Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA LOTTA POLITICA INFINITA. LA GUERRA DI UN FALLIMENTO


Il Giornale berlusconiano verso il nemico Grillo.

Ora Grillo diventa garantista:
"Niente sanzioni per indagati
"
Il M5S, non più "vergine", pronto a varare il nuovo codice di comportamento: l'espulsione non sarà più automatica

di Clarissa Gigante

19 minuti fa
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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E ANCORA....

3 ore fa
139
Tra bufale e complotti
"Così smaschero Grillo"


Domenico Di Sanzo


^^^^^^


3 ore fa
470

Il Capodanno disastroso
organizzato dalla Raggi


Roma in trappola
Tiziana Paolocci


IL MESSAGIOGGIO POLITICO-PROPAGANDISTICO E' SEMPRE LO STESSO:

NOI BUONI,...........LORO CATTIVI
cielo 70
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da cielo 70 »

L'hanno fatta grossa. Erano diffidenti verso tutte le altre forze politiche, non hanno voluto far nascere il governo Bersani e chiuso le porte anche a Civati, col risultato di far nascere il governo Renzi. Ora con che credibilità fanno i garantisti?
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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POLITICA
Preferivate Renzi o la grande bonaccia?
Al posto del temuto Giudizio Universale del dopo-referendum arriva a sorpresa la Grande Restaurazione: il congresso di Vienna dopo la caduta del Napoleone di Rignano sull’Arno
DI MARCO DAMILANO
03 gennaio 2017
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«Ricostruire da zero Stromboli. Ricostruire da zero l’Italia. Un nuovo modo di vivere, una nuova luce, nuovi abiti, nuovi suoni, un nuovo modo di parlare, nuovi colori, nuovi sapori... Tutto nuovo!». Era il 1993, Nanni Moretti affidava al personaggio del sindaco di Stromboli in “Caro Diario” il manifesto ideale degli anni che sarebbero venuti: fare tabula rasa del vecchio, ricostruire da zero, tutto nuovo. E vennero i sindaci e la fantasia al potere nelle città, e poi l’Imprenditore con il suo nuovo modo di parlare in politica, i nuovi suoni, i nuovi inni: «Forza alziamoci, il futuro è aperto entriamoci...».

E ora invece il futuro si chiude, con il 2017 si avverte inconfondibile l’atmosfera dell’indietro tutta, il cambiare verso ma in retromarcia, la nostalgia dell’antico, il fascino imprevisto della conservazione. Sigillato il 20 dicembre dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso nel Salone dei Corazzieri del Quirinale alle alte cariche dello Stato, finora il più importante del suo settennato. Quando al tirar le somme di un anno drammatico, vissuto sullo scontro da fine-mondo sul voto referendario, il Capo dello Stato ha soavemente sepolto trenta, forse quarant’anni di progetti, propositi, velleità di Riforma costituzionale. «Il testo vigente - conservato inalterato dal voto popolare - costituisce la Costituzione di tutti gli italiani, che tutti dobbiamo amare e rispettare», ha scandito con mitezza Mattarella. Allitterazione a parte (costituisce la Costituzione), sono parole definitive, pronunciate di fronte a una platea di ministri, parlamentari, vertici militari, prefetti, magistrati, alte burocrazie: il Contesto che regge e governa lo Stato. «Il testo conservato inalterato dal voto popolare». Quella riga (il testo conservato, anzi, di più, inalterato, ovvero non alterato, non adulterato, integro, intatto, per di più con il voto popolare), avverte che siamo giunti all’ultima stazione di un lungo percorso che non ha portato da nessuna parte. La transizione italiana, per ora, si ferma qui, al punto di partenza. Addio nuovo.

Per capire quale sia lo stato d’animo degli inquilini del Palazzo devi raccogliere le confessioni di un ministro, riconfermato nel governo Gentiloni: «Con Matteo Renzi il Consiglio durava un quarto d’ora, parlava solo lui. Quando qualcuno di noi si dilungava a presentare un provvedimento veniva subito interrotto: “Faccio io la sintesi!”. I minuti finali li dedicava a darci i compiti mediatici: “Tu vieni con me in conferenza stampa. Tu invece vai questa sera in tv, da Vespa. E domani fai un’intervista con un quotidiano del Nord...”. Da quando c’è Paolo, abbiamo ripreso a parlare tutti...». O quelle del dirigente di un’importante azienda pubblica: «C’è un clima di sollievo. Fino a qualche settimana fa ogni iniziativa doveva essere comunicata a Palazzo Chigi e se Renzi decideva di partecipare doveva essere mediaticamente trasformata in un evento, “senza precedenti”, si capisce. Ora siamo tornati alla normalità...».

Al posto del temuto Giudizio Universale del dopo-referendum arriva a sorpresa la Grande Bonaccia. La Tregua. La Restaurazione, forse: il congresso di Vienna dopo la caduta del Napoleone di Rignano sull’Arno. «I vostri sovrani, nati sul trono, possono lasciarsi battere venti volte e rientrare sempre nelle loro capitali», aveva confidato l’Imperatore francese al conte di Metternich nel 1813. Una lezione destinata a durare: il leader che non è «nato sul trono» per rimanere al potere è costretto al movimento perpetuo, alla destabilizzazione di ciò tutto che è ordine costituito, istituzione. A essere sempre nuovo: il Nuovo.

Il referendum del 4 dicembre ha sconfitto, anzi, ha travolto questa idea di cambiamento perenne provocato dall’alto, da una leadership personalistica e ambiziosa. Ma il ritorno al Vecchio non riguarda solo la politica italiana. Perché anche la novità più dirompente di questo tempo, l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, «non è tanto sisma quanto sismografo dei mutamenti sociopolitici in corso. I quali, almeno in America e in Occidente, si profilano come tecnicamente reazionari», si legge nell’editoriale dell’ultimo numero di “Limes” (11/2016). Una reazione contro la globalizzazione che «negli anni Novanta era asso pigliatutto, misura di tutte le cose». Oggi invece si indeboliscono i flussi finanziari, i traffici internazionali, gli investimenti esteri. Tornano gli interessi nazionali: come prima, più di prima.

In Italia il fenomeno significa la chiusura di una lunga stagione che ha preceduto il Pd renziano, il Movimento 5 Stelle, e anche il berlusconismo. L’ideologia del Nuovo (le nuove istituzioni, i nuovi partiti, le nuove leadership, i nuovi comportamenti politici) ha modellato tutte le identità politiche degli ultimi decenni: la sinistra, la destra, il centro. Nuova la Grande Riforma istituzionale lanciata nel dibattito da Bettino Craxi con un articolo sul quotidiano del Psi “L’Avanti” intitolato “Ottava legislatura” il 28 settembre 1979: «Una legislatura già nata sotto cattivi auspici vivrà con successo se diventerà la legislatura di una grande Riforma che abbracci l’ambito istituzionale, amministrativo, economico-sociale e morale». Parole riprese in modo letterale da Renzi durante la presentazione del suo governo al Senato il 24 febbraio 2014: «Propongo a questo Senato di essere la legislatura della Svolta». Nel frattempo però le legislature erano diventate diciassette.

Il Nuovo è stato il mito fondativo delle leadership degli ultimi decenni. Ciriaco De Mita, combattivo, orgoglioso (e alla fine vincente) sostenitore della conservazione della Carta con Renzi nello studio tv di Enrico Mentana, spiegò l’11 aprile 1983 in un colloquio con Eugenio Scalfari su “Repubblica” la novità della Democrazia cristiana da lui guidata: «Destra e sinistra sono schemi mistificanti. Non ci si distingue più in quel modo. La vera dialettica è tra vecchio e nuovo». (Intervista lungimirante, perché De Mita consegnava a Scalfari un suo tormento: «Temo il rifiuto della politica per colpa dei politici. Badi, il qualunquismo di trent’anni fa riguardava gruppi sociali culturalmente impreparati, ma oggi il rifiuto della politica è un campanello d’allarme molto più preoccupante perché proviene da gruppi sociali avvertiti, culturalmente e professionalmente qualificati». L’anti-politica sembrava lontana, Beppe Grillo faceva il comico. E commentò negli studi Rai qualche settimana dopo il tracollo elettorale della Dc di De Mita, due milioni di voti persi, in un’atmosfera da lutto televisivo nazionale: «Calma, ci sono gli ultimi seggi di Lourdes e Fatima, chissà, un miracolino...»).

Nuova fu la Svolta di Achille Occhetto, la Cosa post-comunista, nata dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989. «Un nuovo inizio che ha in sé il meglio della nostra tradizione», la definì con un capolavoro di illusionismo verbale (il nuovo è il meglio del vecchio) il leader di fronte al Comitato centrale del Pci inferocito per aver appreso del cambio del nome e del simbolo senza una discussione. Al successivo congresso di Bologna, nel 1990, Occhetto volò ancora più in alto, citando l’Ulisse di Alfred Tennyson: «Venite amici/ che non è mai troppo tardi per scoprire un nuovo mondo./Io vi propongo di andare più in là dell’orizzonte conosciuto...». Oltrista, fu definita la creatura di Occhetto, la Quercia che per fare il partito nuovo si apriva alla società civile e si batteva per la riforma del sistema politico, il triangolo magico del rinnovamento a sinistra negli anni Novanta e Duemila, dall’Ulivo fino al Pd. Svoltista, anzi, nuovista, neologismo inventato dal “Manifesto” e fatto proprio dai nemici del leader. «Sei tecnicamente obsoleto», gli dirà Massimo D’Alema al momento di spodestarlo dalla segreteria nel 1994, ma il discorso con cui il lider Maximo lancia la sua candidatura alla segreteria è una requisitoria contro «il nuovismo esteriore di chi sostiene che è finita l’epoca dei partiti politici e che essi hanno un senso soltanto come partito del leader». Notazione destinata a una certa fortuna. E anche D’Alema userà la categoria del Nuovo quando toccherà a lui la conquista del potere: «la nuova Italia per la nuova Roma», fanno scrivere sotto la sua foto da candidato al consiglio comunale di Roma nel 1997 gli spin Claudio Velardi e Fabrizio Rondolino (nella battaglia referendaria del 2016 iper-renziani). E la riforma costituzionale della Bicamerale da lui presieduta è, inutile dirlo, la «Grande occasione». Perduta.

Nuovo è, e figuriamoci, il Cavaliere dell’eterno presente che dal 1994 scende in campo in politica, lui il nuovo che avanza preconizzato da Michele Serra. Il mix perfetto dell’impresario: serialità e novità, essere sempre uguali e sempre nuovi, ricominciare sempre da zero, il berlusconismo non ha mai un passato, declina i tempi al futuro, è un eterno presente, è il colpo di lifting permanente che restituisce come nuovo il leader al suo popolo. E nuovi, nuovissimi gli ultimi arrivati, il grillismo che vuole aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, il renzismo della rottamazione dove tutto è inedito, mai visto, mai udito, «siamo quelli che non c’eravamo prima», ripete il sindaco di Firenze al momento della scalata al potere nazionale. L’anagrafe come garanzia di novità e di purezza. Conclusa nel rovescio del 4 dicembre.

Nessun Paese ha consumato tante leadership nuove, e in così poco tempo, come l’Italia. Esaurita l’analisi del voto referendario bisognerà pur chiedersi se dopo tanto discorrere, ci sia qualcosa di più profondo nella vittoria massiccia del No. La diffidenza, se non il rifiuto, verso la parola Riforma, che negli anni Settanta e Ottanta significava miglioramento delle condizioni di vita e oggi per molti si è capovolta in un annuncio di peggioramento: meno diritti, più precarietà. E la bocciatura del Nuovo e dei novatori, all’interno di una situazione troppo grande per loro. «Negli ultimi decenni abbiamo assistito a un rovesciamento semantico per cui con rivoluzione si intende in realtà il suo contrario, la distruzione di ogni progetto, di ogni sviluppo coerente di visione del futuro. Una specie di anti-rivoluzione o rovesciamento del pensiero rivoluzionario concepito come passaggio da 2.0 a 2.1...», ha scritto lo storico Paolo Prodi appena scomparso in uno dei suoi ultimi libri, “Il tramonto della rivoluzione”. È il nuovo senza progetto che consuma se stesso e provoca le cause della sua dissoluzione.

Tornerà nel 2017, forse, la legge elettorale proporzionale. E i governi di coalizione. E il manuale Cencelli per fare le nomine (ammesso che sia mai caduto in disuso). E i ministri senza portafoglio. E i vertici notturni. E le verifiche programmatiche. E i caminetti dei capicorrente, che possono lasciarsi battere venti volte e sempre rientrare, come monarchi decaduti. Tutto questo, però, non basterà a restituire all’Italia la felicità perduta. E di tutto questo, almeno in parte, porta la responsabilità il nuovo avanzato, che non avanza più.
UncleTom
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A PROPOSITO DI BUFALE DI STATO E POST-VERITA'



Cara di Mineo, parlano i dipendenti: “Assunti per i voti, ci chiedevano l’iscrizione al Nuovo Centrodestra”


Giustizia & Impunità


Nell'inchiesta dei pm di Catania - che hanno chiuso le indagini per turbativa d'asta e corruzione elettorale - si parla di "una spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale". "Nell’ufficio della Sol Calatino - mette a verbale una dipendente - capitava di occuparsi anche delle procedure di apertura dei circoli" del partito del ministro degli Esteri


di F. Q. | 6 gennaio 2017

commenti (0)
 1,4 mila


Ai dipendenti del Cara di Mineo veniva chiesto di prendere la tessera del Nuovo Centrodestra. E anche se non era un obbligo alla fine tutti o quasi i lavoratori del centro richiedenti asilo in provincia di Catania si sono iscritti al partito di Angelino Alfano. A raccontarlo ai magistrati della procura di Catania che hanno chiuso le indagini per turbativa d’asta e corruzione elettorale, sono gli stessi lavoratori del Cara. L’inchiesta della procura etnea – che è in pratica la costola siciliana dell’indagine romana su Mafia capitale – nasce per fare luce sulla gara d’appalto da 100 milioni di euro per la gestione del Cara, bloccata dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, che lo aveva bollato come un “abito su misura”.

Nel fascicolo d’indagine dei pm Marco Bisogni e Raffaella Vinciguerra – come racconta il quotidiano La Sicilia – si parla però anche di “una spregiudicata gestione dei posti di lavoro (circa 400) per l’illecita acquisizione di consenso elettorale”. Un “mercimonio delle assunzioni” che punta ad accrescere il bacino elettorale di tre formazioni politiche: il Pdl alle Politiche del 2013, Ncd alle Europee del 2014 e la lista civica Uniti per Mineo – vicina al partito di Alfano – alle amministrative del 2013. Nel loro atto di conclusione delle indagini i pm individuano un procacciatore di voti e due beneficiari. Il primo è Paolo Ragusa, ex presidente di Sol Calatino, la coop che gestiva il Cara, mentre gli altri due sono il sottosegretario Giuseppe Castiglione e la sindaca di Mineo Anna Aloisi, entrambi Ncd.

A colpire, però, sono soprattutto le testimonianze dei dipendenti del Cara. C’è chi è stato assunto solo “fino alla fine del periodo elettorale“, chi non ha ottenuto il rinnovo del contratto per “scarsa partecipazione alla campagna elettorale della Aloisi”, chi ricorda che “all’interno del consorzio Sol Calatino si sono svolte riunioni politiche alle quali mi veniva espressamente richiesto di partecipare da parte del Ragusa”. E poi c’è anche chi mette a verbale episodi dettagliati. “Nell’ufficio della Sol Calatino – dice davanti ai pm una dipendente – capitava di occuparsi anche delle procedure di apertura dei circoli di Ncd della zona del Calatino. Io stessa mi sono occupata anche di queste incombenze unitamente a Ragusa. I soggetti che intendevano aprire un circolo dovevano versare 150 euro al partito che in alcuni casi raccoglievamo direttamente”.

Ma non solo. Perché a tutti i dipendenti della coop Sol Calatino – che come detto gestiva il Cara – veniva richiesto di iscriversi a uno dei circoli di Ncd della zona. “Non si tratta di una imposizione – spiega sempre la stessa dipendente – anche se quasi tutti i dipendenti del Cara sono effettivamente iscritti a Ncd. Io stessa sono iscritta a uno dei circoli, quello coordinato da Paolo Ragusa”. Un particolare non dà poco se si pensa che in quattro anni circa 500 persone hanno prestato servizio nell’accoglienza dei migranti ospiti del residence degli Aranci: centinaia di tessere che diventavano voti in tempi di elezioni per il partito dell’ex ministro dell’Interno. Secondo le accuse, dunque, Castiglione e Ragusa trasformano il centro richiedenti asilo di Mineo in una sorta di massiccia macchina elettorale. E non è un caso che – come racconta Luca Odevaine, l’uomo dell’immigrazione di Mafia capitale – ad ogni nuova assunzione al centro, “tutti i sindaci appartenenti al consorzio si sono riuniti con Paolo Ragusa per spartire il numero delle assunzioni da fare”. Una ricostruzione confermata anche da uno dei pochi “nemici” del sistema Mineo, e cioè Valerio Marletta sindaco di Palagonia con Rifondazione Comunista, che davanti ai pm mette a verbale: “Tutti quelli del mio paese entrati al Cara sono miei avversari politici e questo perché non sono entrato nel consorzio. Posso affermare con ragionevole certezza che, se avessi deciso di aderire, come comune, al consorzio, avrei verosimilmente avuto a disposizione un pacchetto di assunzioni”.
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LA CAMPAGNA ELETTORALE E' IN PIENO SVOLGIMENTO


La finta solidarietà delle coop
Così lucrano sull'accoglienza


Truffe, appalti e rimborsi per migranti fantasma. Dal Friuli alla Sicilia, aperte decine di indagini

di Chiara Giannini

37 minuti fa
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA TRUFFA E' IL MIO MESTIERE



Poste Italiane risarcirà i risparmiatori per il flop dei Fondi immobiliari

Il Messaggero
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52 minuti fa

(Teleborsa) - Botta e risposta fra le Poste e le associazioni dei consumatori in merito alla questione del flop di alcuni Fondi immobiliari, scaduti a dicembre 2016. La questione ha a che fare con 4 fondi immobiliari in difficoltà - Invest Real Security, Obelisco, Europa Immobiliare 1, Alpha - le cui quote sono state collocate fra il 2000 ed il 2005 dagli uffici postali, senza un'adeguata informativa all'utente sulla rischiosità dell'investimento. Si tratterebbe dell'ennesimo caso di "risparmio tradito" sul modello Montepaschi e Banca Etruria. A quanto pare, le quote di questi fondi, con taglio 2.500 euro ciascuna, sarebbero state collocate fra i risparmiatori postali nel periodo in questione senza specificare i rischi dell'investimento, peraltro indicate nei prospetti. L'investimento in questione avrebbe attratto gli ignari risparmiatori per la sua presunta "sicurezza", perché proposto quale risparmio postale e con la garanzia che generalmente offre il mattone. Poste Italiane ha risposto alle notizie di stampa precisando che "sussiste la volontà di finalizzare ed avviare, nel breve, iniziative in favore dei clienti di Poste che hanno sottoscritto al tempo il fondo immobiliare IRS, scaduto il 31 dicembre 2016, con "l'obiettivo di consolidare, ancora una volta, il rapporto storico che l'azienda ha con i cittadini, fondato sulla trasparenza, sulla fiducia e sull'affidabilità". Le associazioni dei consumatori sono però sul sentiero di guerra. "Se ancora una volta i risparmi degli italiani andranno in fumo, saranno inevitabili nuove azioni risarcitorie", minaccia il Codacons per tutelare i piccoli risparmiatori, aggiungendo che l'associazione "è pronta ad aprire con l'azienda una trattativa".
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Lotteria Italia: dal 2002 non ritirati premi per 26 milioni di euro


La Stampa

3 ore fa

Oltre 26 milioni di euro: è l’ammontare dei premi non riscossi della Lotteria Italia dal 2002 a oggi e rimasti quindi all’erario, secondo quanto stabilisce la legge. Lo scorso anno, riporta Agipronews, non è stato riscosso un tagliando da 2 milioni di euro e il totale dei premi dimenticati ha sfiorato i 3 milioni.

Due anni fa, invece, i premi di prima categoria erano stati tutti incassati, anche se il totale delle vincite non reclamate raggiunse comunque gli 856 mila euro. Nell’edizione della Lotteria di tre anni fa il totale dei premi lasciati allo Stato fu il doppio: 1,7 milioni di euro, tra cui il quarto premio da 1 milione finito a L’Aquila, a cui si aggiunsero 6 premi da 60 mila euro e 19 premi da 20 mila euro.

La storia della Lotteria Italia è costellata da dimenticanze milionarie. Il primato degli `sbadati´ - ricorda Agipronews - appartiene all’edizione 2008-2009, quando a non essere reclamato fu il primo premio da 5 milioni di euro, venduto a Roma (e rimesso poi eccezionalmente in gioco l’anno successivo). Nel 2003 i premi non riscossi ammontarono a quasi 4 milioni di euro. L’anno seguente i biglietti vincenti dimenticati furono del valore di 1,1 milioni.


Nel 2007 non furono incassati premi per un totale di 1 milione 125 mila euro. Solamente 220 mila euro i premi dimenticati nell’edizione 2010, mentre nel 2011 le somme lasciate allo Stato furono pari a 2 milioni di euro, corrispondente al secondo premio vinto a Modena, più vincite inferiori per ulteriori 700 mila euro. Nell’edizione 2012 furono invece dimenticati premi per 642 mila euro.
UncleTom
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Iscritto il: 11/10/2016, 2:47

Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

SOTTO LE MACERIE



Questa notte Ostellino che se ne esce con il titolo : Siamo in guerra. Adesso Ilvo Diamanti che ha perso la sua classica lucidità di giudizio.

Ma cosa sta succedendo????

Ilvo Diamanti per “la Repubblica”

Nell' anno dell' anti-politica, mentre si acuisce il distacco dallo Stato e dai partiti, si assiste a un prepotente ritorno della politica.

O meglio: della "partecipazione politica". Attraverso nuovi "media".

Ma anche attraverso le forme più tradizionali.

Internet e la piazza, insieme.

A rinforzarsi a vicenda.


Ma dove ha visto Ilvo Diamanti un prepotente ritorno della politica????

Da queste parti, e non solo, si riscontra l’esatto contrario.

Se qualcuno ha elementi fondati per sostenere la tesi di Diamanti, per favore ce lo faccia sapere.
lilly
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Iscritto il: 02/03/2015, 18:13

Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da lilly »

l'esempio è dei voucher
E facile prendersela con il sindacato che in alcuni casi ha utilizzato i voucher quando non doveva farlo ma utilizzare il part time,ma bisogna prendersela con chi quella legge l'ha fatta.E ' un metodo tutto berlusconiano scaricare le colpe sù chi non le ha e dare i meriti a chi non li ha
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