cittadini votanti diventa estremamente difficile fare una scelta di campo.
C’è chi spera che con le prossime elezioni, poi si chiarisca l’inconveniente in cui siamo precipitati.
Non sarà così perché davanti a noi c’è solo il caos.
Sergio Rizzo ha da poco mandato in libreria la sua ultima pubblicazione:
LA REPUBBLICA
DEI BROCCHI
IL DECLINO DELLA CLASSE
DIRIGENTE ITALIANA.
E’ con questo che dobbiamo fare i conti.
IL DECLINO DELLA CLASSE DIRIGENTE ITALIANA.
Voci popolari sempre più insistenti, dimenticandosi di cosa significa, reclamano l’uomo forte che risolva i problemi che questi BROCCHI che pensano solo alla poltrona ed allo stipendio, NON SANNO O NON VOGLIONO RISOLVERE.
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Re: Come se ne viene fuori ?
ANCORA SULLA POST VERITA'
Le molte facce del gioco segreto della post-verità
CARO FURIO COLOMBO, quella che molti chiamano post verità,nella informazione inRete, non èaltro che storia falsa. Seè falsa, va rimossa e nonservono i salti mortali per dimostrare che falso è libero, dunque da non imbavagliare. Falso è falso. B E N E D E T TA
SENZA DUBBIO la discussione sulla postverità e sulle storie false, non finirà né presto né bene. Non presto, perché è molto complicata e con molte facce, addirittura opposte. Non bene, perché è difficile far finta di niente e prendere tutto per buono solo perché è in Rete. Ed è anche più difficile fidarsi di qualcuno che alla fine decide che cosa è vero e che cosa no. Ricordare i fatti, naturalmente, è utile. Nella recente campagna presidenziale statunitense una parte del materiale è stato alterato dagli hacker russi (ovvero dallo spionaggio bene organizzato di un Paese non si sa se nemico ma certo rivale, non si sa se in combutta con una parte americana, ma certo efficace). E una parte del materiale, deliberatamente falso(e anzi esageratamente falso in modo da far esplodere notizie impossibili e perciò più seguite e, alla fine, più credibili) è stato messo in Rete da una delle due parti, quella di Donald Trump. Ovvio che la riposta democratica è l’intervento legale immediato della parte colpita, non dentro lo scontro virtuale ma dentro la vita reale.
Il problema è che la Rete è più veloce, e può uccidere per prima. Però serve a poco sia accusare la Rete, di cui è inutile discutere la capacità di inganno, sia invocare una autorità di controllo a cui non si saprebbe come conferire l’autorità e credibilità necessaria. Un primo passo civile sarebbe riconoscere, anche nell’interesse di coloro che usano correttamente la Rete, che il problema esiste: la Rete, in sé, non porta luce. Porta dati e notizie vere e false, per caso, per sbaglio e come progetto. Dunque ogni santificazione è fuori posto, come lo è ogni condanna preliminare. Un secondo passo è creare (o sperare che si crei) una predisposizione critica. Se il generale Flynn, nel corso della campagna elettorale Trump contro Clinton, ti informa che la Clinton gestisce un traffico di prostituzione minorile a Washington, devi immaginare una utenza libera e guidata da nessuno che esiga una verifica, data l’estrema e rozza formulazione dell’accusa, e pretenda una controprova (voce vera, nome vero, indirizzo vero). Occorre arrivare al punto di civiltà in cui i viaggiatori della Rete smettono di compiacersi di sentirsi dire le cose gradite e si sentano rispettati e cooptati solo se forniti di notizie vere. Non è facile, non è imminente, ma può accadere.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 l e t te re @ i l fa t to q u o t i d i a n o. i t
Le molte facce del gioco segreto della post-verità
CARO FURIO COLOMBO, quella che molti chiamano post verità,nella informazione inRete, non èaltro che storia falsa. Seè falsa, va rimossa e nonservono i salti mortali per dimostrare che falso è libero, dunque da non imbavagliare. Falso è falso. B E N E D E T TA
SENZA DUBBIO la discussione sulla postverità e sulle storie false, non finirà né presto né bene. Non presto, perché è molto complicata e con molte facce, addirittura opposte. Non bene, perché è difficile far finta di niente e prendere tutto per buono solo perché è in Rete. Ed è anche più difficile fidarsi di qualcuno che alla fine decide che cosa è vero e che cosa no. Ricordare i fatti, naturalmente, è utile. Nella recente campagna presidenziale statunitense una parte del materiale è stato alterato dagli hacker russi (ovvero dallo spionaggio bene organizzato di un Paese non si sa se nemico ma certo rivale, non si sa se in combutta con una parte americana, ma certo efficace). E una parte del materiale, deliberatamente falso(e anzi esageratamente falso in modo da far esplodere notizie impossibili e perciò più seguite e, alla fine, più credibili) è stato messo in Rete da una delle due parti, quella di Donald Trump. Ovvio che la riposta democratica è l’intervento legale immediato della parte colpita, non dentro lo scontro virtuale ma dentro la vita reale.
Il problema è che la Rete è più veloce, e può uccidere per prima. Però serve a poco sia accusare la Rete, di cui è inutile discutere la capacità di inganno, sia invocare una autorità di controllo a cui non si saprebbe come conferire l’autorità e credibilità necessaria. Un primo passo civile sarebbe riconoscere, anche nell’interesse di coloro che usano correttamente la Rete, che il problema esiste: la Rete, in sé, non porta luce. Porta dati e notizie vere e false, per caso, per sbaglio e come progetto. Dunque ogni santificazione è fuori posto, come lo è ogni condanna preliminare. Un secondo passo è creare (o sperare che si crei) una predisposizione critica. Se il generale Flynn, nel corso della campagna elettorale Trump contro Clinton, ti informa che la Clinton gestisce un traffico di prostituzione minorile a Washington, devi immaginare una utenza libera e guidata da nessuno che esiga una verifica, data l’estrema e rozza formulazione dell’accusa, e pretenda una controprova (voce vera, nome vero, indirizzo vero). Occorre arrivare al punto di civiltà in cui i viaggiatori della Rete smettono di compiacersi di sentirsi dire le cose gradite e si sentano rispettati e cooptati solo se forniti di notizie vere. Non è facile, non è imminente, ma può accadere.
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano 00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 l e t te re @ i l fa t to q u o t i d i a n o. i t
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