Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
NEL POZZO NERO SOTTO LE MACERIE
Sottotitolo:
SCEMI SI NASCE O SI DIVENTA????????????
Da Liberoquotidiano.it di Littorio Feltri.
La prova: il Papa
è comunista
Che cosa combina con Nichi Vendola
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Ex leader comunista
Nichi Vendola: l'unico che oggi critica il capitalismo è Papa Bergoglio
Una lunga intervista sul Fatto Quotidiano. Per dire che la sinistra è stata sconfitta, che Renzi e il Pd fanno schifo e che l'amico Pisapia sbaglia. Nichi vendola, ormai, sui giornali ci finisce molto di rado: non ha rinunciato del tutto all'impegno pubblico, ma da quando è diventato papà tutela la sua privacy sopra tutto.
La parola che più ricorre in quello che dice è "sconfitta", "sconfitti", perdente". Sempre riferita alla sinistra intesa nel suo senso più ampio. Renzi? "Come Berlusconi, anzi è andato persino oltre". Il riformismo? "E' morto, non esiste più". La sinistra? "Divisa in tanti pezzi, a caccia di un leader neanche fossimo a Masterchef, una gara dove vince chi ha la ricetta migliore. Ma il tema qui non è trovare un leader, ma la bussola". L'unico leader vero di sinistra? "Papa Francesco, l'unico che apertamente critiche il capitalismo finanziario che tanto male ha fatti in questi anni all'economia globale. Possibile- si chiede Vendola - che quella critica sia un mestiere solo del Papa?".".
23 Gennaio 2017
Commenti
N. commenti 7
Una lunga intervista sul Fatto Quotidiano. Per dire che la sinistra è stata sconfitta, che Renzi e il Pd fanno schifo e che l'amico Pisapia sbaglia. Nichi vendola, ormai, sui giornali ci finisce molto di rado: non ha rinunciato del tutto all'impegno pubblico, ma da quando è diventato papà tutela la sua privacy sopra tutto.
La parola che più ricorre in quello che dice è "sconfitta", "sconfitti", perdente". Sempre riferita alla sinistra intesa nel suo senso più ampio. Renzi? "Come Berlusconi, anzi è andato persino oltre". Il riformismo? "E' morto, non esiste più". La sinistra? "Divisa in tanti pezzi, a caccia di un leader neanche fossimo a Masterchef, una gara dove vince chi ha la ricetta migliore. Ma il tema qui non è trovare un leader, ma la bussola". L'unico leader vero di sinistra? "Papa Francesco, l'unico che apertamente critiche il capitalismo finanziario che tanto male ha fatti in questi anni all'economia globale. Possibile- si chiede Vendola - che quella critica sia un mestiere solo del Papa?".".
Sottotitolo:
SCEMI SI NASCE O SI DIVENTA????????????
Da Liberoquotidiano.it di Littorio Feltri.
La prova: il Papa
è comunista
Che cosa combina con Nichi Vendola
^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^
Ex leader comunista
Nichi Vendola: l'unico che oggi critica il capitalismo è Papa Bergoglio
Una lunga intervista sul Fatto Quotidiano. Per dire che la sinistra è stata sconfitta, che Renzi e il Pd fanno schifo e che l'amico Pisapia sbaglia. Nichi vendola, ormai, sui giornali ci finisce molto di rado: non ha rinunciato del tutto all'impegno pubblico, ma da quando è diventato papà tutela la sua privacy sopra tutto.
La parola che più ricorre in quello che dice è "sconfitta", "sconfitti", perdente". Sempre riferita alla sinistra intesa nel suo senso più ampio. Renzi? "Come Berlusconi, anzi è andato persino oltre". Il riformismo? "E' morto, non esiste più". La sinistra? "Divisa in tanti pezzi, a caccia di un leader neanche fossimo a Masterchef, una gara dove vince chi ha la ricetta migliore. Ma il tema qui non è trovare un leader, ma la bussola". L'unico leader vero di sinistra? "Papa Francesco, l'unico che apertamente critiche il capitalismo finanziario che tanto male ha fatti in questi anni all'economia globale. Possibile- si chiede Vendola - che quella critica sia un mestiere solo del Papa?".".
23 Gennaio 2017
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Una lunga intervista sul Fatto Quotidiano. Per dire che la sinistra è stata sconfitta, che Renzi e il Pd fanno schifo e che l'amico Pisapia sbaglia. Nichi vendola, ormai, sui giornali ci finisce molto di rado: non ha rinunciato del tutto all'impegno pubblico, ma da quando è diventato papà tutela la sua privacy sopra tutto.
La parola che più ricorre in quello che dice è "sconfitta", "sconfitti", perdente". Sempre riferita alla sinistra intesa nel suo senso più ampio. Renzi? "Come Berlusconi, anzi è andato persino oltre". Il riformismo? "E' morto, non esiste più". La sinistra? "Divisa in tanti pezzi, a caccia di un leader neanche fossimo a Masterchef, una gara dove vince chi ha la ricetta migliore. Ma il tema qui non è trovare un leader, ma la bussola". L'unico leader vero di sinistra? "Papa Francesco, l'unico che apertamente critiche il capitalismo finanziario che tanto male ha fatti in questi anni all'economia globale. Possibile- si chiede Vendola - che quella critica sia un mestiere solo del Papa?".".
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA POLITICA AI TEMPI DELLO SFASCIO DELLA SECONDA REPUBBLICA
VISTA DAI TRUMPOLINI TRICOLORI
D'Alema minaccia la scissione: "Pronti a ogni evenienza"
Massimo D’Alema, dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No riuniti a Roma, lancia la sua sfida a Matteo Renzi: "Serve una nuova leadership"
Francesco Curridori - Sab, 28/01/2017 - 15:57
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"Siamo qui per riorganizzare le forze di quanti sono andati a votare al referendum costituzionale e prima non votavano.
Noi ci rivolgiamo a quanti non vanno a votare”. Massimo D’Alema, dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No riuniti a Roma, lancia la sua sfida a Matteo Renzi e ai renziani per la costruzione di un “centrosinistra largo”.
"Questa è una riunione di lavoro: non è una riunione del No. Il No non c'è più, quel dibattito è chiuso. Ci rivolgiamo – ha detto D’Alema - anche a quei cittadini che hanno votato Sì, in buona fede. Quel dibattito è concluso, anche perché l'hanno concluso 20milioni di cittadini”. L’intento è quello creare un movimento senza stampare tessere. “Io suggerirei anche che si raccolgano fondi per i comitati" che devono essere "in grado di lavorare e pronti alle evenienze che potranno esserci", ha detto ancora l’ex premier. Tradotto: per ora restiamo nel Pd ma, se serve, avremo già i soldi per cominciare una nuova avventura politica. Al momento è necessario che Renzi si faccia da parte."Non si cambia politica se non si cambia leadership", ha detto D'Alema che ricorda il fallimento delle politiche renziane: dalla riforma elettorale a quella costituzionale, da quella della pubblica amministrazione alla Buona Scuola. Una bocciatura in piena regola certificata dall’esito del quesito referendario del 4 dicembre scorso: "L'82 per cento dei giovani ha votato No al referendum. Basterebbe questo a dire che bisogna convocare un congresso straordinario in un partito che abbia, non dico consenso, ma buon senso”.
L’ex segretario dei Ds ha, poi, criticato chi ha detto che la sentenza della Consulta ha salvato l’impianto dell’Italicum. "Non so se il riso o la pietà prevale", aggiungendo che “è difficile anche aprire il dibattito in questi casi, arriva uno in camice bianco. Noi abbiamo la responsabilità di correre in soccorso di un gruppo dirigente che sembra aver smarrito il senso della regione". "Bisogna mettere mano con serietà alla legge elettorale. Altrimenti l'unica forma di governo è un inciucione dai confini inimmaginabili. Pd e Forza Italia – ha spiegato D’Alema - non faranno maggioranza, neppure con l'accordo che probabilmente hanno garantiscono un governo" e si corre il rischio di avere un esecutivo "M5S-Lega”. D’Alema chiede di ripartire dalla loro proposta di riforma elettorale per poi “trovare un compromesso in Parlamento per scrivere una legge che coniughi rappresentanza e governabilità, senza precipitare il governo negli esiti di un voto immediato che inevitabilmente produrrebbe un inciucione".
A tal proposito, parlando del Pd, ribadisce la necessità che torni a essere"una forza intorno alla quale si possa riunire un centrosinistra largo" e non si vada dunque alle elezioni "con una lista che sia oltre il Pd ma non con il listone già fallito di Pisapia-Alfano”. "Abbiamo rotto con il nostro popolo. Il processo non è iniziato adesso ma non c'è dubbio che la politica dei governi negli ultimi due anni ha accelerato in questa direzione". Ha spiegato D'Alema chiedendo: “Che deve fare il centrosinistra in questa situazione? Precipitare verso elezioni? Con quale programma? Con quale sistema di potenziali alleanze. Vedo che il presidente del Pd ha detto entro dieci giorni o fate la legge che vogliamo noi o si vota subito. Con quale programma? Con quale idea di governo? Io sono sconcertato". È pertanto necessario indire subito un congresso per cambiare direzione altrimenti “se invece ci troveremo di fronte alla sordità del gruppo dirigente, se prevarrà l'idea di correre al voto, una scelta di questo tipo renderebbe ciascuno libero". “Alcuni di noi che ritengono di avere delle responsabilità verso la sinistra non sarebbero liberi, dovrebbero agire", dice rilanciando l’idea che aleggia per tutta la mattina nella sala: la scissione.
VISTA DAI TRUMPOLINI TRICOLORI
D'Alema minaccia la scissione: "Pronti a ogni evenienza"
Massimo D’Alema, dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No riuniti a Roma, lancia la sua sfida a Matteo Renzi: "Serve una nuova leadership"
Francesco Curridori - Sab, 28/01/2017 - 15:57
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"Siamo qui per riorganizzare le forze di quanti sono andati a votare al referendum costituzionale e prima non votavano.
Noi ci rivolgiamo a quanti non vanno a votare”. Massimo D’Alema, dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No riuniti a Roma, lancia la sua sfida a Matteo Renzi e ai renziani per la costruzione di un “centrosinistra largo”.
"Questa è una riunione di lavoro: non è una riunione del No. Il No non c'è più, quel dibattito è chiuso. Ci rivolgiamo – ha detto D’Alema - anche a quei cittadini che hanno votato Sì, in buona fede. Quel dibattito è concluso, anche perché l'hanno concluso 20milioni di cittadini”. L’intento è quello creare un movimento senza stampare tessere. “Io suggerirei anche che si raccolgano fondi per i comitati" che devono essere "in grado di lavorare e pronti alle evenienze che potranno esserci", ha detto ancora l’ex premier. Tradotto: per ora restiamo nel Pd ma, se serve, avremo già i soldi per cominciare una nuova avventura politica. Al momento è necessario che Renzi si faccia da parte."Non si cambia politica se non si cambia leadership", ha detto D'Alema che ricorda il fallimento delle politiche renziane: dalla riforma elettorale a quella costituzionale, da quella della pubblica amministrazione alla Buona Scuola. Una bocciatura in piena regola certificata dall’esito del quesito referendario del 4 dicembre scorso: "L'82 per cento dei giovani ha votato No al referendum. Basterebbe questo a dire che bisogna convocare un congresso straordinario in un partito che abbia, non dico consenso, ma buon senso”.
L’ex segretario dei Ds ha, poi, criticato chi ha detto che la sentenza della Consulta ha salvato l’impianto dell’Italicum. "Non so se il riso o la pietà prevale", aggiungendo che “è difficile anche aprire il dibattito in questi casi, arriva uno in camice bianco. Noi abbiamo la responsabilità di correre in soccorso di un gruppo dirigente che sembra aver smarrito il senso della regione". "Bisogna mettere mano con serietà alla legge elettorale. Altrimenti l'unica forma di governo è un inciucione dai confini inimmaginabili. Pd e Forza Italia – ha spiegato D’Alema - non faranno maggioranza, neppure con l'accordo che probabilmente hanno garantiscono un governo" e si corre il rischio di avere un esecutivo "M5S-Lega”. D’Alema chiede di ripartire dalla loro proposta di riforma elettorale per poi “trovare un compromesso in Parlamento per scrivere una legge che coniughi rappresentanza e governabilità, senza precipitare il governo negli esiti di un voto immediato che inevitabilmente produrrebbe un inciucione".
A tal proposito, parlando del Pd, ribadisce la necessità che torni a essere"una forza intorno alla quale si possa riunire un centrosinistra largo" e non si vada dunque alle elezioni "con una lista che sia oltre il Pd ma non con il listone già fallito di Pisapia-Alfano”. "Abbiamo rotto con il nostro popolo. Il processo non è iniziato adesso ma non c'è dubbio che la politica dei governi negli ultimi due anni ha accelerato in questa direzione". Ha spiegato D'Alema chiedendo: “Che deve fare il centrosinistra in questa situazione? Precipitare verso elezioni? Con quale programma? Con quale sistema di potenziali alleanze. Vedo che il presidente del Pd ha detto entro dieci giorni o fate la legge che vogliamo noi o si vota subito. Con quale programma? Con quale idea di governo? Io sono sconcertato". È pertanto necessario indire subito un congresso per cambiare direzione altrimenti “se invece ci troveremo di fronte alla sordità del gruppo dirigente, se prevarrà l'idea di correre al voto, una scelta di questo tipo renderebbe ciascuno libero". “Alcuni di noi che ritengono di avere delle responsabilità verso la sinistra non sarebbero liberi, dovrebbero agire", dice rilanciando l’idea che aleggia per tutta la mattina nella sala: la scissione.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA POLITICA AI TEMPI DELLO SFASCIO DELLA SECONDA REPUBBLICA
VISTA DAI TRUMPOLINI TRICOLORI
Bersani apre al voto anticipato: "Ma prima cambiamo l'Italicum"
Anche Roberto Speranza si schiera contro i capilista bloccati: "Mai più un Parlamento di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta"
Francesco Curridori - Sab, 28/01/2017 - 13:49
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"In una società evoluta la sostanza della governabilità sta nel rapporto fra politica e cittadini.
Dunque si può far tutto, compreso anticipare le elezioni, se i cittadini capiscono perché. Dunque, se si parla di legge elettorale, il primo essenziale mattone della governabilità è togliere i capilista bloccati e fare piccoli collegi. Fuori da questa logica c'è solo l'avventura". A scriverlo su Facebook è l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che non smette di incalzare Renzi e i renziani sul futuro del governo e sulla riforma della modifica della legge elettorale.
Pierluigi Bersani | Pagina Ufficiale
6 ore fa.
In una società evoluta la sostanza della governabilità sta nel rapporto fra politica e cittadini. Dunque si può far tutto, compreso anticipare le elezioni, se i cittadini capiscono perché. Dunque, se si parla di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta". Con il parlamento dei nominati si costruisce "il partito dei servi e non il partito delle persone legate al territorio" ha sottolineato Speranza che ricorda di essersi dimesso da capogruppo e di non aver votato la fiducia sull'Italicum. Poi entra nel merito della decisione della Consulta: "siamo a un cambio radicale Si è passati, con la decisione della Corte dalla legge più maggioritaria del pianeta a una legge sostanzialmente opposta".legge elettorale, il primo essenziale mattone della governabilità è togliere i capilista bloccati e fare piccoli collegi. Fuori da questa logica c'è solo l'avventura.
670 295 118
Dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No al referendum costituzionale del centrosinistra, organizzata da Massimo D'Alema, gli fa eco Roberto Speranza che dice:"Mai più un Parlamento di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta". Con il parlamento dei nominati si costruisce "il partito dei servi e non il partito delle persone legate al territorio" ha sottolineato Speranza che ricorda di essersi dimesso da capogruppo e di non aver votato la fiducia sull'Italicum. Poi entra nel merito della decisione della Consulta: "siamo a un cambio radicale Si è passati, con la decisione della Corte dalla legge più maggioritaria del pianeta a una legge sostanzialmente opposta".
VISTA DAI TRUMPOLINI TRICOLORI
Bersani apre al voto anticipato: "Ma prima cambiamo l'Italicum"
Anche Roberto Speranza si schiera contro i capilista bloccati: "Mai più un Parlamento di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta"
Francesco Curridori - Sab, 28/01/2017 - 13:49
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"In una società evoluta la sostanza della governabilità sta nel rapporto fra politica e cittadini.
Dunque si può far tutto, compreso anticipare le elezioni, se i cittadini capiscono perché. Dunque, se si parla di legge elettorale, il primo essenziale mattone della governabilità è togliere i capilista bloccati e fare piccoli collegi. Fuori da questa logica c'è solo l'avventura". A scriverlo su Facebook è l'ex segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che non smette di incalzare Renzi e i renziani sul futuro del governo e sulla riforma della modifica della legge elettorale.
Pierluigi Bersani | Pagina Ufficiale
6 ore fa.
In una società evoluta la sostanza della governabilità sta nel rapporto fra politica e cittadini. Dunque si può far tutto, compreso anticipare le elezioni, se i cittadini capiscono perché. Dunque, se si parla di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta". Con il parlamento dei nominati si costruisce "il partito dei servi e non il partito delle persone legate al territorio" ha sottolineato Speranza che ricorda di essersi dimesso da capogruppo e di non aver votato la fiducia sull'Italicum. Poi entra nel merito della decisione della Consulta: "siamo a un cambio radicale Si è passati, con la decisione della Corte dalla legge più maggioritaria del pianeta a una legge sostanzialmente opposta".legge elettorale, il primo essenziale mattone della governabilità è togliere i capilista bloccati e fare piccoli collegi. Fuori da questa logica c'è solo l'avventura.
670 295 118
Dal palco dell'assemblea nazionale dei comitati del No al referendum costituzionale del centrosinistra, organizzata da Massimo D'Alema, gli fa eco Roberto Speranza che dice:"Mai più un Parlamento di nominati che per paradosso la sentenza della Consulta aumenta". Con il parlamento dei nominati si costruisce "il partito dei servi e non il partito delle persone legate al territorio" ha sottolineato Speranza che ricorda di essersi dimesso da capogruppo e di non aver votato la fiducia sull'Italicum. Poi entra nel merito della decisione della Consulta: "siamo a un cambio radicale Si è passati, con la decisione della Corte dalla legge più maggioritaria del pianeta a una legge sostanzialmente opposta".
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA POLITICA AI TEMPI DELLO SFASCIO DELLA SECONDA REPUBBLICA
28 gen 2017 12:21
ARMAGEDDON DEMOCRATICO
- RENZI SPINGE SULL’ACCELERATORE PER ANDARE A VOTARE IN PRIMAVERA E MIRA A BLINDARE LE LISTE, LA MINORANZA SULLE BARRICATE
- D’ALEMA TRASFORMA IN MOVIMENTO I COMITATI PER IL NO AL REFERENDUM E ANNUNCIA BATTAGLIA: "AL SUD PRENDEREMMO PIU’ VOTI DI RENZI"
- LA PAROLA SCISSIONE NEL PD NON E’ PIU’ UN TABU’ -
Giovanna Casadio per la Repubblica
Bastano gli appuntamenti del fine settimana a fotografare il Pd com’è. Il segretario Matteo Renzi sarà a Rimini oggi, all’assemblea dei mille amministratori dem. Dice che non parlerà di legge elettorale e data del voto, ma di ambiente, sicurezza, delle liste d’attesa nella sanità: per sentirsi sindaco tra i sindaci.
Nelle stesse ore a Roma i comitati “Scelgo No” al referendum costituzionale di dicembre, capitanati da Massimo D’Alema, tutt’altro che disposti a sciogliersi, si riuniscono in un Movimento, che avrà un nuovo nome: per la Ricostruzione del centrosinistra. Qui il parterre sarà affollato di leader della minoranza del partito, ci saranno Roberto Speranza, candidato bersaniano alla segreteria, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia anche lui in corsa nella sfida a Renzi, il bersaniano Stefano Di Traglia e sindacalisti della Cgil.
In un clima sempre più surriscaldato dalla volontà di Renzi di andare a elezioni a breve, in primavera, e con una blindatura delle liste, il Pd fa i conti con una fibrillazione continua. E la parola scissione non è più un tabù. Se il segretario si irrigidisse nella sua strategia di corsa al voto, di liste bloccate e volesse davvero portare il Pd verso un listone da Alfano alla sinistra di Pisapia, allora la strada «obbligata » non può che essere quella della separazione.
D’Alema l’ha spiegato a più di uno tra gli invitati alla sua kermesse: «Se Renzi pensa di scoraggiare la possibilità di una scissione con soglie di sbarramento alte, come l’8%previsto per il Senato, si sbaglia. Perché noi supereremmo quell’8%. E al Sud prenderemmo più voti di lui». Insomma con liste senza sinistra, la separazione sta nelle cose.
Bersani e i bersaniani si muovono con più cautela. Ripetono sempre più spesso che il Pd deve cambiare, altrimenti è difficile sentirsi a casa propria. Non vogliono neppure sentire nominare l’ipotesi di un listone. Smentita del resto dallo stesso vice segretario dem, Lorenzo Guerini: «Sono scenari fantasiosi, mai pensato a un listone con dentro tutto e il suo contrario». Ma molti sono giornate in cui si tastano tutte le possibilità. La battaglia per le candidature dentro il Pd sembra già cominciata. Ai bersaniani che contestano la “riserva” di candidature del segretario, i renziani rispondono: «Ma con la segreteria di Bersani ci furono i pre-assegnati e a noi toccò l’8%».
Renzi invita a restare sul concreto: «La gente vuole le nostre proposte, non le nostre polemiche ». A Rimini Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ha preparato una scaletta di interventi che va da gli amministratori in prima linea nel terremoto a quelli che hanno saputo investire. Il segretario del Pd dirà che da qui si riparte da «una nuova classe dirigente di giovani preparati e con un forte radicamento sul territorio». Dall’altra parte - è l’affondo di Renzi - ci sono i soliti con le «solite vecchie discussioni ». Alla convention con D’Alema andrà oggi anche il bersaniano Miguel Gotor, che assicura: «Non andiamo via dal Pd, ma sfideremo Renzi e possiamo batterlo. La corsa alle elezioni è un errore, il Pd non può fare cadere il terzo governo guidato da un suo esponente».
Però tutto è in movimento. Francesco Boccia pensa a una raccolta di firme per chiedere il congresso anticipato del Pd: «Metteremo un banchetto anche a Pontassieve, sotto casa di Renzi». A Firenze l’11 e il 12 febbraio riunione dem organizzata da Cecilia Carmassi: «Complicato reggere liste blindate e la strategia annunciata da Renzi ».
28 gen 2017 12:21
ARMAGEDDON DEMOCRATICO
- RENZI SPINGE SULL’ACCELERATORE PER ANDARE A VOTARE IN PRIMAVERA E MIRA A BLINDARE LE LISTE, LA MINORANZA SULLE BARRICATE
- D’ALEMA TRASFORMA IN MOVIMENTO I COMITATI PER IL NO AL REFERENDUM E ANNUNCIA BATTAGLIA: "AL SUD PRENDEREMMO PIU’ VOTI DI RENZI"
- LA PAROLA SCISSIONE NEL PD NON E’ PIU’ UN TABU’ -
Giovanna Casadio per la Repubblica
Bastano gli appuntamenti del fine settimana a fotografare il Pd com’è. Il segretario Matteo Renzi sarà a Rimini oggi, all’assemblea dei mille amministratori dem. Dice che non parlerà di legge elettorale e data del voto, ma di ambiente, sicurezza, delle liste d’attesa nella sanità: per sentirsi sindaco tra i sindaci.
Nelle stesse ore a Roma i comitati “Scelgo No” al referendum costituzionale di dicembre, capitanati da Massimo D’Alema, tutt’altro che disposti a sciogliersi, si riuniscono in un Movimento, che avrà un nuovo nome: per la Ricostruzione del centrosinistra. Qui il parterre sarà affollato di leader della minoranza del partito, ci saranno Roberto Speranza, candidato bersaniano alla segreteria, e Michele Emiliano, il governatore della Puglia anche lui in corsa nella sfida a Renzi, il bersaniano Stefano Di Traglia e sindacalisti della Cgil.
In un clima sempre più surriscaldato dalla volontà di Renzi di andare a elezioni a breve, in primavera, e con una blindatura delle liste, il Pd fa i conti con una fibrillazione continua. E la parola scissione non è più un tabù. Se il segretario si irrigidisse nella sua strategia di corsa al voto, di liste bloccate e volesse davvero portare il Pd verso un listone da Alfano alla sinistra di Pisapia, allora la strada «obbligata » non può che essere quella della separazione.
D’Alema l’ha spiegato a più di uno tra gli invitati alla sua kermesse: «Se Renzi pensa di scoraggiare la possibilità di una scissione con soglie di sbarramento alte, come l’8%previsto per il Senato, si sbaglia. Perché noi supereremmo quell’8%. E al Sud prenderemmo più voti di lui». Insomma con liste senza sinistra, la separazione sta nelle cose.
Bersani e i bersaniani si muovono con più cautela. Ripetono sempre più spesso che il Pd deve cambiare, altrimenti è difficile sentirsi a casa propria. Non vogliono neppure sentire nominare l’ipotesi di un listone. Smentita del resto dallo stesso vice segretario dem, Lorenzo Guerini: «Sono scenari fantasiosi, mai pensato a un listone con dentro tutto e il suo contrario». Ma molti sono giornate in cui si tastano tutte le possibilità. La battaglia per le candidature dentro il Pd sembra già cominciata. Ai bersaniani che contestano la “riserva” di candidature del segretario, i renziani rispondono: «Ma con la segreteria di Bersani ci furono i pre-assegnati e a noi toccò l’8%».
Renzi invita a restare sul concreto: «La gente vuole le nostre proposte, non le nostre polemiche ». A Rimini Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, ha preparato una scaletta di interventi che va da gli amministratori in prima linea nel terremoto a quelli che hanno saputo investire. Il segretario del Pd dirà che da qui si riparte da «una nuova classe dirigente di giovani preparati e con un forte radicamento sul territorio». Dall’altra parte - è l’affondo di Renzi - ci sono i soliti con le «solite vecchie discussioni ». Alla convention con D’Alema andrà oggi anche il bersaniano Miguel Gotor, che assicura: «Non andiamo via dal Pd, ma sfideremo Renzi e possiamo batterlo. La corsa alle elezioni è un errore, il Pd non può fare cadere il terzo governo guidato da un suo esponente».
Però tutto è in movimento. Francesco Boccia pensa a una raccolta di firme per chiedere il congresso anticipato del Pd: «Metteremo un banchetto anche a Pontassieve, sotto casa di Renzi». A Firenze l’11 e il 12 febbraio riunione dem organizzata da Cecilia Carmassi: «Complicato reggere liste blindate e la strategia annunciata da Renzi ».
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
MAL DE PANZA DEI FANTASMINI DELLA EX SINISTRA
Giuliano Pisapia: “Listone unico con Pd e Alfano? Un incubo. Non ne farei parte”
Politica
L'ex sindaco di Milano ha confermato il proprio no convinto a far parte di una sorta di coalizione con Renzi e i suoi alleati a destra: "Progetto irrealizzabile e folle da pensare"
di F. Q. | 27 gennaio 2017
commenti (212)
464
Più informazioni su: Angelino Alfano, Giuliano Pisapia, Matteo Renzi, Milano, PD
Lo ha detto ieri, lo ha ripetuto oggi: un listone unico con il Pd e Ncd di Alfano sarebbe un incubo e lui non farebbe mai parte di un simile progetto politico. Quel lui è Giuliano Pisapia, da molti indicato come il nome nuovo utile a convogliare i voti della sinistra delusa dal Pd renziano e quelli che non sono pienamente convinti da Sinistra Italiana. L’ex sindaco di Milano in passato aveva aperto a una possibile alleanza con Renzi, attirando su di sé gli strali di chi, all’interno di SI, non vuole sentir parlare di strategie comuni con l’ex Rottamatore. Pisapia, dal canto suo, non vede di buon occhio (eufemismo) gli alleati dell’ex premier: concetto espresso giovedì in un incontro pubblico col sindaco di Genova Doria e confermato con un tweet nel pomeriggio di oggi. “Per me, e non solo per me, sarebbe un incubo ed è folle solo pensarlo” ha detto Pisapia, che ha bollato il possibile listone con Renzi e Alfano come un progetto “irrealizzabile ed è folle pensarlo”. “Non so se Renzi pensi davvero a questo – ha spiegato l’ex primo cittadino di Milano – ma non lo penso io. Voglio un governo che faccia cose di sinistra in prospettiva guardando al paese e al futuro“.
Non si è fatta attendere la risposta del ministro degli Esteri: “No: zero assoluto. Io non soffro di incubi. Se ne ho avuto qualcuno, è stato migliore o peggiore ma non uguale a questo” ha scritto su Twitter Angelino Alfano rispondendo – come ha fatto Pisapia – ad Antonio Polito, che ha girato all’ex titolare del Viminale la stessa domanda rivolta all’exsindaco di Milano: “Ma lei ci starebbe in un listone unico con Renzi e Pisapia (il quale dice che per lui sarebbe un incubo?)”
Parole, quelle di Pisapia, che fanno seguito a quelle pronunciate nei giorni scorsi, quando in diverse occasioni ha spiegato il proprio punto di vista su alleanze, obiettivi e paletti del suo impegno politico. A partire dall’ipotesi di indire primarie all’interno del centrosinistra: Pisapia ha specificato che non si candiderà, ma “si metterà al servizio”. Alleanze? Anche in questo caso il confine per Pisapia è ben segnato: “L’alleanza non è tanto e non solo con il Pd ma con il civismo, le realtà locali che sono espressione di una comunità che vuole cambiare le sorti di questo Paese” ha detto l’ex sindaco, specificando che “il ‘campo‘ è l’obiettivo” e che “ora siamo in un cantiere in cui non è facile lavorare. Servono coesione e concretezza“.
Una concretezza che, per dirla in politichese, non significherà essere stampella di Matteo Renzi: “Io non ho fatto mai la stampella di nessuno, anche perché significa aiutare qualcuno che è in difficoltà a prescindere da quello che sta facendo” aveva detto Pisapia il 19 gennaio scorso, rimproverando a Renzi di guardare troppo a destra. La soluzione, invece, è strizzare l’occhio a sinistra, partendo intanto dalle amministrazioni di centrosinistra sul territorio. “Ci sono oltre 8000 comuni in Italia e gran parte di questi sono guidati dal centrosinistra – aveva osservato Pisapia – Possiamo partire da questa realtà per costruire qualcosa a livello nazionale“. La presenza e il ruolo del Pd, in tal senso, restano una condizione imprescindibile per la buona riuscita dell’iniziativa che, altrimenti, sarebbe irrealizzabile senza il Pd: “Rispetto ma non condivido chi a sinistra pensa che si possa cambiare il Paese senza il Pd, senza l’elettorato del Pd” aveva sottolineato Pisapia. Che in questi giorni ha ribadito il concetto e il suo no convinto a un listone unico con tutti dentro.
Giuliano Pisapia: “Listone unico con Pd e Alfano? Un incubo. Non ne farei parte”
Politica
L'ex sindaco di Milano ha confermato il proprio no convinto a far parte di una sorta di coalizione con Renzi e i suoi alleati a destra: "Progetto irrealizzabile e folle da pensare"
di F. Q. | 27 gennaio 2017
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Lo ha detto ieri, lo ha ripetuto oggi: un listone unico con il Pd e Ncd di Alfano sarebbe un incubo e lui non farebbe mai parte di un simile progetto politico. Quel lui è Giuliano Pisapia, da molti indicato come il nome nuovo utile a convogliare i voti della sinistra delusa dal Pd renziano e quelli che non sono pienamente convinti da Sinistra Italiana. L’ex sindaco di Milano in passato aveva aperto a una possibile alleanza con Renzi, attirando su di sé gli strali di chi, all’interno di SI, non vuole sentir parlare di strategie comuni con l’ex Rottamatore. Pisapia, dal canto suo, non vede di buon occhio (eufemismo) gli alleati dell’ex premier: concetto espresso giovedì in un incontro pubblico col sindaco di Genova Doria e confermato con un tweet nel pomeriggio di oggi. “Per me, e non solo per me, sarebbe un incubo ed è folle solo pensarlo” ha detto Pisapia, che ha bollato il possibile listone con Renzi e Alfano come un progetto “irrealizzabile ed è folle pensarlo”. “Non so se Renzi pensi davvero a questo – ha spiegato l’ex primo cittadino di Milano – ma non lo penso io. Voglio un governo che faccia cose di sinistra in prospettiva guardando al paese e al futuro“.
Non si è fatta attendere la risposta del ministro degli Esteri: “No: zero assoluto. Io non soffro di incubi. Se ne ho avuto qualcuno, è stato migliore o peggiore ma non uguale a questo” ha scritto su Twitter Angelino Alfano rispondendo – come ha fatto Pisapia – ad Antonio Polito, che ha girato all’ex titolare del Viminale la stessa domanda rivolta all’exsindaco di Milano: “Ma lei ci starebbe in un listone unico con Renzi e Pisapia (il quale dice che per lui sarebbe un incubo?)”
Parole, quelle di Pisapia, che fanno seguito a quelle pronunciate nei giorni scorsi, quando in diverse occasioni ha spiegato il proprio punto di vista su alleanze, obiettivi e paletti del suo impegno politico. A partire dall’ipotesi di indire primarie all’interno del centrosinistra: Pisapia ha specificato che non si candiderà, ma “si metterà al servizio”. Alleanze? Anche in questo caso il confine per Pisapia è ben segnato: “L’alleanza non è tanto e non solo con il Pd ma con il civismo, le realtà locali che sono espressione di una comunità che vuole cambiare le sorti di questo Paese” ha detto l’ex sindaco, specificando che “il ‘campo‘ è l’obiettivo” e che “ora siamo in un cantiere in cui non è facile lavorare. Servono coesione e concretezza“.
Una concretezza che, per dirla in politichese, non significherà essere stampella di Matteo Renzi: “Io non ho fatto mai la stampella di nessuno, anche perché significa aiutare qualcuno che è in difficoltà a prescindere da quello che sta facendo” aveva detto Pisapia il 19 gennaio scorso, rimproverando a Renzi di guardare troppo a destra. La soluzione, invece, è strizzare l’occhio a sinistra, partendo intanto dalle amministrazioni di centrosinistra sul territorio. “Ci sono oltre 8000 comuni in Italia e gran parte di questi sono guidati dal centrosinistra – aveva osservato Pisapia – Possiamo partire da questa realtà per costruire qualcosa a livello nazionale“. La presenza e il ruolo del Pd, in tal senso, restano una condizione imprescindibile per la buona riuscita dell’iniziativa che, altrimenti, sarebbe irrealizzabile senza il Pd: “Rispetto ma non condivido chi a sinistra pensa che si possa cambiare il Paese senza il Pd, senza l’elettorato del Pd” aveva sottolineato Pisapia. Che in questi giorni ha ribadito il concetto e il suo no convinto a un listone unico con tutti dentro.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
NOTIZIE DALL'OBITORIO CHIAMATO PD
Caos Pd, Emiliano attacca: "Congresso a tutti i costi". Renziani insorgono: "Legga lo statuto"
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14 ore fa
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Il duello sul voto anticipato rilanciato dall'intervento di ieri di Renzi infiamma il Pd. Alle parole di D'Alema nel lanciare una nuova fase che avvia alla scissione il suo neonato movimento Consenso ("Elezioni? E allora liberi tutti") oggi fanno eco quelle del governatore della Puglia Michele Emiliano: "Si può perfino arrivare alle carte bollate per obbligarlo a fare il Congresso. Consiglio vivamente al segretario di iniziare immediatamente la procedura per il congresso perché se non lo fa è in una tale difficoltà politica che rischia di uscirne assolutamente azzerato come soggetto legittimato a guidare il partito. E a quel punto - aggiunge - mi auguro ci possa essere una unica candidatura alternativa a quella del segretario uscente, e se io capisco che questa candidatura può essere utile e incarnata da me, non ho nessun problema".
Parole che hanno gettato benzina sul fuoco. Raffica di repliche dalla compagine renziana che guida il Pd. Il congresso è per dicembre - dicono tutti, in sostanza - come pensa Emiliano di spostarlo? Lo dice a botta calda Ernesto Carbone, menbrodella segreteria: "Caro Emiliano a norma di statuto il congresso del Pd si tiene a dicembre. Sarebbe buona norma sapere come funzionano le regole prima di parlare". E apre il fuoco. Il presidente della commissione nazionale di garanzia Dal Moro aggiunge: "Le parole di Emiliano non sono accettabili, perché demoliscono le regole di vita democratica del nostro partito". E infine arriva il vicesegretario del Pd Guerini: "L'unico che non rispetta lo Statuto è chi non lo legge. Le regole sono chiare: il congresso viene convocato dall'assemblea nazionale, non dal segretario e va fatto, secondo l'art. 5 dello Statuto del nostro partito, nel dicembre 2017. Invito quindi a smetterla con inutili polemiche fondate sul nulla o su mistificazioni delle regole del nostro partito". E, a sera, si aggiunge una laconica dichiarazione del presidente del Pd Matteo Orfini: "Mi auguro che l'Emiliano magistrato conosca la legge meglio di come l'Emiliano politico conosce lo statuto del suo partito".
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Parole che hanno gettato benzina sul fuoco. Raffica di repliche dalla compagine renziana che guida il Pd. Il congresso è per dicembre - dicono tutti, in sostanza - come pensa Emiliano di spostarlo? Lo dice a botta calda Ernesto Carbone, menbrodella segreteria: "Caro Emiliano a norma di statuto il congresso del Pd si tiene a dicembre. Sarebbe buona norma sapere come funzionano le regole prima di parlare". E apre il fuoco. Il presidente della commissione nazionale di garanzia Dal Moro aggiunge: "Le parole di Emiliano non sono accettabili, perché demoliscono le regole di vita democratica del nostro partito". E infine arriva il vicesegretario del Pd Guerini: "L'unico che non rispetta lo Statuto è chi non lo legge. Le regole sono chiare: il congresso viene convocato dall'assemblea nazionale, non dal segretario e va fatto, secondo l'art. 5 dello Statuto del nostro partito, nel dicembre 2017. Invito quindi a smetterla con inutili polemiche fondate sul nulla o su mistificazioni delle regole del nostro partito". E, a sera, si aggiunge una laconica dichiarazione del presidente del Pd Matteo Orfini: "Mi auguro che l'Emiliano magistrato conosca la legge meglio di come l'Emiliano politico conosce lo statuto del suo partito".
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Magaldi: “grazie” a Trump risorgerà una sinistra autentica
Scritto il 31/1/17 • nella Categoria: idee Condividi
«Io sono contro tutti i muri, ma non mettiamo in croce Donald Trump: ricordiamoci che quel muro alla frontiera col Messico esisteva già». Gioele Magaldi, esponente italiano della massoneria progressista internazionale, indossa altre “lenti” per valutare i primissimi passi del nuovo inquilino della Casa Bianca. Premessa: «Chi lo attacca è in malafede, oppure ha scambiato per “sinistra” la politica dei Clinton e di Obama». Di fatto, dice Magaldi a “Colors Radio”, un paio di ottime cose “The Donald” le ha già fatte: «Intanto ha tolto di mezzo Jeb Bush, cioè la prosecuzione della narrazione del mondo in salsa terroristica. E poi ha intimato l’alt all’espansione di potere della Cina, che è un colosso retto dalla nomenklatura “fasciocomunista” messa in piedi da Henry Kissinger». Per Magaldi, il maggior risultato strategico del controverso Capitan Fracassa insediato a Washington sarà un “regalo” indiretto alla sinistra, quella vera, oggi ancora dormiente: solo grazie al duro confronto con Trump, sostiene l’autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, potrà finalmente emergere una nuova dirigenza politica progressista, consapevole del fatto che «l’unica ideologia non ancora pienamente realizzata è proprio la democrazia».
Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt ispirato alla politica keynesiana (lo Stato che investe, promuendo benessere diffuso), ha abituato il suo pubblico a declinare gli scenari geopolitici tenendo conto del «back office del potere» che, sostiene, è interamente massonico, gestito da 36 superlogge internazionali (Ur-Lodges), che a loro volta utilizzano entità “paramassoniche” (Trilaterale, Bilderberg, Fmi e Banca Mondiale, think-tanks) per imporre i loro diktat ai governi eletti, svuotandoli in tal modo di legittimità e riducendo la democrazia a mero esercizio elettorale, sempre più inutile, di fronte alla mancanza di vere alternative al pensiero unico neoliberista, che è fondato sull’austerity per tutti, tranne che per l’élite finanziaria. Dalla politica economica alla geopolitica, per Magaldi tutto si tiene: Jeb Bush è esponente della pericolosa Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, ritenuta “incubatrice” della strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre alla creazione dell’Isis. «Bene ha fatto, la massoneria americana progressista, ad appoggiare Trump alle primarie repubblicane: un gioco certamente spregiudicato, che ha però contribuito a togliere di mezzo quello che sarebbe stato un continuatore degli orrori che hanno destabilizzato il pianeta negli ultimi anni».
Magaldi vede poi la longa manus di un’altra “Ur-Lodge” di destra, la “Three Eyes”, nella “fabbricazione in vitro” della nuova Cina, ad economia capitalista ma retta in modo autoritario dal partito unico: «Operazione progettata da Kissinger, autorevole esponente della “Three Eyes”», che pilotò la svolta del “fratello” Deng Xiaoping verso l’economia di mercato, sottoposta però al rigidissimo controllo del regime. Donald Trump? «Vedremo che altro farà, ora, ma non processiamolo prima del tempo». Finirà per usare il suo nuovo potere per diventare ancora più ricco? Magaldi non lo crede: «Ormai è calato nella parte dello statista, la “roba” se l’è lasciata alle spalle». Non come Berlusconi, da più parti definito un “Trump italiano” ante litteram: «Silvio non è mai riuscito a staccarsi dalle sue aziende, Trump sarà più libero di agire». Più che di un “Trump italiano”, secondo Magaldi, il nostro paese ha bisogno di un vero leader di sinistra, autenticamente liberalsocialista e di spessore, non certo alla Renzi. Magaldi giudica «prolifico» il dibattito in corso nel Pd, fatta eccezione per «quel bel tomo di D’Alema, che governò con una spruzzatina di sinistra per abbellire il suo sostanziale neoliberismo di destra fondato sulle privatizzazioni, sulla scorta delle “terze vie” dei vari Clinton e Blair». Merita attenzione chi oggi critica Renzi “da sinistra”, «purché si evitino certe ipocrisie: i vari Bersani votarono tutte le porcherie del governo Monti».
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Magaldi: “grazie” a Trump risorgerà una sinistra autentica
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«Io sono contro tutti i muri, ma non mettiamo in croce Donald Trump: ricordiamoci che quel muro alla frontiera col Messico esisteva già». Gioele Magaldi, esponente italiano della massoneria progressista internazionale, indossa altre “lenti” per valutare i primissimi passi del nuovo inquilino della Casa Bianca. Premessa: «Chi lo attacca è in malafede, oppure ha scambiato per “sinistra” la politica dei Clinton e di Obama». Di fatto, dice Magaldi a “Colors Radio”, un paio di ottime cose “The Donald” le ha già fatte: «Intanto ha tolto di mezzo Jeb Bush, cioè la prosecuzione della narrazione del mondo in salsa terroristica. E poi ha intimato l’alt all’espansione di potere della Cina, che è un colosso retto dalla nomenklatura “fasciocomunista” messa in piedi da Henry Kissinger». Per Magaldi, il maggior risultato strategico del controverso Capitan Fracassa insediato a Washington sarà un “regalo” indiretto alla sinistra, quella vera, oggi ancora dormiente: solo grazie al duro confronto con Trump, sostiene l’autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata”, potrà finalmente emergere una nuova dirigenza politica progressista, consapevole del fatto che «l’unica ideologia non ancora pienamente realizzata è proprio la democrazia».
Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt ispirato alla politica keynesiana (lo Stato che investe, promuendo benessere diffuso), ha abituato il suo pubblico a declinare gli scenari geopolitici tenendo conto del «back office del potere» che, sostiene, è interamente massonico, gestito da 36 superlogge internazionali (Ur-Lodges), che a loro volta utilizzano entità “paramassoniche” (Trilaterale, Bilderberg, Fmi e Banca Mondiale, think-tanks) per imporre i loro diktat ai governi eletti, svuotandoli in tal modo di legittimità e riducendo la democrazia a mero esercizio elettorale, sempre più inutile, di fronte alla mancanza di vere alternative al pensiero unico neoliberista, che è fondato sull’austerity per tutti, tranne che per l’élite finanziaria. Dalla politica economica alla geopolitica, per Magaldi tutto si tiene: Jeb Bush è esponente della pericolosa Ur-Lodge “Hathor Pentalpha”, ritenuta “incubatrice” della strategia della tensione internazionale, dall’11 Settembre alla creazione dell’Isis. «Bene ha fatto, la massoneria americana progressista, ad appoggiare Trump alle primarie repubblicane: un gioco certamente spregiudicato, che ha però contribuito a togliere di mezzo quello che sarebbe stato un continuatore degli orrori che hanno destabilizzato il pianeta negli ultimi anni».
Magaldi vede poi la longa manus di un’altra “Ur-Lodge” di destra, la “Three Eyes”, nella “fabbricazione in vitro” della nuova Cina, ad economia capitalista ma retta in modo autoritario dal partito unico: «Operazione progettata da Kissinger, autorevole esponente della “Three Eyes”», che pilotò la svolta del “fratello” Deng Xiaoping verso l’economia di mercato, sottoposta però al rigidissimo controllo del regime. Donald Trump? «Vedremo che altro farà, ora, ma non processiamolo prima del tempo». Finirà per usare il suo nuovo potere per diventare ancora più ricco? Magaldi non lo crede: «Ormai è calato nella parte dello statista, la “roba” se l’è lasciata alle spalle». Non come Berlusconi, da più parti definito un “Trump italiano” ante litteram: «Silvio non è mai riuscito a staccarsi dalle sue aziende, Trump sarà più libero di agire». Più che di un “Trump italiano”, secondo Magaldi, il nostro paese ha bisogno di un vero leader di sinistra, autenticamente liberalsocialista e di spessore, non certo alla Renzi. Magaldi giudica «prolifico» il dibattito in corso nel Pd, fatta eccezione per «quel bel tomo di D’Alema, che governò con una spruzzatina di sinistra per abbellire il suo sostanziale neoliberismo di destra fondato sulle privatizzazioni, sulla scorta delle “terze vie” dei vari Clinton e Blair». Merita attenzione chi oggi critica Renzi “da sinistra”, «purché si evitino certe ipocrisie: i vari Bersani votarono tutte le porcherie del governo Monti».
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Sondaggi elettorali, D’Alema al 14% e Pd ‘diviso’ al 22%. Nessun partito sopra la soglia del 40%
Secondo la rilevazione di Ipr e Tecné per Porta a Porta, se si votasse oggi il sindaco di Roma Virginia Raggi non vincerebbe più il ballottaggio
di F. Q. | 31 gennaio 2017
Propositi smentiti, sia in senso negativo che in senso positivo. Perché a leggere gli ultimi sondaggi di Ipr e Tecnè per Porta a Porta né Renzi né il suo nuovo vecchio avversario D’Alema raccoglierebbero i voti che credono di poter raccogliere. Il segretario del Pd, innanzitutto: è lontanissimo dal 40% che è convinto di valere ancora nelle urne nonostante la batosta del referendum costituzionale. L’unica mezza buona notizia per l’ex premier è che nessun partito, ad oggi, da solo raggiungerebbe la soglia per poter governare. Discorso assai simile, inoltre, anche nell’ipotesi di alleanze e coalizioni più o meno fantasiose. A far da contraltare, però, ci sono i consensi che raccoglierebbe Massimo D’Alema: l’11% per Ipr, il 14% per Tecné. In entrambi i casi, sopra quel 10% che il politico di origine pugliese prospettava come apice del consenso per il nuovo progetto politico. E il Partito democratico? Senza D’Alema e il resto della minoranza dem si attesterebbe intorno a un misero 22%. Previsione a dir poco nefasta, come quella che riguarda il sindaco di Roma Virginia Raggi: se si tornasse a votare oggi, il primo cittadino del M5s non avrebbe più la maggioranza al ballottaggio.
SE SI VOTASSE OGGI NON VINCEREBBE NESSUNO – A leggere il sondaggio di Ipr per Porta a Porta, se si votasse oggi il Pd e M5S risulterebbero alla pari a Montecitorio: entrambi si fermerebbero al 30% (191 seggi ciascuno), seguiti da Lega al 13% (83 seggi), Forza Italia al 12% (76 seggi), Fratelli d’Italia al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3,5% (22 seggi), Nuovo centrodestra al 3% (19 seggi), Udc all’1 % (nessun seggio). Per l’istituto Tecné, invece, il M5S ottiene il 30,5% (194 seggi), il PD il 29% (184 seggi), la Lega e FI il 13% (83 seggi ciascuno), FDI al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3% (19 seggi), Area Popolare 3% (19 seggi), altri 3.5% (4 seggi), Circ. Estero (12 seggi). Nessuna maggioranza politica avrebbe i numeri per governare (316 quella numerica – 340/350 seggi quella operativa). Ipr e Tecné, inoltre, fanno tre ipotesi di alleanze, ma nessuna maggioranza politica avrebbe comunque i numeri per governare (316 quella numerica – 340/350 seggi quella operativa). La prima ipotesi vede il PD insieme agli altri partiti del governo attuale, agli autonomisti e ai 5 seggi estero: per Ipr prenderebbe 219 seggi, per Tecné 212. Nella seconda ipotesi, il Pd è in coalizione con gli altri partiti del governo attuale, con Forza Italia, con gli autonomisti e con 10 seggi esteri: per Ipr prenderebbe 309 seggi, per Tecné 297. La terza ipotesi, infine, vede M5s con Lega, Fratelli d’Italia e due seggi esteri: per Ipr raggiungerebbe quota 308 seggi, per Tecné 297. Anche nel caso di partiti uniti in listoni, inoltre, non si raggiungerebbe alcuna maggioranza in grado di governare. Il listone centro sinistra Pd+Ncd+Sc+Idv+Si+altri otterrebbe il 36% dei voti con 227 seggi (Ipr), 32% con 201 seggi (Tecné). Il listone di Centro destra Fi+Lelga+Fdi+Udc+altri otterrebbe il 31,5% con 198 seggi (IPR), 32,5% con 205 seggi (Tecné). La lista M5S da sola sarebbe al 30% con 189 seggi (IPR), 33% con 208 seggi (Tecné).
IL PD CON O SENZA D’ALEMA – Se si presentasse una lista scissionista di sinistra a guida D’Alema-Bersani, per Ipr il Pd si fermerebbe al 22% con 141 seggi, mentre la nuova forza dalemiana raggiungerebbe l’11% con 71 seggi. In tal caso M5S sarebbe al 29,5% con 190 seggi, la Lega al 13% con 77 seggi, Fi al 12% con 32 seggi, Ncd 3% con 19 seggi. Diverso il sondaggio registrato da Tecné: M5S 28% e 179 seggi, Pd senza sinistra 20% e 128 seggi, sinistra con minoranza Pd ormai scissa 14% e 90 seggi, Lega e Fi 13% con 83 seggi ciascuno, Fdi 5% e 32 seggi, Area popolare 3% e 19 seggi. Per il 53% degli italiani (54% per Tecné) sarebbe meglio andare alle elezioni subito con le leggi elettorali modificate dalla Consulta.
ROMA, LA RAGGI NON VINCEREBBE IL BALLOTTAGGIO – Virginia Raggi oggi non avrebbe più la maggioranza dei voti al ballottaggio. E’ quanto emerge dalla rilevazione Ipr e Tecné sempre per Porta a Porta. I due istituti hanno sondato il consenso al sindaco di Roma Virginia Raggi: solo il 43% Ipr (41% per Tecné) voterebbe ancora la Raggi al ballottaggio, mentre il 57% per Ipr e il 54% per Tecné non la voterebbe. La percentuale di voti ottenuti dalla Raggi al ballottaggio fu del 67%.
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In una situazione simile il M5S diventa il primo partito e potrebbe chiedere a Mattarella l'incarico per governare con un governo di minoranza. Potrebbe mettere un programma delle cose condivisibili.
Se questo fantomatico partito fosse veramente di sinistra bisognerebbe capire cosa intende fare e con chi ? SI , POSSIBILE, VERDI , ALTRI ?
Sondaggi elettorali, D’Alema al 14% e Pd ‘diviso’ al 22%. Nessun partito sopra la soglia del 40%
Secondo la rilevazione di Ipr e Tecné per Porta a Porta, se si votasse oggi il sindaco di Roma Virginia Raggi non vincerebbe più il ballottaggio
di F. Q. | 31 gennaio 2017
Propositi smentiti, sia in senso negativo che in senso positivo. Perché a leggere gli ultimi sondaggi di Ipr e Tecnè per Porta a Porta né Renzi né il suo nuovo vecchio avversario D’Alema raccoglierebbero i voti che credono di poter raccogliere. Il segretario del Pd, innanzitutto: è lontanissimo dal 40% che è convinto di valere ancora nelle urne nonostante la batosta del referendum costituzionale. L’unica mezza buona notizia per l’ex premier è che nessun partito, ad oggi, da solo raggiungerebbe la soglia per poter governare. Discorso assai simile, inoltre, anche nell’ipotesi di alleanze e coalizioni più o meno fantasiose. A far da contraltare, però, ci sono i consensi che raccoglierebbe Massimo D’Alema: l’11% per Ipr, il 14% per Tecné. In entrambi i casi, sopra quel 10% che il politico di origine pugliese prospettava come apice del consenso per il nuovo progetto politico. E il Partito democratico? Senza D’Alema e il resto della minoranza dem si attesterebbe intorno a un misero 22%. Previsione a dir poco nefasta, come quella che riguarda il sindaco di Roma Virginia Raggi: se si tornasse a votare oggi, il primo cittadino del M5s non avrebbe più la maggioranza al ballottaggio.
SE SI VOTASSE OGGI NON VINCEREBBE NESSUNO – A leggere il sondaggio di Ipr per Porta a Porta, se si votasse oggi il Pd e M5S risulterebbero alla pari a Montecitorio: entrambi si fermerebbero al 30% (191 seggi ciascuno), seguiti da Lega al 13% (83 seggi), Forza Italia al 12% (76 seggi), Fratelli d’Italia al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3,5% (22 seggi), Nuovo centrodestra al 3% (19 seggi), Udc all’1 % (nessun seggio). Per l’istituto Tecné, invece, il M5S ottiene il 30,5% (194 seggi), il PD il 29% (184 seggi), la Lega e FI il 13% (83 seggi ciascuno), FDI al 5% (32 seggi), Sinistra Italiana al 3% (19 seggi), Area Popolare 3% (19 seggi), altri 3.5% (4 seggi), Circ. Estero (12 seggi). Nessuna maggioranza politica avrebbe i numeri per governare (316 quella numerica – 340/350 seggi quella operativa). Ipr e Tecné, inoltre, fanno tre ipotesi di alleanze, ma nessuna maggioranza politica avrebbe comunque i numeri per governare (316 quella numerica – 340/350 seggi quella operativa). La prima ipotesi vede il PD insieme agli altri partiti del governo attuale, agli autonomisti e ai 5 seggi estero: per Ipr prenderebbe 219 seggi, per Tecné 212. Nella seconda ipotesi, il Pd è in coalizione con gli altri partiti del governo attuale, con Forza Italia, con gli autonomisti e con 10 seggi esteri: per Ipr prenderebbe 309 seggi, per Tecné 297. La terza ipotesi, infine, vede M5s con Lega, Fratelli d’Italia e due seggi esteri: per Ipr raggiungerebbe quota 308 seggi, per Tecné 297. Anche nel caso di partiti uniti in listoni, inoltre, non si raggiungerebbe alcuna maggioranza in grado di governare. Il listone centro sinistra Pd+Ncd+Sc+Idv+Si+altri otterrebbe il 36% dei voti con 227 seggi (Ipr), 32% con 201 seggi (Tecné). Il listone di Centro destra Fi+Lelga+Fdi+Udc+altri otterrebbe il 31,5% con 198 seggi (IPR), 32,5% con 205 seggi (Tecné). La lista M5S da sola sarebbe al 30% con 189 seggi (IPR), 33% con 208 seggi (Tecné).
IL PD CON O SENZA D’ALEMA – Se si presentasse una lista scissionista di sinistra a guida D’Alema-Bersani, per Ipr il Pd si fermerebbe al 22% con 141 seggi, mentre la nuova forza dalemiana raggiungerebbe l’11% con 71 seggi. In tal caso M5S sarebbe al 29,5% con 190 seggi, la Lega al 13% con 77 seggi, Fi al 12% con 32 seggi, Ncd 3% con 19 seggi. Diverso il sondaggio registrato da Tecné: M5S 28% e 179 seggi, Pd senza sinistra 20% e 128 seggi, sinistra con minoranza Pd ormai scissa 14% e 90 seggi, Lega e Fi 13% con 83 seggi ciascuno, Fdi 5% e 32 seggi, Area popolare 3% e 19 seggi. Per il 53% degli italiani (54% per Tecné) sarebbe meglio andare alle elezioni subito con le leggi elettorali modificate dalla Consulta.
ROMA, LA RAGGI NON VINCEREBBE IL BALLOTTAGGIO – Virginia Raggi oggi non avrebbe più la maggioranza dei voti al ballottaggio. E’ quanto emerge dalla rilevazione Ipr e Tecné sempre per Porta a Porta. I due istituti hanno sondato il consenso al sindaco di Roma Virginia Raggi: solo il 43% Ipr (41% per Tecné) voterebbe ancora la Raggi al ballottaggio, mentre il 57% per Ipr e il 54% per Tecné non la voterebbe. La percentuale di voti ottenuti dalla Raggi al ballottaggio fu del 67%.
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In una situazione simile il M5S diventa il primo partito e potrebbe chiedere a Mattarella l'incarico per governare con un governo di minoranza. Potrebbe mettere un programma delle cose condivisibili.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Civati: "Vittoria di Hamon in Francia deve far riflettere la sinistra italiana"
Il fondatore di Possibile apre a un confronto con Emiliano e D'Alema
Il fondatore di Possibile apre a un confronto con Emiliano e D'Alema
di GIOVANNA CASADIO R.IT
31 gennaio 2017
Pippo Civati, a sorpresa in Francia alla primarie socialiste vince le “petit Ben”, Benoît Hamon; la sinistra più radicale. Anche in Italia la gauche può risollevare la testa?
"La camicia bianca socia di Renzi Manuel Valls ha perso e ha perso anche per responsabilità di Hollande, che aveva fatto una politica molto moderata rispetto a una campagna elettorale molto di sinistra, quindi un tradimento. In Francia poi sono due le sinistre, Hamon e quella di Mélenchon. Hamon non era favorito, non era scontato. La sua vittoria deve essere l’occasione di un’ampia riflessione nella sinistra italiana".
Ma lei, che è uscito dal Pd e ha fondato Possibile, parteciperebbe alle primarie del centrosinistra?
“Ma la partecipazione di Hamon parte da una rinuncia, cioè quella di Hollande. Se Renzi si ritirasse, come ha fatto Hollande…intendo dire se le politiche renziane fossero messe da parte, se ci fosse una presa di distanza dalla distruzione del centrosinistra, dalla mortificazione della politica economica e sociale, allora cambierebbe tutto. Ma se il Pd prosegue con lo stesso programma, amen".
Quindi resta fuori dal confronto con il Pd?
"Non ha nessun senso fare questa discussione. Quando Michele Emiliano dice: “Sono mille giorni di nulla quelli di Renzi”, allora dica che non gli interessa più stare dentro il Pd. Sono due partiti diversi".
Il modello francese può valere anche per l’Italia?
"In Italia la differenza fondamentale sta nel fatto che sono cresciuti i 5Stelle. L’insegnamento che però viene dalla Francia è che bisogna partire da grandi sfide politiche e dalle questioni sociali disattese in questi anni. Senza
avere paura di dire cose radicali, perché radicale è la paura, la preoccupazione e l’incertezza. Sfido Emiliano e D’Alema a organizzare una politica più che un’alleanza. E li invito alla tre giorni che organizziamo a Roma a inizio marzo".
Il fondatore di Possibile apre a un confronto con Emiliano e D'Alema
Il fondatore di Possibile apre a un confronto con Emiliano e D'Alema
di GIOVANNA CASADIO R.IT
31 gennaio 2017
Pippo Civati, a sorpresa in Francia alla primarie socialiste vince le “petit Ben”, Benoît Hamon; la sinistra più radicale. Anche in Italia la gauche può risollevare la testa?
"La camicia bianca socia di Renzi Manuel Valls ha perso e ha perso anche per responsabilità di Hollande, che aveva fatto una politica molto moderata rispetto a una campagna elettorale molto di sinistra, quindi un tradimento. In Francia poi sono due le sinistre, Hamon e quella di Mélenchon. Hamon non era favorito, non era scontato. La sua vittoria deve essere l’occasione di un’ampia riflessione nella sinistra italiana".
Ma lei, che è uscito dal Pd e ha fondato Possibile, parteciperebbe alle primarie del centrosinistra?
“Ma la partecipazione di Hamon parte da una rinuncia, cioè quella di Hollande. Se Renzi si ritirasse, come ha fatto Hollande…intendo dire se le politiche renziane fossero messe da parte, se ci fosse una presa di distanza dalla distruzione del centrosinistra, dalla mortificazione della politica economica e sociale, allora cambierebbe tutto. Ma se il Pd prosegue con lo stesso programma, amen".
Quindi resta fuori dal confronto con il Pd?
"Non ha nessun senso fare questa discussione. Quando Michele Emiliano dice: “Sono mille giorni di nulla quelli di Renzi”, allora dica che non gli interessa più stare dentro il Pd. Sono due partiti diversi".
Il modello francese può valere anche per l’Italia?
"In Italia la differenza fondamentale sta nel fatto che sono cresciuti i 5Stelle. L’insegnamento che però viene dalla Francia è che bisogna partire da grandi sfide politiche e dalle questioni sociali disattese in questi anni. Senza
avere paura di dire cose radicali, perché radicale è la paura, la preoccupazione e l’incertezza. Sfido Emiliano e D’Alema a organizzare una politica più che un’alleanza. E li invito alla tre giorni che organizziamo a Roma a inizio marzo".
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
POLTRONISSIMA.......LA GUERRA DEI FANTASMI
Pd, dopo D’Alema anche Bersani evoca la scissione: “Parlerò con Renzi ma non minaccio e non garantisco nulla”
Politica
"A Matteo Renzi, porrò delle questioni politiche e sentirò la risposta perché a questo punto, nulla è più scontato", dice l'ex segretario che per la prima volta vuole mantenersi aperte tutte le strade. Ieri era stato D'Alema a minacciare la creazione di una sua lista alle prossime politiche, che secondo i sondaggi sfonderebbe il muro del 10%. I leader della sinistra Pd però non vogliono la frattura. Cuperlo: "Sarebbe un riflesso fuori tempo di un errore antico" ma il partito "per molti versi è già esploso". Fassino: "Farebbe vincere i 5 Stelle". Emiliano e Rossi chiedono congresso
di F. Q. | 31 gennaio 2017
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Più informazioni su: Gianni Cuperlo, Matteo Renzi, Michele Emiliano, PD, Pier Luigi Bersani
Una scissione all’interno del Partito democratico? “Non minaccio nulla e non garantisco nulla”. Parola di Pier Luigi Bersani, che in questo modo risponde alla Camera a chi gli chiede di una possibile spaccatura tra i dem. Una risposta che ha come effetto quello di gettare benzina sul dibattito interno al Pd. E che arriva al culmine di giorni caratterizzati da tensioni sempre più forti tra le fila del partito. Ieri Massimo D’Alema aveva evocato la scissione minacciando la creazione di una sua lista alle prossime politiche. Lista che già oggi secondo i sondaggi sfonderebbe il muro del 10%. Si posiziona sulla stessa lunghezza d’onda di D’Alema, il governatore della Puglia Michele Emiliano che dopo aver sfidato Matteo Renzi a distanza adesso lancia la sua campagna per chiedere il congresso, mentre Gianni Cuperlo definisce il Pd un partito “per molti versi già esploso“. Piero Fassino, da parte sua, sottolinea che una possibile scissione tra i dem porterebbe solo al “successo del Movimento 5 Stelle“.
Bersani evoca scissione: “Nulla è scontato” –
Le acque insomma non accennano a calmarsi dalle parti del Nazareno, dove la novità sostanziale è appunto rappresentata dall’enigmatica risposta con tanto di doppia negazione dell’ex segretario sull’ipotesi scissione. “A Matteo Renzi, – spiega Bersani – porrò delle questioni politiche e sentirò la risposta”. Che tipo di questioni? “Sul nodo della legge elettorale e sul futuro del Pd, perché, a questo punto, nulla è più scontato. Scissione o battaglia all’interno del partito? Non prometto e non garantisco nulla”, dice l’ex segretario, che poi puntualizza: “C’è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io solleverò delle questioni su questo oggetto qui. Poi ascolterò la risposta e mi regolerò”. Insomma il leader della minoranza interna conferma tutte le sue perplessità verso la linea renziana improntata chiaramente sulla corsa al voto, sottolinea l’esigenza di fare prima una buona legge elettorale, ma stavolta non esclude nulla, neanche una possibile rottura. In questo senso continua a insistere sulla necessità di avviare il percorso congressuale. Un passaggio a suo modo storico visto che l’ex segretario sembra per la prima volta volersi tenere aperte tutte le strade. Fino ad ora, invece, i bersaniani avevano sempre garantito di voler fare una battaglia interna al partito, escludendo sempre a priori l’ipotesi di una possibile scissione.
D’Alema: “Scissione? Senza congresso la farebbe Renzi” –
D’altra parte aveva parlato di rottura appena 24 ore fa lo stesso D’Alema, mettendo nel mirino la medesima voglia di urne di Renzi, che non piace neanche a Bersani. “Se si va alle elezioni, si va con la proporzionale semplice. Lo ritengo irresponsabile e ho fatto delle proposte che non sono la scissione. Ho proposto che si discuta seriamente una nuova legge elettorale, che non sia la proporzionale semplice ma aiuti la governabilità. Una legge elettorale che favorisca la governabilità senza gli eccessi dell’Italicum: andrebbe negoziata e questo richiederebbe tempo. A nessuna di queste proposte si è risposto: solo insulti e dichiarazioni demonizzatrici. Che razza di partito è questo?”, si è sfogato l’ex premier a Carta Bianca su Rai3, citando poi gli altri due leader che si sembrano condividere le sue stesse posizioni: “Ha detto bene Emiliano sul congresso. Quando segretario era Bersani, Renzi volle le primarie che non erano neanche previste dallo statuto e si fecero. Ora chiediamo un congresso: è normale”. E proprio replicando al governatore pugliese i leader della maggioranza renziana – il vicesegretario Lorenzo Guerini su tutti – avevano ricordato che “il congresso viene convocato dall’assemblea nazionale, non dal segretario, e va fatto, secondo l’art. 5 dello statuto del nostro partito, nel dicembre 2017″.
Ipotesi che per D’Alema è impraticabile e porterebbe alla rottura.
. Penso che una parte uscirebbe, forse non una maggioranza”, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio sottolineando che “ci sono per esempio tra i tre e i cinque milioni di elettori della sinistra che non votano più per il Pd, quelli si sono già scissi. Già l’obiettivo di recuperarli avrebbe un non irrilevante valore”. Per D’Alema, tra l’altro, “se nella sinistra si formerà un nuovo partito sicuramente supererà il 10 % dei voti. Lo dico perché ho fatto fare delle ricerche“. E infatti poche ore dopo ecco che i sondaggi confermano la previsione dell’ex leader dei Ds: per Ipr un partito nato dalla scissione di D’Alema prenderebbe l’11%, per Tecné. arriverebbe addirittura al 14%.
Sinistra dem: “Scissione? Porterebbe a successo M5s” –
L’ipotesi scissione, però, viene bocciata dagli esponenti della sinistra Pd: non solo dagli alleati della corrente renziana, ma anche da quelli più laici. “Chi conosce minimamente la storia della sinistra sa che le scissioni non hanno mai portato lontano. Ce n’è stata solo una che ha funzionato ma che portava a una grande Rivoluzione internazionale. Ma non mi pare che in questo momento ci siano prese del palazzo d’Inverno”, ha detto il guardasigilli Andrea Orlando. Simile il commento di Orfini, secondo il “Senza un congresso sarà Renzi che farà la scissione, che imporrà una frattura: è normalequale “la storia della sinistra è piena di scissioni che non hanno portato quasi mai bene agli scissionisti”. Contro una divisione anche Piero Fassino, che sottolinea come “qualsiasi scissione del Pd” voglia dire “consegnare il Paese ad altri ed aprire un’autostrada ad un eventuale successo del M5S“. Più neutro il commento di Gianni Cuperlo che bolla come “riflesso fuori tempo di un errore antico” la proposta di spaccatura, ma sottolinea che il Pd “per molti versi è già esploso” perché “è pazzesca la scelta di chi avendo tutto il potere nelle mani non ha fatto quasi nulla per provare a unire il suo campo e il suo partito”.
Intanto al Nazareno cominciano ad arrivare istanze da parte del territori per varare un percorso congressuale prima della naturale scadenza del mandato del segretario, come chiesto da D’Alema e Bersani. “Una petizione per chiedere il Congresso straordinario. Non si può andare alle elezioni senza averlo fatto”, ha scritto ieri su facebook Enrico Rossi, presidente della regione Toscana. Ventiquattro ore dopo è stato il turno di Emiliano, che sempre dai social network ha lanciato il suo portale per raccogliere le firme e chiedere a Renzi di varare il congresso. In attesa di capire quando e con che legge il Paese sarà nuovamente chiamato alle urne, la campagna interna ai dem è già cominciata.
Pd, dopo D’Alema anche Bersani evoca la scissione: “Parlerò con Renzi ma non minaccio e non garantisco nulla”
Politica
"A Matteo Renzi, porrò delle questioni politiche e sentirò la risposta perché a questo punto, nulla è più scontato", dice l'ex segretario che per la prima volta vuole mantenersi aperte tutte le strade. Ieri era stato D'Alema a minacciare la creazione di una sua lista alle prossime politiche, che secondo i sondaggi sfonderebbe il muro del 10%. I leader della sinistra Pd però non vogliono la frattura. Cuperlo: "Sarebbe un riflesso fuori tempo di un errore antico" ma il partito "per molti versi è già esploso". Fassino: "Farebbe vincere i 5 Stelle". Emiliano e Rossi chiedono congresso
di F. Q. | 31 gennaio 2017
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Più informazioni su: Gianni Cuperlo, Matteo Renzi, Michele Emiliano, PD, Pier Luigi Bersani
Una scissione all’interno del Partito democratico? “Non minaccio nulla e non garantisco nulla”. Parola di Pier Luigi Bersani, che in questo modo risponde alla Camera a chi gli chiede di una possibile spaccatura tra i dem. Una risposta che ha come effetto quello di gettare benzina sul dibattito interno al Pd. E che arriva al culmine di giorni caratterizzati da tensioni sempre più forti tra le fila del partito. Ieri Massimo D’Alema aveva evocato la scissione minacciando la creazione di una sua lista alle prossime politiche. Lista che già oggi secondo i sondaggi sfonderebbe il muro del 10%. Si posiziona sulla stessa lunghezza d’onda di D’Alema, il governatore della Puglia Michele Emiliano che dopo aver sfidato Matteo Renzi a distanza adesso lancia la sua campagna per chiedere il congresso, mentre Gianni Cuperlo definisce il Pd un partito “per molti versi già esploso“. Piero Fassino, da parte sua, sottolinea che una possibile scissione tra i dem porterebbe solo al “successo del Movimento 5 Stelle“.
Bersani evoca scissione: “Nulla è scontato” –
Le acque insomma non accennano a calmarsi dalle parti del Nazareno, dove la novità sostanziale è appunto rappresentata dall’enigmatica risposta con tanto di doppia negazione dell’ex segretario sull’ipotesi scissione. “A Matteo Renzi, – spiega Bersani – porrò delle questioni politiche e sentirò la risposta”. Che tipo di questioni? “Sul nodo della legge elettorale e sul futuro del Pd, perché, a questo punto, nulla è più scontato. Scissione o battaglia all’interno del partito? Non prometto e non garantisco nulla”, dice l’ex segretario, che poi puntualizza: “C’è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io solleverò delle questioni su questo oggetto qui. Poi ascolterò la risposta e mi regolerò”. Insomma il leader della minoranza interna conferma tutte le sue perplessità verso la linea renziana improntata chiaramente sulla corsa al voto, sottolinea l’esigenza di fare prima una buona legge elettorale, ma stavolta non esclude nulla, neanche una possibile rottura. In questo senso continua a insistere sulla necessità di avviare il percorso congressuale. Un passaggio a suo modo storico visto che l’ex segretario sembra per la prima volta volersi tenere aperte tutte le strade. Fino ad ora, invece, i bersaniani avevano sempre garantito di voler fare una battaglia interna al partito, escludendo sempre a priori l’ipotesi di una possibile scissione.
D’Alema: “Scissione? Senza congresso la farebbe Renzi” –
D’altra parte aveva parlato di rottura appena 24 ore fa lo stesso D’Alema, mettendo nel mirino la medesima voglia di urne di Renzi, che non piace neanche a Bersani. “Se si va alle elezioni, si va con la proporzionale semplice. Lo ritengo irresponsabile e ho fatto delle proposte che non sono la scissione. Ho proposto che si discuta seriamente una nuova legge elettorale, che non sia la proporzionale semplice ma aiuti la governabilità. Una legge elettorale che favorisca la governabilità senza gli eccessi dell’Italicum: andrebbe negoziata e questo richiederebbe tempo. A nessuna di queste proposte si è risposto: solo insulti e dichiarazioni demonizzatrici. Che razza di partito è questo?”, si è sfogato l’ex premier a Carta Bianca su Rai3, citando poi gli altri due leader che si sembrano condividere le sue stesse posizioni: “Ha detto bene Emiliano sul congresso. Quando segretario era Bersani, Renzi volle le primarie che non erano neanche previste dallo statuto e si fecero. Ora chiediamo un congresso: è normale”. E proprio replicando al governatore pugliese i leader della maggioranza renziana – il vicesegretario Lorenzo Guerini su tutti – avevano ricordato che “il congresso viene convocato dall’assemblea nazionale, non dal segretario, e va fatto, secondo l’art. 5 dello statuto del nostro partito, nel dicembre 2017″.
Ipotesi che per D’Alema è impraticabile e porterebbe alla rottura.
. Penso che una parte uscirebbe, forse non una maggioranza”, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio sottolineando che “ci sono per esempio tra i tre e i cinque milioni di elettori della sinistra che non votano più per il Pd, quelli si sono già scissi. Già l’obiettivo di recuperarli avrebbe un non irrilevante valore”. Per D’Alema, tra l’altro, “se nella sinistra si formerà un nuovo partito sicuramente supererà il 10 % dei voti. Lo dico perché ho fatto fare delle ricerche“. E infatti poche ore dopo ecco che i sondaggi confermano la previsione dell’ex leader dei Ds: per Ipr un partito nato dalla scissione di D’Alema prenderebbe l’11%, per Tecné. arriverebbe addirittura al 14%.
Sinistra dem: “Scissione? Porterebbe a successo M5s” –
L’ipotesi scissione, però, viene bocciata dagli esponenti della sinistra Pd: non solo dagli alleati della corrente renziana, ma anche da quelli più laici. “Chi conosce minimamente la storia della sinistra sa che le scissioni non hanno mai portato lontano. Ce n’è stata solo una che ha funzionato ma che portava a una grande Rivoluzione internazionale. Ma non mi pare che in questo momento ci siano prese del palazzo d’Inverno”, ha detto il guardasigilli Andrea Orlando. Simile il commento di Orfini, secondo il “Senza un congresso sarà Renzi che farà la scissione, che imporrà una frattura: è normalequale “la storia della sinistra è piena di scissioni che non hanno portato quasi mai bene agli scissionisti”. Contro una divisione anche Piero Fassino, che sottolinea come “qualsiasi scissione del Pd” voglia dire “consegnare il Paese ad altri ed aprire un’autostrada ad un eventuale successo del M5S“. Più neutro il commento di Gianni Cuperlo che bolla come “riflesso fuori tempo di un errore antico” la proposta di spaccatura, ma sottolinea che il Pd “per molti versi è già esploso” perché “è pazzesca la scelta di chi avendo tutto il potere nelle mani non ha fatto quasi nulla per provare a unire il suo campo e il suo partito”.
Intanto al Nazareno cominciano ad arrivare istanze da parte del territori per varare un percorso congressuale prima della naturale scadenza del mandato del segretario, come chiesto da D’Alema e Bersani. “Una petizione per chiedere il Congresso straordinario. Non si può andare alle elezioni senza averlo fatto”, ha scritto ieri su facebook Enrico Rossi, presidente della regione Toscana. Ventiquattro ore dopo è stato il turno di Emiliano, che sempre dai social network ha lanciato il suo portale per raccogliere le firme e chiedere a Renzi di varare il congresso. In attesa di capire quando e con che legge il Paese sarà nuovamente chiamato alle urne, la campagna interna ai dem è già cominciata.
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